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INDICE ARTICOLI di TESTA
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PARTE
2 |
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Lunedì
04
Gennaio
2009 |
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Martedì
05
Gennaio
2009 |
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Mercoledì
06
Gennaio
2009 |
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Mercati
laterali anzi, in rosso dal top
del 2000
03 Gennaio 2010 00:06 BIELLA
– di *Maurizio Milano
*Questo documento
e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi Tecnica
Gruppo Banca Sella
________________________________________
Indici azionari sui massimi dell’anno. Il Nasdaq Composite
si è portato verso la resistenza chiave a 2320; l’ S&P500 è
indirizzato verso l’obiettivo a 1200; il Dow Jones
Industrial sale sopra 10500 e dovrebbe proseguire verso il
target indicato a quota 11000.
Dopo un avvio d’anno all’insegna del panico, con le Borse
sprofondate ad inizio marzo quasi sui livelli di tre lustri
orsono, l’enorme massa di liquidità iniettata dalla Fed e
dalle altre Banche Centrali insieme alle politiche fiscali
fortemente espansive dei principali governi mondiali hanno
consentito l’avvio di uno strepitoso rally, con percentuali
che vanno, dai minimi di marzo, dal +63% del Dow Jones
Industrial al +81% del Nasdaq Composite.
L’effetto base, cioè i prezzi azionari particolarmente
depressi di marzo, ha consentito dei rialzi davvero
importanti in termini percentuali, che permettono di
chiudere il 2009 in territorio ampiamente positivo, dal +20%
del Dow al +45% del Nasdaq. L’ampiezza dei rialzi non deve
però trarre in inganno: gli indici, infatti, sono
semplicemente risaliti sui livelli di inizio settembre 2008
precedenti al fallimento della grande Banca d’affari
statunitense Lehman Brothers, evento che aveva avviato il
grande crash sviluppatosi nelle due ondate successive di
panic-selling di ottobre-novembre 2008 e di gennaio-febbraio
2009.
Il forte rimbalzo iniziato dopo che si è esaurita la fase
acuta, emozionale della crisi finanziaria sembra da
imputare, più che ad aspettative di pronta ripresa del ciclo
economico, soprattutto all’effetto combinato del denaro a
buon mercato e dei prezzi da saldo delle azioni. A livello
tattico, per i prossimi mesi, il permanere dell’effetto
liquidità dovrebbe sostenere ancora i listini, ma la
prudenza sembra essere la parola chiave per il 2010.
Come abbiamo più volte ricordato, infatti, la forte salita
degli ultimi 8-9 mesi appare ancora come un semplice bear
market rally. Guardando i grafici degli ultimi 15 anni, sia
negli Usa che in Europa ci troviamo di fronte a mercati
azionari sostanzialmente laterali, ed addirittura in rosso
dal picco di inizio 2000. Non si può certo dire che le
tradizionali strategie buy&hold siano state vantaggiose
nell’ultimo decennio. Ipotizzare di essere alla vigilia di
un vero e proprio mercato Toro, destinato a durare anche
negli anni a venire, pare quindi alquanto ottimistico.
Negli ultimi 10 anni i Paesi occidentali hanno avuto
dinamiche del Prodotto interno lordo decisamente modeste, se
depurate dalla crescita apparente ma sostanzialmente fasulla
indotta dal denaro facile (in particolare gli Usa, la cui
"crescita" è stata abbondantemente finanziata dal debito).
Le "riprese" indotte da stimoli monetari – quasi cure
"omeopatiche" – rischiano di rivelarsi effimere, oltre che
diseducative perché scoraggiano il risparmio (per via di
tassi di interesse praticamente nulli) e spingono ad
indebitarsi.
Fino a quando non si creerà ricchezza "vera" le Borse non
potranno iniziare a salire in modo sano e sostenibile. Si
rischia che da luogo istituzionalmente deputato agli
investimenti – dove i risparmi vengono allocati a sostegno
dell’economia del Paese – diventino sempre più una sorta di
casinò, in cui ci si scambia ricchezza virtuale come nelle
tradizionali catene di S. Antonio: un "gioco a somma zero",
insomma.
Solo un forte recupero di produttività, indotto da "salti
tecnologici" e riorganizzazioni profonde dei processi
aziendali, potrebbe invertire questo lento declino. Senza
dimenticare che il prossimo decennio vedrà inevitabilmente
un peggioramento della struttura demografica dei Paesi
occidentali, in cui il progressivo pensionamento dei
cosiddetti baby-boomers (la generazione degli anni 50) non
sarà compensato, a causa del calo demografico, da
altrettanti nuovi lavoratori (senza considerare i flussi
migratori).
Ci saranno quindi più anziani, con maggiori spese per sanità
e pensioni, e meno buste paga su cui "scaricare" tali costi.
L’"autunno demografico" in cui è entrato il mondo
occidentale è probabilmente la causa vera, strutturale,
delle crisi che sempre più frequentemente e gravemente
colpiscono le economie – e quindi le Borse – di Usa ed
Europa. Tant’è vero che molti Paesi cosiddetti emergenti,
come India e Brasile, continuano ad avere economie in forte
crescita, che si riflettono in mercati azionari risaliti
addirittura sui massimi storici.
Siccome i trend demografici sono caratterizzati da forte
inerzia, è verosimile ipotizzare che nei prossimi anni
assisteremo ad un crescente decoupling tra le economie e le
Borse dei Paesi "vecchi" e quelle dei Paesi "giovani",
ovviamente a tutto vantaggio di quest’ultimi. Sarà un
processo lento, non lineare, ma sicuramente le due bolle del
decennio – la cosiddetta bolla TMT (tecnologia-media-telecomunicazioni)
del 2000-2002 e la crisi immobiliare-finanziaria in corso –
lasceranno come eredità dei cambiamenti anche a livello
geopolitico, con nuovi attori che acquisiranno potere
crescente sulla scena internazionale a scapito di altri.
Si è molto parlato della necessità di cambiare le regole nel
campo finanziario per evitare il formarsi di nuove bolle nel
futuro. È un’esigenza vera, ma non dimentichiamo che le
bolle sono sempre esistite ed è verosimile che se ne
formeranno ancora in futuro. Ma soprattutto non illudiamoci
che sia sufficiente moltiplicare i regolamenti e aggiungere
arbitri e guardialinee quando in campo mancano i giocatori.
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Fonte -
Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella
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Le Borse mondiali
sono salite del 26,6%
03 Gennaio 2010 MILANO -
di Sara Silano ______________________________________________
Borse mondiali chiudono l’ultima
settimana del 2009 con il segno più. L’indice Msci World ha
guadagnato lo 0,68% (in euro al 30 dicembre), portando la
performance da inizio anno al 26,65%. I rialzi più
significativi si sono registrati nell’area dell’Asia-Pacifico
(+2,49%) e sui mercati emergenti (+1,92%). In Europa,
l’incremento è stato dello 0,46% (+0,59% l’Italia), mentre
negli Stati Uniti, l’indice Msci locale è salito dello
0,76%. L’unico segno meno è il Giappone (-0,38%), ma il dato
è influenzato dal cambio euro/yen in quanto la divisa
nipponica si è indebolita nei confronti di quella
comunitaria.
Nel complesso il 2009 si è concluso in positivo per tutti i
panieri Msci geografici. I mercati emergenti hanno guidato
il rally (+71,9%), seguiti da quelli dell’Asia-Pacifico
(+66,39%). Queste aree hanno retto meglio la crisi, grazie
al minor indebitamento, alla maggior solidità finanziaria e
all’aumento del benessere della popolazione. Al contrario,
le economie sviluppate hanno cominciato a vedere segnali di
miglioramento nell’ultima parte dell’anno, ma continuano a
fare i conti con un debito pubblico molto elevato e la
dipendenza dalla spesa per consumi.
Le Borse occidentali hanno comunque registrato rialzi a due
cifre nel 2009. L’Msci Usa è salito del 23,96%, quello
europeo del 31,2% e l’italiano del 22,63%. Come ha affermato
Anton Brender, capo economista di Dexia asset management,
“Negli Stati Uniti, il peggio è passato, ma il presente non
è ancora chiaro”. Il Paese deve affrontare importanti sfide
(prime fra tutte la disoccupazione e l’elevato livello di
pignoramento delle case), che potrebbero richiedere un
ulteriore intervento federale. Anche nel Vecchio continente,
la crisi è stata dura a causa soprattutto del collasso della
domanda estera. La ripresa potrebbe passare dalle
esportazioni, purché l’euro non continui ad apprezzarsi.
La situazione italiana non differisce molto da quella
europea. Il Fondo monetario internazionale ha stimato una
contrazione del Prodotto interno lordo superiore al 5%
quest’anno e una crescita dello 0,2% nel 2010. In ogni caso,
Piazza Affari si è ripresa dopo un 2008 da dimenticare.
Secondo le statistiche di Borsa italiana, il Ftse Mib ha
guadagnato il 19,5% e il Ftse All Share il 19,2%. Rispetto
ai minimi di marzo, il rialzo è stato rispettivamente
dell’85 e del 79%.
Fa storia a sé il Giappone, che non è stato capace di
agganciare la ripresa. Nel 2009, l’indice Msci locale ha
guadagnato il 3,74% e il Paese continua a soffrire di
problemi strutturali, non riuscendo a lasciarsi alle spalle
la deflazione. Fonte
- www.morningstar.it
Nel 2010 puntare
ancora sulle materie prime
03/01/2010 -
di Miaeconomia ______________________________________________
L’anno prossimo? Sara’ l’anno
delle materie prime. Dopo il rialzo di quest’anno dei
mercati azionari, che in genere anticipano di circa sei mesi
l’andamento dell’economia reale, il 2010 sara’ l’anno delle
materie prime. Anche perche’ se la ripresa si concretizzera’
come sperato, la domanda di beni iniziera’ a salire
spingendo i prezzi.
Quest’anno sono saliti il petrolio e i metalli preziosi. Il
greggio e’ salito sulla scommessa della ripresa economica e
dai minimi di 35 dollari circa, e’ risalito fino verso gli
80 dollari al barile, comunque circa il 50% in meno del
massimo di luglio 2008. Per l’oro, che ha raggiunto i
massimi di sempre, oltre i 1.220 dollari l’oncia, il rialzo
ha altre origini. Nelle fasi incerte dei mercati azionari e
con il dollaro debole, per buona parte dell’anno il future
sul metallo giallo ha rappresentato un ottimo rifugio per i
capitali in fuga dalla Borse. Anche l’argento ha avuto il
suo momento di gloria per lo stesso motivo per cui e’ salito
l’oro.
Secondo molti analisti, nel 2010 a correre saranno gli altri
metalli meno nobili, ma piu’ legati alla ripesa del ciclo
economico, ovvero quelli industriali come rame, zinco, che
comunque anche nel 2009 hanno messo a segno delle belle
performance. Ma correranno anche i prodotti della terra, i
cosiddetti beni coloniali e gli alimentari, che secondo gli
esperti vanno meglio in una fase avanzata di un ciclo
economico. E quindi occhio alle quotazioni dello zucchero,
ma anche del cacao. Senza trascurare la soia, che per altro
e’ condizionata anche dall’uso sempre piu’ diffuso dei
biocarburanti
Ma secondo alcuni analisti l’oro potrebbe tornare a spingere
nuovamente verso nuovi massimi. I mercati azionari hanno
corso molto nell’arco del 2009, ma hanno subito anche alcune
forti correzioni. Ribassi che potrebbero manifestarsi anche
nel corso del 2010. E allora l’oro potrebbe tornare utile
nuovamente come rifugio in caso di cali persistenti dei
mercati azionari. Fonte
- www.miaeconomia.it
Latam, la crisi un
po' si sente
04-01-10 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
dei mercati sembra aver tirato
solo un buffetto all’America latina. E il mercato continua a
premiarla. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese
(fino al 4 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato il
3,7%. Anche in questo caso, spiegano gli operatori, il
merito va alla tenuta dimostrata nel corso del 2009 e alle
buone prospettive per l’anno appena iniziato.
Nel suo ultimo rapporto la Commissione economica delle
Nazioni Unite per l’America latina (ECLA) ha scritto che il
Pil dell’area, dopo sei anni di crescita continua, nel 2009
ha subito una contrazione dell’1,8%. “Il dato è sicuramente
peggiore del -0,8% registrato durante l’ultima recessione
della regione nel 2002”, spiega uno studio firmato dalla
società di consulenza Oxford Analytica (OA). “Tuttavia da
allora le cose sono molto cambiate. La disoccupazione, per
esempio, secondo l’ECLA nel 2009 dovrebbe aver raggiunto un
tasso dell’8,9%. Tuttavia, il dato è migliore del 2006 e di
quelli segnati nel 2002 e nel 2003”.
Buone notizie anche per quanto riguarda il tasso di povertà
che, sempre secondo la Commissione dell’Onu, dovrebbe aver
toccato il 34,1%. “Tuttavia lo studio ha anche precisato che
si tratta di un buon risultato se confrontato con quelli
delle crisi precedenti che hanno attraversato la regione”,
continuano da OA. A questo va aggiunto che il recupero nella
seconda metà dell’anno è stato più veloce rispetto alle
attese.
Per il 2010, invece, l’ECLA si aspetta una crescita del Pil
regionale superiore al 4%. “L’aria di ottimismo è
percepibile anche per quanto riguarda gli individui”, spiega
ancora lo studio di OA. “Nonostante la crisi, la percentuale
di coloro che pensano che le cose stiano migliorando è
arrivata al 36%. Nel 2008, nel pieno della tempesta
mondiale, erano il 33%”.
Il nodo da risolvere per continuare a crescere, spiegano
comunque gli analisti, è quello della disoccupazione. “Al
suo andamento è legata la dinamica della domanda interna che
sta diventando sempre più importante per la regione”, dice
lo studio di OA. Le previsioni delle Nazioni Unite, in
questo senso, sono preoccupanti. Le stime, infatti, parlano
di un tasso di senza lavoro dell’8% secco nel 2010.
