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Sabato 01 Maggio 2010 |
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Lunedì 03 Maggio 2010 |
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Martedì 04
Maggio
2010 |
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Borsa: segnali di nervosismo e impennata della
volatilità
02 Maggio 2010 21:33 BIELLA – di *Maurizio Milano
*Questo documento
e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi Tecnica
Gruppo Banca Sella
________________________________________
Prove tecniche di correzione. Nella seduta di
martedì vendite improvvise respingono gli indici Usa verso i
primi supporti, dove scatta un veloce rimbalzo seguito da
nuove vendite sul finale d’ottava. Una settimana all’insegna
del "nulla di fatto" per l’azionario americano, si potrebbe
dire, visto che gli indici rimangono poco al di sotto dei
massimi di periodo, ma che riflette comunque un nervosismo
crescente. Prosegue invece l’andamento negativo delle Borse
europee, oramai quasi tutte in territorio negativo da inizio
anno.
Il Nasdaq Composite ripiega velocemente verso il
supporto a 2450, per poi risalire sopra 2500 e ridiscendere
sul finale di settimana verso 2450. Ricordiamo che l’area
2500/50 rappresenta l’obiettivo del bear market rally, in cui
è opportuno alleggerire l’esposizione, in ottica prudenziale.
Il quadro tecnico rimane fragile: un segnale convincente di
perdita di spinta si avrebbe, tuttavia, solo su discese sotto
2450, da considerarsi come livello di protezione per le
posizioni lunghe ancora aperte. Sotto 2450, infatti,
scatterebbero veloci vendite verso 2395 e quindi a testare il
forte supporto in area 2325/45. Sotto 2325 (prematuro)
l’obiettivo sarebbe poi 2250 e quindi il supporto critico in
area 2200/20, la cui tenuta è necessaria per mantenere una
buona impostazione per i prossimi mesi. Scivolone e
tentativo di assestamento anche per il Dow Jones Industrial
che dai massimi a 11250 scende verso 11000. Il quadro tecnico
rimane fragile: la rottura di tale supporto confermerebbe il
segnale di debolezza, con primo obiettivo l’area 10700/800,
sotto cui si proporrebbe il test dell’area 10400/500: la
rottura di quest’ultimo supporto (prematuro) darebbe poi un
segnale ribassista anche per le settimane a venire. Gli
acquisti riprenderebbero sopra 11250 (prematuro), con
obiettivo 11400 ed estensioni verso l’area chiave di
resistenza 11750-12000, che dovrebbe comunque arrestare il
rialzo per molti mesi a venire.
Veloce discesa anche per l’indice S&P500 che
riesce comunque a mantenersi al di sopra del supporto a 1185.
Il quadro tecnico rimane fragile: la rottura di 1185
provocherebbe un’accelerazione ribassista verso il forte
supporto a 1150. Sotto 1150 (prematuro) si proporrebbe poi il
test dell’area 1105/15, con estensioni verso il supporto
critico in area 1080/85, la cui tenuta è necessaria per
mantenere una buona impostazione per i prossimi mesi. Gli
acquisti riprenderebbero solo su chiusure settimanali sopra
1215 (prematuro), con obiettivo 1255/65 ed estensioni verso la
resistenza chiave a 1315, che dovrebbe comunque arrestare il
rialzo dell’indice per molti mesi a venire. Sull’indice
DJEurostoxx50, la rottura del supporto in area 2850/70 ha
determinato un ulteriore peggioramento del quadro tecnico con
le quotazioni scivolate fino a un minimo a 2762. Al di sotto
di 2760 sono possibili discese a testare il supporto critico
in area 2700/20 (al di sotto i minimi dell’8 febbraio a 2618,
la cui tenuta è necessaria per mantenere una buona
impostazione per i prossimi mesi). Le spinte ribassiste
diminuirebbero sopra 2850 ma il tono migliorerebbe solo sopra
2900 (poco probabile) e gli acquisiti riprenderebbero solo
sopra 2965/85 (improbabile), con obiettivo i massimi in area
3025/45, sopra cui si avrebbero estensioni verso la resistenza
chiave a 3150, che dovrebbe comunque arrestare il rialzo
dell’indice per molti mesi. Dalla metà di aprile la
volatilità implicita (cfr. Indice Vix relativo allo
S&P500) ha avuto un andamento fortemente erratico tra i
minimi dell’anno a ridosso di 15,50-16 e la resistenza a 20.
Il recente superamento, con un forte balzo, di quota 20 e lo
sbuffo verso 22,75-23,20 confermano i segnali di tensione. Un
chiaro peggioramento del quadro tecnico si avrebbe poi al
superamento della forte resistenza a 25 (prematuro).
Un
rasserenamento si avrebbe solo su veloci ridiscese del Vix
sotto 17,50-18,40, seguite da una sua stabilizzazione. Una
volatilità in risalita ed instabile, infatti, rappresenta
sempre un campanello d’allarme che non può essere ignorato. In
una scala crescente di percezione del rischio in 4 diversi
colori - verde, giallo, arancione e rosso - potremmo dire che
siamo passati da una situazione di serenità, di rischio
"verde" (Vix stabile sotto quota 20), ad una situazione di
relativo nervosismo, di rischio "giallo" (Vix sopra 20 e molto
erratico, ma ancora sotto la resistenza critica a quota 25).
Il "termometro del rischio" salirebbe ad arancione solo col
superamento di 25 (prematuro). In tempi incerti, in cui
sembrano esserci più rischi che non opportunità (tra cui anche
l’euro/dollaro a rischio di forti scivoloni, ad esempio) e
comunque sono probabili molti falsi segnali, è opportuno
mantenere un basso profilo di rischio. Nei prossimi 1-2 mesi
la liquidità tornerà probabilmente ad essere l’asset più
interessante in cui parcheggiare il denaro. Molto meglio
perdere delle opportunità che non il proprio capitale: in
attesa di tempi migliori, ad esempio una bella correzione da
sfruttare per rientrare sul mercato azionario.
 |
Fonte -
xxx |
Le banche
Usa continuano a
chiudere
domenica, 2 maggio 2010 -
19:50 - di MIAECONOMIA ______________________________________________
E siamo a 64. E' lo
sterminato numero di banche Usa che hanno chiuso
dall'inizio del 2010, portando altri miliardi a carico
dell'Fdic, l'ente federale che e' stato istituito da
governo statunitense per evitare il peggio al momento
della crisi. Nel giro di pochi giorni si sono aggiunte
alla lista nera qualcosa come 7 banche regionali, un po'
da tutte le parti del paese. C'e' il Missouri, che ha
visto nel fine settimana chiudere due banche, ma anche
Washington, Michigan e perfino altri tre istituti di
Porto Rico. Tutti in fila con l'Fdic che e' stato
costretto a intervenire con quasi 7,4 miliardi di
dollari, per le sole banche portoricane sono stati
impiegati qualcosa come 5,28 miliardi di dollari a
fronte di depositi per 14,84 miliardi. Forse non e'
un caso che il quotidiano Wall Street Journal sottolinei
come l'Fdic stia affrontando una raffica di fallimenti
come non se ne vedevano dagli inizi degli Anni 90, in
occasione della crisi del risparmio e dei
prestiti. In parte come previsto, forse, ma il
segnale non e' incoraggiante, nel solo mese di aprile
ben 23 banche statunitensi hanno chiuso i battenti, per
adesso il mese record come se la recessione non si stia
allontanando ma proprio il contrario. Il circolo vizioso
sembra essere legato anche al mondo del lavoro, tanto
che si prevede un aumento ulteriore delle chiusure a
fronte dei tassi di disoccupazione che rimangono alti e
impediscono alle famiglie di onorare parecchi arretrati
pendenti. Tanto che la progressione e'
impressionante, a gennaio 15 banche venivano chiuse, a
febbraio scendevano a 7, per poi decollare a 19 in marzo
fino appunto ai 23 fallimenti di aprile. A conti fatti
siamo gia' quasi alla meta' delle 140 banche chiuse in
tutto il 2009, anche se ci troviamo ad appena un terzo
dell'anno.
Fonte
- MIAECONOMIA
La borsa
cinese si apre
ai gruppi esteri
02 Maggio 2010
11:01 - di Sole 24 ore ______________________________________________
SHANGHAI - Shanghai attende
l'apertura dell'Expo per annunciare la sua prossima
rivoluzione finanziaria. «Entro la fine dell'anno
saranno pronti i nuovi regolamenti per la quotazione in
Borsa delle società straniere», ha annunciato ieri
(giusto alla vigilia dell'inaugurazione dell'Esposizione
Mondiale 2010) il direttore generale dello Shanghai
Financial Service Office (Sfso), Fang Xinghai. Si
tratta di una grossa novità. Attualmente, infatti, alla
Borsa Rossa sono quotate solo azioni di società cinesi.
Che possono essere di due tipi: le «azioni A»,
denominate in yuan, che rappresentano ben oltre il 90%
della capitalizzazione complessiva dei listini di
Shanghai e Shenzhen; e le «azioni B» che, invece, sono
denominate in dollari. Con la riforma messa in cantiere
dalle autorità finanziarie, il parterre shanghainese
aprirà le proprie porte alle aziende straniere. Quali
saranno i criteri e le modalità dell'ammissione in
quotazione di queste ultime non è ancora ben chiaro.
Secondo alcune indiscrezioni di mercato, le società
straniere saranno autorizzate a emettere azioni di tipo
A. Le dichiarazioni rilasciate ieri da Fang confermano
questa ipotesi. «Le quotazioni di titoli di aziende
estere alla nostra Borsa consentirà agli investitori
cinesi di acquistare le migliori società del mondo, e di
aumentare così il loro ritorno sull'investimento», ha
spiegato il direttore generale dello Sfso. Se
l'obiettivo è questo, è evidente che la quotazione dovrà
essere in yuan, visto che oggi sono ancora pochi i
cittadini cinesi detentori di conti in valuta
estera.
Come accade puntualmente in
Cina quando si varano riforme che schiudono finestre di
opportunità agli stranieri, anche quella della Borsa
Rossa sarà un'apertura graduale e a piccoli passi. «Il
primo gruppo di candidate alla quotazione a Shanghai
sarà composto da aziende straniere che conoscono bene il
mercato cinese e che hanno con una forte presenza
locale», ha aggiunto Fang. Con queste premesse non è
difficile indovinare chi sarà la società estera a
lanciare la prima Offerta pubblica di vendita della
storia oltre la Grande Muraglia: quasi sicuramente Hsbc,
oppure come seconda scelta Bank of East Asia, un grosso
istituto di credito di Hong Kong ben radicato da anni in
Cina. L'apertura della Borsa Rossa alle società
d'oltremare è un'altra tappa cruciale nell'evoluzione di
Shanghai come piazza finanziaria internazionale. Entro
il 2020, la città vorrebbe superare Hong Kong e
Singapore, e diventare il principale mercato finanziario
asiatico. Il piano è suggestivo e ambizioso, ma sembra
non fare i conti con due ostacoli non da poco:
l'inconvertibilità del renminbi e lo scetticismo di
Pechino.
Fonte
- Sole 24 ore
CINA:
RISCHIO CRASH NEL GIRO DI NOVE MESI, UN
ANNO
03 Maggio 2010 16:19 NEW
YORK - di WSI ______________________________________________
Parla l'investitore
super-short Marc Faber (che vive a Singapore).
"L'economia di Pechino e' destinata prima a rallentare e
poi a crollare". Gia' rialzati i tassi. E basta leggere
i cali di commodity e azionario: la bolla immobiliare
sta per scoppiare. L'economia della Cina e' destinata
a rallentare il passo e poi, con ogni probabilita', a
crollare clamorosamente entro un anno. La prova la
stanno offrendo i recenti cali dei mercati di materie
prime e azionario di Pechino, chiari indicatori del
fatto che la bolla immobiliare sta per esplodere. Anche
per via dell'aumento delel riserve obbligatorie decise
dalle autorita' cinesi (vedi a fondo pagina). A
lanciare l'avvertimento e' l'investitore super-gufo e
super-short Marc Faber (vive e gestisce il suo fondo di
investimento a Singapore e conosce i mercati asiatici
come le sue tasche) il quale, intervistato da Bloomberg
TV, ha sottolineato come quello che "il mercato ci sta
dicendo non e' molto confortante. L'economia cinese
rallentera' a prescindere da altri fattori. E' probabile
che avremo persino un crash in Cina, nei prossimi
nove-dodici mesi". L'investitore e autore del Gloom,
Boom & Doom Report (uno degli short piu' famosi e
accaniti di Wall Street, come dimostrano le allegre
immagini sul suo sito...) ha elencato a Bloomberg TV gli
elementi a supporto della sua tesi: i titoli delle
societa' australiane esportatrici di risorse, la Borsa
di Shanghai e le commodity industriali stanno tutte
uscendo dalla bolla, e nelle ultime settimane prezzi e
valori hanno ceduto pesantemente terreno. "Inoltre
l'inaugurazione dell'Expo mondiale di Shanghai la
settimana scorsa non e' un segnale particolarmente
buono", ha aggiunto Faber, citando vari casi in cui
questi eventi di solito sono simbolici di un top gia'
toccato, dopo il quale c'e' solo il declino. Cio' e'
valso anche per le Olimpiadi di Pechino nel 2008 (li' ci
fu l'apex sul mercato azionario cinese) e come ben sa
chi si occupa di mercati finanziari, lo stesso discorso
vale ogni volta che un'azienda, un gruppo o una banca
costruiscono il piu' alto o piu' bel grattacielo del
momento: e' un picco massimo per molto tempo. Piu' in
concreto, la negativita' di Marc Faber si manifesta dopo
che le autorita' in Cina hanno approvato un aumento
delle riserve obbligatorie (RRR) misura che ha
ovviamente brutti effetti sull'azionario. Nonostante
cio' la decisione di Pechino per raffreddare un'economia
e un mercato immobiliare surriscaldati, non e'
sufficiente. Un report di JP Morgan ammette: "Il rialzo
di 50 punti base delle riserve (RRR) da parte della
Banca Centrale di Pechino conferma due messaggi di
politica monetaria: (1) C'e' bisogno di ulteriori
strette sui tassi da parte della Cina; (2) Il "passo" di
queste strette sara' moderato, anche perche' Pechino
vuole dimostrare di non avere fretta".
Fonte
-
www.WallStreetItalia.com
Mercati
del credito 3 Maggio 2010
– salvataggio festivo, nubi cinesi
Monday, 3 May,
2010 - di John Christian
Falkenberg ______________________________________________
Mercati del credito
semichiusi a causa della festività inglese. La proposta
di salvataggio greco è sicuramente positiva, ma i
mercati USA ed asiatici soffrono per le vicende di
Goldman Sachs e, soprattutto, per le misure restrittive
cinesi che minacciano di disseccare una delle maggiori
fonti di liquidità del mercato. Il pacchetto di
salvataggio per Atene permetterebbe al governo greco di
non dover più tornare sul mercato almeno per due anni
circa. Rimangono le perplessità sui dettagli e sulla
capacità del governo Papandreou di imporre le misure
d’austerità, che non paiono comunque irrealizzabili:
sono paragonabili a quelle implementate dall’Irlanda,
senza aiuti internazionali, e meno severe di quelle
imposte dallo stesso IMF alla Lettonia, in cambio di un
altro pacchetto d’aiuti. La migliore sintesi , per il
momento, rimane quella del Wall Street Journal “La
Grecia ottiene aiuti, promette austerità”. Rimane da
vedere come si evolverà la situazioine per le altre
nazioni pesantemente indebitate: il contagio greco è
soltanto un fattore fra quelli che hanno fatto lievitare
i differenziali di rischio fra Germania ed altre nazioni
europee; il quadro dei fondamentali rimane preoccupante
. Per puntellare ulteriormente la situazione di
liquidità, la Banca Centrale Europea ha sospeso le
proprie stesse regole sui titoli forniti a garanzia dei
finanziamenti alle banche: continuerà a prestare denaro
contro qualsiasi titolo di stato greco,
indipendentemente dal rating. In questo modo l’ECB
potrebbe continuare a fornire liquidità al sistema
bancario greco, sull’orlo del collasso, oltre che e alle
banche tedesche maggiormente esposte, anche in caso di
declassamento del debito di Atene anche da parte di
Moody’s o Fitch, oltre che di Standard &
Poor’s. Sul fronte americano, la chiusura di venerdì
è stata pesantemente influenzata dalle vicissitudini
dell’inchiesta su Goldman Sachs. In Asia, gli indici
azionari chiudono al ribasso non soltanto per il
“contagio ” di Wall Street, ma anche per i tentativi
delle autorità cinesi di sgonfiare la propria bolla
speculativa immobiliare aumentando i coefficienti di
riserva obbligatoria del sistema bancario per la terza
volt ain un anno. I mercati cinesi veri e propri sono
chiusi sino a domani, ma l’indice di Hong Kong perde
l’1.5% e vi sono forti timori della reazione dei mercati
domestici alla riapertura. Data l’imponente aiuto alla
liquidità internazionale data dagli acquisti cinesi ,
ogni inveriosne di tendenza rischia di creare notevoli
turbolenze nel breve periodo.
Fonte
- Macromonitor
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Borsa? No, è il
mercato dei bond a dettare legge
05 Maggio 2010 01:28 NEW YORK
– di *Leon Zingales
*Leon Zingales,
collaboratore di WSI, PhD in Fisica, e' professore al
Dipartimento di Matematica dell'Università di Messina e autore
del blog IlCignoNero.
________________________________________
La maggior parte degli osservatori reputa il
mercato azionario l’indicatore privilegiato dello stato della
crisi. Non e' cosi' (...).
In Fisica è noto come ogni
particella debba essere rivelata con opportuni strumenti.
