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Il DOW non è quel che sembra: è peggio

The Falconi report: attenzione agli Hedge fund

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  Il DOW non è quel che sembra: è peggio

17 Aprile 2001   16:10   New York  (WSI)

Chi pensa che il Dow Jones l’indice borsistico più seguito al mondo sia sull'orlo del mercato orso ma e' convinto che non ci sia ancora arrivato perchè non ha perso oltre il 20%, come invece ha fatto l'S&P 500, e tutti gli altri indici europei Italia compresa, dovrebbe forse ricredersi (grafici 1, 2, 3).

La ragione e' semplice: il Dow Jones non e' un indice ponderato (come l'S&P 500 e tutti gli altri) ma esprime la  media matematica dell'andamento dei prezzi dei trenta titoli che rappresenta. Per rendersene conto, basti considerare il valore complessivo della capitalizzazione di mercato delle trenta blue chip, che dai massimi del 14 gennaio 2000 hanno perso circa il 29% (minimi del 22 marzo). Il che e' coerente con il declino di circa il 28% dell'indice S&P 500. Più precisamente, delle trenta blue chip, al 9 aprile scorso, 21 avevano perso in capitalizzazione di mercato. Delle 9 rimaste, tre hanno guadagnato in seguito a fusioni e acquisizioni piuttosto che a un apprezzamento del valore del titolo. Alcoa, (il gigante dell’acciaio) per esempio, era destinata a perdere in capitalizzazione se non fosse che l'ha aumentata del 17%, emettendo nuovi titoli per operare una serie di acquisizioni. In altri casi, come AT&T e International Paper, nemmeno un aumento di capitale e' riuscito a fermare il declino del prezzo per azione.

Un'altra considerazione getta ancora più luce sulla questione.

Tra le 21 blue chip che hanno perso dal 14 gennaio 2000 al 9 aprile, sono rappresentate egualmente sia la 'new economy' (Hewlette-Packard, Intel, IBM e Microsoft) sia la 'old economy' (Procter & Gamble, Exxon Mobil).

Com'e' possibile che il Dow dia uno spaccato così irrealistico della congiuntura del mercato? Prima di rispondere e' bene ricordare che il Dow, o il Dow Jones Industrial Average, rappresenta un'eccezione e non la regola tra le centinaia di indici creati dalla Dow Jones & Co. per monitorare il polso del mercato.

Questi ultimi sono tutti ponderati e usati con rispetto dalla comunità finanziaria internazionale. Ma la struttura del Dow, creato da Charles H. Dow il 26 maggio 1896 come una media matematica dei principali titoli ritenuti "benchmark" del mercato, non e' invece cambiata. Ha subito nel tempo lievi modificazioni per rendere conto di variazioni dovute a frazionamenti azionari, acquisizioni o bancarotte improvvise. Ma non e' attrezzato per rendere conto di un parametro che via via ha assunto un'importanza sempre maggiore: il valore della capitalizzazione di mercato. Basta un esempio per capirsi: se Intel, che rappresenta circa il 5% del valore totale del Dow, dichiarasse bancarotta domani e il valore delle proprie azioni scendesse a zero, l'effetto sul Dow sarebbe un puro calo di 151 punti, o una perdita dell'1%. Morale della favola: il Dow rimane uno degli indici azionari più seguiti del mondo, ma chi guarda solo alle blue chip del Dow e all’andamento di questo indice dal valore psicologico enorme sulla massa degli investitori, rischia di soffrire perdite più consistenti di quello che non compare dal suo semplice andamento medio.

17 Aprile 2001   16:10   New York  (WSI)

 Fonte Wall Street Italia.com

 

  The Falconi report: attenzione agli Hedge fund

14 Aprile 2001 17:55 New York (di Stefano Falconi)

 

“I money managers delle maggiori societa’ europee si stanno precipitando nel mercato degli hedge funds. Alcuni rimpiangeranno la scelta.” The Economist, 2/24/2001

“…uno studio recente … dubita che gli hedge funds siano veramente il Sacro Graal degli investimenti.” The Wall Street Journal, 2/22/2001

Quando il mercato rallenta, tornano alla ribalta gli hedge funds. La ragione e’ semplice: a differenza di un fondo d’investimento tradizionale, l’andamento di un hedge fund e’ neutro oppure addirittura inverso rispetto a quello del mercato.

In altre parole, un hedge fund deve fornire un rendimento adeguato indipendentemente dal fatto che il mercato salga o scenda (nel qual caso si dice che ha correlazione zero, o neutra), oppure soltanto quando il mercato scende (correlazione negativa, o controtendenza).

