Grecia,
danni collaterali:
l'Italia dovrà continuare a rimanere in apnea
02 Maggio 2010 21:38 MILANO –
di *Alessandro Fugnoli
*Questo
documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli,
strategist Kairos Partners SGR.
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La mattina del 5 settembre 1977 un commando della Rote Armee
Fraktion tese un agguato al convoglio scortato del
presidente degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer
che stava recandosi in ufficio a Colonia. Al momento
dell’assalto (che un mese più tardi gli costò la vita)
Schleyer era assorto nella lettura di Bild (che allora si
chiamava Bild Zeitung).
In Italia a sentire nominare Bild, un tabloid dai toni
gridati e piuttosto scollacciato, qualcuno arriccia il naso,
considerandolo un giornale di gossip e poco altro. In
Germania, tuttavia, Bild è la prima lettura di politici,
manager e professionisti nonostante il suo tono popolare (è
il giornale più venduto in Europa) e il suo tedesco
comprensibile, agli antipodi della elegante e sofisticata
Frankfurter Allgemeine.
Quando pensa alla Grecia, quindi, la Bundeskanzlerin Angela
Merkel non può non fare i conti con la campagna martellante
di Bild, perché Bild esprime alla perfezione i sentimenti
viscerali dell’opinione pubblica verso quella repubblica
delle banane di furbacchioni che se ne sta laggiù in fondo
all’Europa, amata e detestata al tempo stesso.
Vendeteci il Partenone, dice Bild, vendete qualcuna delle
vostre isolette, non mandate i vostri statali in pensione a
53 anni quando i nostri ci vanno a 67. L’inviato ad Atene di
Bild si fa fotografare mentre regala in giro vecchie dracme
e annota compiaciuto che gliele strappano letteralmente di
mano. Una foto di manifestanti ad Atene viene titolata "Noi
non vogliamo risparmiare". Undici milioni di tedeschi
leggono ogni giorno questi pezzi di Bild, molti di loro li
condividono, molti di loro voteranno fra dieci giorni.
Il dramma della signora Merkel è quello di essere la figlia
politica di Helmut Kohl, il padre fondatore di Eurolandia
insieme a Mitterrand. E’ Kohl ad averla scoperta, lanciata e
sponsorizzata, anche se lei, a un certo punto, lo ha messo
da parte. La figlia del padre di Eurolandia non può essere
l’affossatrice di Eurolandia.
Anche la Merkel, però, legge Bild. Anche lei, come tutti i
politici, deve pensare 23 ore al giorno a come mantenere il
consenso e tenere in piedi la coalizione con i liberali, da
sempre spregiudicati e aggressivi quando si tratta di
raccogliere voti e oggi su posizioni pericolosamente
antigreche. Anche a lei, come ai mercati, i dieci giorni che
mancano alle elezioni in Renania (e che rischiano di
metterla in minoranza al Bundesrat) devono sembrare eterni.
Oltre al mantenimento del consenso, anche la stabilità delle
banche tedesche è nei pensieri della Merkel. La Germania è
un paese affascinante. Tiene nella massima considerazione
virtù come la prudenza, la laboriosità e la solidità dei
conti. Spesso si mette anche in cattedra per sgridare cicale
e speculatori. Eppure non c’è un crash (dall’immobiliare
dopo la riunificazione alla Russia nel 1998, a Internet,
fino ai subprime e ora alla Grecia) in cui le banche
tedesche, preferibilmente pubbliche, non si facciano
cogliere con le mani nella marmellata andata a male.
La lotta all’azzardo morale è uno dei fondamenti
dell’ideologia tedesca, ma il sistema delle Landesbanken e
delle Sparkassen è esattamente una centrale di produzione di
azzardo morale. Controllate dai partiti, queste banche si
prestano a salvataggi industriali con una logica talvolta
più politica che economica. Così facendo incorrono in
perdite che cercano di compensare con investimenti
finanziari rischiosi, forti della possibilità di finanziarsi
ai tassi del Bund perché il mercato le considera
implicitamente garantite dai Lander e, in ultima istanza,
dallo stato. Finora è sempre stato così e così continuerà ad
essere, ma solo finché sarà possibile.
L’azzardo morale (delle banche pubbliche ma anche di quelle
private, di quelle tedesche ma anche delle francesi) è stato
anche favorito dalle regole di Basilea, che non assoggettano
a riserva il debito pubblico, e dalla possibilità di
scontare tutto presso la Bce. Il risultato è che le banche
tedesche e francesi sono oggi proprietarie di più di un
trilione di euro di titoli di stato di Grecia, Portogallo,
Irlanda, Spagna e Italia. I 30-35 miliardi che alla fine
dovranno mettere Germania e Francia per salvare la Grecia
sono davvero poca cosa se si pensa al danno derivante da una
ristrutturazione disordinata di questi debiti. Alla fine,
quindi, gli euro raccolti da Berlino per Atene torneranno a
Francoforte e alle sue banche.
E’ per questo che chi sta sui mercati deve attribuire un 90
per cento di probabilità al salvataggio e solo un 10
all’incidente di percorso. In pratica si tratta, nei
prossimi giorni, di comprare su debolezza il più possibile,
dove per possibile si intende quello che permetterà comunque
di sopravvivere in caso di incidente. Dato che l’incidente
avrebbe, nel caso, proporzioni notevoli, molti portafogli
già investiti dovranno rinunciare a comprare dell’altro
nonostante le numerose e belle occasioni già sul mercato.
Alcuni dovranno addirittura vendere, perché i risk manager
(persone in genere molto brillanti e qualificate, ma tenute
a officiare i riti prociclici del VaR dalla normativa che fa
del VaR la religione universale di stato) obbligano a
vendere anche quando il flusso di notizie volge
improvvisamente in senso positivo.
Beati dunque i leggeri di portafoglio, perché potranno
comprare. Già, ma comprare perché e che cosa? Il perché del
comprare è che l’economia globale per il momento ignora
felicemente la Grecia e continua a crescere. Un secondo
motivo, a questo punto altrettanto importante, è che il
piano di salvataggio sarà alla fine robusto. Il mercato
potrà divertirsi tutti i giorni a trafficare su Cds sulla
Grecia e potrà spingere i prezzi dei bond a 60, 40, 20 o
qualunque livello ritenga opportuno. Potrà farlo perché sarà
ridotto all’irrilevanza, perché per un anno (e forse due) la
Grecia non avrà bisogno di emettere (lo fara' ogni tanto per
testare il mercato, nulla di più).
Il governo greco, dal canto suo, appare tecnicamente
preparato (come quello portoghese, per inciso). Nelle
prossime ore concorderà un programma dettagliato con il
Fondo Monetario e con ogni probabilità lo seguirà (è molto
raro che i programmi concordati con il Fondo non vengano
seguiti). Fra un anno il disavanzo pubblico greco sarà a una
sola cifra. Lo stock di debito su Pil continuerà a crescere,
ma la riduzione costante del disavanzo indurrà un giorno il
mercato a sottoscrivere di nuovo titoli greci a tassi non da
usura. A quel punto il debito su Pil si stabilizzerà.
Lo stesso percorso fiscale virtuoso dovrà assolutamente
essere seguito dagli altri paesi a rischio di contagio. Tra
questi, l’unico a essere strutturalmente semi-insolvente è
il Portogallo, non tanto per il suo debito pubblico quanto
per il debito complessivo del paese. Spagna e Irlanda hanno
problemi di liquidità e di competitività, risolvibili se il
mercato del lavoro è sufficientemente flessibile (e in
Irlanda certamente lo è).
L’Italia non è considerata in pericolo. Secondo uno studio
molto autorevole della Banca dei Regolamenti Internazionali,
la proiezione a 30 anni (in mancanza di misure correttive)
pone il debito italiano al 200 per cento del Pil nel 2040
contro il 300 tedesco, il 400 americano e francese e il 600
giapponese. Sui desk di trading, tuttavia, non siedono
economisti ma trader che devono indovinare che cosa faranno
gli altri trader e la convenzione, nel loro mondo, è che
l’Italia in caso di crisi sia un obiettivo, non per farla
saltare ma per rosicchiare qualche punto base. Con molti
squali in giro, l’Italia dovrà continuare a rimanere in
apnea e perfettamente compos sui.
Quanto al cosa comprare, tenderemmo a escludere Grecia,
Portogallo e Spagna (non l’Irlanda). Per Portogallo e Spagna
non c’è un buon rapporto tra upside limitato e downside. Per
la Grecia non è totalmente da escludere una ristrutturazione
del debito, ma non nel modo caotico e distruttivo che
immagina il mercato.
La Grecia non è l’Argentina del 2000, non perché abbia conti
molto migliori (anzi), ma perché ha fatto un buon matrimonio
entrando nell’euro e ha venduto la sua carta non a
investitori individuali atomizzati e politicamente poco
rilevanti ma a grandi banche tedesche e francesi
assolutamente vitali per i loro paesi. Noblesse oblige,
quindi, e un’eventuale ristrutturazione sarà in un momento
di calma, ordinata, civile, misurata sui writeoff decisi nel
frattempo dalle banche e sotto le spoglie di un
coinvolgimento dei privati nel salvataggio, una filosofia
che il Fondo Monetario aveva adottato una decina di anni fa
e che si era poi persa per strada.
Vanno comprati, in questa fase, titoli ciclici, tecnologia e
petroliferi, disponibili con buoni sconti rispetto a una
settimana fa. Vanno poi comprate valute emergenti di Africa,
Asia ed Europa orientale. Tra queste la lira turca,
espressione di un paese che nei prossimi anni godrà di una
forte e solida crescita al contrario della Grecia.
L’euro è la valuta più debole del pianeta e anche Chavez e
gli iraniani si guardano bene dal minacciare di abbandonare
il dollaro, che si tengono ora molto stretto. Non si deve
esagerare, però, quanto meno contro dollaro.
L’Europa mediterranea diventerà sempre più austera e i conti
con l’estero di Eurolandia, già in pareggio, miglioreranno
per la diminuzione dell’import e per il miglioramento
dell’export facilitato dal cambio debole. L’America, per
contro, è tuttora in disavanzo. E’ possibile quindi che
l’euro rimanga debole tutto quest’anno e forse anche il
prossimo, ma a stabilizzazione avvenuta una parte del
terreno perduto contro dollaro verrà recuperata.
Questa settimana sarà ancora nervosa e molto cauta.
L’atteggiamento del mercato sul salvataggio è di
scetticismo, finché non vedo non credo. La macchina del
salvataggio però procede a un ritmo intenso. Il programma
sarà pronto entro domenica e la Germania farà finta di
studiarlo attentamente e cercherà di tirare sul prezzo. Le
vere intenzioni filogreche del governo sono dimostrate dal
fatto che il voto al Bundesrat sarà prima delle elezioni
renane (che potrebbero creare una maggioranza diversa nella
camera delle regioni) proprio per avere più possibilità che
venga approvato. Se così sarà, vedremo sui mercati un rally
di sollievo piuttosto veloce.
Il Fomc, nel frattempo, ribadisce che i tassi americani
rimarranno a zero per un periodo prolungato. Tutti i paesi
si stanno preparando a una stretta fiscale per il 2011. Un
motivo in più, per i paesi sviluppati, per mantenere una
politica monetaria assolutamente espansiva per molto, molto
tempo a venire e un cambio basso verso i paesi emergenti.
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Fonte - Il Rosso
e il Nero, settimanale di strategia di Kairos Partners
SGR.
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La settimana,
17/2010
Posted on Sunday, 2 May, 2010
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di phastidio ______________________________________________
Dopo un’altra settimana
drammatica, caratterizzata da ripetuti declassamenti di
debito sovrano europeo (Grecia, Spagna, Portogallo) da parte
delle agenzie di rating, è stata finalmente siglata l’intesa
operativa che prevede assistenza finanziaria congiunta alla
Grecia da parte di Unione europea e Fondo Monetario
Internazionale, su un arco triennale, a fronte di una
pesantissima correzione dei conti pubblici greci, pari ad
almeno dieci punti percentuali di Pil in un biennio.
Dopo che il mercato dei titoli di stato greci ha
praticamente smesso di funzionare (anche per effetto del
declassamento a junk da parte di Standard&Poor’s), con
rendimenti che hanno toccato sulla scadenza biennale anche
il 25 per cento e la curva dei rendimenti invertita (segno
di imminente dissesto), l’annuncio dell’accordo ha
stabilizzato i mercati, sia pure su basi di rendimento
elevatissime. I problemi restano aperti, sia per la Grecia
che per l’Ue. In particolare, la prima rischia di entrare in
una trappola di debito, in cui strette fiscali causano il
crollo del Pil, che a sua volta apre nuovi ed ulteriori
deficit. Per l’Ue la posta in gioco è altrettanto rilevante:
si teme quanto potrà accadere se e quando altri paesi in
difficoltà (Portogallo e Spagna su tutti) non riusciranno a
raggiungere il riequilibrio dei conti pubblici entro le
scadenze previste nei piani di rientro concordati con l’Ue.
Appare infatti improbabile che l’intervento a sostegno della
Grecia possa essere risolutivo dei problemi dell’Area Euro. Sui mercati, la notizia di
rilievo della settimana è il possibile ampliamento del
caso-Goldman (frode ai danni degli investitori) dall’ambito
civile rappresentato dall’azione della Sec a quello penale, con
l’apertura di un’inchiesta federale da parte dei procuratori
distrettuali di New York. In ambito penale, l’onere della prova
a carico dell’accusa appare molto più impegnativo rispetto
all’azione civile promossa dalla SEC, ma la notizia è stata
sufficiente per causare un crollo di quasi il 10 per cento delle
quotazioni di Goldman, durante il mercato di venerdì 30 aprile.
In termini di analisi tecnica, l’azione Goldman si trova in una
condizione non favorevole, avendo già fallito, settimane
addietro, il test dei massimi segnati lo scorso ottobre. Gli
analisti azionari di Standard&Poor’s hanno emesso una
raccomandazione di vendita sul titolo. Sul mercato azionario,
più in generale, si è registrato un marcato aumento della
volatilità implicita, registrata dall’indice Vix, testimonianza
di una maggiore avversione al rischio.
Tra i dati macroeconomici della settimana, pubblicata
venerdì la prima stima del Pil statunitense del primo trimestre
2010, che è cresciuto del 3,2 per cento su base annualizzata. Al
dato hanno contribuito soprattutto l’andamento delle scorte ed i
consumi privati. Le prime hanno contribuito per l’1,7 per cento
al dato complessivo di crescita, per effetto non più di una
decelerazione del loro decumulo, come avvenuto nel quarto
trimestre 2009, ma di un effettivo accumulo. I consumi delle
famiglie sono cresciuti oltre le attese, al passo del 3,6 per
cento annualizzato, confermando l’interruzione del trend di
recupero del tasso di risparmio già vista nei dati mensili del
primo trimestre. Si tratta di un dato per molti aspetti anomalo,
visto anche l’andamento ancora depresso del mercato del lavoro
ed il rilevante contributo alla crescita del reddito personale
fornito dai trasferimenti pubblici legati alle misure di
stimolo, il cui massimo impatto sul Pil statunitense è atteso
proprio nel secondo trimestre di quest’anno.
Fonte
- Macromonitor
PIIGS:
QUESTO SALVATAGGIO NON SI DOVEVA FARE
domenica, 2 maggio 2010 - 23:50
NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Servono $2000 miliardi in 3 anni.
L'FMI e' senza speranze, con una capacita' di appena $700
miliardi. Perche' allora continuano a mentirci? Qualcosa non
torna: il tavolo e' truccato, il crupier e' d'accordo col
banco. Meglio assistere al fallimento di...
Con i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna)
che avranno bisogno complessivamente di $2000 miliardi di
aiuti nell'arco di tre anni - secondo le ultime stime che
circolano in ambienti finanziari di New York - il
salvataggio dell'euro sembra impossibile. Inutile illudersi.
Il Fondo Monetario Internazionale non puo' far altro che
starsene seduto a braccia conserte e aspettare che
l'inevitabile fallimento si materializzi. Non ora. Piu' in
la' nel tempo.
Stiamo parlando di $600 miliardi in un solo anno. Il che
finirebbe per esasperare fino alle estreme conseguenze le
casse del Fmi, che ha una capacita' finanziaria di circa
$700 miliardi. E chi dovrebbe salvare i PIIGS non e' messo
molto bene economicamente, alle prese con una deflazione che
non si vedeva dai tempi della Grande Depressione.
Perche' allora il Fondo Monetario e l'Unione Europea
continuano a mentirci? Ci rimbambiscono di belle parole
ottimistiche che loro sanno essere false. Qualcosa non
torna. Da qualunque parte la si guardi, la conclusione di
questa vicenda avra' un solo finale possibile. E non sara'
un "happy ending", come dicono in America. D'accordo: gli
americani hanno tutto l'interesse a recitare il ruolo duro
degli anti-euro. Ma i numeri non si possono manipolare, al
contrario delle promesse mai mantenute di certi leader
politici. Non si tratta di apparire catastrofisti o
anti-italiani (come diranno gli "ottimisti a tempo pieno"
filo-governativi) ma appena appena realisti, moderati.
In concreto, una grande banca internazionale con sede negli
Stati Uniti ha stilato una serie di tabelle in cui vengono
analizzati nel dettaglio tutti i fondi necessari, paese per
paese, debito per debito, deficit per deficit. Italia
compresa, si'. Vediamoli, questi numeri. E' una lettura
obbligata per chi e' alla ricerca della "verita'
finanziaria". Per coloro che non s'accontentano delle tesi
di facciata megafonate dall'elite politico/bancaria al
potere.
E' il tipo di kit di sopravvivenza necessario per
investitori che vogliono posizionarsi sui mercati in modo da
guadagnare come fa l'oligarchia che scommette in senso
opposto a quel che fa la massa; massa a cui e' stato detto
invece di scommettere nell'altra direzione (Goldman docet).
Ricordate: il tavolo e' truccato. Il crupier e' d'accordo
col banco. Tutto congiura contro di noi se non sappiamo quel
che sanno loro, in questa fase di finto capitalismo drogato
da stimoli, aiuti e salvataggi sia governativi che
sovra-nazionali.
Fonte
-
WallStreetItalia.com
L’Ue
mette sotto accusa
le agenzie di rating
03/05/2010
-
di miaeconomia.leonardo.it ______________________________________________
E adesso che il piano di aiuto
alla Grecia e’ stato varato, si attende la reazione dei
mercati, ci si lecca le ferite e si fanno i conti di quanto
l’incertezza dell’Europa e l’impuntatura della Germania e’
costata in termini di miliardi di euro. Ma soprattutto si
approfittera’ della falla creata nel transatlantico
dell’Eurogruppo per evitare che la prossima lo possa
trasformare nel Titanic. Ed una delle misure al vaglio della
commissione europea e della Banca Centrale e’ la creazione
di un proprio sistema di valutazione della solidita'
finanziaria dei paesi della zona euro con l’obiettivo di
spezzare il monopolio delle tre agenzie di rating, Moody's,
Fitch e Standard&Poor's.
Infatti da molti analisti ed economisti e’ stato
riconosciuto che gli abbassamenti di rating a raffica di
Grecia prima e Portogallo e Spagna poi, da parte di
Standard&Poor's, hanno favorito la speculazione al ribasso
contro l’euro. Tra i piu’ insofferenti al predominio delle
tre sorelle e’ Bini Smaghi membro del comitato esecutivo
delle Banca Centrale Europea, che in alcune dichiarazioni
attacca frontalmente le agenzie. In una conferenza stampa a
latere del convegno: l’Europa nel mondo del G-20, senza
nominare nessuna agenzia in particolare, apostrofa come al
limite della pratica etica il comportamento delle agenzie,
atteggiamento che le portera’ ad una perdita di
credibilita’. E motiva l’attacco sottolineando come sia
stato sorprendente e curioso che le agenzie di rating
avessero bocciato il programma di misure fiscali e
strutturali della Grecia senza conoscerlo.
Le tre grandi agenzie statunitensi di rating Moody's, Fitch
e Standard&Poor's controllano circa il 96% del mercato,
mentre le briciole vengono spartite tra un’altra decine di
agenzie. Le vicende greche hanno dimostrato che un loro
giudizio equivale a una sentenza, ma c'e' chi nutre dubbi
sulla loro capacita’ di valutare la reale condizione
debitoria di un soggetto e la loro imparzialita', come le
dichiarazioni di Bini Smaghi dimostrano. Inoltre le agenzie
sono pagate dai committenti che vogliono emettere
un'obbligazione od ottenere qualsiasi altra forma di
credito, poiche’ la loro influenza e’ tale che senza il
rating delle agenzie e' difficile raccogliere denaro sul
mercato. Ma il fatto che il loro giudizio sia pagato dai
giudicati, espone le agenzie a un palese conflitto di
interessi.
Quando Enron falli’ le agenzie di rating abbassarono il
debito dell’azienda a livello di spazzatura solo quattro
giorni prima del fallimento eppure i problemi della societa’
erano noti da mesi. Ma altri esempi si possono fare come
quello di Worldcom sempre negli Usa, o di Parmalat e Cirio
in Italia. Non a caso Adusbef prima della crisi greca ha
analizzato oltre 1000 report delle agenzie di rating
evidenziando come a posteriori i risultati siano stati
errati 9 volte su 10, ovvero un 91% di valutazione sbagliate
contro un 9% corrette.
Fonte
-
miaeconomia.leonardo.it
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La
Grecia e le banche europee respirano,
ma la resa dei conti è solo rinviata
May 3rd, 2010 by editor –
di Mario Seminerio
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Ora che è stato raggiunto l’ennesimo accordo (ma il primo
apparentemente operativo) tra Unione europea, Fondo
Monetario Internazionale e Grecia, è opportuno tentare di
analizzare le prospettive di Eurolandia e, soprattutto,
della crisi di debito sovrano che sta mettendo a rischio il
futuro dell’area valutaria unica, almeno così come si è
formata finora.