“A differenza delle crisi precedenti, tuttavia, la ragione è
da ricercarsi nella minore richiesta di prodotti locali
(principalmente commodity) che dovrebbe arrivare dal resto
del mondo”, continuano da OA. “Questo avrà effetto sulle
imprese del Sudamerica e, di conseguenza, sul loro livello
di occupazione”. L’uscita da questo tunnel, tuttavia, è in
vista. “I governi locali della regione negli ultimi due anni
hanno dimostrato di saper mettere in campo le strategie
giuste per affrontare la crisi mondiale, soprattutto con
piani di stimolo economico e sgravi fiscali”, conclude lo
studio di OA.
Fonte
- www.morningstar.it
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Investire
in dollari
converrà ancora, ma non per
molto
07 Gennaio 2010 23:55 NEW YORK
– di WSI
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Sfruttare la debolezza della valuta Usa attuando operazioni
di carry trade, che hanno contribuito al rally azionario da
oltre +20% nel 2009, e' ancora un buon investimento, ma
rischia di non esserlo sul lungo termine.
Con ogni probabilita' gli investitori continueranno anche
all'inizio del 2010 ad approfittare del dollaro debole per
comprare asset ad alto rischio, ma cosi' facendo rischiano
alla lunga di pagare a caro prezzo i loro investimenti.
Le cosiddette operazioni di "carry trade", ovvero concedere
in prestito valute ad un basso tasso di interesse per
comprare con i soldi ottenuti asset ad alto rendimento come
azioni e commodity, hanno contribuito al rally della Borsa
Usa, che nel 2009 ha guadagnato oltre il 20%.
Salvo un cambiamento drastico nella strategia di politica
monetaria della Federal Reserce, il trend e' destinato a
continuare anche nella prima meta' del 2010, a prescindere
da quanto potrebbe accadere una volta che i tassi di
interesse aumenteranno e le operazioni si ridurranno.
Il dollaro, secondo Dan Katzive, currency strategist at
Credit Suisse, "continuera' ad essere utilizzato come fonte
di finanziamento nell'equazione del carry trade, operazione
che regalera' ancora soddisfazioni come strategia di
investimento nel mercato valutario, in quanto l'appetito
verso il rischio dovrebbe rimanere ancora relativamente
alto".
Molti analisti sostengono che l'azionario si manterra'
ancora su livelli sostenuti nonostante il rimbalzo del 60%
messo a segno dai minimi di 12 anni toccati a inizio marzo.
Tuttavia desta preoccupazioni il fatto che la Federal
Reserve, prima o poi nel corso di quest'anno, dovra'
iniziare ad alzare i tassi di interesse con l'obiettivo di
controllare la crescita e sostenere la valuta americana.
Il tasso sui fed funds si trova sui minimi storici dello
0.14%, il che significa che alle banche non costa quasi
nulla dare denaro in prestito. Allo stesso tempo e' vero che
ultimamente il biglietto verde si e' gradualemente
rafforzato, ma rimane su minimi importanti se lo si
confronta con le altre valute.
Il timore e' che gi investitori che hanno comprato durante
la fase di carry trade sul dollaro inizieranno a ricoprire
le loro posizioni.
"Il carry trade sul dollaro e' passato dall'essere
l'operazione di scambio principale nella seconda parte
dell'anno scorso a essere un investimento molto piu'
rischioso negli ultimi tempi", ha dichiarato Nick Colas,
chief market strategist di ConvergEx Group, secondo cui
l'operazione potrebbe ancora dare buoni frutti ma si basa su
una serie di presupposizioni che non coincidono piu' con il
consenso unanime".
In generale a detta della maggior parte degli analisti, gli
investori dovrebbero puntare sulla diversificazione, con il
70% dei portafogli che si stanno riempiendo di azioni a
grande capitalizzazine ed alta qualita' come Johnson &
Johnson e Wal-Mart e nessuna banca, e con il restante 30%
che preferisce invece scommettere sulla volatilita'.
Siccome prevede che i mercati guadagneranno terreno prima
che il numero di operazioni di carry trade diminuisca
bruscamente, Colas consiglia agli investitori di puntare su
fondi di investimento ETF che capitalizzano sull'andamento
di settore scelti, tra cui gli industriali e i tecnologici.
Secondo l'analista di Credit Suisse un dollaro debole
dovrebbe essere una buona scommessa anche se la Fed dovesse
alzare i tassi in maniera significativa nel 2010.
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Fonte -
www.wallstreeitalia.com |
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Venerdì
08
Gennaio
2009 |
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Sabato
09
Gennaio
2009 |
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Domenica
10
Gennaio
2009 |
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PETROLIO: SOPRA
QUOTA $100 NEL 2010
07 Gennaio 2010 23:58 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Parola di Jeff Rubin, ex chief
economist di CIBC World Markets, che negli ultimi dieci anni
ci ha sempre visto giusto. I prezzi raggiungeranno i $90
gia' da questo trimestre, spinti dalla crescente domanda
proveniente da Asia e Medioriente.
Le quotazioni del greggio ritorneranno sopra quota $100
dollari il barile entro la fine 2010. Ad esserne sicuro e'
Jeff Rubin, ex economista capo di CIBC World Markets, che
negli ultimi dieci anni ha predetto il rincaro dell'oro nero
negli ultimi dieci anni con una precisione chirurgica.
La crescente domanda proveniente da Asia e Medioriente, ha
spiegato Rubin in un'intervista telefonica concessa a
Bloomberg, costringera' i consumatori a fare affidamento
sulle fonti di energia piu' costose e meno convenzionali,
come oil sands,
Rubin, che ha passato gli ultimi 20 anni in seno alla banca
di Toronto e che l'anno scorso ha pubblicato un libro
sull'economia nel settore energetico intitolato "Why Your
World is About to Get a Whole Lot Smaller", nel 2007
predisse che il petrolio avrebbe toccato quota $100 e cosi'
fu.
"Mi pare realistico prevedere che avremo prezzi a tre cifre
nel quarto trimestre dell'anno", ha detto mercoledi' Rubin,
55 anni. "Mi aspetto che le quotazioni del petrolio si
avvicineranno presto a quei livelli e che scambieranno in un
range intorno ai $90 probabilmente gia' dalla fine di
marzo".
Dopo che il Dipartimento dell'Energia Usa (DOE) ha
annunciato che le scorte di distillati sono diminuite, ieri
i contratti con scadenza febbraio sull'oro nero Usa sono
aumentati di valore, raggiungendo quota $83.52 al barile,
sorpassando cosi' i massimi dell'anno scorso di $82. Nel
2008 i prezzi del greggio hanno toccato il record assoluto
di $147.27. Al momento i futures scambiano a quota $82.63 il
barile.
Secondo Rubin, l'incremento nel consumo di petrolio sara'
guidato dalla domanda proveniente dalle economie dei Paesi
in via di sviluppo, come la Cina e l'India, piuttosto che
dalle nazioni industriallizzate dell'Europa occidentale e
degli Stati Uniti, dove la domanda ha probabilmente gia'
toccato le punte piu' alte.
Fonte
- www.wallstreetitalia.com
Cresce l'appetito
per l'est Europa
07-01-10 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
Paesi emergenti non perda
d’occhio l’est Europa. Il consiglio arriva dagli operatori
secondo cui, fra i mercati in via di sviluppo, quelli alla
periferia del Vecchio continente al momento mostrano le
opportunità migliori. L’indice Msci Eastern Europe
nell’ultimo mese (fino al 7 gennaio e calcolato in euro) ha
guadagnato il 4,5%. Nel corso del 2009 è salito del 73,7%,
grazie anche al ritrovato appetito per il rischio dimostrato
dagli investitori, soprattutto a partire da marzo.
“Fra tutte le aree emergenti, quella dell’est Europa,
presenta le valutazioni più interessanti”, spiega uno studio
della società di consulenza Harding Loevner (HL). “Le azioni
cinesi vengono trattate a 25 volte gli utili attesi per
quest’anno e hanno reso il mercato asiatico uno dei più cari
del mondo. India e Brasile lo seguono da vicino con multipli
rispettivamente di 20 e 18 volte. In questa prospettiva la
Russia, con otto volte gli utili, ha valutazioni più
ragionevoli”.
Proprio la maggiore economia della regione sta dando segni
importanti di recupero. Secondo gli ultimi dati elaborati da
VTB Capital, a dicembre il Pil del Paese ha registrato una
contrazione dell’1,3%, contro il -2,5% di novembre.
Nell’ultimo trimestre dell’anno appena chiuso, il Pil
dovrebbe aver subito una contrazione del 2,6% rispetto allo
stesso periodo del 2008. “Si vedono tuttavia dei segni
incoraggianti”, spiega una nota di VTB a corredo dei numeri.
“Il calo del rublo, per esempio, sta aiutando le aziende
dell’export.
L’Europa dell’est, avvertono però gli operatori, offre più
della Russia. “La Polonia è un Paese decisamente
interessante per chi è interessato alle azioni”, continua lo
studio di Harding Loevner. “Le sue aziende sono gestite in
maniera molto prudente e disciplinata”. Il Paese sta anche
procedendo di corsa verso la strada della privatizzazione.
L’ultima operazione è la vendita del 10% dell’estrattore di
rame KGHM Polska Miedz per l’equivalente di circa 520
milioni di euro. La cessione fa parte di un progetto più
ampio studiato da Varsavia per raccogliere 30 miliardi di
zotly (7 miliardi di euro) e tappare in questo modo una
parte del deficit statale.
Più in generale, secondo HL, il comparto più interessante
dell’est Europa resta quello energetico che rappresenta il
25% della capitalizzazione di mercato della regione. Non
mancano, tuttavia, i rischi. “L’area, soprattutto quella del
Baltico, è instabile dal punto di vista politico”, spiega lo
studio. “Senza contare che non sono molte le aziende di quei
Paesi che hanno certificati quotati negli Stati Uniti. La
situazione, tuttavia, sta migliorando, anche grazie alla
crisi. Nei mesi scorsi, le istituzioni internazionali hanno
fornito aiuti contro la crisi a patto che venissero
intraprese riforme sia dal punto di vista fiscale che da
quello delle pratiche di corporate governance”.
Fonte
- www.morningstar.it
Superbonus banche Usa,
al via la stagione tra polemiche
10 Gennaio 2010 15:35 -
di Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Si preannuncia ricca di polemiche la stagione dei bonus
2010, specialmente per i banchieri (si veda anche Il Sole 24
Ore del 7 gennaio). Già nello scorso anno il tema era stato
dibattuto a lungo, ma adesso la questione rischia di
diventare bollente, anche in seguito all'aumento sulle
differenze di reddito dovute alla crisi economica che ha
picchiato duro, specialmente sui più giovani e sulle
famiglie monoreddito.
Infatti, nonostante gli inviti a ridurli, molte banche si
preparano a staccare pesanti assegni che, per alcuni
istituti, potrebbero risultare ai livelli degli anni boom.
Secondo il New York Times, il comparto è assolutamente
"consapevole che i numeri a sei, sette o otto cifre faranno
probabilmente infuriare" l'opinione pubblica. Il quotidiano
si interroga su come "avvolgere in un manto di moderazione
gli assegni": questa preoccupazione ha portato molti
istituti a rivedere le pratiche di distribuzione dei
compensi, favorendo il pagamento in azioni rispetto ai
contanti.
Ma negli ultimi mesi, dicono alcuni osservatori, il
dibattito si è spostato dall'opportunità di retribuzioni con
un mix cash-titoli all'ammontare complessivo. I bonus sono
oggetto di crescente attenzione sia da parte di Washington
sia di altre autorità, come il procuratore generale di New
York, Andrew Cuomo.
"Molti banchieri – dice il New York Times - temono che gli
Stati Uniti, come la Gran Bretagna, possano optare per una
tassa sui bonus, in linea con quanto proposto dal
democratico Dennis Kucinich".
Goldman Sachs si prepara a retribuire i propri dipendenti
con circa 595mila dollari ciascuno per il 2009. I dipendenti
di Jp Morgan riceveranno in media 463mila dollari. Secondo
John Reed, uno dei fondatori di Citigroup, Wall Street non
riguadagnerà la fiducia pubblica fino a che non ridurrà in
modo serio i bonus.
"Non c'è niente che mi lascia intravedere che queste persone
abbiano imparato qualcosa dalla crisi", afferma.
L'attenzione è soprattutto puntata su come si muoverà
Goldman Sachs, oggetto di forti critiche, le ultime
provenienti dall'ex amministratore delegato di Aig, Henry
Greenberg, che accusa la banca di essere responsabile del
crollo della società assicurativa. Nel 2007 l'amministratore
delegato Lloyd Blankfein è stato pagato 68 milioni di
dollari, una cifra record a Wall Street, mentre lo scorso
anno non ha ricevuto bonus: ora si guarda a quanto incasserà
nel 2009, uno degli anni più redditizi della storia della
banca.
Fonte
- Il Sole 24 Ore
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Banche
e broker: i migliori ma
anche i più odiati
12 Gennaio 2010 01:30 NEW YOR
– di
WSI
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I profitti, secondo le previsioni degli analisti, sono
aumentati del 120% se si prendono in considerazione tutte le
societa' componenti l'S&P 500, e triplicheranno entro il
2011, facendo ben quattro volte meglio del mercato. Se tali
stime dovessero venire confermate, vuol dire che i titoli
scambiano ad uno sconto del 15% rispetto all'indice.
Ma questo non e' sufficiente per tutti quei money manager
rimasti scottati dal crollo dell'84% subito dai titoli dal
febbraio 2007 a marzo dell'anno scorso, senza contare gli
oltre 160 fallimenti bancari negli ultimi due anni. Secondo
un sondaggio effettuato da Bank of America, gli istituti
finanziari sarebbero i titoli meno preferiti dagli
investitori, con il 38% dei 123 money manager interpellati
che detiene meno titoli di quelli presenti negli indici di
riferimento.
"I titoli valgono troppo poco", ha detto a Bloomberg Mark
Giambrone, fund manager che ha comprato PNC Financial
Services Group e i titoli Bank of America per USAA
Investment Management, precisando che "ci sono senza dubbio
ancora alcuni ostacoli da superare, ma nella maggior parte
dei casi sono gia' rispecchiati nel valore dei titoli".
