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I
dieci gioielli offuscati nel forziere di
Dubai World
01 Dicembre 2009 10:23 DUBAI -
dall'inviato Angelo Mincuzzi –
Il Sole 24 Ore
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Dp World
È il vero gioiello della conglomerata Dubai World. Dp World
è uno dei più grandi operatori portuali al mondo con 50
terminal in 32 paesi e 30mila addetti. Dubai World controlla
il 77% delle azioni di Dp World. Nonostante il calo dell'8%
del movimento dei suoi container quest'anno, la società è
ottimista sulla sua profittabilità per il prossimo anno e
sta sviluppando 12 progetti nel mondo. La società è quotata
al Nasdaq Dubai. Dp World ha annunciato che la
ristrutturazione del suo debito non riguarderà Dp World, che
possiede asset di gran lunga superiori ai suoi debiti.
Nekheel
È l'anello più debole fra tutte le società di Dubai World.
Il 14 dicembre dovrà restituire un bond da 3,5 miliardi di
dollari e ha chiesto la sospensione delle quotazioni delle
sue obbligazioni alla Borsa di Dubai. Ha costruito Palm
Jumeirah, l'isola a forma di palma, e progettava altre due
grandi isole analoghe, i cui lavori sono ora sospesi. Tra i
suoi progetti c'è anche "The World", un arcipelago di isole
che viste dall'alto replicano continenti e i paesi della
terra. Ma i suoi piani non si fermano qui. È prevista anche
la costruzione di un grattacielo alto un chilometro, che
potrà ospitare al suo interno una città di 20mila persone, e
lo sviluppo di una penisola - il Waterfront - delle
dimensioni pari a due volte Hong Kong. Questi piani sono
stati ora rinviati. Dubai World ha consolidato sotto Nakheel
tutti i suoi progetti immobiliari a eccezione di quelli
collocati all'interno di un'altra società, Limitless.
Istithmar
Creata nel 2003 come braccio per gli investimenti di Dubai
World, è diventata famosa per alcune acquisizioni in tutto
il mondo. Ha rilevato la catena americana del lusso Barneys
New York, il W Hotel a Manhattan e il Cirque du Soleil.
Possiede quote della Perella Weinberg Partners, della
compagnia aerea low-cost indiana SpiceJet, della Standard
Chartered Bank e della società di investimenti alberghieri
Kerzner International. I suoi investimenti in azioni intorno
al mondo sono superiori a 2,6 miliardi di dollari.
Leisurecorp
È stata creata nel 2006 con l'obiettivo di rilevare e
sviluppare impianti e iniziative sportive in tutto il mondo.
Controlla il Jumeirah Golf Estates e ha organizzato i
recenti campionati mondiali di golf a Dubai. Leisurecorp
possiede quote nelle società Troon Golf, che organizza
tornei sportivi di lusso, e nella Gps Technologies, che
opera nel settore dele soluzioni con tenologia satellitare
per il golf.
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Dubai World and
Hodings |
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Fonte - Wall Street
Journal |
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Dubai Multicommodities Centre
È una delle decine di "free zones" di Dubai specializzata
nelle commodities (oro, acciaio, metalli preziosi, metalli
di base). Creata nel 2002 è stata la seconda società degli
Emirati a ricevere un rating da Standard & Poor's.
Dubai Maritime City
È un'area che si estende per 227 ettari a Dubai ed è stata
sviluppata per favorire il business nel settore marittimo e
commerciale. Dovrebbe essere completata nel 2012. Il
progetto prevede la realizzazione di un centro
multifunzionale con outlet, ristoranti e attrazioni.
Dubai Natural Resources World
È la società per gli investimenti nel settore energetico del
governo di Dubai. È stata creata nel settembre dell'anno
scorso con l'obiettivo di investire in tutto il mondo in
risorse naturali energetiche. Ha investito finora in joint
venture in Russia e Nigeria nel settore del gas e del
petrolio.
Economic Zones World
Ha l'obiettivo di investire in zone economiche speciali per
attrarre aziende industrliali e di servizi. Il suo fiore
all'occhiello è la Jebel Ali Free Zone Authority (Jafza), il
gigantesco parco logistico e industriale che sorge alla
periferia di Dubai, lungo la strada per Abu Dhabi, di fronte
al porto di Jeben Ali. Creata nel 1985, Jebel Ali è la "free
zone" più grande della regione. Oggi comprende 6.100 aziende
di tutto il mondo. Economic Zones World ha replicato il
modello di Jebel Ali in anumerose zone del mondo, come
Gibuti e prevede di svilupparne anche in Irak, Senegal e in
altri paesi. Dubai World ha annunciato che la società non
rientra nel piano di ristrutturazione dei debiti.
Limitless
Famosa in Italia per essere stata a un passo dall'acquisto
dell'area ex Falck a Sesto San Giovanni, che avrebbe dovuto
rilevare da Risanamento, Limitless è il braccio operativo
dello sviluppo immobiliare del governo di Dubai. Nel suo
portafoglio ha progetti in Vietnam, Russia, Arabia Saudita.
Il suo piano più ambizioso è la realizzazione di un canale
di 75 chilometri a Dubai, circondato da abitazioni per
centinaia di migliaia di abitanti. Il progetto è stato
bloccato.
Drydocks World
È l più grande società della regione nel settore della
logistica portuale. Ogni anno gestisce circa 400 navi cargo,
la maggior parte delle quali sono petroliere. Controlla
società analoghe in Indonesia e a Singapore.
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Fonte -
Il Sole 24 Ore
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L'Emirato: «Non
garantiremo il debito di Dubai World»
01 Dicembre 2009 14:09 DUBAI –
Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Il governo di Dubai non intende
garantire i debiti di Dubai World e i suoi creditori
subiranno «a breve termine» le conseguenze della
ristrutturazione del debito della conglomerata. Lo sostiene
Abddulrahman al-Saleh, direttore generale del ministero
delle Finanze di Dubai.
«I creditori - spiega Abdulrahman al-Saleh alla tv di Dubai
- dovranno assumersi la loro parte di responsabilità per la
loro decisione di prestare soldi alle compagnie». «Essi
pensano - aggiunge - che Dubai World faccia parte del
governo, il che non è corretto». «Il governo - spiega ancora
- è il proprietario della compagnia, ma fin dalla sua
fondazione è stato stabilito che la compagnia non è
garantita dal governo».
Dubai World, precisa il direttore generale «fa accordi con
tutti su questa base e i suoi prestiti si basano sui suoi
progetti e non sulle garanzie del governo». Secondo Saleh la
reazione dei mercati, che ha mandato a picco le Borse di
Dubai e di Abu Dhabi, è esagerata. «La ristrutturazione del
debito - dice ancora - è una decisione che è nell'interesse
di tutte le parti nel lungo termine, ma potrebbe infastidire
i creditori nel breve termine». La ristrutturazione dovrebbe
riguardare 5,7 miliardi di debiti, con scadenza prima del
prossimo maggio. La banca centrale degli Emirati arabi uniti
ha assicurato che fornirà liquidità extra al sistema
bancario, ma Saleh dubita che ce ne sarà bisogno. «Penso -
spiega - che le banche a questo stadio non abbiamo bisogno
di liquidità extra da parte della banca centrale».
Fonte
- Il Sole 24 Ore
Ecco la lista delle
banche a potenziale "rischio sistemico"
01 Dicembre 2009 19:12 MILANO
- di Andrea Franceschi - Il
Sole 24 Ore ______________________________________________
«Non c'è nessuna lista definita».
Così il Financial Stability Board in un comunicato ha
commentato la notizia, pubblicata dal Financial Times, in
cui si riferisce di un elenco stilato dalle authority
nazionali per il Financial Stability Board allo scopo di
indicare le grandi istituzioni finanziarie che, se si
trovassero in difficoltà, comporterebbero un "rischio
sistemico". Una lista che, insieme a colossi del calibro di
Goldman Sachs, Citigroup o Deutsche Bank, comprende anche le
italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit.
Il Fsb e la supervisione dei mercati
L'organismo internazionale guidato dal governatore della
Banca d'Italia Mario Draghi sta studiando forme di
supervisione sovranazionale dei mercati. Organismi in grado
di coordinare le autorità nazionali nel lavoro di vigilanza
dei mercati, al fine di prevenire lo scoppio di un'altra
crisi finanziaria. Parallelamente il Fsb intende sentire i
vertici delle maggiori banche e assicurazioni del mondo
(quelli presenti nella lista). A loro, scrive il Financial
Times, verrà chiesto di stilare una sorta di «piano
d'emergenza»: una serie di misure da mettere in atto nel
caso si verifichi un'altra crisi.
Successivamente il Financial Stability Board ha chiarito
questo aspetto. E, in una nota, oggi ha segnalato che
intende richiedere alle principali istituzioni finanziarie
mondiali di dotarsi di un «collegio di supervisione». «Già
nel 2008 - precisa il Fsb - abbiamo stilato un elenco di
società che a nostro parere dovrebbero dotarsi di questo
strumento. Ma è una lista che è soggetta a cambiamenti e non
corrisponde a quella pubblicata dal Financial Times».
L'elenco del Financial Times
Nella lista pubblicata dal quotidiano finanziario ci sono 30
grossi nomi della finanza. Banche e assicurazioni cosiddette
«too big to fail», troppo grandi per fallire. Colossi il cui
fallimento, al pari della banca americana Lehman Brothers,
potrebbe avere un impatto pesante sulla stabilità dei
mercati. Situazioni che il Fsb intende prevenire. Tra le
banche, oltre alle già citate Unicredit e Intesa Sanpaolo,
ci sono le amercane Goldman Sachs, Citigroup, JpMorgan e
Bank of America; la canadese Royal Bank of Canada; le
britanniche Hsbc, Barclays Royal Bank of Scotland e Standard
Chartered; le svizzere Ubs e Credit Suisse; le francesi
Societè Generale e Bnp Paribas; le spagnole Banco Santander
e Bbva; le giapponesi Mizuh, Sumitomo Mitsui, Nomura e
Mitsubishi UFJ; la tedesca Deutsche Bank e l'olandese Ing.
Tra le assicurazioni invece ci sono Axa, Aegon, Allianz,
Aviva, Zurich e Swiss Re
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
BASTA CON LA FARSA
DELLE AGENZIE DI RATING
01 Dicembre 2009 21:28 NEW YORK -
di Luca Ciarrocca ______________________________________________
Fitch Ratings ha emesso un
downgrade sul debito degli Emirati Arabi Uniti e assegnato
un outlook "negativo" quando la ***** (sorry) ha gia'
colpito in pieno (e da un pezzo) il ventilatore. Ma
dov'erano finora questi incompetenti?
Luca Ciarrocca e' il direttore e fondatore di Wall Street
Italia.
Riportiamo la news nuda e cruda dalle agenzie
internazionali, anche perche' se no il caso Dubai esce in 48
ore dalle coscienze e dai ragionamenti collettivi:
Fitch Ratings ha emesso un downgrade per il bond UAE CMBS
VEHICLE NO. 1 LIMITED's class A, B e C, e assegnato un
outlook Negative a tutte e tre le tranches. I rating vengono
modificati in questo modo:
USD27.5m class A scadenza Giugno 2016 (XS0305277047)
downgraded a 'BBB-' da 'A+'; Outlook Negative
USD12.9m class B scadenza Giugno 2016 (XS0305277393)
downgraded a 'BB' da 'A'; Outlook Negative
USD12.5m class C scadenza Giugno 2016 (XS0305277476)
downgraded a 'B' da 'BBB'; Outlook Negative
Ora, non facciamo il nostro solito sondaggio WSI in Home
Page per chiedervi cosa pensate delle agenzie di ratings
(per scongiurare ovvieta': un risultato del 99% in una sola
direzione probabilmente con 30.000 voti). Tuttavia facendo
questo mestiere, non possiamo tutti i giorni continuare a
sorbirci simili sceneggiate, accettando in modo supino che
il declassamento del rating da parte di un'agenzia da A+ a
BBB- possa ancora avere un qualche significato per gli
investitori (parliamo di fondi, banche, di super-ricchi e
anche, si spera, di privati che ancora rischiano capitali
investendo in proprio). Che senso ha prestare attenzione a
un rating emesso quando la ***** (sorry) ha gia' colpito in
pieno (e da un pezzo) il ventilatore?