La prima osservazione è che il sostegno alla Grecia rischia
di essere solo il rinvio della resa dei conti. Le misure di
austerità a carico di Atene sono molto pesanti, soprattutto
per un paese da sempre caratterizzato da forti turbolenze
sociali ed elevata evasione fiscale. Si parla di un aumento
dell’Iva di tre punti percentuali, fino al 23 per cento ed
aumento del 10 per cento delle accise; blocco del turnover e
della contrattazione collettiva (inclusa la parte economica)
nel settore pubblico per tre anni, aumento dell’età
pensionabile fino a 67 anni, massicce privatizzazioni,
soppressione di enti pubblici inutili, apertura delle
professioni regolate da albi. Curioso come si tratti di
misure che noi italiani conosciamo bene, almeno per il
furioso quanto sterile dibattito ad esse associato da almeno
un quindicennio.
L’erogazione dei finanziamenti di sostegno dovrebbe avvenire
(se prevarrà l’impostazione del FMI, oltre che del buon
senso) in modo graduale e condizionato al raggiungimento del
piano di risanamento fiscale. Ma un paese come la Grecia,
caratterizzato da una bassa base di esportazioni sul Pil
(così come Spagna e Portogallo, del resto) rischia di essere
condannato a trascorrere molti anni nel tunnel della
depressione economica. Nel frattempo, dopo molte esitazioni
ed una cacofonia governativa e di maggioranza di sapore
italiano, il governo tedesco sembra aver capitolato
all’esigenza di evitare un collasso del sistema bancario
europeo. Restano, a dire il vero, alcune posizioni ed
affermazioni piuttosto sconcertanti, come l’invito alle
banche tedesche a prendersi carico del proprio
“comportamento speculativo” accettando perdite sugli
investimenti in Grecia. Se ciò accadesse, il sistema
bancario tedesco andrebbe immediatamente ricapitalizzato, e
in un numero non limitato di casi servirebbe proprio
l’intervento del contribuente. Questo “suggerimento” tedesco
apparirà di consolazione a quanti si lamentano circa
l’analfabetismo economico medio della classe politica
italiana.
La domanda che tutti si pongono è sempre la stessa:
l’intervento di Ue e FMI funzionerà? Premesso che, come
abbiamo più volte ricordato, questa vicenda presenta solo
esiti negativi, da qualunque via d’uscita la si guardi,
resta un problema di fondo: la Grecia è un paese
tecnicamente insolvente. Ha un imponente deficit primario,
che trasformare in avanzo risulterà impresa titanica, date
le premesse. Ma soprattutto, in questi giorni stiamo
ascoltando un enorme sospiro di sollievo europeo che proprio
non ha ragione di esistere. Il salvataggio ha ridotto il
rischio sistemico nel breve termine, al prezzo di
un’impennata dell’azzardo morale di medio e lungo termine.
Proviamo a riflettere su questo: le agenzie di rating la
scorsa settimana hanno declassato il merito di credito di
Spagna e Portogallo sulla base della scarsa credibilità dei
piani di risanamento fiscale. Quest’ultima, a sua volta,
dipende da due elementi: la qualità delle misure adottate e
le ipotesi di scenario macroeconomico. Nel caso del
Portogallo, ad esempio, tra le prime figura un rientro
fiscale basato su misure in prevalenza una tantum oltre che
posticipate ai prossimi anni. Riguardo le ipotesi di
crescita, le agenzie di rating stanno ridimensionando quelle
dei governi e, se dovessero avere ragione, ci troveremmo con
paesi che cadono in una trappola di debito. Che accadrà
quando Portogallo e Spagna saranno nuovamente declassate,
evento tutt’altro che remoto? I mercati venderanno a mani
basse il loro debito, e si tornerà alla spirale greca. E
allora che farà la Ue, un nuovo salvataggio? Qualcuno
realisticamente pensa che il FMI abbia dotazioni di risorse
illimitate e, soprattutto, concentrabili su Eurolandia?
La verità è che, con il puntello alla Grecia, stiamo
salvando il sistema bancario europeo. Sottocapitalizzato,
opaco, ricco di veicoli fuori bilancio, soprattutto in
Germania. Ecco perché le variabili chiave da osservare, ora
più che mai, sono la crescita ed il saldo primario di
finanza pubblica. I mercati stanno facendo lo stesso. Alla
luce di questi due “canarini nella miniera”, due parole sul
nostro paese. Che ha, come evidenziato ad nauseam, una ormai
strutturale tendenza a crescere poco. Quanto all’avanzo
primario, nel 2009 lo abbiamo perso. Siamo a rischio di
attacchi sui mercati? La risposta è al contempo affermativa
e negativa. Siamo a rischio perché abbiamo le stigmate del
paese a rischio. Non siamo a rischio (nel breve termine)
perché abbiamo una rilevante ricchezza privata, mobiliare ed
immobiliare. Da un lato, questa caratteristica eviterà di
intervenire a sostegno del sistema bancario, come invece
accaduto in altri paesi. Inoltre, in caso di emergenza
fiscale, il governo potrà applicare un prelievo
straordinario su attività finanziarie ed immobiliari, come
fatto da Giuliano Amato nel 1992. Naturalmente le
conseguenze politiche di una tale azione sarebbero
devastanti, ma ai mercati interessa la solvibilità di breve
termine. Ma c’è un’altra vulnerabilità, per il nostro paese.
La percezione di un crescente stress fiscale in Eurolandia
porterà gli investitori a chiedere di essere compensati per
il maggior rischio, cioè a richiedere tassi più elevati. Ciò
si somma al premio al rischio di credito, che ha ormai fatto
irruzione sulla scena dell’euro: non basta più essere membri
del club per emettere debito allo stesso costo della
Germania. Un aumento dei rendimenti richiesti dal mercato,
in un contesto di stagnazione, farebbe esplodere il nostro
deficit, mettendoci immediatamente sotto i riflettori come
paese ad alto rischio, stante il nostro stock di debito.
Questi sono scenari meno remoti di quanto si tenda a
pensare.
La situazione resta estremamente complessa e al momento non
si intravedono evoluzioni positive. La sensazione è che
l’intera Eurolandia stia solo procrastinando la resa dei
conti.
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Fonte -
www.Epistems.org
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CHAMPAGNE
PER TUTTI
lunedì 3 maggio 2010
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di Leon Zingales ______________________________________________
Come previsto la Grecia verrà
salvata con i nostri soldi. Naturalmente ha promesso che la
strada del risanamento pubblico verrà intrapresa, ma è un
segreto di Pulcinella il fatto che non verrà mantenuto alcun
impegno. Avanti fino alla successiva minaccia di default
sovrano…
Purtroppo non siamo noi il prossimo della lista: prima vi
sono quantomeno Portogallo, Spagna ed Irlanda. Rischiamo di
arrivare tardi, dobbiamo sbrigarci perché i soldi stanno per
terminare. Dobbiamo impegnarci, correre in uno sforzo
all’unisono. In altre parole la parola d’ordine è una sola:
dobbiamo farci salvare subito dopo la Grecia, dobbiamo
superare la fila (..tra l’altro quando mai in Italia si sono
rispettate le file).
Un paio di idee li ho: undici mesi di aspettativa
obbligatoria per tutti (naturalmente pagati con uno
stipendio doppio) ed un mese di ferie facoltative. Per chi
non ha lavoro, nessun problema..la soluzione è a portata di
mano. Basta far piovere pensioni di invalidità per tutti. Al
fine di rimuovere le fastidiose pastoie burocratiche basterà
autocertificare il proprio stato di invalidità onde ricevere
subito il giusto dallo Stato (..siamo uomini di mondo,
nessuno di noi si meraviglierebbe nel vedere ciechi che
guidano e sordi che rispondono al telefono). Per chi non ha
casa..anche qui presto detto: crociere a spese dello Stato,
alloggi in residence di lusso in giro per il mondo e notti
da sogno (allietate da bottiglie di Champagne delle migliori
annate) nelle suite più lussuose.
Naturalmente non pretendo che le mie proposte siano le
migliori per garantire un adeguato tenore di vita al nostro
valoroso popolo, ma credo che possano essere un buon inizio.
Ad occhio basteranno tre mesi (forse un po’ meno) per
sbragare definitivamente i conti dello Stato ed arrivare ad
uno stato terminale come la Grecia: arriveremo ad un debito
del 150% del PIL ed un deficit del 18%.
E qui inizia il divertimento: poiché non si è fatto fallire
la Grecia (per evitare immense perdite delle banche), non
potranno certo far fallire noi (con 600 Miliardi di nostro
debito pubblico che danzano allegri per il mondo). Insomma i
Crucchi lavoreranno per mantenerci. Certo..inizialmente
tituberanno, mugugneranno, protesteranno, minacceranno ma
poi finiranno con lo scucire.
Ovviamente anche noi, come la Grecia prometteremo un piano
di lacrime e sangue: l’aspettativa dovrà essere ridotta a 10
mesi e 29 giorni (poiché siamo furbi ridurremo il mese di
Febbraio e cosi’ li freghiamo), mentre, per rendere più
difficile la pensione di invalidità, la certificazione dovrà
essere controfirmata dal coniuge del richiedente. Ma, dopo
aver ricevuto il generoso emolumento, continueremo a
divertirci (come prima e più di prima) per qualche altro
mese: come si suol dire, passata la festa gabbatu lu Santu.
Mettetevi nei panni di un passeggero sul Titanic. Qualora
avesse saputo la fine che lo aspettava sicuramente non
avrebbe fatto il taccagno litigando per il prezzo del
caviale. Sia le cicale che le formiche annegheranno allorché
arriverà il diluvio dei default sovrani: quanto vale cantare
e suonare in attesa dell’inevitabile ed allora…Champagne per
tutti.
Fonte
- www.IlCignoNero.it
AMERICANI
IN BANCAROTTA:
+15% IN UN ANNO
04 Maggio 2010 14:56 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Molta gente non ce la fa e getta
la spugna. L'economia Usa continua a dare segnali di
recessione, anche se il Pil cresce, alcuni indicatori
migliorano, le aziende fanno profitti. Problema lavoro e
consumi.
L'economia americana continua a dare chiari segnali di
recessione, anche se il Pil e' in crescita, molti indicatori
migliorano, le aziende annunciano profitti in aumento.
Tuttavia le bancarotte personali, cioe' di singoli
individui, mostrano un trend tutt'altro che in
miglioramento. Secondo quanto riportato da Bloomberg, i casi
di bancarotta personale negli Stati Uniti hanno raggiunto
quasi le 146.000 unita' nel mese di aprile. Cio' significa
che la disoccupazione e il calo dei consumi pesano ancora
fortmente sulle famiglie.
Il dato e' in calo rispetto a marzo, quando era stata
toccata quota 158.000. Il punto e' che il totale del mese
appena concluso rappresenta un incremento del 15% rispetto a
12 mesi fa, cioe' all'aprile del 2009. Si tratta del secondo
peggior mese da quando la Bankruptcy Abuse Prevention e il
Consumer Protection Act del 2005 furono decretati.
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
L'ira
dei greci:
«Paghiamo per colpe altrui»
04 Maggio 2010 08:52 ATENE
-
dal nostro inviato Vittorio Da Rold ______________________________________________
ATENE
- La protesta sta montando nel paese mentre i greci si
preparano a scendere in piazza domani nello sciopero
generale contro le nuove misure di austerity annunciate dal
governo Papandreou e che oggi verranno presentate in
Parlamento.
«Non accetteremo il taglio del 30% dei salari», tuona nel
suo ufficio immacolato ad Atene Spiros Papaspirous,
presidente del sindacato dei dipendenti pubblici Adedy,
quelli più colpiti dai tagli, mentre il suo sindacato
annuncia 48 ore di sciopero a partire da oggi, invece delle
24 previste per domani, contro le «crudeli e brutali misure
senza precedenti» annunciate domenica dal governo in cambio
di 110 miliardi di aiuti Ue-Fmi. Ieri intanto hanno iniziato
le proteste contro il piano di austerità da 30 miliardi in 3
anni i dipendenti municipali mentre l'Adedy invita i greci a
«rispondere con forza» al «saccheggio dei redditi e dei
diritti dei lavoratori sia nel settore pubblico che
privato».
Ma come vive la gente comune ad Atene il piano lacrime e
sangue del governo? Ecco uno spaccato di storie quotidiane
sui costi sociali della maggiore crisi del dopoguerra che ha
colpito la Grecia, paese di appena 11 milioni di abitanti e
con un debito di 300 miliardi di euro.
Lo spazzino
Yannis, 44 anni, porta i Rayban come uno sceriffo americano,
ha due muscoli da sollevatore pesi. Fa lo spazzino comunale
ed è furibondo. Non partecipa allo sciopero indetto dai suoi
colleghi che protestano in piazza Syntagma. Svuota i sacchi
dell'immondizia in zona Plaka, quella più turistica, con
destrezza e velocità supersonica. Poi dice a bruciapelo:
«Perderò 2.500 euro quest'anno. Ho quattro figli da
mantenere, tre vanno a scuola e uno solo ha un lavoro, ma è
ancora in casa con noi. Lavoro sabato e domenica per sette
ore al giorno. Neanche i senegalesi vogliono fare questo
lavoro, preferiscono vendere merce in strada. Naturalmente,
io greco, ho un altro lavoro e così faccio un totale di
dieci ore al giorno» E adesso? «Adesso mi tagliano il
salario. Così resterò a casa, niente pizza, niente taverna».
«I politici hanno esagerato: c'è solo una cosa che non mi ha
tradito e a cui non rinuncio». Sorride. Poi alza il risvolto
della sua t-shirt bianca e sul bicipite compare un enorme
tatuaggio dell'Aek, una delle tre squadre di calcio di
Atene.
Il medico
Iraklis, 29 anni, ha un tono di voce calmo ma si percepisce
che è un uomo in rivolta. È arrabbiato, disgustato, precisa.
Dice che bisognerebbe prendere i responsabili di questo
saccheggio e condannarli. È medico, presso un ospedale
pubblico di Atene e guadagna circa mille euro al mese mentre
gli specialisti arrivano a 2mila. Qui non c'è nessun
controllo, nessuno è stato finora chiamato a rispondere per
i furti perpetrati a danno dell'Erario. «Naturalmente non è
solo colpa dei politici – ammette - anche la gente deve
cambiare la mentalità e lavorare di più». «Io intanto ho
trovato un lavoro ben pagato a New York dove ho dei parenti
e grazie alla riforma sanitaria di Barack Obama che ha
fornito un'assistenza sanitaria a 45 milioni di persone
prima sprovviste ora in America cercano medici negli
ospedali. Così lascio Atene senza rimpianti. Tornerò fra
cinque anni a vedere se il paese è cambiato».
L'insegnante part-time
Kourakis, Nikos, 38 anni, dorme da cinque notti in una tenda
da campeggio collocata davanti al Parlamento greco. Ha un
enorme striscione alle sue spalle dove spiega i motivi della
sua insolita protesta. È uno dei tanti insegnati part-time a
400 euro al mese, ora riuniti in un collettivo, che verranno
lasciati a casa alla scadenza del suo contratto a termine.
«Insegno educazione artistica, i ragazzi sono contenti e a
me piace il lavoro che faccio. Ho votato il premier George
Papandreou, un socialista, e ora perdo il posto di lavoro
perché mi dicono che così vuole l'Europa e l'Fmi. Ma qui in
Grecia la disoccupazione è all'11%, dove troverò un'altra
occupazione? A Bruxelles, forse, presso la Comunità europea?
Questa è una guerra tra ricchi e poveri e i poveri stanno
pagando il conto».
La pensionata
Maria Chardalia, pensionata, porta gli occhiali scuri
«perché la luce troppo forte occulta la verità». Dice che
spesso aiuta i suoi nipoti, tutti senza lavoro stabile, con
piccole somme e ora teme di non poterlo più fare. «Le
pensioni verranno ridotte, dice il Governo, ma noi di cosa
vivremo?». «Prendessero i soldi ai ladri e non a noi, l'ex
premier Karamanlis ha preso in mano il paese con 180
miliardi di debiti nel 2004 e l'ha consegnato nel 2009 con
un debito a 300 miliardi di euro. Ne mancano 120
all'appello. Dove sono andati a finire i soldi?». Poi come
una novella Cassandra dice: «Ho paura per tutti questi
giovani senza speranza, ci saranno scontri e sangue nelle
strade di Atene».
L'immigrato
Paulo, fa il muratore e ha mani grandi come badili. Vedi
tutti questi cartelli con scritto Enoikiazetai? Bene, in
greco significa "affitasi" ma sono tutti vuoti. E il palazzo
che vedi qui di fianco non è ultimato da mesi. Nessuno si
presenta per fare offerte, il mercato immobiliare è
completamente fermo. Anzi molte società si stanno
trasferendo dal centro città in uffici più piccoli in
periferia». E allora che pensi di fare? «Me ne torno a casa
in Albania, perché ora qui non c'è più lavoro». E allora
perché sei ancora qui? «Perché mia figlia ha studiato qui
con profitto e non vuole tornare in Albania. Ha imparato il
greco e l'inglese, e ora si sente greco-albanese. Ha amiche
e va bene a scuola. Che faccio? La lascio qui da sola o la
costringo a tornare e non me lo perdonerà mai più?».
Fonte
- Sole
24 ore
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Il grande rebus
irrisolto:
ma l'euro è ancora sopravvalutato?
06 Maggio 2010 11:36 NEW YORK –
di IL SOLE 24 ORE
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Se ad un marziano fosse fatto vedere il grafico dell'euro
contro il dollaro, a partire dal 2000 fino ad oggi, la sua
conclusione sarebbe una sola: la divisa unica europea non è
certo debole, né sottovalutata. Nel 2002 valeva attorno a
0,8 dollari e, superata definitivamente la parità solo nel
2003, a fine 2006 viaggiava attorno a quota 1,2 dollari.
Certo, alla chiusura del 22 luglio 2008 aveva raggiunto
quota 1,558, e ieri ha toccato nell'intraday il livello
1,2817.
Ma al marziano quest'ultimo valore sembrerebbe una
quotazione, seppur non stratosferica, almeno "robusta". Al
contrario giornali, e anche molti operatori, parlano sempre
e solo di euro debole, fiacco, in crollo verticale.
Dall'altra parte dell'Oceano, invece, siti finanziari
importanti come Marketwatch si domandano: «Misteri della
crisi sul debito, chi sostiene l'Euro?».
L'euro è ancora sopravvalutato?
Certo, forse non c'è proprio totale obbiettività nel
giornalismo americano su questi argomenti. E certo, il
marziano non conosce tutta la "narrazione economico-sociale"
che, soprattutto negli ultimi tre anni, ha caratterizzato
sia l'Europa sia gli Stati Uniti. Tuttavia la domanda,
diciamo pure la provocazione, ci può stare: l'euro, anche a
fronte dell'incendio greco non domato e al rischio contagio
sul fronte del debito nei paesi del Sud Europa, non è
sopravvalutato?
Le risposte degli esperti
«In un certo qual senso sì -risponde Roberto Mialich,
esperto valutario di UniCredit -. L'euro potrebbe scendere
ancora, pur rimanendo in un contesto di forza. A ben vedere
nei mercati valutari, a differenza di quelli azionari, non
esiste un fair value per la moneta. Tuttavia, si può tentare
di capire a quale livello di cross beni uguali hanno un
prezzo uguale. Si tratta di utilizzare modelli che sfruttano
variabili quali, per esempio, il deflatore del Pil (cioè il
rapporto tra Pil nominale e quello reale, ndr), il costo del
lavoro per unità di prodotto e l'inflazione core».
E cosa salta fuori? «Che un valore equo dell'euro, nei
confronti, del dollaro dovrebbe essere situato
nell'intervalo tra 1,12 e 1,17 dollari». Quindi, al di sotto
dell'attuale quotazione.
Non è della stessa opinione Ronny Hamaui, docente di mercati
monetari internazionali all'università Cattolica di Milano.
«L'idea di una sopravvalutazione non mi convince», dice.
Per quale motivo? «Se così fosse dovremmo avere una diversa
situazione delle partite correnti tra le due sponde
dell'oceano Atlantico. L'Europa può vantare un surplus, che
indica la forza dell'export; al contrario, gli Stati Uniti
vantano un deficit. Si tratta di una combinazione che, a
fronte di un euro realmente forte, non avrebbe possibilità
di esistere».«Non vedo una divisa unica europea
particolarmente sopravvalutata - afferma da canto suo Luca
Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria -. In
particolare poi, nell'analizzare i dati, non si può
prescindere dal contesto in cui si concretizzano. Negli
ultimi anni c'è stata una forte diversificazione, per
esempio da parte dei fondi sovrani, sul fronte valutario: è
stato abbandonato il dollaro come unica moneta in favore di
altre divise», tra cui l'euro. In tal senso, la discesa
della moneta di Eurolandia è un indizio di debolezza. «A ben
vedere - articola il suo pensiero Paolazzi - si fronteggiano
due debolezze "strutturali", degli Stati Uniti e dell'
Europa».
La mancanza di fiducia
Al di là della discussione sul "giusto valore" del cambio,
gli esperti trovano una certa concordia nell'analisi su
quello che può essere oggi il problema dell'euro: la
mancanza di fiducia. Una carenza che può declinarsi in
diversi modi.
«Oggi -dice Hamaui - non contano tanto i fondamentali: la
moneta è considerata alla stregua di un normale asset
finanziario il cui valore relativo è fortemente influenzato
dalla ricerca di un porto sicuro. Dall'inizio della crisi,
ogni qualvolta c'è stata una tensione legata all'economia
americana l'euro è cresciuto; viceversa quando, come negli
ultimi giorni, si diffonde il timore sul debito dei paesi
europei i flussi di capitali lasciano Eurolandia. Si va,
insomma, alla ricerca di un asset in grado di conservare il
proprio valore».