Qualora cercassimo di acchiappare i neutrini usando retini per
farfalle non osserveremmo nulla. Ciò non significa che i
neutrini non esistono: si è semplicemente sbagliato lo
strumento rivelatore. I mercati azionari sono ormai
completamente distaccati dal sistema reale e le fluttuazioni
dei mercati obbligazionari sono semplici oscillazioni che
servono a trasferire risorse dal parco buoi verso gli agenti
informati. In questo senso i mercati azionari non sono più un
indicatore della crisi. La FED è pesantemente intervenuta nel
mercato azionario guidandolo con sapienza, mediante un
classico effetto leva, onde consentire, mediante poche (si fa
per dire) centinaia di miliardi di dollari, una adeguata
ricapitalizzazione del sistema finanziario. Il vero terreno
di battaglia si è spostato nel mercato obbligazionario, in
particolare nella guerra per l’acquisto delle bombole di
ossigeno per gli stati: la battaglia dei titoli sovrani. Le
fluttuazioni dei mercati obbligazionari sono ben più
pericolose. L’attacco contro la Grecia è ormai un caso da
manuale con un meccanismo ben oliato: si attaccano i punti
deboli della zona Euro, si fanno volare i rendimenti
obbligazionari, si gonfiano i CDS e, nel contempo, per
contraltare, si impone il dollaro come moneta di
rifugio. Ma il troppo è troppo: sottoporre a sollecitazioni
sempre più ampie un sistema rigido come l’euro sta celermente
conducendo la moneta unica verso il punto di rottura.
Continuare la speculazione contro l’euro onde consentire la
vendita dei TBills USA è ormai divenuto rischioso come buttare
un cerino acceso dentro una pompa di benzina. Nel momento
in cui la fluttuazione sui Titoli di Stato amplificata dagli
speculatori raggiunge una soglia critica il sistema esibirà
una transizione di fase. Un repentino flusso di informazioni
si propagherà per l’intero sistema mutando il suo stato
termodinamico. Non si creda di poter isolare il possibile
default della Grecia in un compartimento stagno sterilizzando
il resto del sistema Euro. L’eventuale fallimento determinerà
un effetto domino che contagerà in modo repentino molti altri
paesi della zona Euro (Portogallo, Irlanda e Spagna, detti
PIIGS) e poi si espanderà come un virus inarrestabile fino ai
pachidermi: Gran Bretagna ed USA in primis. L’errore (e
direi anche l’orrore) degli economisti classici è credere che
in il tempo sia omogeneo. In prossimità di una transizione di
fase il tempo corre: ghiacciata una porzione di sistema,
l’intero sistema celermente congelerà. Si sono lanciati
generici allarmi sul deterioramento dei conti pubblici,
credendo che il tempo giochi a proprio favore consentendo
graduali e poco dolorosi aggiustamenti; ormai il tempo
dell’economia non si misura più in anni, tutto sta
accelerando. Gli eventi precipitano: il punto critico è vicino
e nei prossimi mesi (se non addirittura settimane) si ballerà
parecchio.
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Fonte -
www.IlCignoNero.it |
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Mercoledì 05
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Giovedì 06
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Le
agenzie di rating e i
PIIGS
05 Maggio 2010
08:28 - A cura di Jim Leaviss, Head of Retail
Fixed Income di M&G Investments ______________________________________________
Dopo il declassamento della
Grecia (fino a ”spazzatura”) e del Portogallo (fino ad A
-) di martedì scorso, Standard & Poor’s ha guardato
alla conseguente carneficina nel mercato delle
obbligazioni sovrane e ha deciso che mercoledì sarebbe
stato il turno della Spagna. Il rating sul debito
sovrano della Spagna è stato abbassato da AA+ ad AA,
solo di un livello, ma abbastanza per far allargare lo
spread dei CDS oltre i 200 punti base, e assistere
all’ampliamento degli spread del credito sulle banche di
20 punti base, e ancora di più sul debito
senior. Anche se sappiamo che le posizioni fiscali
nei Paesi periferici della zona euro sono deboli e in
via di deterioramento, ci preoccupa che la decisione di
declassamento derivi principalmente dall’oscillazione
dei prezzi delle obbligazioni. In altre parole, i rating
sul credito sono stati tagliati perché i prezzi delle
obbligazioni sono scesi. In una certa misura questo è
razionale – poiché il costo degli interessi sale
all’aumentare dei rendimenti delle obbligazioni
governative, e la fiducia sul credito cade. Le agenzie
di rating hanno esplicitamente parlato di questo, per
esempio quando Moody’s all’inizio di aprile ha tagliato
il rating della Grecia, ha motivato asserendo: “C’è un
rischio significativo che il debito possa stabilizzarsi
a un livello più alto e più costoso rispetto a quello
precedentemente stimato”. Nel mercato high yield la
caduta nelle previsioni di default da parte delle
agenzie di rating dal 20% del 2009 al di sotto del 5%, è
stata ampiamente trainata dagli spread dei junk bond
subordinati, e non da un miglioramento degli
utili. Ma il punto è: abbiamo davvero bisogno delle
agenzie, se i loro rating riflettono in gran parte
quello che il mercato obbligazionario dice loro? La vera
informazione non è semplicemente il prezzo? Il problema
è che le agenzie di rating rimangono importanti; i
mandati per i fondi pensione includono clausole che li
forzano a vendere al di sotto di determinati livelli di
rating, e anche la Banca Centrale Europea ha dei limiti
all’accettazione di collaterale che accetterà sul
proprio mercato monetario in base ai rating ufficiali
(attualmente i junk bonds sono esclusi, anche se la
Grecia continua ad avere i requisiti perché mantiene il
rating investment grade da altre agenzie). Cosa dice
adesso il mercato dei CDS sul rischio del credito
sovrano se pensiamo che predica il rating sul credito?
Il declassamento della Grecia da parte di Standard &
Poor’s era ampiamente in ritardo, e alla chiusura di
giovedì il costo per assicurare il debito greco era
superiore a quello del debito pakistano (B-) e ucraino
(B-) e solo 100 punti base in meno rispetto
all’Argentina (B-). Il Portogallo (A-) ha chiuso a 321
punti base, a metà strada tra la Lettonia (BB) e il
Libano (B). Il mercato sta valutando che il rating AA
dell’Irlanda sia molto vulnerabile considerato che il
CDS a 218 punti base la schiaccia tra la Croazia (BBB),
l’Ungheria (BBB-) e l’Egitto (BB+). La Spagna (rating
AA, 189 punti base) è tra il Kazakistan (BB-) e la
Turchia (BB). (Tutti i rating riportati sopra sono di
Standard & Poor’s – in genere le altre agenzie sono
state ancora più lente nel declassare i Paesi,
considerando che Fitch e Moody’s classificano la Spagna
rispettivamente AAA e Aaa).
Fonte
- M&G
Investments
Iraq, un'affare da
40 miliardi. Forse
martedì, 4 maggio 2010 -
13:46 - di Marco Caprotti ______________________________________________
Che fosse un successo era
prevedibile. Ora resta da vedere come le aziende che
hanno vinto i diritti di estrazione in Iraq sapranno
approfittarne. Ad aggiudicarsi le concessioni sono state
Schlumberger, Baker Hughes, Weatherford e Halliburton.
Per ottenere i ricchi contratti di estrazione di
petrolio e gas si sono impegnate ad aumentare la
capacità di estrazione dell’Iraq di 12 milioni di barili
al giorno rispetto ai 2,5 milioni di oggi. Per farlo
avranno sei-sette anni al massimo. “Se ci
riusciranno, avranno ottenuto uno degli obiettivi più
grandi nella storia dell’industria petrolifera”, spiega
uno studio di Stephen Ellis, analista di Morningstar che
prevede per le aziende coinvolte nella fornitura di
servizi ai vincitori un guadagno di 40 miliardi di
dollari almeno. “Con questi numeri è impossibile
immaginare quanto guadagneranno le aziende che hanno
vinto i contratti e che daranno gli appalti in sub
fornitura”, continua il report. Fra questi potrebbe
esserci anche qualche italiano. I nomi sono sempre i
soliti: Eni e Snam Rete Gas che, con i vincitori,
vantano diversi contratti di collaborazione in giro per
il mondo. Resta il fatto che la storia delle
estrazioni di petrolio in Iraq non è mai stata facile.
La produzione del Paese arabico ha toccato il picco dei
3 milioni di barili al giorno nel 1979. L’arrivo di
Saddam Hussein al potere è coinciso con un periodo di
stagnazione. “Attualmente, secondo le stime che arrivano
dai consulenti del settore, si pensa che il sottosuolo
iracheno contenga l’equivalente di 200 miliardi di
barili”, dice Ellis. “Se la cifra fosse vera, si
tratterebbe della terza riserva a livello
mondiale”. I conti con il conflitto L’ultima guerra
del Golfo non ha comunque facilitato le cose. A metà del
2009 si era già tenuta un’asta per la concessione dei
diritti di esplorazione ed estrazione che però, a causa
delle difficoltà del conflitto e dei termini onerosi
previsti dal governo dell’Iraq, era andata praticamente
deserta. Con l’ultima asta è stato deciso di basare i
livelli di produzione sulla richiesta di mercato,
considerando che il Paese, anche alla luce delle
condizioni infrastrutturali, può esportare fino a 1,9
milioni di barili al giorno. Sulle opportunità del
Paese – di conseguenza sui guadagni che possono
realizzare le aziende coinvolte e i loro soci – è
scettico Nouriel Roubini, professore alla Stern Business
School della New York University, presidente della
società di analisi RGE, famoso negli ambienti finanziari
per aver previsto con largo anticipo la crisi dei
subprime che ha sconvolto i mercati mondiali. “Gli
interessi commerciali esteri non sono un problema”,
spiega in uno studio. “I bassi costi per gli
investimenti e i termini favorevoli espressi con i nuovi
contratti invitano i gruppi internazionali a investire
nel Paese”. A cosa non pensano i vincitori Ci sono
però tre problemi di cui, secondo il professore, le
aziende petrolifere, attratte dalla possibilità di
ricchi guadagni non hanno tenuto conto. Il primo è che
non sono chiari i paragrafi relativi alle proprietà dei
campi di estrazione e della distribuzione delle royalty
(la percentuale che l’estrattore deve pagare al Paese in
cui si trova la riserva utilizzata). “Si tratta di un
problema di non poco conto, in una nazione profondamente
divisa anche dal punto di vista etnico e che può
ritardare l’inizio delle operazioni” spiega
Roubini. Il secondo ostacolo riguarda le
infrastrutture che per arrivare all’esportazione degli
1,9 milioni di barili, devono essere ammodernate. “Un
processo molto costoso che, alla fine, potrebbe incidere
sul prezzo di produzione, visto che i cantieri saranno
responsabilità dei vincitori delle concessioni”. C’è poi
da considerare la posizione dell’Opec (l’organizzazione
dei Paesi produttori) di cui l’Iraq è un membro senza
diritto di voto. Il cartello, se l’estrazione irachena
dovesse aumentare, potrebbe chiedere al suo socio di
aderire alle quote di produzione imposte agli altri
aderenti. “Con tutte queste incertezze, parlare di una
crescita dell’estrazione di petrolio iracheno sembra
molto ottimistico”, conclude Roubini.
Fonte
-
www.morningstar.it
TASSI
& BOND:
UNA BOMBA A TEMPO CHE COSTERA' MIGLIAIA DI
MILIARDI
05 Maggio 2010 00:28 NEW
YORK - di WSI ______________________________________________
Il Tesoro Usa ha $1840
miliardi in titoli non a lungo termine che saranno in
scadenza nei prossimi anni. Il rendimento per questi
titoli e' compreso tra lo 0.055% e lo 0.545%. Un po'
meno di $700 miliardi di Treasury arriveranno a
maturazione il 31 marzo 2011. Messi insieme, si hanno
$2500 miliardi in scadenza l'anno prossimo, al di la'
dei circa $7750 miliardi che il Tesoro ha messo
all'asta. Tenere un terzo dei soldi presi in prestito
sotto forma di titoli a breve scadenza rappresenta una
grande scommessa con tassi che restano bassi. Fino a che
restano su livelli minimi, le cose restano relativamente
sotto controllo. Ma prima o poi il costo del denaro
tornera' a crescere. Solo tre anni fa, il governo ha
dovuto pagare oltre il 5% sui Titoli a tre mesi. Se un
rialzo del 5% si verificasse ora, il costo a carico del
Tesoro per prendere a prestito $2500 miliardi potrebbe
crescere di $125 miliardi all'anno.
Il problema
non si limita soltanto al governo. Molte societa' hanno
preso in prestito in questi ultimi trimestri un grande
ammontare di denaro attraverso commercial paper a breve
termine con bassi tassi di interesse. Vi diciamo, per
alcune delle piu' note blue chips di Wall Street, tutte
appartenenti allo S&P500, quanto verrebbero a
costare in bilancio gli interessi se si verificasse lo
stesso incremento del 5% ipotizzato per il governo, nei
tassi da pagare per remunerare i commercial paper
emessi. Coem vedrete, si tratta di un tale incremento
dei costi, che avrebbe effetti considerevoli sugli utili
di queste societa'. E questo vale solo se si guarda alle
scadenze a breve. Molte di queste societa', insieme a
centinaia se non migliaia di altre, avranno in carico
anche obbligazioni di piu' lunga durata che giungeranno
a termine nel prossimo futuro e che andranno
rifinanziate. Non uno scenario facile. Come se gia' non
bastassero le turbolenze che si vivono in questi
giorni.
Fonte
- www.WallStreetItalia.com
Cercare
l'ombrello sicuro.
Un rifugio nei titoli tedeschi a
breve
05 Maggio 2010 00:28
MILANO - di Marco lo Conte ______________________________________________
«Finché i mercati possono
andare short sui titoli di stato, puntando sul loro
ribasso, si comportano come lo scorpione del famoso
apologo: che punge la rana che lo aiuta ad attraversare
il fiume, anche se ci rimette la vita. Semplicemente
perché è la sua natura». A sostenerlo è un gestore (che
preferisce l'anonimato) che così spiega come si debba
metter in conto che le cose possano andare
male. Tanto da rimettere in discussione l'idea stessa
di un rifugio nel mercato. Già, si fa presto a dire
rifugio: la débâcle di borsa ha spinto ieri gli
investitori a cercare ricetto sotto il magro ombrello
offerto dai titoli governativi europei, che rendono
ormai meno dell'1% a due anni. La discesa del rendimento
del Bund tedesco – 20 punti base in un giorno, +1% circa
di prezzo – pone interrogativi a professionisti e
privati: come evitare di finire dentro una nuova
possibile spirale come la crisi del credito dell'autunno
2008? Su un punto tutti concordano: per ora la soluzione
è stare alla larga dai titoli a lunga a posizionarsi sul
breve termine. «Se cerchi sicurezza nell'area euro
vanno bene titoli tedeschi, francesi, olandesi o
finlandesi – dice Angelo Drusiani, esperto
obbligazionario di Albertini Syz – ma solo le scadenze
biennali e comunque pronti a uscire prima della
scadenza; i titoli a 5 anni rendono il 2% ma il rischio
è eccessivo oggi. L'extrarendimento può arrivare se si
sceglie di investire in valuta straniera: i titoli a
brevi statunitensi o norvegesi, ad esempio, anche se
poco diffusi. Si può scommettere anche su Canada, che
segue gli Usa da vicino, oppure su Australia e Nuova
Zelanda, che in parte potrebbero beneficiare ancora del
rialzo delle materie prime».
Una tattica, ma
valida fino a quando? Perché non basta rifugiarsi sotto
il Bund tedesco a 2 anni. «Basta un solo cadavere nei
paraggi – dice Fabrizio Biondo, Chief investment officer
del fondo hedge Swan – e anche gli altri sono sotto
scacco: i venti di tempesta sui bilanci pubblici in
Europa sono appena iniziati. D'altronde i governi
europei hanno distrutto vent'anni di convergenza dei
bilanci pubblici, assumendosi i rischi dei privati.
Creare inflazione da parte della Bce sarà l'unico modo
per allentare la morsa del debito e uscire dalla crisi.
Che fare intanto? Spostarsi su altre valute: il dollaro
ha un buon upside potenziale e il franco svizzero ha
superato la fase più critica e beneficia di un
indebitamento ridotto. Nel Regno Unito la situazione
è complicata, visto l'alto indebitamento privato e un
sistema previdenziale a prestazione definita che assume
su di sé i rischi. Ma sono convinto che dopo le elezioni
riusciranno a mette in piedi un pacchetto molto
aggressivo». Suonerà anche a Francoforte l'"Arrivano i
nostri"? «Solo la Bce può asciugare la speculazione dal
mercato», concorda Fabrizio Fiorini, gestore
obbligazionario di Aletti Gestielle. «Se interviene
assumendo il rischio di ultima istanza, trasferendolo
alla moneta e quindi all'inflazione, i periferici
potranno recuperare e allineare i rendimenti dei loro
titoli governativi ai fondamentali. Servono però
fatti, non parole: la risposta politica alla crisi greca
è arrivata fuori tempo massimo e i mercati hanno
iniziato ad attaccare gli altri titoli governativi,
contagiando tutta l'area. Se l'intera eurozona verrà
messa in discussione, solo il cash, il Bund a breve, si
salverà. Ma allora in quel caso i problemi saranno
altri».
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
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La visione dei mercati
di Buffett
Giovedì, 6 maggio 2010 - 14:26
– di Marco Caprotti
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L’appuntamento è uno di quelli che pochi
investitori in tutto il mondo vorrebbero perdere. L’annuale
assemblea degli azionisti di Berkshire Hathaway, la società di
investimenti di Warren Buffett, che si tiene il primo sabato
di maggio è da sempre una delle occasioni per avere spunti
operativi e commenti sulla situazione dei mercati. E questa
volta gli argomenti sul tavolo erano particolarmente caldi: la
crisi finanziaria greca che rischia di contagiare altri Paesi
europei e la riforma finanziaria promessa dal presidente degli
Stati Uniti Barack Obama che potrebbe ridisegnare il modo di
fare capitalismo.
Per quanto riguarda la tempesta ellenica il guru
di Omaha (come viene chiamato negli ambienti finanziari) ha
parlato di situazione interessante e unica. “Negli Stati Uniti
l’Unione europea viene percepita come un esperimento”, spiega
Pat Dorsey, analista di Morningstar. “Una situazione come
quella che la Ue sta vivendo è singolare e nessuno può
prevedere come andrà a finire. Resta il fatto che il
progressivo indebolimento della moneta unica rappresenta
un’opportunità per le aziende esportatrici della regione. E
Buffett ha detto di guardare con interesse a quelle di
dimensioni più grandi. Una strategia che era già stata
illustrata tempo fa: Berkshire ormai soffre di gigantismo e
non può più concentrarsi sulle aziende piccole e medie”.