Cari signori di Fitch - ma anche di Moody's Investors
Services e di Standard & Poor's - secondo noi di WSI, voi
dovreste essere tutti commissariati, posti in
amministrazione controllata, o meglio ancora soppressi
seduta stante. Perche' siete inutili. Esatto: inutili.
Quando gli analisti di Fitch hanno assegnato il rating A+ ai
grattacieli costruiti nel deserto del Dubai a prezzi
ultra-sopravvalutati (secondo il buon senso) immobili e
piste di sci garantiti da assurdi se non illegali bond
"islamici" (a quando notes o obbligazioni con undewriter
Gesu' Cristo o Budda?). Quando emetteste quel rating col
massimo voto, sotto l'influenza di quale sostanza eravate,
gentili signori di Fitch? Solo vino? Oppure dobbiamo pensare
che altri sistemi di - diciamo - "pr & marketing" da parte
dell'emittente entrarono in gioco?
Nah, forse eravate solo distratti perche' assorbiti dall'ingneria
finanziaria e su come poter assegnare qualche altro A+ in
modo facile-facile a qualche nuovo fantasmagorico progetto
da "Mille e una notte", poggiato su cuscini dorati di CDS,
CDO e pacchetti di derivati assortiti. Altro che "Mille e
una notte": qui siamo - scusate la banalita' della metafora,
ma e' vero - ad "Ali' Baba' e i 4000 ladroni".
Per fortuna il Dubai, come abbiamo gia' scritto, e' una
goccia nel mare di indebitamento in cui affoga il nostro
capitalismo presente, non piu' accettato e non ancora
riformato. Ma diciamoci la verita': a queste menzogne
indecenti, questo gioco delle tre carte con miliardi sul
tavolo, non crede piu' nessuno. Fino ad ora aveva funzionato
perche' ogni perdita e' stata scaricata sui portafogli della
"gente", tutti i cittadini di tutti gli stati, con alla
guida governi irresponsabili (e banche centrali) che drogano
i mercati con debiti pubblici monstre e crescenti (in
Italia: 1750 miliardi di euro, il 118% del pil). Qualche
centinaia di milioni di fessi che pagano sempre e
puntualmente le tasse ai loro governi si trovano sempre,
vero?
La differenza adesso e' che questo andazzo dovra' per forza
cambiare, e' diventato impellente. Qualcuno comincera'
seriamente a ribellarsi. Come, lo vedremo.
Fonte
- www.wallstreetitalia.com
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Banche
rotte
03 Dicembre 2009 00:30 ROMA -
di R. Razzante e M. Barbetti
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I numeri sono impietosi. E a questo punto fotografano una
situazione che difficilmente conosce eguali. Una lista di
caduti sul campo di battaglia di questa crisi finanziaria
che non risparmia colpi agli istituti di credito. Se
torniamo a quel fatidico settembre 2008 quando il mondo subì
la scossa della notizia del fallimento di Lehman Brothers,
tra le più grandi e finanziariamente esposte banche del
globo, vediamo progressivamente allargarsi una faglia che ha
letteralmente inghiottito banche di grandi, medie e piccole
dimensioni, trascinandole nella voragine del fallimento. Una
strage che non ha fatto feriti. Quelle che si sono salvate
ci sono riuscite solo grazie al massiccio intervento dello
stato, che con una mano calata dall’alto ha tirato fuori
dall’impaccio istituti di tutte le dimensioni. Un fenomeno
globale, come si suol dire, ma che ha avuto il suo inizio e
il suo svolgimento più compiuto proprio nel mercato
finanziario statunitense. Oltre 100 istituti di credito
falliti sino ad oggi durante l’ultimo anno solare. 94 fino
allo scorso 21 settembre, 84 fino ad agosto. 13 solo a
febbraio. 12 istituti falliti nella sola giornata di martedì
3 novembre, ben 14 quelle fallite l’11 agosto e 9 nella
giornata del 13 febbraio (secondo i dati forniti dal FDIC –
failed bank list del 1 ottobre 2009).
Numeri e progressioni impressionanti che possono essere
messi a paragone solo con quanto accaduto nel 1989, quando
la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) decise la
chiusura di 534 istituti nella celeberrima crisi delle
Saving and Loans (istituti molto simili alle nostre Casse di
Risparmio). Una lista che contiene nomi di banche di ogni
proporzione del calibro di Strategic Capital Bank, Citizens
National Bank, John Warner Bank, First National Bank of
Danville, Founders Bank. Solo la Founders Bank contava
un’attività per 962.5 milioni di dollari di cui 848.9
milioni in depositi. I numeri diventano ancora più
importanti se si mettono a paragone con quelli degli anni
appena precedenti: oltre 100 banche hanno dichiarato
bancarotta (non ci sono ancora stime ufficiali sui numeri)
un’enormità rispetto alle 25 "cadute" nel 2008 e alle "sole"
27 saltate nel periodo compreso tra il 2000 e il 2007. Bank
First, Bank of Wyoming, Community Bank of West Georgia,
American United Bank, giusto per fornire qualche nome in
ordine sparso.
L’ FDIC - Federal Deposit Insurance Corporation – il fondo
di garanzia americano gestito dal Tesoro e finanziato dalle
stesse banche, è incaricato in questi casi di sobbarcarsi il
peso del fallimento di ciascuna banca consociata, con tutto
l’evidente disagio che questo può comportare. Ma andiamo per
gradi. Il fondo di garanzia americano interviene
sostanzialmente in aiuto dei risparmiatori, garantendoli
dalle perdite che conseguono ciascun fallimento ed, in
seconda battuta, per la liquidazione della banca fallita.
Questo ovviamente in un periodo non di crisi non appare
particolarmente gravoso, ma in un momento come questo, mette
sicuramente a dura prova la tenuta di un istituto di questo
genere. Tant’è che le risorse del FDIC sono oramai esigue,
al punto da dover richiedere l’intervento dello stato
federale per rimpinguare le esauste casse. Ci basti pensare
che il solo fallimento di una banca di medie dimensioni
comporta oneri per l’FDIC per un valore superiore a 850
milioni di dollari circa. Considerando la recente
accelerazione dei fallimenti di questo periodo, problema di
estrema attualità non può che essere la tenuta del fondo.
Attualmente il fondo è diretto da Sheila Bair, una lady di
ferro che ha utilizzato parole incandescenti contro i grandi
colossi bancari, accusati di delapidare il patrimonio dello
stato tramite il meccanismo della c.d. "assistenza bancaria
aperta". Queste banche di enormi dimensioni vengono in gergo
considerate "too big to fail" per cui, in nome di un
superiore interesse collettivo arrivano ad accumulare
passivi di ingenti dimensioni per poi richiedere
l’intervento dello stato a disintossicare gli assets da
prodotti finanziari non particolarmente brillanti. La Bair
nell’impeto dettato dalla situazione ha chiesto a gran voce
che le banche in questione vengano trattate alla stregua di
qualsiasi altro istituto, dunque soggetti a fallimento
quando questo non sia evidentemente evitabile, su modello di
quanto accaduto alla Lehman Bros. Il tutto nell’ottica di
"non causare danni collaterali ai mercati".
Sheila Bair ha anche proposto la creazione di un fondo
parallelo all’FDIC, istituito con fondi versati dalle too
big to fail, ed in soccorso solo a queste. Il tutto per
creare un sistema autoreferenziato ed autosufficiente. In
questo momento il governo di Washington ha previsto un nuovo
flusso di denaro da destinare al fondo: 100 miliardi entro
il 2009, ed altri 500 nell’arco del 2010. Questi sommati ai
700 miliardi già spesi per bonificare la palude finanziaria
americana dagli prodotti tossici, previsto dalla precedente
gestione amministrativa ed ereditata da quella attuale, ci
mostra la dimensione del fenomeno e quanto preoccupante esso
sia attualmente. Il prestito sarà restituito al tesoro
nell’arco di un periodo imprecisato. Almeno nelle
previsioni, visto che durante al crisi delle Saving and
Loans sopracitata, il fondo chiese un finanziamento di
"soli" 15 miliardi, ad oggi non ancora del tutto restituiti.
Il Fondo si nutre principalmente delle quote versate da
ciascuna banca associata in una percentuale annua, ed è
difficile prevedere che tale percentuale possa aumentare per
coprire la voragine creatasi. Le casse degli istituti non lo
consentono. Ecco spiegata la necessità dell’ennesimo
intervento del Tesoro, attingendo dai fondi pubblici, anche
e soprattutto in funzione della previsione di perdite future
dovute a mutui, prestiti, carte e titoli di credito. Alla
FDIC è affidato anche l’ingrato compito di smaltire le
scorie derivanti dal fallimento di ciascuna banca,
smembrando la carcassa dell’istituto fallito e tentando di
cedere sul mercato gli assets meno compromessi, nell’intento
di rientrare almeno in parte del debito accumulato. Lavoro
alquanto arduo viste le condizioni di ciascun istituto e il
suo grado di compromissione con prodotti tossici.
Questo può significare innanzitutto dover abbassare il
rating dei compratori, con evidente rischio, se non nel
breve, sicuramente nel lungo periodo. Tra i fallimenti
eccellenti è da annoverare Cit Group, tra le società
finanziarie più importanti negli States: dopo aver ricevuto
aiuti per 2.3 miliardi di dollari ha avviato le procedure
fallimentari invocando il Chapter 11 per l’accesso
all’amministrazione controllata, al fine di diminuire (e di
non poco) il debito. Nella documentazione presentata al
Tribunale di New York si può leggere come il debito
accumulato arriva a 65 miliardi contro 71 miliardi di assets.
Ciò significa che Cit Group entra di diritto in vetta nella
poco gratificante classifica degli istituti di più grandi
dimensioni mai falliti. Quinta nella classifica dei più
grandi fallimento della storia.
Ciò ha portato con sé effetti più che negativi, trascinando
a brevissima distanza di tempo dietro di sé altri 9 istituti
ad essa collegati. Secondo delle recenti statistiche del
Financial Times, ammonta a 476 miliardi di dollari il
livello della svalutazione delle attività comunicate dalle
grandi banche occidentali sino al luglio 2008, 254 i
miliardi richiesti per l’aumento di capitale utile a far
fronte all’emergenza, 1000 i miliardi di dollari stimati
nell’importo delle svalutazioni totali nei bilanci delle
banche e 1600 miliardi i valori persi dalle borse
internazionali tra l’agosto 2007 e lo stesso periodo del
2008. Infine da una recente indagine di Standard & Poor’s
riportata dal Telegraph e richiamata anche in un recente
articolo pubblicato in questa autorevole rivista, emerge
come il peggio potrebbe non essere ancora passato per alcuni
tra i più grandi istituti internazionali. Tra tutti si è
fatto il nome di istituti come Mizuho Financial, Citigroup,
UBS, BVA, Bank of America, Deutsche Bank e la nostrana
Unicredit.
Ma sull’orlo del baratro a volte non sono solo le banche.
Una singolare notizia è apparsa qualche tempo fa sulla
stampa americana, facendo un po’ il giro del mondo. Il
governatore David Paterson dello stato di New York ha
dichiarato che se non si interverrà in fretta lo stato sarà
costretto a dichiarare la bancarotta per mancanza di fondi.
Infatti, la crisi che ha colpito la Grande mela,
principalmente riferita alla crisi dei mutui, ha lasciato
l’amministrazione senza fondi, con grave rischio per la
garanzia dei servizi e della sicurezza. «Entro Natale potrà
arrivare la bancarotta» le parole del Governatore, che
aggiunge «le casse saranno vuote in quattro settimane e
mezzo. A meno che non facciamo qualcosa finiremo senza
soldi».