Sinora gli analisti hanno dimostrato di averci preso, con
l'indice settoriale dei finanziari dell'S&P che ha
guadagnato il 15% nel 2009. Jennifer Thompson, che emette
rating per la newyorchese Portales Partners LLC, ha
guadagnato il 31% negli ultimi due anni, otto volte i
guadagni di tutte le aziende su cui ha una copertura.
L'analista prevede che PNC e Fifth Third Bancorp siano
destinate a mettere a segno un rally notevole.
Gli analisti sono maggiormente rialzisti sui bancari di
quanto non lo siano su qualsiasi altro settore. Le
previsioni si basano sul rapporto tra prezzo azionario e
utili, secondo cui il settore si rendera' protagonista di
un'accelerazione del 14%. Un rialzo di questo tipo
allungherebbe il rally dei titoli del 145%, iniziato a marzo
2009 sulla scia del miglioramento dei dati macroeconomici e
del salvataggio degli istituti Citigroup e AIG.
Negli ultimi 10 mesi il comparto e' quello che ha guadagnato
di piu', con il benchmark settoriale che ha accumulato
guadagni pari al 2.7% nella sola settimana scorsa, chiudendo
l'8 gennaio a quota 1144.98 punti. Va sottolineato pero' che
l'indice dei finanziari, composto da 78 societa' tra banche,
broker e compagnie di assicurazione, resta in calo del 60%
dalle punte massime toccate a febbraio 2007.
I ribassi risultano due volte piu' consistenti di quelli
subiti dall'S&P 500, che ha perso il 27% da ottobre 2007,
quando e' scoppiata quella crisi dei mutui subprime che
tutti conosciamo e che ha provocato $1710 miliardi di
perdite e svalutazioni per gli istituti finanziari, portando
al collasso di societa' del calibro di Lehman Brothers e
Bear Stearns.
Se da un lato e' indubbio che gli investitori hanno bisogno
di avere ulteriori certezze prima di tornare ad acquistare a
piene mani titoli del settore, eventuali nuove perdite
derivate dalle attivita' sui mutui e nell'immobiliare
commerciale e' gia' rispecchiato nella maggior parte dei
valori dei titoli in Borsa.
A questo proposito Mark Bronzo, fund manager di Security
Global Investors, ha le idee chiare: "se dovessi scegliere
da quale parte stare, aumenterei l'esposizione ai titoli
bancari, perche' quando un settore e' cosi' poco richiesto e
i rischi sono alla luce del sole, essendone tutti
consapevoli, allora ci sono notevoli margini al rialzo."
 |
Fonte -
www.wallstreetitalia.com |
Mercati del credito 12
Gennaio 2010 – sindrome cinese, nuove emissioni
Intesa, Mediaset, auto
12 January, 2010 at 12:45 -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Mercati del credito deboli in mattinata; dopo un inizio
d’anno in tono estremamente positivo la prospettiva di
numerose nuove emissioni e le manovre monetarie cinesi
stanno mettendo un freno al mercato.
Il mercato del credito ha iniziato l’anno con una
performance estremamente positiva, portando a segno il
miglioramento che gli analisti si attendevano per l’intero
mese di Gennaio o addirittura per l’intero trimestre; in un
ambiente caratterizzato dall’ampia liquidità fornita dalle
banche centrali, la caccia al rendimento ha causato una
corsa al rialzo dei prezzi, data anche la relativa
inattività a cavallo d’anno. La reazione sul lato
dell’offerta comincia a divenire evidente in questi giorni:
banche e aziende si stanno affrettando a portare nuove
emissioni sul mercato, sfruttando la congiunzione di bassi
tassi e bassi spread, per approfittare di una situazione
percepita come temporanea. In caso di un miglioramento
dell’attività macroeconomica, infatti i tassi d’interesse
salirebbero nuovamente, mentre in caso di continuata
recessione sarebbero i premi al rischio a salire; in ogni
caso, le tesorerie dovrebbero emettere a tassi in assoluto
più alti di quelli attuali.
Fra gli emittenti appena arrivati sul mercato o in procinto
di emettere ufficialmente abbiamo Banca Intesa ed un elevato
numero di altre banche, i produttori auto Daimler e BMW, la
squadra di calcio Manchester United, Virgin Media e, in un
prossimo futuro, le italiane Enel e Mediaset. La prospettiva
di un drastico aumento delle nuove emissioni sta
raffreddando gli animi.
Un altro elemento è l’atteggiamento delle autorità monetarie
cinesi, definito da alcuni come schizofrenico. Da un lato,
la banca centrale cinese sembra tollerare un’espansione
creditizia sempre più rapida, con il rischio di creazione di
nuove bolle immobiliari e finanziarie: le banche commerciali
di stato sembrano ignorare le direttive centrali riguardo
alla limitazione della creazione di nuovo credito.
Dall’altro, la banca centrale ha ieri iniziato ad innalzare
i propri tassi a breve e operato una stretta alle riserve
bancarie, suggerendo l’inizio di una stretta che vada al di
là della retorica. Il problema fondamentale rimane la
sostenibilità di ogni stretta monetaria che non vada a
toccare la politica valutaria cinese, la forma di dumping
commerciale alla base di una parte rilevante delle
distorsioni economiche di questi anni e fonte principale del
rischio di una ulteriore bolla speculativa.
Itraxx S12 Levels Nota: Gli indici di credito sono quotati
in spread (rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno
negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni del
mercato, equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un
cambiamento positivo è un segnale di peggioramento delle
condizioni, equivalente al calo di un indice di Borsa.
Mercati del credito 14
Gennaio 2009 – Tragedia greca
Thursday, 14 January, 2010 at 12:41 -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Terza giornata di debolezza sul mercato del credito, dove alle
preoccupazioni dei giorni scorsi si aggiungono quelle derivanti
dai problemi di bilancio della Grecia.
Il CDS sul debito della nazione ellenica ha toccato il livello
record di 330 basis point sul 5 anni, segnalando il forte
disagio degli investitori sulla credibilità dei piani di rientro
dal debito che vengono dibattuti in questi giorni ed i timori
sulla tempistica e le modalità di una eventuale operazione di
sostegno da parte degli altri paesi membri dell’unione
monetaria. Ricordiamo infatti che i trattati all’origine
dell’Euro e vietano espressamente alla banca centrare il
salvataggio di uno dei paesi dell’area.
Il resto del mercato sui CDS sovrani mostra segni di tensione,
con il CDS di nazioni deboli come Spagna , Portogallo e Irlanda
sotto notevole pressione, insieme all’Italia anche se in misura
minore; il nostro paese non pare a rischio di una crisi
immediata, ma rimane la nazione più indebitata fra quelle di
maggiori dimensioni. Per la prima volta, anche i contratti su
nazioni considerate sicure, come la Finlandia, mostrano segnali
di preoccupazione fra gli investitori.
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CDS Grecia |
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Fonte - Macromonitor |
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Il mercato corporate continua a vedere un flusso rilevante di
nuove emissioni; mentre l’abbondante liquidità regalata dalla
Banca Centrale mantiene viva la necessità degli investitori di
trovare impieghi redditizi, il rally dei giorni scorsi ha
convinto molti partecipanti a prendere profitto sulle vecchie
posizioni, aspettando tempi più tranquilli per rientrare.
Fonte
- Macromonitor
L’hedge volta
pagina
14-01-10 -
di Sara Silano ______________________________________________
Il 2009 non è stato facile per gli hedge fund, che hanno
ereditato dall’anno precedente due grandi scandali, quello
di Bernie Madoff e Alan Stanford, e uno dei periodi peggiori
in termini di rendimenti. In Italia, secondo le statistiche
di Assogestioni, i riscatti hanno superato le sottoscrizioni
per quasi 5,5 miliardi di euro. Gli alternativi, dunque, non
sono riusciti ad agganciare la ripresa della raccolta che ha
toccato i fondi comuni negli ultimi sette mesi.
A livello internazionale, la situazione è stata migliore e,
come riporta MondoHedge, i flussi sono tornati ai livelli
pre-crisi (+18,7 miliardi di dollari i fondi puri e +4,9
miliardi i fondi di fondi, dati TrimTabs Investment Research
e BarclayHedge). Nonostante, i 54 miliardi raccolti nel
corso dell’anno, resta ancora molta strada da fare per
recuperare i 402 miliardi di rimborsi che si sono registrati
tra settembre 2008 e luglio 2009.
Non è tempo, però, di scrivere il necrologio per l’industria
degli alternativi, nonostante molti prodotti abbiano chiuso
o subito forti riduzioni degli asset. Infatti, i lanci di
nuovi fondi sono continuati anche quando il mercato
affrontava i momenti più bui, seppur a un ritmo inferiore.
Secondo le statistiche di Morningstar, tra il quarto
trimestre 2008 e il primo 2009 sono nati 175 prodotti.
Dal punto di vista delle performance, l’industria si è
risvegliata. L’indice Morningstar Msci composite globale ha
guadagnato il 13,84% (a novembre 2009). I migliori
rendimenti sono stati ottenuti dalle categorie che investono
in asset più rischiosi, come i mercati emergenti, i titoli
distressed (in default o sull’orlo del fallimento, ma che
potrebbero essere sottoposti a un processo di
ristrutturazione), e le società a piccola capitalizzazione.
A settembre, alcune strategie, come quelle global macro che
si basano sull’analisi del quadro macro-economico per
individuare i trend che possono influenzare i mercati
finanziari, sono riuscite ad appianare le perdite del 2008.
L’industria a livello internazionale sta attraversando una
fase di trasformazione, alla quale contribuiscono oltre ai
fattori interni, anche quelli normativi e fiscali. I fondi
comuni di nuova generazione, infatti, possono adottare stili
di investimento simili a quelli degli hedge fund (senza però
venir meno agli obblighi di trasparenza, contenimento e
frazionamento del rischio). Spesso a gestirli sono manager
che provengono dall’industria degli alternativi. In Italia,
inoltre, la caduta dell’obbligo di separazione tra società
di gestione tradizionali e speculative ha portato a molti
casi di fusioni delle seconde nelle prime. La proposta di
riforma della tassazione nel Regno Unito, invece, potrebbe
indurre molte case a spostarsi in Svizzera.
Nonostante le pessime performance del 2008 e gli scandali,
gli hedge fund continuano ad esercitare un fascino tra gli
investitori. Secondo una ricerca condotta da Morningstar e
dalla rivista finanziaria Barron’s tra settembre e ottobre
2009, sia gli istituzionali sia i consulenti finanziari sono
ottimisti su questa asset class. In particolare, il 60% la
ritiene una delle alternative più importanti agli strumenti
tradizionali e la maggioranza degli intervistati prevede che
rappresenterà più del 10% del portafoglio nel giro di cinque
anni. Tuttavia, gli investitori sono molto più attenti al
grado di trasparenza e liquidità. Per loro, il prodotto
ideale è quello che combina i benefici delle strategie
alternative (bassa correlazione con i mercati, ritorni
assoluti, ecc.) con le caratteristiche positive dei fondi
(possibilità di uscire in qualsiasi momento, informazioni
sull’andamento giornaliero della quota e sulla composizione
del portafoglio, ecc.).
Gli hedge fund non sono un libro chiuso, ma nel dopo-crisi
si è aperto un nuovo capitolo.
Fonte
- www.Morningstar.it
Paesi mediterranei
dell’euro a rischio crack
15/01/2010 -
di MiaEconomia ______________________________________________
L’Euromediterraneo e’ a rischio crack. Infatti quasi tutti i
Paesi della zona Euro che si affacciano sul mare
Mediterraneo stanno attraversando una situazione economica o
finanziaria estremamente delicata. A dicembre la Grecia come
regalo di Natale ha subito un downgrade sul debito da A1 ad
A2 da parte di Moody’s. Il Portogallo, che si affaccia
sull’Atlantico ma e’ parte integrante della penisola iberica
bagnata a sud dal Mediterraneo, ha ricevuto sempre da
Moody’s una valutazione negativa sul debito che ha un rating
Aa2. Neanche la Spagna si salva, con un rapporto deficit/Pil
in libera uscita, un prodotto interno lordo in caduta libera
e un livello di disoccupazione tra i piu' alti, se non il
maggiore dei 16 paesi dell’euro, e che sfiora il 20%.
La Grecia ha in casa in questi giorni il Fondo Monetario
Internazionale per consigliare il Governo sulla riforma
fiscale e previdenziale e sulle misure di controllo del
bilancio. Nessun aiuto monetario, escluso da Primo ministro
e nessuna fuga dall’euro. Per risanare il debito pubblico il
Governo greco inizia punta su riforme drastiche e
nell’immediato pensa a fare cassa aumentando le imposte su
alcolici e tabacco. Rimane il differenziale tra i titoli
obbligazionari decennali greci e quelli tedeschi (il bund),
che e’ sui massimi, a 258 punti. Nella penisola iberica non stanno meglio Portogallo e
Spagna. Lisbona rimane un sorvegliato speciale insieme alla
Grecia. A ottobre Moody's ha portato da stabile a negativo
l'outlook sul Portogallo, sulla falsariga dell'analoga
decisione di Fitch il mese precedente, mentre Standard&Poor's
ha posto il mese scorso il Paese sotto osservazione. Moody's
potrebbe optare per una bocciatura del rating sovrano se
Lisbona non mette a punto misure credibili per il controllo
del deficit. Dopo il 2,8% del 2008, il disavanzo pubblico
portoghese dovrebbe aver raggiunto l'anno scorso l'8% del
prodotto interno lordo.
Sotto osservazione anche i conti iberici. Standard&Poor’s ha
anche annunciato di aver ridotto da stabile a negativo l’outlook
sul rating di Madrid, facendo presupporre futuri eventuali
declassamenti, ma ha confermato il rating AA+ di lungo
termine. La riduzione dell’outlook e’ dovuta, secondo gli
analisti dell’agenzia americana, dalle attese di una piu’
bassa crescita del Pil e di deficit fiscali elevati nel
medio termine. Non a caso dal 29 gennaio parte il piano di
austerita’. L'obiettivo e’ riportare il rapporto deficit-pil
entro il limite del 3%. Il rapporto deficit-Pil a novembre
2009, l'ultimo dato disponibile, ha raggiunto il 6,8%. Per
quest’anno, potrebbe arrivare all'8,1%.