Ma il tema più dibattuto durante la convention è
stato quello della riforma finanziaria americana che, secondo
le intenzioni dell’amministrazione Usa, dovrebbe cambiare il
modo di operare delle banche. Che l’argomento sia scottante lo
dimostrano anche gli appelli fatti dal presidente Obama ai
lobbisti perché non si mettano di traverso. Qualche passo per
cambiare le cose in realtà è già stato fatto: la commissione
agricola del Senato americano sta discutendo un provvedimento
che obblighi gli istituti finanziari a separare le attività
bancarie classiche da quelle di trading sui future alimentari.
Una decisione necessaria, secondo i promotori della legge, per
impedire le speculazioni sui generi di prima necessità.
Sull’argomento future e derivati in genere,
Buffett si è dimostrato particolarmente sensibile. Anche
perché le operazioni su questo tipo di strumenti sono costati
alla sua società quasi 800 milioni di dollari. “Il guru di
Omaha, riguardo a questo argomento, è stato molto netto”,
continua Dorsey. “Ha detto che si tratta di prodotti che, alla
fine, hanno un prezzo troppo alto rispetto ai rischi che fanno
correre. E difficilmente, una volta che sono stati
sottoscritti, ce ne si può liberare”. Alcuni interventi
sono stati dedicati anche alle banche e al ruolo che hanno
giocato nella tempesta dei subprime. “Mi riesce difficile
pensare che gente con stipendi stratosferici al comando di
istituzioni finanziarie in molti casi di livello globale, non
sapesse cosa stava facendo”, ha detto Buffett ai suoi
azionisti. “Se hanno scommesso lo hanno fatto male”. La
visione dell’analista, in questo caso è più conciliante. “E’
possibile che alcuni banchieri non abbiano analizzato bene gli
strumenti di cui si stavano occupando”, conclude Dorsey.
“Bisogna comunque ammettere che tanti altri sapevano cosa
stavano facendo. Ma questo fa parte, almeno per il momento,
della dinamica dei mercati finanziari”.
 |
Fonte -
www.morningstar.it |
Mercati
del credito 5 Maggio 2010.
Dagli all’untore
Wednesday, 5 May,
2010 - di John Christian
Falkenberg ______________________________________________
Seconda giornata di crisi per
il mercato del credito, dove i timori sulla situazione
fiscale e debitoria di Eurolandia stanno forzando
imponenti riallocazioni di portafoglio.
Gli
indici dei paesi sovrani ed i titoli di Stato stanno
infatti calando in prezzo, ma la novità di questi giorni
sono i flussi sulle obbligazioni societarie. Sino ad ora
il debito delle grandi aziende che emettono corporate
bond era considerato una sorta di porto sicuro nella
tempesta: dopo le esperienze dei primi danni 2000, le
blue chip hanno sempre gestito attentamente la liquidità
e sono in ottima posizione finanziaria ed i risultati
aziendali dell’ultimo trimestre sembravano confermare
una ripresa economica, almeno in termini di
profittabilità aziendale. Questo status non è per ora in
dubbio per un cambiamento nel comportamento delle
aziende, anche se crescono i timori di deterioramento
delle prospettive economiche.
Da ieri, tuttavia,
i grandi gestori hanno cominciato a vendere anche titoli
societari e non soltanto titoli degli stati a rischio.
Il motivo sta nel riconoscimento, dopo anni di colpevole
oblìo, dei rischi insiti nei titoli di nazioni sovrane
che non siano le più sicure. Questo richiede maggiori
riserve e una gestione più prudente del portafoglio; per
ridurre rischio e ripianare le perdite incorse su BtP e
bond greci, si comincia quindi a vendere anche l’asset
class che sinora ha la miglior performance: i corporate
bond, appunto. Si tratta di un meccanismo e per ora le
vendite stanno avvenendo in modo razionale: un contagio
lungamente anticipato dagli addetti ai lavori e giunto
semmai in ritardo. Un ritardo che tuttavia rischia di
destabilizzare il mercato. Itraxx S13 Levels Nota:
Gli indici di credito sono quotati in spread
(rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno
negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni
del mercato, equivalente ad una salita degli indici di
Borsa. Un cambiamento positivo è un segnale di
peggioramento delle condizioni, equivalente al calo di
un indice di Borsa. Livello Var.ne da ieri Main
103.25 +5.8 HiVol 143.5 +5.5 Crossover 482 +20.0
Tagged: grecia, Itraxx Posted in: Area Euro,
Credito, Mercati
Fonte
-
Macromonitor
La
fine di un
rally
Giovedì, 6 maggio 2010 - 15:04 - di Sara Silano ______________________________________________
La corsa delle Borse dai
minimi di marzo 2009 è stato battezzato il “rally delle
junk stock”, perché i titoli che hanno guadagnato di più
sono stati quelli di minor qualità (cosiddetti titoli
spazzatura). Questi ultimi sono anche quelli che nel
2008 avevano registrato le maggiori perdite a causa
della minor competitività e maggior incertezza sulle
loro capacità reddituali.
Per dirla con le
“stelle”, i titoli spazzatura sono quelli che ne hanno
solo una, contro le cinque delle azioni di qualità.
Nonostante il simbolo sia lo stesso del rating per i
fondi, Morningstar adotta una diversa metodologia per
valutare quotidianamente le società, partendo dal
presupposto che il valore dipenda dai flussi di cassa.
L’obiettivo è individuare il fair value (e quindi capire
chi quota a premio e chi a sconto) e il livello di
incertezza attorno ad esso. Un recente studio,
condotto dagli analisti americani su oltre 2 mila
azioni, in prevalenza americane, ha messo in luce che
nell’ultimo anno il rendimento delle società con una
stella è stato del 224,7%, contro il 109,5% delle cinque
stelle. Queste ultime, però, hanno sovraperformato le
quattro, tre e due stelle. Come spiega Warren Miller,
senior stock analyst di Morningstar, se un investitore
avesse comprato un titolo quando ha ottenuto il massimo
del rating e l’avesse venduto al raggiungimento del
“valore equo”, avrebbe comunque guadagnato più
dell’indice S&P500. Il rally delle junk stock,
bruscamente interrotto dalla crisi greca e dai problemi
dell’area Euro, ha riportato in primo piano la dicotomia
tra azioni di alta e bassa qualità, che tendono a
muoversi in direzioni opposte, anticiclica le prime e
pro-ciclica le seconde. “Non ci sono prove che quelle
con rating elevato facciano meglio di quelle con
valutazioni inferiori”, spiega Miller. “Al contrario,
queste ultime possono essere favorite
dall’effetto-gregge degli investitori (per cui gli
acquisti generano altri acquisti, indipendentemente dai
fondamentali dell’azienda, ndr) ”.
Chi non ama il rischio, però,
trova negli indicatori di qualità dei buoni alleati. In
particolare, hanno valore predittivo il cosiddetto
“economic moat”, ossia il vantaggio competitivo di
un’azienda rispetto ai concorrenti, e il livello di
incertezza intorno al suo fair value . “Abbiamo visto
che i prezzi delle aziende ben posizionate nel settore
di appartenenza convergono verso il loro valore equo più
frequentemente di quelle che non hanno un business
competitivo”, dice Miller. “Ed è logico che sia così
dato che la loro situazione permette di avere profitti
stabili nel lungo periodo”. Il rally delle junk
sembra essere giunto al termine e i titoli sono meno a
buon prezzo rispetto a fine 2009. E’ vero, nelle ultime
sedute i mercati sono stati dominati dal panico per i
timori dell’effetto contagio della crisi greca nell’area
Euro, ma quando si tornerà a guardare alle aziende e ai
loro bilanci, ci sarà più selettività. In questo
contesto, Morningstar Italy avvia la copertura del
mercato azionario, utilizzando l’approccio che da sempre
la contraddistingue: dare informazioni, analisi e
approfondimenti per aiutare gli investitori a prendere
decisioni consapevoli sul loro portafoglio, in un’ottica
di lungo periodo.
Borse, tanti
errori in una sola settimana
venerdì, 7 maggio 2010 -
16:27 - di Marco Caprotti ______________________________________________
Bisogna far ricorso alle
famose leggi di Murphy inventate dall’umorista Arthur
Block per descrivere l’ultima settimana di Borsa: “Se
qualcosa può andare male lo farà” e “Tutto va male
contemporaneamente”. E in effetti, nell’ultima ottava di
elementi negativi accaduti anche nello stesso momento ce
ne sono stati parecchi. Il risultato è stato un crollo
verticale di quasi tutti i listini mondiali. L’indice
Msci World ha perso quasi il 3%. Lo Europe è andato in
picchiata a -5,6% (e qui c’è da sottolineare il -10%
segnato dall’Italy). Il North America si è lasciato per
strada il 2,6%. In Oriente l’Asia (Giappone escluso) è
sceso dello 0,64%. In controtendenza, il paniere del Sol
levante, che ha guadagnato il 2,82%. Gli argomenti al
centro delle contrattazioni sono stati quelli relativi
alla Grecia e ai possibili effetti che potrebbe avere
sul resto del Vecchio continente un default di
Atene.
Il piano di austerity da 30 miliardi di
euro in tre anni “di lacrime e sangue” deciso dal
governo greco per ottenere i 110 miliardi di aiuti
internazionali necessari per uscire dalla crisi è stato
approvato dal Parlamento ellenico. Arrivarci non è stato
facile, anche perché i giorni scorsi sono stati
caratterizzati da scontri di piazza e dalla morte di tre
impiegati di una banca. Il progetto di legge è stato
adottato con 172 voti a favore, dei socialisti e dal
Laos, estrema destra, su 296 presenti. I 121 deputati
dell’opposizione di centrodestra Nea Demokratia, del
partito comunista e della sinistra radicale hanno invece
votato contro. La settimana si era aperta con qualche
brivido quando si erano moltiplicate le prese di
posizione a favore di una revisione del Patto di
stabilità e di crescita che lega i Paesi della zona
euro, dopo l’accordo raggiungo nel week end per il
salvataggio della Grecia. La cattiva notizia era stata
compensata, però, da una positiva: l’indice Pmi
manifatturiero dell’Eurozona elaborato dalla società di
analisi Markit è salito ad aprile a 57,6 punti, livello
più alto da giugno 2006, rispetto ai 56,6 punti di marzo
e alle precedenti stime (57,5). La lettura è al settimo
mese sopra i 50 punti, soglia che divide un’economia in
espansione da una in contrazione. E’ ai massimi da dieci
anni la produzione, a quota 61,2 (59,8 a marzo). Il Pmi
dell’Italia è cresciuto a 54,3 dai 53,7 di marzo, in
Francia l’indice si è attestato ai massimi da luglio
2006 a 56,6 (56,5), mentre in Germania è cresciuto a
61,5 (60,2), livello più alto da quando è iniziato il
calcolo dell'indice nel 1996. Da quel momento in poi,
è stato il tracollo. Sono arrivate le indiscrezioni,
riportate sia dalla tedesca Bild sia dal Wall Street
Journal , secondo cui i 110 miliardi del piano della Ue
e del Fondo monetario internazionale in aiuto al governo
di Atene non sarebbero sufficienti. Rumor che hanno
annullato i guadagni delle Borse realizzati in questa
prima parte del 2010. Poi Moody’s ha lanciato l’allarme
sul debito sovrano del Portogallo dopo il downgrade
deciso la scorsa settimana da Standard & Poor’s.
L’agenzia di rating americana ha messo sotto esame per
un possibile declassamento il giudizio Aa2 di Lisbona.
L’apice è stato toccato giovedì quando, sempre Moody’s,
ha diffuso la notizia del rischio che la crisi
finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi
bancari di alcuni dei principali Paesi europei. Gli
stati più a rischio, ha detto l’agenzia di rating prima
di rivedere la sua posizione, sarebbero il Portogallo,
la Spagna, l’Italia, l’Irlanda e la Gran
Bretagna. Negli Stati Uniti gli operatori hanno
rischiato lo strabismo per non perdere le notizie che
arrivavano da questa parte dell’Oceano, ma nemmeno
quelle relative all’economia e alla finanza Usa. Come
quelle dell’indice dell’Institute for Supply
Management’s, che ha toccato il livello di 60,4, il
punto più alto da giugno 2004. Oppure le opportunità
legate alle M&A, anche se possono essere
fallimentari. Le compagnie aeree statunitensi
Continental e United Airlines, ad esempio, hanno
raggiunto un accordo per la fusione dei due vettori. Un
matrimonio che, secondo gli analisti, non salverà i
bilanci delle compagnie. L’Asia, come sempre in
questi casi, ha deciso di stare alla finestra e ha
cercato di approfittare, come nel caso del Giappone,
della fuga degli investitori dai due mercati occidentali
principali. A complicare le cose ci ha pensato comunque
la Cina. Nel Paese del Drago, secondo l’indice elaborato
da HSBC e Markit, la produzione industriale ad aprile ha
mostrato un rallentamento. Segno, spiegano gli
economisti, che i tentativi di Pechino di raffreddare
un’economia in fase di surriscaldamento, stanno
funzionando. La notizia è stata comunque una doccia
fredda per il comparto delle commodity, da anni
aggrappato alle richieste che arrivano da
Pechino.
Fonte
-
www.morningstar.it
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Sabato 08 Maggio 2010 |
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Lunedì
10 Maggio 2010 |
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Martedì 11
Maggio
2010 |
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Moody's, S & P e Fitchecco chi comanda nelle agenzie di
rating
09 Maggio 2010 15:58 – di Fabio Pavesi
________________________________________
Qualcuno li ha definiti i "Padroni
dell'Universo". Finanziario s'intende, che non è comunque poca
cosa di questi tempi. Oppure chiamateli pure i signori del
rating o le tre sorelle: Moody's, Standard & Poor's,
Fitch. Giudici inappellabili dei destini di Stati,
mega-corporation, piccole società e persino di singoli mutui
cartolarizzati. Loro danno un voto sul merito di credito a
tutto e a tutti e una loro bocciatura, così come una
promozione, ha vistosi effetti sui mercati come si è visto in
questi giorni nel caso della Grecia, della Spagna e
dell'equivoco sulle banche italiane. Ecco perché i padroni
dell'universo sono temuti. Loro del resto sono un oligopolio
perfetto. Sono solo in tre e si spartiscono la torta di chi
emette debito in tutto il mondo. E visto che tutti si
indebitano il lavoro non manca. Se non vai da Moody's c'è
S&P o Fitch. Senza alternative di sorta. E così il
mestiere delle tre sorelle diventa particolarmente
remunerativo.
Utili
giganteschi Solo le società autostradali o gli
aeroporti guadagnano come loro. E non c'è di che
stupirsi. Sono tutti mono o oligopolisti, quindi con i
ricavi pressoché assicurati. Se sei bravo a gestire i costi
puoi solo fare un sacco di soldi. Basti vedere Moody's che
essendo quotata a Wall Street consente maggiore visibilità sui
numeri. Ebbene Moody's, solo nel 2009, per ogni 100 dollari
che ha fatturato ne ha guadagnati sotto forma di utile
operativo ben 38. Su 1,8 miliardi di ricavi fanno un
margine di 680 milioni. Ma attenzione quel 38% di redditività
è un mix tra i servizi di analisi e quelli di assegnazione dei
rating. Solo sul mestiere più remunerativo, quello appunto
dell'assegnare pagelle, la redditività balza al 42% sui
ricavi. Un exploit il 2009? Niente affatto. Gli anni d'oro
sono stati altri: nel 2007 il margine operativo era al 50% dei
ricavi e nel 2006 si è toccato il picco del 62% di utili
operativi sul fatturato. Un'enormità: 1,26 miliardi di margine
su due miliardi di fatturato. Se poi si va all'utile netto la
musica non cambia. Dal 2005 al 2009 Moody's ha generato
profitti per complessivi 2,8 miliardi. Ma Moody's non è
sola. Anche Standard&Poor's non è da meno. Non è quotata
ed è posseduta dal gruppo editoriale McGraw-Hill che sta
invece sul listino di Wall Street. Più difficile in questo
caso isolare il contributo dato dall'attività di rating dal
resto dei business. La divisione servizi finanziari è
quella che opera con il marchio S&P. L'intera divisione ha
fatturato, nel 2009, 2,6 miliardi di dollari con profitti
operativi per circa un miliardo. Come si vede un bel 39% di
marginalità in linea con la rivale Moody's. E negli anni
precedenti la redditività era ancora più elevata con punte nel
2007 del 45% sul giro d'affari. Ovviamente qui confluiscono i
ricavi anche dalla gestione degli indici di Borsa e dei
servizi informativi. La parte ghiotta del rating dovrebbe
comunque contribuire per l'80% ai volumi complessivi. Resta
Fitch, la più piccola delle tre, e l'unica europea. L'agenzia
ha prodotto ricavi l'anno scorso per 559 milioni di euro con
profitti operativi per 151 milioni. Un po' più sotto, quanto a
redditività, delle rivali a stelle e strisce. E così i padroni
dell'universo non solo dettano i destini più o meno amari del
costo del debito di Stati e società, ma sono anche più che
remunerativi. Una sorta di gallina dalle uova d'oro in un
mercato grande quanto il mondo e che non può fare a meno di
loro. Un vero affare per gli azionisti.
I fondi Usa i veri padroni Già, e qui
viene il punto. Chi comanda in Moody's e le sue consorelle?
Chi sono i padroni dei padroni dell'universo? A parte
l'europea Fitch che ha due azionisti di peso come il gruppo
francese Fimalac e il gruppo editoriale Hearst, le altre due
sorelle sono di tutti e di nessuno. Vere e proprie public
company. In S&P c'è un azionista forte, cioé la
McGraw-Hill, ma il resto dell'azionariato è diffuso come del
resto in Moody's. E qui arriva la sorpresa.
Che ci fa Buffett in Moody's? Il primo
azionista di Moody's, con il 13,4% del capitale, risultava a
fine dicembre del 2009 secondo rilevazioni Reuters, Warren
Buffett, il guru di Omaha con il suo fondo Berkshire Hathaway.