Il debito ad una prima stima appare riferibile ai 3.2
miliardi di dollari, dovuto principalmente all’esposizione
creditizia dei mutui subprime. La colpa dello stato è stata
quella di essersi lasciato trasportare dall’onda di
entusiasmo che aveva condotto a contrarre prodotti che oggi
vengono definiti tossici e che puntualmente hanno mostrato
tutta la loro fragilità: credit default swap, asset-backed
securities, collateralized debt obligation, tutti prodotti
caratterizzati da un rischio elevato. Anche qui è
auspicabile l’intervento dello stato a riportare serenità.
In totale controtendenza appare invece il colosso Virgin che
a detta del suo fondatore Richard Branson è intenzionata ad
investire nel settore bancario. Per il momento è un
argomento che riguarderà solo il mercato inglese dove
Branson dovrebbe rilevare alcuni assets della Northern Rock
una di quelle banche che nel pieno della crisi finanziaria
inglese sono state inglobate dallo stato. Se poi
l’esperimento dovesse riuscire – assicura Richard Branson –
allora "la esporteremo anche all’estero".
 |
Fonte -
AIRA |
Fiammata per l'M&A
globale. Stati Uniti terreno di conquista
02 Dicembre 2009 18:26 MILANO -
di Alberto Annicchiarico – Il Sole 24
Ore ______________________________________________
Fiammata per l'M&A globale. Stati Uniti terreno di conquista
Fusioni e acquisizioni riprendono fiato dopo un anno a bassa
tensione. L'M&A globale a novembre, grazie a due grandi
operazioni del governo britannico (salito ancora in Rbs con
un'iniezione di 25 miliardi di sterline) e del finanziare
Warren Buffett (l'acquisizione delle ferrovie Burlington
Northern Santa Fe) ha toccato quota 3o5 miliardi di dollari.
Si tratta, sottolinea il data provider Dealogic, del volume
mensile più elevato da inizio d'anno ma soprattutto il top
da luglio 2008 (406,5 miliardi). Un'inversione di tendenza,
magari temporanea (anche perché i contratti invece
ripiegano, si veda grafico sotto), spinta sia dei venti di
crisi sul mondo del credito nel Regno Unito sia da una
scommessa sulla old economy dell'oracolo di Omaha, che balza
ancora più all'occhio se si va a vedere cosa è successo sino
al terzo trimestre.
Durante quest'ultimo periodo il calo dei volumi è stato del
53% rispetto a un anno prima. Nei primi nove mesi dell'anno,
invece, il declino è stato del 34,2 per cento. In
particolare il numero di operazioni realizzate da inizio
anno, pari a 3.983, ha toccato il livello più basso dal
2004, secondo i dati dell'osservatorio Mc Kinsey-Il Sole 24
Ore. Un calo evidente, che in Europa, sempre secondo
Dealogic, ha visto la sola Francia opporsi alla tendenza
generale che ha visto Germania, Gran Bretagna e Spagna
dimezzare i volumi. L'Esagono, infatti ha toccato quota 62
miliardi di dollari nel 2009 (dati aggiornati a fine
novembre), addirittura superando il dato del 2008 (62,3
miliardi). Il contributo decisivo è arrivato dall'operazione
Alstom-Areva, con un'offerta da 6,1 miliardi.
In ogni caso, secondo lo studio "Why capital matters,
building competitive advantage in uncertain times"
("L'importanza del capitale, costruire un vantaggio
competitivo in tempi d'incertezza", ndr), realizzato da
Ernst & Young tramite interviste effettuate nel mese di
ottobre 2009 a 500 senior executive di tutto il mondo, il
fermento per l'M&A a livello globale è in crescita: il 33%
delle aziende è intenzionato quando non fortemente
intenzionato ad acquisire altre aziende nei prossimi 12
mesi. Il 25% addirittura nei prossimi 6 mesi.
Lo studio ha però evidenziato
anche le difficoltà nel mettere in pratica tale intenzione: il
62% delle aziende ritiene la propria capacità di acquisizione
limitata da diversi fattori, tra i quali la mancanza di
finanziamenti disponibili. «Nei prossimi mesi - commenta
Alastair Robertson, managing partner di Ernst & Young
Transaction Advisory Services - è probabile un aumento delle
attività di fusione e acquisizione a seguito della dismissione
da parte delle aziende di asset non-core, poco performanti o in
condizioni di sofferenza. Chi potrà comprare avrà l'occasione di
conquistare quote di mercato e aumentare il fatturato in maniera
impensabile anche solo due anni fa».
Certo, comprare non sarà più possibile per tutti, il capitale è
e sarà merce rara, bisognerà avventurarsi su tereni più
rischiosi, dalle joint venture ai collocamenti in Borsa. «La
nuova e difficile realtà - spiega Robertson -costringerà alcuni
executive a prendere seriamente in considerazione una revisione
strategica. Molte aziende hanno risposto alla recessione con
misure a breve termine, focalizzate su liquidità e costi;
nonostante fossero appropriate vanno considerate in buona misura
temporanee, adatte a sopravvivere nella crisi. Per crescere, le
imprese devono essere resilienti e adattarsi rapidamente: ciò
significa essere capaci di competere con decisione per accedere
a nuove possibilità di finanziamento in un periodo in cui il
capitale è scarso, rafforzando le core operation ed essendo in
grado di prendere le decisioni giuste».
Proprio il rafforzamento delle core operation è la prima ragione
che può portare a una transazione, secondo il 64% dei
rispondenti; il 50% cerca invece opportunità di acquisizione per
entrare in nuove geografie: circa la metà indica gli Stati Uniti
come destinazione preferita tra i paesi industrializzati, mentre
gli emergenti sono dominati da India (30%) e Cina (27%).
Il 63% del campione prevede per i prossimi 12 mesi
un'accelerazione nel processo di consolidamento in corso, mentre
per il 61% emergeranno dalla crisi pochi vincitori che saranno,
nel momento opportuno, meglio posizionati per sfruttare le
opportunità di acquisizione.
Nonostante la fiducia nella ripresa per le M&A, dallo studio di
E&Y traspare comunque grande cautela: il 70% delle imprese
ritiene che la recessione durerà almeno altri 12 mesi. Di
queste, il 40% ritiene che continuerà almeno per altri due anni.
Inoltre, il 53% dei rispondenti crede che le condizioni
finanziarie non torneranno ai livelli di metà 2007 per almeno
altri tre anni, con il 19% convinto che dovranno trascorrere più
di cinque anni, o che addirittura non si ritornerà mai più a
quei livelli.
Fonte
- Il Sole 24 Ore
Come insegna Warren
Buffett sui mercati finanziari ci vuole temperamento
03-12-09 -
Valerio Baselli ______________________________________________
La storia finanziaria, dalla
bolla dei tulipani olandesi del XVII secolo alla recente
crisi dei sub-prime, è piena di esempi di comportamento
irrazionale da parte degli investitori. Certo, nel mondo
tracciato dalle teorie economiche, questo non dovrebbe
accadere. Se gli agenti economici fossero soggetti
perfettamente razionali, le bolle non sarebbero possibili.
L’idea che la psicologia degli investitori possa essere la
chiave di volta delle performance raggiunte è il cuore di un
campo di studi che sta guadagnando sempre più influenza: la
finanaza comportamentale. Essa applica la ricerca
scientifica nell’ambito della psicologia cognitiva alla
comprensione delle decisioni economiche e come queste si
riflettano nei prezzi di mercato e nell’allocazione delle
risorse. Si interessa quindi della razionalità, o meglio
della sua mancanza, da parte degli agenti economici.
La finanza comportamentale, si legge in una nota Morningstar,
è ormai diventata un importante aiuto nell’identificare
comportamenti che ci costano perdite di denaro. L’analista
di Morningstar Christopher Davis ha identificato i tre
errori in cui gli investitori cadono più comunemente.
Innanzitutto, non bisogna dare eccessiva importanza alle
performance recenti. Infatti, davanti ad una grossa quantità
di informazioni, la maggior parte delle persone tendono a
guardare solo i risultati a breve termine. Meglio un’analisi
più approfondita, perchè non sempre quello che è successo
ieri può dire ciò che succederà domani.
Da una indagine condotta tra gli automobilisti svedesi nel
1981, venne fuori che il 90% degli intervistati si riteneva
un pilota superiore alla media. Questo, statisticamente
parlando, è impossibile. Ecco il secondo errore da evitare:
bisogna realizzare che forse non siamo esperti quanto
crediamo. Secondo uno studio condotto dalla University of
California di Berkley, gli investitori molto sicuri di sè,
che fanno alto ricorso al trading, hanno un ritorno medio
inferiore a coloro che rimango poco attivi (lo studio prese
in considerazione 66 mila persone dal 1991 al 1996). Questo
anche perchè chi effettua un alto numero di operazioni di
compravendita deve pagare più commissioni di brokeraggio,
mangiandosi così parte dei ricavi.
Infine, conclude Davis, la maggior parte di operatori vende
troppo presto i titoli vincenti e tiene troppo a lungo i
titoli perdenti. Questo perchè l’investitore medio
preferisce accettare un guadagno contenuto ma sicuro,
piuttosto che prendersi dei rischi per fare più soldi.
Dall’altra parte, lo stesso investitore medio è riluttante a
vendere titoli che navigano in cattive acque, monetizzando
una perdita. Questo è forse l’errore più comune, ma anche il
più difficile da evitare. Il trucco, secondo Davis, è
fissare delle aspettative; se le aspettative vengono deluse,
è tempo di vendere.
In una famosa intervista che si guadagnò la copertina della
rivista Business Week nel 1999, Warren Buffet dichiarò che
il successo negli investimenti non è corralato con il
proprio quozionete intellettivo. Insomma, non bisogna essere
dei geni per essere grandi investitori; quello che occorre è
il temperamento, ossia la capacità di controllare le proprie
emozioni, le proprie ansie e i propri istinti, il che forse
è ancora più difficile.
Fonte
- www.morningstar.it
LA CASSANDRA WHITNEY:
«NON POSSIAMO NON DIRCI RIBASSISTI»
08 Dicembre 2009 23:00 NEW YORK -
WSI ______________________________________________
La nota analista accusa le
banche: hanno i soldi "a zero" dalla Fed e non li prestano.
Sistema finanziario bloccato per tutto il 2010. Consumatori
sempre peggio. E la borsa? Giu'. VIDEO
Il governo statunitense ha finito le cartucce ed ora si
trova di fronte ad una serie di questioni irrisolte, prime
fra tutte le difficolta' del mercato del credito e del
lavoro.
Avendo fatto ormai tutto il possibile per far ripartire
l'economia, ora qualunque cosa Washington abbia in mente di
fare per favorire l'accesso al credito ai consumatori, che
sono ormai esclusi dal sistema finanziario, questa si
rivelera' insufficiente. A lanciare l'allarme e' la nota
analista finanziaria Meredith Whitney.
La Whitney, di cui abbiamo parlato molto spesso nel passato
(ha predetto in modo accurato un paio di trend importanti di
borsa; leggere MEREDITH «MAI STATA TANTO NEGATIVA IN UN
ANNO») e' ancora estremamente pessimista circa le
prospettive di una ripresa dell'economia Usa ed e' di
conseguenza ribassista sui mercati. "Penso che siano a corto
di munizioni", ha detto l'analista alle telecamere
dell'emittente CNBC, ribadendo il concetto, gia' espresso il
mese scorso, secondo cui le possibilita' di una ripresa
cosi' come la vede molta gente, sono assai remote.
La principale preoccupazione della Whitney e' la mancanza di
accesso al credito da parte dei consumatori, che secondo lei
sono tagliati fuori dal sistema finanziario, una tendenza
prevalente che si protrarra' per tutto il 2010.
Nonostante possano contare sull'occasione unica di
indebitarsi dalla Fed e dalle altre banche (fed funds) a
interessi pari quasi a zero, gli istituti americani non
stanno dando indietro quei soldi, che potrebbero invece
reinvestire nei crediti a famiglie e imprese. Infatti la
Federal Reserve ha confermato ieri che in ottobre il credito
al consumo e' scivolato dell'1.7% su base tendenziale. Si
tratta del nono calo mensile consecutivo.
