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07
maggio 2007 |
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22
maggio 2007 |
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27
maggio 2007 |
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GREENSPAN
E L'11 SETTEMBRE ? E SE NE PARLA OGGI ? 16 Maggio 2007 3:56 New York -
di
ANSA ______________________________________________
I banchieri della Federal
Reserve riuniti da Alan Greenspan non sapevano, nell'immediato,
quanto profondo sarebbe stato l'effetto sull'economia degli attacchi
dell'11 Settembre, caduto nel momento "meno opportuno" e con
la bolla Internet che iniziava a far sentire i suoi effetti. A
distanza di quasi sei anni le trascrizioni delle riunioni del Fomc,
il comitato di politica monetaria, rivelano la piena incertezza su
un evento che, disse Greenspan, "avrebbe di sicuro dato una forte
spinta al crollo dei valori degli asset".
Il 17 settembre, alla
riapertura di Wall Street dopo la sospensione di quattro giorni, il
Fomc in una conference call d'urgenza decise il taglio dei tassi di
mezzo punto dei tassi, con Greenspan che raccomandò di darne notizia
alle 8.30, un'ora prima dell'apertura degli scambi di Borsa,
dove era vivo il panico per i 648,81 punti mandati in fumo dal Dow
Jones nel tragico lunedì 'nero'. Greenspan, già due giorni dopo il
crollo delle Twin Towers, disse che lo choc sarebbe stato
"chiaramente negativo", in un momento di passaggio dell'economia
Usa. A inizio 2001, i tassi passarono dal 6,5% al 6% per arrivare a
fine anno, dopo undici interventi di fila, a quota 1,75%, dando vita
alla manovra di politica monetaria più espansiva degli ultimi
decenni.
L'allentamento del costo del
denaro sarebbe infatti andato avanti ancora: il Fomc tagliò i Fed
Funds di un altro mezzo punto a novembre 2002 e di un ulteriore
quarto di punto il 25 giugno 2003, portando i tassi all'1% ai
livelli più bassi degli ultimi 46 anni. Il board della Fed riuscì a
mantenere la calma di fronte alla crisi economica e al crollo dei
mercati finanziari.
"Posso soltanto dire - affermò Greenspan in uno dei primi meeting
post 11 Settembre, nel pieno dell'emergenza - che il rischio di non
fare nulla è decisamente elevato perché ritengo che la spinta delle
forze deflazionistiche non sia esaurita". Alla fine si decise per il
taglio: ci fu recessione,
moderata se paragonata ai cicli storici, ma nessun colpo mortale
alla economia. I tassi ai minimi storici provocò l'impennata del
mercato immobiliare, a compensazione della debolezza dei mercati
azionari. Due trend che ora si stanno invertendo.
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Bank
of America: Credito,
scoppierà la bolla 10 Maggio 2007 13:35 -
di
Denaro.it ________________________________________
Secondo l'amministratore
delegato di Bank of America Corp., Ken Lewis, la "bolla dei crediti"
sta per scoppiare dopo sei anni di tassi d'interesse storicamente
bassi e prestiti facili.
"Ci avviciniamo al momento
in cui guarderemo indietro e diremo che abbiamo fatto alcune cose
stupide", ha affermato ieri Lewis.
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Bernanke
parla di problemi nel ramo immobiliare 21 Maggio 2007 07:26
New York - di
ANSA ________________________________________
Bernanke, nel corso della
conferenza annuale su struttura e competitività bancaria ospitata
dalla Fed di Chicago, ha oggi parlato di un rallentamento del
comparto immobiliare nel primo trimestre 2007 e di prevedere un
inasprimento dei problemi di liquidità nel real estate nel 2007 e
nel 2008. La Fed, ha
concluso, sta procedendo alla revisione degli standard per vietare
alcune pratiche negative sui prestiti, malgrado il mercato presenti
segnali di autocorrezione.
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Il
Dow pigliatutto, sogna quota 14.000
3 Maggio 2007 1:51 New York - di
WSI
________________________________________
Sono bastati sei mesi per passare dal record dei 12.000 punti a quello
dei 13.000 del Dow Jones industriali average (DJIA), l'indice azionario
americano più famoso e storico, rappresentativo di 30 blue chip. Quanti
ce ne vorranno per arrivare a 14.000? Oppure prima bisognerà tornare giù
con uno scivolone a 12.000?
Crede a questa ipotesi
pessimista ben il 46% dei lettori del Wall Street Journal che hanno
partecipato a un sondaggio online, mentre il 54% punta al nuovo massimo,
pur senza dire quando sarà toccato. Questa divisione mostra che l'umore
degli investitori è tutt’altro che euforico.
Motivo di più per pensare che l'attuale rialzo può continuare e
arrivare almeno a quota 13.750 entro fine anno, secondo Jason Trennert,
fondatore della società di analisi finanziaria Strategas Research: uno
dei pochi che l'anno scorso aveva previsto il rally dell'ultimo
trimestre, mentre molti altri si aspettavano un crac stile ottobre '87.
«Sono ottimista, perché le valutazioni sono ancora attraenti - spiega
Trennert -. È il mercato che sta adeguandosi al buon andamento dei
profitti e che sta rendendosi conto di quanto le quotazioni siano basse:
non siamo insomma in una fase di speculazione. E infatti sono aperte più
scommesse sul ribasso che non sul rialzo del New York stock exchange e
del Nasdaq, mentre finora i risparmiatori sono rimasti alla finestra,
snobbando i fondi comuni azionari Usa a favore degli azionari
internazionali».
Chi è sorpreso all'attuale forza
dei profitti delle società quotate a Wall Street non ha capito la
maggior novità dello scenario economico e finanziario, che secondo
Trennert è la globalizzazione, «ha aiutato le imprese americane a tenere
sotto controllo i costi, in particolare quello del lavoro. Con la
disoccupazione al 4,4%, in passato il costo del lavoro sarebbe aumentato
sensibilmente, invece è rimasto basso, il che spiega i notevoli margini
di profitto aziendali».
Salari statici, con l'inflazione
aumentata, significano però meno potere reale d'acquisto e quindi una
certa debolezza dei consumatori americani, che erano stati finora un
traino di Wall Street. Al loro posto secondo Trennert ora sono i
consumatori globali. «Circa il 40% dei profitti delle aziende
dell'indice S&P500 viene dall'estero - sottolinea -. Molte
multinazionali americane oggi offrono un'opportunità più conveniente e
più sicura di giocare la carta dei Paesi emergenti, migliore che
investire direttamente su quei mercati. Buoni esempi sono Cisco, Procter&Gamble,
Hewlett-Packard e PepsiCo».
Più cauto è Glen Baptist , chief investment officer degli International
investments per Prudential Financial : «Crediamo che le Borse
continueranno a salire e quest'anno otterranno performance simili al
2006. Ma nel breve periodo ci aspettiamo ancora molta volatilità, con
saliscendi dei listini, perché il rally partito dopo la correzione di
febbraio, quando il crollo del mercato di Shangai aveva spaventato gli
investitori di tutto il mondo, è stato molto forte e veloce.
Agli attuali livelli
raccomandiamo i nostri clienti di non sovrappesare troppo le azioni, ma
di restare vicino al proprio benchmark e soprattutto essere molto
diversificati».
Fra le Borse mondiali, lo
stratega di Prudential preferisce le europee e poi quelle dei Paesi
emergenti. «Ma fra queste ultime crediamo siano meglio quelle dell'Est
Europa rispetto alla Cina, piuttosto cara e volatile - continua Baptist
-. Sul Giappone siamo positivi ma neutrali. Mentre suggeriamo di
sottopesare Wall Street, perché la crescita dei profitti delle società è
inferiore al trend storico, così come quella economica. Non
crediamo però che si verificherà una recessione e nemmeno un calo di
Wall Street causato da un collasso dei profitti, perché molte aziende
Usa beneficiano della crescita della domanda globale e del dollaro
debole, fattori che insieme spingono le esportazioni americane».
Decisamente più pessimista è
Thomas McManus, responsabile delle strategie di investimento di Bank of
America Securities. «La correzione iniziata lo scorso 27 febbraio non è
completamente finita - sostiene McManus -. È vero che gli utili del
primo trimestre finora sono stati migliori delle aspettative, che però
erano molto basse. Ma continuano a rallentare, soprattutto nei
settori finanziario, dell’energia e dei consumi discrezionali, per non
parlare di quelli dei costruttori di case».
McManus ha corretto all'insù i suoi target, ma avverte: «Le aziende che
per prime annunciano i risultati trimestrali sono in genere le più
grandi, quelle con maggior esposizione internazionale. A maggio
conosceremo gli utili delle aziende più domestiche e credo che allora il
tono della Borsa sarà più moderato, perché i loro utili saranno
danneggiati dal raffreddamento dell'economia americana, colpita dalla
crisi del mercato immobiliare e dei mutui».
Secondo McManus bisognerà stare
attenti in particolare al settore finanziario: «Non si è ancora ripreso
dai ribassi di Borsa di febbraio. L'andamento dei suoi profitti è
importante, perché è un indicatore della salute di tutta l'economia.