Fonte
- MiaEconomia
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Borse,
il freno della Fed e l'ottimismo degli economisti
16 Gennaio 2010 10:19 MILANO -
di Walter Riolfi
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C'è qualcosa che non quadra tra il comportamento della Fed e
le previsioni degli economisti. Perché mentre la prima non
perde occasione per manifestare una inusitata prudenza sulla
ripresa economica, i secondi danno prova di discreto
ottimismo. Prendiamo il sondaggio compiuto recentemente dal
Wall Street Journal su 56 economisti americani. La gran
parte di loro pensa che il Pil Usa, dopo una crescita del
2,2% nel terzo trimestre 2009, rimbalzerà del 4,3%
nell'ultimo quarto dell'anno e che viaggerà attorno al 3%
per tutto il 2010. Non sono grandi numeri per l'economia di
un paese che era solito uscire dalle recessioni con recuperi
ben più ampi; ma in ogni caso, anche un +3% segnalerebbe una
discreta espansione, dopo una crisi che enfaticamente è
stata definita la «peggiore dagli anni Trenta». E anche gli
economisti dell'Ecri (Economic Cycle Research Institute),
dopo aver smussato un poco la baldanza manifestata fino a
novembre, hanno dichiarato ieri che «la presente ripresa è
destinata a continuare nei prossimi mesi».
La Fed, invece, è tutta attenta a verificarne la
sostenibilità. E gli stessi economisti intervistati dal Wsj
prevedono che la banca centrale americana non alzerà i tassi
fino a settembre e che li porterà all'1% solo a fine anno. È
quel che pensa il mercato fissando allo 0,31% il rendimento
dei Treasury a 12 mesi. Va bene che tra i compiti di
politica monetaria della Fed, a differenza della Bce, c'è
anche quello della piena occupazione; e il numero dei
disoccupati non sembra destinato a scendere ancora per
lunghi mesi. Ma tassi praticamente a zero, come sono i Fed
Funds dal 16 dicembre 2008, non s'erano mai visti negli Usa.
E soprattutto non s'erano mai misti così bassi per un così
lungo periodo. Se avessero ragione gli economisti nel
pronosticarli immutati fino a settembre, significherebbero
21 mesi di politica monetaria ultra espansiva, degna di una
paese come il Giappone. Tutte le critiche avanzate ad Alan
Greenspan, reo d'aver lasciato i Fed Funds all'1% dal giugno
2003 al giugno 2004, ed avere pertanto creato le premesse
della bolla speculativa, apparirebbero quasi risibili.
Forse ha ragione Ben Bernanke a essere così prudente perché,
come dimostrano l'inatteso calo delle vendite al dettaglio
di dicembre e l'aumento dei sussidi di disoccupazione, la
ripresa si profila piuttosto incerta. Forse hanno ragione
anche i critici di Bernanke, quando sostengono che tassi a
zero, se non riescono a stimolare la domanda, possono invece
animare la speculazione e creare una bella effervescenza su
azioni, materie prime e bond societari. E forse ha ragione
il populismo del presidente Obama nel pretendere 9 miliardi
di dollari di maggiori tasse alle banche salvate con il
denaro dei contribuenti. Di certo non hanno ragione le
banche nel lamentare il sopruso. Perché dopo aver provocato
la peggior crisi sul credito dal 1930, aver invocato poi gli
aiuti del governo e dopo aver fatto nel 2009 inusitati utili
prendendo a prestito dalla Fed il denaro allo 0,25% per
investirlo in titoli di stato (o altri bond) quanto meno al
3% e senza rischi, dovrebbero avere almeno il pudore di
tacere.
Il problema si creerà quando la Fed deciderà di mettere fine
alla sua politica espansiva e quantitativa. È vero che ha
guadagnato 46 miliardi nel 2009 con le attività più o meno
tossiche acquistate dalle banche, divenendo di fatto la
maggior banca d'affari al mondo e facendo impallidire i
conti di Goldman Sachs, ma è anche vero che quei titoli non
li potrà riversare sul mercato creando un nuovo terremoto.
Per questo il 2010 non si presenta propriamente un bell'anno
per Wall Street e per i mercati azionari occidentali. Ma per
un po' le borse potrebbero ancora tirare, visto che la
politica commerciale delle banche è tornata a puntare sul
risparmio gestito: cosicchè un'abbondante e fresca liquidità
dovrebbe riversarsi sulle azioni.
In settimana l'S&P ha perso lo 0,78% (-1,22% il Nasdaq) e lo
Stoxx l'1% (-1,3% Milano, -2,2% Parigi, -2,7% Francoforte,
-1,5% Londra).
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
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Martedì
12
Gennaio
2009 |
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Mercoledì
13
Gennaio
2009 |
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Giovedì
14
Gennaio
2009 |
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Borsa:
perdita di spinta sui massimi
19 Gennaio 2010 03:59 BIELLA
– di
Banca Sella*
*Analisi
Tecnica Gruppo Banca Sella
________________________________________
Il Nasdaq Composite ha raggiunto la resistenza a 2320, che
avevamo indicato come il grande obiettivo del bear market
rally, toccando un nuovo massimo a ridosso di 2326 (+83,8%
dai minimi del 9 marzo 2009 a 1265,52). Per mantenere
un’impostazione tonica l’indice deve assestarsi sopra 2225,
ma un segnale di vera e propria debolezza si avrebbe solo
sotto 2110/55 (poco probabile). Al di sopra di 2320
(prematuro) la salita potrebbe continuare verso 2415 e
quindi 2500, dove dovrebbero comunque prevalere le vendite.
Il Dow Jones Industrial riesce a registrare massimi
marginalmente superiori alla settimana precedente,
assestandosi a ridosso di 10700, portando a circa il 66% il
guadagno dai minimi del 6 marzo a 6469,95. Per conservare
una buona impostazione l’indice deve mantenersi sopra 10100,
con obiettivo confermato nella resistenza chiave a quota
11000, dove dovrebbero comunque prevalere le vendite.
Stallo sui massimi anche per l’S&P500, che si assesta a
ridosso di 1150, con un rialzo pari a circa il 72% dai
minimi del 6 marzo a 666,79. L’obiettivo è 1175 e quindi la
resistenza chiave a 1200, dove dovrebbero comunque prevalere
le vendite. Per mantenere un’impostazione tonica le
quotazioni devono assestarsi sopra 1115. Perdita di spinta
sotto 1065/80, con obiettivo il forte supporto in area
1020/40, la cui rottura (poco probabile) darebbe un segnale
di rinnovata debolezza.
La volatilità rimane sui minimi di periodo a conferma di un
quadro ancora positivo. I dubbi riguardano però gli spazi di
ulteriore salita, soprattutto se valutati in termini di
risk-reward. Col ritorno degli indici sui livelli precedenti
al crash di Lehman si chiude una fase di mercato, il grande
bear market rally reso possibile dai corsi particolarmente
depressi e dall'abbondate liquidità riversata nel sistema.
Da adesso in poi solo segnali concreti di ripresa
dell'economia reale possono creare le condizioni per una
prosecuzione sana e sostenibile dei rialzi di Borsa.
Altrimenti si rischiano nuovi "eccessi", una "piccola bolla"
destinata a scoppiare o comunque sgonfiarsi nel momento in
cui la Fed inizierà a drenare liquidità dal sistema.
Una correzione del 15-20% nei prossimi mesi appare
possibile, anche se al momento è impossibile prevedere dove
e quando partirà. Un segnale in tal senso verrebbe comunque
da una risalita della volatilità implicita, scesa sui
livelli di luglio-agosto 2008, "troppo" verrebbe da dire
perché sembra che manchi nuovamente un adeguato premio al
rischio.
 |
Fonte -
www.WallStreetItalia.com |
DOW JONES: ENTRO
UN ANNO A 15.000 PUNTI
18 Gennaio 2010 02:30 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Grazie ad un balzo del 50% dopo una fase di correzione del
20-30%, sbalzi che non rappresenterebbero una novita'. Il
livello e' semplicemnte la media tra i minimi e i massimi
nel ciclo di 4 anni. L'economia e' in salute e l'inflazione
sotto controllo.
Il paniere delle blue chip sta scambiando intorno a quota
10.700 punti, ma c'e' chi e' convinto che entro un anno
raggiungera' e superera' la soglia dei 15.000 punti.
In un'intervista concessa alla Cnbc Jeff Hirsch, editor di
Stock Traders Almanac, ha spiegato che la sua previsione si
fonda per lo piu' su fattori puramente tecnici e storici e
non su utili societari e dati macro.
Tuttavia senza dubbio l'azionario sara' aiutato dal fatto
che l'economia si sta progressivamente riprendendo e che l'inflazioen
rimanga sotto controllo.
"Basta rifarsi alla media mobile dai minimi di medio termine
ai massimi del periodo precedente le elezioni per il
Senato", ha dichiarato Jirsch, aggiungendo che il mercato
accusera' una fase di ritracciamento del 20-30%, che creera'
opportunita' di profitto notevoli, prima di un rally
poderoso del 50%.
"Alcuni anni il paniere si e' attestato sotto quella cifra,
altri scambiava su livelli piu' alti — e' un'estrapolazione
da questo concetto: se il minimo nel 2010 e' in area 10.000
allora un rialzo del 50% vorra' dire che tocchera' 15.000".
"I calcoli si basano sull'andamento del mercato in un ciclo
di quattro anni". Tra i mercati che guideranno senza dubbio
i rialzi l'analista ha citato i fondi di investimento
comune, con ben 400 nuovi ETF che dovrebbero essere lanciati
nel 2010.
CREDITO AD ALTO RISCHIO
SUI MASSIMI DI DUE ANNI
19 Gennaio 2010 18:00 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Grazie al miglioramento delle prospettive economiche in
Europa i prezzi del debito utilizzato per finanziare le
operazioni di M&A sono saliti sui livelli piu' alti dal 13
dicembre 2007.
In Europa i prezzi dei prestiti a piu' alto rischio di
default hanno raggiunto i massimi di due anni, con il
miglioramento dell'outlook sull'economia e le previsioni
circa i potenziali fallimenti societari che consentono alle
aziende di finanziare le operazioni di buyout con sempre
piu' facilita' e tranquillita'.
Dal primo gennaio, sul mercato il prezzo medio per i
prestiti cosiddetti "leveraged" e' aumentato di 7 punti base
al 96.07% del valore nominale. Il prezzo del debito
utilizzato per finanziare le operazioni di fusione e
acquisizione ha toccato il livello piu' alto dal 13 dicembre
2007. Un anno fa i prezzi scambiavano al 60.4% del valore
nominale.
La domanda per gli asset con un rischio piu' alto sta
crescendo con una certa intensita', come mostrano le stime
pubblicate da Moody’s Investors Service, secondo cui il
tasso di default tra le societa' con uno speculative-grade
scendera' al 3.3% quest'anno, in netto calo dal 12.5% di
adesso.
Uno degli esempi piu' lampanti e' quello offerto da Apax
Partners LLP. La societa' londinese di private equity ha
raccolto 315 milioni di sterline ($516 milioni) per
finanziare l'acquisto di Marken Ltd.
USA: RIPRESA A 'V',
NON MOLLATE L'AZIONARIO
19 Gennaio 2010 03:16 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
La ripresa stavolta non sara' alimentata dai consumi bensi'
dall'esposizione dei big societari ai mercati in via di
sviluppo e dall'intensificarsi dell'incremento delle scorte.
Diversificare e puntare su farmaceutici e minerari.
Ci sara' un solo rallentamento, quello appena trascorso, e
questo perche' il recupero dell'economia non sara'
alimentato dai consumi, come avvenuto nelle recessioni
precedenti, bensi' la domanda proverra' dall'intensificarsi
della fase di dai Paesi in via di sviluppo per un
ampliamento delle scorte e dall'espozione delle grosse
aziende ai mercati dei Paesi in via di sviluppo.
Ne e' convinta Edith Thouin, vice presidente di ABN Amro
Private Banking, che martedi' ha detto ai microfoni
dell'emittente CNBC Usa che "siamo in una ripresa a forma di
V e che per un investitore l'azionario e' il posto dove
trovarsi in questo momento".
Gli operatori dovrebbero scommettere su industriali e
societa' attive nei materiali di base, cosi' come quelle
aziende internazionali che hanno un'esposizione verso la
Cina, il Sud America e altri Paesi in via di sviluppo.
Nel settore dei materiali di base il consiglio e' quello di
puntare sul colosso minerario BHP Billiton, mentre tra le
produttrici di acciaio sono citate Arcelor Mittal e ABB.
Anche le societa' di ingegneria come Siemens e Philips si
riveleranno un buon investimento.
Piu' in generale le societa' a media e piccola
capitalizzazione, che piu' hanno sofferto durante la fase di
rallentamento economico, hanno ancora un ottimo potenziale,
potendo beneficiare dell'intensificarsi delle attivita' di
espansione delle scorte, essendo de facto i principali
rifornitori delle societa' piu' grosse.
"Se fossi un investitore mi concentrerei sull'alta qualita'
nel settore delle mid-cap. I titoli con un buon bilancio,
quelli che si sono ben comportati durante la crisi e quelli
che hanno un'elevata quota di mercato e un'alta reputazione,
perche' saranno i rifornitori prescelti dalle aziende piu'
grandi".
"I difensivi stanno tornando di moda", ha osservato,
aggiungendo che "ci saa' un nuovo interesse per i settori
difensivi, in particolare per quelli che hanno mostrato di
poter registrare una crescita soddisfacente degli utili. Per
esempio il settore dei farmaceutici ma anche quello delle
catene di beni al consumo".