Considerando che le spese al consumo rappresentano circa il
70% delle attivita' economiche americane (Pil),
l'impossibilita' per i consumatori di indebitarsi potrebbe
seriamente compromettere la crescita dell'economia.
"Quello che e' piu' frustrante e' che l'amministrazione
continua con la sua retorica cosi' populista, senza dare
invece peso a tutte le conseguenze collaterali, primo fra
tutti il fatto che consumatori e piccole aziende hanno molto
meno credito a disposizione".
"Ci troveremo per tanto di fronte ad una situazione di
regressione dal punto di vista dei consumi, dove quelli che
hanno aperto conti bancari, avuto carte di credito e case
per la prima volta verranno tagliati fuori dal sistema e
cadranno vittima dei creditori che usano pratiche
predatorie, a tassi altissimi (fino al 30%)".
I problemi sopra citati rappresenteranno ovviamente anche un
problema per gli investitori. "Sono convinta al 100% che i
consumi non miglioreranno e che in realta' non c'e' molta
liquidita' in circolazione", ha proseguito la Whitney,
sottolineando che siccome "tutto quello che tocca i
consumatori tocca anche l'S&P500, allora e' chiaro che la
Borsa sara' sottoposta a pressioni al ribasso".
L'unica soluzione e' che il governo faccia qualcosa e lo
faccia in fretta, adottando misure che diano ai consumatori
piu' soldi per spendere. "Non penso sia possibile apportare
tagli fiscali tali da stimolare la domanda in maniera
soddisfacente. E per il 2010, ormai alle porte, questo e' un
problema serio e reale". Non si puo' far finta di nulla,
facendo come se il problema non esistesse. "Non e' mai
successo prima d'ora in questo Paese", conclude la Whitney.
Fonte
- www.wallstreetitalia.com
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09 Dicembre
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Venerdì
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Mercati:
chissene importa di Dubai e della Grecia
13 Dicembre 2009 23:34 MILANO -
di Alessandro Fugnoli
________________________________________
Gli Stati Uniti e la Cina, con grande dispendio di mezzi,
stanno cercando di trainare il mondo verso la ripresa. Dubai
e la Grecia stanno cercando di risospingerlo verso la notte.
In questa lotta, a guardare i mercati, Dubai e la Grecia
sembrano al momento prevalere. Possibile? Il mondo deve
proprio dipendere dal pagamento della cedola di un sukuk (di
cui il 99 per cento dei gestori europei o americani ignorava
fino a un mese fa la stessa esistenza) o dall’esito della
prossima asta dei bond della Helleniki Democratia?
Con tutto il rispetto, non riusciamo a vedere elementi nuovi
e dirompenti in queste due crisi. Dubai è uno stato
palazzinaro colpito dalla crisi come tutti i costruttori
indebitati. La sua esposizione verso i creditori,
ricostruita in questi giorni, non risulta essere fatale per
nessuno. La posizione delle banche inglesi, in particolare,
risulta sostenibile.
Quanto alla Grecia, la sua crisi più che esplosiva è
irritante. La Grecia ha sempre sfruttato spudoratamente
l’amore dei tedeschi per il suo mare e la sua storia. E’
stata fatta entrare nell’euro con un trattamento di favore.
Se ne è sempre infischiata delle regole di Maastricht e ha
avuto solo richiami bonari, quando all’est europeo non si
perdona mai nulla. Ha sfruttato la sua importanza
geopolitica e ha saputo farsi risarcire per il flirt che
l’Europa ha con gli ottomani dai tempi di Francesco I di
Valois e con i post-ottomani di Erdogan al giorno d’oggi.
Quei turchi che hanno distrutto l’impero bizantino,
schiacciato la Grecia per secoli e occupato di recente mezza
Cipro con un’armata di contadini anatolici straccioni.
La Grecia è irritante perché finora non ha fatto nulla per
rimettere a posto i suoi conti (si è scoperto addirittura
che li ha imbrogliati). L’Irlanda ha appena varato un
pacchetto molto duro, la Spagna sta facendo qualcosa,
l’Italia è molto attenta a non lasciarsi andare. La Grecia
niente. Il suo disavanzo pubblico è altissimo.
In più, annota sconcertato il Financial Times, la Grecia
sembra in preda all’anarchia, con i manifestanti che
prendono a sassate i banchieri d’affari inglesi in piazza
della Costituzione ad Atene. Che scandalo. Come se la Grecia
non avesse da decenni un’estrema sinistra particolarmente
aggressiva e primitiva. Niente di nuovo, ci sembra.
Niente di nuovo nemmeno sul rapporto tra debito e Pil, che
oscilla da molti anni tra il 110 e il 120 per cento. Un
livello alto, non c’è dubbio, ma non una scoperta
dell’ultima ora. La Grecia del resto ha attraversato il 2008
e il 2009 senza una crisi bancaria o immobiliare devastante
(come Irlanda, Spagna e Regno Unito) nè aveva fatto in
precedenza particolari follie come l’Islanda.
Il debito greco, benché alto, è uno dei più gestibili. La
sua vita residua ponderata è di 7.8 anni, una delle più alte
tra i paesi Ocse. Metà dei suoi titoli non scadranno prima
di cinque anni. Nei prossimi 12 mesi sarà da rinnovare solo
il 12.3 per cento del debito complessivo. Le banche greche
lo sottoscrivono senza problemi, anche perché poi lo portano
immediatamente alla Banca Centrale Europea che glielo
sconta.
Il problema, in realtà, nasce qui. La Bce usa i soldi dei
contribuenti europei e si imbarazza a comprare titoli di
qualità troppo bassa. Adesso c’è la crisi e si accetta quasi
tutto, ma dal 2011 si vorrebbe tornare alla normalità.
Se il rating greco dovesse essere abbassato, la Bce, se
vuole rispettare le regole che si è data, dovrebbe smettere
di scontarlo. Sia chiaro, la Bce sta tenendo in vita anche
parecchie casse spagnole e banche tedesche esposte verso
l’est europeo, ma il patto implicito è che all’aiuto deve
corrispondere uno sforzo di ricapitalizzazione e di
risoluzione dei problemi.
In febbraio, quando infuriava una vera tempesta globale e
non la bufera in un bicchier d’acqua di adesso, la Germania
arrivò a non escludere un salvataggio europeo, attraverso
strutture dell’Unione o un consorzio di stati volonterosi,
per i paesi in crisi. Così dicendo, il ministro delle
finanze tedesco di allora dichiarava violabile il tabù più
sacro dell’Europa finanziaria, il divieto assoluto di
salvare singoli stati.
Se in questi giorni i toni sono diversi e si invita la
Grecia con modi bruschi a darsi una mossa è perché, in
fondo, ce lo si può permettere. E’ un segno di forza, non di
debolezza. E’ un segno di forza perché non si temono effetti
domino o contagi. I mercati ovviamente in queste ore stanno
andando a cercare anche i titoli sovrani della Papuasia o
delle terre antartiche per punirli del fatto di essere nella
stessa categoria (vagamente emergente) della Grecia, ma non
è un vero contagio.
I toni bruschi sono dovuti anche a un altro fatto positivo,
la consapevolezza che la Grecia ce la può fare benissimo se
solo si decide, per una volta, a fare qualcosa. C’è
un’infinità di porte aperte a cui può bussare. Porte
europee, prima di tutto, ma se ai politici greci dovesse
servire lo spauracchio dell’Uomo Nero per fare passare
misure impopolari c’è pronto il Fondo Monetario, nel quale
l’Europa ha ancora una grande influenza.
Anche se non consigliamo l’acquisto di titoli greci (rischio
per rischio almeno l’Ucraina rende molto, la Grecia no)
siamo convinti che la questione sia gestibile e avviabile a
soluzione in tempi ragionevoli. Perché allora i mercati sono
così preoccupati?
Il motivo, a nostro avviso, è che la vicenda greca viene
amplificata dalla debolezza dell’euro, che rafforzando il
dollaro deprime le materie prime, che a loro volta fanno
scendere i titoli petroliferi, minerari e industriali in
generale e alla fine penalizzano gli indici. Qui non
c’entrano nulla la paura del double dip, i timori per le
vendite di Natale o qualsiasi altro fatto economico. C’è al
limite una certa stanchezza nel rialzo, lo smontaggio di
posizioni a leva (che non sono certo grandi come paventano i
teorici delle bolle ma che comunque esistono in qualche
misura) e una grande paura di perdere di nuovo soldi. Le
motivazioni macro, per contro, sono tirate per i capelli,
pure e deboli razionalizzazioni.
E’ però giustificata questa debolezza dell’euro che ha messo
in moto la reazione a catena? Perché la crisi fiscale della
California non ha pesato sul dollaro e la crisi fiscale
greca pesa sull’euro? Non è forse l’economia californiana,
con i suoi quasi due trilioni di Pil, più di cinque volte
più grande di quella greca (343 miliardi)?
Si possono dare tre risposte, tutte giuste, ma solo la terza
è quella che probabilmente spiega davvero. La prima è che il
debito della California è di 60 miliardi, quello greco di
380. In America è l’Unione ad avere il grosso dei debiti, in
Europa il secondo grande tabù vieta all’Unione di assumere
debiti e tutto ricade sugli stati.
La seconda risposta è che in America l’Unione ha spesso
salvato gli stati, per cui i timori di insolvenza e i rischi
di contagio sono ridotti. L’Europa, ancora prigioniera dei
suoi gelidi principi, non è ancora stata testata e questo
accresce l’incertezza. La terza risposta è più che altro
un’ipotesi e non c’entra niente con la Grecia. L’ipotesi che
avanziamo è quella dell’analogia tra questo dicembre 2009 e
la primavera del 2005.
Facciamo un passo indietro. Lo schema di uscita dalla crisi
globale, nella crisi precedente come in questa appena
terminata, prevede una divisione del lavoro per cui
l’America reflaziona svalutando e spendendo, l’Asia
producendo e accumulando dollari appena stampati mentre
all’Europa spetta il compito di rivalutare. Quest’anno,
rispetto al 2003-2004, gli squilibri del processo di
reflazione sono attenuati (l’America si indebita di meno con
il mondo e l’Asia accumula meno dollari) ma lo schema è il
medesimo.
A un certo punto del processo di rivalutazione dell’euro
l’Europa si sente però soffocare. Le sue imprese non possono
contare sulla crescita della domanda interna e le
esportazioni vengono colpite dal cambio troppo forte.
L’Europa chiede allora una tregua agli Stati Uniti e ai
mercati. Questa richiesta risulta più convincente se è
accompagnata da qualche elemento specifico in grado di
mettere in dubbio la sopravvivenza stessa dell’euro o
addirittura dell’Unione.
All’inizio del 2005, dopo due anni di rivalutazione
ininterrotta dell’euro, alcuni paesi dell’Europa
mediterranea cominciano a mostrare serie difficoltà. La
Germania esportatrice regge meglio, ma a fatica. Sui mercati
che già ricamano sulla fuoruscita dall’euro di questo e di
quello arriva il dato politico dirompente del no danese, via
referendum, alla costituzione europea, replicato in giugno
dalla Francia. La discesa dell’euro dura cinque mesi e lo
riporta indietro, da 1.36, fino a 1.17 (ovviamente tra cori
di "parità, parità" che non verrà peraltro mai più
raggiunta). In quei cinque mesi l’Europa prende fiato,
delocalizza e sfrutta al meglio la forte ripresa globale. A
quel punto l’euro è pronto a seguire di nuovo il suo destino
e si rafforza senza interruzione nei due anni e mezzo
successivi.
Anche oggi abbiamo qua e là segnali di soffocamento da euro
forte e ora abbiamo il tema di Grecia e Spagna per
confezionare la teoria di un’Europa che non solo non ce la
fa più economicamente, ma nemmeno riuscirà a tenersi insieme
politicamente. Non è vero, ma fa comodo che qualcuno ci
creda. E’ solo un’ipotesi e non abbiamo nessun elemento per
dire che la pausa nel rialzo dell’euro sia già iniziata (o
non sia piuttosto tra un anno) né che dovrà per forza avere
la durata e l’ampiezza notevole che ebbe nel 2005.