Al secondo posto con il 10,5% ecco comparire Fidelity uno dei
più grandi gestori di fondi del mondo. E poi è un florilegio
di gente che di mestiere compra e vende titoli: si va da State
Street a BlackRock a Vanguard a Invesco a Morgan Stanley
Investment. Insomma i più grandi gestori di fondi a livello
mondiale sono azionisti di Moody's. E guarda caso lo stesso
copione si riproduce in Standard&Poor's: ecco
nell'azionariato comparire in evidenza, a fine 2009, i nomi di
Blackrock, Fidelity, Vanguard. Gli stessi nomi. Il che pone
una domanda. Che ci fanno gestori di fondi nel capitale di chi
dà i voti ai bond emessi dalle stesse società che abitualmente
un gestore compra e vende? La prima risposta è semplice: si
sta lì perché si guadagna e perché i fondi in America sono da
sempre gli investitori istituzionali per eccellenza. La
seconda è più maliziosa, ma indotta da questa strana presenza.
Stare nel capitale di chi determina i destini di una miriade
di società magari è utile per avere accesso a informazioni
privilegiate. Se so che un'emissione verrà bocciata, vendo
prima che sia resa pubblica. Certo è un'illazione, ed è vero
che esistono i muri cinesi. Ma quei muri sono stati
oltrepassati tante di quelle volte che un filo di sospetto
rimane.
I bilanci
d'oro Sono in tre e giudicano il debito di tutto il
mondo. Una sorta di oligopolio perfetto per Moody's; Standard
and Poor's e Fitch che ovviamente beneficiano di questa
formidabile rendita di posizione. Lo evidenziano con chiarezza
i conti delle «tre sorelle» del rating, come qualcuno ama
chiamarle. Sia Moody's che S&P sono vere e proprie
macchine da soldi. Entrambe nel corso del 2009 hanno visto i
propri profitti operativi collocarsi al 38% dei ricavi. Ogni
100 dollari fatturati, 38 si trasformano in utili. E di mezzo
c'è stata la crisi dei mercati. Nel 2007 il margine per
Moody's toccava il 50% dei ricavi. Più distanziata, ma non
meno redditizia l'europea Fitch con il 27% di margine sui
ricavi.
I NUMERI-CHIAVE 5
miliardi Il business delle pagelle È il giro d'affari
delle tre agenzie di rating realizzato nel corso dell'ultimo
anno. E dire che c'è stata crisi nel 2009 anche per loro.
Negli anni d'oro, pre-crisi finanziaria, il business era
ancora più ricco, grazie alla forte diffusione della finanza
strutturata. Nel solo 2007 i ricavi complessivi delle tre
società erano di 6 miliardi.
2,8 miliardi Profitti a
go go Dare voti a Stati, società, singole emissioni di
obbligazioni è un mestiere assai remunerativo. Nel periodo
tra il 2005 e il 2009, solo per fare un esempio, Moody' ha
generato utili netti per la bellezza di 2,8 miliardi di
dollari.
13,4% La corsa a un posto al sole Il
13,4% era la quota di capitale di Moody's posseduta a fine del
2009 dal fondo Berkshire Hathaway di Warren Buffett, l'oracolo
di Omaha. Ma le società di rating non fanno gola solo a lui.
Nel capitale di Moody's si ritrovano veri e propri colossi dei
fondi di gestione del risparmio. Da Fidelity a BlackRock. Da
Vanguard a Invesco e così via. Stessa sorte tocca a
Standard&Poor's che pur avendo un azionista di controllo
come McGraw-Hill, vede nel capitale la presenza dei fondi Usa.
Spesso gli stessi che partecipano all'azionariato di
Moody's.
70 mila mld Un mercato colossale La
cifra è formidabile ed è un piatto ricco per le agenzie di
rating. Secondo le stime della stessa Moody's il mercato delle
emissioni di debito a livello mondiale toccherà nel 2012 i
70mila miliardi di dollari. Su molte di quelle emissioni ci
sarà il bollino delle tre sorelle che quindi vedranno crescere
il loro business senza fare alcuno sforzo.
 |
Fonte - Sole 24
ore |
La
settimana, 18/2010
Sunday, 9 May,
2010 - di phastidio ______________________________________________
Settimana drammatica sui
mercati finanziari, che ci ha riportati al clima che si
viveva a fine del 2008. La crisi greca pare aver svolto
la funzione di catalizzatore di una ben più ampia crisi
dell’Eurozona. Il pacchetto di misure a favore di Atene,
quantificato in 110 miliardi di euro per un triennio,
pur se rapidamente approvato dai parlamenti dei singoli
stati, è apparso a inizio settimana già inadeguato, ed
ai mercati non è certamente piaciuta la contradditorietà
di posizioni uscite dal governo tedesco, con il ministro
dell’Economia che ha dichiarato che i 110 miliardi non
sarebbero serviti per l’intero triennio, e che la Grecia
sarebbe dovuta tornare a ricorrere al mercato per
indebitarsi “entro 18 mesi”. In seguito il Cancelliere
Angela Merkel ha parlato della necessità di realizzare
procedure funzionali ad assistere un processo di
“ordinata insolvenza”, suggerendo quindi implicitamente
che il governo tedesco si attende che altri paesi
entreranno in crisi. Voci incontrollate (ed al
momento infondate) che ipotizzavano una richiesta
spagnola di assistenza fiscale straordinaria hanno
accelerato il movimento di vendite sul debito dei paesi
periferici dell’Eurozona, l’indebolimento dell’euro e la
fuga verso la qualità rappresentata dai titoli di stato
tedeschi, che hanno toccato nuovi minimi assoluti di
rendimento. Il movimento di forte avversione al rischio
innescatosi in Area Euro si è poi rapidamente esteso
anche ai mercati finanziari globali, con forti acquisti
di yen, che tradizionalmente rappresentano il segnale di
smantellamento di posizioni favorevoli agli attivi
rischiosi, acquisti di dollari e Treasuries, vendita di
materie prime e di azioni dei mercati emergenti, vendita
di obbligazioni a spread, quali corporate, high yield ed
emergenti.
Tra i dati macroeconomici
della settimana, appare positivo quello relativo al
mercato del lavoro statunitense in aprile, che ha
prodotto 290.000 nuovi impieghi netti, battendo le stime
di consenso poste a 230.000. Rivisti in aumento anche i
dati del bimestre precedente. La creazione di
occupazione proviene in larga misura dal settore
privato, visto durante il mese il settore pubblico ha
assunto 66.000 persone per lo svolgimento dei compiti
relativi al censimento generale della popolazione.
Piuttosto positiva anche la dinamica dell’occupazione
nel settore manifatturiero, con 44.000 nuovi impieghi
netti creati nel mese, a conferma dei numeri
particolarmente positivi prodotti recentemente dalle
surveys manifatturiere, quali l’indice ISM. Persistono
tuttavia fenomeni di sofferenza strutturale del mercato
del lavoro, quali l’aumento dei disoccupati di lungo
termine (un fenomeno nuovo per la storia degli Stati
Uniti), e l’elevato numero di persone che lavorano
part-time per motivi economici, non riuscendo cioè a
trovare occupazione a tempo pieno, pur desiderandola. Il
tasso di disoccupazione cresce dal 9,7 al 9,9 per cento,
per effetto di rientri nella forza-lavoro, una dinamica
caratteristica delle fasi di ripresa. In sintesi,
malgrado i dati macroeconomici indichino una diffusa
ripresa dei livelli di attività economica, la violenta
reazione dei mercati finanziari suggerisce cautela e, se
non efficacemente contrastata, potrebbe innescare
fenomeni di crisi sistemica già visti dopo l’implosione
di Lehman, quali situazioni di stretta creditizia, che
finirebbero col mettere a rischio la ripresa
globale.
Fonte
-
Macromonitor
ATTENZIONE
ALL'EUFORIA DROGATA. ALERT
ESPERTI
10 Maggio 2010 11:54 NEW
YORK - di WSI ______________________________________________
Gli analisti valutano
l'ottima performance dei mercati azionari dopo il maxi
salvataggio UE. Cautela: l'effetto positivo di breve
termine è indiscutibile, ma le incognite sono molte.
Barclays prevede l'euro a 1.20 in 3 mesi. Anche Wall
Street sembra pronta a festeggiare oggi. A più di tre
ore dall’inizio della giornata di contrattazioni i
futures sul Dow Jones volano di 386 punti, quelli sul
Nasdaq mettono a segno un rally di 82 punti e quelli
sullo S&P 500 salgono più di 49 punti. Che il
pacchetto di salvataggio kolossal varato dall’Unione
europea sia stato accolto con euforia dai mercati
finanziari è fuori discussione. La corsa agli acquisti è
iniziata già nei mercati asiatici, come dimostra la
buona performance della borsa di Tokyo, che ha visto il
Nikkei salire dell’1,6%. L’euforia ha contagiato poi
la diretta interessata dal piano di salvataggio
approvato dall’Ue, ovvero l’Europa. Fin dalle prime
battute i listini azionari hanno puntato infatti con
decisione verso l’alto, applaudendo al più grande piano
di aiuti da oltre due anni, cioè da quando i leader G20
hanno dato denaro all'economia mondiale dopo il crollo
di Lehman Brothers. A dimostrare il clima di
ritrovato ottimismo, anche il notevole recupero dell’
euro , che ha riagguantato la soglia a quota 1,30
dollari dopo i ripetuti tonfi della scorsa settimana. E
il notevole allentarsi della tensione è dimostrato anche
dall’andamento in picchiata dei rendimenti dei titoli di
stato greci e dallo spread dei titoli decennali di Atene
sul bund tedesco, quest’ultimo crollato di 600 punti, a
363 punti base. Un ottimo esordio, insomma, su questo
non c’è dubbio. L’interrogativo però è sulla bocca di
tutti. Quanto di questi rialzi odierni continueranno e
quanto invece si confermeranno una mera parentesi? La
comunità degli analisti guarda con cautela all’evolversi
della situazione e, pur approvando l’intesa raggiunta
dall’Unione europea su un piano salva euro, invita a non
esultare troppo. Oscar Pulido, specialist di
portaolio di BlackRock, afferma per esempio che il piano
di salvataggio "potrà essere interpretato alla stregua
di un segnale positivo nel breve termine". Dunque, "i
mercati potranno recuperare parte delle perdite sofferte
la scorsa settimana". Detto questo, "in una ottica di
più lungo termine, molto dipenderà dalla capacità dei
governi europei di agire davvero per ridurre i deficit
che hanno accumulato". Mitul Kotecha, responsabile
della strategia valutaria globale di Credit Agricole,
sembra essere dello stesso avviso. "Il salvataggio
porterà stabilizzazione nei mercati ma l’incognita è se
il piano riuscirà ad assicurare un miglioramento
sostenibile della fiducia". E ovviamente sotto i
riflettori rimane soprattutto la sopravvivenza
dell'euro. Qualche analista in realtà non sembra essere
rimasto neanche troppo impressionato dal piano
dell'Ue. David Forrester per esempio, strategist di
Barclays Capital, afferma anzi che il pacchetto di aiuti
sarà "alla fine negativo per la moneta unica" e
aggiunge: "Rimaniamo ribassisti sulla valuta e
continuiamo a ritenere che il cross euro/dollaro
scenderà fino a 1,20 nell'arco dei prossimi tre
mesi".
Fonte
-
www.WallStreetItalia.com
Primi
segnali di tensione
per i tassi di interesse sul
monetario
10 Maggio 2010
17:23 - di Maximilian Cellino ______________________________________________
Non sarà la tempesta che si è
scatenata dopo il crack Lehman, ma i colpi di vento che
in questi giorni si sentono spirare sul mercato
monetario sono di quelli che destano preoccupazione.
Quasi un monito per gli operatori e per la Banca
centrale europea (Bce) a prendere in seria
considerazione il rischio di una possibile estensione
della crisi della Grecia e degli altri paesi periferici
all'interbancario. Segni di risveglio per
l'Euribor Da una settimana a questa parte i tassi
Euribor – quelli ai quali le banche si prestano il
denaro a vicenda e che serve anche a determinare le rate
dei mutui variabili – hanno mostrato segni di risveglio.
La scadenza a un mese ha raggiunto venerdì un valore
pari allo 0,422%, quella a tre mesi è risalita allo
0,682%: tassi che non si vedevano rispettivamente da 3 e
4 mesi, ma anche valori che restano vicini (3-4
centesimi) ai minimi storici toccati un mese
fa. Niente dunque di paragonabile all'ottobre 2008,
quando i tassi del mercato interbancario, completamente
paralizzato, volarono ben oltre il 5% mentre la Bce
tentava di calmare la bufera abbassando ripetutamente il
costo del denaro. Eppure il movimento non è passato
inosservato, e qualcuno comincia a chiedersi se non si
sia alla vigilia di un nuovo «credit crunch». Anche
perché altri campanelli d'allarme risuonano, a
cominciare dal differenziale fra gli stessi Euribor e i
tassi free risk, i cosiddetti «overnight» (vedi grafico
a fianco), tornato a salire negli ultimi giorni da 22 a
25 punti base. Un'inezia, se messo a confronto con i 185
punti raggiunti un anno e mezzo fa, ma pur sempre un
segnale di tensione crescente. Ma non basta, negli
ultimi giorni l'ammontare di denaro che le banche
lasciano in parcheggio presso la Bce è di nuovo
cresciuto a 290 miliardi. Una cifra che rappresenta il
massimo degli ultimi 10 mesi e che testimonia come gli
istituti di credito preferiscano tenere i soldi
impiegati al tasso non certo conveniente dello 0,25%
piuttosto che rimetterli in circolo prestandoseli a
vicenda, perché non si fidano o perché magari temono di
averne bisogno a breve. Che i nervi fra gli operatori
dei mercati monetari siano già a fior di pelle lo
dimostra anche la ridda di voci che si è scatenata ieri
su possibili interventi a breve della Bce a sostegno
delle banche e degli stati europei in difficoltà. Quegli
stessi interventi ai quali soltanto il giorno prima il
presidente Jean-Claude Trichet non aveva accennato
(deludendo il mercato) durante la conferenza stampa
successiva alla riunione del board. Tutto è partito
da una conference call che la Bce ha tenuto venerdì
mattina con le principali banche commerciali
dell'eurosistema riunite nel Money Market Contact Group.
Un incontro di routine che serve a mantenere i contatti
con le controparti nelle operazioni di rifinanziamento,
ma che ieri si sarebbe tinto di ben altro significato:
l'istituto centrale, secondo le voci che si sono diffuse
nel pomeriggio e che Francoforte non ha voluto
commentare, avrebbe infatti sondato il mercato
preparando lo spazio per un intervento. In particolare,
la Bce starebbe per annunciare un'operazione di
finanziamento a 12 mesi del valore di 600 miliardi di
euro per aiutare le banche in difficoltà. Una mossa
in sé non certo priva di senso, visto che gran parte
dell'attenzione (e della tensione) ruota attorno alla
maxi emissione a 12 mesi del giugno 2009 (allora furono
collocati 442 miliardi a un tasso dell'1%) che giungerà
a scadenza proprio il prossimo 1° luglio. La Banca
centrale ha già annunciato operazioni a breve termine
per evitare l'insorgere di problemi in quell'occasione,
ma il mercato giudica evidentemente insufficienti le
misure, tanto che – a detta degli operatori –
sull'interbancario si fa fatica a trovare chi presta
denaro che vada oltre la scadenza di luglio. Sarebbe,
il ripristinare di aste a 6 o 12 mesi dall'ammontare
illimitato, una prima mossa non convenzionale che la Bce
attuerebbe per calmare i mercati. E per scongiurare,
almeno per il momento, quel riacquisto di titoli di
Stato sul mercato secondario che da molti viene
considerata l'ultima risorsa, e a cui la Germania si
oppone strenuamente.
Fonte
- Sole 24 ore
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Borse:
Resoconto di una settimana clamorosa
12 Maggio 2010 17:13 NEW YORK
– di UNICREDIT
________________________________________
Dal caos di giovedi' al maxi piano europeo alla
statunitense: $1 trilione per scongiurare la crisi del debito.
Euro a $1.27 sul rinnovato scetticismo circa la capacita' di
Atene di tener fede alle promesse. Posizioni alleggerite sulle
materie prime. Macroeconomia Settimana di forti
escursioni per i mercati finanziari, dapprima ancora in preda
ai timori di contagio dell’effetto Grecia ad altri debiti
sovrani, e poi decisamente euforici nella giornata di lunedì
con i principali listini azionari in rialzo a doppia cifra
sospinti dal pacchetto di aiuti e misure di emergenza varato
nel week-end da Ecofin, Bce e FMI per arrestare la crisi di
fiducia che stava seriamente minacciando la stabilità dei
mercati dei titoli di stato e l’euro.
Inoltre la Bce ha
adottato un piano di acquisti di titoli obbligazionari privati
e soprattutto pubblici denominato Securities Markets Program
per contribuire a sostenere i mercati, mentre la Federal
Reserve ha riaperto le linee di currency swap con diverse
banche centrali. Tali interventi rappresentano il passo più
importante per contenere il rischio di finanziamento per gli
emittenti sovrani della Zona Euro. Il Consiglio UE ha quindi
raggiunto nel fine settimana un accordo che prevede
l’istituzione di un fondo da EUR750 mld da utilizzare per
eventuali futuri salvataggi, una sorta di maxi-piano che
rappresenta una rete di sicurezza per i Paesi in grave
difficoltà finanziaria. Nel dettaglio, lo European
Financial Stabilisation Mechanism sarà dotato di risorse
iniziali fino a EUR60 mld ed il meccanismo di mutuo sostegno
sarà basato su accordi bilaterali fra gli Stati UE. Qualora
non sufficiente, il fondo sarà integrato con risorse raccolte
da un veicolo finanziario di durata triennale e garantite
pro-rata dagli Stati membri fino ad un massimo di EUR440 mld,
che potrà servire anche per acquistare i titoli pubblici degli
Stati a rischio e/o per garantire l’emissione di eurobond. Ad
entrambi i fondi parteciperà per il 50% il FMI. L’attivazione
del meccanismo salva-Stati sarà strettamente condizionato al
rispetto da parte dei paesi beneficiari di rigorosi programmi
di risanamento dell’economia e delle finanze pubbliche messi a
punto con Commissione UE, Bce e Fmi. Solo se l’Ecofin
approverà tali piani saranno sbloccati gli aiuti. L’Ecofin ha
infine chiesto nuovi sacrifici a Spagna e Portogallo,
considerati i primi obiettivi degli attacchi speculativi, che
dovranno adottare nuove misure per tagliare il deficit: l’1,5%
del Pil quest’anno e il 2% nel 2011. In Area Euro gli
ultimi dati macro hanno riguardato l’economia reale: In
Germania gli ordini all’industria sono tornati a crescere del
5% m/m a marzo (+26,1% su anno), ben oltre le attese, ed anche
la produzione industriale è balzata del 4% dopo 2 mesi di
stagnazione (+8,6% a/a). L’output è cresciuto dell’1% m/m
anche in Francia, mentre è calato a sorpresa in Italia dello
0,1%. Il dato aggregato di Eurozona mostra un rialzo
dell’1,3% m/m e del 6,9% a/a. Diffusi anche i dati preliminari
del Pil del primo trimestre 2010: in Italia è cresciuto
dello 0,5% q/q e del +0,6% su anno (atteso +0,3% e invariato),
in Germania è cresciuto dello 0,2% q/q, in Francia e Spagna
+0,1%, in Portagallo +1%, in Grecia si è contratto dello 0,8%.