Se, a causa dei cattivi crediti, calano il fatturato e gli utili di
questo settore, significa che sarà disponibile meno credito per tutti i
consumatori e le aziende». McManus raccomanda quindi di sottopesare i
titoli delle banche e di tutte le società legate ai consumi
discrezionali, cercando rifugio nei difensivi come i beni di largo
consumo e della salute.
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Fonte -
Corriere della Sera |
Settimana da record
per le Borse mondiali
04 Maggio 2007 1:51
Milano - di
Morningstar.it ______________________________________________
E’ stata una settimana da
record per le principali piazze finanziarie internazionali. A fare
la parte del leone sono stati i mercati Usa. Il Dow Jones giovedì 3
è riuscito a toccare il nuovo record storico a 13.241 punti. Primato
nel primato, inoltre, ha chiuso 22 delle ultime 25 sedute con segno
positivo. Un andamento che non si registrava dal 1955. Lo Standard&Poor’s
500 ha fatto la sua parte segnando 1.500 punti. Un livello che non
vedeva da settembre del 2000.
A far passare il buon umore non sono bastati i contrastanti dati
macroeconomici. L’indice Ism dei servizi ad aprile è cresciuto fino
a 56 punti, contro i 52,4 di marzo. Il dato ha sorpreso gli analisti
che si attendevano quota 53 (quando il dato dell’Ism supera i 50
significa che i servizi, che rappresentano l’80% dell’economia Usa,
sono in buona salute). La crescita dell’occupazione, invece, è ai
minimi degli ultimi due anni. Il tasso di disoccupazione ad aprile è
salito al 4,5%. A marzo era del 4,4%. E a questo punto bisognerà
vedere cosa farà la Federal Reserve nella prossima riunione.
A rendere tonici i mercati
americani sono state le operazioni di fusione e acquisizione che,
solo questa settimana, hanno sfiorato i 70 miliardi di dollari. E
l’ondata, secondo i rumor di Borsa, non si è ancora esaurita se,
come dicono le voci, Microsoft ha davvero intenzione di acquistare
Yahoo!.
Ottava da record anche per l’Asia che ha approfittato dei giorni di
vacanza del sonnacchioso Giappone per testare nuovi massimi.
L’indice Msci Asia Pacific (ex Japan) nell’ultima settimana ha
guadagnato l’1,8%. Nella seduta di giovedì ha toccato quota 433,62,
per poi arrivare, il giorno seguente, a 437,68.
A dare gas ai listini è stato l’aumento del prezzo dei metalli che
ha spinto i titoli delle società minerarie. A questo si sono uniti i
dati sull’aumento della produttività negli Stati Uniti (+1,7% nel
primo trimestre dell’anno). L’America è il secondo utilizzatore di
materie prime dietro la Cina. Un aumento del consumo, quindi non può
che fare bene alle aziende del comparto.
L’Europa non è stata a guardare. Anche nel Vecchio continente sono
state le fusioni e acquisizioni (e le proposte di matrimonio) a
tenere banco. Le operazioni di questo tipo, dall’inizio del 2007,
hanno raggiunto un valore di oltre 988 miliardi di dollari.
Nell’intero 2006 avevano superato di poco i 1.500 miliardi.
E secondo gli analisti nell’intero 2007 l’attività di takeover
aumenterà ancora di più, spinta soprattutto dalle società di private
equity. A dare ragione agli esperti è arrivata la notizia di due
proposte di acquisizione a Reuters e a Emi.
Nella corsa dell’Europa, l’Italia ci ha messo del suo. L’indice
Mibtel ha chiuso la settimana a 34.090 punti, l’S&P/Mib a 43.973 e
l’AllStar a 19.426. Proprio quest’ultimo listino, secondo i dati di
Borsa Italiana, ad aprile ha segnato il suo massimo storico a 19.451
(+15,1% rispetto allo stesso mese del 2006).
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Fonte - Morningstar.it |
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WALL
STREET RECUPERA CON COLPO
DI RENI FINALE
08 Maggio 2007 21.05 New York -
di WSI ______________________________________________
Dopo aver trattato quasi
per l’intera seduta in rosso, i listini azionari americani sono
riusciti a chiudere poco distanti dalla parita’ grazie al colpo di
reni finale. L’attesa per la decisione della Federal Reserve sui
tassi d’interesse, in calendario per mercoledi’ (giovedi’ sara’ la
volta della BCE) e la chiara condizione di ipercomprato in cui si
stanno muovendo gli indici avevano dato la stura alle prese di
beneficio in fase di avvio. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.03% a 13309,
l’S&P500 lo 0.12% a 1507, il Nasdaq e' avanzato dello 0.03% a 2571.
I listini hanno terminato in
rialzo le ultime cinque sedute, il Dow Jones ha chiuso in progresso
24 delle ultime 27 eguagliando il record fissato nel lontano 1927,
supportato dalle trimestrali societarie migliori delle attese e
dalle continue operazioni di mergers & acquisitions.
Per gli analisti continua a trattarsi di un mercato non direzionale,
di un evento straordinario che potrebbe segnalare una forte fase di
correzione dei listini (e il fatto che una serie positiva del genere
non si vedeva da quasi 80 anni dovrebbe rappresentare un campanello
d’allarme).
Mercoledi’ il FOMC (il
braccio operativo della Federal Reserve) si riunira’ per decidere
sulla politica monetaria che dall’agosto dello scorso anno promuove
una conferma del costo del denaro al 5.25%. Le attese non
prevedono alcuna modifica di tale atteggiamento, ma gli operatori
sperano in alcuni segnali che possano indicare un prossimo taglio ai
fed funds, soprattutto alla luce degli ultimi dati macro che hanno
evidenziato un rallentamento della crescita economica.
In assenza di importanti aggiornamenti sulla congiunturali (l’unico
dato in calendario ha riguardato le scorte di magazzino
all’ingrosso, salite dello 0.3% contro lo 0.4% atteso) gli
investitori hanno continuato a puntare l’attenzione sul comparto
societario, fra trimestrali e notizie di M&A.
Tra le societa’ che hanno diffuso i bilanci fiscali in mattinata, la
conglomerata industriale Tyco International (TYC), che prevede uno
smembramento in tre differenti aziende nelle prossime settimane, ha
riportato risultati inferiori allo scorso anno ma comunque migliori
delle attese.
Fra i componenti del Dow Jones a diffondere i bilanci fiscali sara’
il gigante dell’entertainment Walt Disney (DIS) subito dopo la
chiusura delle borse. Restando fra le blue chip, Il re dei fast food
McDonald’s (MCD) ha riportato vendite comparate in rialzo del 4.8%
nel mese di aprile, in leggero calo rispetto alle attese (visita la
sezione Titoli Caldi per i dettagli). Subito dopo la chisura sono
attesi anche i numeri fiscali del colosso delle infrastrutture
network Cisco Systems (CSCO).
Fonte - Wallstreetitalia.com |
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Guru
& Gufi, siamo alla resa dei conti
15 Maggio 2007 1:51 Milano - di
Francesco Arcucci
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Sfidando ancora una volta la legge di gravità, il mercato azionario di
New York e, di conseguenza, tutti gli altri mercati occidentali e
orientali si sono ripresi dal crollo avvenuto negli ultimi giorni di
febbraio e nelle prime settimane di marzo 2007. È la quarta volta che il
movimento al rialzo iniziatosi il 10 ottobre 2002, dopo la grande caduta
marzo 2000/ottobre 2002, sembrava terminato ed invece continua.
Era già avvenuto nel febbraio 2004, nel marzo 2005, nel maggio 2006.
Erano date importanti e da me previste poiché legavano temporalmente il
precedente movimento al ribasso con quello al rialzo, in base a rapporti
matematici molto tipici.
In realtà in tutte e tre le circostanze è avvenuta la stessa cosa: si è
toccato un massimo (ma non il massimo) poi vi è stata una correzione di
circa 100 punti dell’indice Standard and Poor’s e di circa 1000 punti
del Dow Jones e poi, di nuovo, una potente ripresa con il raggiungimento
di valori ancora più alti. È successo anche questa quarta volta
nonostante i parametri interni del mercato, nel febbraio/marzo 2007 come
il rapporto fra tutti i titoli e i volumi al ribasso rispetto a quelli
al rialzo fossero estremamente negativi e ancora più negativi che nel
1929, 1940 e 1987.
Gli economisti tradizionali possono
trarre da tutto ciò la conferma che quello che conta anche in borsa sono
i fondamentali: un’economia con uno sviluppo equilibrato, un tasso di
inflazione moderato, tassi di interesse in termini reali bassi e
stabili, profitti aziendali forse non così in crescita come nel
2003/2006, ma nel complesso buoni o almeno soddisfacenti, una politica
monetaria accomodante e un’assenza di pericolo che le principali banche
centrali intervengano per portar via la boccia del liquore quando il
party si sta scaldando. Anzi,
con lo strumento del carry trade il bar viene continuamente rifornito di
nuove bottiglie di liquidità. Ormai è invalso l’uso di parlare di
Goldilocks economy, cioè di economia dai boccoli d’oro.
Solo una minoranza di economisti
fuori dal coro sottolinea alcuni aspetti negativi dell’attuale
situazione, come l’uso smodato del credito, con conseguente cattiva
allocazione del medesimo. In uno scenario di intense pressioni
concorrenziali vi sono segnali di allentamento degli standard di credito
alle famiglie, alle imprese e soprattutto al settore degli hedge funds.