Diciamo solo che nei cicli lunghi le pause sono
fisiologiche, a un certo punto arrivano ed è quindi giusto
esservi preparati. Questo ragionamento ci induce a essere in
questo momento più tranquilli sulle borse che sull’euro.
L’espansione globale è infatti condannata a proseguire,
costi quel che costi, mentre i cambi possono essere oggetto
di aggiustamenti e manipolazioni. Fra qualche giorno ci
saremo dimenticati di Dubai e della Grecia e torneremo ad
occuparci di Stati Uniti, di Asia e di grandi temi globali.
Si può approfittare dei malumori di questi giorni per
comprare petrolio e titoli del settore nonché i ciclici e i
finanziari più svenduti.
 |
Fonte -
Il Rosso e il Nero |
Obama
richiama i banchieri «Non
ostacolate le riforme»
15 Dicembre 2009 08:53 WASHINGTON
– di Marco Valsania
________________________________________
Citigroup ha raggiunto un accordo con il Tesoro per
restituire 20 miliardi di dollari di aiuti pubblici e uscire
dalla tutela federale. Ma l'intesa, passo significativo nel
risanamento dell'alta finanza, non ha risparmiato ieri ai
top executive di Wall Street una nuova e dura lezione
impartita da Barack Obama: sono stati strigliati dal
presidente, che li ha ricevuti alla Casa Bianca invitandoli
a fare molto di più, ad aprire i rubinetti del credito, per
stimolare l'economia e superare l'emergenza lavoro.
Citi e il suo a.d. Vikram Pandit hanno convinto le autorità
che la banca è ormai abbastanza solida da non correre il
pericolo di nuovi crack, ottenendo il via libera a una
complessa operazione. Rastrelleranno sul mercato, anzitutto
attraverso collocamenti azionari, 20,5 miliardi di capitali
necessari a ricomprare titoli privilegiati che il Tesoro
detiene in cambio di altrettanti prestiti. Un collocamento
da 17 miliardi dovrebbe scattare già in settimana. Il
governo, allo stesso tempo, avvierà la cessione a
investitori privati di una quota azionaria del 34%
nell'istituto ricevuta quale contropartita di ulteriori
soccorsi per 25 miliardi. L'amministrazione Obama cederà
inizialmente una tranche da 5 miliardi e le restanti azioni
nell'arco di 6-12 mesi. La banca, inoltre, abbandonerà un
programma federale che la proteggeva da perdite su oltre 300
miliardi di dollari di asset tossici. E, in un segno di
sobrietà, ha deciso di pagare in titoli invece che in
contanti compensi ai suoi dirigenti per 1,7 miliardi.
Citi, grazie alla manovra, si sbarazzerà dell'etichetta di
"assistito speciale", e con questa di controlli pubblici
particolarmente rigidi sulle sue strategie e sui compensi
dei dirigenti. Simili restrizioni sono state denunciate come
sempre più dannose per la competitività dell'istituto, che
ha visto concorrenti uscire dalla tutela federale: Bank of
America ha già raggiunto nelle scorse settimane un accordo
con il Tesoro per restituzione di aiuti e altre società
appaiono vicine.
«Abbiamo un debito di gratitudine con il contribuente
americano», ha ammesso Pandit nell'annunciare l'accordo con
le autorità. Obama, pur citando l'intesa con Citigroup quale
segno incoraggiante di stabilità finanziaria, ha tuttavia
invocato il debito morale ancora aperto per chiedere maggior
cooperazione all'alta finanza. Ha ricordato ai banchieri che
i disastri li hanno spesso causati «con le loro mani», con
eccessive corse al rischio. «Le banche hanno sempre svolto
un ruolo cruciale nell'economia nazionale – ha aggiunto –.
Le abbiamo soccorse e, grazie al popolo americano, il
sistema è più stabile, gli istituti possono tornare a
dichiarare profitti. Mi aspetto un impegno altrettanto
straordinario da parte loro per rilanciare l'economia». Un
impegno che cominci con «l'aiutare le Pmi di qualità che
hanno bisogno di prestiti per crescere e assumere».
Il presidente ha parlato al termine di un incontro con una
decina di esponenti dell'Olimpo della finanza: da Jamie
Dimon di Jp Morgan a Ken Chenault di American Express, da
Ken Lewis di BofA a John Stumpf di Wells Fargo. Tre
executive hanno partecipato in videoconferenza quando il
maltempo ha impedito loro di arrivare a Washington: Lloyd
Blankfein di Goldman Sachs, John Mack di Morgan Stanley e
Dick Parsons, presidente di Citi. Oltre a chiedere loro di
soddisfare le domande dell'economia reale, Obama ha lanciato
un avvertimento: non opporsi, con i lobbisti, alla grande
riforma delle regole voluta dall'amministrazione per evitare
il ripetersi di gravi crisi. Una riforma, approvata dalla
Camera ma non ancora dal Senato, che prevede stretta
supervisione del sistema finanziario e inedita protezione
dei consumatori.
Il pellegrinaggio dei banchieri a Washington, dove hanno
discusso anche con il Segretario al Segretario al Tesoro Tim
Geithner e il consigliere economico Larry Summers, è
avvenuto in un clima che resta di alta tensione tra Casa
Bianca e Wall Street: lo stesso presidente, in un'intervista
televisiva nel fine settimana, ha apostrofato i re della
finanza come "fat cats", Paperon de Paperoni aggrappati ai
loro bonus e insensibili alle difficoltà di una popolazione
che fa i conti con una disoccupazione al 10%. I banchieri
hanno cercato ieri di smorzare le polemiche e promesso di
aprire le porte alle piccole aziende, di riconsiderare
richieste di prestiti dove queste siano state troppo
frettolosamente negate.
 |
Fonte -
Il Sole 24 Ore |
TASSI USA: LA
FED CONFERMA IL TARGET 0.00%-0.25%
16 Dicembre 2009 20:16 NEW YORK -
XXX ______________________________________________
Come ampiamente atteso, la Banca
Centrale Usa ha mantenuto invariata la forchetta sui fed
funds. Le condizioni dei mercati finanziari supportano
maggiormente la crescita ora. Decisione unanime. COMUNICATO
FED
La Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse
ad un range compreso tra lo 0.00% e lo 0.25%. I tassi sono
fermi all’attuale livello dal 16 dicembre dello scorso anno.
Nessun cambiamento significativo nel testo ufficiale che ha
accompagnato la decisione; i piani di emergenza dovrebbero
essere conclusi nel 2010 come previsto, l’inflazione
continuera’ a rimanere contenuta.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in
italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Le informazioni ricevute dall’incontro del FOMC svoltosi a
novembre suggeriscono che l’attivita’ economica ha
continuato ad espandersi e che il deterioramento del mercato
del lavoro si sta affievolendo. Il settore immobiliare ha
mostrato alcuni segnali di miglioramento negli ultimi mesi.
La spesa delle famiglie sembra essere in espansione ad un
tasso moderato sebbene resti limitata dal debole mercato del
lavoro, dalla modesta crescita dei salari, dalla ridotta
ricchezza e dal limitato accesso al credito. Le aziende
stanno continuando a ridurre gli investimenti, sebbene ad un
tasso inferiore; ma restano riluttanti ad assumere;
continuano a registrare progressi verso un migliore
allineamento tra scorte e vendite. Le condizioni del mercato
finanziario supportano maggiormente ora la crescita
economica. Sebbene l’attivita’ economica restera’
probabilmente debole ancora per diverso tempo, il Comitato
anticipa che le azioni mirate alla stabilizzazione dei
mercati e degli istituti finanziari, gli stimoli fiscali e
monetari e le forze di mercato contribuiranno a rafforzare
la crescita economica ed un graduale ritorno a maggiori
livelli di utilizzazione delle risorse in un contesto di
stabilita’ dei prezzi.
Con il significativo rallentamento dell’utilizzazione delle
risorse che continuera’ a limitare le pressioni sui costi,
in un contesto inflativo di lungo termine stabile, il
Comitato si aspetta che l’inflazione restera’ contenuta per
diverso tempo.
Il Comitato manterra’ il target sui fed funds nel range
0.00%-0.25% e continua ad anticipare che le condizioni
economiche, inclusi i bassi tassi di utilizzazione delle
risorse, i contenuti trend inflativi, e le aspettative di
un’inflaizone stabile, probabilmente contribuiranno a
mantenere i tassi a livelli eccezionalmente bassi per un
lungo periodo. Per fornire supporto alle attivita’ di
prestito mutui ed al mercato immobiliare e per migliorare le
condizioni generali all’interno dei mercati del credito
privati, la Federal Reserve acquistera’ $1.25 mila miliardi
in asset MBS (Mortgage-Backed Securities) e circa $175
miliardi in debito (Agency Debt). Per promuovere una piu’
semplice transizione sui mercati, il Comitato rallentera’
gradualmente l’attivita’ di acquisto ed anticipa che tali
transazioni saranno eseguite entro la fine del primo
trimestre 2010. Il Comitato continuera’ a valutare la
tempistica e l’ammontare generale degli acquisti alla luce
dello sviluppo dell’outlook economico e delle condizioni dei
mercati finanziari.
Alla luce dei miglioramenti in atto nelle funzioni dei
mercati finanziari, il Comitato e il Consiglio dei
Governatori anticipano che gran parte degli speciali
strumenti di liquidita’ utilizzati dalla Fed scadranno entro
il primo febbraio 2010, in linea con quanto annunciato lo
scorso 25 giugno. Tali strumenti includono: Asset-Backed
Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility,
Commercial Paper Funding Facility, Primary Dealer Credit
Facility, e Term Securities Lending Facility. La Federal
Reserve lavorera’ anche in cordinamento con le controparti
per chiudere temporaneamente gli accordi di swap sulla
liquidita’ entro il primo febbraio. La Fed si aspetta che
l’ammontare fornito sotto gli accordi di Termn Auction
Facility continueranno ad essere ridotti agli inizi del
2010. L’anticipata data di scadenza per i Term Asset-Backed
Securities Loan Facility resta fissata al 30 giugno 2010,
per i prestiti garantiti da nuove emissioni commerciali MBS
e al 31 marzo 2010, per i prestiti garantiti dalle restanti
parti. La Federal Reserve e’ pronta a modificare tali piani
se necessario per supportare la stabilita’ finanziaria e la
crescita economica.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC
sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; William C. Dudley,
Vice Chairman; Elizabeth A. Duke; Charles L. Evans; Donald
L. Kohn; Jeffrey M. Lacker; Dennis P. Lockart; Daniel K.
Tarullo; Kevin M. Warsh; e Janet L. Yellen.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la
decisione della Federal Reserve di confermare il tasso
interbancario in un range di 0.0%-0.25%:
Information received since the Federal Open Market Committee
met in November suggests that economic activity has
continued to pick up and that the deterioration in the labor
market is abating. The housing sector has shown some signs
of improvement over recent months. Household spending
appears to be expanding at a moderate rate, though it
remains constrained by a weak labor market, modest income
growth, lower housing wealth, and tight credit. Businesses
are still cutting back on fixed investment, though at a
slower pace, and remain reluctant to add to payrolls; they
continue to make progress in bringing inventory stocks into
better alignment with sales. Financial market conditions
have become more supportive of economic growth. Although
economic activity is likely to remain weak for a time, the
Committee anticipates that policy actions to stabilize
financial markets and institutions, fiscal and monetary
stimulus, and market forces will contribute to a
strengthening of economic growth and a gradual return to
higher levels of resource utilization in a context of price
stability.
With substantial resource slack likely to continue to dampen
cost pressures and with longer-term inflation expectations
stable, the Committee expects that inflation will remain
subdued for some time.
The Committee will maintain the target range for the federal
funds rate at 0 to 1/4 percent and continues to anticipate
that economic conditions, including low rates of resource
utilization, subdued inflation trends, and stable inflation
expectations, are likely to warrant exceptionally low levels
of the federal funds rate for an extended period. To provide
support to mortgage lending and housing markets and to
improve overall conditions in private credit markets, the
Federal Reserve is in the process of purchasing $1.25
trillion of agency mortgage-backed securities and about $175
billion of agency debt. In order to promote a smooth
transition in markets, the Committee is gradually slowing
the pace of these purchases, and it anticipates that these
transactions will be executed by the end of the first
quarter of 2010. The Committee will continue to evaluate the
timing and overall amounts of its purchases of securities in
light of the evolving economic outlook and conditions in
financial markets.