Di conseguenza questi fondi tendono a passare inosservati nei periodi di 'bull market', ma tornano d’attualita’ quando il mercato rallenta.

Vale dunque la pena di dare un’occhiata ai principi teorici su cui si basano questi strumenti d’investimento, tutto sommato abbastanza esoterici.

L’inventore degli hedge funds e’ universalmente considerato Alford Winslow Jones, un australiano che, dopo aver conseguito una laurea ad Harvard, inizio’ daprima una carriera diplomatica in Germania e Spagna negli anni venti e trenta (cfr. Hedge Funds, by Jesse Lederman and Robert Kline). Piu’ tardi divenne giornalista per Time e Fortune, e infine comincio’ una nuova carriera, la quinta second I sui biografi, in qualita’ di manager di un hedge fund.

Il manager di un fondo d’investimento tradizionale generalmente cerca di prevenire il mercato. Se e’ bravo, riuscira’ generalmente a vendere ad altro prezzo ed aquistare a basso prezzo. Di conseguenza il rendimento di un fondo tradizionale e’ funzione del tempismo delle decisioni del manager. Il modello di Jones, viceversa, introduce tre nuovi elementi:

1) L’abilita’ di andare corto (go short). Il managers di un hedge fund puo’ assumere posizioni short, cioe’ vendere titoli che non sono di sua proprieta’. Per far cio’, prende I titoli a prestito dal proprietario, a cui li restituira’ in un secondo tempo, e li vende. In effetti, questo equivale a scommettere che I titoli potranno essere riacquistati in un secondo tempo ad un prezzo inferiore a quello a cui sono stati venduti. Se il mercato scende la scommessa e’ vinta, altrimenti e’ persa (controtendenza, o correlazione negativa).

2) Il leverage (prestito). Il manager di un hedge fund non si limita ad utilizzare il capitale del fondo. Normalmente usa anche denaro preso a prestito, tipicamente nella proporzione di 2 a 1, il che significa che investe due dollari per ogni dollaro preso a prestito. Il fatto di usare denaro a prestito consente al manager di aumentare il rendimento delle sue decisioni, dato che gli consente di investire piu’ denaro di quanto il fondo abbia disponibile. Se per esempio il costo del denaro (tasso di interesse) e’ del 6% e il rendimento complessivo e’ del 10 %, una proporzione di 2 a 1 produrra’ un rendimento effettivo = 10% x 2 = 20% - 6% = 14%. Purtroppo pero’ c’e’ l’altra faccia della medaglia: se il manager ha commesso un errore nel prevedere la tendenza del mercato, l’aver usato denaro in prestito amplifica la relativa perdita. E’ il caso, recente e famoso, del crack della Long Term Capital Management, societa’ americana vittima di una serie di previsioni sbagliate rese ancora piu’ gravi dal fatto che usava denaro in prestito in proporzione di oltre 5 a 1.

3) Commissioni piu’ elevate. Ogni fondo d’investimento impone una commissione che va dall’1 al 2%. Gli hedge funds esigono una commissione aggiuntiva che puo’ arrivare sino al 20% del rendimento, il che contribuisce alla loro popolarita’ agli occhi dei managers. In certi casi la commissione aggiuntiva e’ subordinata al raggiungimento di un livello di rendimento predeterminato, chiamato “hurdle rate”.

Fin qui il modello originale. I fondi moderni, tuttavia, sono ancora piu’ complessi. In primo luogo perche’ investono non soltanto in azioni od obbligazioni, ma anche in una vasta gamma di strumenti, tra I quali valute, commodities e titoli derivati (derivatives).

Spesso questi investimenti non sono liquidi (per esempio perche’ non sono trattati in borsa), il che rende problematico calcolarne il valore e, di conseguenza, il rendimento del fondo.

L’articolo del Wall Street Journal citato sopra fa notare che in casi estremi un hedge fund puo’ sembrare immune da un crollo del mercato semplicemente perche’ I titoli in portafogli non sono liquidi e nel periodo considerato nessuno ne ha trattato la vendita o l’acquisto in borsa.

Il problema della valutazione di un hedge fund e’ stato trattato a fondo in uno studio recentemente pubblicato da tre esperti del settore (Do Hedge Funds Hedge ? by Clifford Assness, Robert Krail and John Liew of AQR Capital Management LLC, reperibile in formato Acrobat presso www.hedgeworld.com).

Ma non finisce qui. Per isolare il suo fondo dalla tendenza prevalente nel mercato, il manager di un hedge fund fa ricorso ad una vasta gamma di strategie d’investimento, molte delle quali fanno ricorso all’arbitrage.