Questi ultimi, a fronte di alti livelli di indebitamento ottenuti
attraverso il ricorso ai derivati e mediante l’ampio indebitamento
presso il sistema bancario, effettuano impieghi sempre più rischiosi
(future, options, credit derivative, etc.) per assicurare alte
commissioni ai manager dei fondi stessi ed elevate, ma volatili
performance ai sottoscrittori. Il rapporto fra esposizione al mercato
azionario e la raccolta di tali fondi è pari in media a tre volte e
mezzo, ma vi sono molti fondi con rapporti di 10/15 volte. Ciò che è
ancora più grave è che il danaro raccolto presso i sottoscrittori spesso
è stato ottenuto dai medesimi a prestito, addirittura con carte di
credito o ipotecando la casa. I mercati finanziari sono sostenuti da un
leverage di circa 25 volte rispetto agli effettivi mezzi propri degli
operatori. Gli acquisti fanno salire i prezzi e i più alti prezzi
forniscono le garanzie collaterali per ottenere nuovi finanziamenti.
Preoccupa inoltre, da parte dei
grandi operatori in occasione di colossali fusioni, acquisizioni e
incorporazioni, la tendenza a levereggiare i bilanci aziendali al solo
scopo di aumentare il Roe, così come preoccupa l’indebitamento delle
famiglie e dei richiedenti credito più deboli che ha già generato una
prima crisi del subprime. Dall’inizio del 2000 alla fine del 2006
la consistenza dei debiti sul mercato finanziario degli Stati Uniti è
cresciuta di 18.200 miliardi di dollari, mentre il Pil passava da 9.000
miliardi agli attuali 12.800 (+ 3.800 miliardi di dollari).
Vi è cioè in America, non tanto
un’inflazione monetaria (quella che si misura con l’aumento dei prezzi
al consumo), ma un’inflazione creditizia tale che per far crescere il
Pil di una unità, occorrono quasi 5 unità di debito.
Per gli economisti pochi, fra cui l’autore di questo articolo che
appartengono a questa corrente di pensiero, non è importante il fatto
che ancora per la quarta volta il mercato azionario si sia ripreso, dopo
il piccolo terremoto di febbraio. Quello che conta è rilevare che siamo
in presenza, e probabilmente nelle fasi finali, di una straordinaria
inflazione creditizia e quest’ultima, per sua natura, è destinata a
trasformarsi in deflazione creditizia con conseguente implosione, perché
la situazione dei mutuatari diventa ogni giorno più squilibrata e i
debiti non sono delle attività che possono essere date a garanzia per
ottenere altri finanziamenti.
Fino a che il prezzo degli attivi finanziari sale (e il valore economico
delle imprese rispetto all’Ebitda non è mai stato su livelli più
elevati) famiglie e imprese possono dare garanzie supplementari a fronte
di nuovi finanziamenti, ma quando il ciclo del credito s’inverte i
creditori non concedono più nuovi finanziamenti, ma richiedono il
rimborso di quelli ottenuti. A
questo punto ci sono troppi debiti in giro e i debitori non riescono più
a pagare capitale e interesse. Ecco la deflazione creditizia,
l’implosione. Un evento finanziario certamente raro, ma devastante.
A mio avviso, il primo mercato
che si renderà conto dell’approssimarsi di questa implosione del credito
sarà il mercato con le antenne più sensibili, quello azionario di New
York. Ciò che è avvenuto a fine febbraio/inizio marzo è che alla borsa
americana è sembrato di avvertire i primi segnali della tempesta.
Solo così si spiega la menzionata negatività dei parametri borsistici.
Poi il sole è tornato a splendere e il cielo si è rasserenato. I mercati
finanziari, oggi come oggi, dopo questo brivido non segnalano ancora la
fine dell’inflazione creditizia sicché l’uso smodato dei debiti per
finanziare operazioni, anche le più strampalate e costose, è ripreso.
Ma
l’appuntamento è stato rinviato
solo di qualche settimana, o al massimo di qualche mese poiché, come
insegna la storia economica, mentre l’inflazione monetaria teoricamente
può durare indefinitamente, l’inflazione creditizia che attualmente ha
raggiunto livelli parossistici si trasforma sempre, senza eccezioni, in
deflazione creditizia.
Come si diceva, essa è un evento devastante che, essendo raro, non viene
in genere riconosciuto dagli analisti, i quali, non riconoscendolo,
perdono il senso dell’orientamento, rimangono confusi. Basandosi su
categorie tradizionali non capiranno perché, ad esempio, scenderanno
contemporaneamente i prezzi delle azioni, degli immobili e delle materie
prime, come è successo nella crisi di febbraio/inizio marzo. Molti si
sono rallegrati dello scampato pericolo e per ora hanno avuto ragione.
Ma io ho interpretato questa piccola crisi come una prova generale, un
test, un assaggio della rappresentazione vera e di quello che essa
comporterà.
 |
Fonte -
La Repubblica
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S&P
scalerà quota 2000
20 Maggio 2007 New York - di
*David Kotok
*David Kotok e' stato
tra i fondatori, nel 1973, della Cumberland Advisor, di cui è
responsabile degli investimenti. Articoli e commenti sono apparsi su
«The New York Times», «The Wall Street Journal» e «Barron’s». La società
di investimenti Cumberland Advisor (www.cumber.com) ha sede a Vineland
nel New Jersey (Usa).
__________________________________________
Siamo alle soglie di un eccezionale boom del mercato azionario americano
(e questo nonostante il rialzo dell’ultimo periodo). Presto vedremo
nuovi massimi di tutti i tempi, ed entro il 2010 mi aspetto l’S&P 500 a
2000 punti (rispetto ai 1.500 attuali). E sarà proprio la tecnologia a
guidare la cavalcata, ponendo fine a sette anni di traversie dopo
lo schianto del Nasdaq di inizio Duemila. Adesso vi spiego l’origine di
tanto ottimismo.
Per incominciare, Wall Street non è cara. Secondo una moltitudine di
parametri fondamentali, la Borsa newyorchese è sottovalutata di circa il
30-40% rispetto al suo valore di equilibrio. Perché tanta
certezza? In definitiva basta affidarsi agli utili. Nel primo trimestre
dell’anno, i due terzi delle società quotate hanno guadagnato più di
quanto avessero indicato gli analisti di professione.
Se immaginiamo l’S&P 500 come un’unica grande azienda, il suo utile
medio per il 2007 dovrebbe essere di circa 93 dollari. E poiché l’indice
passa di mano a 1.500 punti, vuol dire un rendimento di oltre il 6%, con
la prospettiva di aumentare anno dopo anno. Sono cifre incoraggianti se
pensiamo che il costo del denaro per le multinazionali statunitensi è
del 6% nominale, che diventa del 4% al netto delle imposte. Insomma, con
il costo del denaro al 4%, e il rendimento degli utili al 6%, non c’è
niente di meglio che indebitarsi e finanziare il riassorbimento delle
proprie azioni (e ogni sorta di fusione e acquisizione). Questa è la
ragione per cui sono stati ritirati dal mercato titoli e quote
societarie, pari a un controvalore di 600 miliardi di dollari.
S&P 500 A 2000 PUNTI. Per tutti questi motivi, quindi, scommetto sul
forte apprezzamento della Borsa Usa, con la possibilità per l’indice
S&P500 di balzare dai 1.500 punti attuali ai 2.000 punti entro la fine
del 2010. La mia tesi non necessita di un’economia florida e vibrante,
ma si basa su un percorso di sviluppo normale. Ossia ritengo che
l’espansione della ricchezza nazionale viaggerà al 3%, e l’inflazione al
2 per cento. In questo scenario gli utili possono marciare al passo del
7-8% l’anno. Non si tratta di indulgere in fantasie, giacché di
solito i profitti corrono più rapidamente della congiuntura grazie
all’ausilio del debito.
Facciamo adesso un po’ di semplice esercizio matematico. Abbiamo già
detto che gli utili dell’S&P500 valgono circa 93 dollari. Se le mie
congetture sono corrette, saliranno a 115-120 dollari nel 2010.
Applicando un multiplo di 17 si arriva alla quotazione di 2.000 punti. E
ciò in un clima di crescita e di inflazione moderate. Cioè siamo stati
prudenti in tutte le nostre supposizioni. Certo, a un dato punto,
l’esuberanza si impadronirà degli operatori e delle famiglie com’è
accaduto in passato. Assisteremo a una seconda bolla speculativa, ma per
ora almeno non la prendo in considerazione. Il rialzo del quale abbiamo
parlato è invece pienamente supportato dai fondamentali.
TUTTI I PERICOLI. Sono incline a pensare che il potenziale di ritorno
sia oggi preponderante rispetto ai rischi esistenti nel mercato
azionario. L’inflazione è ben contenuta all’interno dei limiti
prefissati dalle autorità monetarie. A volte si nota una qualche
effervescenza, però poi tutto rientra nella normalità. Ugualmente
significativa è la robustezza dimostrata dall’America alle prese con la
crisi del settore immobiliare. Essa ha cagionato un rallentamento, ma è
improbabile che il rallentamento sfoci in una recessione.