In light of ongoing improvements in the functioning of
financial markets, the Committee and the Board of Governors
anticipate that most of the Federal Reserve’s special
liquidity facilities will expire on February 1, 2010,
consistent with the Federal Reserve’s announcement of June
25, 2009. These facilities include the Asset-Backed
Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility,
the Commercial Paper Funding Facility, the Primary Dealer
Credit Facility, and the Term Securities Lending Facility.
The Federal Reserve will also be working with its central
bank counterparties to close its temporary liquidity swap
arrangements by February 1. The Federal Reserve expects that
amounts provided under the Term Auction Facility will
continue to be scaled back in early 2010. The anticipated
expiration dates for the Term Asset-Backed Securities Loan
Facility remain set at June 30, 2010, for loans backed by
new-issue commercial mortgage-backed securities and March
31, 2010, for loans backed by all other types of collateral.
The Federal Reserve is prepared to modify these plans if
necessary to support financial stability and economic growth.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S.
Bernanke, Chairman; William C. Dudley, Vice Chairman;
Elizabeth A. Duke; Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Jeffrey
M. Lacker; Dennis P. Lockhart; Daniel K. Tarullo; Kevin M.
Warsh; and Janet L. Yellen.
Fonte
- www.wallstreetitalia.com
Problemi in vista
per il mattone
16-12-09 -
Marco Caprotti ______________________________________________
Il comparto immobiliare tiene ma,
avvertono gli analisti, si prepara a un difficile 2010.
L’indice Msci del settore nell’ultimo mese (fino al 16
dicembre e calcolato in euro) ha guadagnato il 2,7%,
portando a +20,5% la performance da inizio anno. “La fiducia
che fra alti e bassi si respira sui mercati sta facendo bene
anche al mattone”, spiega una nota di Morningstar. “I
problemi, tuttavia, non sono ancora finiti e, l’anno
prossimo, bisognerà farci i conti”. Anche questa volta, le
difficoltà partiranno dagli Stati Uniti. Circa 1.500
miliardi di dollari di mutui per l’edilizia commerciale
americana, infatti, nel 2010 andranno in scadenza. Ma molti
sottoscrittori hanno già fatto sapere che non saranno in
grado di onorare gli impegni. Per questo stanno cercando con
grosse difficoltà di rifinanziare il debito e sperano in un
intervento del governo (simile a quello attuato per salvare
le banche) per risolvere la situazione.
L’amministrazione Usa – e in
particolare Tesoro e Federal Reserve – hanno tuttavia già
lasciato intendere che non intendono intervenire nuovamente sul
mercato. “Una soluzione per molte società immobiliari potrebbe
essere quella di quotarsi in Borsa e intascare i soldi dell’Ipo”,
continua la nota. “Una situazione simile si è già vista
all’inizio degli anni ’90, quando i prezzi del mattone sono
crollati”. Per quanto riguarda il settore abitativo, secondo gli
ultimi dati rilasciati dal Dipartimento del commercio, la
costruzione di nuove case ha novembre è cresciuta dell’8,9%,
rispetto allo stesso mese dell’anno scorso.
Problemi potrebbero registrarsi anche nel settore immobiliare
europeo. Ad attivare la sirena è stata Kate Baker, personaggio
influente della Bank of England che si è detta sorpresa dal
rimbalzo dei prezzi delle abitazioni registrato negli ultimi
mesi. Secondo i dati della società di consulenza Rightmove, il
valore degli immobili da gennaio è cresciuto del 4%. Merito, ha
spiegato la Baker della diminuzione della disoccupazione.
“Tuttavia, la situazione sul fronte del lavoro l’anno prossimo
potrebbe deteriorarsi ancora. Questo porterà ad una stagnazione
dei prezzi”, ha detto il membro della BoE. Lo stesso potrebbe
accadere nel resto del Vecchio continente, visto che, di solito,
l’andamento del mattone in Gran Bretagna anticipa quello
europeo.
In Asia gli esperti tengono d’occhio soprattutto la Cina che,
dal punto di vista immobiliare, nell’ultimo trimestre è stata
una delle regioni peggiori a livello globale. La situazione è
complicata dall’intenzione del governo di reintrodurre la tassa
sulle rivendite di case effettuate entro cinque anni
dall’acquisto. Precedentemente il limite era stato abbassato a
due anni.
Gli operatori, tuttavia, sono ottimisti. “Il mercato ha già
digerito il rischio di un intervento della politica nel settore
delle abitazioni”, spiega uno studio della società di consulenza
CLSA Asia Pacific Markets. “In generale il comparto immobiliare
godrà di buona salute, grazie alla crescita economica del Paese
che spingerà sempre più persone a investire nel mattone”.
Fonte
- www.morningstar.it
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Domenica
13 Dicembre
2009 |
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Giovedì
17 Dicembre
2009 |
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Venerdì
18 Dicembre
2009 |
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La settimana,
18/12/2009
Friday, 18 December, 2009 at
16:43 -
by phastidio ______________________________________________
Durante la settimana il dollaro
ha toccato il massimo degli ultimi tre mesi, mentre azioni e
materie prime hanno visto un ridimensionamento, per effetto
della ripresa di avversione al rischio indotta da timori
sulla possibilità di stallo della ripresa economica e dalla
vulnerabilità di alcuni paesi dell’Area Euro. Il dollaro ha
recuperato contro tutte le divise più scambiate mentre il
Dollar Index, che traccia l’andamento della valuta
statunitense contro i sei principali partner commerciali del
paese, si è rivalutato di circa l’1 per cento.
La decisione dell’agenzia di rating Standard & Poor’s,
avvenuta mercoledì 16 dicembre, di risolvere il creditwatch
negative sulla Grecia con il taglio del rating (il secondo
quest’anno), ha suscitato negli investitori il timore che la
recessione globale possa ancora pesare sulle economie più
fragili. Si è registrato un significativo aumento del
rischio di credito sovrano greco, ed il differenziale tra
titoli di stato greci e tedeschi si è ampliato di circa
mezzo punto percentuale. Negli Stati Uniti, la Federal
Reserve ha dichiarato, dopo il meeting del Federal Open
Market Commitee, che la maggior parte dei programmi
straordinari di fornitura di liquidità verranno lasciati
scadere, come previsto, il primo febbraio.
L’ascesa del dollaro ha causato ripiegamenti nelle
quotazioni azionarie dei produttori di materie prime, mentre
Citigroup ha subito una marcata flessione per effetto
dell’aumento di capitale deciso per procedere al rimborso
dei fondi del TARP. A seguito del ribasso, che è soprattutto
effetto della diluizione degli azionisti esistenti, il
Tesoro americano ha deciso di rinviare l’inizio della
procedura di vendita della prima tranche del 34 per cento di
azioni ordinarie Citigroup in suo possesso. La decisione è
destinata a pesare sulle quotazioni della banca
statunitense, perché rappresenta un elemento aggiuntivo di
incertezza. In settimana, anche Wells Fargo ha effettuato un
aumento di capitale finalizzato al rimborso degli aiuti
pubblici.
Relativamente alle banche, giovedì 17 il comitato di Basilea
della Banca dei Regolamenti Internazionali ha presentato la
bozza di riforma della supervisione sulle istituzioni
finanziarie e creditizie. Le proposte tendono a dare una
definizione restrittiva del capitale azionario Tier 1,
riducendo l’utilizzo di titoli ibridi a fini di soddisfare i
requisiti patrimoniali, oltre a proporre riduzioni del grado
di leva finanziaria e aumento del cuscinetto di liquidità
prudenziale richiesto agli istituti. Se tali proposte
diverranno operative, è verosimile attendersi che molte
banche avranno necessità di procedere a ricapitalizzazioni.
In Cina, nel tentativo di raffreddare il mercato
immobiliare, le autorità hanno stabilito d’imporre un
anticipo di almeno il 50 per cento sull’acquisto di terreni.
L’iniziativa segue l’imposizione di una tassa sulla vendita
di abitazioni entro i primi 5 anni dall’acquisto. Nella
giornata di giovedì 17 dicembre, l’agenzia di rating Fitch
in un comunicato ha dichiarato che le banche cinesi
avrebbero occultato transazioni fuori bilancio con la
finalità di alterare il reale stato del credito. In reazione
a queste due notizie, l’indice di Shanghai ha chiuso la
settimana con l’ennesimo ribasso, al minimo da 3 settimane,
ed ha finora corretto del 10 per cento dal massimo
dell’anno.
Fonte
- Macromonitor
Francesco Micheli:
«C'è una bolla enorme»
16 Dicembre 2009 11:02 MILANO –
Il Sole 24 Ore ______________________________________________
«Oggi siamo di nuovo sulla
sommità di una bolla finanziaria enorme, prodotta dagli
stessi responsabili della precedente». È secco e senza
appello il giudizio del finanziere Francesco Micheli, grande
esperto e attento osservatore dei mercati.
Dello stesso avviso Guido Rossi, giurista, professore ed ex
presidente Consob: «Sono contento di non essere l'unica
Cassandra – ha commentato – dato che anche Micheli prevede
una nuova bolla». Entrambi sono intervenuti alla
presentazione del libro «Wall Street: La stangata», scritto
da Fabio Tamburini, direttore dell'Agenzia Il Sole 24 Ore
Radiocor, e Gianfilippo Cuneo, pubblicato da Baldini
Castoldi Dalai Editore.
All'evento, ieri sera presso il Circolo della Stampa di
fronte a una platea di manager, investitori e gente comune,
ha partecipato anche il presidente di Bpm e Impregilo,
Massimo Ponzellini. Le basi per lo scoppio della nuova
bolla, ha esordito Micheli, sono state poste «a partire da
un'enorme base monetaria, soprattutto in dollari, creata in
una forma di accanimento terapeutico per risollevare
l'economia» e dall'introduzione di nuove regole «che come
sempre vanno bene per le banche e non per i risparmiatori».
I responsabili della situazione sono quindi «gli stessi
ragazzi che avevano il cappello di Lehman Brothers e oggi
hanno cambiato casacca ma fanno esattamente le stesse cose»,
descrizione in cui, ha aggiunto con un sorriso il
finanziere, «ogni riferimento a Goldman Sachs è puramente
casuale». Rossi, da parte sua, ha notato che «la rivoluzione
finanziaria ha mandato in vacanza la rivoluzione
industriale», in un orizzonte in cui «il mercato ha fallito,
la finanza conta più dell'industria e la ricchezza viene
solo dalla finanza grazie a un sistema che cerca di crearla
a partire dal debito».
Commentando diversi passaggi del libro, Rossi ha quindi
puntato il dito contro le stock option, «uno degli strumenti
di massimo imbroglio da parte dei manager» e tra i
principali imputati per la crisi. Se da questo osservatorio
il panorama globale non appare certo sereno, nubi non
mancano nemmeno nello specifico della situazione italiana.
Micheli ha notato infatti che nel nostro Paese la crisi
«comincia a fare i suoi veri danni soltanto oggi e, al di là
degli annunci della politica, è difficile che questo possa
cambiare prima della fine del 2012». Tanto più, ha concluso,
che «in Italia siamo molto vicini all'esplosione dello
scandalo delle perizie immobiliari, in cui sono state fatte
valutazioni valide erga omnes che fanno inorridire come
certi prodotti finanziari avvelenati».
Tutto sul filo del paradosso, infine, l'intervento di
Ponzellini, che ha ricordato il commiato di Alan Greenspan
di fronte ai banchieri centrali europei al termine del suo
mandato alla guida della Federal Reserve americana. Quella
di Greenspan «voleva essere una battuta di spirito, ma si è
rivelata un'esatta fotografia di ciò che si sarebbe
verificato». Il banchiere Usa, ha raccontato Ponzellini,
«spiegò di aver lasciato al suo successore tre buste, una
per ogni futura crisi. Nella prima c'era scritto «Dai la
colpa al mercato» e nella seconda «Dai la colpa al governo».