Col risultato di rendere oltremodo difficile l’analisi del rendimento e del rischio insiti nel fondo, e di limitarne in pratica l’accesso agli investitori professionisti e ad un ristretto numero di grandi patrimoni, I cui amministratori si presumono esperti.

Ad esempio, mentre il manager di un fondo d’investimento tradizionale si trova di fronte a scelte obbligate, essenzialmente buy (compra), sell (vendi) oppure hold (tieni in portafoglio), il manager di un hedge fund puo’ optare per una strategia detta “convertible arbitrage” che consiste nel comperare (long) obbligazioni convertibili di una societa’, e contemporaneamente vendere “short” azioni della medesima societa’ prese a prestito.

Questo equivale a fare contemporaneamente due scommesse sulla stessa societa’, basate sulla differenza di prezzo tra l’azione e l’obbligazione convertibile. Se il prezzo del titolo sale, l’obbligazione sara’ convertibile in un titolo di prezzo piu’ elevato, e il fondo intaschera’ la differenza sulle posizioni “long”.

Se, viceversa, il titolo dovesse scendere, le azioni vendute “short” potranno essere riacquistate ad un prezzo piu’ basso e il fondo intaschera’ la differenza sulle posizioni “short”.

Il risultato teorico e’ di rimanere indipendenti dall’andamento del mercato (dico “risultato teorico” perche’ all’atto pratico il rendimento e’ funzione anche della differenza tra il prezzo dell’obbligazione e quello dell’azione che la sostiene, il che rende l’analisi ancora piu complessa).

Altre strategie comportano l’investimento in mercati emergenti, e l’investimento in funzione di eventi futuri (event-driven). In quest’ultimo caso, il manager fa leva sulla previsione che una imminente decisione aziendale possa influire sul prezzo del titolo.

Il fondo, per esempio, potrebbe essere indotto ad acquistare azioni di una societa’ in stato fallimentare (distressed securities), ad un prezzo minimo e ben al di sotto del valore nominale, nella convinzione che un imminente cambiamento al vertice dell’azienda la riportera’ in attivo.

Oppure il fondo puo’ seguire una strategia di arbitrage del rischio, investendo simultaneamente long e short in due aziende che stanno per fondersi. All’inizio della trattativa tra le due aziende, e’ normale che si formi un divario tra il prezzo del titolo acquirente e quello del titolo acquisito.

Questo divario riflette il rischio che la fusione non avvenga, per esempio per violazione dele norme anti-trust. Quando la fusione finalmente avviene, il divario tra I prezzi sparisce. La strategia del fondo in questo caso e’ di comprare il titolo della societa’ che viene venduta, e vendere “short” quello della societa’ acquirente.

Tutto cio’ equivale a due scommesse opposte e che si in gran parte si compensano, indipendentemente dalla tendenza del mercato.

Questa varieta’ di strategie comporta necessariamente una gestione estremamente rapida ed aggressiva, onde trarre vantaggio dalla volatilita’ del mercato.

Di conseguenza gli hedge funds tendono ad essere medio-piccoli: ben pochi eccedono il miliardo di dollari di capitale investito, e moltissimi sono ben al di sotto.

La ragione e’ ovvia: investimenti cospicui non si prestano ad essere acquisiti o liquidati rapidamente. Inoltre questi fondi sono generalmente gestiti da piccole societa’ indipendenti, vere e proprie boutiques d’investimento, anziche’ dalle grandi firme.

Come si vede, investire in un hedge fund puo’ essere una buona idea in questi tempi di turbolenza del mercato – purche’ l’investitore sappia quello che fa, dal momento che l’argomento e’ complesso e non alla portata di tutti.

Quel che precede e’ una semplice introduzione: chi volesse saperne di piu’ potra’ consultare Hedge Funds, di Jesse Lederman e Robert Kline, nonche’ I siti seguenti:

· www.hedgeindex.com: la sede dell’indice piu rispettato del settore, il First Boston Credit Suisse / Tremont index. · www.hedgeworld.com: notizie, analisi e ricerca applicata sugli hedge funds. · www.vanhedge.com: offre consulenza ed un buon database sull’argomento.

Per finire, vale la pena di consultare gli esperti del settore, come Charles J Brickner, della societa’ Noddings Investment,che ho conosciuto ad una conferenza di investment management e che per primo ha suscitato la mia curiosita’ su questo interessante argomento.

* Stefano Falconi e' direttore finanziario del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge, Massachussets.

14 Aprile 2001 17:55 New York (di Stefano Falconi)

Fonte Wall Street Italia.com