Parla di fiducia anche Mialich: «In questo momenti i mercati
non si fidano della possibilità che la situazione possa
stabilizzarsi: i rendimenti dei tassi», per esempio dei bond
greci, «sono tornati allo stesso livello ante-crisi, prima
che il pacchetto di misure a favore di Atene fosse adottato.
È un po' come se fosse successo niente».
Ma c'è anche la "fiducia" intesa come consapevolezza che :
«Non ci sono alternative -sottolinea Paolazzi -. Si parla di
euro a due velocità, addirittura di un euro limitato a pochi
paesi. Ma questo vorrebbe dire costi enormi; vorrebbe dire
che salta anche il mercato unico. Una strada che non mi
sembra percorribile».
Una divisa sostenuta artificialmente?
La via, invece, che i flussi monetari sembrano, almeno negli
ultimi giorni, imboccare è quella verso il safe-haven
tedesco. Ieri, il Bund future quotato al circuito Eurex di
Francorte è passato di mano, in chiusura, a 126,43
centesimi, guadagnando lo 0,73% rispetto alla giornata di
mercoledì che già aveva registrato un rialzo notevole.
«Questo trend - dice Adam Boyton, esperto valutario di
Deutsche Bank - è una delle motivazioni per cui l'euro non
ha preso con fermezza la rincorsa verso il basso»,
nonostante i dati della Commodity Future Trading Commission
mostrino che le posizioni short su Eurolandia siano a
livelli record. «È un po' come ci fosse una mano invisibile
-fa da eco Mike Malpede, capo analista di Easy Forex a
Chicago - che tiene su il tutto. Non ho prove, ma forse chi
guarda alle banche centrali europei può trovare i
"colpevoli"».
«Io non ho sentore di una simile strategia degli istituti
centrali europei -ribatte Mialich -. Piuttosto, si può
parlare di interventi su basi locali». In che senso?
«Certamente la banca centrale svizzera ha messo in campo
delle operazioni per sostenere l'euro verso il franco. Gli
svizzeri, che hanno gran parte del loro export focalizzato
sull'unione europea, non possono permettersi una moneta
unica troppo debole. Così intervengono». Un'operazione che
può avere un effetto più ampio oltre il franco svizzero?
«Non credo. Le masse monetarie che si muovono sul mercato
valutario sono enormi. Una sola strategia non ha questa
forza».
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Fonte - IL SOLE
24 ORE
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USCIRE DALL'EURO
SAREBBE LA "MADRE DI TUTTE LE CRISI FINANZIARIE"
06 Maggio 2010 00:04 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Grecia al centro di tutte le
tensioni. I costi sarebbero altissimi. Per tutta l'Europa.
Qualsiasi paese che uscisse dal sistema UE non rimarra' una
democrazia: solo un governo autoritario potrebbe varare
leggi speciali.
Il costo per fare un passo indietro nella Ue, anzi, per
porsi al di fuori della moneta unica europea, sarebbe
eccessivo in questo momento per qualunque paese membro. Pur
se ognuno pensa alla Grecia - dopo i violenti disordini di
ieri con 200.000 dimostranti in strada, gli assalti al
Parlamento, i morti - per ogni nazione UE anche solo
prepararsi ad un'uscita potrebbe innescare "la madre di
tutte le crisi finanziarie".
A sostenerlo e' un esperto americano, che ci spiega punto
per punto cosa comporterebbe lo sfaldamento dell'Eurozona.
Ovviamente i lettori di WSI sanno che i report "made in Usa"
che pubblichiamo hanno un handicap, non sono "neutri"
rispetto allo scenario piu' negativo. Del resto sono questi
i rapporti che circolano; e sono i piu' letti in questo
momento, dai ministeri degli esteri alle sale trading di
hedge funds e banche di tutto il mondo.
Tra gli enormi costi - ne elenchiamo diversi - ci sono
quelli politici. Immensi. Nel senso che il paese che esce
dall'euro probabilmente non rimarra' una democrazia: solo un
governo autoritario potrebbe varare leggi speciali, sai per
controllare l'ordine pubblico minacciato, sia per imporre a
banche, istituzioni e amministrazione del Tesoro di
rinominare tutta una serie di prodotti finanziari, a
cominciare dai bond governativi, e imporre regole ferree su
esportazioni di capitali. Solo che il paese in questione,
trovandosi gia' in crisi, da quel momento non sarebbe in
grado di raccogliere piu' neanche uno spillo in termini di
capitali dal mercato. E questa, appunto, "sarebbe la madre
di tutte le crisi". E si riverberebbe anche nei confronti di
tutti gli altri stati membri dell'Europa.
Se per esempio la Grecia tornasse alla dracma, certo non
sarebbe il governo Papandreu a poter varare il ribaltone.
Per questo i disordini di ieri ad Atene, le fiamme, gli
attacchi alle banche, ricordano molto la situazione del
default dell'Argentina nel 2002. Colonelli di nuovo sul
Partenone?
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
Vertice europeo a Bruxelles
La Bce smentisce voci su un maxi sportello prestiti
07 Maggio 2010 19:54 BRUXELLES
-
di Sole 24 ore ______________________________________________
Dimostrare alla comunità
finanziaria internazionale che la politica non ha perso il
controllo dei mercati finanziari. Questo l'obiettivo
cruciale, e per nulla scontato, del vertice dell'Eurogruppo
che si è tenuto venerdì sera a Bruxelles ed è proseguito in
nottata. Prima del summit dei 16 paesi dell'area euro i
ministri delle finanze e i banchieri centrali del G-7 si
sono riuniti in teleconferenza per discutere l'uscita dalla
crisi e per inviare segnali di tranquillità ai mercati
spagnolo e portoghese finanziariamente instabili.
Esclusi a priori dal ministro delle finanze del Giappone
interventi a sostegno dell'euro (oggi in recupero sopra 1,27
contro il dollaro ma soprattutto a minimi storici contro lo
yen) mentre sono attese espressioni di solidarietà verso il
piano Ue-Fmi da 110 miliardi per impedire la bancarotta
della Grecia. Tra i temi al centro della riunione dei 16,
invece, la lettera che la cancelleria tedesca Merkel e il
presidente francese Sarkozy hanno inviato ai vertici
dell'Unione europea sollecitando regole più rigide per
assicurare la stabilità della moneta unica, alla luce
dell'esperienza della crisi greca.
L'allarme di Trichet, la fiducia di
Blankfein
Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude
Trichet, intervenendo al vertice, ha messo in guardia i
leader politici: «Attenzione, siamo di fronte ad una crisi
sistemica». Da notare che in serata l'appena riconfermato
ceo e presidente di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, da New
York, si è detto fiducioso che i leader europei possano
trovare una soluzione alla crisi originata dal debito greco
e li ha invitati a rassicurare gli investitori: «I mercati -
ha dichiarato Blankfein - devono essere tranquillizzati».
Sistemi di pronto intervento, agenzie
di rating nel mirino
Un meccanismo di pronto intervento per salvare altri Paesi
che dovessero finire nel mirino della speculazione, un giro
di vite sulla vigilanza sui conti pubblici, nuove manovre
correttive nei Peasi più esposti: questi alcuni dei
principali strumenti attraverso i quali il vertice
dell'Eurogruppo intende rispondere alla sfida lanciata dai
mercati, sottolineando la volontà di difendere la stabilità
e l'unità dell'Eurozona.
L'avvio del vertice, slittato di un'ora e mezzo rispetto
all'orario previsto, è stato preceduto da ben quattro ore di
consultazioni bilaterali, nel corso delle quali tutti hanno
parlato con tutti. Incontri che hanno indicato chiaramente
quanto la situazione sia complessa e potenzialmente
esplosiva. La riunione straordinaria, del resto, è stata
convocata all'insegna di mercati sempre più volatili e della
necessità di evitare che la crisi scatenata dalla condizione
fortemente debitoria della Grecia contagi altri partner, in
primo luogo Spagna e Portogallo. E a questo scopo
l'Eurogruppo sta valutando la possibilità di mettere in
campo, già nei prossimi giorni, uno strumento di
'intervento-rapido' per combattere la speculazione che nelle
ultime sedute ha affonfato le Borse.
Merkel: «Non c'è più tempo da perdere»
«Non c'è più tempo da perdere», ha detto tra l'altro la
cancelliera Angela Merkel dopo aver parlato con il
presidente Usa Barack Obama e aver concordato sull'esigenza
di lanciare un «segnale forte» per salvare la Grecia e
l'euro. Merkel, dopo il via libera del parlamento tedesco
agli aiuti ad Atene, è determinata a portare a casa impegni
concreti da parte dei suoi partner per il rafforzamento del
Patto di stabilità e la vigilanza sui conti pubblici. Con
l'introduzioni di sanzioni importanti - come la sospensione
del diritto di voto in sede europea - da applicare a chi non
dovesse rispettare le regole del gioco. La Germania vuole
anche un'accelerazione del varo di nuovi strumenti per la
regolamentazione dei mercati finanziari.
La disciplina di bilancio, le agenzie
di rating
Nel testo di conclusioni su cui si sono confrontati i leader
anche un forte richiamo al rafforzamento della disciplina di
bilancio, e una chiara indicazione sul fatto che, se sarà
necessario, i Paesi interessati dovranno compiere ulteriori
sforzi per il risanamento dei loro conti pubblici. Dal
vertice sono attese indicazioni sulla necessità di istituire
un organismo europeo per vigilare sulle agenzie di rating,
oppure puntare direttamente alla nascita di un'agenzia
europea per la valutazione dei debiti pubblici.
Intanto dopo sette trimestri negativi l'economia della
Spagna - altro paese del Sud Europa messo sotto pressione
dalle agenzie di rating insieme a Grecia e Portogallo (e per
quanto riguarda Moody's anche l'Italia, salvo correggere a
frittata fatta, ndr) - è uscita ufficialmente dalla
recessione. Nei primi tre mesi dell'anno, ha reso noto la
Banca centrale iberica, il pil è cresciuto dello 0,1%. dato
superiore alle stime della Commissione Ue.
Berlusconi invoca «misure chiare,
concrete ed efficaci»
«Non è il momento di messaggi di buone intenzioni, ma di
misure chiare, concrete ed efficaci per difendere l'euro,
rafforzare l'Europa e l'unione monetaria». È questa la
valutazione del premier Silvio Berlusconi arrivato nel
pomeriggio a Bruxelles, sulla quale, indicano fonti di
Palazzo Chigi, si è registrata piena condivisione nel corso
degli incontri bilaterali con il portoghese Socrates, il
francese Sarkozy, il premier spagnolo Zapatero e il
presidente Ue, Van Rompuy. Il ministro dell'Economia, Giulio
Tremonti, intervenendo all'incontro promosso da
Confindustria Veneto a Roncade, ha invece sostenuto che «se
c'è una crisi della zona economica europea, c'è una crisi
dell'Europa ed è una crisi globale che non si fermerà al
nostro continente. Se c'è la forza di una visione comune,
per capire che la speculazione è solo una parte del
problema, credo che ci siano ragioni per essere fortemente
ottimisti».
Letta: «Si decide sul futuro
dell'Europa»
Quello che si terrà a Bruxelles questa sera sarà un vertice
europeo «drammatico», convocato «per decidere se discutere
sul futuro dell'euro e sul destino dell'Europa». Lo ha detto
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni
Letta, alla cerimonia di consegna del premio 'Guido Carli'.
«Sono in corso consultazioni tra l'Europa e gli Stati Uniti
- ha detto in serata Letta annunciando come probabile uno
slittamento del vertice di un'ora - per discutere di una
situazione che si è fatta molto difficile».
Papandreou: «Riaffermare fiducia nella
moneta unica»
I vertici dei sedici paesi dell'Eurozona «riaffermeranno»
questa sera «la loro fiducia nelle nostre economie e nella
nostra moneta unica» durante il summit di Bruxelles, ha
dichiarato il primo ministro greco, Georges Papandreou. «C'è
una volatilità senza precedenti nel mondo e nell'economia
mondiale - ha detto Papandreou -. È per questo che la
riunione di oggi qui a Bruxelles è così importante».
Il no comment della Bce sul maxi
sportello prestiti
Secco no comment dalla Bce, intanto, sulle voci riportate da
agenzie di stampa internazionali di un'imminente decisione
da parte della Bce di mettere a disposizione uno sportello
prestiti con fondi per 600 miliardi di euro al tasso dell'1%
con durata un anno a favore di 1.100 banche europee. Le
voci, riportate dalle agenzie di stampa Bloomberg e Dow
Jones, hanno contributo all'inversione di tendenza sui
mercati finanziari e valutari. La decisione, secondo le
stesse voci, dovrebbe essere annunciata nel fine settimana.
Le voci si sono intensificate nel tardo pomeriggio dopo che
in mattinata la Bce ha tenuto una teleconferenza con i
principali gruppi bancari dell'Eurozona, secondo quanto
dichiarato da fonti del settore, nel quadro dei contatti con
il Money Market Contact Group che tiene contatti regolati e
comprende i primi 50 gruppi bancari del Vecchio Continente.
(a cura di Alberto Annicchiarico)
Fonte
- Sole
24 ore
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Terribile escalation:
la crisi passerà da Grecia a Europa e al resto del mondo
07 Maggio 2010 04:07 NEW YORK –
di *Luca Ciarrocca
*Luca
Ciarrocca e' il direttore e fondatore di Wall Street Italia.
________________________________________
"La crisi e' molto grave, da locale, il caso di un singolo
paese come la Grecia e' sul punto di trasformarsi in
regionale, cioe' si espande alla regione Europa, per poi
diventare globale". Cosi' dice Mohamed El-Erian,
amministratore delegato di Pimco, il piu' grande fondo
obbligazionario del mondo con oltre $1 trilione ($1,071
miliardi) in assets e uffici a Newport Beach, California.
Quando uno come El-Erian parla, il mercato ascolta. Sara'
pure una coincidenza ma le sue esplosive parole sono andate
in onda su Cnbc Usa verso l'1:15pm ora di New York. Novanta
minuti dopo alle 2:45pm a Wall Street si sono aperte le
cataratte degli high-frequency trading, il panico dei sell
gestiti dai computer. Pochi minuti dopo il Dow Jones era in
calo -9,2%, un record negativo di quasi 1000 punti.
La domanda da 1 trilione di dollari (non e' solo il
patrimonio di Pimco ma anche - strano - la perdita in
capitalizzazione dell'azionario Usa in quella frenetica
mezz'ora ieri) suona molto diretta: e' stato uno dei 2
gestori di Pimco (l'altro e' Bill Gross, noto ai lettori di
WSI) a scatenare volutamente il mini crash di giovedi' poi
rientrato?
Seduto su quella montagna di denaro, El-Erian parla
misurando perfino le vocali delle parole che usa. E guarda
caso gli investitori istituzionali presi dal panico ieri
sono fuggiti in massa dall'azionario verso il mercato
obbligazionario, proprio il terreno di caccia di Pimco. Nel
caos del crollo improvviso di Wall Street da tutto il mondo
banche e hedge funds si sono buttati a comprare un solo
asset: titoli di Stato Usa, considerati porto sicuro in casi
di tempesta finanziaria. Il prezzo dei T-Bond e' salito di 5
punti, in parallelo si e' verificato il maggior calo del
rendimento dei Treasury dallo scorso luglio ad un minimo
intraday del 3.29%. Quanti miliardi ha guadagnato Pimco con
la passata in TV di El-Erian?
Probabilmente non lo sapremo mai. Ma vediamo cos'altro ha
detto a Cnbc il Ceo del fondo n.1 del mondo oltre a
divulgare alle masse la sua tesi principale e cioe' che
l'attuale crisi finanziaria sta trasmettendosi dal singolo
paese per poi diventare regionale e poi globale. El-Erian ha
espresso opinioni su molte altre questioni su cui dovremmo
riflettere soprattutto in quella chiave di guerra
guerreggiata America vs Europa per il dominio commerciale e
finanziario mondiale, di cui tanto parliamo in questi giorni
qui su WSI.
Ecco le sue parole: "I capitali dall'Europa fluiranno nei
prossimi mesi negli Stati Uniti, dove il dollaro si rafforza
a fronte di un indebolimento dell'euro in Europa. Cio'
provochera' ulteriore deflazione nel sistema finanziario
europeo e quindi un vero shock. Accadra' proprio nel momento
peggiore in quanto la domanda e la crescita economica dei
paesi UE stanno calando. In questo scenario e' chiaro che il
capitale in uscita da una regione va verso l'altra regione".
Il Ceo di Pimco insiste nel dire che la crisi e' grave ma
non come quella del 2008 che scoppio' in America con il
credit crunch dovuto ai mutui subprime. La Grecia e' un
problema serio ma non quanto lo fu il fallimento di Lehman
Brothers a cui si imputo' il collasso sul mercato
finanziario americano e poi globale.
Ma ora attenzione, vi chiederete come possano essere
pronunciate di fronte ad un'audience televisiva (seppure di
un network specializzato) parole come le seguenti: "Non e'
come nel 2008 - spiega El-Erian - quando un giorno io stesso
dissi a mia moglie di prendere il tesserino dell'ATM
(Automatic Teller Machine, il Bancomat Usa) per ritirare
tutto il cash avendo paura di non trovarlo piu' in banca.
No, in questi giorni non e' la stessa cosa", dice il
gestore. "Una similitudine pero' e' che le banche sono di
nuovo diffidenti, cominciano a non prestarsi piu' denaro
l'un l'altra e se si rifiuta una lo fa una seconda poi la
terza e in pochissimo tempo l'effetto a cascata e'
immediato".
"La Grecia non sara' la Lehman Brothers dell'Europa -
continua - ma e' comunque uno shock per tutto il sistema
finanziario; uno shock destinato a impattare le valutazioni
di vari assets. In questo momento l'economia mondiale e'
come un'auto che ha bucato una gomma e va ancora in giro con
la ruotina di scorta. Bhe', se quest'auto prende una buca e'
facile capire cosa succede: sbanda. Basta una buca,
nell'attuale situazione".
Sulla crisi finanziaria greca l'ad di Pimco sostiene che
"non si tratta di una questione di liquidita' (il Fmi e l'Ue
hanno messo sul piatto molto cash, circa 110 miliardi di
euro) ma soprattutto di solvibilita'". In sostanza "o
l'Unione Europea si decide a fare un passo radicale e cioe'
a prestare soldi ad Atene ad un tasso allo 0% oppure la
Grecia deve ristrutturare il debito. Non ci sono
alternative".
Ma cosa accadra' all'Europa dopo questa grave crisi?
El-Erian non ha problemi ad esprimere chiaramente il suo
pensiero, che si suppone coincida con una precisa strategia
di gestione del colossale portafoglio dei fondi Pimco. "C'e'
un'alta probabilita' che tra qualche tempo la UE sara'
diversa da come la conosciamo oggi. L'euro sopravvivera' ma
avremo una frammentazione dell'Eurozona. L'Europa alla fine
sara' piu' piccola e comprendera' soltanto i paesi
fiscalmente virtuosi ruotanti intorno alla Germania. I paesi
piu' deboli si prenderanno un periodo sabbatico".
E gli Stati Uniti? "L'America non e' a rischio come la
Grecia - risponde El-Erian - ma il debito e il deficit ormai
contano, contano molto, per tutti. Anche per gli Stati Uniti
non c'e' piu' tempo: bisogna agire subito prima che il
problema esploda anche da noi".
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Sabato 08 Maggio 2010 |
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Domenica 09
Maggio
2010 |
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Lunedì 10 Maggio 2010 |
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Perfino
Trichet ammette: "la
crisi è sistemica". Nuovo piano di intervento UE
08 Maggio 2010 02:18 BRUXELLES –
di Luca Ciarrocca
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La crisi dei mercati scatenata dal caso euro e' "sistemica":
e' l'allarme, molto tardivo e a questo punto di nessuna
credibilita', lanciato dal presidente della Banca centrale
europea Jean-Claude Trichet ai leader dell'eurozona durante
il vertice straordinario tenutosi a Bruxelles, durato 6 ore
e conclusosi a tarda notte.
L'ultima trovata, dope lunghissime trattative, puzza lontano
un miglio di misura disperata, i membri dell'Europa puntano
adesso a creare un "fondo di emergenza" detto anche
"meccanismo di stabilizzazione europea" per fermare
l'effetto contagio che si sta diffondendo come un virus
dalla Grecia ai paesi deboli ad alto debito, compreso il
nostro. Questo piano pare fin d'ora un'idea risibile, anche
non se ne conoscono i dettagli, poiche' questi geni dei
nostri burocrati si vedranno ancora durante il weekend,
giusto in tempo per approvare il draft prima dell'apertura
dei mercati finanziari e obbligazionari lunedi' 10 maggio.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy e' l'unico passato
stanotte alle cronache delle grandi agenzie internazionali
(ma Berlusconi non era imprenditore, e non dovrebbe capire
qualcosa di economia piu' degli altri?); Sarkozy ha
affermato che il blocco europeo difendera' l'euro
"attaccando direttamente gli speculatori. Senza pieta'".
"Molto presto sapranno una volta per tutte che cosa abbiamo
in programma per loro", ha minacciato il presidente
francese. Noi che siamo scettici, sappiamo gia' come
reagiranno i mercati: saranno feroci, giustamente,
bocceranno tutto il bocciabile, la speculazione si accanira'
senza tregua, e con cinismo doppio e triplo contro i paesi
PIIGS, punendo con violenza i peggiori, come si compete per
gli incompetenti e bugiardi (Atene ha raccontato menzogne
per anni truccando i bilanci, come possiamo essere sicuri
che anche Roma non faccia lo stesso? E infatti, nessuno lo
sa).
Da notare che Sarkozy non ha voluto fornire dettagli su
questo fantomatico "piano di emergenza" per non "minacciarne
l'efficia" (tradotto in parole povere: non ha voluto
scoprire le carte nei confronti della speculazione,
altrimenti quest'ultima avrebbe "visto" il bluff in anticipo
e ben prima dell'apertura dei mercati).