Tra i singoli titoli a Thouin piacciono la svizzera Nestle e
negli Stati Uniti Mead Johnson Nutrition, mentre tra i
comparti il consiglio e' quello di puntare sui beni di
lusso, come Richemonte, che lunedi' ha riportato cifre
solide, in considerazione "dell'enorme domanda proveniente
dai consumatori asiatici, in particolare per prodotti
occidentali". Fonte
- www.WallStreetItalia.com
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USA:
prospettive molto positive per la crescita
19 Gennaio 2010 04:24 MILANO
– di Legg Mason
________________________________________
Bill Miller, presidente e CIO di Legg Mason Capital
Management è convinto che il mercato stia sottostimando il
potenziale di crescita del Pil americano per il 2010, in
quanto trascura la forte accelerazione della ricostituzione
delle scorte che contribuirà a trainare negli Stati Uniti
una ripresa che potrebbe fare rimbalzare il mercato
azionario nell’anno in corso addirittura del 20%.
Il calo della produzione industriale cui si è assistito
negli USA ha superato notevolmente la contrazione della
domanda e ciò perché il taglio della produzione è stato
ottenuto con la riduzione delle scorte. Miller prevede
dunque che la rapida ricostituzione dei magazzini da parte
delle aziende americane sarà lo stimolo per una forte
crescita economica che si protrarrà per diversi trimestri.
Benché per la crescita del Pil nel 2010 il consenso preveda
un 2,6% e la Federal Reserve un 2,7%, secondo Miller ci sono
buone possibilità che l’economia cresca oltre queste stime,
arrivando addirittura a un 8%. Sulla scia di una tale
ripresa, un balzo del mercato azionario di addirittura un
20% non è da escludere.
L'azionario statunitense continua a registrare utili oltre
le aspettative. Un altro dato ricordato da Miller è che,
partire dal 1871, i periodi decennali nei quali il
rendimento del mercato azionario è stato negativo sono stati
14, incluso quello degli ultimi 10 anni.* A seguito di
ciascuno dei precedenti 13 periodi decennali, i rendimenti
aggiustati per l'inflazione nei 10 anni successivi hanno
superato il 10%, ossia, sono andati ben oltre il 6,66% della
media dei rendimenti reali a lungo termine e hanno più che
raddoppiato il rendimento delle obbligazioni di Stato. In
altre parole, ogni qualvolta per un intero periodo decennale
l'azionario ha registrato una performance scarsa, nei
successivi 10 anni, la performance dei mercati azionari è
stata superiore alla media e ha in media raddoppiato quella
dell'obbligazionario. Anche se gli investitori continuano a
preferire i titoli obbligazionari a quelli azionari, Miller
è dell’avviso che le azioni in questo momento siano molto
sottovalutate rispetto alle obbligazioni.
Tra i comparti, quello tecnologico e quello finanziario
saranno quelli che, secondo Miller, beneficeranno di più
dalla crescita economica e il suo portafoglio è posizionato
conseguentemente. Data la solidità dei bilanci aziendali e
l’alto numero di società che stanno registrando guadagni
record, la tecnologia è il settore di maggior peso nel
portafoglio di Miller. Tra le posizioni detenute si
annoverano IBM, Cisco, Microsoft e Hewlett Packard.
Il secondo settore sul quale Miller si è concentrato è
quello finanziario. A suo avviso, esso non è mai stato così
liquido fin dagli anni Trenta e le società che
sopravvivranno al tracollo degli ultimi due anni sono ben
posizionate per sfruttare quote di mercato cospicue, mentre
le banche, da parte loro, appaiono sempre più sane,
considerando che le perdite comunicate ammontano solo alla
metà o addirittura a meno di quanto calcolato con i
rispettivi stress test.
Per sfruttare la crescita dei mercati emergenti nei prossimi
anni, le azioni meglio posizionate appaiono quelle delle
aziende mega-capitalizzate e in particolare quelle che
detengono grandi marchi. Secondo Miller, i guadagni ex-USA
permetteranno loro di crescere più rapidamente delle loro
controparti più piccole. Inoltre, se la crescente domanda
dei consumatori cinesi, incoraggiata anche dal governo
cinese, si tradurrà in una maggiore domanda di prodotti di
esportazione statunitensi, essa fornirà un sostegno anche al
dollaro.
"È per noi strategico, soprattutto nel momento in cui
l’Italia presenta segnali di ripresa nel settore del
risparmio gestito, offrire agli investitori italiani la
nostra esperienza di gestore puro e indipendente" ha
commentato Maurizio Ceron, director of business development
di Legg Mason in Italia. "Il nostro modello di business
infatti è quello delle multi-boutique che permette di
contare su un certo numero di società di proprietà del
gruppo, ma indipendenti l’una dall’altra, alla guida delle
quali si trovano alcuni dei più importanti gestori
internazionali, proprio come Bill Miller che è chairman di
Legg Mason Capital Management (LMCM)."
 |
Fonte -
Legg Mason |
CITIGROUP:
ULTIMATUM DI ALWALEED A PANDIT
21 Gennaio 2010 17:16 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
Pressioni sulla banca d'affari da parte del suo principale
azionista. Per il principe saudita il 2010 sara' un anno
cruciale e si aspetta solidi ritorni sugli investimenti.
Pressioni su Citigroup da parte del suo principale
azionista. Torna a parlare il principe saudita Alwaleed bin
Talal e lo fa indirizzando le sue parole direttamente al
numero uno della banca americana Vikram Pandit. Il 2010 sarà
un anno cruciale, ha avvertito facendo capire che si aspetta
un solido ritorno dagli investimenti effettuati
nell'istituto.
Dai suoi avvertimenti, trapela un certo disappunto
sull'andamento degli ultimi due anni, dove la recessione che
ha messo in ginocchio il mondo intero ha portato a tagli nei
profitti.
In un’intervista Alwaleed bin Talal ha dichiarato: "non
intendo minacciare nessuno, ma ho detto a Pandit che il
mercato gli ha dato due anni di campo libero, ma ora è
arrivato il momento di portare risultati e questo è l'anno
per lui in cui può centrare l'obiettivo o mancarlo. E lui lo
deve centrare".
Il principe saudita ha continuato, aggiungendo che "è
davvero importante..soprattutto per quegli investitori che
hanno pazientato tutto questo tempo. La luna di miele è
finita. Due anni sono più che sufficienti e penso che Pandit
ce la farà"
Fonte
- ANSA
Shopping in Borsa
per i gestori
21-01-10 -
di Sara Silano ______________________________________________
I gestori votano l’Europa, ma sono preoccupati per l’aumento
della disoccupazione, la crisi del mercato immobiliare
spagnolo e il debito pubblico di alcuni Paesi, Grecia in
testa. Il pessimismo di un anno fa è definitivamente alle
spalle e nell’ultimo sondaggio, condotto da Morningstar tra
le principali case di investimento che operano in Italia,
prevale la convinzione che le politiche fiscali e monetarie
espansive rimarranno in vigore ancora per un po’ di mesi,
favorendo i mercati azionari.
Europa al top
Il Vecchio continente è l’area preferita dai gestori a
gennaio. Per l’87% degli intervistati si apprezzerà nei
prossimi sei mesi (erano il 66,7% a dicembre), perché sui
mercati il livello di liquidità è buono e le valutazioni
azionarie interessanti. Secondo le stime di Ing Investment
management gli indici potrebbero salire del 23% nel corso
del 2010.
E’ più critico, però, il quadro macro-economico. Se da un
lato gli indicatori anticipatori (come l’indice Pmi dei
direttori degli acquisti e l’Ifo tedesco sulla fiducia degli
imprenditori) mostrano che l’attività industriale è in
ripresa, dall’altro la disoccupazione è in crescita (il
tasso è arrivato al 10%), il crollo dell’immobiliare in
Spagna si è rivelato più profondo del previsto e molti Paesi
devono fare i conti con debiti pubblici sempre più pesanti.
Usa, profitti in ripresa
Sugli Stati Uniti, i gestori non hanno cambiato opinione
rispetto al mese scorso, anche se il numero di ottimisti è
salito passando dal 57 al 74%. Rimane la preoccupazione per
la fine delle politiche espansive e per il ruolo che
l’America potrà avere nella crescita mondiale, ora che il
vero motore sembra risiedere nei Paesi emergenti. L’economia
ha dato segnali di ripresa, ma rimane il problema della
disoccupazione, dello scarso incremento dei redditi, della
debolezza dei prezzi e dell’elevato costo dei carburanti.
Tuttavia, dopo il crollo nel 2009, gli utili dovrebbero
tornare a salire (Vontobel stima un incremento del 24%).
Giappone in sottopeso
L’economia nipponica ha archiviato un altro anno in
deflazione e continua a deludere. Per questa ragione, l’area
è ancora quella che raccoglie il maggior numero di
pessimisti (13%) a fronte del 47,8% di ottimisti. Come si
legge in una nota di Threadneedle, la rigidità strutturale
del Paese impedisce alle aziende di conseguire risultati
economici positivi agli attuali livelli di cambio tra lo yen
e le principali divise mondiali.
L’Asia guarda alla Cina
Le politiche monetarie di Pechino pesano sull’intera
regione. La Banca centrale cinese ha deciso di alzare i
coefficienti di riserva degli istituti di credito e ha
esortato questi ultimi a bloccare i prestiti fino a fine
gennaio, chiari segnali dell’intenzione di voler terminare i
piani di stimolo all’economia. Da inizio anno, l’indice Msci
Asia-Pacifico (escluso il Giappone) ha reso un po’ meno
dell’Msci mondiale e alcuni gestori pensano che
difficilmente si ripeteranno le performance del 2009. Quasi
il 61%, però, continua a pensare che le Borse dell’area
saliranno nei prossimi sei mesi, mentre nessuno si aspetta
un ribasso.
In attesa delle Banche centrali
I gestori sono convinti che i tassi di interesse rimarranno
bassi per gran parte del 2010. I rendimenti delle
obbligazioni potrebbero cominciare a salire nel momento in
cui si concretizzeranno le aspettative di un nuovo ciclo di
politica monetaria. Non sembra destare grosse
preoccupazioni, invece, l’inflazione, considerati gli
elevati livelli di capacità produttiva inutilizzata. I
gestori non si attendono quindi grandi variazioni nei prezzi
delle obbligazioni sia in Europa sia negli Stati Uniti e
continuano a preferire i titoli societari ed emergenti alle
emissioni governative.
Le chance del dollaro
Il 65% dei gestori (erano il 43% a dicembre) prevede che il
biglietto verde si apprezzerà sull’euro nei prossimi sei
mesi. Tuttavia, gli intervistati sono convinti che il
rapporto di cambio sarà caratterizzato da estrema
volatilità. Su di esso influiscono eventi contingenti (ad
esempio la situazione greca) e le aspettative di rialzo dei
tassi. Una ripresa sostenuta del dollaro, però, avverrà solo
se gli Stati Uniti riusciranno ad attrarre investimenti
domestici ed esteri, invertendo la tendenza attuale che
spinge molti americani a cercare opportunità oltre i confini
nazionali.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 7 e il 15
gennaio, 23 delle principali società di diritto italiano ed
estero operanti sul territorio, che contano per circa il 90%
degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aletti
Gestielle, Allianz Global Investors Italia, Anima Sgr, Axa
IM, Banca Ifigest, Banca Profilo, Bnp Paribas Am Sgr, Credit
Suisse, Eurizon Capital, Fideuram Investimenti, Henderson
Global Investors, Ing IM, Investitori Sgr, JC&Associati sim,
M&G Investments, Pictet, Pioneer Im, Prima Sgr, Swiss&Global
AM Sgr, Threadneedle, Total Return, VG.SA, Vontobel.
Fonte
- www.morningstar.it
PAROLA AI GUFI:
MERCATO ESAUSTO, CORREZIONE IN VISTA
22 Gennaio 2010 04:20 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Lo strategist che previde lo scoppio della bolla tecnologica
fa suonare tre campanelli d'allarme: il dollaro forte, la
stretta monetaria in Cina e il rincaro dei prezzi della
benzina. Treasury e biglietto verde gli unici appigli.
Due strategist molto seguiti nelle sale operative sono
preoccupati per l'estensione esagerata dei mercati, che
nelle ultime due sedute hanno accusato pesanti cali. Che la
possibilita' di una correzione stia crescendo?
Cosi' la pensano Richard Bernstein, che ha previsto lo
scoppio della bolla hi-tech, e il trader navigato Gary
Kaminksy, il quale non esclude di ritornare rialzista, ma
solo quando vedra' una revisione al rialzo degli utili.
Bernstein ha segnalato tre trend che stanno emergendo nelle
ultime sedute e che gli fanno credere che il rally potrebbe
essere giunto al capolinea.
In primo luogo l'analista cita il progressivo rafforzamento
del dollaro. Sebbene un dollaro forte va di pari passo con
la ripresa dell'economia, allo stesso tempo ha un impatto
negativo sulle materie prime, rendendole piu' care per gli
acquirenti che hanno in portafoglio altre valute.
Come gia' segnalato dall'investitore Dennis Gartman,
massicce quantita' di denaro si stanno spostando verso il
biglietto verde, con il Dollar Index che e' salito sino a
quota 78.5. E' dunque inevitabile che i prezzi delle
commodity saranno messi sotto pressione.
Un secondo fattore che dovrebbe allarmare gli investitori
sono le prospettive di un rialzo dei tassi di interesse.
Almeno per il momento non negli Stati Uniti, dove la Fed ha
sottolineato che intende mantenere i tassi su livelli minimi
storici ancora per un periodo prolungato, bensi' in Cina. La
Banca Centrale di Pechino prevede di imporre presto una
stretta monetaria, che avra' l'effetto di ridurre i livelli
di liquidita' in tutto il mondo.
Le quotazioni dei prezzi del gas non solo hanno un impatto
sull'economia reale, ma hanno anche un effetto psicologico
sul persone, rendendole piu' a loro agio o, viceversa, meno
propense ad aprire il proprio portafoglio.
Secondo Bernstein si tratta "di un punto cruciale". La
percentuale del reddito dalle spese nell'energia sta
arretrando su livelli preoccupanti. Se i prezzi del petrolio
dovessero salire piu' in fretta e con piu' intensita'
rispetto alle entrate, allora la ripresa ne verrebbe
seriamente danneggiata.
"Questo e' il genere di eventi in grado di provocare una
correzione e gli unici posti dove nascondersi sono il
dollaro e i Treasury", ha concluso Bernstein.
Ma c'e' anche un altro problema, piu' tecnico: il mercato e'
esausto. Per spiegarsi meglio il trader Kaminsky ha preso
come esempio il prezzo dei titoli di JP Morgan, facendo la
sua sfera di cristallo del mercato.