In primo luogo perché il 95% della forza lavoro è impiegata. La
disoccupazione per gli adulti con una laurea in tasca non supera il 2%,
per i diplomati è al 4% e per il resto della popolazione al 7 per cento.
I redditi salgono, e quando gli americani hanno soldi da spendere, si
può contare su di loro perché li spendano. In breve, non è un clima da
recessione. Si potrebbe ribattere che nel mondo ci sono attualmente
diversi conflitti latenti. Che la situazione in Iraq desta sconforto.
Che la peste aviaria è dietro l’angolo. Tuttavia, operare delle scelte
in attesa della catastrofe o della tragedia sarebbe un po’ come
aspettare Godot. Io preferisco invece essere investito al cento per
cento.
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Fonte -
Bloomberg - Borsa&Finanza
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Domenica
20
maggio 2007 |
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Venerdì
25
maggio 2007 |
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giovedì
31
maggio 2007 |
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I
quattro motori
che spingono le borse
20 Maggio 2007 16:41 Milano - di
Giuseppe Turani
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Secondo alcuni sofisticati esperti di finanza le Borse stanno per
attraversare, fra maggio e giugno, un´invisibile, ma delicatissima linea
di confine: quella fra la realtà e il mondo immaginario. Di che cosa si
tratta? La spiegazione è piuttosto semplice. Fino a ora (e nonostante i
quattro anni di rally) i mercati finanziari hanno venduto «materiale»
vero, nel senso che i prezzi dei titoli grosso modo hanno continuato a
corrispondere alla crescita delle società e dei loro utili (in generale,
ovviamente).
Al di là della linea di confine
che si sta per attraversare, invece, questo non è più vero. E quindi si
andrà a comprare (per chi ci andrà) sulla base non più di «compro per
100 euro quello che vale effettivamente 100 euro», ma sulla base della
speranza di future performance (migliori) o sulla base della speranza
che ci sia qualche guerra azionaria che consenta di ricavare di più del
giusto prezzo.
In sostanza, finora i mercati hanno viaggiato (anche se hanno corso
molto) su un terreno solido, al di là della linea di confine che abbiamo
indicato (e che sta poco più avanti) si camminerà invece su un terreno
fatto più di sogni e di profezie. Nonostante questo molti esperti
titolati e certamente saggi (come la signora Abby Cohen, capo strategist
di Goldman Sachs) sostengono che i mercati da qui a fine anno andranno
ancora avanti, e nella misura del 6-7 per cento, grosso modo.
Come si spiega questo fatto? Perché pur essendo ormai alle spalle quasi
tutto il terreno solido disponibile è previsione comune che le Borse (a
meno di grosse incidenti internazionali) andranno ancora avanti?
Per rispondere a questa domanda, bisogna ricorrere alla teoria dei
quattro motori. Essa sostiene che
in questo momento ci sono
quattro motori che spingono in avanti le Borse, e sono motori che
funzionano abbastanza indipendentemente da quello che poi accade
nell´economia reale (dove c´è, ad esempio, il grosso e sensibile
rallentamento della congiuntura americana). Quali sono questi quattro
motori?
1 - Il primo è costituito
dall´enorme liquidità in circolazione. Non si tratta di una
novità, ma la liquidità c´è e è abbondante. E tutti questi soldi da
qualche devono pur andare. L´insieme di tutta la liquidità in
circolazione rappresenta un propellente molto forte. E spinge i
risparmiatori-investitori a non andare troppo per il sottile. In un
certo senso è come quando in una folla quelli dietro spingono quelli che
stanno davanti, anche se non vedono bene dove si sta andando. E anche
se, soprattutto, non vedono gli ostacoli e gli impedimenti.
2 - Il secondo motore è
rappresentato dagli hedge fund. Gli hedge devono «smuovere»
continuamente i mercati e, grazie al loro funzionamento e all´uso di
strumenti finanziari come i derivati, di fatto agiscono come
moltiplicatori della liquidità. Accade così che i mercati si ritrovano a
avere una sorta di turbo che ne amplifica le performance verso l´alto.
3 - Il terzo motore è
rappresentato dai fondi di Private equity. Dai fondi, cioè, che
raccolgono soldi da investitori "forti" (non certo dai piccoli
risparmiatori) e che poi li mettono in aziende con il proposito di
ricavarne nel giro di qualche anno grossi guadagni rivendendo il tutto a
qualche altro soggetto. Si tratta di fondi che non fanno niente di male,
ma che hanno a disposizione somme immense (uno di essi ha appena
dichiarato che è alla ricerca di un´operazione da 50-60 miliardi di
dollari) e che setacciano continuamente tutti i mercati mondiali alla
ricerca di buone occasioni. La loro abilità sta nel trovare affari anche
là dove sembra che non ce ne siano (qui da noi sono in gara per avere
l´Alitalia, che certo non si presenta a prima vista come un buon
investimento). Di fatto, questi fondi funzionano come una specie di
eccitante per i mercati.
4 - Il quarto motore è
rappresentato dall´M&A, cioè dalle fusioni e acquisizioni. Di
solito l´interesse in queste acquisizioni è di tipo strategico: per
eliminare un concorrente o per diventare più forti di altri concorrenti.
E quindi il prezzo che si è disposti a pagare non tanto in relazione con
il valore vero e le performance dell´azienda oggetto del desiderio
quanto del suo valore, appunto, strategico. E quindi si paga anche il
40-50-60 per cento in più rispetto al prezzo di Borsa.
Attraverso i meccanismi dell´Opa (per cui lo stesso prezzo va pagato
anche agli azionisti minori) i fenomeni di M&A contribuiscono a far
esplodere le quotazioni di certi titoli, magari trascurati da tutti fino
al giorno prima. Ecco spiegato perché gli esperti, che sanno meglio di
noi che stiamo lasciando quello che abbiamo chiamato «il terreno solido»
dei mercati, continuano a dire che le Borse andranno comunque su,
qualunque cosa accada.
E, paradossalmente, possono anche avere ragione. Il mondo sta cambiando.
Le aziende lottano fra di loro per il predominio dei mercati e in questa
guerra (come in tutte le guerre) costi, ricavi e giusti prezzi passano
in seconda linea.
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Fonte - La Repubblica |
L'euro
forte piace solo alla Germania
21 Maggio 2007 Roma - di
Marcello De Cecco
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Come in tutti i periodi di grande
turbolenza, ogni giorno sulla economia mondiale e su quelle che la
compongono le notizie si accavallano alle notizie. Molte di esse vanno
nella stessa direzione, ma parecchie sono tra loro contraddittorie,
rendendo particolarmente difficile una ragionevole attività di
previsione dei movimenti futuri del ciclo mondiale.
Ci sono casi facili, come quello della Cina. Con le Olimpiadi
programmate per l’anno prossimo, quindi con le attività di costruzione
da esse motivate in pieno svolgimento, è del tutto improbabile che le
autorità cinesi si possano veramente permettere di prendere misure che
rischino di far rallentare seriamente la corsa dell’economia che
governano. Sebbene le esportazioni cinesi vengano subito dopo quelle
tedesche ai primi posti nella classifica mondiale (i giapponesi sono
stati spinti al terzo posto dalla inarrestabile corsa cinese) la domanda
interna è ancora quel che determina il cammino economico della Cina.
In particolare, come si sa, sono gli investimenti fissi a mostrare tassi
di crescita di inverosimile dimensione, ma senza di essi la corsa
dell’economia cinese rallenta seriamente. Poiché gli investimenti,
specialmente in Cina, sono finanziati coi prestiti bancari, l’autorità
monetaria cinese potrebbe, frenando il credito, far rallentare la corsa
dell’intera economia. Ma, come s’è appena detto, metterebbe a rischio la
perfetta riuscita delle Olimpiadi, alla quale la dirigenza cinese tiene
moltissimo, per motivi di prestigio sia interno che internazionale.
Quindi, escludendo gli imprevisti, la corsa della Cina continuerà ai
ritmi furiosi mostrati negli ultimi tempi. Se ne riparlerà dopo la fine
delle Olimpiadi. Anche l’altro gigante asiatico, l’India, sembra voler
continuare a vivere pericolosamente, avendo da poco imparato a farlo.
L’esempio cinese sembra aver contagiato seriamente i governanti e gli
imprenditori indiani, e i rischi di una esplosione inflazionistica,
presenti in India assai più che in Cina, le autorità indiane hanno
appena dichiarato di essere disposte a correrli, pur di seguire i rivali
oltre l’Himalaya nella loro folle corsa allo sviluppo.
In entrambi i paesi, sebbene uno si regga con un peculiare totalitarismo
e l’altro con una altrettanto peculiare democrazia, le classi dirigenti
hanno scommesso tutto sullo sviluppo all’interno di una globalizzazione
intesa in maniera profondamente mercantilistica e non possono diminuire
il ritmo impresso alle loro economie senza giocarsi la propria
permanenza ai posti di comando, sia essa assicurata da elezioni o da
complessi movimenti all’interno delle fazioni del partito comunista
cinese.
Se cerchiamo invece di prevedere la crescita del PIL in tre importanti
paesi, come gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone, le cose si fanno
assai più complesse. Nel 2007 sembra cresceranno tutti e tre attorno al
2%. Ma in Germania si prevede una crescita dei prezzi dell’1.50%, negli
Stati Uniti di più del 2%, mentre i Giappone i prezzi resteranno fermi o
addirittura scenderanno di qualche decimo di punto. Queste previsioni
diverse sui prezzi rendono assai diverso il probabile andamento delle
politiche monetarie nei tre paesi.