L’aggregato di Eurozona vede una crescita dello 0,2%. Negli
Stati Uniti i dati più rilevanti hanno riguardato il mercato
del lavoro: gli occupati nei settori non agricoli (no farm
payrolls) sono cresciuti in aprile di 290 mila unità, oltre le
attese che indicavano un rialzo limitato a +200.000. Rivisti
al rialzo anche i posti di lavoro di marzo da +162 mila a +230
mila. Il tasso di disoccupazione si è attestato nel mese al
9,9%, sopra le attese che erano pari al 9,7%.
Cambi e
commodities Si arresta la ripresa dell’Euro che si
era riportato oltre 1,30 contro dollaro dopo l’accordo
raggiunto nel fine settimana tra EU, Bce e FMI. L’Eur/Usd si è
quindi riportato a 1,27 sul rinnovato scetticismo dei mercati
circa la capacità della Grecia di tener fede al promesso
riordino delle finanze pubbliche. Pesano anche le
dichiarazioni di Moody’s, che ha affermato che il rating di
Atene potrebbe essere ridotto al livello di junk bond nei
prossimi esi, mentre quello del Portogallo verrà certamente
ridotto se non verranno poste in essere misure di controllo
dei conti pubblici. Risale così l’avversione al rischio e
gli operatori tornano ad alleggerire le posizioni sulle
materie prime, con il Wti Usa sceso a USD76 al barile. Massimo
storico per l’oro che ha superato USD1.240 per oncia; molto
bene anche le quotazioni dell’argento (vedi grafico).
Obbligazionario/Monetario Performance
settimanale poco mossa per il mercato dei titoli di stato, che
ha riservato comunque fortissime oscillazioni intraday nelle
giornate di venerdì e lunedì. La curva dei rendimenti Usa è
tornata a stabilizzarsi sui livelli di una settimana fa,
mentre quella tedesca ha visto rendimenti in rialzo
soprattutto sul tratto medio lungo, con prezzi in discesa.
L’irripidimento della curva tedesca ha portato ai massimi dal
1999 lo spread tra i bund 2-10 anni, salito a 235 bp. In netto
calo gli spread con i titoli periferici, sostenuti questi
ultimi dagli acquisti delle Banche centrali dell’Area Euro. Il
differenziale Btp-Bund a 10 anni si è riportato sotto i 100 bp
(da 115), quello tra Bund e Portogallo a 170 (da 320),
dell’Irlanda a 175 (da 265), della Spagna a 100 (da 135),
della Grecia a 440 bp (da 750). Rimangono comunque le
preoccupazioni che il maxi-piano europeo possa non essere
sufficiente se non adeguatamente supportato da piani credibili
di risanamento delle finanze pubbliche. Domanda quasi
doppia per i EUR5,5 mld del Bot annuale in asta ieri, con il
tasso fissato a 1,442% (0,933% nell’emissione di aprile). Nel
mercato corporate ritraccia il costo di protezione dal rischio
di insolvenza, misurato dagli indici Itraxx: il Main per gli
emittenti investment grade è tornato a 95 pts, mentre il
Crossover riferito ai non-investment è sceso a 470 pts.
Mercati
azionari Italia Il Ftse/Mib registra un andamento
positivo, in linea con l’Eurostoxx. Bene Tenaris che ha
riportato profitti in calo nel primo trimestre 2010: in
dettaglio, l’utile netto è sceso del 43% a USD222,2 mln, a
causa della riduzione del giro d'affari e dei minori margini
operativi, facendo tuttavia meglio delle attese che
oscillavano in media a USD200 mln. Anche il fatturato ha
registrato una flessione che è stata dell'11% rispetto al
quarto trimestre 2009 e del 33% rispetto al primo trimestre
dell'anno scorso, attestandosi a USD1,638 mld. Il giorno
successivo la diffusione dei dati, Ubs ha ridotto il target
price da USD45 a USD42, con giudizio neutral
confermato.
In progresso Exor, controllante di Fiat,
che durante i primi tre mesi del 2010 è tornata in nero
riportando un utile consolidato di EUR31,7 mln (il primo
trimestre 2009 si era chiuso con una perdita consolidata di
EUR152,8 mln). Sempre al 31 marzo, il saldo della posizione
finanziaria netta consolidata del Sistema Holdings è positivo
per EUR257,8 mln ed evidenzia una variazione positiva di
EUR206,2 mln rispetto al saldo di fine 2009 (+EUR51,6 mln),
mentre il NAV (Net Asset Value) è pari a EUR5.818 mln ed
evidenzia un incremento di EUR2.850 mln rispetto al dato di
EUR2.968 mln al 1° marzo 2009 (data di efficacia della fusione
con IFIL). Ieri Exane Bnp Paribas ha portato la
raccomandazione sul titolo da neutral a outperform. Denaro
anche su Bulgari che ha approvato il resoconto intermedio
relativo al 1Q2010, che ha evidenziato un fatturato di
EUR199,1 mln, in crescita del 12,6% a cambi comparabili
(+11,8% a cambi correnti) vs. lo stesso periodo 2009, un
risultato operativo sostanzialmente in pareggio ed un
risultato netto negativo per EUR8,3 mln. Positiva
Finmeccanica che giovedì scorso ha comunicato di essersi
aggiudicata commesse per un valore complessivo di oltre EUR140
mln attraverso le sue aziende DRS, SELEX Sistemi Integrati,
SELEX Galileo, SELEX Communications ed Ansaldo
Energia. Poco mossa Italcementi che ha chiuso il primo
trimestre dell'anno con un risultato netto di gruppo negativo
per EUR37,5 mln, rispetto al rosso di EUR12,7 mln dell'analogo
periodo dello scorso anno. Citando "la difficile situazione
economica e le avverse condizioni meteorologiche che hanno
determinato un calo dei consumi di cemento", la società ha
inoltre comunicato un calo nei ricavi consolidati trimestrali
a EUR1,072,5 mln dai EUR1.201,2 mln del gennaio-marzo 2009,
mentre l'Ebitda corrente scende a EUR135,7 mln dai EUR188,9
mln di un anno fa. La società fa sapere che il quadro
complessivo resta ancora difficile e che lo scenario per i
mesi a venire è di elevata incertezza, anche se è da segnalare
in positivo un miglioramento di quasi EUR60 mln
dell'indebitamento. Il Dg Ferrario ha infine ribadito che
Italcementi non ha intenzione di riprendere il progetto di
fusione con la controllata Ciments Francais. Tra i titoli
in rosso citiamo la Pop di Milano che ha chiuso i primi tre
mesi dell’anno con un utile di EUR50 mln, in flessione del
30,2% rispetto allo stesso periodo del 2009 (che aveva
beneficiato di EUR60 mln di proventi da operatività in
derivati su tassi di interesse), risentendo in particolare
della flessione dell'attività finanziaria. Le rettifiche e gli
accantonamenti ammontano a EUR70,1 mln, in flessione rispetto
all'anno scorso. L’istituto milanese ha anche annunciato
un’esposizione verso la Grecia pari a circa EUR10
mln. Estero Listini europei che dopo i ribassi in
chiusura della scorsa ottava hanno avviato questa settimana
con un netto rimbalzo, il che ha permesso di condurli ad una
performance positiva (con la volatilità che è diminuita): a
favorire il movimento è stato certamente il piano varato nella
notte tra domenica e lunedì dall’Ecofin e che prevede un
pacchetto di aiuti per la zona Euro da EUR750 mld (va detto
che la debolezza dell’euro vs le altre principali valute sta
ad evidenziare una permanenza di timori sul debito della zona
Euro).
Qualche news da oltreoceano prima di
focalizzarci sulle assicurazioni europee: McDonald's (-0,3% in
settimana) ha annunciato che le sue vendite nelle filiali
aperte da almeno un anno sono aumentate ad aprile del 4,9%
(atteso un aumento del 4,5%). Walt Disney (+1,2%) ha
aumentato nel suo secondo trimestre fiscale terminato lo
scorso 3 aprile i suoi ricavi del 6% a USD8,6 mld ed il suo
utile netto del 55% a USD953 mln (pari ad un Eps di USD0,48);
gli analisti avevano atteso in media ricavi di USD8,4 mld ed
un utile per azione di USD0,46. Kraft Foods (+2,1%) ha
aumentato nel primo trimestre di quest'anno i suoi ricavi del
26% a USD11,3 mld ed il suo utile netto del 185% a USD1,88
mld, pari a USD1,16 per azione che escluse le voci
straordinarie scende a USD0,49 per azione (gli analisti
avevano atteso in media ricavi di USD10,95 mld ed un utile per
azione di USD0,45). Il settore assicurativo europeo ha
registrato un ottimo balzo in avanti, con molti componenti che
hanno diffuso i conti trimestrali. E’ il caso di Ing (+10,6%)
che stamane ha comunicato di aver generato nel primo trimestre
2010 un utile netto di EUR1,33 mld (sopra le attese), dopo il
rosso di EUR793 mln accusato nel primo trimestre del 2009; il
bancassicurativo olandese ha beneficiato nei primi tre mesi di
quest'anno della ripresa dei mercati finanziari, con gli
accantonamenti per rischi su crediti che sono inoltre
fortemente calati rispetto al trimestre precedente. Molto bene
Swiss Re (+11,2%) che ha aumentato nel primo trimestre 2010 il
suo utile netto del 22% a USD158 mln (dato superiore alle
attese), grazie alla riduzione delle spese e al forte aumento
dei proventi generati dagli investimenti. A causa degli
elevati costi causati dal grave terremoto che ha colpito il
Cile e dalle tempeste di neve che hanno colpito lo scorso
inverno una parte dell'Europa, la Combined Ratio di Swiss Re è
però peggiorata sensibilmente dal 90,2% al 109,4%. Swiss Re
stima attualmente i propri costi derivanti dalla catastrofe
naturale causata dall'esplosione della piattaforma Deepwater
Horizon nel Golfo del Messico a circa USD200 mln. Ben
comprata Axa che ha generato nel 1Q2010 un fatturato in
crescita dell’1,1% a EUR27,9 mld (il dato si è tuttavia
rivelato inferiore alle attese), denaro su Zurich Financial
che ha registrato nel primo trimestre un rialzo dell'utile
netto del 76% a USD935 mln, cifra superiore alle attese degli
analisti, anche se peggiora il Combinet Ratio, acquistata
anche Munich Re che nel 1Q2010 ha aumentato l’utile dell’11% a
EUR482 mln (sopra le previsioni), in progresso Allianz che
stamattina ha fatto sapere di aver generato utili nel primo
trimestre un utile di EUR1,59 mld, più che triplicato rispetto
a EUR424 mln di un anno prima, con le attività di
assicurazione vita e salute e l'asset management che hanno
compensato l'effetto negativo delle forti richieste
danni. Mercati azionari: settori a confronto
Stoxx L’analisi dei settori evidenzia
una certa debolezza per i comparti anticiclici delle utility
(male E.ON che ha registrato un utile adjusted in rialzo del
16%, un Ebit adjusted in salita del 20% mentre i ricavi sono
stati in linea coi livelli del 1Q09, in rosso anche A2A che ha
visto scendere l’utile netto del 1Q2010 del 22,8% mentre i
ricavi mostrano una contrazione del 6,2%) ed energetico
(flessione per BP che sta ancora cercando un rimedio per la
falla nel golfo del Messico). Ancora meglio dei settori
bancario e assicurativo ha fatto il comparto auto (rialzo
quasi a doppia cifra per BMW che nel mese di aprile ha
evidenziato un aumento delle vendite del 14,6% a 116.391
unità, in calo la sola Porsche), buona performance anche per
il settore industriale (segno più per Safran che secondo
indiscrezioni stampa avrebbe raggiunto un accordo con Thales
per mettere in comune le rispettive attività della
difesa).
Settori in
evidenza Media Mediaset ha chiuso il primo
trimestre con utile e ricavi in crescita (rispettivamente del
54,9% e del 17,5%), ha confermato i segnali di ripresa del
mercato pubblicitario e si è detta fiduciosa di poter
archiviare il semestre con una raccolta in Italia in aumento
intorno al 5%. Oggi Barclays ha limato al rialzo il target
price da EUR6,9 a EUR7, con giudizio overweight. Vivendi ha
annunciato ieri di aver aumentato nel primo trimestre 2010 i
suoi ricavi del 6% a EUR6,92 mld ed il suo utile adjusted del
13% a EUR736 mln (attesi in media ricavi di EUR6,8 mld ed un
utile adjusted di EUR659 mln). Oggi Deutsche Bank ha
portato il target price a EUR21,5 con rating hold, mentre
Natixis ha deciso un fair value di EUR20,70 con giudizio
neutral.
Bancario BNP Paribas ha aumentato nel primo
trimestre 2010 il suo utile netto del 47% a EUR2,28 mld ed i
suoi ricavi del 22% a EUR11,53 mld (attese in media per un
utile netto di EUR1,65 mld e ricavi di EUR10,85 mld); la banca
francese, che ha annunciato un’esposizione al debito sovrano
greco per EUR5 mld + EUR3 mld nel settore privato commerciale
greco, ha inoltre ridotto gli accantonamenti per rischi su
crediti (del 27% a/a e del 30% rispetto al quarto trimestre
2009). Dopo sette trimestri negativi, Commerzbank è tornata
in utile nel 1Q2010, registrando conti superiori alle attese
grazie a solidi risultati nel trading e minori accantonamenti
su prestiti inesigibili; la banca ha
annunciato un’esposizione sulla Grecia di EUR3,1
mld.
Telefonico Deutsche Telekom ha generato nel
primo trimestre 2010 un utile netto di EUR767 mln (dal rosso
di EUR1,1 mld accusato nel primo trimestre 2009), ha aumentato
l’Ebidta dell'1,6% a EUR4,89 mld, a fronte di ricavi che
tuttavia sono calati dello 0,6% a EUR15,8 mld (attese in media
per ricavi di EUR15,6 mld). Telecom Italia ha diffuso i
dati del 1Q durante il quale ha riportato un utile netto a
EUR611 mln, in rialzo del 30,7% rispetto allo stesso periodo
2009, a fronte di ricavi a EUR6,483 mld, in calo dello 0,7%.
L’Ad Bernabè si è detto fiducioso che "i risultati dei
prossimi trimestri continueranno a mantenersi in linea con gli
impegni assunti nel piano triennale". Ieri il titolo si è
mosso in controtendenza grazie all’upgrade da underperform a
outperform deciso da Credit Suisse.
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Fonte -
www.WallStreetItalia.com |
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Martedì 11
Maggio
2010 |
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Mercoledì 12
Maggio
2010 |
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Giovedì 13
Maggio
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Le
banche
nel mirino degli Usa
12 Maggio 2010
18:13 - di
MIAECONOMIA ______________________________________________
Ha iniziato Goldman Sachs,
poi Morgan Stanley, finite sotto la lente delle
autorita' statunitensi sotto l'ipotesi di azioni poco
chiare nei confronti dei loro clienti, in particolare
nella gestione di obbligazioni supportate da mutui,
proprio quei prodotti alla base del cataclisma
finanziario del 2008 e che ancora sta pesando
sull'economia mondiale. Ora pero', dice il Wall
Street Journal, le inchieste potrebbero allargarsi a
macchia d'olio. Non solo, secondo il quotidiano
finanziario ci sono due fronti aperti. Il primo e'
appunto quello dei cosiddetti Cdo, le banche potrebbero
avere ingannato i loro clienti in merito al loro ruolo
nei Collateral debt obligation. Ma adesso si
indagherebbe perfino sulla ipotesi che le banche abbiano
dato alle agenzie di rating informazioni fuorvianti su
alcuni loro prodotti legati al mercato
immobiliare. La procura di New York, in questo senso,
sta controllando se ci siano state azioni in questa
direzione con le tre maggiori agenzie di rating, come
Moody's, Fitch, Standard and Poor's e Moody's) e su 8
banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Ubs,
Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Credit Agricole
e Merrill Lynch. A questo punto l'investigazione
potrebbe fare luce sui rapporti e possibili conflitti di
interesse proprio tra le banche e le agenzie di rating,
che hanno emesso giudizi positivi su prodotti che invece
si sono dimostrati dannosi.
Fonte
- Miaeconomia
La
Super-Fed avanza al
Senato
14 Maggio 2010 - di Marco
Valsania ______________________________________________
Avanza. A fatica, ma avanza.
La riforma finanziaria voluta da Barack Obama procede in
Congresso, tra voti palesi e negoziati dietro le quinte.