Comunque tutti e 27 i ministri finanziari dell' Unione
Europea (per l'Italia Giulio Tremonti) si vedranno per
un'altra riunione di emergenza domenica pomeriggio per
mettere a punto il draft del piano. Nelle sale trading delle
banche d'affari aspettano con ansia, come in un video gioco
in cui si sa chi vince perche' si conoscono gia' tutte le
scappatoie e trappole.
Le misure europee, nelle intenzioni, dovrebbero servire per
prevenire lo scenario in cui la crisi dei debiti sovrani
europei scuota alle fondamenta la fiducia dei cittadini in
questo povero euro, che ha compiuto 11 anni ma non e'
maturato neanche un po', per colpa di genitori
irresponsabili.
Poi le solite parole di facciata, altre munizioni per le
armi di distruzione di massa degli speculatori. "Difenderemo
l'euro a qualsiasi costo" ha detto il presidente della
Commissione Europea Jose' Barroso dopo il meeting di ieri
(nota: l'euro solo questa settimana ha perso -4.3% e -15% da
novembre; i titoli di stato e i CDS europei (credit default
swaps) sono saliti venerdi' ai massimi storici (robe da vera
recessione, perdita di fiducia, profonda avversione al
rischio percepito).
"Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" non e' certo una cosa
intelligente da dire, da parte del signor euro-burocrate:
non esiste sui mercati finanziari una strategia portata
avanti "a qualsiasi costo", in quanto appunto costerebbe
troppo perseguirla: ci di dissanguerebbe per motivi
"ideologici" mentre la realta' magari nega brutalmente
l'assunto. "You take your loss", dicono saggiamente gli
americani in casi come l'euro che non funziona piu'. Cioe':
prendetevi questa perdita, mettetela in bilancio, ok non e'
una bella cosa, ma forse e' meglio far uscire questi
cialtroni dei Greci dall'Europa, ridiamogli pure la dracma,
efgaristo'.
E' l'unica vera doccia fredda o mossa radicale che il
mercato amerebbe vedere, poiche' varrebbe da esempio e
stimolo a non fare altrettanto per gli altri irresponsabili
PIIGS come noi italiani, gli spagnoli e i portoghesi. Se
vogliamo stare al gioco della correttezza fiscale, signor
Tremonti, bisogna rispettare le regole senza blaterare ma
facendo quadrare i conti. Con le nostre furbizie di sempre,
simbolizzate al governo da Silvio Berlusconi in persona,
ormai non si va piu' da nessuna parte. La borsa punisce, la
creativita' e fantasia italiane non pagano. Bisogna che i
nostri politici capiscano che gli americani sono l'esempio
da seguire, Washington e New York si' che fanno sul serio (a
Wall Street una perdita di -9.2% del Dow Jones giovedi' ha
cancellato in mezz'ora $1 trilione di dollari, prima dei
recuperare). Anche se sono numeri kolossal l'Europa e
l'Italia devono capire che dobbiamo cominciare a fare sul
serio per non incappare nelle stesse punizioni.
Tornando alla riunione di Bruxelles, in precedenza il
presidente della Commissione Ue Durao Barroso e il
presidente francese Sarkozy avevano espresso insoddisfazione
per il testo di dichiarazione che dovrebbe uscire domenica
dal vertice. A loro giudizio, il messaggio "e' ancora troppo
debole" e "non contiene segnali abbastanza forti per
un'azione rapida, cosi' come richiesto dalla situazione".
Cio' lascia presupporre che finalmente potrebbero cominciare
a volare gli stracci, in quella patetica parvenza di governo
europeo che e' la UE, proprio grazie ai pesanti cali di
borsa e dei titoli di stato. Nessuno per mesi ha deciso
nulla, ne' a Francoforte ne' a Bruxells. Per fronteggiare la
devastante crisi finanziaria scoppiata in America
nell'ottobre 2008, Washington ha dibattuto per vari giorni
al Congresso, anche con duri litigi tra democratici e
repubblicani, ha soppesato e valutato le misure urgenti da
prendere, ma poi in poco tempo un immane piano di intervento
da oltre $750 miliardi di dollari e' stato approvato, allo
scopo di salvare l'America dalla terribile accoppiata
crash/recessione.
In Europa, all'inizio nessuno aveva capito cosa accadeva,
oppure se lo aveva capito per mesi non ha voluto ammettere
in pubblico la gravita' della situazione (debiti pubblici
fuori controllo, conti truccati, arretramento dell'economia,
disoccupazione record, debito e asset tossici delle banche).
Adesso la consapevolezza c'e', ben chiara, e tutti hanno
sbattuto contro questo muro. Eppure all'UE e alla BCE ancora
chiacchierano, ipotizzano, valutano, si riuniscono, pensano
di approvare... Ma ci facciano il piacere! A casa tutti, da
Trichet in giu'.
Solo per fare un raffronto concreto, valutate la
sinteticita' e consapevolezza di un vero
investitore/speculatore che sa il fatto suo di fronte ai
drammatici eventi di questi giorni: "O l'Unione Europea si
decide a prestare soldi ad Atene ad un tasso dello 0% oppure
la Grecia dovra' ristrutturare il debito". "L'euro
resistera', ma si va verso un'eurozona piu' piccola, con i
paesi deboli fuori". Parole di Mohamed El-Erian, un signore
che gestisce il fondo obbligazionario Pimco, il piu' grande
del mondo con un patrimonio di $1 trilione di dollari.
Parole di verita', quelle di El-Erian. Esatto: la Federal
Reserve americana - nell'iconografia popolare dei trader di
Wall Street soprannominata "elicottero Bernanke" (il
chairman della Fed che da un elicottero sorvola il
territorio americano in crisi gettando dall'alto dollari,
liquidita', denaro) - la Fed, dicevamo, nel momento di
massima crisi del 2008 e' intervenuta in modo massiccio, con
una forza d'urto immensa, per risollevare il mercato
finanziario moribondo. Ancora oggi la Fed dopo 18 mesi
presta denaro alle banche Usa ad un tasso tra lo 0% e lo
0.25%. Una valanga obbligata di cash per evitare
l'apocalisse. E' chissa' per quanto durera' cosi'.
Da Trichet & soci, espressione di un'Europa che non ha
volonta' politica, non ha omogenita' di culture e lingue,
non ha esercito ma ha solo una moneta che potrebbe anche
essere a questo punto quella di Monopoli e non farebbe gran
differenza; da Trichet & C., invece, solo piccoli aborti,
mezze frasi, piani stitici, dichiarazioni fuorvianti.
Soprattutto: niente denaro a tassi zero e niente riacquisto
di bond dei paesi europei in difficolta'. Il che equivale ad
ammettere: misure concrete, nada, nein, nulla, rien. Ma
allora scusate, che ci state a fare ai vertici di
quest'Europa?
Che senso ha, per esempio, cari euroburocrati e signori
della BCE, continuare a insistere con quell'idiozia del
rapporto deficit/pil fissato rigidamente dal 1999 al 3%,
quando tutti i paesi saranno in media al 6.6% nel 2010 e al
6.1% nel 2011? Cambiamolo, questo parametro. Aboliamolo.
Bisogna essere flessibili e non ideologici, la rigidita' e
la poca agilita' ha estinto i dinosauri ma preservato la
vita a piccoli volatili, in epoche antiche di sommovimenti
violenti.
Se la Grecia, un paese con tanta storia, arte e filosofia
si', ma irrilevante nelle geo-politica globale per pil e
popolazione (appena 11 milioni di persone di cui 4.5 milioni
lavorano nel parassitario settore pubblico in un'economia
come quella della UE di poco inferiore a quella degli Stati
Uniti); se la Grecia oggi e' in grado di mandare a
catafascio questo castello di carte su cui si fonda l'euro,
allora che senso ha mantenere in piedi lo scenario? Che
senso ha stanziare 140 miliardi di dollari per salvare una
nazioncina facente parte di un'economia da 12 trilioni di
dollari, quando incertezze e rigidita' mentali rischiano di
affossare tutti gli altri paesi legati da questo patto ormai
scellerato? Atene fuori, addio Mikonos e Santorini. E il
patto Ue, riscriviamolo.
Immaginiamo se la speculazione cominciasse veramente (ma sul
serio) ad attaccare gli stati a pil forte e debito
fuori-misura, appunto Italia, Spagna e Portogallo. Bhe',
fino ad ora non abbiamo bevuto che l'aperitivo, di quello
che si prospetta come un lauto pranzo. I signori speculatori
non sono cattivi, fanno il loro mestiere, che e' molto
utile, in questi casi, per smascherare le ipocrisie che poi
si ripercuotono sul benessere e sullo standard di vita dei
singoli cittadini.
Insomma siamo in balia - detto con molta prudenza e cautela
- di una classe dirigente di incompetenti.
Trichet era il personaggio che due anni fa, nel momento in
cui l'euro aveva tassi molto piu' alti rispetto al dollaro,
dichiarava tronfio: "I fondamentali sono solidi, l'economia
dell'eurozona e' solida, noi in Europa e la nostra moneta
siamo solidi (si e' visto, col senno di poi...). Ebbene i
Trichet sono ovunque purtroppo in questa disgraziatissima
Europa. Facciamo un altro rapido esempio terra-terra.
Qualcuno dei nostri personaggi.
Ieri su SkyTG24 (l'unica televisione vedibile in Italia per
capire come vanno davvero le cose) abbiamo ascoltato una
dichiarazione dell'Umberto Bossi, poveretto, che farfugliava
col suo idioma strascicato da post-ictus... alcune tesi come
dire? leghiste? su economia, debito, mercato.
Diciamo la verita' subito: tali imbecillita' - di questo si
tratta - non dovrebbero essere consentite ad un ministro del
governo della Repubblica Italiana nonche' massimo alleato
del presidente del consiglio Silvio Berlusconi nella
slabbrata coalizione dell'esecutivo di centro-destra. Non
c'e' scusante che tenga, neppure la malattia. "Noi italiani
siamo fortunati - ha blaterato a fatica il Senatur
federalista/secessionista - noi italiani siamo fortunati....
perche' abbiamo un ministro dell'Economia fantastico come il
Tremonti.... lui ci ha curato la tenuta dei conti... ci ha
tenuto a galla anche nei momenti difficili... e infatti
l'Italia sta meglio degli altri paesi... e le banche
italiane sono solide... Tremonti e' come una brava massaia
che ha risparmiato per non spendere troppo nei momenti di
crisi". Testuali parole.
Ora dite voi se non e' giusto, sacrosanto, addirittura
liberatorio che gli speculatori, che certo stupidi non sono,
non abbiano avuto ragione a portare venerdi' il CDS Italia -
credit default swap, cioe' quello strumento finanziario
utilizzato sui mercati come copertura assicurativa contro
un'eventuale bancarotta del paese - al massimo assoluto di
tutti i tempi, praticamente allo stesso livello del
Kazakistan e a ruota subito dopo Portogallo e Spagna. Ecco:
la speculazione serve anche a smascherare i cialtroni e
furbi come Bossi, che per le loro trame jurassiche (la
Padania? la secessione? il federalismo?) tengono in scacco
l'Italia nel momento piu' drammatico degli 11 anni di vita
dell'euro. "Brava massaia", certo come no. Ma ci faccia il
piacere, Senatur. Studi un po' di macroeconomia oppure
taccia.
"Questi giocano col fuoco" - come disse giustamente la Emma
Marcegaglia venerdi' in uno dei pochi (forse l'unico)
sound-bite degno di nota in tempi recenti; giocano col fuoco
ma non lo hanno ancora capito. Non sanno nulla, questi
nostri politici, per ignoranza, ignavia o anche perche'
vivono da veri ricchi blindati nel lusso, scarrozzati da
auto-blu', circondati da scorte e poliziotti, spupazzati in
cene, festini, inaugurazioni. Questi non sono consapevoli
che la festa e' finita, il vento e' cambiato, la storia
impone scelte diverse, coraggiose, dolorose, non da Grande
Fratello. Classi dirigenti di questa fatta non possono
governare un paese moderno che ha bisogno come l'aria di
intelligenza, stimoli, piani, progetti, giovani,
investimenti, futuro, visione. Questa classe dirigente ha
fallito.
 |
Fonte -
www.WallStreetItalia.com
|
Euro
sotto attacco,
allarmismo eccessivo
10/05/2010
-
di miaeconomia.leonardo.it ______________________________________________
Non c’e’ dubbio che l’obiettivo
della speculazione ribassista non sono ne’ la Grecia ne’ il
Portogallo ne’ la Spagna. I Governi dell’euro potranno anche
essere lenti nelle decisioni, ma non sono stupidi, non
lasceranno fallire la Grecia e non faranno fallire neppure
Spagna o Portogallo. D'altronde se non sono state
abbandonate al loro destino le banche, dopo Lehman, potrebbe
essere abbandonata a se stessa l’economia di uno dei 16
Paesi dell’euro? Mai e poi mai.
E allora se la premessa e’ valida, se la Grecia non puo’
fallire ne’ tanto meno il Portogallo, per i grandi
investitori che scommettono al ribasso l’obiettivo non e’ il
default di un paese, ma la debolezza dell’euro per
guadagnare su un eventuale tracollo. Quel tanto che basta
per fare una manciata di miliardi e poi ritirarsi. Si
chiamano raiders, mordi e fuggi. Prondono posizione al
ribasso sull’euro, poi creano panico, spingono tutti alla
vendita di obbligazioni in euro meno sicure, come i titoli
greci e portoghesi e poi si ricoprono al momento opportuno.
E’ quello che e’ accaduto nell’ultima settimana, quando la
moneta unica ha ceduto quasi il 5% contro il dollaro. Per
chi gioca sulle valute, sport molto di moda ultimamente, un
calo simile e’ manna. Il panic selling della scorsa
settimana dopo il report di Moody’s sulle banche, ha spinto
al ribasso tutto, Borse, petrolio e ovviamente l’euro, tanto
che la banca centrale giapponese e’ stata costretta a
intervenire in acquisto per sostenere la valuta europea per
evitare un eccessivo apprezzamento dello yen, deleterio per
l’export nipponico.
Eppure a dispetto dell’allarmismo, fuori luogo, dei media
(tv e giornali) la valuta unica pur in calo del 5% rimane
sempre oltre al soglia di 1,25 che ha toccato a marzo 2009,
sui minimi toccati dai mercati finanziari dopo il crollo del
2008-2009 e venerdi’ ha chiuso le contrattazioni in recupero
contro il dollaro, ancora prima che i capi di Governo dei 16
trovassero un accordo per difendere la moneta. E poi un euro
un po’ piu' debole, rispetto agli ultimi mesi, puo’
rivelarsi anche un vantaggio per l’export dell’Eurozona.
Fonte
-
miaeconomia.leonardo.it
La spirale
dei debiti
ingessa l'Europa
09 Maggio 2010 16:54
-
di Morya Longo ______________________________________________
«Se ti devo un dollaro io ho un
problema, ma se ti devo un milione di dollari allora il
problema è tuo». Quando John Maynard Keynes inventò questa
massima, non avrebbe mai immaginato che circa un secolo dopo
il mondo occidentale sarebbe affogato nei debiti. Secondo le
stime del «Sole 24 Ore», usando vari studi e banche dati, se
si sommano i debiti totali (pubblici e privati) di Stati
Uniti, area euro, Gran Bretagna, Giappone e Canada si arriva
infatti oggi a una cifra quasi difficile da pronunciare:
130mila miliardi di dollari. Per intenderci: due volte il
Pil mondiale. O due volte e mezza la capitalizzazione di
tutte le Borse del globo.
Questo è il male che affligge i mercati: una zavorra che
incatena stati, banche, imprese e famiglie. Gli uni
finanziano gli altri e viceversa: debitori e creditori hanno
lo stesso volto. Eppure solo l'Europa, o meglio alcuni paesi
del Vecchio continente, sono colpiti dalla speculazione:
salgono i rendimenti dei titoli di stato, s'impennano le
polizze anti-default, cadono le Borse. Gli Stati Uniti, che
hanno 55mila miliardi di debiti pubblici e privati, sono
anzi visti come rifugio. Un paradosso? In parte sì, ma un
motivo c'è: sebbene il problema sia comune, tutti pensano
che gli Usa abbiano molte più risorse per reagire.
Bersaglio: Europa
La speculazione ha colpito l'area euro – che ha debiti
totali per 40mila miliardi $ – perché soffre di un cronico
problema: ha da anni una moneta unica, ma non un'unità
politica. «Questo rende più difficoltoso il coordinamento
delle politiche monetarie e fiscali – osserva Johannes
Mueller, economista di Dws (Deutsche Bank) –. La Fed ha
comprato i titoli di Stato Usa e la Banca d'Inghilterra
quelli britannici, ma la Bce non ha fatto nulla di tutto
ciò». I nodi di un'opera incompiuta stanno insomma venendo
al pettine. Ecco perché la crisi nata negli Usa sta colpendo
l'Europa.
I primi a soffrire sono i paesi ritenuti più vulnerabili.
Prima è toccato alla Grecia, quando ha svelato che i suoi
bilanci non erano come li aveva sempre mostrati. Così,
sebbene la penisola ellenica avesse il sistema bancario più
piccolo (gli attivi complessivi raggiungono a mala pena il
150% del Pil) e non avesse una bolla immobiliare (il mattone
rappresenta meno del 10% del Pil), è finita subito nella
bufera dei mercati. Bufera che le ha impedito di
rifinanziare i debiti se non a costi proibitivi. E che,
anche dopo il salvataggio, continua a imperversare: non a
caso i Cds di Atene stanno ora sui 940 punti base. Alta
tensione.
Evidentemente il mercato ritiene che il salvataggio di Atene
non basti, perché ci sono altri paesi con squilibri. Ad
esempio Portogallo, Spagna e Irlanda. Madrid e Dublino hanno
vissuto la grande bolla speculativa immobiliare, con la
conseguenza che oggi le famiglie hanno un debito
rispettivamente pari al 130% e al 200% del loro reddito.
Questo zavorra un'economia che era abituata – grazie
soprattutto a una "droga" immobiliare – a correre. A ben
vedere, anche la Gran Bretagna (che a fine 2008 McKinsey
stimava con un debito totale quattro volte e mezzo superiore
al Pil) appare vulnerabile.
La catena di Sant'Antonio
Il problema dell'elevato debito è il rifinanziamento: fin
che si trovano investitori disposti a comprare obbligazioni
e a prestare soldi, tutto va bene. Ma se gli investitori
sono a loro volta indebitati, il meccanismo diventa più
farraginoso. Prendiamo le banche. Da un lato sono tra i
principali acquirenti di titoli di stato, cioè sono tra i
principali finanziatori dei governi. Tanto che oggi quelle
europee sono zeppe di titoli di stato di Portogallo,
Irlanda, Grecia e Spagna. Ecco perché crollano in borsa.
D'altro canto – però – le stesse banche hanno a loro volta
una leva finanziaria eccessiva, tanto che molte sono state
salvate dagli stati stessi. Insomma: io salvo te, tu salvi
me.
Idem per le famiglie. Sono loro a comprare titoli di stato e
obbligazioni aziendali – anche attraverso i fondi – e a
depositare i risparmi in banca. Ma in molti paesi sono le
stesse famiglie ad essere oberate dai debiti concessi dalle
stesse banche. Magari – e il cerchio si chiude – da quelle
salvate dagli stati. Preoccupa quindi il fatto che il tasso
di risparmio mondiale (stimato dal Fmi) sia in calo del
15,1% nel 2009: significa che le famiglie hanno meno soldi
da parte e, dunque, meno soldi da investire in titoli di
Stato e in banca. Il cappio del debito si stringe. Restano
poi i prestatori di ultima istanza: le Banche centrali. Non
a caso oggi viene invocata la Bce.
«Exit strategy»
Come uscirne? La risposta è quasi banale: bisogna ridurre i
debiti. Il problema è che la cura dimagrante non è facile:
provoca rallentamenti economici, squilibri sociali. McKinsey
qualche mese fa ha effettuato uno studio per vedere le
conseguenze, dagli anni '30 a oggi, di massicce riduzioni
dei debiti. Nella storia è accaduto 45 volte. Nella maggior
parte dei casi il fenomeno ha causato recessione: «Se
accadesse ora – scrive McKinsey – il Pil si contrarrebbe per
i primi due o tre anni prima di ripartire». In alcuni casi
la riduzione dei debiti ha causato massicci default o alta
inflazione. Oppure – ma solo in casi rari – una nuova
crescita del Pil.
Fonte
- Sole
24 ore
|
Roubini:
preoccupa lo stallo americano per i tagli al debito
09 Maggio 2010 15:43 –
di Sole 24 ore
________________________________________
Nouriel Roubini non è il classico intellettuale. Certo, fino
alla crisi finanziaria che si è innescata tre anni fa, aveva
passato gran parte della sua carriera ad analizzare le
tendenze economiche e scrivere libri con titoli come
Political Cycles and the Macroeconomy (1997) o New
International Financial Architecture (2005, di questo è uno
dei curatori). Aveva anche tenuto una serie di discorsi
sulla fragilità del mondo delle banche, talmente pessimisti
da fruttargli il nomignolo di «Dr. Doom» (Dottor Destino).
Ma nel 2007, inaspettatamente, è cambiato tutto. È esplosa
la crisi finanziaria, e il mondo, apparentemente dal giorno
alla notte, si è accorto che Roubini era uno dei pochi
economisti che avevano predetto l'imminente collasso delle
banche. Oggi le autorità di tutto il mondo pendono dalle sue
labbra, i giornalisti accorrono a frotte ai suoi discorsi
per ascoltare le ultime previsioni e i clienti pagano
profumatamente per le analisi della sua società di
consulenza, la Roubini Global Economics.
«Allora, com'è essere una celebrità?», gli chiedo, incerta
se la cosa gli piaccia. Lui fa una smorfia. «La celebrità è
solo rumore», borbotta. «La gente parla come se fossi uscito
fuori dal nulla, come se avessi lavorato in un ufficetto
chissà dove, da solo, per tutti questi anni, sconosciuto da
tutti, e poi improvvisamente fossi diventato famoso. Ma è
assolutamente falso, sono vent'anni che faccio
l'economista!».