L'azione e' l'esempio lampante di "come i titoli che sono
posseduti da troppe persone possono per contro essere
venduti senza troppi ripensamenti una volta che spuntano
segnali di allarme".
Siccome attualmente il tono sottostante del mercato e'
pregno di scetticismo, l'analista ha un atteggiamento poco
fiducioso verso Apple, Amazon e il settore dei tecnologici
in generale, titoli per cui vale lo stesso discorso fatto
per la banca JP Morgan.
Piuttosto che esporsi verso societa' che portano con se'
rischi specifici, meglio giocare short nel fondo di
investimento comune sull'indice Nasdaq (QQQQ). Un
investimento di questo tipo consente infatti "di avere
quella visibilita' sui ribassi" necessaria in caso di
contrazione.
Per quello che puo' d'essere d'aiuto, Kaminsky ha spiegato
che diventerebbe rialzista senza problemi, ma solo nel caso
in cui le societa' tecnologiche inizieranno a rivedere al
rialzo le prospettive sugli utili. Sino ad allora il settore
non avra' abbastanza benzina in serbatoio per correre
ancora.
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
La settimana,
3/2010
Friday, 22 January, 2010 at 17:01 -
di phastidio ______________________________________________
Settimana caratterizzata da andamento cedente delle
quotazioni azionarie, e corrispondente ripresa
dell’avversione al rischio, concretizzatasi nel
rafforzamento del cambio del dollaro e in prese di profitto
sulle materie prime.Tra gli elementi che hanno maggiormente
inciso sul quadro di mercato figurano ancora la stretta
monetaria in atto in Cina, ed i problemi fiscali della
Grecia.
Il Pil cinese del quarto trimestre è aumentato del 10,8 per
cento sullo stesso periodo dell’anno precedente, e dati di
forte crescita si sono evidenziati anche dal versante delle
vendite al dettaglio, dall’andamento degli investimenti
fissi e dall’interscambio commerciale. Il tentativo di
raffreddamento dell’economia da parte delle autorità cinesi
sembra destinato a ridimensionare anche l’andamento delle
quotazioni delle materie prime, soprattutto in
considerazione del fatto che le altre grandi aree economiche
del pianeta non mostrano una forte espansione. La situazione
di finanza pubblica greca appare più problematica, per le
implicazioni sull’euro che essa riveste, e dato il quadro
istituzionale comunitario che impedisce (o limita
fortemente) interventi di salvataggio di paesi in tali
difficoltà. A questo quadro si è poi aggiunto l’annuncio dell’iniziativa
del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che punta a
ridimensionare l’attività delle banche globali statunitensi,
eliminando il trading proprietario e l’investimento in
attività di hedge fund e private equity. A questi elementi
si sono aggiunti poi timori di rallentamento dell’economia:
dal versante immobiliare, ad esempio, l’indice di fiducia
dei costruttori residenziali è tornato in gennaio a livelli
molto depressi, mentre le richieste di nuovi mutui restano
ai minimi di periodo. L’indice della Fed di Philadelphia ha
segnato in gennaio un ridimensionamento, e l’indice ABC di
fiducia dei consumatori è tornato a scendere nelle ultime
due settimane, riportandosi in prossimità dei minimi dello
scorso luglio. La fine dei programmi di sussidio fiscale, e
la prossima conclusione di alcuni programmi di easing
quantitativo hanno lasciato il mercato privo di attese
favorevoli. I dati sugli utili del quarto trimestre pubblicati in
settimana si sono dimostrati mediamente positivi anche se,
per le società non finanziarie, la progressione degli utili
non si è accompagnata a corrispondenti recuperi di
fatturato. A conferma di una potenziale diversa disposizione
d’animo dei mercati, ad annunci favorevoli sugli utili hanno
fatto seguito vendite piuttosto insistite sui titoli
coinvolti. Inoltre, nell’ultimo periodo le fasi di ribasso
tendono ad essere accompagnate da aumento dei volumi
trattati, mentre quelle di rialzo avvengono con scambi
piuttosto rarefatti. Anche il risultato delle elezioni in
Massachusetts, che avevano in palio il seggio al Senato
federale che fu del defunto Ted Kennedy, e che hanno visto
una storica vittoria repubblicana, non si sono tradotte in
spunti rialzisti del mercato, contrariamente alle attese
iniziali.
Nella giornata di venerdì 22, il mercato statunitense ha
manifestato un’accentuazione della correzione ribassista,
con forte rialzo dell’indice Vix dai minimi su cui si
trovava, anche a seguito della presa di posizione di due
senatori Democratici contro la riconferma di Ben Bernanke
alla guida della Federal Reserve. A Bernanke servirà, entro
la scadenza prevista del 31 gennaio, la maggioranza
qualificata di 60 voti favorevoli su 100. L’eventuale rinvio
del voto accentuerebbe l’incertezza in cui i mercati
attualmente si trovano.
Fonte
- Macromonitor
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Mercoledì
20
Gennaio
2009 |
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Giovedì
21
Gennaio
2009 |
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Venerdì
22
Gennaio
2009 |
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«Sui
rating
la libertà di scelta»
23 Gennaio 2010 10:54 MILANO -
di Vittorio Da Rold
________________________________________
«Basta rating obbligatori. Siamo convinti che qualsiasi
imposizione legislativa interferisca con il libero mercato.
Gli emittenti devono avere libertà di scelta sul ricorso al
rating e non si devono porre vincoli agli investitori: se un
fondo pensione vuole comprare titoli senza rating deve
poterlo fare liberamente. Non si tratta solo di tutelare il
libero mercato, ma anche di evitare che gli investitori
continuino ad affidarsi ai voti sul merito di credito in
modo del tutto sproporzionato. Il rating è solo uno dei
tanti parametri su cui basare le scelte».
Deven Sharma, 53 anni, indiano d'origine e americano
d'adozione, è il presidente di Standard & Poor's: è stato
scelto nell'agosto del 2007, quando la crisi dei mutui
subprime aveva appena cominciato a farsi sentire sui
mercati. Un mandato che appariva tranquillo si è così
trasformato in una «missione critica»: restituire al colosso
dei rating la credibilità compromessa dal crollo repentino
di titoli sui cui le agenzie di rating, S&P compresa,
avevano posto invece il sigillo della piena affidabilità.
«Abbiamo sottovalutato - ammette Sharma - la velocità con
cui i prezzi immobiliari sono crollati negli Usa: è stata
molto più alta di quanto avessimo previsto».
In questa intervista esclusiva rilasciata al Sole 24 ore
durante il suo viaggio in Italia, il manager del colosso
mondiale dei rating lancia una sfida ai regulator: «questo è
il momento per correggere un sistema che ha prodotto
distorsioni nell'uso dei rating».
«Noi di Standard & Poor's, ma anche Moody's è d'accordo,
siamo per l'eliminazione del requisito obbligatorio dei
rating emessi da agenzie riconosciute, anche se ciò
significa perdere business. Il voto di affidabilità è
importante, ma non è tutto: il mercato deve tenerne conto al
pari di altri fattori. Se un investitore vuole affidarsi ai
nostri rating, deve poterlo fare liberamente e sulla base
della nostra capacità ed esperienza nell'analisi».
«Abbiamo sempre misurato il nostro successo in base al
valore che portiamo agli investitori. Offriamo i nostri
rating come analisi fondamentale del rischio di credito, non
come una raccomandazione di investimento». «Se i nostri
rating sono rilevanti, la gente li userà. In caso contrario,
gli investitori non dovranno essere costretti a usarli».
Insomma, niente regolamentazioni e imposizioni dall'alto: il
big Government è già troppo grande.
Qualcuno potrebbe pensare che se il rating non è
obbligatorio, si riduce anche il rischio di cause per
risarcimento danni se un titolo ad alto rating crolla
improvvisamente... «No - risponde Sharma - è esattamente il
contrario. L'obbligatorietà farebbe pensare a un valore
diverso da quello che viene offerto oggi, cioè un benchmark
di rischio di credito».
«Noi preferiamo rimuovere l'obbligatorietà del rating come
requisito regolamentare perchè incoraggia un'eccessiva
dipendenza. Il rating deve competere sulla base della sua
qualità. Inoltre, non siamo d'accordo con la proposta di
riforma in discussione al Congresso americano relativa alla
responsabilità patrimoniale delle agenzie di rating perchè
ci porrebbe su un piano diverso dagli altri operatori di
mercato, tra cui broker e società di revisione. Tuttavia
riteniamo che la supervisione dell'attività di rating, come
quella recentemente introdotta in Europa, sia positiva per
ripristinare la fiducia nei mercati e nei rating».
Certo, le esperienze passate hanno cambiato le prospettive.
S&P's ha imparato dagli errori e fatto revisioni
significative sul l'approccio al rating. Revisioni che
includono modifiche alle metodologie e ai criteri per tener
meglio conto di eventuali periodi di grave stress economico.
Insomma le valutazioni ora dovrebbero essere più stabili,
trasparenti e comparabili rispetto al passato. «I nostri
criteri per il voto di un rating tripla A (la denominazione
più alta) comprenderà l'esame di ciò che potrebbe accadere
se il paese deve affrontare uno scenario economico alla pari
della Grande Depressione. Nel caso di una cartolarizzazione
di mutui commerciali lo scenario previsto per una tripla A
dovrebbe sopportare una caduta dei prezzi pari a circa il
45% prima che il titolo vada in default. Gli affinamenti
creeranno rating migliori». Anche sui conflitti di
interesse, Sharma ha agito radicalmente: «gli analisti
dell'agenzia - spiega - sono separati dal resto del
businness. C'è una Muraglia cinese: nemmeno io vengo messo a
conoscenza delle azioni decise dagli analisti»..
Poi si passa ai possibili rischi per la crescita. Le minacce
sono l'inflazione, il peso del debito pubblico, gli
squilibri globali e il fatto che l'appetito per il rischio
continui ad essere ricompensato adeguatamente.
Ci sono dei paesi come la Cina che stanno crescendo troppo
in fretta con qualche rischio di surriscaldamento e a questo
proposito Sharma consiglia di leggere l'ultimo libro di
Kenneth Rogoff sulle crisi e le bolle finanziarie, «molto
istruttivo». Quanto agli altri protagonisti segnala l'India
(«che oggi sta continuando a crescere ma deve afrontare
delle sfide significative nella politica fiscale e deve
investire di più in infrastrutture», il Brasile, («ricco di
materie prime e molto dinamico»), il Perù e il Cile. «In
realtà non c'è più un'area omogea di sviluppo ma paesi
singoli, una selezioni di paesi più dinamici degli altri»,
spiega il presidente del l'agenzia che suggerisce di
osservare come i tassi di investimento dei paesi emergenti è
doppio di quelli ricchi.
In questo caos di norme il Global standard potrebbe essere
una soluzione? «Per ora è solo un'aspirazione sostenuta
dall'Fmi», taglia corto con un sorriso educato che mette la
parola fine sul tema. Tutta un'altra storia invece per
quanto riguarda il bilancio del Financial Stability Board,
presieduto da Mario Draghi, governatore della Banca
d'Italia. «Mario Draghi è una delle persone più esperte che
io abbia incontrato, uno dei migliori banchieri. Ha una
visione eccellente, sia teorica che pratica, dei problemi
finanziari globali. Il lavoro che sta svolgendo nel
Financial Stability Board è veramente ottimo e gli faccio i
migliori auguri», afferma d'impeto, senza però voler entrare
nel merito delle imminenti scelte europee per la guida della
Bce. «Dico solo che Draghi sarebbe una figura all'altezza».
Sharma non è nemmeno preoccupato da Basilea 3 che tanti
malumori sta creando per gli oneri supplementari che
comparta. «Sono regole che tendono a rendere più comparabili
i dati di rischio e quindi li condivido pienamente», spiega
tranquillo. E con questa ventata di ottimismo conclude
l'intervista.
 |
Fonte -
Il Sole 24 Ore |
WALL STREET:
TORNA LA PAURA. VIX IN CORSA
25 Gennaio 2010 00:11 NEW YORK -
di ASCA ______________________________________________
L'indice che misura la volatilita' e' in rialzo da tre
sedute consecutive. Da lunedi' ha guadagnato oltre il 30%.
Rotti importanti livelli tecnici. Resta l'incertezza sul
settore finanziario.
L’indicatore della paura a Wall Street continua ad
accelerare. L’indice della volatilita’, meglio conosciuto
come Vix, ha rotto livelli tecnici importanti con una corsa
in atto da tre sedute consecutive.
Nell’ottava l’incremento supera il 30%. Giovedi' sono stati
toccati i massimi di un mese, registrando (in una sola
seduta ) il maggior incremento dallo scorso 30 ottobre.
Sono stati cosi’ rotti livelli tecnici importanti, sopra
quota 20. Ma c’e’ chi fa notare che il Vix sta ancora
trattando sotto la media delle ultime 20 settimane.
Tre i motivi principali che nella settimana borsistica
spiegano questo andamento. Prima la Cina, pronta a mettere
un freno allo sviluppo della propria economia. Poi le
limitazioni annunciate dal presidente americano Barack Obama
sull’attivita’ bancaria. Da non dimenticare i timori sul
debito di alcuni paesi eruopei.
"L’incertezza mina la fiducia nel mondo finanziario e sui
mercati", ha spiegato Jeffrey Rosenberg, credit strategist
di Bank of America-Merrill Lynch.
Fonte
- ASCA
Banche inglesi,
utili record da 25 miliardi di sterline
24 Gennaio 2010 17:05 LONDRA -
dal nostro corrispondente Leonardo Maisano ______________________________________________
Londra – Utili da 25 miliardi di sterline. L'annus
horribilis della finanza mondiale non è andato poi così male
se la cifra ipotizzata dagli analisti e svelata dal Sunday
Telegraph sarà confermata nei prossimi giorni quando le
banche britanniche annunceranno gli utili dell'anno. La
parte del leone dovrebbe toccare a Barclays che secondo
l'ipotesi dovrebbe viaggiare verso i 10,6 miliardi di
profitti pre tasse. Numeri da record, se confermati.