Negli USA un 2% di crescita rappresenta una discesa da un livello
parecchio più elevato, in Germania esso è invece un ambito traguardo
raggiunto dopo anni di stasi. Il Giappone conferma una ripresa recente,
ma viene dopo anni di stagnazione e per questo non sembra ancora in
grado di dare una decisa spinta all’insù ai prezzi, che registrarono
addirittura parecchi anni di diminuzione. In aggiunta, negli Stati Uniti
sono sempre i consumi interni a dare dinamismo al PIL, sebbene da molti
anni riescano a farlo solo mediante una estrazione di valore, mediante
accensione di debiti, dai patrimoni accumulati dai singoli, in
particolare dagli immobili.
Il settore industriale americano se la passa parecchio peggio di quanto
mostri l’economia nel suo complesso, e ormai le esportazioni di merci
sono arrivate a rappresentare stabilmente a malapena la metà del valore
delle importazioni pure di merci. Germania e Giappone sono ancora le
principali potenze industriali del mondo, e quindi il dinamismo delle
loro economie è dato dalla produzione industriale e dalle esportazioni.
Coi prezzi ancora stabilmente calmi, tuttavia, in Giappone la dinamica
dei salari non preoccupa, mentre le autorità tedesche temono fortemente
che il fenomenale dinamismo delle esportazioni di beni di investimento
tedeschi inneschi una corsa dei salari. Ecco quindi tracciata la rotta
diversa della politica monetaria nei tre paesi: la Banca centrale
europea, che ha sostituito la Bundesbank come regista della politica
monetaria per tutta l’Europa ma anche per la Germania, ha già dichiarato
che gli aumenti salariali eccessivi minacciano la stabilità.
Era la dichiarazione rituale che spettava alla Bundesbank, quando era
lei a dirigere il concerto di politica economica tedesco e la BCE, che
l’ha rimpiazzata nel ruolo, fa di tutto per non scontentare i suoi più
autorevoli azionisti. E’ dato perciò per scontato che i tassi della BCE
aumenteranno di un quarto di punto a giugno e forse addirittura di un
altro quarto in autunno. Siamo agli ultimi giorni utili perché padronato
e sindacati metalmeccanici si mettano d’accordo per evitare uno sciopero
in Germania (l’ultimo, lo scorso anno, durò quattro settimane).
Il padronato tedesco, come tutti i padronati, non è disposto a cedere,
avendo offerto il 2.5% di aumento, alla richiesta del 6.5% avanzata dai
sindacati. Ma, come tutti i padronati, non è nemmeno disposto a fare una
battaglia all’ultimo sangue in un periodo in cui i beni di investimenti
tedeschi vanno a ruba sui mercati mondiali dove tedeschi e giapponesi
sono ormai gli unici fornitori di macchine veramente complesse.
Per questo non hanno ancora dato segni di temere l’Euro in continuo
rialzo sullo Yen (la rivalutazione della moneta era un altro metodo
della vecchia BUBA in occasione di rinnovi contrattuali). E per questo
credo che, dopo un inchino alle necessarie ipocrisie, essi concederanno
ai sindacati dell’IG Metall un aumento generoso, anche perché le notizie
che la stampa tedesca riporta quotidianamente, di enormi profitti delle
imprese maggiori e di altrettanto grandi compensi ottenuti dai manager,
insieme a quelle di alcuni eclatanti scandali industriali, stanno
irritando profondamente l’opinione pubblica, e fanno apparire come
assolutamente moderate le richieste dei metalmeccanici.
Inoltre, se i produttori tedeschi hanno un solido margine di monopolio
nelle esportazioni di impianti e macchine, gli altri produttori europei,
che fanno beni di investimento semplici o beni di consumo anche
sofisticati, ma ormai aggrediti dalla concorrenza asiatica, sono già sul
piede di guerra nei confronti della politica della BCE. Hanno compreso
che l’Euro la BCE lo vuole alto per tenere a freno padroni e sindacati
nel negoziato salariale e non sono disposti a fare le spese del
mantenimento dell’equilibrio competitivo dell’industria tedesca.
I francesi, in particolare, hanno notevole sfiducia nel modello di
politica economica gestito "alla tedesca" dalla BCE. Nelle elezioni
presidenziali, i due principali candidati se la sono ripetutamente presa
con tale politica, ed è forse per ridurre il malcontento gallico che la
stessa Bce ha fatto in questi giorni sapere che presterà meno attenzione
all’andamento dell’indicatore monetario chiamato M3, sempre in crescita
eccessiva rispetto alla soglia di pericolo fissata dai monetaristi
tedeschi che hanno fabbricato la pur breve "tradizione" di comportamento
della banca centrale europea.
Sperano in tal modo, a Francoforte, di togliere il panno rosso
monetarista dagli occhi del toro gallico, per ridurne in qualche misura
la furia. Saranno Trichet e i suoi colleghi, veramente in grado di
resistere alle pressioni di Parigi, una volta deciso chi sarà il nuovo
presidente, e mantenere la politica monetaria europea nella rotta
fissata, di contrasto deciso delle tendenze inflazioniste che paventano?
O la influenza congiunta del padronato tedesco, che vorrà far ricadere
sui prezzi gli aumenti concessi ai metalmeccanici, e delle autorità
politiche francesi, ma anche di altri paesi europei, sarà sufficiente a
smorzare la crudezza della manovra monetaria della BCE così da far
rallentare la corsa dell’euro nei confronti dello Yen e del Dollaro e di
tutti i paesi che ormai seguono il dollaro nelle sue oscillazioni?
Nelle capitali europee si è notato che ormai da molti mesi cinesi e
giapponesi fanno a gara ad alleggerire i propri rispettivi, enormi
surplus commerciali nei confronti degli Stati Uniti, dirottando le
proprie merci verso l’Europa, con la complicità dell’euro forte, ma allo
scopo di sottrarsi all’ira del Congresso americano, nel quale si delinea
una sempre più pericolosa tendenza protezionista. E in Europa la lobby
dei produttori è ancora assai più potente di quella dei consumatori, che
invece è forte in Gran Bretagna e negli USA.
Le esportazioni europee di servizi commerciali non sono importanti
quanto lo sono quelle di USA e Gran Bretagna. Le imprese europee non
sono in vendita, esattamente come non lo sono quelle cinesi e
giapponesi. E nemmeno hanno, gli europei, una produzione sovrabbondante
di carta finanziaria sia pubblica che privata da vendere ai paesi
dell’Asia o a quelli produttori di petrolio. In tale linea produttiva si
sono invece specializzati inglesi e americani. Si aggiunga poi che
l’unica avventura industriale europea di successo, l’Airbus
francotedesco, sta soffrendo non solo per i propri errori manageriali e
tecnici, ma anche per la caduta del corso del dollaro, moneta in cui
fattura il suo solo concorrente, la Boeing, e i suoi capi guardano con
autentica paura ad un aggravarsi della caduta stessa nei prossimi mesi.
Per questi motivi, un permanere della BCE sulla rotta di rigore
monetario, dopo la conclusione dei rinnovi salariali in Germania,
incontrerà il disappunto sempre più esplicito delle élite di governo
europee. Finora, per i motivi già detti, il padronato tedesco ha
richiesto che il timone monetario europeo fosse tenuto su quella rotta.
Ma anche da paesi come la Spagna, alle prese con una bolla edilizia
senza precedenti e la Finlandia e l’Irlanda, anch’essi molto dinamici
anche industrialmente, è venuto l’appoggio alla BCE. Ora, tuttavia, il
boom edilizio spagnolo ha già iniziato a sgonfiarsi, e una politica
monetaria troppo severa potrebbe trasformare un graduale
ridimensionamento in una pericolosa frana. Quanto a Irlanda e Finlandia,
le loro rispettive industrie elettroniche non godono degli stessi
vantaggi di monopolio delle esportazioni di impianti e macchine
tedesche. Un euro troppo alto rischia di metterle in difficoltà nei
confronti dei produttori asiatici.
C’è il caso, dunque, che tra qualche settimana il consenso nei confronti
della posizione della BCE cominci a ridursi notevolmente, mettendone
alla prova la risolutezza nel tenere la barra nella stessa direzione.
Una scivolata più seria e improvvisa di quelle che abbiamo finora
registrato nel corso del dollaro servirà a togliere ulteriore vento alla
vele della BCE, proprio perché essa si ripercuoterà principalmente
sull’Euro, la sola moneta di ruolo internazionale che non sia
espressione di una nazione. Essa è governata da un direttorio che non è
legittimato a prendere misure di contrasto della rivalutazione oltre la
diminuzione del proprio tasso di interesse a breve.
 |
Fonte -
La Repubblica |
WALL ST:
GREENSPAN TORNA AD ALLARMARE LE BORSE
23 Maggio 2007 New
York - di ANSA _______________________________
Dopo
il buon avvio che aveva portato il Dow Jones e l’S&P500 a nuovi
massimi, i listini americani hanno ritracciato sul finale chiudendo
la seduta in rosso, lontano dai migliori livelli giornalieri. A
raffreddare l’entusiasmo originato dalle buone trimestrali e dalle
nuove operazioni di M&A e’ stato l’intervento dell’ex capo della
Federal Reserve Alan Greenspan, su una possibile contrazione del
mercato azionario cinese.