Con aria indignata ripercorre in dettaglio la sua carriera.
Tutt'altro che banale. Nato a Istanbul nel 1959 da genitori
ebrei iraniani, ha passato i primi anni della sua vita in
Iran prima di trasferirsi in Italia, dove ha frequentato la
scuola e l'università. In seguito si è trasferito negli
Stati Uniti e a Harvard, dove ha preso il dottorato in
economia per poi insegnare a Yale e a New York. Roubini, che
parla italiano, ebreo e farsi, dice che ha sentito di essere
finalmente arrivato negli Stati Uniti «circa quindici anni
fa, quando ho cominciato a sognare in inglese». In tutto
questo tempo ha anche lavorato per brevi periodi all'Fmi,
alla Fed, alla Banca mondiale, al Consiglio dei consulenti
economici della Casa Bianca e al dipartimento del Tesoro,
prima di mettere in piedi la sua società di consulenza.
Non è il curriculum di un carneade, questo è vero. Ma
Roubini non era certo un nome noto al grande pubblico
quando, nell'autunno del 2006, con l'economia mondiale e i
mercati del credito in pieno boom, tenne un discorso all'Fmi
in cui ammoniva che «gli Stati Uniti probabilmente dovranno
fare i conti con un tracollo immobiliare di proporzioni mai
viste, con uno shock petrolifero, con un crollo della
fiducia dei consumatori e alla fine con una recessione
grave», con tanto di «proprietari di case che non riescono a
pagare il mutuo, migliaia di miliardi di dollari in titoli
garantiti da ipoteca che andranno in fumo in tutto il mondo
e il blocco del sistema finanziario globale». Era una
previsione audace, al punto che molti politici ed economisti
pensarono che Roubini fosse un po' matto.
Quando Roubini partecipò al Forum economico mondiale di
Davos, nel gennaio del 2007, e ripeté le stesse profezie, il
suo grido d'allarme cadde nel vuoto. È stato nell'aria tersa
e pura delle montagne svizzere che l'ho incontrato per la
prima volta, e me ne ricordo molto bene. Nei mesi precedenti
anch'io avevo cominciato a scrivere dei pericoli della
finanza complessa (anche se in modo molto meno brillante e
drammatico di Roubini), e quegli articoli avevano suscitato
le critiche di alcuni dei luminari riuniti a Davos, che mi
avevano accusata di essere «allarmista». Anche se non ci
eravamo mai incontrati prima (e non ci siamo quasi mai
parlati da allora), a un pranzo sotto il sole in un
pretenzioso albergo svizzero Roubini difese con convinzione
i miei articoli. Gli esprimo la mia gratitudine: le
Cassandre all'epoca erano merce rarissima.
«Me ne ricordo», ride Roubini. Poi rievoca con irritazione
un editoriale di Michael Lewis - autore dell'acclamato
saggio su Wall Street Liar's Poker (1989), e più
recentemente di un altro saggio intitolato The Big Short
(2009) - in occasione di quel forum di Davos: Lewis scriveva
che le Cassandre come Roubini erano degli "smidollati" e dei
"sempliciotti". «È incredibile come abbiano cambiato idea
certe persone – dice, aggiungendo tagliente che oggi – il
senno di poi dilaga».
Perché il mondo delle banche è finito gambe all'aria nel
2007? Roubini, insieme a Stephen Mihm, un professore di
storia economica, ha scritto un libro sul tracollo delle
banche, Crisis Economics, che cerca di dare una risposta a
questa domanda e di suggerire che cosa si può fare per
rimettere le cose a posto. A una prima occhiata, non sembra
diverso da tutti gli altri libri sulla crisi che gli
economisti sfornano a getto continuo. La particolarità,
però, è che a differenza di quasi tutti gli altri (tra le
eccezioni, William White e Claudio Borio della Banca dei
regolamenti internazionali) Roubini può dire di aver capito
come stavano le cose prima che arrivasse il disastro. Gli
chiedo: «Da dove nasceva tutta questa sicurezza?».
«Avendo passato dieci anni a studiare i mercati, so che ci
sono meccanismi che si ripetono immancabilmente», mi spiega.
«Una bolla è come un fuoco che ha bisogno di ossigeno per
continuare; quando vedi che l'ossigeno si è esaurito, le
cose cambiano». Più specificamente, nell'estate del 2006
Roubini aveva capito che il mercato immobiliare aveva
raggiunto i livelli massimi, e si convinse che il sistema
stava per collassare, perché c'era troppo debito ipotecario
in giro.
Ha continuato a lanciare allarmi anche dopo il crack.
All'inizio del 2009 ha detto che la crisi delle banche forse
non era finita, e ha detto anche che c'era un 20% di
possibilità di una recessione a W, perché la crescita
americana sarebbe stata troppo debole. In realtà l'economia
americana è risalita più in fretta del previsto, e sono
tornati a salire anche i titoli azionari del comparto
bancario, facendo gongolare molti rivali di Roubini che
sostengono che la sua previsione del 2006 è stata solo un
colpo di fortuna. Ma lui replica che è ancora troppo presto
per dire con sicurezza che l'economia globale è avviata
sulla strada della ripresa. E almeno una delle sue
previsioni recenti si è rivelata giusta: nell'ultimo anno ha
ripetutamente messo in guardia dai pericoli legati al debito
pubblico. In particolare è convinto che il dramma che sta
vivendo la Grecia rifletta un problema più grande che
interessa tutto il mondo occidentale, dato che i governi non
sembrano avere il coraggio di affrontare la crescita
vertiginosa del debito pubblico.
«Quello che mi preoccupa veramente è lo stallo politico che
c'è negli Stati Uniti», dice aggiungendo che questa
situazione impedisce al governo di prendere le decisioni
difficili che sarebbero necessarie. «Il Regno Unito ha lo
stesso problema. Non c'è davvero la volontà di tagliare la
spesa o aumentare le tasse». Di conseguenza, «ci sarà la
tentazione di continuare a monetizzare il disavanzo», cosa
che finirebbe per produrre inflazione.
Per combattere questi rischi, Roubini vuole che i politici
collaborino al di là delle divisioni tra partiti, superando
i vecchi schemi ideologici di "destra" e "sinistra". «Io
sono cresciuto in Italia negli anni 60 e 70, ed era un
periodo di grandi turbolenze sociali, quando anche i
giovanissimi erano impegnati in politica. All'epoca ero un
po' più spostato a sinistra», dice rimestando lo zucchero
nel caffelatte e disegnando eleganti volute bianche e
marroni. Oggi sulle questioni economiche dice di essere
"centrista", perché è convinto che i governi debbano mettere
mano al portafogli nei periodi di crisi per sostenere il
sistema, in linea con gli ideali economici keynesiani, ma è
convinto anche che quando una crisi è finita dovrebbero
tornare a un approccio liberista, secondo quanto insegna la
cosiddetta "scuola austriaca". «C'è un gran dibattito fra
keynesiani e liberisti. Ma io sono pragmatico ed eclettico.
È tutta una questione di tempistica».
Secondo lui, adesso la gente dove dovrebbe investire? Lui
che fa? Sembra schermirsi. «In vita mia non ho mai comprato
neanche un'azione, un'obbligazione o una valuta. Ho i soldi
per la pensione investiti in un fondo passivo (100% di
azionario, metà Stati Uniti, metà resto del mondo). Tutto il
reddito extra che ho ricevuto negli ultimi anni è andato in
liquidità. A un certo punto lo investirò in attività più di
rischio, ma non ora». Una prudenza che sembra tipica del
"Dottor Destino", suggerisco io. Lui non è d'accordo. «Il
soprannome di Dottor Destino è carino e l'ho anche
apprezzato per un po' di tempo, ma adesso dico sempre che
sono il Dottor Realista».
In altre parole, Roubini ora vuole essere conosciuto come un
saggio capace di elargire consigli costruttivi, invece che
come un profeta di sventure. Il giorno del nostro incontro
ha scritto un editoriale per il Financial Times in cui
esortava l'Europa a lasciare che la Grecia procedesse alla
ristrutturazione del debito. E aveva appena fatto ritorno da
Washington, dove aveva incontrato un gruppo di ministri
dell'Economia e banchieri centrali d'importanti paesi
occidentali. «La cosa importante è per me che la gente
ascolti quello che scrivo. Io offro la mia saggezza alla
gente, concordi o meno con me».
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Traduzione -
Fabio Galimberti |
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Fonte - Sole 24
ore
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Martedì 11
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Mercoledì 12
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Giovedì 13
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Europa:
un fondo da $1 trilione.
La BCE interviene comprando
bond
10 Maggio 2010 03:00 BRUXELLES –
di
WSI
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Show di forza con un salvataggio kolossal da 750 miliardi di
euro per bloccare la speculazione. Borse asiatiche, futures
Usa ed euro su, ma non troppo. Fed e altre banche
intervengono con swap in dollari. Bce compra eurobond
(violando il trattato UE).
I 27 ministri delle finanze UE (16 stati membri + 11
esterni) hanno annunciato un pacchetto di salvataggio
kolossal "all'americana" di circa 750 miliardi di euro, pari
circa a $1 trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe
essere sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la
speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso e
fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli altri
paesi PIIGS.
Dopo un meeting ad alta tensione durato oltre 14 ore,
l'Europa ha deciso di mettere a disposizione (con quali
soldi non e' chiaro, visto che sono tutti indebitati) 440
miliardi di euro in linee di credito o garanzie, 60 miliardi
di altri prestiti direttamente dal bilancio UE mentre il
Fondo Monetario Internazionale dovrebbe mettere sul piatto
ulteriori 250 miliardi, in forma di prestiti disponibili per
i paesi in difficolta'.
Inoltre - in aperta violazione del Trattato di Maastricht
sui e' fondata l'Europa, cioe' in violazione del principio
che considera proibiti i prestiti dalla BCE agli stati
membri - la BCE si impegna ad acquistare bond sia emessi
dagli stati europei sia dalle aziende dell'area euro, per
iniettare liquidita' nel sistema e stablizzarlo di fronte
agli attacchi della sepculazione. Infine la Fed e altre
grandi banche centrali promettono di intervenire sul mercato
con swap sul dollaro e la riapertura di linee di credito di
emergenza.
Appena circolate le prime indiscrezioni, verso le 22:45 di
domenica, l'euro e' partito al rialzo sui mercati forex, in
forte recupero: +1,30% sopra quota 1.29 (vedi eur/usd in
tempo reale), per poi pero' assestarsi su valori inferiori.
I future S&P500 sono saliti S&P 500 2.3% a Tokyo, mentre
quelli sul Dow Jones mostravano un rialzo dell'1.9%.
L'indice MSCI Asia Pacific e' salito per la prima volta dopo
sei giorni di ribassi, ma solo +0.4%. A Tokyo l'indice
Nikkei 225 era in rialzo a meta' seduta +1.3% a quota 10499.
In parallelo al pacchetto di prestiti da 750 miliardi di
euro approvato dai ministri UE, la Banca centrale europea ha
annunciato che interverra' sui mercati del debito pubblici e
privati, cioe' dei bond dell'area euro (Securities Markets
Program) con una mossa senza precedenti per assicurare la
liquidita' e profondita' necessaria a questi mercati che
sono diventati "disfunzionali", senza peraltro intaccare le
politiche fiscali e di bilancio dei singoli paesi. Cio' ha
il preciso intento di bloccare la speculazione che con il
filone dei debiti sovrani sta minacciando di disintegrare
l'euro rendendo "disfunzionali" i mercati dei bond.
Sempre con l'obiettivo di fermare la speculazione che dopo
la crisi della Grecia ha preso di mira altri paesi europeri,
con un altro passo straordinario parallelo che conferma
l'eccezionalita' del coordinamento globale dovuta
all'estrema gravita' della situazione, la Federal Reserve ha
riaperto stanotte le linee di credito verso l'Europa che
erano state chiuse lo scorso febbraio esaurita l'urgenza
dell'altro maxi-salvataggio, cioe' quello da $750 miliardi
approvato da Tesoro Usa e Fed a fine 2008. L'obiettivo e' di
sifonare dollari in Europa, visto che nel mondo c'e'
un'altra domanda di valuta americane e nessuno vuole euro,
con l'aiuto di molte altre banche centrali tra cui Bank of
Canada, Bank of England, la stessa BCE e la Banca nazionale
Svizzera (la Banca del Giappone partecipera' in un secondo
momento). "Questa azione e' stata intrapresa in risposta al
riemergere di stress sui mercati finanziari in Europa", dice
la Fed, "e per evitare che le tensioni si propaghino ad
altri mercati".
Con questo piano l'Europa si gioca quindi il futuro cercando
di approntare i mezzi per fermare almeno momentaneamente la
speculazione ed evitare la disintegrazione dell'euro.
Vedremo lunedi' come reagiranno le borse europee ed entro
qualche settimana se l'obettivo di salvare l'euro sara'
stato raggiunto.
Le difficolta' e gli ostacoli che hanno portato al varo di
tali misure eccezionali, da guerra finanziaria nucleare, si
erano avvertite all'inizio della riunione fiume di stanotte
tra i 27 ministri dell'Ecofin, con una prima grave
spaccatura quando Londra ha annunciato che non apporterà la
propria garanzia al fondo d'urgenza al quale si lavora a
livello europeo per aiutare i Paesi in difficoltà. Anche la
Germania ha creato un serio problema sul fondo "salva euro":
per Berlino la questione stava nelle "garanzie dei prestiti"
che non solo la Commissione ma anche i singoli Stati
dell'Eurozona dovrebbero fornire ai paesi in difficoltà,
secondo il progetto dell'esecutivo Barroso.
La moneta europea ha perso la scorsa settimana il 4.5% e il
15.0% da novembre nei confronti del dollaro, scivolando
venerdi' 7 maggio ai minimi di 14 mesi. I titoli di Stato e
i CDS (credit default swaps), delle nazioni col debito piu'
esplosivo, i PIIGS, con in testa l'Italia, erano venerdi' ai
massimi storici per la drammaticita' della crisi. Le borse
europee sono calate la scorsa settimana ai minimi degli
ultimi 18 mesi, con l'indice Stoxx Europe 600 in calo -8.8%.
La Borsa di Milano ha perso il doppio, con un crollo di
-16.42% negli ultimi 6 mesi.
Per i 27 ministri finanziari della UE, riuniti nell'Ecofin,
e' stata una corsa contro il tempo. Un pacchetto di misure
serie e credibili per rassicurare i mercati doveva essere
approvato prima dell'apertura delle borse orientali in
Australia, Nuova Zelanda e Tokyo.
Il presidente Usa Barack Obama, terrorizzato dall'inazione
politica europea che sta provocando danni collaterali
pesantissimi anche a Wall Street (il crollo intraday di
-9.2% giovedi' scorso e' da "cod-red" - codice rosso - per
la Casa Bianca) domenica pomeriggio ha chiamato per la
seconda volta in tre giorni la cancelliera tedesca Angela
Merkel e il presidente francese Sarkozy, per discutere la
situazione (tra l'altro e' molto indicativo che la Merkel
sia stata sconfitta proprio oggi alle elezioni locali
tedesche). Il portavoce della Casa Bianca Bill Burton
precisa che Obama avrebbe ribadito ai due maggiori leader
europei la necessita' di intraprendere passi e azioni
risolute e "forti" per riportare fiducia e rassicurare i
mercati. Il presidente francese Sarkozy e la Merkel si sono
sentiti a loro volta al telefono, "constatando il loro
completo accordo" sulle misure che saranno annunciate a
Bruxelles.
La posizione della Gran Bretagna - che non fa parte della
zona dell'euro - rischia di ostacolare il meccanismo di
prestiti garantiti. Per la decisione non è richiesta
l'unanimità, ma solo la maggioranza qualificata. A quanto si
è appreso, al vertice dell'Eurogruppo di venerdì scorso, il
presidente francese Nicolas Sarkozy ed altri leader avevano
sottolineato la necessità di andare avanti comunque, anche
senza avere il sì di tutti e 27 gli Stati membri Ecofin.
 |
Fonte -
www.WallStreetItalia.com
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PIANO SALVA EURO:
LA BCE ALLA FINE DICE SI' ALLA "OPZIONE NUCLEARE"
10 Maggio 2010 07:00 BRUXELLES
-
di APCOM ______________________________________________
Con il piano 'salvate l'euro'
scattato, anche la Banca centrale europea ha rotto gli
indugi, impegnandosi a effettuare acquisti di titoli di
Stato, così come di obbligazioni di emittenti private,
tramite interventi mirati che punteranno a assicurare il
corretto funzionamento dei segmenti di mercato sotto
pressione.
E' la misura più significativa tra quelle annunciate nel
corso della notte dall'istituzione monetaria dell'unione,
che alcuni commentatori avevano battezzato "opzione
nucleare" della Bce, e che allo stesso tempo ha riattivato
le linee di interscambio valutarie (swap) con le altre
maggior banche centrali, a cominciare dalla Federal Reserve
americana.
Questo garantisce alle banche commerciali europee
finanziamenti diretti in dollari. Ripristinati anche diversi
interventi di finanziamento ultra agevolati, a tassi fissi e
a piena soddisfazione della richiesta delle banche, le
cosiddette "aste a rubinetto" che verranno nuovamente
effettuate sulle scadenza a tre e sei mesi.
Le diverse misure sono state decise dal Consiglio direttivo,
recita un comunicato della Bce.
Innanzitutto l'istituzione di Francoforte si è impegnata a
"effettuare interventi sui mercati di titoli pubblici e
privati dell'area euro per assicurare l'ampiezza e la
liquidità di questi segmenti di mercato che risultano
compromessi. L'obiettivo è intervenire sui malfunzionamenti
e ripristinare l'appropriato meccanismo di trasmissione
della politica monetaria - si legge -. La portata degli
interventi verrà determinata dal Consiglio direttivo".
Tuttavia la Bce precisa che per evitare che queste stesse
interventi finiscano per creare distorsioni sulla linea di
politica monetaria "verranno condotte specifiche operazioni
di riassorbimento delle liquidità iniettate".
Intanto il 26 maggio a favore delle banche commerciali verrà
effettuata una nuova asta di rifinanziamento a tre mesi e a
tasso fisso prestabilito, in cui la domanda degli istituti
verrà interamente soddisfatta. Stesse modalità per un
rifinanziamento a sei mesi che invece scatterà il 12 maggio,
riporta ancora la Bce.
Sempre ieri è stato deciso di riattivare le linee di swap
con la Federal Reserve e con la Banca Nazionale svizzera,
mentre la Banca del Giappone sta a sua volta esaminando la
possibilità di fare altrettanto a breve.
Questi meccanismi consentono alla Bce di fornire alle banche
dell'area euro finanziamenti diretti nelle altre principali
valute globali, ai tassi di riferimento delle relative
autorità, senza che queste debbano reperirle sul mercato
interbancario.
Fonte
- APCOM
Le banche centrali della zona euro
avviano l'acquisto dei bond governativi
10 Maggio 2010 13:08 MILANO
-
di
Sole 24 ore ______________________________________________
hanno iniziato ad acquistare
titoli di stato emessi dai membri dell'eurozona. La conferma
è giunta dalla Bundesbank e dalla Banca d'Italia che hanno
avviato gli acquisti dei bond governativi, come previsto dal
programma della Banca centrale europea nell'ambito del
maxi-piano per stabilizzare la moneta unica.
I portavoce della Bundesbank e della Banca d'Italia non
hanno voluto aggiungere altri commenti. Secondo la Banca di
Finlandia, tutte le banche centrali stanno effettuando
acquisti di bond governativi, ma la Bce non ha confermato.
Alle 3.15 di questa notte la Bce ha annunciato che avrebbe
acquistato bond governativi, sottolineando che nel prendere
questa decisione, il board della banca centrale aveva tenuto
conto dell'impegno dei governi dell'area euro «di adottare
le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi di
finanza pubblica, quest'anno e negli anni a venire, in linea
con le procedure di deficit eccessivo».
La Bce attuerà anche misure per riassorbire la liquidità
iniettata nel sistema con il Securities markets programme e
ciò - precisa una delle comunicazioni diffuse nella notte -
«garantirà che la politica monetaria attuale non sia
toccata» dagli interventi per stabilizzare i mercati.
L'euro ha beneficiato delle decisioni della notte scorsa a
Bruxelles e soprattutto dell'annuncio della Bce. Dopo un
minimo appena sopra quota 1,28 nei confronti del dollaro
registrato intorno alle 3 della notte scorsa, la divisa
europea è risalita fino a 1,3084 a metà mattinata. Alle 13
scambiava poco sotto quota 1,30.
Le misure delle banche centrali
La notte scorsa, la Banca centrale europea ha comunicato le
modalità di intervento (Securities markets programme) decise
per calmare le tensioni sui mercati che hanno evidenziato
«disfunzioni». Oltre all'acquisto dei bond pubblici e
privati, per «riattivare un appropriato meccanismo di
trasmissione della politica monetaria e far fronte al
cattivo funzionamento dei mercati finanziari», il piano
prevede interventi per sostenere la liquidità del dollaro,
comprato a piene mani da chi abbandonava l'euro. Perciò,
Bank of Canada, Bank of England, Federal Reserve e Banca
nazionale svizzera e Bce hanno riattivato temporaneamente
gli accordi di swap sulla valuta americana. Gli interventi
si articoleranno in operazioni diliquidità a sette e 84
giorni. Il primo intervento è fissato per martedì 11 maggio.
Come ha spiegato la Fed in una nota diffusa nella notte, è
«di migliorare le condizioni di liquidità sui mercati in
dollari» e di «prevenire la diffusione di disordini».
Qualche ora dopo ha annunciato l'adesione all'accordo anche
la Banca del Giappone che ha anche deciso di mantenere i
tassi di interesse invariati allo 0,1%.
La banca centrale europea ha annunciato anche aste di
rifinanziamento a tasso fisso a tre mesi per il 26 maggio e
il 30 giugno e una a sei mesi a tasso variabile per il 12
maggio.