E potrebbe emergere dal Senato già la prossima
settimana. Con le sue nuove regole per banche e mercati
(derivati compresi) e, soprattutto, con la consacrazione
d'un ruolo centrale per la Federal Reserve. La Banca
centrale ha ottenuto dai senatori conferma dei suoi
poteri e della sua indipendenza, segno di autorevolezza
e influenza ritrovate nella lotta alla crisi dopo le
polemiche per non averla saputo prevenire. Negli ultimi
giorni i parlamentari hanno bocciato, in rapida
successione, due proposte invise al governatore Ben
Bernanke: l'idea di periodiche ispezioni congressuali
sulle attività della Fed, sostituita da una verifica
straordinaria sulle misure d'emergenza del biennio
scorso. E l'ipotesi di ridimensionare i suoi incarichi
di supervisione, sottraendole gli istituti di più
piccole dimensioni, cinquemila banche con asset
inferiori ai 50 miliardi di dollari. La Fed potrebbe
inoltre inglobare una nuova authority di difesa dei
consumatori da truffe e abusi finanziari. I recenti voti
pro-Fed sono stati particolarmente significativi perchè
«bipartisan», capaci di strappare consensi tanto fra i
democratici che fra i repubblicani: 90 contro sei a
favore dei poteri di supervisione; 62 a 37 nel
respingere un emendamento sulle regolari «intrusioni»
congressuali. I fautori d'una Fed grande sceriffo, il
senatore democratico del Minnesota Amy Klobuchar e il
suo collega repubblicano del Texas Kay Bailey Hutchison,
hanno avuto la meglio con una tesi: che questa «stella»
garantisca un legame tra politica monetaria e Main
Street, cioè con l'economia reale anziché solo con Wall
Street. Quando si tratta delle ispezioni parlamentari
Bernanke non sta vincendo ogni battaglia: alla
trasparenza sulle azioni d'emergenza invocata dal voto
unanime di 96 senatori preferirebbe la comunicazione di
informazioni limitate. Nè ama piani di nomina politica
del responsabile della cruciale sede Fed di New York. Il
provvedimento respinto, però, ai suoi occhi aveva
conseguenze ben più preoccupanti: le scelte di politica
monetaria, di aumenti o riduzioni dei tassi d'interesse,
avrebbero potuto finire ostaggio di dibattiti in
Congresso. Qualche passo in più è stato fatto anche
sulle agenzie di rating: in serata il Senato ha
approvato un emendamento con 64 voti favorevoli e 35
contrari con cui viene regolata l'attività delle agenzie
di rating nell'assegnazione del merito di credito alle
asset backed securites, quegli strumenti finanziari
fautori della crisi finanziaria di quasi tre anni fa.
L'emendamento prevede la costituzione di un comitato
presso la Sec per valutare i rating delle emissioni sul
mercato.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
Il
piano salva i Pigs ma
schiaccia le Borse
venerdì, 14 maggio 2010 -
16:38 - di Marco Caprotti ______________________________________________
Forte volatilità, nervosismo
degli operatori a caccia di elementi interpretativi,
tagli draconiani da parte dei Paesi a rischio. Dopo
tutto questo, la settimana in cui è stato presentato il
maxi piano da 100 miliardi di euro per il salvataggio
della Grecia (ma rivolto anche a tutti gli stati europei
in bilico) si è chiusa con un saldo positivo. Ma è stato
un colpo fortunato. L’indice Msci World, nell’ultima
ottava, ha guadagnato (calcolato in euro) il 3,6%. Buone
le performance a livello geografico. Il North America è
salito di quasi il 4%, lo Europe del 4,1%, l’Asia
(Giappone escluso) di oltre il 3% e quello del Sol
levante dell’1%. Il merito di questi risultati,
tuttavia, va attribuito quasi esclusivamente alla seduta
di lunedì, quando le Borse, soprattutto quelle del
Vecchio continente, hanno chiuso con rialzi che, in
alcuni casi, hanno superato anche il 10%. L’andamento di
inizio settimana era stato mandato alle stelle dal
pacchetto di misure approvato domenica notte che prevede
prestiti bilaterali dagli Stati dell’eurozona per 440
miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250
miliardi di contributi del Fmi. A questo si è unito
l’impegno dell’Ecofin a supportare gli sforzi di Spagna
e Portogallo nella strada verso il risanamento dei
conti. Il tutto, oltre che per sistemare una situazione
a rischio crollo, anche per difendere l’euro
dall’attacco della speculazione. L’euforia è durata
però lo spazio di una seduta. Già il martedì gli
operatori hanno iniziato a prendere beneficio. Anche
perché sono emersi i primi dubbi sulla reale efficacia
del piano. Nel frattempo da Spagna e Portogallo sono
arrivati i dettagli sui piani di riduzione del deficit
che prevedono tagli sostanziosi soprattutto per quanto
riguarda i salari dei dipendenti pubblici e delle
pensioni. Si è trattato però di un momento di calma. A
chiusura della settimana sono tornati prepotentemente
fuori tutti i dubbi legati all’efficacia del piano e le
Borse hanno passato il venerdì in territorio negativo.
In mezzo a questo saliscendi, i titoli più interessati
da acquisti e vendute sono stati i finanziari e quelli
legati alle materie prime. Gli Stati Uniti non hanno
potuto fare altro che subire e seguire gli umori degli
europei mentre cercavano di concentrarsi sulla loro
situazione e di aggrapparsi alle buone notizie. Come
quella sul calo delle richieste di disoccupazione e
quella del comparto delle rivendite generiche (i
cosiddetti wholesalers) dove le richieste stanno
superando le disponibilità di magazzino. Questo
significa che agli americani sta tornando voglia di
spendere e che le aziende dovranno lavorare di più per
produrre i beni richiesti. Qualche problema, invece, sul
fronte immobiliare, dove stanno aumentando le richieste
di pignoramento da parte delle banche. Sul fronte
aziendale, da segnalare l’attivismo della società di
private equity Blackstone che sta guidando una cordata
disposta a sborsare 15 miliardi di dollari per acquisire
Fidelity Information Services. L’Asia, anche a causa
del fuso orario, non ha potuto fare altro che mettersi a
guardare e cercare di anticipare, per quanto possibile,
i trend della giornata seguente. L’unica notizia di
rilievo è arrivata dalla Cina dove l’inflazione ha
raggiunto i nuovi massimi da 18 mesi. L’indice dei
prezzi al consumo è salito in aprile del 2,8% annuo,
mentre nel periodo gennaio-aprile il dato è cresciuto
del 2,4% annuo.
Fonte
-
www.morningstar.it
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Fugnoli, l'abituale ottimista, oggi fa una previsione
catastrofica
Pubblicato il 14 maggio 2010 | Ora
03:54 – di *Alessandro Fugnoli
*Questo documento
e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos
Partners SGR.
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Le regole sono di due tipi. Ci sono quelle che
vengono da molto, molto in alto (e vengono pubblicate scolpite
su tavole speciali custodite con particolare cura) e poi ci
sono tutte le altre, fatte dagli uomini per gli uomini. Queste
ultime vengono cambiate continuamente, in omaggio al principio
che le regole sono al servizio degli uomini e non il
contrario. Sul documento che viene considerato il più
robusto e duraturo tra quelli di natura politica, la
costituzione americana, sono state scritte decine di migliaia
di pagine per dimostrare che, tra modifiche, interpretazioni e
integrazioni, la costituzione materiale di oggi assomiglia ben
poco a quella pensata dai Padri Fondatori. Ci fu uno
stravolgimento da parte di Lincoln, un altro nella Progressive
Era, poi con Roosevelt e infine dall’età kennediana in avanti
(Obama ha una sua visione per nuovi mutamenti). Qualcuno si
scandalizza, ma i più fanno notare che, se non si fosse data
qualche ritocco, l’America sarebbe ancora una società
schiavista. L’Europa, invece, pare non abbia diritto a
rivedere le sue regole. E’ venuto fuori un finimondo per le
decisioni prese durante la lunga notte dell’euro. Scandalo,
stupore attonito, indignazione fremente, condanna, sprezzo. Un
altro chiodo piantato nella bara dell’euro, dice Jim Rogers.
Continente delle banane. Varcato il Rubicone, annota
preoccupato David Mackie di JP Morgan. Il bello è che lo
scandalo, spesso, ha preceduto l’analisi di merito. Ci si è
scandalizzati per il solo fatto che qualche regola sia
cambiata.
Ancora più affascinante appare questa
reazione se si considera che in senso stretto non è stata
cambiata nessuna regola, si è semplicemente data qua e là
un’interpretazione diversa rispetto a quella della Tradizione.
Non verrà emesso debito da parte dell’Unione. Tutto rimarrà
formalmente bilaterale, tranne i 50 miliardi aggiunti alla
facility che nei mesi scorsi aveva aiutato Ungheria e Romania
(senza che nessuno protestasse, peraltro). La Bce non stamperà
un euro (i titoli comprati verranno sterilizzati). Il
livore delle critiche colpisce particolarmente quando proviene
da inglesi o americani che non hanno avuto nulla da eccepire
rispetto a misure molto più brutali prese dalla Fed, dalla
Bank of England o dalla Banca del Giappone. Spesso queste
misure sono state invocate dai mercati e dalla comunità degli
economisti e non di rado sono state considerate addirittura
insufficienti. Per dare l’idea dei due pesi e delle due
misure partiamo da un aspetto non centralissimo. Qualcuno si è
stracciato le vesti o ha sentito brividi lungo la schiena, il
28 aprile, quando il comunicato del Fomc è stato votato a
schiacciante maggioranza ma con il dissenso formale di Honig?
Qualcuno ha pensato che Honig stia preparando l’uscita dal
dollaro da parte della Fed di Kansas City? Qualcuno ritiene
che senza il falco Honig la Fed si incamminerà verso il
baratro? Ecco invece che un consiglio della Bce con Weber
dissenziente appare come una disgrazia da commentare con
concitazione e costernazione. Andando poi al nocciolo della
questione, la filosofia che ha ispirato tutte le misure prese
nel fine settimana è quella del credit easing, non quella del
quantitative easing. Tra i due approcci c’è una notevole
differenza. Il quantitative easing è l’acquisto diretto di
titoli (e titolacci) finanziato con la stampa di moneta. Il
credit easing è l’acquisto diretto di titoli (e titolacci)
finanziato con la vendita di altri titoli già in portafoglio o
prendendo a prestito soldi dai mercati. La manovra europea
parte tutta (più avanti si vedrà, ogni giorno ha la sua croce)
come credit easing. Il veicolo da 440 miliardi (più i 220 del
Fondo Monetario) si avvarrà di garanzie dei singoli stati
dell’Eurozona e si finanzierà sul mercato. La Bce, dal canto
suo, comprerà titoli greci o portoghesi o di chiunque sia
attaccato dai lupi vendendo Bund che ha in portafoglio. Sarà
la vista che cala con l’età, ma di euro freschi di conio o
stampa non riusciamo a vederne. Certo, la qualità
dell’attivo della Bce in questo modo non migliorerà, ma
ricordiamoci che la Fed ha in pancia tonnellate di titoli di
agenzie a confronto delle quali la Grecia è solida come una
roccia (oltre a uno spezzatino di asset ex Bear Stearns e Aig
e a garanzie elargite in giro ai tempi della crisi). In totale
la Fed ha creato base monetaria per 1.2 trilioni (la Bank of
England in proporzione ancora di più). La Bce, a oggi, è ferma
a 60 miliardi di covered bond. I nostalgici della
Bundesbank e dei suoi rigori dovrebbero considerare che la
creazione di moneta pari all’ per cento del Pil da parte della
Fed non ha nuociuto al dollaro, che oggi molti cercano
avidamente. In evidente violazione delle leggi di natura,
inoltre, quell’ per cento non si è accompagnato a
un’esplosione dell’inflazione, ma a una sua diminuzione. Si
può anzi dire che quella dose di zuccheri a un paziente
ipoglicemico che stava collassando è stata il fattore che ha
portato l’America alla ripresa e il dollaro alla sua forza
attuale rispetto a euro e yen (gli zuccheri ai pazienti
iperglicemici portano invece allo Zimbabwe). La questione
del default greco, comunque venga risolta, non è per
l’immediato. Da parte greca non c’è interesse a prendere
misure unilaterali per i prossimi tre anni per due motivi. Il
primo è che la Grecia ha i soldi assicurati appunto per tre
anni e non si fa uno sgarbo a chi ci aiuta. Il secondo è che
ai paesi indebitati viene voglia di ripudiare il debito quando
raggiungono il pareggio primario. Uno stato in pareggio non ha
bisogno di soldi freschi e può trattare malissimo i vecchi
creditori, salvo ricucire i rapporti (come sta facendo
l’Argentina con chi non ha accettato la ristrutturazione del
2005) quando torna in passivo operativo e deve cercare di
nuovo soldi in giro. Alla Grecia ci vorranno almeno due anni
per arrivare a un pareggio primario. Dal canto loro, anche
le banche francesi e tedesche avranno bisogno di due o tre
anni per costituire riserve per una svalutazione dei titoli
greci. Quanto a Spagna e Portogallo, i fondi europei li
mettono al riparo, ma quello che conta è che la correzione
fiscale è già iniziata e procederà spedita. L’Europa
mediterranea vivrà una fase di deflazione salariale per i
prossimi tre-cinque anni. L’euro debole almeno per i primi due
eviterà che ci sia una discesa complessiva del sistema dei
prezzi. Per i prossimi mesi, quindi, l’euro andrà venduto su
forza. L’euro debole non è un problema, è anzi parte della
cura. La borsa tedesca, in particolare i ciclici
esportatori, trarrà vantaggio da questa situazione. Le imprese
tedesche venderanno di meno in Grecia, Spagna e Portogallo, ma
venderanno di più in tutto il resto del mondo. E’ uno scambio
molto vantaggioso nel momento in cui la Cina sta per
rivalutare e trascinare verso l’alto le altre valute
asiatiche, incluso lo yen. A conti fatti il branco di lupi
che ha attaccato l’euro ha indotto Eurolandia a svegliarsi dal
suo torpore, a prendere atto dei suoi problemi e a reagire
prendendo più in fretta misure che si sarebbero dovute
comunque adottare. Ora i lupi sono tornati sulle montagne
con lo stomaco solo mezzo pieno, ma è bene che non si
allontanino troppo. L’Europa sta rafforzando i suoi meccanismi
di controllo su tutti i paesi membri, ma un certo numero di
lupi che girano intorno contribuirà a fare mantenere alta la
guardia. La crisi dei giorni scorsi indurrà i mercati a una
certa prudenza ancora per qualche tempo, ma è stata troppo
breve per incidere sulla crescita globale. Le stime di
crescita hanno anzi continuato a essere alzate anche nei
giorni più bui. Il tema del rallentamento della Cina e
dell’esplosione inflazionistica continuerà ad esserci
ricordato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E’ da settembre
che si va avanti con questa teoria. I dati pubblicati lunedì
indicano però la produzione industriale e le vendite al
dettaglio in crescita del 18 per cento anno su anno e
un’inflazione alla vertiginosa altezza del 2.8 per cento. Alla
fine un certo rallentamento ci sarà, ma controllato e
limitato. Il 2011 sarà l’anno mondiale delle tasse. A
gentile richiesta dei mercati che sopportano sempre meno i
disavanzi, i governi colpiranno imprese, cose e persone. Fu
così anche nel 1936 e nel 1937, proprio per questo si ricadde
in una pesante recessione. I governi hanno studiato
l’esperienza del 1937 e cercheranno di non usare una mano
troppo pesante. Lupi permettendo.
 |
Fonte -
www.WallStreetItalia.com |
La
settimana,
19/2010
Saturday, 15 May,
2010 - di phastidio ______________________________________________
Settimana di forte volatilità
sui mercati. Iniziata con l’annuncio di un accordo tra
Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale per
istituire una linea di credito di stabilizzazione fino a
750 miliardi di euro, composta da garanzie per 440
miliardi di euro, erogabili da un veicolo finanziario
speciale di durata triennale, il cui status giuridico
resta indeterminato, attivabile a richiesta di singoli
paesi membri dell’Eurozona. Il FMI interverrebbe con
altri 250 miliardi. Il pacchetto si aggiunge ai 110
miliardi già decisi per la Grecia. Altri 60 miliardi di
fondi di assistenza verranno raccolti attraverso
emissione di obbligazioni della Commissione europea,
nell’ambito degli interventi per contrastare le crisi di
bilancia dei pagamenti di natura eccezionale e fuori dal
controllo degli stati membri, come da articolo 122 del
Trattato di Lisbona. A questa misura si affianca
l’intervento della Banca centrale europea nel mercato
secondario dei titoli di stato, per rimuoverne alcune
“disfunzioni”.
La Bce ha quindi avviato, per il
tramite delle banche centrali nazionali, le operazioni
di riacquisto di titoli di stato dei paesi membri, ed ha
successivamente deciso che, per sterilizzare gli effetti
sulla base monetaria di tali operazioni farà ricorso a
depositi a termine, mentre al momento le banche
commerciali venditrici possono solo ricorrere al
deposito overnight della Bce, al tasso dello 0,25 per
cento. L’entità della misura è finalizzata a scoraggiare
i mercati dall’assumere iniziative speculative,
scommettendo sulla rottura dell’Area Euro. Dopo una
prima accoglienza molto positiva da parte dei mercati,
nella giornata di lunedì, con forti rialzi di borsa e
rimbalzo dell’euro contro dollaro, cautela e dubbi hanno
finito col prevalere, e la settimana si è chiusa con
l’euro ai minimi contro dollaro dalla fine del 2008 (la
fase immediatamente successiva al crack Lehman), e borse
globali in forte ripiegamento. I mercati sembrano
scontare la crescente probabilità che le misure di
consolidamento fiscale (annunciate in settimana da
Spagna e Portogallo, per circa l’1,5 per cento del
rapporto deficit-Pil nel biennio 2010-2011, mentre
l’Italia sta approntando una manovra equivalente)
produrranno un ulteriore forte rallentamento
congiunturale in Area Euro, con evidenti ricadute anche
sul resto dell’economia globale. In parallelo, si
segnala il forte apprezzamento dell’oro, che beneficia
delle crescenti incertezze e del rischio che le
reiterate iniezioni di liquidità delle banche centrali
finiscano col produrre inflazione. In questo contesto
i dati macroeconomici perdono rilevanza, perché
percepiti come obsoleti. Ma l’incertezza globale è
accresciuta anche dai timori per l’economia cinese: nel
mese di aprile, infatti, l’indice tendenziale dei prezzi
al consumo si è portato al 2,8 per cento, dal 2,4 per
cento di marzo. Nello stesso mese, i nuovi prestiti
erogati dalle banche cinesi sono fortemente aumentati,
mentre i prezzi delle proprietà immobiliari sono
cresciuti del 12,8 per cento su base annuale. Gli
investimenti fissi urbani, misura della spesa
governativa in infrastrutture e componente fondamentale
dell’economia cinese, nel quadrimestre gennaio-aprile
sono cresciuti del 26,1 per cento sullo stesso periodo
dello scorso anno. Cresce quindi la possibilità che
le autorità cinesi si trovino costrette ad adottare
misure drastiche per raffreddare la congiuntura, anche
alla luce della crisi europea che indebolisce un
importante mercato di sbocco per l’economia cinese.