Le voci britanniche si saldano al gran dibattito
transatlantico sulla paga dei banchieri e il destino delle
banche stesse dopo le severissime bacchettate del presidente
Obama. Londra, almeno quella laburista, non intende
adeguarsi alle misure annunciate dalla Casa Bianca, ma si
attende una svolta nei comportamenti delle proprie banche.
Certamente da parte di quelle pubbliche o semi pubbliche (da
Royal Bank of Scotland a Lloyds ) ma anche da quelle rimaste
private. Barclays, Hsbc, Standard Chartered sarebbero pronte
ad adeguarsi riducendo in modo radicale il bonus pool che
sarà svelato insieme con i risultati nelle prossime due-tre
settimane. In altre parole la percentuale di profitti
destinati al portafoglio dei banchieri sarebbe radicalmente
ridotto. Storicamente è circa la metà dell'utile netto, ma
sia Goldman Sachs sia Jp Morgan li hanno contenuti a un
terzo. Le banche inglesi faranno lo stesso e forse di più:
Barclays ha già fatto sapere che i suoi top executives
potranno beneficiare del prossimo bonus solo fra tre anni.
Domani a Londra rappresentanti del G7 si incontreranno con
il ministro per gli affari della City – uno dei
sottosegretari al Tesoro – Lord Myners per dare seguito al
dibattito sul destino delle banche rilanciato dal presidente
Obama. Un incontro che potrebbe essere propedeutico al
summit mondiale proposto da Angela Merkel per coordinare le
regole finanziarie globali. L'urgenza di un'azione congiunta
"per evitare che ognuno agisca per conto proprio senza
ottenere nulla" è stata ribadita anche dal Cancelliere
Alistair Darling in un'intervista al Sunday Times.
Fonte
- Il
Sole 24 ore
CORPORATE BOND:
INVESTITORI IN FUGA
25 Gennaio 2010 16:50 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
Le vendite di obbligazioni societarie si sono dimezzate in
una settimana. I dubbi sulla ripresa economica spingono gli
operatori verso investimenti percepiti come piu' sicuri.
I corporate bond non sembrano andar piu’ di moda, almeno
osservando quanto accaduto negli ultimi due mesi. Per la
prima volta in otto settimane, le vendite di obbligazioni
societarie hanno subito una brusca frenata mentre i costi
dei prestiti risultano in crescita. Tutta colpa delle
preoccupazioni degli investitori sulla reale tenuta della
ripresa economica.
Nella scorsa ottava le vendite globali di corporate bond
hanno messo a segno un -52% toccando quota $48 miliardi
contro i $99.8 miliardi della settimana precedente, cosi’
come indicato da una ricerca di Bloomberg.
La media del rischio emittente in generale si è ampliata per
la prima volta dallo scorso 27 novembre. Tradotto: in
generale c'è molta più paura e di conseguenza il mercato si
fa piu’ selettivo facendo dei distinguo tra emittente ed
emittente.
"Il mercato", ha sottilineato Simon Ballard, a capo della
credit strategy Europea di RBC Capital Markets di Londra,
"avverte che si e’ perso un po' il polso della realta’, con
l’indiscriminata esposizione ai rischi e l’indifferenza nei
confronti dei fondamentali economici. Ma ora un piu’ ampio
quadro della situazione macroeconomica, insieme ad alcuni
recenti episodi, hanno riportato gli operatori a una maggior
cautela su questo fronte finendo per riposizionarsi
sull’azionario."
Il costo per proteggersi da un eventuale default degli Stati
Uniti e’ cresciuto per otto sedute consecutive. Si tratta
del piu’ lungo intervallo di tempo da giugno 2008. Lo spread
tra le scadenze sulla curva dei rendimenti si sta ampliando
(altro sintomo della percezione di un rischio maggiore) e le
vendite di titoli a tasso variabile si stanno riducendo.
Insomma, riporta Bloomberg, gli investitori sono alla
ricerca di un rendimento sicuro, quindi a tasso fisso. Nel
frattempo il dipartimento del Tesoro Americano sta
raccogliendo informazioni, cercando di capire l’impatto
della conclusione del programma MBS (Mortgage-Backed
Securities).
Fonte
- ANSA
|
Moody's:
la tassa-Obama alle big bank di WS costa più di 8 miliardi $
all'anno
26 Gennaio 2010 17:42 LONDRA
– di
Il Sole 24 Ore
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Il presidente Usa, Barack Obama, ha lanciato il sasso nelle
stagno, agitando non poco le acque. La sua proposta di
stretta sul sistema bancario - no al trading proprietario e
a investimenti, da parte degli istituti finanziari, in hedge
fund o private equity fund oltre a nuovi limiti alla loro
crescita di dimensioni - ha suscitato le reazioni di molti.
Il Financial Times, solo due giorni fa, indicava come i
banchieri stanno schierando tutte le loro "truppe" per
tentare di bloccare, o annacquare, la riforma. Al di là
della lobby di Wall Street (ben disposta a ricevere i soldi
da Main Street, per poi voler continuare a fare i suoi
interessi), le possibili scelte dell'inquilino della Casa
Bianca hanno comunque un impatto sui conti delle banche.
Moody's, in un report datato 27 gennaio 2010, ha tentato di
analizzare, anche quantitativamente, cosa potrebbe accadere
alla grandi firme di Wall Street. Rispetto all'intervento
pronunciato il 21 gennaio scorso da Obama, in compagnia
dell'ex presidente della Fed Paul Volcker, gli esperti della
agenzia di rating dicono «che è difficile quantificarne
l'impatto. I divieti potrebbero portare ad una riduzione dei
rischi che gli istituti finanziari si assumono». Ma allo
stesso tempo «potrebbero mettere le banche Usa in condizione
di svantaggio rispetto ai gruppi» finanziari diversi dalle
banche e «quelli non americani». Inoltre, la proposta di
Obama non è detto non «invogli le banche Usa, nella ricerca
di rimpiazzare i profitti perduti, ad espandersi in altre
attività che potrebbero essere ancora più pericolose».
Le indicazioni, quindi, rimangono piuttosto generiche
(seppure improntate ad una valutazione negativa), vista
anche la mancanza di particolari sull'applicazione della
stretta. Diverso, invece, la questione rispetto alla
proposta di Obama di una "Tassa per la Financial Crisis": la
"fee"di 15 basis points su tutte gli asset delle banche con
più di 50 miliardi di asset. Il patrimonio che dovrebbe
costituire la base imponibile della nuova "fee" sono gli
asset totali, cui bisogna togliere il cosiddetto Tier1
Capital e alcuni depositi. La Casa Bianca si aspetta di
incassare circa 90 miliardi nei prossimi dieci anni.
Ma in particolare quale l'impatto sulle singole banche? Per
Moody's : «Bank of America dovrebbe pagare una commissione
annuale di 1,715 miliardi di dollari; Citigroup, invece,
dovrebbe sborsare ogni anno 2,058 miliardi; Godman Sachs
1,123 miliardi e Jp Morgan 1.905 milioni di dollari; Morgan
Stanley 1.005 milioni e Wells fargo 621 milioni di dollari».
In conseguenza di questi numeri, dicono gli esperti Moody's,
potrà accadere che le banche possano essere, giocoforza,
indotte a ridurre la liquidità. Una scelta da cui potrebbe
conseguire «una riduzione nella forza creditizia dello
stesso istituto».
La cifra non è da poco: è anche su studi come questi che
molti operatori reagiscono nervosamente sui titoli bancari
in Borsa. Tuttavia, non va dimenticato che il sistema
finanziario è stato salvato, nel suo insieme, solo grazie
agli enormi aiuti governativi costituiti dai soldi dei tax
payer. Quei tax payer che, non è demagogia, chiedono un
ritorno alla normalità di un settore il quale (viste anche
le ultime polemiche sui bonus) non sembra, però, volerne
proprio sapere. Le strade indicate da Obama avranno le loro
contro-indicazioni: ma il laissez-faire è fuori luogo.
Nuove regole globalie Basilea
Come, peraltro, la stessa Moody's sembra sottolineare
rispetto ai passi che alcuni dei più importanti regulator,
The Financial Stability Borad, The Joint Forum e il gruppo
dei governatori delle banche centrali, stanno realizzando.
Iniziative «importanti, da una prospettiva del credito,
visto che l'obiettivo di un sistema più sicuro può essere
realizzato attraverso l'implementazione locale di regole
generali» che impediscano il proliferare di attività quali
l'arbitraggio. Inoltre, Moody's sottolinea che le norme in
arrivo dal Comitato di Basilea - una migliore
capitalizzazione (il Tier1 ratio al 10%, ndr) e l'uso di una
minore leva - «creeranno una situazione postiva» per gli
investitori. Certo, «non tutte le banche saranno
"vincitrici"». Ci sono diversi distinguo. Ma, nel complesso,
il messaggio è quello di una visione positiva sulla nuova
impalcatura che dovrebbe sostenere il mondo delle banche.
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
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Sabato 23
Gennaio
2009 |
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Martedì
26
Gennaio
2009 |
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Venerdì
29
Gennaio
2009 |
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L’azzardo
Tuesday, 26 January, 2010 at 10:05 -
di phastidio ______________________________________________
Ieri, il Tesoro greco ha positivamente collocato, a mezzo di
un consorzio di banche, un titolo di stato quinquennale. La
forte domanda degli investitori (oltre 20 miliardi di euro
richiesti, a fronte di 5 offerti, e 8 piazzati), allettati
dal rendimento molto elevato (6,2 per cento, contro il 2,3
per cento del quinquennale tedesco) ha dato un po’ di
respiro al mercato azionario greco e, soprattutto, ha
ridotto la febbre sui rendimenti richiesti per comprare il
debito sovrano ellenico.
Quello in fondo al post è il grafico dei rendimenti del Bot
semestrale greco. In un contesto di mercato in cui i
rendimenti a breve sono prossimi a zero, il Tesoro di Atene
ieri mattina, prima del classamento del quinquennale, doveva
offrire ben oltre il 5 per cento per trovare acquirenti. Il
rischio di credito sovrano sulla Grecia è pericolosamente
vicino ad esplodere, al punto che la curva dei credit
default swap è invertita, segno di crescente rischio di
imminente dissesto.
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CDS Grecia |
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Fonte - Macromonitor |
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Ed è destinata a esplodere anche la spesa per interessi del
governo di Atene, con l’assai concreto rischio di vanificare
la già problematica manovra di rientro del rapporto
deficit-Pil. Se i flussi di acquisto di titoli di stato
greci di nuova emissione verranno meno, il governo greco
sarà indotto a “costringere” le banche nazionali a
sottoscrivere i nuovi titoli di debito, e questo finirà col
sottrarre risorse al credito al settore privato. Malgrado il
successo del collocamento di ieri, in assenza di novità
positive su finanza pubblica e riforme, il problema potrebbe
tornare ad aggravarsi. Nel 2010, il governo greco dovrà
coprire un programma di debito pubblico pari a 54 miliardi
di euro, contro i 66 miliardi del 2009. Il test decisivo
sarà in primavera, con quasi 20 miliardi di euro in scadenza
tra aprile e maggio. E non è il solo governo impegnato a
piazzare propria carta: i governi europei quest’anno
dovranno emettere 2200 miliardi di euro, 393 dei quali
italiani.
L’unione europea, monetaria e politica, è al suo primo vero
banco di prova. Oggi i mercati sembrano scommettere sul
salvataggio comunitario a tempo quasi scaduto, trascurando
che una simile eventualità, in assenza di robuste
condizionalità di risanamento della finanza pubblica (del
tipo “sangue, sudore e lacrime”, quelle che il governo di
Atene non è finora riuscito ad implementare), condurrebbe ad
un tale livello di moral hazard da far deflagrare quasi
tutto il “fianco Sud” dell’Unione. Inclusa l’Italia, ed il
suo “sentiero non sostenibile” di finanza pubblica.
Quanto contagiosa
è la Grecia?
Tuesday, 26 January, 2010 at 12:45 -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Poco, secondo alcuni analisti. Il successo nel collocamento
di un nuovo titolo di stato, dovrebbe rafforzare
l’ottimismo, almeno a sentire i giornali. Siamo sicuri?
Ieri è avvenuto il collocamento del nuovo bond quinquennale
della repubblica ellenica, con una domanda di quattro volte
superiore all’offerta iniziale. La stampa si è affrettata a
definire l’operazione come un successo e a suggerire
l’allontanamento di una incipiente crisi di bilancio. E’
invece possibile che ci troviamo soltanto alla fine
dell’inizio.
Innanzitutto, vale ricordare come il rendimento offerto sia
di tutto rispetto: al 6.25% , si tratta di un rendimento
triplo rispetto a quello tedesco. Non solo: si tratta anche
di circa mezzo punto in più di quanto rendessero i titoli di
stato greco già presenti sul mercato. Ancora più
interessante è il fatto che rendesse decisamente di più del
CDS della stessa scadenza: un investitore avebbe potuto
comprare il bond e contemporaneamente assicurarsi contro il
fallimento della Grecia, guadagnando lo 0.6% annuale senza
alcun rischio. Il governo greco ha insomma concesso al
mercato un rendimento privo di rischio pur di fare cassa ed
assicurare il successo dell’emissione. In un altro segnale
di stress, la curva dei CDS non si è soltanto invertita, ma
comincia a vedere quotazioni anche su scadenze molto brevi
quali il contratto a sei mesi, scadenze per le quali si
tende normalmente a non acquistare protezione se non in
momenti di particolare tensione.
Alphaville ha pubbilcato recentemente uno studio di Deutsche
Bank da quale si evincerebbe un livello modesto di contagio
del malessere greco rispetto al resto d’Europa.
Sfortunatamente questa è più una fotografia dell’esistente
che una garanzia che questo contagio non avvenga in futuro:
il mercato del debito sovrano del Portogallo sta cominciando
a sperimentare tensioni analoghe a quello greco alcune
settimane fa.