Il Fondo Monetario Internazionale «sostiene fortemente i
passi annunciati dall'Unione Europea e dalla Bce per
ripristinare la fiducia e la stabilità finanziaria nell'euro
area» ha affermato in una nota il direttore generale del
Fmi, Domenique Strauss-Kahn, sottolineando come
«l'attuazione di misure per riportare su una strada
sostenibile i conti pubblici sono essenziali». «L'Fmi
giocherà la propria parte, nell'interesse della comunità
internazionale, nell'affrontare le attuali sfide» aggiunge
Strauss-Kahn, precisando che «il contributo del Fondo sarà
paese per paese, attraverso la gamma di strumenti che
abbiamo già a disposizione. Ci aspettiamo che la nostra
assistenza finanziaria sia ampiamente proporzionata ai
nostri recenti accordi europei».
Fonte
- Sole
24 ore
CLAMOROSO:
AXEL WEBER (BUNDESBANK) CRITICO SUL PIANO DI SALVATAGGIO UE
10 Maggio 2010 18:33 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Il governatore della Banca
centrale tedesca e candidato n.1 alla guida della BCE parla
di "rischi significativi" nel super piano di salvataggio, in
particolare riferendosi al riacquisto di eurobond. Nel corso
di un'intervista a un giornale in Germania Weber ha detto
che l'acquisto di eurobond sovrano dei singoli paesi europei
"pone rischi significativi".
"Adesso il problema e' come mantenere questi rischi al
livello minimo possibile", ha detto Weber al quotidiano
finanziario Boersen-Zeitung, aggiungendo di essere "critico"
nei confronti del programma di riacquisto di titoli sovrani
dei paesi europei in difficolta' (ovviamente Weber non parla
di PIIGS).
In aperta violazione del Trattato di Maastricht sui e'
fondata l'Europa, cioe' in violazione del principio che
considera proibiti i prestiti dalla BCE agli stati membri,
la BCE ieri notte si e' impegnata ad acquistare bond sia
emessi dagli stati europei sia dalle aziende dell'area euro,
per iniettare liquidita' nel sistema e stabilizzare i
flussi, in modo da fermare gli attacchi speculativi contro
l'euro in corso da varie settimane per la crisi della
Grecia.
Dopo un meeting ad alta tensione durato oltre 14 ore,
l'Europa ha deciso di mettere a disposizione (con quali
soldi non e' chiaro, visto il livello attuale di
indebitamento degli stati membri) 440 miliardi di euro in
linee di credito o garanzie, 60 miliardi di altri prestiti
direttamente dal bilancio UE mentre il Fondo Monetario
Internazionale dovrebbe mettere sul piatto ulteriori 250
miliardi di euro, in forma di prestiti disponibili per i
paesi in difficolta'.
I 27 ministri delle finanze UE (16 stati membri + 11
esterni) hanno annunciato un pacchetto di salvataggio
kolossal "all'americana" di 750 miliardi di euro, pari circa
a $1 trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe essere
sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la
speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso e
fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli altri
paesi PIIGS.
Il rally dell'euro dopo l'annuncio del super piano di
salvataggio kolossal da $1 trilione varato da UE, FMI e BCE,
cosi' come dell'acquisto di bond, sara' solo "temporaneo". A
lanciare l'avvertimento e' UBS AG, il secondo trader al
mondo per importanza nel mercato valutario.
Dopo avere toccato un massimo intraday di 1.3094 (+2.7%)
sull'onda dell'euforica accoglienza al piano europeo di
salvataggio, poi ha cominciato a prevalere una visione piu'
realistica del caos in cui si trova tuttora e ancora per
molto tempo l'Europa, cosi' i realizzi hanno fatto scivolare
la moneta unica sotto quota 1.28 (quotazioni eur/usd in
tempo reale) un rialzo molto piu' moscio, +0.4%. Le borse
invece, totalmente manipolate dal sistema bancario (i
maggiori rialzi di prezzo sono proprio delle banche) si sono
mosse tutte in "decoupling" (sdoppiamento) mettendo a segno
fortissimi rialzi, anche per via delle ricoperture selvagge
degli short.
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
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Aggredire
il debito con altro debito
May 10th, 2010 –
di
Andrea Gilli
________________________________________
Nella notte, i leader dell’Eurozona hanno raggiunto un
accordo con la Commissione europea ed il Fondo Monetario
Internazionale per istituire una linea di credito di
stabilizzazione fino a 750 miliardi di euro, in prestiti
diretti e garanzie. A questa misura si affianca l’annuncio
della Banca centrale europea circa la possibilità di
intervenire nel mercato secondario dei titoli di stato, per
rimuoverne alcune “disfunzioni”. Proviamo ad analizzare in
dettaglio gli aspetti economici e quelli politici
dell’intervento.
I crediti e garanzie dai governi dell’Area Euro sono pari a
440 miliardi di euro, mentre il FMI interverrebbe con altri
250 miliardi. Il pacchetto è in aggiunta ai 110 miliardi già
decisi per la Grecia. La facility sarà organizzata su base
intergovernativa tra i memebri dell’Eurozona, anche se
Svezia e Polonia hanno manifestato interesse ad aderire.
Tale fondo di emergenza prenderà la forma di un veicolo
(special purpose vehicle, SPV), di durata triennale. Altri
60 miliardi di assistenza verranno raccolti attraverso
emissione di obbligazioni della Commissione europea,
nell’ambito degli interventi per contrastare crisi di
bilancia dei pagamenti. La cornice legale dell’accordo resta
l’articolo 122 del Trattato di Lisbona, che consente
assistenza finanziaria “in circostanze eccezionali ed oltre
il controllo” dei paesi membri. Tale articolo non era stato
utilizzato per la Grecia.
In parole povere, il veicolo di stabilizzazione resta
attivabile in modalità contingente, cioè al bisogno espresso
da paesi membri dell’Eurozona. L’entità della misura serve a
scoraggiare i mercati dall’assumere iniziative speculative,
scommettendo sulla rottura dell’Eurozona. Che questa misura
funzioni nel medio termine, è tutt’altro discorso.
In primo luogo, la drammaticità degli eventi ha forzato le
autorità europee a quel coordinamento che finora era
mancato, e che continuerà a mancare in futuro, inutile farsi
soverchie illusioni. Inoltre, si risponde su base aggregata
ad una crisi di debito con altro debito, anche se al momento
il veicolo resta un contingency plan. E’ significativo che
la Commissione europea abbia chiesto “nuovi sacrifici” a
Spagna e Portogallo, gli anelli deboli della catena,
ricevendone un ovvio assenso “in linea di principio”. Nei
fatti, correggere i conti pubblici di un ulteriore 1,5-2 per
cento quest’anno sarà qualcosa di estremamente doloroso, e
troverà crescenti resistenze nella popolazione. In altri
termini, il mega-piano promette da subito più debito per
salvare alcuni debitori, ottenendone in cambio vaghe
promesse di austerità fiscale. Continua, quindi, a mancare
una revisione del Patto di stabilità che abbia i denti, e
continuerà a mancare per molto tempo, viste le criticità
politiche della revisione. Questa asimmetria non promette
nulla di buono per il futuro.
Poi c’è il ruolo della Bce. Che ha deciso di reintrodurre le
aste di rifinanziamento a lungo termine e tasso
verosimilmente intorno all’1 per cento, come nel recente
passato. In questo modo, le banche potranno continuare a
sottoscrivere debito pubblico e finanziare la posizione a
costi molto bassi, incassando il carry e risanando i propri
conti. La Bce ha inoltre deciso che potrà intervenire sul
mercato secondario, comprando titoli di stato dei paesi
membri, quando si verificheranno “situazioni disfunzionali”.
Che tradotto vuol dire che l’istituto di Francoforte, in
caso di tensioni, potrà comprare titoli di stato greci,
portoghesi, spagnoli, italiani e quant’altro. Per evitare di
gonfiare gli aggregati monetari, la Bce sterilizzerà
l’intervento, vendendo altri titoli presenti nel suo
portafoglio, drenando in tal modo la liquidità creata con
gli acquisti. In sintesi, è un intervento sul rischio di
credito e non sulla moneta. Ma così facendo la Bce
realizzerà un deterioramento qualitativo del proprio
portafoglio, cedendo Bund e comprando titoli di emittenti
assai meno solidi. In questo aspetto, si tratterà non di un
quantitative easing ma di un credit easing.
Come sintetizzare, quindi? Si evita la rottura di Eurolandia
con un impressionante iceberg di debito potenziale. Potrebbe
anche funzionare, ma solo se vi fosse crescita economica e
risanamento fiscale. Se mancheranno queste due condizioni
(segnatamente la prima, che è ovviamente agevolativa della
seconda), non riusciremo ad evitare alcuni default, che
porteranno con sé la perdita in conto capitale delle
erogazioni del veicolo speciale. In altri termini, avremo
innescato una reazione nucleare che distruggerà l’Eurozona
ed i suoi membri.
La reazione isterica dei mercati di questa mattina è data
dalla chiusura delle posizioni corte su azionario (banche,
soprattutto) e sull’euro, e di quelle lunghe sul Bund. Per
qualche tempo torneremo a vivere nella bolla di finta
complacency che abbiamo costruito negli ultimi quindici
anni, ma occorre essere consapevoli che questo è l’ultimo
giro. Tentare di uscire da una crisi di debito in una unione
monetaria con altro debito appare molto simile ad una
rolulette russa in cui il tamburo ha solo una camera vuota.
Perché nei fatti stiamo solo spingendo il dissesto più in
là.
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Fonte -
www.Epistems.org
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Sabato 15 Maggio 2010 |
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Martedì 18
Maggio
2010 |
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Giovedì 20
Maggio
2010 |
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L'Europa
è pronta
per l'austerità?
11 Maggio 2010 16:03 –
di Il Sole 24 Ore
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Tagli, sacrifici, austerità. Se il piano di salvataggio
europeo da 750 milioni di euro fa tirare un sospiro di
sollievo ai mercati, il problema del debito rimane. L'Europa
riuscirà a risolverlo? L'interrogativo domina editoriali e
commenti della stampa internazionale, con dubbi e
scetticismo.
"L'Europa è impreparata per l'austerità", si legge sul
Financial Times. La sfida urgente per gli europei è come
tenere sotto controllo la spesa dei governi, osserva il Wall
Street Journal, mentre Newsweek mette in guardia contro la
"spirale mortale" del welfare state.
Già, perché la tempesta ha portato a galla la questione di
fondo: "Gran parte dell'Unione europea vive al di sopra
delle proprie possibilità", avverte Gideon Rachman sul
Financial Times, puntando il dito sui deficit governativi
"fuori controllo" e sul debito pubblico che aumenta.
"Sfortunatamente, gli elettori e i politici europei sono
semplicemente impreparati per l'età d'austerità che hanno di
fronte".
Il nocciolo della questione: l'Europa non può affrontare il
suo comodo sistema pensionistico. La Grecia- continua
Rachman - è "l'esempio estremo di un più ampio problema
europeo". Anche i quattro maggiori paesi – Gran Bretagna,
Francia, Italia e Spagna – "non sono immuni da questa
preoccupazione". I disordini in Grecia mostrano che non
tutti gli europei reagiranno "stoicamente" ai tagli della
spesa pubblica. "Ma se gli europei non accettano l'austerità
ora, saranno confrontati con qualcosa di più scioccante – i
default dei debiti sovrani e il collasso delle banche". Il
pezzo è corredato da una vignetta dove un panciuto europeo,
con un bicchiere di vino in mano, sfonda l'amaca dell'euro
su cui è sdraiato.
Le condizioni per il successo del piano Ue
a Bruxelles, il corrispondente del Ft Tony Barber
("L'accordo neutralizza la minaccia, ma l'Ue deve restaurare
il suo vigore") fa notare che il successo del piano Ue si
basa sulla capacità dei governi di persuadere i cittadini
che "dolorosi programmi d austerità e riforme economiche
sono non solo il prezzo della partecipazione all'eurozona ma
la garanzia più sicura della prosperità a lungo termine". E
l'evidenza dice che per i governi sarà dura.
L'Europa ha ancora "altre pallottole da schivare", si legge
ancora sul Ft, dopo "il giorno che ha testato i limiti
dell'Unione".
Per il Guardian, l'euro contrattacca con "la più grande
scommessa". Il Times Online esorta i paesi dell'Eurozona ad
"agire con decisione", poiché il pacchetto aiuta solo a
"guadagnare tempo". Bbc Capital Markets ha fatto notare che
i 750 miliardi di euro sono sufficienti a coprire il
pagamento degli interessi e i riscatti dei Bot per
Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna solo fino al
marzo 2013. I paesi deboli devono attuare una seria stretta
fiscale e riforme del mercato del lavoro perché così a medio
e lungo termine non dovranno indebitarsi così tanto. Il
Times Online porta anche ad esempio l'Irlanda, "il maiale
che esce dal fango", concludendo che il solo possibile
candidato per la "I" di Pigs è l'Italia.
Il Wall Street Journal sottolinea i timori del cosiddetto
"rischio morale" (moral-hazard) suscitati dal piano di
salvataggio Ue. Il rischio è che i governi non facciano i
tagli necessari, sapendo che tanto l'Ue li salverà dal
fallimento. Ecco dunque la nuova sfida urgente per gli
europei: "tenere sotto controllo i governi spendaccioni",
"attuare il rigore fiscale nell'eurozona". Il Wsj cita in
particolare Marco Annunziata, capo economista dell'Unicredit
a Londra, secondo il quale i fondi di salvataggio "hanno
indebolito gli incentivi alla disciplina fiscale".
Il Wsj mette in evidenza gli interrogativi sul ruolo Bce,
che con riluttanza alla fine ha accettato di acquistare il
debito di alcuni paesi Ue. "Il piano di salvataggio Ue sarà
sufficiente?" si domanda Neil Shah: la grande sfida dei
prossimi mesi sarà di convincere i paesi oberati di debiti a
risanare le loro finanze pubbliche senza ostacolare la
crescita.
Il grande punto interrogativo è questo: il pacchetto di
salvataggio "funzionerà a lungo termine?". E' quanto si
domanda il New York Times sotto il titolo "Un trilione
(mille miliardi) per l'Europa, con dubbi". Anche il Nyt
evoca il "rischio morale": "Altri paesi potrebbero
continuare a evitare le azioni che ridurrebbero deficit e
abbasserebbero il debito – passi dolorosi per la gente e
pericolosi per i politici – perché anche loro si aspettano
di essere soccorsi".
Il pacchetto europeo ha avuto anche una leggera spinta da
Washington, nota ancora il Nyt: il presidente Usa Barack
Obama ha telefonato alla cancelliera tedesca Angela Merkel
per dirle che "l'Europa doveva provare a fare qualcosa di
grande".
L'editoriale del New York Times afferma che ci sono "buone
ragioni" per chiedersi se questi passi saranno sufficienti.
La debolezza della strategia è che presume che "paesi molto
zoppicanti, come la Grecia, possano riacquistare la capacità
di servire il debito abbattendo il deficit di bilancio". Le
loro economie sono in difficoltà, alcune sono in recessione.
Tagli eccessivamente severi peggioreranno la situazione,
"rendendo ancora più difficile per la Grecia, e per altri,
onorare i loro debiti". L'Europa, secondo il Nyt, potrebbe
non riuscire a risolvere i suoi problemi senza far pagare
alle banche la loro parte.
"Il salvataggio europeo combatte la crisi del debito con più
debiti", titola il Los Angeles Times parlando di "cerotto
temporaneo".
Newsweek vede la Grecia avvitarsi nella "spirale mortale del
welfare state". "Ma non è il problema della Grecia soltanto"
… ogni nazione avanzata, Stati Uniti inclusi, sono di fronte
allo stesso problema. Popolazioni che invecchiano hanno
avuto promesse di grandi benefici sanitari e previdenziali
"che i paesi non hanno interamente coperto con le tasse".
"La resa dei conti è arrivata in Grecia, ma attende la
maggior parte delle società agiate". Queste possono ridurre
i pericoli "sforbiciando gradualmente i benefici futuri" in
modo da rassicurare i mercati.
Il settimanale americano Time mette in evidenza il potere
del contagio e avverte che la maggior parte dei paesi
industrializzati sono emersi dalla Grande Recessione sepolti
sotto i debiti. Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti sono
sempre più carichi di debiti governativi, nota Michael
Schuman. "Gli europei devono agire collettivamente per
stabilizzare e poi ridurre il carico del debito dei paesi
più deboli dell'eurozona. Altrimenti l'influenza greca si
spanderà al di là dell'Europa".
Les Echos in un editoriale intitolato "Dopo l'urgenza"
afferma che restano due condizioni da rispettare per
massimizzare le chances di successo dell'operazione "Notte
10 maggio". La prima è che la Germania persista nel suo
cambiamento di approccio nei confronti della questione
greca. E il fatto che si sia indebolita dopo le elezioni
"non ne farà un partner comodo quando si tratterà di fissare
le modalità del Fondo di solidarietà".
La seconda condizione è di "osare" fare le riforme che
faciliteranno la rimessa in moto della crescita. "L'eccesso
del debito, questo male che minaccia l'euro di morte,
riguarda tutti" i paesi Ue. Una Reuters, pubblicata sul sito
di Les Echos, afferma che dopo tre giorni "storici",
l'Europa è "più francese". Il presidente francese Nicholas
Sarkozy avrebbe agito da mediatore e si sarebbe assicurato
l'appoggio portoghese, italiano e spagnolo esigendo nel
contempo da loro impegni supplementari di riduzione dei
deficit pubblici.
In un'intervista su Le Figaro, Daniel Cohen spiega che
"questo piano deve permettere di evitare un giro di vite
precipitato e generalizzato". Libération parla di "Pozione
austera per l'Europa".
L'editoriale di El Pais – "Un euro governato" – sottolinea
che la tregua dei mercati reggerà solo "con duri
aggiustamenti dei paesi con più deficit". Il governo
spagnolo, ammonisce, è uno dei destinatari di questo
messaggio.
"Dopo la Grecia…le barricate arriveranno nelle strade
spagnole?" titola il sito web di Expansion. Anche la Spagna,
infatti, si prepara a stringere la cinghia. Il giornale
economico spagnolo teme conflitti sociali, scatenati dal
"detonatore" delle riforme del lavoro. Con i tagli che si
prospettano per il settore pubblico, i funzionari pubblici
diventeranno "l'avanguardia del proletariato"? E l'economia
sommersa diventerà la valvola di sfogo delle tensioni
sociali?
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Fonte - Il Sole
24 Ore
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Il
Giappone
sembra un sosia della Grecia
martedì, 11 maggio 2010 - 9:21
-
di Marco Caprotti ______________________________________________
Il Giappone sembra aver
apprezzato la tragedia greca andata in scena nelle ultime
settimane. Ma avvertono gli analisti, quando il sipario
sugli eventi ellenici sarà definitivamente calato, gli
operatori dovranno tornare a fare i conti con le prospettive
di crescita nipponiche. E allora potrebbero trovarsi di
fronte a un copione simile. L’indice Msci Japan nell’ultimo
mese (fino al 10 maggio e calcolato in euro), ha perso solo
lo 0,1%. Settimana scorsa, mentre gli operatori si
disperavano di fronte al crollo dei listini, il paniere
nipponico è cresciuto di quasi il 2,5%. Il risultato è anche
il frutto dal rapporto di cambio fra euro e yen, altrimenti
i listini nipponici sarebbero andati peggio.
Resta, tuttavia, la tendenza di fondo. Alla caccia disperata
di asset in cui parcheggiare i propri soldi, gli investitori
hanno iniziato a guardare con interesse ai risultati
trimestrali e alle previsioni di alcuni gruppi nipponici.
Fra questi, il produttore di pneumatici Bridgestone che, per
il primo semestre di quest’anno ha previsto una crescita dei
profitti dagli 11 miliardi (91,5 milioni di euro) dello
scorso anno a 27 miliardi. Stime in crescita anche per
Aoyama Trading che conta di chiudere l’esercizio con utili
per 7,3 miliardi, in salita del 30%. Ad aumentare l’appeal
dell’azionario made in Japan è stata anche Fuji Oil che ha
chiuso l’anno fiscale con un miglioramento del 43%. C’è
speranza anche per i debutti in Borsa. Il gestore di
supermercati Genky Stores conta di raccogliere sul mercato
almeno 450 milioni. A far drizzare le antenne gli
investitori sono state anche le rassicurazioni fornite dalla
Bank of Japan che, nei giorni neri d’Europa, ha cercato di
convincere gli investitori che gli istituti nipponici non
avevano “esposizioni significative” sul debito greco.
Nubi sempre più nere, intanto si stanno addensando intorno
allo stato insulare. E a spingerle, così come è successo in
Europa, sono state le agenzie di merito di credito. La
situazione finanziaria giapponese è stata messa sotto
un’ancora più stretta osservazione a gennaio quando
Standard&Poor’s ha tagliato l’ outlook sul rating AA del
Paese, portandolo da “stabile” a “negativo”.
Il carico ce l’ha messo il 22 di aprile l’agenzia Fitch,
annunciando che potrebbe rivedere il suo giudizio di AA-. A
quel punto è intervenuto il ministro delle finanze Naoto
Kan, dicendo che l’atteggiamento delle due società di
analisi cambierà a giugno, quando il premier Yukio Hatoyama
presenterà il nuovo piano fiscale. Alcuni osservatori,
intanto, alzano il sopracciglio. Carl Weinberg della società
di consulenza specializzata sui Paesi del G-7 High Frequency
Economics (HFE) nell’ultimo suo studio ha parlato senza
mezzi termini di “situazione debitoria irrecuperabile” e
“impossibilità di finanziare il deficit”.