Il Dow Jones ha
chiuso in calo dello 0.11% a 13525, l’S&P500 dello 0.12% a 1522, il
Nasdaq e' arretrato dello 0.42% a 2577.
Intervenuto in una teleconferenza a Madrid, Mr. Greenspan si e’
detto preoccupato di una possibile "drammatica contrazione" dei
titoli azionari cinesi. “La fase rialzista non puo’ continuare a
lungo, e’ chiaro che si tratta di un fenomeno insostenibile” ha
affermato l’ex n.1 della Banca Centrale americana che, tuttavia, ha
rassicurato sull’andamento dell’economia globale, in grado di
resistere ad un colpo del genere.
In seguito a tali dichiarazioni si e’ assistito ad un ritracciamento
generale dei listini; il Dow Jones e’ arretrato di oltre 60 punti
dai massimi giornalieri. Per gli analisti si e’ tratatto comunque di
un movimento molto limitato, destinato a non protrarsi nelle
prossime giornate. La liquidita’ presente sui mercati sta assumendo
volumi enormi e finche’ continueranno le trattative societarie il
sentiment degli operatori sembra destinato a rimanere positivo.
Dopo il settore della pubblicita’ online e dei casino’, ad occupare
la scena in giornata e’ stato il comparto minerario: un quotidiano
canadese ha pubblicato una notizia secondo cui Alcan (AL), che ha
gia’ rifiutato un’offerta di acquisto da parte del colosso
dell’alluminio americano Alcoa (AA), sarebbe in trattative con terze
parti (stando alle prime voci sarebbe BHP Billiton (BHP) la societa'
coinvolta) per la possibile vendita del gruppo. Il fatto potrebbe
innescare una guerra dei prezzi al rialzo da cui l’azienda di
Montreal potrebbe beneficiarne altamente. Il titolo e’ salito di
oltre il 6%.
Accordo raggiunto invece tra il colosso delle calzature Payless
ShoeSource (PSS) e la concorrente Stride-Rite (SRR): il titolo e’
schizzato del 30% sull’annuncio della vendita della societa’.
In evidenza anche il comparto dei media. La famiglia Bancroft,
proprietaria del gruppo editoriale/finanziario Dow Jones (DJ),
avrebbe iniziato un meeting per discutere sull'offerta avanzata nei
giorni scorsi dal magnate australiano Rupert Murdoch, offerta
rifiutata in un primo momento.
Spunti positivi sono emersi anche dalle trimestrali societarie: il
colosso retail Target (TGT) ha riportato utili per azione di 4
centesimi superiori al consensus, Medtronic (MDT) e’ avanza del
4.80% grazie al balzo del 10% dei profitti.
Anche oggi il calendario economico e’ stato privo di importanti
aggiornamenti macroeconomici. Ad interessare relativamente gli
operatori e’ stata pero’ la comunicazione dei dati settimanali sulle
scorte di greggio che hanno mostrato un nuovo aumento. I futures con
consegna luglio, da oggi quelli di riferimento, sono avanzati di 26
centesimi a quota $65.77 al barile. Gli operatori continuano a
sovrappesare la possibile, contenuta offerta di benzina nei prossimi
mesi e le previsioni di un’elevata attivita’ di uragani nella
regione del Golfo del Messico.
Sul valutario l’euro ha chiuso in leggero rialzo nei confronti del
dollaro. Nel tardo pomeriggio di mercoledi' a New York il cambio tra
le due valute e’ di 1.3460. Sessione in rosso per l’oro. I futures
con scadenza giugno sono arretrati di $2.70 a $662.60. In calo,
infine, i titoli di Stato Usa. Il rendimento sul Treasury a 10 anni
e’ salito al 4.8590% dal 4.8310% di martedi'.
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Occhi
puntati sulle banche centrali
25 Maggio 2007 Milano -
di Morningstar.it ___________________________________
Alan Greenspan è tornato a
turbare i sonni degli investitori. In una settimana in cui i listini
hanno viaggiato a fasi alterne, l’ex presidente della Federal
Reserve si è lasciato sfuggire commenti sulla sostenibilità del
mercato cinese che, sul finire dell’ottava, hanno fatto sudare
freddo i mercati.
Gli altri elementi che hanno condizionato la settimana delle Borse
internazionali sono stati le nuove operazioni di fusione, i
contraddittori dati sul mercato immobiliare americano e la crescente
fiducia delle aziende in Germania.
Stati Uniti L’andamento delle Borse americane è stato condizionato
dalle voci di nuove fusioni e acquisizioni e dalle notizie sullo
stato di salute del mattone. Le nuove operazioni di mergers &
acquisitions riguardano il Nasdaq, che ha offerto 3,7 miliardi di
dollari per comprare il listino svedese Omx e l’acquisto da parte di
Coca Cola, per 4,1 miliardi di dollari di Energy Brands. Con queste
due operazioni sale a oltre mille miliardi di dollari il valore dei
matrimoni che si sono celebrati a Wall Street dall’inizio dell’anno.
Per gli amanti delle statistiche, si tratta del 64% in più rispetto
allo stesso periodo del 2006.
Nel novero delle operazioni straordinarie che hanno permesso alla
Borsa di New York di farsi perdonare l’andamento difficile dei primi
quattro giorni di contrattazione (nei quali comunque il Dow Jones è
anche riuscito a toccare quota 13.600 punti), va inclusa la
decisione del miliardario Kirk Kerkorian di trovare una nuova
struttura per la sua MGM.
Nel frattempo gli operatori hanno fatto i conti con gli ultimi
rapporti sullo stato di salute del mercato immobiliare americano, un
comparto che vale il 23% dell’economia a stelle e strisce. Giovedì
l’Associazione americana dei costruttori ha annunciato che ad aprile
la vendita di nuove case è aumentata del 16%, il dato migliore degli
ultimi 16 anni. Venerdì, invece, è arrivata la doccia fredda, sulle
vendite di case esistenti: -2,6%, il risultato peggiore degli ultimi
quattro anni.
Asia I dati americani di giovedì hanno dato una spallata ai listini
asiatici. Con un mercato del mattone in calo molti erano pronti a
scommettere su un taglio dei tassi di interesse che avrebbe
aumentato la capacità di spesa degli Stati Uniti, sia a livello
industriale, sia a livello personale. Una pacchia per tutte quelle
imprese che esportano negli Usa. I dati positivi hanno rimescolato
le carte, almeno per un giorno.
Di certo non ha aiutato la dichiarazione di Alan Greenspan che, nei
giorni scorsi, ha parlato di una “drammatica contrazione” degli
indici azionari cinesi e dell’insostenibilità del boom della Borsa
locale. Parole lette e sottoscritte anche dal capo della Consob
cinese Shang Fulin. A questo punto e con i numeri usciti venerdì,
bisognerà aspettare la ripresa delle contrattazioni di settimana
prossima per avere le idee più chiare sull’andamento dei listini
asiatici.
Europa Le parole di Greenspan e del funzionario cinese hanno pesato
come macigni sull’andamento dei titoli delle aziende di materie
prime europee, soprattutto quelle minerarie. Se il Paese del Drago
smette di correre, spiegano gli analisti, per i loro bilanci si
preparano tempi di magra.
Più in generale, nell’intera settimana le Borse del Vecchio
continente hanno alternato sprazzi di moderato ottimismo a momenti
di depressione chiudendo comunque l’ultima seduta dell’ottava in
territorio positivo.
A preoccupare gli investitori è stato il dato sulla fiducia delle
imprese in Germania che, contrariamente alle attese, è rimasto
stabile rispetto ad aprile. Le previsioni per i prossimi sei mesi,
invece, sono addirittura ottimistiche. Se la situazione
nell’economia più grande di Eurolandia dovesse continuare a
migliorare, però, l’ipotesi di un aumento dei tassi di interesse da
parte della Bce diventerebbe quasi una certezza.
A Milano l’indice Mibtel ha chiuso l’ottava a 33.619 punti e lo
S&P/Mib a 43.019 punti. Da registrare l’interesse di alcuni
investitori per Mediolanum che, secondo l’amministratore delegato
Ennio Doris, sarebbero pronti a presentare un’offerta per rilevare
il gruppo finanziario.
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Buone
notizie dall'economia mondiale
21 Maggio 2007 Milano - di Alberto
Susic
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Proprio mentre i mercati azionari si
apprestano quasi quotidianamente a segnare nuovi record, in alcuni casi
storici, così come accada sulla piazza americana, continuano ad arrivare
ancora buone notizie per l'equity. Indicazioni positive che potranno
contribuire a sostenere un'ulteriore ascesa dei listini, in presenza di
un quadro macro ed economico che
si presenta ancora decisamente favorevole.
L'analisi realizzata dall'Ocse
nel Financial Market Trends, mette in evidenza che i mercati finanziaria
internazionali stanno attraversando una fase positiva dopo le perdite
registrate tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo. Gli
esperti ritengono che la volatilità cui di recente abbiamo assistito
sull'azionario, è da ricondurre in buona parte anche al ruolo giocato
dagli hedge funds, visto che gli stessi forniscono liquidita' per gli
asset sottovalutati, soprattutto nel momento in cui grandi volumi sono
vengono trattati all'interno di mercati poco attivi.