Nella terza, infine, «Prepara tre buste».
Fonte
- Il Sole 24 Ore
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Finanza:
nuvolosità diffusa, nuovi temporali
20 Dicembre 2009 17:03 MILANO -
di Giuseppe Turani
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Un recente studio del Boston Consulting Group sostiene che
almeno il 50% degli operatori del private equity è a rischio
di chiusura e che migliaia di aziende nel mondo saranno
presto senza padroni e senza soldi. Banche costrette a
rafforzare il capitale. La novità del 2010 sarà una «cosa»
chiamata «selezione». Assisteremo ad una tremenda selezione
tra le imprese perché con i mercati asfittici, con le banche
che non erogano credito, con i costi sempre difficilissimi
da comprimere, vincerà solo chi sarà molto ben equipaggiato.
Vinceranno le aziende in grado di competere a livello
internazionale perché a fronte a un´Europa e a un Nord
America che fanno ancora fatica a riprendersi, Asia e Sud
America stanno continuando a crescere senza soste. E chi è
posizionato - con stabilimenti o con clienti - in quei paesi
ha molte più possibilità di uscire dalla crisi più forte di
prima.
A Bologna, ad esempio, ci sono aziende che hanno
ridimensionato fabbriche in loco, ma che contemporaneamente
hanno avuto il coraggio di aprire produzioni in Vietnam, in
Cina o in India. Produzioni che, dopo pochi mesi, già
bilanciano buona parte dei cali del fatturato europeo. Per
cui tra i primi vincitori ci sono coloro che hanno avuto il
coraggio di guardare fuori casa.
La seconda categoria di imprese che uscirà vincitrice è
quella di chi ha contratto pochi debiti, in pratica di chi
ha fatto il passo della lunghezza della gamba negli anni in
cui le banche arrivavano quasi ad obbligare le imprese ad
indebitarsi. Oggi le banche non danno più soldi alle
imprese, anzi li tolgono, dove possibile. Per cui chi non ha
bisogno delle banche è certamente favorito. Molte aziende
solide finanziariamente sono chiamate da banche, avvocati e
consulenti per salvare le loro concorrenti indebitate, altre
sono spinte a rilevare società di proprietà di quei private
equity che le avevano indebitate a livelli inaccettabili. E
che ora non riescono più a far fronte ai debiti.
Anche tra le banche pertanto ci sarà una forte selezione
perché ben presto, analizzandone i bilanci, vedremo chi ha
esagerato con l´acquisition financing, con le operazioni a
forte leva finanziaria, con le operazioni garantite da
titoli azionari che oggi hanno un valore assai
ridimensionato. Ed infatti mentre nel corso del 2009 tutti
abbiamo guardato all´esposizione sui sub prime, sui titoli
tossici e più recentemente sulle carte di credito, nei
prossimi mesi non potremo non andare a vedere chi è
fortemente esposto con il private equity, le operazioni a
forte leva e, peggio del peggio, chi addirittura ha voluto
entrare nel capitale di società molto indebitate. Il
bubbone, nei bilanci di alcune banche, si preannuncia molto
corposo.
Con la conseguenza che tali banche dovranno fare forti
svalutazioni. Andando così ad indebolire ulteriormente
bilanci già non certo floridi e che saranno costrette a
rafforzare con continui aumenti di capitale, sempre più a
sconto. Le banche che invece hanno prestato soldi solo a
clienti robusti usciranno ben più forti, si porranno come
soggetti aggregatori e su di esse le banche centrali
costruiranno la futura architettura del sistema, quella del
dopo crisi.
La terza selezione sarà proprio nel settore dei fondi e
delle finanziarie di investimento. Cioè quel settore che, se
lo si studia sui manuali, dovrebbe essere il motore
principale dello sviluppo. Grazie a simili investitori
infatti le società più promettenti e meritevoli erano in
grado di reperire capitali, di andare più rapidamente in
borsa, effettuare ulteriori acquisizioni.
Peccato che la maggior parte degli operatori del private
equity si sia ubriacata di superficialità, di protagonismo e
di faciloneria. E così oggi centinaia di società sono
sull´orlo del fallimento. Un recente studio del Boston
Consulting Group sostiene che almeno il 50 per cento degli
operatori (cioè la metà!) del private equity è a rischio di
chiusura e che migliaia di aziende nel mondo saranno presto
senza padroni e senza soldi. Anche qui invece trionferanno
gli operatori che sono stati più prudenti, che non hanno
consigliato operazioni troppo a rischio, che non hanno
partecipato a quei superleverage che stanno saltando come
birilli. Insomma, cash is king, si sente dire sempre più
spesso. Chi ha i soldi stravincerà: è cominciata la
selezione.
 |
Fonte -
La Repubblica |
BORSA: SI CHIUDE
IL PEGGIOR DECENNIO DI SEMPRE
22 Dicembre 2009 17:05 NEW YORK -
APCOM ______________________________________________
A New York sta per calare il
sipario sul piu' brutto periodo mai registrato nella storia.
I mercati azionari fanno segnare un calo medio dello 0.5%
dal 1999 ad oggi. Servirebbe un rally del 3.6% per
migliorare il risultato degli anni '30.
A Wall Street sta per calare il sipario sul peggiore
decennio di sempre. Lo scrive il Wall Street Journal sulla
base di stime di William Goetzmann, il direttore della
scuola di management dell'università di Yale. Il mercati
azionari di New York hanno fatto segnare un calo medio dello
0,5 per cento, dal 1999 a oggi, e servirebbe uno portentoso
rally di fine anno, con una crescita del 3,6 per cento nelle
ultime due settimane, per migliorare il risultato degli anni
Trenta, quelli della Grande Depressione, quando il calo
medio fu dello 0,2 per cento.
Va detto che le statistiche di Goetzmann, che ha preso in
considerazione i decenni di Wall Street dal 1820 a oggi,
sono viziate da un fattore legato al calendario. Il picco
della Grande Depressione fu infatti l'autunno del 1929, ma
quell'anno non viene preso in considerazione nella
valutazione del decennio iniziato il 1 gennaio 1930. In
termini assoluti la Grande Depressione è costata agli
investitori americani di più della recessione in atto.
Ma questo poco toglie al terribile decennio che si chiude.
Dal 2000 al 2009, secondo l'economista Michele Gambera,
sarebbe stato meglio investire in obbligazioni, che hanno
reso tra il 5,6 e l'8 per cento, o meglio ancora in oro, che
ha chiuso la decade in rialzo del 15 per cento, dopo aver
perso il 3 per cento negli anni Novanta. Anche tenere i
soldi nel materasso, secondo il Journal, sarebbe stato un
investimento migliore rispetto al mercato azionario.
Dalla fine del 1999 lo Standard & Poor's 500 ha perso una
media dello 3,3 per cento l'anno, contro il rialzo medio
dell'1,8 per cento degli anni Trenta. La stima è in questo
caso di Charles Jones, docente di finanza dell'università
della North Carolina, secondo il quale il decennio
'perdente' peserà in maniera significativa anche sui
rendimenti su base trentennale, anche ipotizzando una
crescita sostenuta nei prossimi dieci anni. I mercati sono
cresciuti del 17,6 per cento in media negli anni Novanta, e
anche ipotizzando un rialzo del 10 per cento nella prossima
decate, la rendita trentennale sarebbe solo dell'8,8 per
cento.
Ci sono eccezioni? Ovviamente sì ma poche: solo 13 blue chip
hanno chiuso il decennio in positivo e solo due, Caterpillar
e United Technologies hanno raddoppiato il loro valore negli
ultimi dieci anni.
Fonte
- APCOM
Bond: le cinque
regoleper non scottarsi nel 2010
27 Dicembre 2009 19:49 -
di Fabio Pavesi ______________________________________________
Sono (spesso a torto) sinonimo di
basso rischio e in genere le acquista chi non vuole sfidare
il batticuore delle Borse. Ma anche con le obbligazioni,
siano esse pubbliche o private, il piccolo risparmiatore
qualche rischio lo corre sempre. E il 2010 sul fronte del
mercato dei bond si palesa come assai difficile e
complicato. Il motivo è molto semplice. I prezzi sono reduci
da una cavalcata notevole lungo tutte le scadenze e i tassi
della politica monetaria da decenni non sono mai stati così
bassi. Ovvio che prima o poi i tassi non potranno che salire
e quando questo accadrà ci sarà un impatto sfavorevole sui
prezzi dei titoli. Quel che oggi comprate a 104-105, domani
può valere molto meno. Insomma il mercato è caro e quel
miraggio di una cedola al 3-4% può rivelarsi un autogol se i
prezzi dovessero scendere. Ecco dunque qualche regola di
buon senso per minimizzare il più possibile i rischi di un
acquisto di titoli di Stato o societari nell'anno che verrà.
1) Prudenza sulle obbligazioni governative che scadono tra i
dieci e i 30 anni. E' vero che se si cercano cedole un
minimo attraenti è lì che bisogna andare, ma come detto si
paga salato. Il BTp che scade nel 2039 ha una cedola ghiotta
del 5%, ma il titolo costa 104,8; il valore cioè di un
intero anno di rendimento. Se i tassi dovessero salire
l'anno prossimo quel prezzo scenderà. Alcune stime dicono
che sul trentennale l'effetto di un aumento di 0,25% dei
tassi guida deprime i valori del 3,8%. Un rialzo dei tassi
fino all'1% (oggi remoto) porta il deprezzamento fino al
14%. Rischiereste quindi in futuro di avere in portafoglio
un titolo con buone cedole ma che vale meno di quando lo
avete comprato. L'unica difesa è fare il cassettista. Dovete
essere sicuri di mantenere il titolo fino a scadenza per
evitare qualsiasi effetto negativo sui prezzi d'acquisto
2 ) No al BoT che si autorinnova. È uno degli autogol più
clamorosi che fanno i piccoli risparmiatori. Si compra il
BoT annuale e si rinnova a scadenza. Nessun rischio vero, ma
nessun guadagno. Proprio nessuno. Già perché oggi il buono
annuale rende lo 0,68%, ma i costi per comprarlo e venderlo
si mangiano l'intera performance. Un giochino che
arricchisce solo le banche e non voi
3) Occhio al rendimento troppo alto. Quando un titolo
obbligazionario rende di questi tempi sopra il 5 se non 6%
c'è da stare molto attenti. È ovvio che un ritorno di questo
genere attragga gli investitori e il fatto che sia un bond
sembra rassicurare su eventuali rischi, ma non è così. La
storia è piena (dall'Argentina in poi) di obbligazionisti
che hanno comprato titoli gonfi di ricche cedole per poi
ritrovarsi senza capitale in mano. Rendimenti elevati in
questa fase ancora molto critica per l'economia e la finanza
mondiale, sono sospetti. Vuol dire che lo Stato o la società
che emette questi titoli ha un merito di credito traballante
e l'unico possibilità di far digerire la sua "carta" è
quella di offrire rendimenti sempre più alti. Diffidate,
diffidate.
4) Bond in dollari? L'attuale debolezza della moneta Usa può
indurre in forti tentazioni. Si comprano bond in valuta
americana e si spera di beneficiare di una rivalutazione del
dollaro sull'euro. Magari accadrà e si potrà sommare alle
cedole il guadagno in conto capitale. Ma se accadesse il
contrario sarebbero dolori. Quando una moneta perde valore
spesso le cadute sono nell'ordine del 20-30%. Val la pena di
correre questo rischio per un'attività finanziaria che rende
il 3-4% l'anno se tutto va bene? Il gioco forse non vale la
candela.