Al di là del linguaggio diretto al limite del brusco che
tanto piace agli americani, secondo uno studio del Fondo
monetario internazionale (FMI), il Giappone ha la situazione
finanziaria peggiore del mondo industrializzato. Il debito
statale, secondo le previsioni dell’FMI, quest’anno
raggiungerà il 277% del prodotto interno lordo e il 246%
entro il 2014. Il tutto in uno scenario che prevede un calo
della forza lavorativa del 41% nei prossimi 40 anni,
rendendo progressivamente sempre più difficile pagare gli
interessi sul debito statale. In pratica: meno persone sono
in età da lavoro, minori tasse dalle loro buste paga
entreranno nelle casse statali. L’unica speranza è una
crescita del Pil che, secondo le stime di HFE, dovrebbe
essere almeno del 3% l’anno per il prossimo decennio.
La possibilità di un default del Paese, del resto, non viene
esclusa nemmeno dalla stessa BoJ che, per bocca di uno dei
suoi membri (Tadao Noda), a inizio aprile ha parlato di una
“situazione che si sta deteriorando e nella quale non si può
non parlare di pericolo fallimento”.
Il Canada
prepara
il sorpasso agli Usa
martedì, 11 maggio 2010 - 16:22
-
di Marco Caprotti ______________________________________________
Per gli americani, i canadesi
sono spesso le vittime di feroci battute riguardo alla loro
(presunta) ingenuità e alla loro (indubbia) gentilezza. Per
gli investitori, invece, il Paese al nord degli Stati uniti
sta diventando un affare molto serio. A dirlo sono, prima di
tutto, gli indici. Il listino Msci North America da inizio
anno (fino al 10 maggio e calcolato in euro) ha guadagnato
il 16%, mentre quello relativo al Canada è riuscito a tenere
il passo del grande vicino segnando +15,2%.
Ma se la storia insegna qualcosa, fra qualche mese l’America
potrebbe trovarsi a dover rincorrere e, magari, a perdere
parecchie posizioni. Nel corso del 2009, infatti, il paniere
canadese ha guadagnato quasi il 48%, mentre quello
statunitense si è dovuto accontentare di un +22,3%. Gli
elementi perché questo copione possa ripetersi, spiegano gli
operatori, sembrano esserci tutti. Secondo un report del
Fondo monetario internazionale il Canada quest’anno
registrerà il tasso di crescita maggiore fra i Paesi che
fanno parte del gruppo dei G-7. La Banca centrale del Paese,
sempre per il 2010, prevede una crescita della produzione
industriale del 3,7% e del 3,11% l’anno prossimo.
“E’ bene precisare che la recessione che dopo lo scoppio
della crisi subprime ha interessato il Canada è simile a
quella registrata negli Usa”, spiega uno studio della
società di consulenza Oxford Analytica (OA). “La produzione
industriale, invece, è andata anche peggio. Tuttavia, il
recupero dell’economia canadese è stato più forte di quello
del vicino, grazie ai suoi punti di forza: un basso
indebitamento delle famiglie, una bolla immobiliare che non
è scoppiata e un sistema finanziario poco esposto a prodotti
problematici”. Tutti elementi che continuano a dare tono
all’economia del Paese dei canucks e ai quali, secondo OA si
uniranno altri fattori. “Primo fra tutti, un aumento delle
spese personali che quest’anno dovrebbero crescere del 2,7%
rispetto al +0,2% segnato nel 2009”, continua lo studio. “Ci
sarà anche una ripresa degli investimenti superiore al 6%,
dopo la contrazione del 14,1% registrata l’anno scorso. Le
esportazioni, nel frattempo, inizieranno a recuperare tono
dopo il -14% del 2009, arrivando a +7%”.
Dal punto di vista operativo, gli analisti consigliano di
evitare il comparto auto (specializzato soprattutto sui
motori), dove la produzione sta perdendo il 35% rispetto ai
massimi toccati nel 2007 e non sembra dare segni di
risveglio, nonostante le promesse di rimbalzo che
periodicamente arrivano dai rappresentanti della categoria.
Più sicuro, al di là degli shock di queste ultime settimane,
il settore finanziario che assomiglia di più a quello
europeo, anche a livello culturale e quindi, a differenza di
quello degli Usa, è meno disposto a scommettere su strumenti
troppo complessi. Non a caso, il Canada ha forti legami con
il Vecchio continente: ha ottenuto l’indipendenza dal Regno
Unito attraverso un lungo processo di emancipazione,
svoltosi tra il 1867ed il 1982, anche se la Regina
Elisabetta II di Inghilterra continua a rimanere la sovrana.
Fonte
-
morningstar
Come funziona il meccanismo europeo
di stabilizzazione finanziaria
13 maggio 2010 –
Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Il 9 Maggio il Consiglio Europeo
ha adottato un Meccanismo europeo di stabilizzazione
finanziaria per tutelare la stabilità in Europa. Il
provvedimento trova i suoi presupposti nell'Articolo 122.2
del Trattato e in un accordo intergovernativo tra gli stati
membri della zona euro.
Qual è lo scopo del Meccanismo europeo di stabilizzazione
finanziaria (Mesf)?
«Consente di offrire assistenza finanziaria a uno stato
membro in difficoltà o alle prese con le gravi conseguenze
di una difficoltà dovuta a circostanze eccezionali al di
fuori dal suo controllo. Tale assistenza finanziaria
assumerà la forma di un prestito o di una linea di credito
offerta allo stato membro in questione».
Come funziona il Mesf?
«Nell'ambito di tale strumento, la Commissione ha la
possibilità, in base all'Articolo 122, di contrattare
prestiti sui mercati dei capitali o con alcune istituzioni
finanziarie a vantaggio dell'Unione Europea. Questo criterio
che consente di fornire assistenza finanziaria si ispira
direttamente agli strumenti di finanziamento a medio-termine
(Medium-Term Financing Facility). Questo particolare accordo
di prestito implica che non vi siano costi per l'Unione al
servizio del debito. Tutti gli interessi e il prestito
principale sono ripagati tramite la Commissione direttamente
dallo stato membro che ne beneficia. Inoltre, il meccanismo
prevede la possibilità di fornire assistenza finanziaria a
uno stato membro della zona euro tramite il cosiddetto Spv
(Special Purpose Vehicle), che sarà deciso con un accordo
tra i vari governi di tutti gli stati membri della zona
euro».
Che importo possono ricevere gli stati in base a questo
meccanismo?
La quantità di prestiti e di linee di credito disponibili
tramite questo strumento fissato dall'Articolo 122 dovrà
essere limitata al tetto stanziato nel budget Ue. E'
previsto un volume massimo di 60 miliardi di euro.
L'Spv fissato dall'accordo tra i vari governi degli stati
dell'area euro garantirà una base di prestito pro-rata fino
a 440 miliardi di euro».
Quali Paesi saranno coperti da questo strumento?
«Il Mesf è stato creato con l'obiettivo di preservare la
stabilità, l'unità e l'integrità dell'Unione Europea. Lo
strumento consente di offrire aiuto a qualsiasi stato membro
che stia vivendo una grave situazione o sia gravemente a
rischio a seguito di un'alterazione economica o finanziaria
dovuta a circostanze eccezionali che esulano dal suo
controllo. L'assistenza finanziaria con il Spv, tuttavia,
sarà fornita soltanto agli stati membri della zona euro. Gli
stati membri che non appartengono alla zona euro resteranno
in ogni caso coperti dal Balance of Payment Facility, in
virtù del quale finora la Commissione ha già erogato aiuti a
Lettonia, Ungheria e Romania».
Questo meccanismo è equiparabile a un salvataggio in
extremis?
«No, questo meccanismo consente di fornire prestiti, non
sovvenzioni. I prestiti dovranno essere pertanto ripagati
con gli interessi. In questo modo il Meccanismo è
compatibile con l'Articolo 125 del Tfeu».
Cosa deve fare uno stato memrbo per ottenere aiuto?
«Uno stato membro che intende avere aiuti finanziari
nell'ambito di tale meccanismo dovrà discutere con la
Commissione in contatto con la Banca Centrale Europea le sue
necessità finanziarie. Dovrà sottoporre quindi alla
Commissione europea e al Comitato economico e finanziario la
bozza di un programma di aggiustamento economico e
finanziario. Il Consiglio, sulla base di una proposta
presentata dalla Commissione, adotterà una decisione in
merito tramite voto della maggioranza qualificata,
concedendo l'assistenza finanziaria.
La decisione del Consiglio dovrà includere la cifra massima,
il costo e la durata dell'aiuto finanziario, il numero di
rate che dovranno essere versate e le condizioni e le prassi
principali da espletare in relazione agli aiuti. Dovrà
incaricare la Commissione della responsabilità di negoziare
un memorandum di intesa con il Paese in questione,
dettagliando tutte le condizioni previste».
Come si procederà a controllarne l'applicazione?
«La Commissione monitorerà da vicino che lo stato membro
beneficiario rispetti le condizioni previste per
l'erogazione del prestito, in sintonia e collaborazione con
la Bce, prima che le rate siano erogate. Se si giungerà alla
conclusione che le condizioni sono state rispettate, si
proporrà ai partecipanti di erogare i prestiti».
Qual è il presupposto legale di questo Meccanismo?
«Il meccanismo si basa su una decisione del Consiglio
europeo adottata in conformità all'Articolo 122, che
richiede la maggioranza qualificata in Consiglio, che il
Parlamento ne sia informato, e che vi sia un accordo tra i
vari governi».
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Traduzione -
Anna Bissanti |
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Fonte -
Consiglio europeo |
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Fonte - Il Sole
24 Ore
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I
dieci perché
della crisi dell'euro
17 Maggio 2010 –
di Fabrizio Galimberti
________________________________________
I piani di risanamento all'esame dell'Ecofin
Niente sarà più come prima. La crisi greca va ben al di là
della situazione difficile di un paese minore (la Grecia
conta solo il 2,5% dell'attività economica nell'Eurozona).
Ma allo stesso tempo questa crisi ha sbattuto in faccia ai
paesi dell'euro un problema di cui si sapeva l'esistenza ma
si continuava a rimandare la soluzione. Qual era questo
problema? Che cosa è veramente successo? L'euro ha rischiato
grosso? Che ruolo ha avuto la speculazione? E che cosa
succederà? Proviamo a chiederci alcune domande e a dare le
risposte.
L'euro è stato creato una decina di anni fa. Quel glorioso
concerto di monete che si sono fuse in una sola era, fin
dall'inizio, una «sinfonia incompiuta»?
Ebbene, sì. Era una sinfonia incompiuta perché nella storia
non si era mai dato il caso di un gruppo di paesi che
decidevano di mettere in comune la moneta conservando però
ognuno la propria sovranità negli altri campi dell'agire. O,
se si era dato, le aree a moneta unica che ne erano
scaturite avevano avuto vita breve. I soli casi di aree
monetarie a vita lunga erano e sono quelli in cui c'è una
sola moneta e un solo stato.
Allora, fare la moneta unica voleva dire mettere il carro
avanti ai buoi?
Sì, ma mettere il carro avanti ai buoi non fu un gesto
disattento: fu un rischio calcolato. La strategia era
questa: sappiamo che la moneta unica, per funzionare bene,
ha bisogno che gli stati membri proseguano nell'integrazione
mettendo in comune le politiche anche in campi fuori da
quello monetario. E speriamo che questo succeda, che il
fatto di avere una politica monetaria unica porti anche ad
avere una politica di bilancio unica, a rimuovere i
rimanenti ostacoli a un mercato unico, a incoraggiare la
mobilità per gli insediamenti di imprese e per i lavoratori
da un paese all'altro della comunità europea.
Se era un rischio calcolato è stato calcolato male. La crisi
greca ha portato molti a dubitare dell'euro, c'è chi parla
di uscire dall'euro, o di fare un euro-nord e un euro-sud,
insomma di un'avventura che finisce male.
Anche le case anti-sismiche possono crollare quando arriva
un terremoto di violenza mai registrata prima. Bisogna
rendersi conto del fatto che la crisi greca è arrivata dopo
un uno-due di portata assolutamente imprevedibile. La più
forte recessione degli ultimi ottant'anni ha colto tutti di
sorpresa, e questo evento inatteso si è coniugato a un altro
evento che non appartiene agli scenari del probabile: il
caso di un paese che aveva, semplicemente, imbrogliato i
conti pubblici. Questa coincidenza di due eventi altamente
improbabili ha portato a una crisi che ha messo a nudo
quella parte incompiuta della sinfonia della moneta unica:
la mancanza di una politica di bilancio anch'essa unica. Se
i paesi dell'euro avessero avuto una sola politica di
bilancio, una sola autorità incaricata di redigere e gestire
il bilancio unico non ci sarebbero stati imbrogli. Ma
naturalmente questo passo è molto più difficile: avere un
bilancio unico vuol dire colpire al cuore la sovranità, vuol
dire avere un grado di integrazione che oggi è politicamente
impossibile.
Ma tutto questo è peggio di una sinfonia incompiuta.
Imbrogli e indecisioni sono delle note stonate, sono una
serie di stecche. Come nel loggione della Scala, sono
partiti i fischi e gli speculatori hanno attaccato l'euro.
I governanti amano parlare di speculazione, ma in questo
caso si tratta di normale prudenza, più che di speculazione.
Pensiamo ai titoli greci. La Grecia ha un grosso deficit di
bilancio, e deve finanziare non solo il disavanzo, ma anche
il rinnovo dei titoli che scadono. Per speculare non c'è
bisogno di particolare malvagità. Quando si parla di
speculatori si pensa a gente che gioca al ribasso vendendo i
titoli greci. Ma per mandare in tilt il mercato dei titoli
greci non c'è bisogno di vendere, basta non rinnovare i
titoli che scadono, cosa che appartiene alla prudenza del
buon padre di famiglia.
Allora, il buon padre di famiglia dovrebbe tenere i risparmo
in euro o investirli in dollari o altre monete?
Se il padre di famiglia riceve lo stipendio in euro, è
meglio non correre rischi di cambio e mantenere i risparmi
nella moneta che si conosce, che è sempre meglio del diavolo
che non si conosce.
Sarà, ma siamo tutti cittadini dell'euro, e dovremmo avere
fiducia nella nostra moneta. Invece sembra che i mercati di
fiducia ne abbiano poca.
Ci saranno sempre profeti di sventura che amano parlare
dell'euro come di una moneta in bilico, se non un
esperimento fallito. Ma la verità è che quel che è successo
è stato, tutto sommato, per il meglio. L'euro si è
indebolito, ma solo al livello di un anno fa, quando non
c'era nessuna crisi greca. Gli alti e bassi della moneta
unica sono assolutamente fisiologici. Ricordiamoci che nei
primi anni dell'euro il cambio col dollaro, che oggi è a
1.25, era sceso addirittura ben sotto l'1, a 0.82. E la
crisi ha avuto il grande merito di costringere i governi
dell'Eurozona ad approfondire il coordinamento delle
politiche di bilancio, a mettere in opera procedure di
sorveglianza dei conti più efficaci di quelle attuali (per
evitare imbrogli e dintorni), a mettere in gioco schemi di
soccorso e piani di finanziamento che costituiranno un utile
modello per fronteggiare altre crisi.
Allora, non tutto il male viene per nuocere. Ma i mercati
non hanno apprezzato le indecisioni e il tempo perduto
nell'arrivare a mettere in campo il pacchetto di soccorso.
Più che un pacchetto, si tratta di un grosso pacco di
misure, senza precedenti per stazza e per architettura.
Oltre alle misure ci sono le dichiarazioni, che, nel caso
dei due paesi-chiave dell'Eurozona - Francia e Germania -
sono sorprendentemente chiare e decise. I paesi dell'euro
hanno capito la posta in gioco e quelle dichiarazioni
sottendono una comunanza di intenti e una fermezza nelle
decisioni che avrebbero fatto molto piacere ai padri
fondatori della moneta unica. Ma è vero che prima di
arrivare a questa positiva conclusione vi sono stati molti
tentennamenti e molte sfilacciate discussioni.
Anche a proposito dell'intervento del Fondo monetario. C'era
chi lo vedeva addirittura come una intromissione negli
affari interni dell'area euro.
In effetti ci sono state alcune infelici dichiarazioni in
questo senso, un po' come se i pompieri intenti a domare un
incendio vedessero di cattivo occhio l'arrivo di
un'autobotte da un'altra caserma di vigili del fuoco. Ma
alla fine la saggezza ha prevalso. Il combinato disposto del
soccorso Ue+Fmi è la soluzione più efficace. Anzi, avrebbero
dovuto essere gli stessi paesi dell'euro a farsi parte
diligente chiedendo al Fondo di aggiungersi alla squadra. Se
qualcuno deve imporre al governo greco delle misure di
risanamento del bilancio, è sempre meglio avere nella
squadra qualcuno che non fa parte della 'famiglia', che
rivesta il ruolo di un mediatore esterno. E il Fondo ha la
possibilità - una possibilità costruita sulla prassi di
tante altre crisi passate - di imporre una stretta
condizionalità agli aiuti (ti diamo i soldi solo se tu fai
le seguenti cose: a, b, c...).
E ora che cosa succederà?
L'euro ha affrontato la più grossa crisi della sua storia,
una crisi, come detto prima, sorta da una peculiare
congiunzione astrale, la coincidenza di una devastante
recessione e di un disordine colposo nei conti di un paese
membro. Questa crisi è stata superata, e, anzi, ha generato
un sia pur sofferto tentativo (riuscito) di collaborazione
istituzionale, portando a un più alto gradino il livello di
integrazione delle politiche di bilancio: in questo senso,
come detto all'inizio, "nulla sarà più come prima". La
"sinfonia incompiuta" dell'euro è oggi un po' meno
incompiuta di prima. I mercati saranno ancora inquieti per
un po' di tempo, ma il momento peggiore della crisi è
superato.
I mercati temono però un'altra cosa: temono che le misure
imposte alla Grecia, così come le altre restrizioni di
bilancio adottate o adottande da Spagna e Portogallo, non
saranno applicate a causa di dissensi politici e di reazioni
(vedi tumulti in Grecia) del corpo sociale.
Queste preoccupazioni sono legittime, ma non costituiscono
solo un problema dell'euro. Stati Uniti, Gran Bretagna e
Giappone - dollaro, sterlina e yen - hanno problemi simili,
dato che in nessuno di quei paesi c'è un "piano credibile"
di rientro dal deficit. Non c'è quindi ragione perché l'euro
debba essere particolarmente punito rispetto alle altre
monete.
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Fonte - Il Sole
24 Ore
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Sabato 22 Maggio 2010 |
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Giovedì 27
Maggio
2010 |
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Sabato 29 Maggio 2010 |
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Euro:
l'idea di una rottura e' ridicola. Parola di Goldman
Pubblicato il 17 maggio 2010 |
Ora 20:30 -
di WSI ______________________________________________
Dopo aver pronosticato una
ripresa a V dell'economia mondiale, il capo della ricerca
economica mondiale di Goldman Sachs, Jim O'Neill, ha detto
che e' "ridicolo" sostenere che il blocco dell'area
dell'euro si sfaldera' entro il prossimo anno e ha previsto
che la fase di declino della valuta sia ormai volta al
termine.
I pronostici catastrofici si basano "su un semplice
equivoco: le persone cercano di equiparare la pura logica
economica alla realta' politica sociale", ha dichiarato O'Neill
in un'intervista tenuta con Bloomberg dal suo ufficio di
Londra. "I tedeschi e i francesi sono impegnati con passione
nella strenua difesa dell'euro, che lo si accetti o no".
Oggi la moneta unica e' scesa al livello piu' basso in oltre
quattro anni contro il dollaro, in gran parte a causa della
preoccupazione circa l'efficacia del maxi piano da 1000
miliardi dollari varato dai ministri delle Finanze la
settimana scorsa. Il timore e' che il pacchetto architettato
per garantire la stabilita' dell'euro non ridurra' gli
squilibri economici all'interno della regione delle 16
nazioni. Christopher Wood, equity strategist chief presso
CLSA Asia Pacific Markets, oggi ha previsto che "prima o
poi" la moneta scivolera' sulla parita' rispetto al dollaro
americano.
"Si tratta di 60 anni di storia di un processo ancora alle
prime fasi della sua trasformazione, dunque l'idea che
l'euro cadra' al primo vero test della sua credibilita' mi
sembra altamente improbabile", ha proseguito O'Neill.
"Potrebbe anche essere che tra 20 anni non esistera' piu'
l'euro, ma l'idea che scomparira' entro l'anno prossimo
perche' il mercato ha paura per le esigenze finanziarie di
Spagna e Portogallo e' semplicemente ridicola".
I governi nazionali dell'area devono piuttosto utilizzare la
crisi come un'opportunita' per rivedere la governance del
blocco Ue, altrimenti il rischio di una rottura crescera'
con il tempo. I ministri delle Finanze della regione si sono
riuniti oggi a Bruxelles per esaminare le modalita' tali da
essere in grado di coordinare piu' da vicino, spalla a
spalla, le loro politiche.
O’Neill ha spiegato a Bloomberg che l'opinione generale
prevalente e' che l'euro si indebolira' ulteriormente. Delle
600 persone a cui si e' rivolto di recente, solo tre hanno
predetto che la moneta si sarebbe rafforzata.
Un mese fa colui che e' diventato famoso al grande pubblico
per aver coniato l'acronimo BRIC, riferito alle economie in
via di sviluppo di Brasile, Russia, India e Cina, aveva
indicato a $1.22 il fair value per il cross euro/dollaro.
Ora vede un piu' realistico un calo a quota $1.20.
Ci sono molti lati deboli alla base dell'unita' monetaria
europea e "questa crisi sta dimostrando quali sono tali
debolezze. Il problema principale e' dato dall'incapacita'
di avere un'autorita' fiscale centrale e (i leader dell'Ue)
dovranno affrontarlo".