Nella giornata di giovedì un’asta di titoli di stato
cinesi a nove mesi è stata sottoscritta per soli 17,4
miliardi di yuan sui 20 offerti, malgrado un rialzo dei
rendimenti da 1,54 a 1,72 per cento. I rendimenti reali
negativi tengono lontani gli investitori, e tendono a
favorire quegli impieghi alternativi (come
l’immobiliare) che sono alla base delle bolle
dell’economia cinese.
Fonte
-
Macromonitor
Gli effetti
nascosti
dell'incidente BP
Giovedì, 19 maggio 2010 -
13:33 - di Marco Caprotti ______________________________________________
“Non sarà solo BP a pagare
per il disastro petrolifero in corso nel Golfo del
Messico. La catastrofe avrà effetti pesanti: non solo
dal punto di vista ambientale, ma anche da quello
dell’industria energetica nel suo complesso”. Per
l’analista di Morningstar Eric Chenowet, insomma, è
inutile nascondersi dietro a un dito: a pagare non sarà
soltanto la compagnia inglese che possedeva (al 65%) e
gestiva la piattaforma estrattiva il cui crollo ha
aperto una voragine sottomarina dalla quale escono
tonnellate di petrolio ogni ora (per vedere l’intervista
completa in lingua originale clicca qui ). Dato per
scontato che, dal punto di vista finanziario, i primi a
essere preoccupati sono i vertici e gli azionisti di BP
che dovranno sopportare le condizioni peggiori, ci sono
altri aspetti sui quali il mercato sembra non essersi
concentrato abbastanza. “Primo fra tutti gli effetti di
questo disastro nel settore della trivellazione”, spiega
Chenowet. “Il Congresso americano potrebbe decidere di
passare una legge draconiana per vietare le
trivellazioni in mare o per renderle molto più
costose”. Di norma, quando un settore si trova a che
fare con legislazioni troppo restrittive o cerca altre
zone dove le normative sono più elastiche, oppure cerca
di risolvere il problema attraverso migliorie
tecnologiche che abbassino il costo delle operazioni.
“In questo secondo caso dobbiamo capire quanto l’aspetto
tecnologico sia importante per il settore”, continua
l’analista. Un elemento importante è quello dei sistemi
(e quindi del costo) per la sicurezza. “I sistemi che
sono in uso oggi, evidentemente non sono sufficienti”,
spiega Chenowet. “Questo significa che l’intero comparto
energetico dovrà ripensare la strategia legata agli
allarmi e agli interventi di emergenza. Due elementi
che, al di la dei costi, richiederanno tempi
lunghi”. Un divieto all’utilizzazione degli impianti
off shore avrebbe un impatto sul prezzo del barile.
“Secondo le stime, la maggior parte degli aumenti delle
forniture previsti per il prossimo decennio dovrebbe
arrivare da pozzi sottomarini” dice l’analista. “Si
tratta dei giacimenti più promettenti dopo quelli di
alcuni Paesi dell’Opec”. La questione da affrontare non
è agevole. “Le piattaforme off shore non sono solo al
largo del Golfo del Messico” continua Chenowet. “Il
Brasile, in questo senso, hanno grandi risorse da
sfruttare. Dubito che accetterebbero di rallentare
l’estrazione o di chiudere i pozzi sotto il mare. Non
hanno ancora avuto incidenti e, quindi, probabilmente
pensano di avere la capacità di
prevenirli”. L’elemento innovativo, in questa
situazione, è che il disastro ecologico in corso può
dare una spinta decisiva all’utilizzo delle energie
alternative. “Alcuni consulenti del governo che lavorano
in quest’area e con i quali abbiamo parlato ci hanno
detto che quanto sta succedendo li sta aiutando”,
conferma l’analista che, agli investitori interessati
consiglia di guardare alle aziende che si occupano di
energia solare come First Solar.
Fonte
- www.morningstar.it
Scaroni:
"C'è petrolio per i prossimi 70 anni"
(Expansion)
19 maggio 2010 - di Elysa
Fazzino ______________________________________________
«C'è petrolio sufficiente per
coprire i prossimi 70 anni»: è quanto afferma
l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, in
un'intervista esclusiva al quotidiano economico spagnolo
Expansion. Nessun cenno alla Repsol, nel testo
pubblicato sul sito web: nei giorni scorsi lo stesso
Expansion aveva scritto, nella sua versione online, che
Eni aveva avviato sondaggi presso il governo di Madrid
per un'eventuale integrazione con il gruppo petrolifero
spagnolo-argentino Repsol Ypf. Le prime due domande
dell'intervista riguardano proprio la Spagna e l'America
Latina. «Siamo nel mercato del gas spagnolo, con la
partecipazione del 50% in Union Fenosa Gas», dice
Scaroni. «La nostra presenza nel settore petrolifero
downstream (raffinazione e distribuzione) è piuttosto
limitata. Pensiamo che consolidare le nostre attività
downstream della penisola iberica in Galp, essendo Eni
uno dei suoi principali azionisti, possa creare sinergie
e aggiungere valore a entrambe le compagnie». Galp
Energia è un'azienda portoghese operante nel settore
petrolifero e del gas in cui Eni ha una quota del
33,34%. La brasiliana Petrobas ha di recente smentito le
indiscrezioni secondo cui sarebbe in trattative per
acquisire la quota Eni in Galp. Quanto all'America
Latina, all'osservazione dell'intervistatore che questa
area geografica non sembra prioritaria per l'Eni,
Scaroni risponde che, fuori dall'Italia, il sostegno
dell'Eni è sempre stato l'Africa. «A parte l'Africa
abbiamo consolidato la nostra presenza nei paesi Ocse e
nella regione del Caspio. In America latina siamo in
Brasile, Ecuador e abbiamo una presenza importante in
Venezuela». C'è poi la Russia. Perché – chiede
Expansion - l'Eni è una delle compagnie più dinamiche
nel promuovere affari con la Russia? «Ci sono buone
ragioni – spiega Scaroni - perché le compagnie del
petrolio e gas mantengano una presenza dinamica in
Russia: è uno dei paesi più ricchi in idrocarburi e
gioca un ruolo chiave per l'Europa nella sicurezza delle
sue forniture. Eni gode di un'ampia tradizione di buone
relazioni commerciali con la Russia». In particolare,
la collaborazione tra Eni e Gazprom, iniziata nel 1969,
si è sviluppata e rafforzata «significativamente». Nel
2006 è stato firmato un accordo strategico e nel 2007
Eni è entrata per la prima volta nel settore upstream
(esplorazione e produzione) in Russia. «Oggi abbiamo il
30% di SeverEnergia, la sua unica associazione con
compagnie non russe che opera in Yamal (Siberia
occidentale), la regione che produce attualmente il 90%
del gas russo». D fronte alle preoccupazioni che il
mondo stia per arrivare al limite della sua capacità di
produzione di petrolio, Scaroni osserva: «C'è molto
petrolio. Per ora, il nostro pianeta ha la disponibilità
di riserve chiamate sicure di oltre un miliardo di
barili». Queste riserve – nota il manager - sono
maggiori di tutto il greggio consumato da quando è
iniziata l'era del petrolio, alla fine del XIX secolo. A
queste riserve sicure si aggiungono quelle probabili e
le possibili riserve aggiuntive. In totale, secondo
Scaroni, si può contare come minimo su circa cinque
miliardi di barili, «sufficienti per coprire il consumo
mondiale per i prossimi 70 anni». Expansion definisce
«spettacolare» la progressione dell'Eni negli ultimi
anni: la società petrolifera italiana, che per
capitalizzazione «è la quarta dell'Ue e la prima
dell'area mediterranea», ha incrementato del 50% la sua
produzione di greggio e gas e commercializza un volume
di gas «equivalente al triplo del consumo
spagnolo».
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
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Previsioni di Borsa. Nonostante le difficolta', lo S&P500
salira' a quota 1350
Pubblicato il 20 maggio 2010 | Ora
01:47 – di WSI
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Nonostante le difficolta' degli ultimi giorni i
listini Usa continueranno la corsa e l'S&P 500 si
spingera' sino a quota 1350 entro dodici mesi. Questa l'idea
condivisa da Phil Orlando, chief equity market strategist di
Federated Investors, e Scott Wren, senior equity strategist di
Wells Fargo Advisors. Galvanizzati da una serie di report
economici positivi, i principali indici della Borsa americana
hanno iniziato il mese nel migliore dei modi, con rialzi
superiori all'1%. Ma non si fa in tempo a festeggiare che e'
gia' ora di pensare al futuro e chiedersi quanto ancora
durera' il rally. "Se da un lato i nostri target di fine
anno sono sui livelli attuali, dall'altro non mi
sorprenderebbe vedere un balzo sul breve termine", ha
dichiarato all'emittente televisiva statunitense CNBC Wren,
sottolineando che l'economia sta migliorando e che prevede una
crescita del PIL di circa il 2.5% quest'anno. "Ci
aspettiamo una crescita modesta dell'economia, un'inflazione
moderata e i titoli che potrebbero fare bene in un contesto di
questo tipo". A livello settoriale Wren ha un'esposizione
superiore alla media sui ciclici, gli industriali e il
comparto dei materiali di base, mentre preferisce essere sotto
esposto nei gruppi di assistenza sanitaria, grandi magazzini e
utility. Nel frattempo, Orlando ha detto che i mercati "si
stanno arrimpicando su un muro di paura", ma che tuttavia
preferisce ancora restare rialzista sull'azionario,
scommettendo su un'estensione del rally. "La crescita del PIL
sara' di circa il 4%", ha aggiunto. Il prezzo obiettivo
dell'S&P 500 da qui a un anno e' stato stabilito a quota
1350. Orlando non nasconde la sua preferenza in particolare
per i tecnologici, mentre il consiglio e' quello di evitare i
Treasury in questo periodo.
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Lunedì 17 Maggio 2010 |
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Martedì 18
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2010 |
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Wall Street: Russell (Dow Theory) ovviamente non e'
ottimista
Pubblicato il 20 maggio 2010 | Ora
18:21 – di WSI
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Abbandonare immediatamente l'azionario a stelle
e strisce. Meglio correre ai ripari visto che non si puo'
escludere un "rilevante crollo". E' questa l'indicazione che
Richard Russell, l'autore della newsletter che dal 1958 viene
attentatmente guardata dagli operatori del
mercato. Nell'ultima edizione della sua Dow Theory Letters,
l'esperto ha avvertito: se il Dow scendera' sotto i livelli
dello scorso 7 maggio c'e' un alta probabilita' che si
verifichi un "crollo" di dimensioni importanti. La soglia in
questione, 10380.43, e' proprio quella che nella seduta di
ieri, 19 maggio, e' stata rotta al ribasso, durante l'intraday
pero'. E da cui oggi ci si e' nuovamente
allontanati. D'altra parte e' proprio nella penultima
giornata dell'ottava che livelli tecnici monitorati dagli
analisti sono stati rotti. La soglia cruciale resta la
chiusura del fatidico giorno di panico. E se non si stara'
sopra qualcuno potrebbe pensare che quello che e' diventato
famoso come il "Flash Crash" potrebbe esser tutt'altro che da
imputare a un pollice troppo grosso (che avrebbe pigiato un
tasto piuttosto che un altro, cosa per altro esclusa) o
(soprattutto) a errori di tipo tecnico. "Leggendo
l'andamento del mercato, quello che l'azionario suggerisce e'
che abbiamo davanti a noi una sorpresa", ha scritto Russell.
Una sorpresa tutt'altro che positiva visto che consiste in un
"inversione al ribasso per l'economia in generale, insieme a
una serie di altri problemi". L'85enne autore della
newsletter che realizza ogni tre settimane ha aggiunto: "fate
un favore ai vosti amici. Dite loro di correre ai ripari"
perche' ci si deve preparare a tempi duri. L'esperto ha
scritto: "dite loro di chiudere le posizioni sulle
obbligazioni a carico e vendere tutto quello che possono con
l'obiettivo di puntare alla liquidita'. Dite loro che Richard
Russell ha anticipato che entro fine anno non saranno in grado
di riconoscere lo stato del paese. Loro ribatteranno "Come ha
fatto a saperlo? Chi glielo ha detto?". "Spiegate che e' stato
il mercato a suggerirmelo". Russell sostiene di aver
intravisto i problemi per il Dow sin da aprile, inclusi i
ritracciamenti di quei titoli che erano riusciti a
riagguantare i massimi da 52 settimane. "Se le aziende stanno
registrando conti migliori delle attese, perche' il Dow ha
perso 600 punti?", conclude retoricamente l'esperto. Gli
esperti stanno monitorando anche un altro dato importante: la
media mobile a 200 giorni, usata per capire il trend di
mercato. Visto che sia Dow sia S&P stanno rompendo questa
media mobile, molti analistici tecnici sono pronti a
dichiarare che ci troviamo ormai in un mercato all'insegna
dell'orso. L'unico, o tra i pochi, a restare bullish
nonostante la giornata odierna (20 maggio) e' Jack Scannep,
editore di TheDowTheory.com. E questo perche', secondo lui, i
movimenti osservati sul mercato nell'ultimo mese non possono
esser considerati precondizioni per segnali
sell. Indicazioni di vendita potrebbero arrivare, per
Scannep, soltanto se il mercato non riuscira a spingersi oltre
i massimi di aprile per poi portarsi al di sotto dei livelli
della correzione in atto. Non resta che vedere chi ha
ragione.
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Fonte -
www.WallStreetItalia.com |
ANALISI
/ Una
crisi che ricorda il dopo Lehman
21 maggio 2010 - di Walter
Riolfi ______________________________________________
Prima o poi ci troveremo a
dover chiudere le borse. E quel giorno sarà la
conseguenza di un'esplosione di panico, dice il
responsabile del reddito fisso di una grande banca.
Probabilmente non esagera, perché la situazione che
stanno sperimentando i mercati finanziari ricorda molto
quella dell'autunno 2008 dopo il fallimento Lehman.
C'entrano poco i fondamentali dell'economia, per quanto
vi siano analisti che interpretano l'attuale crisi come
il risultato di una falsa ripresa economica. La cosa
grave è che una bufera partita dai debiti governativi e
ingigantita dalle perplessità europeiste della Germania
sia dilagata a tutti i mercati del credito e a quelli
azionari e si stia configurando come una vera crisi di
fiducia tra gli investitori, non diversamente da quanto
era avvenuto con i titoli subprime. A differenza del
2008, non ci dovrebbero essere titoli "tossici" a
complicare questa volta le cose, a patto che non si
vogliano considerare tali i bond governativi della
Grecia che quotano attorno a 70 centesimi: guarda caso
il prezzo indicativo di una eventuale ristrutturazione
del debito ellenico. Ormai non è più il caso di
parlare di speculazione, perché a vendere non è il
presunto concerto di alcuni hedge fund. Vendono tutti:
gli hedge ovviamente per primi, le banche d'affari che
sono piene di titoli nei portafogli di proprietà, le
banche commerciali che sono nella medesima condizione, i
fondi d'investimento e tutte le grandi istituzioni. Più
che vendere sarebbe corretto dire che stanno cercando di
proteggersi, poiché il ribasso parte soprattutto da chi
vende (anche allo scoperto) i future sulle varie
attività finanziarie. Non si liquidano i titoli di
stato, ma si vendono i derivati sul benchmark; non ci si
libera delle azioni, ma si va al ribasso attraverso i
future sugli indici. Lo stesso modo di operare si
riproduce sui mercati delle materie prime che sono tutte
in pesante caduta, persino l'oro che per parecchi mesi
ha rappresentato una sorta di rifugio. Anche la
presunta protezione rappresentata dal bund tedesco o dal
Treasury Usa è frutto di acquisti mediati attraverso i
derivati. Non c'è la corsa a mettere i soldi sui titoli
di stato tedeschi, americani o francesi, ma quella di
comprare il future: con il risultato di forzare le
quotazioni dei titoli sottostanti e far crollare i
rendimenti che sono finiti ai minimi storici per i
decennali tedeschi e francesi. Quasi nessuno vende, per
esempio, i BTp italiani i cui prezzi sono semmai
cresciuti da inizio anno, ma in un mercato diventato
sostanzialmente illiquido si cerca protezione comprando
l'omologo titolo tedesco. Ecco perché s'è allargata a
dismisura la forbice dei rendimenti rispetto al Bund.
Gli effetti più devastanti li si vede come sempre sulle
borse: non perché la situazione macroeconomica
suggerisca che le azioni siano care, ma perché quello
azionario rimane il mercato comunque più liquido. Gli
investitori più accorti fanno notare che così era
successo anche nel 2008. Le prime tappe di una riduzione
forzata della leva finanziaria passano attraverso la
ricerca di una protezione. E la leva finanziaria oggi è
forte come quella di due anni fa. Come allora, la
liquidità che si riesce a procurare finisce negli
strumenti di breve periodo. E questo spiega perché il
titolo Schatz a due anni renda appena lo 0,45% quando il
tasso della Bce è all'1 per cento.
Fonte
- Il Sole 24
Ore
Mr
Doom Roubini
prevede ancora un 20% di calo
21 maggio 2010 - di
Miaeconomia ______________________________________________
I mercati azionari
continueranno a colare a picco nei prossimi mesi, fino a
perdere un altro 20 per cento. E' l'opinione del
"Dr.Doom" Nouriel Roubini, l'economista della New York
University noto per essere stato tra i primi a prevedere
la crisi finanziaria del 2008. La debolezza
dell'Eurozona e un rallentamento della ripresa negli
Stati Uniti e altri paesi sviluppati renderanno la vita
difficile agli investitori nei prossimi mesi, ha detto
Roubini a Cnbc. "Ci sono alcune parti dell'economia
mondiale che ora sono a rischio di una seconda
recessione", ha detto. "Da questo punto in poi vedo le
cose peggiorare". Per Roubini i prezzi di azioni e
materie prime soffriranno, e gli investitori potranno
trovare un rifugio sicuro solo nel denaro contante o in
altri asset più sicuri. Il mercato è a rischio "perché
prima di tutto ci sono problemi a livello macroeconomico
nell'Eurozona. Poi in Cina ci sono segnali di
rallentamento, il Giappone non è messo molto bene e la
crescita economica degli Stati Uniti rallenterà", ha
detto. E ha aggiunto che anche la riforma finanziaria
appena approvata dal Congresso americano rappresenta un
rischio "perché non sappiamo che effetti avrà". Per
questo Roubini suggerisce di fare investimenti sicuri,
come nei titoli di stato di paesi "che non hanno seri
problemi di debito pubblico, la Germania per esempio, e
forse il Canada, e alcune altre economie che da un punto
di vista fiscale sono più sane". Per quanto riguarda
l'Europa, Roubini ha detto che risolvere i problemi del
debito in Grecia è una "missione impossibile" e che
delle decisioni difficili sono inevitabili. "Ciò che si
deve fare è chiaro. Bisogna alzere le tasse e tagliare
le spese. Altrimenti ci ritroveremo in un deragliamento
fiscale", ha detto. "Ci vorranno anni di
sacrifici".