A seguito del successo del collocamento, seppure a caro
prezzo, i CDS sulle nazioni più deboli dell’area euro sono
oggi in fase di ritracciamento. Rimangono tuttavia aperti i
problemi affrontati altrove:
Nel 2010, il governo greco dovrà coprire un programma di
debito pubblico pari a 54 miliardi di euro, contro i 66
miliardi del 2009. Il test decisivo sarà in primavera, con
quasi 20 miliardi di euro in scadenza tra aprile e maggio. E
non è il solo governo impegnato a piazzare propria carta: i
governi europei quest’anno dovranno emettere 2200 miliardi
di euro, 393 dei quali italiani.
Al solo governo greco servirà quindi un’altra decina di
successi come quello attuale per assicurarsi fondi in
maniera stabile, pagando un prezzo che rischia di rivelarsi
estremamente elevato sia per la repubblica ellenica che per
gli altri PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) , che
potrebbero vedersi costretti ad aumentare i rendimenti
offerti in fase d’asta, con evidenti ricadute negative per i
propri bilanci.
S&P rivede al ribasso
l’outlook sul merito di credito del Giappone
Tuesday, 26 January, 2010 at 14:54 -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Ancora brutte notizie sul fronte del debito pubblico
mondiale: l’agenzia di rating S&P ha rivisto a negativo
l’Outlook del Giappone, anche se al momento rimane AA. La
motivazione è data dalla riduzione della flessibilità
fiscale del gigante asiatico, causata dai trend demografici
e dal rifiuto di ristrutturare l’economia
Il Giappone è stato un esempio della futilità d’impiego di
tecniche pseudo-keynesiane in presenza di una crisi
finanziaria: i pacchetti di stimolo hanno generato enormi
deficit ed un debito pubblico esploso ben oltre il 200% , ma
non hanno portato ad una ripresa duratura. Le banche sono
sempre state aiutate, ma non sono mai state costrette alla
drastica ristrutturazione che avrebbe permesso loro di
ripartire con bilanci ripuliti, anche se a costo di perdite
per i creditori; l’economia è ancora divisa fra un settore
dedicato all’export caratterizzato da una elevata efficienza
ed un settore interno protetto, sussidiato e inefficiente.
Si tratta di una scelta tutta politica, che ha minimizzato i
costi nel breve periodo, ma ha condannato il Giappone ad un
lento declino, di cui stiamo soltanto ora vedendo i
risultati.
Il deterioramento rischia adeso di accelerare, a causa del
venir meno dell’imponente risparmio interno, che aveva
permesso di finanziare a costi bassissimi i deficit statali:
per la prima volta, i fondi pensione giapponesi sono
diventati venditori netti di titoli di stato, per far fronte
alle necessità del numero sempre crescente di pensionati. Il
tempo sta per scadere.
Fonte
- Macromonitor
La corsa dei bond
divide il mercato
26-01-10 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
La corsa ai bond governativi divide gli analisti. Per alcuni
il pericolo di una bolla sta crescendo a livelli pericolosi,
col rischio di trascinarsi dietro anche le azioni. Per altri
le condizioni di mercato sono ancora sicure. L’indice Citi
WGBI del settore nell’ultimo mese (fino al 26 gennaio e
calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 2%.
Fra i primi a preoccuparsi ci sono stati gli analisti di
Citigroup, Tobias Levkovich e Lorraine Schmitt, secondo cui
questa corsa alle obbligazioni ricorda da vicino la febbre
che ha portato allo scoppio della bolla Internet nel 2000.
In base ai dati della società di ricerca EPFR Global, nella
terza settimana di gennaio negli Usa sono stati investiti
quasi 5 miliardi di dollari in titoli di debito governativi.
Il momento critico, hanno spiegato, arriverà quando
saliranno i tassi di interesse (molti prevedono verso la
fine dell’anno), perché sarà eroso il valore dei bond più
vecchi (e saliranno i rendimenti).
A rimetterci sarebbero sia le obbligazioni statali, sia le
azioni. Quando gli investitori vedranno salire le cedole e
scendere i prezzi, fuggiranno dai bond spingendo i
rendimenti ancora più in alto. Questo a sua volta avrà un
effetto negativo sul valore delle azioni americane. Negli
Stati Uniti, infatti, l’andamento dei government, viene
utilizzato per fare una stima su quanto rende oggi un titolo
equity rispetto ai flussi di cassa futuri. Un alto
rendimento delle obbligazioni, diminuisce il valore attuale
dell’azione.
Non tutti, però, condividono questo pessimismo. Chi vede
rosa sottolinea che la bassa inflazione aiuterà a proteggere
le obbligazioni quando i tassi di interesse saliranno.
Inoltre, i titoli azionari sono quelli che anticipano le
riprese per cui un effetto negativo sull’equity sarebbe
comunque limitato. Senza contare che, di solito, quando gli
investitori abbandonano i bond, lo fanno proprio per
comprare azioni. Secondo le analisi di JP Morgan, l’ultima
volta che c’è stata una corsa alle obbligazioni governative
è stato nel biennio 2002-2003. Da lì è poi partita una
ripresa dell’azionario.
Un altro motivo per non preoccuparsi è la dimensione del
settore. Il mercato dei crediti, spiegano da JP Morgan, non
è poi così grande. Gli investitori, quindi, prima o poi si
daranno una calmata riportando un po’ di quiete nel settore
dei government.
In Europa, intanto, gli investitori guardano con interesse
alla carta che sta arrivando dalla Grecia. La prima
emissione da quando il merito di credito del Paese è stato
rivisto al ribasso ha permesso di raccogliere 8 miliardi di
euro. Le richieste hanno superato i 25 miliardi. Il titolo
quinquennale, secondo il ministero ellenico delle finanze,
ha un rendimento del 6,2%.
Fonte
-
www.MorningStar.it
CINA, INDIA E
BRASILE PER GUADAGNARE. PAROLA DI BILL GROSS
27 Gennaio 2010 02:40 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Ecco le strategie di investimento
del gestore del piu' grande fondo obbligazionario al mondo.
Tra i peasi sviluppati, meglio stare alla larga
dall'Inghilterra. Preferire Germania e Canada.
Puntare sui peasi dove le operazioni a debito sono state
piu’ contenute. A sostenerlo e’ Bill Gross, il gestore del
piu’ grande fondo di investimento al mondo Pimco (Pacific
Investment Management co.). Dove? Cina, India e Brazile, "
meno inclini a facili bolle". L’identikit delle aree da
prender di mira? Bisogna andare in paesi dove "c’e’
crescita, i consumi sono ancora in una fase embrionale, il
debito nazionale si trova a bassi livelli, le riserve sono
ingenti e dove il surplus commerciale porta a credere nella
generazione di ulteriori scorte per gli anni a venire". E’
quanto si legge nello studio mensile pubblicato sul sito
internet del fondo.
L’idea chiave di Gross: scommettere sui paesi che
attualmente si basano su un'economia orientata al risparmio,
ma che potrebbero poi evolvere in economie basate sui
consumi. I tre suddetti casi rappresentano degli ottimi
esempi se si considerano le ultime stime del Fondo monetario
internazionale.
Per il Sol Levante e' prevista
una crescita a fine anno del 10%, un punto percentuale in piu’
rispetto al rapporto datato ottobre e piu’ in alto anche del
risultato conseguito nel 2009 (+8.7%). Fara’ meglio delle
precedenti previsioni anche il subcontinente indiano, con un
+7.7% (contro un +6.4% di tre mesi fa). I mercati emergenti in
generale, dal canto loro, dovrebbero mettere a segno un rialzo
del 6%.
Non a caso il mese scorso Gross ha aumentato l’esposizione alle
economie emergenti attraverso i suoi investimenti nel fondo
Total Return dal 5% al 16%, il maggior livello dall’ottobre
2004. Al contrario, in novembre ha ridotto del 32% il peso verso
i titoli di stato, la soglia piu’ basso da luglio.
E’ ben chiaro anche cosa evitare: "si deve stare alla larga
dall’Inghilterra", si legge nel report firmato Pimco. "I titoli
di stato di sua Maesta’ riposano sul un letto di
nitroglicerina", ha spiegato, "l’alto debito unito alla
potenzialita’ di indebolimento della sterlina rappresenta un
forte rischio per chi decide di puntare sul comparto
obbligazionario".
Allora dove puntare tra i paesi sviluppati? Anche in questo caso
Gross ha le idee molto chiare: Canada e Germania sembrano essere
le scelte vincenti. Nel primo caso "le banche si sono dimostrate
conservative, mossa che ha impedito loro di subire gli effetti
della crisi immobiliare. Questi istituti, piu’ di quanto fatto
dai competitors, si sono focalizzati sulla tenuta dei loro
bilanci". Quanto alla Germania, "essa rappresenta una delle piu’
sicure alternative, anche in termini di liquidita’. Ma la sua
leadership e la posizione di tutta l’Europa nei confronti di un
eventuale default di Grecia e Irlanda sono fattori da monitorare
con attenzione".
Gli Stati Uniti non trovano scampo ai raggi x di Gross. In
quella che ha definita "la nuova normalita’", il gestore
sostiene che gli investitori dovranno fare i conti con ritorni
sugli investimenti piu’ contenuti rispetto alla media (alla luce
anche della regolamentazione finanziaria da parte del governo),
minori consumi, lenta crescita e un peso inferiore dell’economia
a stelle e strisce su scala globale.
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
Giù la raccolta,
su i rendimenti lo strano 2009 degli hedge fund
28 Gennaio 2010 14:07 -
di Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Giù la raccolta, su i rendimenti
lo strano 2009 degli hedge fund
È passato più di un anno dal tonfo della borse mondiali
seguito al clamoroso fallimento di Lehman Brothers. In un
anno molto è cambiato: le borse hanno ripreso quota e gli
investitori sono tornati a rischiare. Ma le cicatrici della
più grande crisi finanziaria dal crollo di Wall Street del
1929 sono ancora ben visibili.
Basta guardare i numeri dei fondi di investimento italiani
che, nonostante la ripresa di questi ultimi mesi, hanno
chiuso il 2009 in rosso sul fronte della raccolta. I più
colpiti sono stati senza dubbio gli hedge fund che, da
inizio anno, hanno subito un deflusso di 5 miliardi e 491
milioni di euro (secondo i dati provvisori di Assogestioni).
L'ondata di riscatti in Italia, in realtà, è avvenuta
soprattutto nell'ultima parte del 2008, conseguenza del
panico per la caduta del colosso Lehman. Nei primi mesi del
2009 il settore ha scontato poi l'effetto Madoff (il
finanziare americano autore della più grave truffa
finanziaria di tutti i tempi). Lo scandalo ha impaurito
molti investitori anche se l'impatto sui fondi italiani è
stato limitatissimo.
Nonostante l'emorragia di capitali tuttavia, la performance
dell'industria è stata comunque decisamente brillante. In
Italia addirittura il settore ha messo a segno i rendimenti
migliori di sempre. L'Hfr FoF Index, indice rappresentativo
dei fondi di fondi hedge mondiali, ha avuto un rendimento
del 11,6%. Performance più contenuta rispetto al mercato
azionario mondiale che però, malgrado il +22,8% conseguito
nel 2009 (dato aggiornato a dicembre), deve ancora ottenere
un rendimento del 35,9% per pareggiare la perdita del 2008
(-40,1%). Ai fondi hedge invece manca solo un 14% per
azzerare completamente la perdita del 2008.
Un anno in chiaroscuro quindi. Male sul fronte della
raccolta, molto bene su quello della performance. «I fondi
sono stato molto penalizzati dal crollo dei mercati di fine
2008. Ma anche perché, a mio parere sono stati venduti male
dalla rete dei private banker che rappresenta il 60% della
raccolta italiana» dice Stefano Gaspari amministratore
delegato di Mondo hedge, provider italiano dedicato al
settore. «La grande flessibilità operativa ha permesso
tuttavia a molti fondi di cogliere meglio le opportunità
offerte dei prezzi stracciati di inizio 2009 e sfruttare la
ripartenza dei listini».
Ma non solo. Come spiega Alessandra Manuli, amministratore
delegato di Hedge Invest «la crisi ha messo molti operatori
fuori gioco riducendo molto la competizione e lasciando sul
campo solo i migliori, che hanno potuto sfruttare tutte le
opportunità create dalle enormi dislocazioni di valore
presenti in tutte le asset class dopo la crisi. E anche la
riduzione delle masse in gestione, conseguenza di riscatti
che si sono concentrati negli ultimi mesi del 2008, ci ha
paradossalmente avvantaggiato. Oggi siamo ancora più
flessibili e possiamo ottenere ottimi risultati, con una
volatilità molto contenuta e soprattutto minimizzando i
rischi grazie alla quasi totale assenza di leva
finanziaria». Con un +15,8% da inizio anno la sgr italiana
ha già più che recuperato la perdita registrata nel 2008
(13,6%), sovraperformando il mercato.
Ma come sarà il 2010 dei fondi hedge? Sul fronte della
raccolta c'è stata una netta inversione di tendenza negli
ultimi mesi e dalle prime settimane del nuovo anno arrivano
indicazioni positive. Effetto forse dello scudo fiscale, che
ha fatto rientrare in Italia 95 miliardi di euro negli
ultimi mesi del 2009. Ma soprattutto della politica di bassi
tassi di interesse adottata dalle banche centrali per far
fronte al credit crunch, grazie alla quale un'enorme massa
di liquidità è entrata nel mercato. Una situazione atipica
che molti vedono come foriera di una nuova bolla
speculativa. Per quanto anche gli stessi banchieri centrali
abbiano ammesso il rischio però, non ci sono indicazioni
che, almeno in Europa e Stati Uniti, si intenda rialzare il
costo del denaro.
Segnali positivi quindi si annunciano per il 2010 anche dopo
l'inaspettato assist ricevuto da Barack Obama. Il presidente
americano ha recentemente annunciato l'intenzione di
costringere le banche a ridurre l'attività di trading e
imporre il divieto di investire in fondi speculativi. «Per
il momento aspettiamo di capire in che cosa effettivamente
si tradurranno queste misure - commenta Stefano Gaspari - ma
non è escluso che queste possano avere un impatto positivo
per l'industria degli hedge. Le banche sono i principali
competitor nel trading. Un eventuale stop ridurrebbe
inevitabilmente la concorrenza». Fonte
- Il Sole 24 Ore
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