"Il prossimo collasso dell'economia americana"
e' un video che sta facendo il giro del mondo sul web
Pubblicato il 17 maggio 2010 |
Ora 23:22 Fonte: WSI -
di WSI ______________________________________________
Si intitola Meltup, "The
Beginning Of US Currency Crisis And Hyperinflation", questo
video "virale" su YouTube preparato da Inflation.us che Wall
Street Italia presenta per prima nel nostro paese. L'audio
e' inglese, dura un'ora, la visione e' sconsigliata a chi si
ostina a voler ignorare la verita' sullo stato di salute del
sistema economico-finanziario degli Stati Uniti e di
conseguenza di tutte le economie mondiali. Inflation.us ha
come missione "Preparare gli americani all'iperinflazione".
Sono concetti che i lettori e abbonati di WSI - che siano
deflazionisti o inflazionisti (la seconda e' la tesi del
video) - conoscono gia' molto bene. Ma si tratta di idee
economiche ovviamente considerate poco "ortodosse" dai vari
establishment in quanto vanno ben al di la' delle critiche
tollerabili dalla propaganda dei "poteri forti". Mandate
questo video YouTube a colleghi di lavoro, amici,
conoscenti, piu' circole meglio e'. Per far crescere la
consapevolezza generale sullo stato di salute dell'economia
mondiale. Se qualcuno attrezzato tecnicamente poi si
prendesse la briga di tradurre l'audio dall'inglese in
italiano, per favore ce lo faccia sapere, sarebbe un'ottima
cosa.
http://www.youtube.com/watch?v=eb1n1X0Oqdw&feature=player_embedded#!
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
Come la
Francia
potrebbe
uscire dall’euro
18/05/2010
-
di miaeconomia.leonardo.it ______________________________________________
La caduta verticale dei mercati
nella seduta di venerdi’ e’ stata alimentata anche da una
indiscrezione che voleva il presidente francese Sarkozy
minacciare la Cancelliera tedesca Merkel di uscita della
Francia dall’Unione Europea se la Germania non avesse
approvato il piano di aiuti per la Grecia. Gia’ nelle scorse
settimane si era paventata la possibilita’ che la Grecia
potesse abbandonare l’euro e uscire dall’Eurogruppo. In
realta’ il trattato di Maastricht non lo prevede, mentre il
Trattato di Lisbona dell’Unione Europea, entrato in vigore
il 1° dicembre 2009, afferma, in modo espresso, il diritto
di ogni Stato di uscire dalla Ue (articolo 50). Ne consegue
che l'unica strada possibile, per la Francia o la Grecia o
di qualsiasi altro stato membro, per uscire dall’Eurozona e’
quella di uscire del tutto dall'Unione Europea. Un'ipotesi
del tutto teorica ma tecnicamente possibile. L’uscita dalla Unione Europea
richiede alcuni passaggi. Il primo e’ quello di comunicare al
Consiglio degli stati membri la decisione di volere lasciare
l’Ue. Ne segue una discussione negoziale tra Unione Europea e
stato membro al fine di trovare un accordo che stabilisca la
procedura dell’abbandono. Tale accordo una volta votato a
maggioranza dal Consiglio, passa all’approvazione
dell'Europarlamento. Se a chiedere l’uscita dall’Ue fosse un
Paese dell’euro l’abbandono dell’Unione Europea porterebbe in
automatico all’abbandono anche dell’Eurozona. Se poi
successivamente il Paese volesse rientrare nell’Unione o
nell’Eurozona, dovrebbe, in linea sempre teorica, sottoporsi
nuovamente alle ordinarie procedure di adesione.
La violazione dei parametri di Maastricht, il cui rispetto
e’ obbligatorio per entrare a far parte del club dell’euro, non
prevede la possibilita’ dell’espulsione dalla moneta unica, ma
solo l'applicazione di sanzioni a seguito delle violazioni. Il
Consiglio Ue, su indicazione della Commissione, verifica il
disavanzo eccessivo e trasmette la raccomandazioni allo stato
membro. La mancanza di interventi nella direzione di una
correzione del disavanzo del Paese sotto analisi, porta il
Consiglio ad una ulteriore raccomandazione di intervento entro
un termine stabilito, trascorso il quale segue l’applicazioni di
sanzioni.
Fed,
rivista al rialzo la crescita Usa
20/05/2010
-
di miaeconomia.leonardo.it
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Ieri sera la Federal Reserve
(Fed) ha reso noti i verbali relativi all’ultima riunione
della Banca Centrale americana. Un appuntamento molto atteso
dal mercato perche’ offre la visione della Fed sulle
prospettive dell’economia, e in particolare della crescita
economica americana, dell’inflazione e dell’andamento dei
tassi. Non sono mancate le note positive, che per altro
hanno permesso ieri a Wall Street di chiudere riducendo le
perdite sotto il punto percentuale dopo una prima parte di
seduta in pesante flessione.
Per la Banca Centrale Usa la ripresa della congiuntura
dovrebbe rivelarsi superiore alle attese, in virtu’ non solo
di un miglioramento della crescita ma anche di un calo della
disoccupazione, che favorira’ la ripresa dei consumi, vero
motore dell’economia a Stelle e Strisce. In quest’ottica la
Federal Reserve ha ritoccato verso l’alto le previsioni di
crescita del Pil statunitense per il 2010 puntando su una
variazione positiva al 31 dicembre compresa tra il 3,2% e il
3,7%, rispetto al range individuato a gennaio scorso tra il
2,8% e il 3,5% Riguardo il mercato del lavoro,
quest’anno il tasso di disoccupazione dovrebbe rimanere compreso
tra il 9,1% e il 9,5%, ma in miglioramento rispetto alle
precedenti stime tra il 9,5% e il 9,7%. Nel 2011 il tasso
dovrebbe scendere nel range tra l‘8,1% e l‘8,5%.
L’inflazione secondo la Fed dovrebbe crescere meno del
previsto. E infatti ieri il dato dell’indice dei prezzi al
consumo ad aprile ha segnato una variazione negativa dello 0,1%,
la prima dal 2009, mentre il mercato si aspettava un rialzo
dello 0,1%. La versione core, senza le componenti piu’ volatili
quali alimentari ed energia, e’ rimasta invariata rispetto a
marzo, mentre gli analisti si attendevano un progresso dello
0,1%. Segnale, questo, che rassicura gli operatori sul fronte
tassi.
Fonte
-
miaeconomia.leonardo.it
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Quelli
che la crisi manda a fondo
Pubblicato il 24 maggio 2010 |
Ora 14:27 – di Rosarai Amato
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Troppo grandi per fallire, troppo piccoli per essere
aiutati. La crisi finanziaria che ha investito il mondo
dalla fine del 2007 ha visto soccombere tutti: le imprese,
le banche, le famiglie, la finanza, persino i governi, e
adesso come nuova possibile vittima c'è anche una divisa,
l'euro. Eppure, qualcuno è stato salvato, molti sono stati
mandati ancora più a fondo. Lo ricorda, con accuratezza di
dati e di cifre, il Rapporto sui diritti globali 2010,
presentato stamane nella sede della Cgil a Roma dal curatore
Sergio Segio, l'ex terrorista di Prima linea da anni
impegnato nel sociale.
"Viviamo in una società sempre più spaventata del futuro, in
cui i legami sociali sono sempre più deboli e quindi più
fragile la sua coesione - rileva il segretario della Cgil
Guglielmo Epifani - crescono l'individualismo e
l'antagonismo laddove servirebbero relazioni e solidarietà".
Dalla crisi non sembra emergere un mondo migliore: "Passata
la paura - dice Segio - tutto è tornato come rpima: banche e
holding finanziarie e assicurative a macinare profitti,
lavoratori a tirare la cinghia".
Un ceto medio sempre più povero. Questo perché, ricorda
Sergio, "l'inevitabile corrispettivo e conseguenza del too
big to fail, del troppo grandi per fallire, è che vi sono i
troppo piccoli, troppo deboli e troppo senza potere per
essere aiutati. Anzi, sono loro a essere costretti ad
aiutare i grandi - grandi e voraci - attraverso l'eterno
gioco fondato sulla privatizzazione dei profitti e sulla
socializzazione delle perdite". Un giudizio troppo
ideologico? Ci sono numeri e percentuali che lo sostengono.
Limitandosi all'Italia, i dati parlano per il 2008 di
2.737.000 famiglie (l'11,3% del totale, con un incremento
dello 0,2% sul 2007) in condizioni di povertà relativa. Con
il ceto medio in bilico, pronto a raggiungere la parte più
svantaggiata della popolazione: "1,8 milioni di famiglie
giovani, a reddito medio-alto - si legge nel rapporto -
soffrono a causa del mutuo per la casa, che porta il 56,5%
di loro ad arrivare con difficoltà alla fine del mese, il
54% a non poter accantonare un solo euro".
Poveri lavoratori. Non solo: "Nel 2009 le famiglie italiane
si sono indebitate per 524 miliardi di euro, più del 2008,
21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti,
il debito annuo è di 15.900 euro, il 79,4% per la casa e il
resto per consumi diversi". Pensare che un tempo gli
italiani erano un popolo di risparmiatori, e il risparmio
era tale da costituire una barriera di protezione contro le
crisi finanziarie. Adesso questo risparmio s'è dissolto.
Tra le ragioni principali ci sono i salari troppo bassi, al
palo da un decennio: "Avere un lavoro non protegge
dall'impoverimento. 13,6 milioni di lavoratori guadagnano
meno di 1.300 euro netti al mese, di cui 6,9 milioni meno di
1.000". "In sei anni, tra il 2002 e il 2008, il reddito
netto familiare ha perso ogni anno 1.599 euro tra gli
operai, 1.681 euro tra gli impiegati". E quindi, nel 2009
"il 10% degli occupati è sotto la soglia della povertà
relativa (un dato tra i peggiori dell'Unione Europea, che
conta in media l'8%)". Nel 2007 la percentuale era
dell'8,6%. Sono quelli che le statistiche definiscono
"working poor", poveri con un'occupazione, solo un po' meno
poveri dei disoccupati.
L'emergenza casa. Gli aumenti dei prezzi, della
disoccupazione e il livellamento verso il basso dei salari
hanno aggravato l'emergenza casa. Entro il 2011, si legge
nel rapporto, si stima che 150.000 famiglie italiane saranno
sfrattate e perderanno così l'abitazione. L'affitto incide
sui redditi dei pensionati e lavoratori dipendenti tra il 30
e 70%. Nel 2008 risulta un 18,6% in più di sfratti esecutivi
rispetto al 2007. In Italia i senzatetto sono stimati tra 65
mila e 120 mila. Il problema è più grave per le famiglie
straniere: 1 milione e 300.000 sono in affitto. L'85% ha un
contratto non registrato o registrato per un canone
inferiore al reale, "l'affitto di posti letto avviene in
piena violazione delle norme, l'addebito di spese
condominiali va spesso oltre il consentito e il legale, gli
alloggi sono senza dotazioni minime nè certificazioni".
C'è poi l'altro lato della medaglia. Nell'introduzione al
rapporto Segio elenca uno dietro l'altro i superbonus e i
superemolumenti ottenuti in tempi recentissimi dai manager
di banche e imprese, sfidando le accuse di demagogia: "Carlo
Puri Negri (ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re) con
14 milioni di euro, nonostante la società abbia chiuso
l'anno con un passivo di 104 milioni; poi vengono Claudio De
Conto (ex direttore generale di Pirelli) con 7,3 milioni e
Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli) con 5,6
milioni".
Citati anche i top manager Fiat, nell'anno delle
ristrutturazioni e degli annunci di lacrime e sangue: "l'ad
Sergio Marchionne, ha percepito 4 milioni e 782 mila euro,
poco meno dell'ex presidente della Fiat Luca Cordero di
Montezemolo che ha incassato, sempre nel 2009, cinque
milioni e 177 mila euro". Le banche non sono state da meno,
tanto che, conti alla mano, "con il compenso di 100 top
manager si potrebbero insomma pagare i salari di 10.000
lavoratori". Del resto è andata così anche nel resto del
mondo: "Complessivamente, secondo uno studio del Wall Street
Journal, i 38 maggiori istituti finanziari hanno distribuito
ai loro collaboratori145 miliardi di dollari, con un
incremento del 18% rispetto allo scorso anno e superando
persino il 2007, l'ultimo anno della bolla speculativa prima
del crac".
Invertire la rotta. C'è ancora la possibilità di invertire
la rotta, di "non sprecare una buona crisi", come alcuni
economisti ed esponenti politici hanno suggerito negli
ultimi mesi? La Cgil ha una sua ricetta: "Uno dei principali
punti di forza di un nuovo modello di sviluppo economico -
sostiene Epifani - deve essere la convergenza fra reti di
imprese sul territorio e reti telematiche. Questo non è un
processo spontaneo, ma va perseguito con politiche mirate al
recupero del ritardo strutturale del nostro paese
nell'adozione di tecnologie innovative. L'Italia ha bisogno
di un progetto forte anche sulle nuove frontiere della green
economy, delle biotecnologie e della salute, delle
infrastrutture materiali per una migliore mobilità e di
quelle immateriali, costituite da reti relazionali complesse
tra istituzioni, cultura, economia, ecologia e comunità
locali".
Rilanciare il Paese. Non si tratta solo di aiutare i più
deboli, ma anche di rilanciare il paese che, ricorda il
segretario della Cgil, "ha un gap di competitività nei
confronti di altri Paesi anche perché non ha saputo
scommettere sul sapere e sull'innovazione sociale e
tecnologica". Al di là delle continue rassicurazioni del
governo sul fatto che "il peggio sarebbe passato e
addirittura l'Italia avrebbe reagito meglio di altri Paesi".
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Fonte - La
Repubblica
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Merkel:
tassa sulla finanza
24 maggio 2010
-
di Beda Romano ______________________________________________
Dopo mesi di apparenti incertezze
e tatticismi il cancelliere Angela Merkel sta cercando di
mostrare leadership. Ieri ha tentato ancora una volta di
convincere i tedeschi ad accettare il pacchetto di aiuti
europei ai paesi più deboli della zona euro, cavalcando
l'idea di una tassa sulle attività finanziarie. L'ipotesi è
ancora tutta da definire, ma è vista di buon occhio da
un'opinione pubblica molto critica nei confronti delle
banche.
«Non bisogna essere particolarmente perspicaci per
indovinare che non sarà un tema su cui ci accorderemo fin
dalla prima cena - ha detto la signora Merkel durante una
conferenza a Berlino - ma non penso che faremmo fallire i
mercati se introducessimo una tassa internazionale. Farò
campagna in questo senso». L'idea circola da qualche
settimana. Verrà discussa in occasione di un vertice del
G-20 in Canada alla fine di giugno.
In un momento di accese critiche al sistema bancario,
accusato da più parti in Germania di essere responsabile
della crisi finanziaria, il cancelliere tedesco vuole
assolutamente strappare un accordo a livello internazionale
da usare anche in politica interna. Ma non è chiaro a cosa
pensi il governo tedesco: a una Tobin Tax, in altre parole a
un'imposta sulle transazioni finanziarie? O a una tassa
sulle attività finanziarie, come proposto dal Fondo
monetario internazionale?
In ogni caso, «la mia richiesta al G-20 e alla presidenza
sud-coreana (che prenderà dal Canada la guida di questo
consesso nei prossimi mesi, ndr) è la seguente: penso che
questo compito debba essere portato avanti anche dai paesi
che non sono stati toccati dalla crisi», ha detto la signora
Merkel durante una conferenza organizzata per illustrare le
priorità tedesche nella regolamentazione finanziaria. Il
tema di una tassa sui mercati ha già suscitato dissensi nei
mesi scorsi.
Ieri il segretario al Tesoro canadese Tim Macklem ha ammesso
che «non vi è un consenso» sulla questione e «mancano
soluzioni uniformi». La Francia, in particolare, ha seguito
l'esempio tedesco nelle scorse settimane con la messa a
punto di una tassa nazionale sui profitti bancari, ma ieri
il ministro delle Finanze Christine Lagarde è rimasto vago
su un'imposta più generale: siamo «sulla stessa linea», ha
detto, senza però precisare quale essa sia.
La verità è che la Germania sta combattendo su più fronti in
modo confuso. Negli ultimi giorni, il governo
democristiano-liberale ha presentato un programma di
rafforzamento del patto di stabilità; ha vietato
unilateralmente le vendite allo scoperto; ha insistito
sull'idea di una tassa sui mercati finanziari. Dopo mesi di
incertezze dinanzi agli sviluppi della crisi greca, il
cancelliere è partito all'attacco per meglio difendere le
priorità tedesche.
A breve termine probabilmente il suo obiettivo è quello di
rassicurare l'opinione pubblica tedesca, preoccupata dalla
crisi dell'euro e arrabbiata con le banche per la gravissima
crisi finanziaria. Oggi il parlamento tedesco - uno dei
primi a compiere questo passo - dovrebbe approvare un
pacchetto composto da garanzie finanziarie per 440 miliardi
di euro che serviranno ad aiutare gli anelli deboli della
zona euro. La quota tedesca è di circa 130 miliardi.
Questo paracadute europeo non piace a molti in questo paese.
Ieri il presidente dell'istituto bavarese Ifo Hans-Werner
Sinn ha sostenuto che non vi sono in questo momento «rischi
sistemici». Al contrario, secondo l'economista tedesco, il
pacchetto finanziario a favore della zona euro «comporta
incalcolabili pericoli per la Germania e provocherà
sicuramente un rallentamento della sua crescita economica».
Secondo il capogruppo della Cdu al Bundestag Volker kauder
il passaggio del progetto di legge è da considerarsi cosa
fatta. Ieri i partiti hanno organizzato un voto di prova che
ha avuto successo, tenuto conto dell'ampia maggioranza
Cdu-Fdp alla Camera Bassa: solo sette deputati della
coalizione di governo hanno votato contro e due si sono
astenuti. Dal canto suo il partito socialdemocratico ha
detto che in linea di massima si asterrà.
Fonte
- ASCA
Il conto
salato
delle mancate riforme
24 maggio 2010 - 16:08
-
di Sara Silano ______________________________________________
In un rapporto pubblicato a fine
2009, Allianz Global Investors indicava la Grecia come il
Paese europeo con il maggior bisogno di una riforma
pensionistica. La mancata attuazione ha portato alla crisi
attuale, che ha messo in ginocchio l’intera Europa. Ma Atene
non è l’unica nazione che rimanda i cambiamenti strutturali
al sistema previdenziale, sottovalutando i pericoli di
default che derivano dal progressivo invecchiamento della
popolazione.
Secondo l’indice sulla sostenibilità delle pensioni
elaborato da Allianz GI, che tiene conto delle condizioni
demografiche, delle finanze pubbliche e delle
caratteristiche del sistema previdenziale di ciascun Paese,
anche la Spagna ha urgente bisogno di riforme, mentre il
Portogallo ha imboccato nel 2009 la strada del cambiamento,
agganciando il reddito della fase post-lavorativa
all’aspettativa di vita. L’Italia è messa un po’ meglio dato
che negli anni passati ha fatto alcuni sforzi per ridurre
l’incidenza della spesa per le pensioni sul Prodotto interno
lordo. Rimane, tuttavia, la nazione che, dopo la Spagna, sta
invecchiando più rapidamente. Sul fronte opposto c’è l’area
scandinava e la Danimarca, meglio posizionate dal lato
demografico e previdenziale.
Maglia nera a Cina e India A livello mondiale, i Paesi che
hanno maggior urgenza nell’attuare le riforme sono la Cina e
l’India, perché hanno un sistema inadeguato. Il dato può
sorprendere dato che queste nazioni non hanno i problemi di
invecchiamento della popolazione che ora stanno mettendo a
dura prova l’Europa. In realtà, come ha spiegato Alexander
Borsch, analista del settore pensionistico per Allianz GI,
durante la conferenza sull’Asia di RCM ad Amburgo,
l’aspettativa di vita è cresciuta rapidamente nell’area del
Pacifico, con conseguente aumento degli ultra-sessantenni.
Inoltre, dagli anni Sessanta ad oggi il tasso di fertilità
(numero di bambini per ogni donna) è sceso drasticamente.
“La popolazione cinese in età lavorativa avrà il suo picco
tra il 2010 e il 2011, poi scenderà rapidamente”, dice
Borsch. “Entro il 2050, gli ultra-sessantenni saranno un
terzo del totale nell’ex celeste impero, più di tutti gli
abitanti degli Stati Uniti”. I processi di invecchiamento
saranno più veloci in Asia rispetto all’Europa, come
conseguenza degli elevati tassi di sviluppo economico, delle
politiche di contenimento delle nascite, di un progressivo
maggior benessere e dell’allargamento delle opportunità
lavorative per le donne.
I sistemi previdenziali in quest’area sono stati introdotti
solo dopo gli anni Novanta e sono ancora in uno stato
embrionale; tuttavia il loro sviluppo avviene con dinamiche
demografiche più favorevoli rispetto all’Europa, dove le
riforme sono urgenti perché l’invecchiamento della
popolazione è a uno stadio più avanzato. Insomma, l’Asia non
deve correggere un sistema che non è più in grado di
sostenersi, ma partire dal nulla (o quasi) per costituirlo.
“Lo schema preferito è quello a contribuzione definita (in
cui è predeterminato l’importo da versare al fondo, ndr )”,
dice Borsch. “Esso è caratterizzato da portabilità,
trasparenza e dal trasferimento del rischio
dell’investimento e di longevità sul lavoratore”.
Virtuosi e non Collocata nello spettro globale, il Vecchio
continente si colloca ai due estremi sulla base dell’indice
di sostenibilità: la Grecia viene dopo India e Cina come il
Paese peggio posizionato, mentre la Svezia è quello più
virtuoso dopo l’Australia, che è in assoluto il migliore. Il
motivo? Il suo sistema è basato su una bassa pensione
pubblica e uno sviluppato settore della previdenza
integrativa. Per le nazioni “gravemente insufficienti” dal
punto di vista delle riforme, il problema è politico e
sociale e non va sottovalutato o procrastinato, perché se il
reddito dei pensionati non sarà sufficiente per vivere
aumenterà la povertà e la necessità di attuare piani di
aiuto straordinari, molto difficili da praticare per i Paesi
fortemente indebitati. Fonte
-
www.morningstar.it
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