5) Attenti ai Paesi emergenti. Vi propongono allo sportello
i bond del Brasile o della Russia e vi dicono che le cedole
sono molto alte e in fondo sono Paesi che tirano l'economia
mondiale, dato che la crescita del loro Pil non è quella
asfittica della Vecchia Europa o degli Stati Uniti ancora in
forte convalescenza. In parte è vero, ma se volete
preservare il capitale e guadagnare qualche punto l'anno,
forse è il caso di lasciar perdere. Quei bond sono in valuta
locale e come detto per il dollaro le oscillazioni dei cambi
sono tanto volubili quanto repentine e violente. Avete alte
cedole, ma un rischio incorporato paragonabile a un
investimento in Borsa.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
La tecnologia va
sempre di corsa
23-12-09 -
Marco Caprotti ______________________________________________
La tecnologia continua a correre.
L’indice Msci del settore nell’ultimo mese (fino al 23
dicembre e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 9%,
portando a +50,3% la performance da inizio anno. “Si tratta
di un segnale importante”, spiega una nota firmata da Robert
Johnson, analista di Morningstar. “Significa che le aziende
hanno fiducia nella ripresa e tornano a investire
nell’hi-tech”.
Un’ulteriore spinta dovrebbe arrivare dalle vendite
natalizie che, secondo Johnson, quest’anno dovrebbero
crescere del 2% rispetto all’anno scorso. “Se la previsione
sarà confermata, significherebbe che anche a livello dei
privati sta tornando un po’ di ottimismo”, continua
l’analista. Sul fronte corporate, intanto, si registra un
po’ di fermento. Micron Technology, il più grande produttore
americano di chip di memoria per i computer ha annunciato
che nel primo trimestre fiscale ha registrato un utile netto
di 204 milioni di dollari, contro una perdita di 718 milioni
nello stesso periodo dell’esercizio precedente. Si tratta,
peraltro dei primi profitti che l’azienda vede da due anni a
questa parte. Si frega le mani anche Oracle che, per la
prima volta da quattro trimestri consecutivi ha registrato
un aumento delle nuove licenze.
Sempre per quanto riguarda i conti, Red Hat (produttore del
software Linux), ha annunciato che nel terzo trimestre ha
avuto un fatturato di oltre 194 milioni di dollari, in
crescita del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno
scorso. Gli analisti si attendevano un risultato di 188
milioni. Secondo le indicazioni della società il giro
d’affari dell’anno prossimo dovrebbe essere all’interno di
una forchetta che va dai 743 ai 745 milioni. Se la stima si
avverasse, anche in questo caso si supererebbero le attese
degli operatori che puntano a 736 milioni.
Segnali di ottimismo sono arrivati anche da Hewlett-Packard.
Il vicepresidente del colosso informatico, Vyomesh Joshi, ha
annunciato che la società conta di aumentare la sua quota di
mercato nei diversi settori in cui opera nel corso del 2010
(anche se non ha fornito dettagli più precisi). Per farlo,
il gruppo dovrà rimettere in sesto il ramo d’azienda che si
occupa di stampanti che contribuisce al 21% dei bilanci e
che negli ultimi cinque trimestri è sempre stato in perdita.
Per l’anno prossimo è previsto un miglioramento del 2%.
Nel frattempo anche i venture capitalist si stanno
rimettendo al lavoro nel settore tecnologico. Galleon Group,
ad esempio, ha appena completato le procedure per far
debuttare in Borsa la società di pubblicità online
ReachLocal. Si tratta della quattordicesima operazione del
genere da fine ottobre. Secondo la National Venture Capital
Association nel corso del 2010 ci saranno altre 26 Ipo di
società tecnologiche spalleggiate dal capitale di ventura.
Fonte
- www.morningstar.it
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Martedì
22 Dicembre
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Giovedì
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Giovedì
31 Dicembre
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Sentiment
mercato USA: prove tecniche di
rally
28 Dicembre 2009 13:54 BIELLA -
WSI
________________________________________
Il mercato azionario, trainato dal Nasdaq, tenta l’allungo.
Nonostante il rimbalzo del dollaro Usa – contro euro
apprezzatosi di oltre il 6% rispetto ai minimi di fine
novembre – gli indici principali stanno dando segnali di
volere proseguire nella salita. Tra tutti si distingue
positivamente il Nasdaq Composite, che nella seduta di
lunedì scorso salta in gap-up la forte resistenza in area
2200/20, che ne aveva contenuto il rialzo dalla metà di
novembre in poi.
Il segnale è positivo e conferma la volontà di spingersi
verso la resistenza chiave a 2320, che da molti mesi
indichiamo come obiettivo ultimo del grande movimento di
bear market rally iniziato dai minimi del 9 marzo a 1265.
Per conservare un buon momentum le quotazioni devono ora
assestarsi al di sopra di 2200/20, anche se un segnale di
debolezza si avrebbe solo su discese al di sotto di 2110/55,
al momento poco probabile. Tono sostenuto anche per l’indice
S&P500, che riesce a spingersi al di sopra della resistenza
critica a 1115, che da metà novembre ne aveva arrestato il
rialzo.
Per mantenere un’impostazione tonica per le prossime
settimane è necessaria la tenuta del supporto in area
1065/80. Il quadro tecnico, tuttavia, si indebolirebbe solo
in caso di rottura del forte supporto in area 1020/40, al
momento poco probabile. L’obiettivo per le prossime
settimane è confermato nella resistenza chiave a 1200, dove
dovrebbe esaurirsi il grande rimbalzo in essere dai minimi
del 6 marzo a 666. Il Dow Jones Industrial rimane sui
massimi di periodo a ridosso della forte resistenza a 10500.
Il tono rimane positivo finché le quotazioni stazionano al
di sopra di 10100/200.
Per le prossime settimane l’obiettivo è confermato nella
resistenza chiave a quota 11000, dove dovrebbe esaurirsi il
rally scattato dai minimi del 6 marzo a 6470. Un segnale di
debolezza si avrebbe solo su discese al di sotto di 9950, al
momento poco probabile. La volatilità implicita tocca nuovi
minimi per l’anno, col Vix disceso sotto quota 20 per la
prima volta dal settembre 2008. Finché le quotazioni
rimangono al di sotto di 26 il tono rimane sereno, propizio
ad una prosecuzione del rally azionario.
A livello settoriale si distingue l’ottima performance del
comparto dei semiconduttori, con l’indice Sox di Filadelfia
risalito sui livelli di inizio settembre 2008 (+112%
rispetto ai minimi di fine novembre 2008). Il comparto
bancario, un po’ trascurato nei mesi passati, sembra
riprendere forza, anche se mancano ancora segnali
convincenti. Un segnale rialzista si registra anche dal
settore dei consumi durevoli e dall’auto. Nell’insieme vi
sono quindi le condizioni per una prosecuzione del rialzo
verso gli obiettivi indicati, dove si potrà prendere
beneficio e mettersi liquidi in attesa di nuovi segnali dai
mercati.
 |
Fonte -
Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella
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Obbligazionario
governativo: commento di dicembre
31/12/2009 -
By Phastidio ______________________________________________
Nel mese di dicembre il mercato
obbligazionario governativo dell’Area Euro (a livello di
indice JPM Emu) è stato caratterizzato da una performance
negativa per circa l’1 per cento, frutto di aumento dei
rendimenti sul tratto di curva successivo alla scadenza
triennale, che ne ha determinato quindi un irripidimento.
Il fenomeno appare comune a tutti i mercati obbligazionari,
ed è da ricondurre ai timori dei mercati per il venir meno
delle operazioni di easing quantitativo da parte delle
banche centrali, in un contesto di elevati deficit pubblici,
che manterranno elevata l’offerta di titoli governativi
anche nel 2010. Altri timori derivano dalla possibilità che
pressioni politiche possano determinare un’insufficiente
restrizione monetaria, al momento del manifestarsi della
ripresa.
I mercati stanno progressivamente scontando un aumento delle
attese inflazionistiche, come testimoniato dall’andamento
dei breakeven inflation rates sui titoli governativi
indicizzati all’inflazione, e ciò si riflette in un aumento
dei rendimenti sulla parte a lunga scadenza dei titoli
tradizionali.
Altro evento di rilievo nel corso del periodo è stato
l’ulteriore forte allargamento dei credit default swap sulla
Grecia, dopo che le principali agenzie di rating hanno
proceduto al declassamento del debito sovrano del paese,
mantenendolo in negative outlook. L’approvazione da parte
del parlamento greco della manovra correttiva che taglierà
di circa 4 punti percentuali il rapporto deficit-Pil
(portandolo secondo le previsioni in prossimità di un
comunque poco rassicurante 10 per cento), ha successivamente
favorito una riduzione dei livelli del rischio di credito e
del differenziale tra titoli di stato greci e tedeschi.
Malgrado l’accresciuta volatilità dei mercati ed il
temporaneo aumento dell’avversione al rischio, i titoli di
stato italiani hanno mostrato una buona capacità di tenuta,
riducendo il differenziale di rendimento con il Bund, sulla
scadenza decennale, in un intorno di 70 punti-base. E’ utile
osservare che tali valori restano significativamente
superiori a quelli che venivano registrati prima dello
scoppio della crisi, nella seconda metà del 2007, segnalando
la cautela dei mercati verso quei paesi che hanno i maggiori
rapporti debito-Pil e che dall’introduzione dell’euro hanno
evidenziato limitate capacità di crescita.
Fonte
- Macromonitor
Anno positivo per le Borse. Cina la migliore
31/12/2009 -
Miaeconomia ______________________________________________
Il 2009 borsistico e’ cominciato
male ma sta finendo con le Borse sui massimi dell’anno. Un
risultato su cui molti a gennaio non avrebbero scommesso. Ma
quelli che l’hanno fatto e i fortunati che sono entrati in
Borsa a inizio marzo, si sono portati a casa un bel rialzo.
Tutte le Piazze Mondiali chiudono il 2009 con un cospicuo
guadagno, chi piu’ chi meno. Tra le economie piu’ avanzate
le Borse dell’Asia dell’est hanno la palma della migliore
performance occupando tre dei primi quattro posti nella
classifica della performance dal primo gennaio a oggi anche
graze alla maggiore tenuta delle loro economie rispetto alla
recessione: Singapore e' salita di oltre il 55%, Seul di
oltre il 40% Hong Kong del 35%.
A Wall Street la Borsa ha guadagnato poco piu’ del 21%. In
Europa il mercato azionario che ha messo ha segno la
migliore performance e’, a sorpresa, Stoccolma, che ha
guadagnato oltre il 40% da inizio anno. Il resto delle
principali Borse europee hanno realizzato rialzi che vanno
dal 20% al 25%. Parigi il 18%, Londra il 20%, Francoforte
circa il 25%, a dimostrazione che la globalita’ degli scambi
porta gli investitori a premiare o penalizzare le Borse in
maniera indistinta, segnale che la strategia della
diversificazione geografica sta diventando inefficace,
almeno per stati, mentre continua ad avere qualche senso per
macro regioni (Europa, est-Asia, Nord America, Bric).
Piazza Affari occupa la parte inferiore della classifica con
uno striminzito 15% circa di guadagna; solo la Borsa della
Finlandia ha fatto peggio di noi, ma di un soffio.
L’andamento peggiore delle altre Piazze e’ spiegabile con la
massiccia presenza di titoli bancari e finanziari sul nostro
listino. La crisi dello scorso anno e il crollo delle Borse
di ottobre 2008 ha riguardato in particolar modo i titoli
finanziari, con crolli in certi casi vicini al 90% e quindi
il nostro listino ha pagato piu’ di altri la sua
sovraesposizione al settore bancario e assicurativo. Il
successivo recupero del settore non e’ bastato a compensare
le perdite precedentemente accumulate.
Discorso a parte va fatto per i tre Paesi emergenti, Cina,
Russia e Brasile. Le loro economie hanno risentito molto
meno di altre della recessione mondiale, e sono state le
prime a riprendere un passo di crescita spedito. Di
conseguenza le rispettive Borse hanno accusato solo una
parziale battuta di arresto. Da inizio anno l’indice Sse
Cinese ha piu’ che raddoppiato mettendo a segno un rialzo di
oltre il 100%; l’indice brasiliano Bovespa ha realizzato una
performance del 70% e l’indice indiano Sensex ha guadagnato
da inizio gennaio a oggi quasi il 75%. E gli indici non
sembrano intenzionati a fermarsi nel 2010.
Fonte
-
Miaeconomia
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