A livello globale si registra un
andamento asincrono dell'economia, visto che da una parte è in atto un
rallentamento della congiuntura statunitense, controbilanciata però
dalla buona ripresa dell'Europa e dall'accelerazione dei mercati
emergenti, in particolare Cina e India.
Non mancano tuttavia alcuni fattori che potrebbero pesare negativamente
su questo scenario, tra cui un eventuale allontanamento degli
investitori dagli assets più rischiosi. Da non trascurare anche la
frenata dell'economia a stelle e strisce, che potrebbe essere prolungata
dalla crisi dei mutui subprime. L'Ocse considera il sistema Usa
flessibile e ben capitalizzato per assorbire le perdite, ma il problema
e' se questo rallentamento possa portare a standards piu' stretti per
l'elargizione del credito, rischiando così di prolungare la
decelerazione della congiuntura americana.
Nel frattempo, prospettive molto incoraggianti per il futuro
dell'economia a livello globale sono arrivate anche dall'ultimo G8,
secondo quanto emerso dal documento conclusivo del vertice riunitosi a
Potsdam. I ministri delle finanze si sono trovati concordi nel
riconoscere che la crescita economica mondiale resta robusta, e risulta
più equilibrata non solo tra le diverse aree geografiche ma anche
all'interno dei singoli Paesi.
L'outlook a livello mondiale è positivo ed è meno soggetto a rischi,
visto che questi ultimi sono diminuiti, per quanto non manchino alcune
preoccupazioni relative ad esempio agli elevati prezzi del petrolio. Per
questo motivo, si continuerà a vigilare con attenzione in questa
direzione, in quanto i prezzi dell'energia potrebbero alimentare le
spinte inflazionistiche, portando così a non escludere nuovi rialzi dei
tassi di interesse da parte di alcune banche centrali, specie in Europa.
Un altro fattore da monitorare con attenzione è quello degli hedge funds
che, pur avendo dato un grande contribuito al sistema finanziario,
presentano ora dei caratteri di rischiosità che richiedono un severo
monitoraggio degli stessi. La valutazione dei potenziali rischi
sistemici ed operativi legati a questa attivita' e' diventata piu'
complessa e di conseguenza è stato chiesto alle controparti dei fondi
speculativi ed agli investitori di richiedere accurate e tempestive
informazioni sui rischi e valutazioni degli asset detenuti, esortando al
contempo le autorità ad assicurarsi che gli intermediari chiave
continuino a rafforzare le attività di gestione del rischio della
controparte.
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Fonte
- La Stampa
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Sabato
19
maggio 2007 |
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Lunedì
21
maggio 2007 |
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Mercoledì
23
maggio 2007 |
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Unicredit
Capitalia
ottima merger made in Italy
18 Maggio 2007 Milano - di
La Repubblica
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La fusione da 100 miliardi tra Unicredit e Capitalia è praticamente già
pronta ed il piano potrebbe essere chiuso e consegnato ai soci per
l'approvazione questa sera o al massimo domani mattina. Poi, domani, a
mercati chiusi potrebbe essere data comunicazione della convocazione per
domenica dei cda straordinari delle due banche. Anche se
l'accelerazione dell'operazione registrata negli ultimi giorni potrebbe
modificare il calendario, nel senso di anticipare l'annuncio al mercato,
tanto da ipotizzare una sospensione dei titoli già domani mattina.
"Finchè non si firma non si può mai dare per certa la conclusione
dell'accordo", sottolineano fonti finanziarie vicine al dossier,
mostrando tuttavia ottimismo ormai sull'esito dell'accordo e mettendo in
evidenza come al momento si stia ancora trattando soprattutto sul nodo
Mediobanca e sull'eventualità di cedere la quota romana in Piazzetta
Cuccia.
Se il sacrificio della quota può essere digerito nell'ottica di
mantenere lo status quo nella galassia finanziaria del Nord su come
indirizzare la partecipazione c'è ancora qualche dubbio, anche se
sarebbe stata definitivamente scartata l'ipotesi di cessione a Intesa
Sanpaolo o al 'gruppo francese' azionista di Mediobanca. Si cerca in
ogni caso di mantenere inalterata la quota complessiva in mani italiane
per non rischiare di servire un atout ai soci d'Oltralpe per rovesciare
gli attuali equilibri. Si starebbe quindi lavorando per attribuire le
quote ad altre banche (tra cui le popolari) o, secondo le stesse fonti
finanziarie, alle Fondazioni (Cariverona e Crt in particolare).
Tutto sarà comunque composto a
brevissimo termine visto che sono stati convocati per mercoledì 23
maggio l'assemblea del patto di Mediobanca e il cda. La prima servirà,
tra l'altro per adeguare lo statuto alla nuova governance dualistica. Il
board servirà invece per convocare l'assemblea dei soci entro fine
giugno, con ogni probabilità il 29. Ma le riunioni serviranno comunque
anche a fare il punto sull'effetto che produrrà l'aggregazione tra
Unicredit e Capitalia sugli equilibri di Piazzetta Cuccia, di cui
sarà garante lo stesso Cesare Geronzi, per il quale è pronta la carica
di presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, nonchè quella
di vice presidente della nuova banca che nascerà dall'unione tra i due
principali azionisti di merchant bank milanese.
Anche oggi sono intanto proseguiti i contatti sul fronte
dell'aggregazione, soprattutto sul versante romano dopo i vertici di
ieri a Milano. A Via Minghetti si sono recati Roberto Colaninno,
componente del Patto e consigliere di Capitalia e nel tardo pomeriggio
Claudio Costamagna, il consulente per le alleanze strategiche nominato
appena pochi giorni fa. In ogni caso i soci forti dell'istituto romano,
consultati nelle ultime ore, avrebbero già dato un orientamento
favorevole all'operazione. Anche Abn Amro non ostacolerebbe l'operazione
sebbene, per ragioni di opportunità vista la sua posizione di fronte
alle due offerte concorrenti, di Barclays e Rbos-Santander potrebbe
astenersi.
Se la banca spagnola di Emilio Botin dovesse conquistare la banca
olandese potrebbe guadagnare una posizione importante anche nel futuro
azionariato della nuova banca, soprattutto se all'8,6% portato in dote
da Abn potrà sommare la partecipazione già dichiarata (2%) e quelle di
cui viene accreditato. A prescindere dall'orientamento degli olandesi,
nella riunione del Patto capitolino non troverebbe comunque ostacoli
l'approvazione del progetto. Un piano che intanto ha preso forma.
Secondo quanto si è appreso dovrebbe trattarsi di una fusione per
incorporazione della banca romana in quella milanese con una operazione
carta contro carta che valutando l'istituto di via Minghetti un quarto
della nuova realtà bancaria consentirà ai soci capitolini di esprimere
fino a cinque consiglieri nel board della nuova banca, che dovrebbe
rimanere con l'attuale numero di rappresentanti.
La realtà nata dalla fusione delle due banche non prevede una governance
duale, anche perché su questo punto sarebbe molto netta la posizione di
Alessandro Profumo e non sarebbe prevista la definizione di un patto di
sindacato. A Cesare Geronzi dovrebbe essere affidata appunto la
vicepresidenza del colosso. Il modello operativo dovrebbe essere
ispirato ad una divisionalizzazione delle attività anche se Banca di
Roma e Banco di Sicilia dovrebbero mantenere autonomia di marchio e di
sede. Unica concessione territoriale per un'operazione che consente a
Profumo di sfiorare i 10 mila sportelli in Europa.
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Fonte
- La Repubblica
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Banche
ancora troppo care
6 Maggio 2007 16:15 Milano - di Francesco Spini
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Quasi sei
euro per pagare una bolletta allo sportello. Fino a due euro e mezzo di
commissioni per prelevare dal Bancomat di un’altra banca. L’Adusbef
torna a puntare il dito contro il caro-banca ed estende la sua critica a
«Pattichiari», il consorzio emanazione dell’Abi, nato per permettere una
maggiore trasparenza sui servizi bancari e sui relativi costi.
«Invece si è rilevato solo una scatola cinese dell’associazione delle
banche - dice il presidente dell’associazione dei consumatori, Elio
Lannutti -. Il sito Internet dove dovrebbero essere disponibili i costi
delle varie voci dei conti corrente spesso non è aggiornato e non serve
a nessuno». Secondo una ricerca condotta dall’associazione i dati di
Pattichiari offrirebbero una possibilità di comparazione «puramente
virtuale, risultando utile solo prima dell’apertura del conto corrente:
subito dopo, infatti, la banca può cominciare a mutare le condizioni
contrattuali stabilite con il cliente».
L’associazione ha svolto quindi un’indagine su
alcuni servizi di base offerti da una ventina di banche italiane,
attingendo, spiega Lannutti, «sia da Pattichiari, sia da altre fonti,
laddove il sito del consorzio si è mostrato non aggiornato o carente». I
risultati? «Dimostrano ancora una volta - dice l’associazione - la
rapacità delle banche». Secondo
le rilevazioni dell’associazione, nell’ambito dei prestiti personali
Deutsche Bank risulta avere il Taeg (il tasso che esprime il costo
complessivo) più elevato, pari al 16,26%, mentre a Bipop e Banca Toscana
va la palma delle migliori offerte. Banca Antonveneta è quella
che chiede più commissioni (2,50 euro) ai propri clienti che prelevano
contante dagli sportelli di altri istituti, Banca Generali è invece la
più conveniente, con 1,55 euro.
L’Adusbef
nota poi che mentre «il tasso creditore è ancora sotto zero, nonostante
la legge Bersani imponga alle banche di adeguare anche i tassi sui
depositi, quando aumentano quelli della Bce», quelli debitori «sono
molto flessibili» e superano il 14% come nel caso citato del Banco
Popolare di Verona e Novara. C’è poi il pagamento delle bollette
allo sportello, che alla Popolare di Milano, segnala l’Adusbef, può
costare 5,80 euro. La ricerca è contestata dalle banche. «Pattichiari -
spiega Massimo Roccia, segretario del consorzio - offre uno strumento di
confronto tra 500 prodotti offerti in 20 mila sportelli di 100 banche,
pari all’80% dell’offerta del mercato. Anzitutto non è vero che il sito
Internet non venga costantemente aggiornato».
Secondo il rappresentante
bancario ad attestare l’aggiornamento, requisito essenziale per restare
nel consorzio è «una certificazione di qualità effettuata da soggetti
esterni». Inoltre «su 2,5 milioni di confronti eseguiti, non abbiamo mai
avuto una critica relativa a mancati aggiornamenti, anche perché
le banche li effettuano contemporaneamente a quelli dei propri fogli
informativi pubblicati sui rispettivi siti Web». Se l’Adusbef critica la
possibilità della banca di poter modificare i prezzi in ogni momento,
Roccia ribatte spiegando che «da un lato, grazie ai meccanismi della
concorrenza, diversi istituti hanno già deciso di bloccare i prezzi per
diversi anni, dall’altro noi stessi abbiamo lanciato “cambioconto”, che
permette di trasferire il proprio conto compreso delle domiciliazioni».
Secondo Roccia, le spese più elevate sono legate a
cattive abitudini nell’approccio con la banca. «In media - spiega - da
un anno a questa parte, al netto dell’inflazione, i prezzi dei 500
prodotti da noi monitorati sono calati del 16%. Se poi si sceglie il
conto a pacchetto, che include numerosi servizi altrimenti pagati
separatamente, il risparmio annuo è del 30%, a cui si aggiunge un altro
40-50% se per le operazioni si predilige Internet».
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Fonte -
La stampa |
IL
LIBRO NERO DELLE
OBBLIGAZIONI
23 Maggio 2007 Roma -
di
Quotidiano.net ______________________________________________
"Obbligazioni Parmalat di
proprietà delle maggiori banche, per una valore di circa 200 milioni
di euro, furono 'passate ai risparmiatori nei dodici mesi che
precedettero il crack del gruppo, dichiarato il 27 dicembre 2003. La
verità sui 'Collecchio bond' emerge oggi con dovizia di particolari
da un documento inedito -pubblicato da 'Il Sole 24 Ore'- trasmesso
dalla Banca d'Italia alla Procura di Parma il 17 novembre 2005
(circa un mese prima delle dimissioni di Antonio Fazio da
Governatore)".
"L'istituto centrale passa in rassegna, nel documento, le posizioni
di Citibank, Intesa, Bnl, Capitalia, Sanpaolo-Imi, Banca Popolare di
Milano, Banca Popolare Italiana, Deutsche Bank, Monte dei Paschi e
Unicredito Italiano, alcuni dei gruppi bancari che erano più esposti
verso Parmalat -scrive 'Il Sole 24 Orè-. Queste banche, il 31
gennaio 2000, avevano in portafoglio obbligazioni Parmalat (e altri
prodotti finanziari di società del gruppo) per un totale di 179,6
milioni di euro, un importo che non aveva subito variazioni di
rilievo nei mesi successivi, salvo superare il picco dei 200 milioni
in due occasioni: il 31 ottobre 2000 e il 28 febbraio 2001.
"A cominciare dal 31 marzo
2001, il valore dei bond di proprietà delle banche era andato
calando, e a parte il nuovo massimo di 239 milioni di euro battuto
il 31 luglio 2001 aveva continuato a registrare un andamento in
discesa fino a raggiungere i 93,7 milioni il 31 maggio 2002".
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Fonte - Quotidiano.net |
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Lungo
i binari del risparmio
18 Maggio 2007 Milano - di Sara Silano
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La Cina protagonista sui mercati
internazionali, l’oro che non perde il suo fascino, mentre nuove energie
si fanno spazio anche in Borsa, il trading e la previdenza integrativa,
il mattone di carta. I mercati finanziari e l’industria del risparmio è
in rapido cambiamento. L’ITF-RisparmioItalia ha fotografato queste
tendenze.
Occidente e oriente, vecchio e nuovo, azioni e
obbligazioni, breve e lungo termine sono i binari di sviluppo dei
cambiamenti economici, di interdipendenza tra i mercati finanziari e di
trasformazione dell’industria degli investimenti. E sono anche i temi
emersi sotto molteplici forme nei molti convegni e dibattiti di
ITF-RisparmioItalia, la fiera del risparmio e del trading online, che si
conclude oggi, 18 maggio, a Rimini e che si è aperta il 16 con la
premiazione dei gestori vincitori dei primi Morningstar Awards
consegnati ai migliori manager presenti sul mercato nazionale. .
Occidente e oriente. La Cina non è più un Paese emergente con tassi di
sviluppo da primato, ma ha assunto un ruolo da protagonista negli
equilibri internazionali. La crescita economica ha creato un’enorme
esigenza di strade, ferrovie, aeroporti, reti di acqua potabile e altre
infrastrutture. Un business plurimiliardario, che si sta traducendo in
nuove opportunità di investimento. L’asse est-ovest sta trasformando le
logiche del commercio internazionale. I mercati asiatici sono diventati
un importante sbocco per le merci europee e statunitensi e i gestori
sono ottimisti sulle prospettive dei titoli occidentali che esportano
verso il Pacifico. Non solo, pensano che tali cambiamenti possano
mitigare gli effetti del rallentamento congiunturale statunitense.
Vecchio e nuovo. L’oro, il più antico bene di investimento, le nuove
energie alternative, a partire dall’idrogeno, appartengono entrambi alla
categoria delle risorse naturali. Il primo non passa di moda. Al
contrario continua tra alti e bassi, il suo apprezzamento. Le seconde
cominciano ad entrare nei portafogli dei fondi, sempre in un’ottica di
diversificazione e di protezione dall’inflazione.
Dal mattone alla carta.I bassi tassi di interesse hanno favorito negli
ultimi anni l’acquisto della casa. Ma l’investimento immobiliare è
diventato più finanziario: negli Stati Uniti, i Reits hanno raggiunto
una capitalizzazione di 900 miliardi di dollari, ma le società
immobiliari quotate sono sempre più presenti anche nel resto del mondo,
compresa l’Europa e in particolare l’Italia dove la Finanziaria 2007 ha
introdotto un regime agevolato per le Siiq.
Azioni o obbligazioni. Sono pochi i dubbi tra i gestori intervenuti al
convegno di apertura di ITF-RisparmioItalia, premiati durante i
Morningstar Awards. Le azioni sono ancora da preferire alle
obbligazioni, perché ci troviamo in un contesto di bassa inflazione e
crescita sostenuta a livello globale. Inoltre, nonostante sia difficile
quantificare l’impatto del rallentamento dell’economia statunitense, la
dipendenza dall’economia americana è diminuita rispetto al passato.
Certo, dopo anni di rialzi delle Borse, da gennaio è aumentata la
volatilità ed è possibile che si incrementi ulteriormente nei prossimi
mesi, ma la maggior parte dei fund manager è convinta che difficilmente
si tradurrà in una crisi nel breve.
Breve e lungo termine. Trading e investimento in fondi sono due mondi
che convivono da due anni all’ITF-RisparmioItalia a dispetto del
pensiero comune che li considera antitetici. Alla negoziazione in tempo
reale di titoli e derivati può essere riservata una parte del proprio
patrimonio non il suo complesso. E’ una strategia “dell’oggi”, ma è
necessario un orizzonte più ampio per poter conservare nel tempo il
proprio livello di benessere. Questo vale soprattutto quando si pensa
alla propria pensione. Sul tema previdenziale, cui la kermesse ha
dedicato ampio spazio, la confusione è ancora molta, nonostante sia
ormai vicino il termine per decidere sul proprio Trattamento di fine
rapporto (Tfr).
La previdenza integrativa è un esempio di ancora scarsa cultura
finanziaria, fenomeno alimentato dai contenuti spazi che ha
l’informazione di questo tipo sui mezzi di comunicazione di massa e
dalle limitate (anche se in crescita) iniziative per promuoverla.
ITF-RisparmioItalia ha tra i suoi scopi primari di accrescere tale
cultura e la presenza di un pubblico di anno in anno più numeroso e
partecipe, a dimostrazione che la domanda esiste. Forse più attori
dell’industria, in modo sinergico, dovrebbero coglierla.
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