Fonte
- Mieconomia
Credito:
banche americane con "problemi" salgono a
775
Pubblicato il 23 maggio 2010
| Ora 17:04 - di ANSA ______________________________________________
In totale 775 banche, cioe'
un decimo dell'intero sistema bancario degli Stati
Uniti, e' sulla "lista nera" della FDIC (Federal Deposit
Insurance Corporation) che comprende gli istituti
bancari Usa con "problemi" alla fine del primo trimestre
2010. La lista e' cresciuta al nuovo massimo con
l'incremento dei crediti in sofferenza nel settore
immobiliare commerciale, che ha inciso negativamente sui
bilanci delle banche. Lo scrive il Wall Street
Journal. La crescita dei crediti a rischio in altri
comparti dell'economia continua poi a pesare sui bilanci
degli istituti di credito americani. Il numero totale di
prestiti bancari sui quali risultano ritardi di almeno
tre mesi nel pagamento degli interessi e' in aumento per
il 16esimo trimestre consecutivo (esattamente 4 anni),
ha comunicato la FDIC. "Il sistema bancario Usa ha
ancora molti problemi da risolvere - ha detto il
chairman della FDIC Sheila Bair - e non possiamo
ignorare la possibilita' di ulteriore volitilita' del
mercato".
Fonte
- ANSA
Borsa:
il grafico per ora e' identico al crash del 1929 e al
crollo di Tokyo
Pubblicato il 24 maggio 2010
| Ora 13:00 - di WSI ______________________________________________
Della serie: un grafico
racconta l'economia e la borsa meglio di 10.000
articoli. Quello che WSI pubblica in home page, in
particolare, aggiornato a venerdi' scorso dopo una
settimana di cali pesanti a Wall Street, e' illuminante
e rafforza la tesi di short, ribassisti e
orsi.
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Come vedete, da una
prospettiva di tempistiche, l'andamento del Dow Jones
nel crash del 1929 che diede inizio alla Grande
Depressione si allinea in modo molto simile se non
identico all'andamento della "gamba" ribassista sul
Nikkei e all'andamento dello S&P500 attuale (il
picco del benchmark Usa corrisponde al top delle dot.com
in America toccato nel gennaio 2000 e coincide
perfettamente con il top della borsa di Tokyo quando il
Nikkei tocco' quota 40.000 per dimezzarsi in pochi
mesi). In conclusione, se non ci sara' un forte
rimbalzo in tempi brevi degli indici americani, allora
la previsione di quel che potrebbe accadere sulla borsa
Usa (e di conseguenze a Milano e borse europee) e' gia'
visibile anche a non esperto e non e' molto
incoraggiante, in base ai precedenti storici
statistico/grafici. Gli appassionati di analisi tecnica
sono invitati a inviare i loro commenti per spiegare a
tutti la loro pinione su questo grafico.
Fonte
-
www.WallStreetItalia.com
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Incubo corporate bond, i numeri ricordano il crollo di
Lehman
Pubblicato il 24 maggio 2010 | Ora
10:00 – di WSI
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Confortati in qualche modo dalla chiusura al
rialzo che Wall Street è riuscita ad archiviare lo scorso
venerdì, i listini azionari europei hanno avviato la settimana
tentando la strada dei guadagni.
Ma l'incertezza è
palpabile e nessuno si fa false illusioni. A dimostrare il
forte momento di tensione che attanaglia gli investitori di
tutto il mondo non sono infatti solo la turbolenza e la
volatilità che assillano i listini azionari e il mercato dei
cambi. Indicazioni più che chiare del brutto momento che il
sentiment in generale sta vivendo arrivano infatti - e come
poteva essere altrimenti - anche dal mercato del
credito.
Tali indicazioni sono decisamente negative,
come fa notare Bloomberg in un suo articolo. Basti pensare
che, molto probabilmente, le vendite dei corporate bond
chiuderanno il mese di maggio con la peggiore performance in
un decennio; e che i rendimenti relativi stanno balzando al
ritmo più elevato dai tempi - e la sola parola fa accapponare
decisamente la pelle - del collasso di Lehman Brothers. Il
motivo alla base di questa situazione è il solito e porta il
nome di crisi di fiducia o di avversione al rischio.
In
un contesto in cui si parla ogni giorno dei debiti europei e
in cui a essere agitato ovunque è lo spettro dei Piigs, la
fiducia degli investitori non riesce, infatti, a imporsi con
convinzione. I dati di Bloomberg indicano così che le
stesse società hanno emesso nel mese di maggio obbligazioni
per un valore di 47 miliardi di dollari, in calo rispetto ai
183 miliardi di dollari di aprile e al minimo dal dicembre del
1999. Contemporaneamente, l'indice Global Broad Market
compilato da Bank of America Merrill Lynch, segnala come la
fiducia dei potenziali sottoscrittori di bond è talmente
malconcia che il rendimento extra che viene assicurato ai
detentori dei bond - ovvero il differenziale in più rispetto
ai rendimenti dei titoli di stato - si appresta a registrare
la crescita maggiore dall'ottobre del 2008. (appunto, i tempi
del crollo di Lehman).
I numeri parlano
chiaro. L'indice mostra che, al momento, i rendimenti sui
corporate bond si attestano in media a un valore superiore di
188 punti base rispetto ai rendimenti assicurati dai titoli di
stato; il differenziale è dunque cresciuto in modo sostenuto
dai 142 punti base toccati lo scorso 21 aprile, e la velocità
del rialzo è stata per l'appunto la più elevata dall'ottobre
del 2008 (quando l'incremento fu di ben 108 punti base). A
essere più penalizzati, continua Bloomberg, sono soprattutto i
junk bond emessi negli Stati Uniti: in questo caso gli spread
sono arrivati a salire questo mese di 141 punti base fino a
quota 702. William Cunningham, responsabile delle strategie
del credito e della divisione di ricerca dell'unità di
investimento di State Street a Boston, parla così in una
intervista a Bloomberg di una "crisi di liquidità" e continua:
"Non è inconcepibile immaginare una situazione in cui i
mercati si comportano in questo modo, in cui a essere sotto
pressione è la liquidità e in cui la tolleranza al rischio,
semplicemente, evapora, soprattutto in Europa". Gli fa eco
Peter Chatwell, strategist dei tassi di interesse di Credit
Agricole Corporate and Investment Bank di Londra. "Stiamo
assistendo a una intensificazione dell'avversione al rischio e
anche a un allargamento dell'avversione al rischio nelle varie
categorie di asset". E uno specchio di tutto ciò è lo
stesso Libor per i prestiti in dollari a tre mesi che, lo
scorso 21 maggio, ha testato il massimo dal 24 luglio. Un
record che conferma la nuova riluttanza delle banche a erogare
prestiti.
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Fonte -
www.WallStreetItalia.com |
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Lunedì
24 Maggio 2010 |
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Martedì 25
Maggio
2010 |
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Mercoledì 26
Maggio
2010 |
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La
Ue propone un fondo
per gestire i fallimenti bancari
26 maggio 2010 - di Giuseppe
Chiellino ______________________________________________
La Commissione europea
propone che la creazione di una rete UE di fondi per
finanziare la «risoluzione ordinata» delle insolvenze
bancarie con l'obiettivo di garantire che in futuro i
fallimenti di banche non avvengano a spese del
contribuente né destabilizzino il sistema finanziario.
Dopo averne discusso al prossimo Consiglio europeo, la
Commissione europea presenterà queste idee al G-20 di
Toronto il 26-27 giugno 2010. «Questi fondi - si
legge in una nota diffusa a Bruxelles - farebbero parte
di un dispositivo più ampio volto ad impedire future
crisi finanziarie e a rafforzare il sistema finanziario.
La Commissione ritiene che un modo per raggiungere tali
obiettivi sia imporre agli Stati membri di istituire,
nel rispetto di regole comuni, dei fondi ai quali le
banche siano tenute a versare un contributo. I fondi non
verrebbero utilizzati per il salvataggio di banche ma
solo per garantire che il loro eventuale fallimento
venga gestito in modo ordinato e non destabilizzi il
sistema finanziario». «Non è accettabile che i
contribuenti continuino a sopportare i pesanti costi dei
salvataggi di banche e che siano in prima linea in
questi casi" ha spiegato il commissario per il mercato
interno Michel Barnier. «Io credo - ha aggiunto - nel
principio chi inquina paga e quindi dobbiamo costruire
un sistema che garantisca che in futuro sia il settore
finanziario a pagare il costo delle crisi bancarie.
Credo in quest'ottica che si debba chiedere alle banche
di alimentare un fondo finalizzato a gestire i
fallimenti di banche, a proteggere la stabilità
finanziaria e a limitare il contagio; non deve trattarsi
però di un fondo di salvataggio. L'Europa deve svolgere
un ruolo guida sviluppando impostazioni comuni ed un
modello di cooperazione che possa essere applicato a
livello mondiale». Secondo Bruxelles, il modo
migliore per utilizzare i prelievi a carico delle banche
è quello di creare una rete di regimi prefinanziati
nell'Unione europea con un «mandato restrittivo» per
finanziare le cosiddette 'banche ponte', il
trasferimento totale o parziale di attività e passività
e il finanziamento della separazione tra good bank e bad
bank. Si tratta di misure già indicate dalla commissione
Ue a ottobre scorso, nella comunicazione sulla gestione
delle crisi. Non sfugge a Bruxelles che l'istituzione
di un fondo del genere comporta comunque «seri problemi»
di 'rischio morale' «se vi fosse la convinzione che
l'esistenza di questi fondio protegga le banche da
futuri fallimenti». Perciò viene chiarito «senza alcuna
ambiguità» che «gli azionisti e i creditori non
assicurati debbono essere i primi a far fronte alle
conseguenze del fallimento di una banca» e che i fondi
in questione «non saranno una polizza di assicurazione e
verranno utilizzati non già per il salvataggio di banche
insolventi bensì piuttosto per agevolare lo svolgimento
regolare di un fallimento». Il commissario Barnier ha
detto che la commissione europea proporrà anche «la
registrazione obbligatoria dei cds».
Le
banche dovranno garantire
i depositi dei risparmiatori
26 maggio 2010 alle ore
21:09 - di Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Con la comunicazione sui
fondi per le «misure di risoluzione delle insolvenze
bancarie» Bruxelles avvia la exit strategy dalla
copertura illimitata dei fallimenti da parte degli stati
sovrani. È questo il senso della proposta avanzata dal
commissario Ue al mercato interno, Michel Barnier, che
sarà presentata alla prossima riunione del consiglio
europeo e al G-20 di Toronto in calendario il 26 e 27
giugno.
L'obiettivo di fondo è dunque quello di
armonizzare, non solo in sede europea, le misure di
protezione dei risparmiatori, trasferendo il peso delle
garanzie - che da quando è scoppiata la crisi pesano sui
conti dei governi e quindi sui contribuenti - sulle
banche e sui loro azionisti. In Italia l'idea del
'blanket coverage', la garanzia totale, dei depositi
bancari in caso di fallimento della banca è stata
introdotta a ottobre 2008 con il decreto salva-banche
poi trasformato in legge. In pratica la garanzia è stata
estesa all'intero importo depositato da ciascun
risparmiatore, con qualsiasi strumento. È stato
superato, quindi, il limite di 103 mila coperto sino ad
allora dal Fondo interbancario di tutela dei
depositi. «La crisi greca - spiegano i vertici dello
European forum of deposit insurer - ha rafforzato la
capacità di decisione della Ue e ha accelerato il
processo di superamento delle garanzie statali, senza
per questo perdere la tutela dei risparmi». Uno dei
passaggi «fondamentali» della nuova disciplina che si
prospetta è l'introduzione del concetto di 'bridge
bank', la banca ponte, che potrà essere finanziata con
la rete di fondi Ue che, a loro volta, saranno
finanziati dalle banche. «Il concetto di banca ponte è
mutuato dalla legislazione americana - spiegano le fonti
- e in Italia consentirebbe una gestione più facile
delle crisi bancarie trasferendo gli asset ad una nuova
entità giuridica, la bridge bank appunto, che non è
prevista dal nostro diritto fallimentare. Sarebbe più
agevole il passaggio dalla amministrazione straordinaria
alla liquidazione coatta amministrativa, evitando di
depauperare eccessivamente gli attivi della banca in
fallimento». La comunicazione di Barnier si innesta
nel processo di modifica della direttiva sui sistemi di
garanzia di tutela dei depositi avviata dalla
commissione europea che dovrebbe definire entro luglio
prossimo gli emendamenti, costituendo il primo tassello
del nuovo quadro comunitario. Barnier si è poi impegnato
a presentare entro ottobre «proposte piu' dettagliate
per la gestione delle crisi». La direttiva
comunitaria sulla tutela dei depositi modificherà
innanzitutto la modalità di finanziamento dei fondi di
garanzia. La discussione è se finanziare i fondi con un
meccanismo ex post, come il fondo interbancario italiano
che scatta immediatamente dopo il fallimento di una
banca con l'intervento di tutti gli altri istituti che
aderiscono al fondo, oppure con un sistema ex ante che
prevede il finanziamento progressivo di uno strumento
che, secondo alcune stime, per l'Italia potrebbe
arrivare a cirfca 8 miliardi di euro. «Su questo punto
c'è un confronto serrato tra gli istituti di credito e
le istituzioni comunitarie: i primi vogliono ridurre al
minimo il peso di questi nuovi oneri sui bilanci le
seconde vogliono dare un segnale di garanzia e di equità
ai risparmiatori. Ma bisogna anche evitare che oneri
eccessivi si trasferiscano ai clienti attraverso le
commissioni». Un'ipotesi di mediazione è il modello
francese misto. L'altro punto di «confronto» è sui
tempi per l'attivazione dei rimborsi. Oggi in caso di
fallimento di una banca i fondi di garanzia hanno 20
giorni di tempo per rimborsare i clienti: la Commissione
e l'Europarlamento vogliono portare a 3 giorni il limite
per i rimborsi. In discussione, infine, i criteri di
analisi del rischio che oggi sono nazionali e che
dovranno essere armonizzati, anche perchè da questi
dipenderà, in parte, la definzione del contributo di
ciascuna banca al fondo di garanzia.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
Parla
il guru:
BRIC, il toro è già qui e si scatenerà
ancora
Pubblicato il 27 maggio 2010
| Ora 10:50 - di AGI ______________________________________________
In un momento in cui si sente
parlare ormai ogni giorno della crisi europea, dei
debiti europei, e della disfatta del Vecchio Continente,
per chi investe forse è meglio focalizzare l'attenzione
su aree che, a dispetto dei gufi, rimangono molto
appetibili. E' la parola d'ordine proferita da Mark
Mobius, di Templeton Asset Management, che in
un'intervista a Bloomberg vede l'Eldorado nei paesi
emergenti, a dispetto delle incertezze che minacciano in
questo momento i fondamentali della congiuntura
globale. Brasile, Russia, India e Cina, ovvero l'area
Bric: è nei titoli azionari di questi paesi che il fondo
sta continuando a fare acquisti. "Non credo affatto a
chi dice che stiamo entrando in un mercato orso (nelle
economie emergenti) - spiega Mobius, presidente
esecutivo del fondo con sede a Singapore - Ciò a cui
stiamo assistendo è solo una correzione di una fase toro
di mercato, che continuerà". Il riferimento è alla
performance dell'indice Msci Emerging Markets, che dallo
scorso 15 aprile è sceso del 15%, scontando sia i timori
sull'adozione di una politica monetaria restrittiva da
parte della Cina sia lo spettro dei deficit
dell'Europa. Da segnalare però che lo stesso indice è
balzato del 96% dal minimo di quattro anni testato
nell'ottobre del 2008 e, solo nella giornata di ieri, ha
guadagnato il 3,2%, recuperando dalla flessione più
forte sofferta dal marzo del 2009. "Quando arriverà
il momento, i mercati emergenti segneranno un recupero
notevole e ancora più veloce", anticipa Mobius, il cui
fondo sta acquistando titoli azionari anche di altri
paesi emergenti, come Dubai e Egitto. E riguardo alla
Corea del Sud, l'investitore veterano sottolinea che
Templeton non ha ridotto le partecipazioni nelle società
del paese che ha acquistato, in quanto esse, che al
momento dell'acquisto si sono confermate "relativamente
poco costose", potrebbero beneficiare della ripresa
economica attesa per la nazione asiatica.
Fonte
- AGI
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La massa monetaria Usa sta crollando come durante la Grande
Depressione
Pubblicato il 28 maggio 2010 | Ora
07:38 – di The Telegraph
________________________________________
La massa monetaria M3 degli Stati Uniti si sta
flettendo ad un ritmo cosi' sostenuto che e' arrivata a
toccare i livelli visti l'ultima volta durante i cali accusati
dal 1929 al 1933. Questo nonostante i tassi di interesse Usa
vicini allo zero e nonostante il maggiore blitz fiscale della
storia del Paese. Le cifre, che comprendono un'ampia gamma
di conti bancari e sono monitorate dagli esperti europei e
britannici di politiche monetarie in cerca di segnali
allarmanti circa la direzione che l'economia degli Stati Uniti
sta prendendo con un anno di anticipo, parlano chiaro: la
flessione e' iniziata la scorsa estate. Il ritmo, con il
tempo, ha poi subito un'accelerazione. Lo stock monetario
e' sceso da 14.200 miliardi dollari a 13.900 miliardi dollari
da febbraio ad aprile, pari a un tasso annuo di contrazione
del 9.6%. Il patrimonio dei fondi istituzionali del mercato
monetario e' sceso ad un tasso del 37%, la punta piu' acuta
mai toccata. La cattiva notizia e' che siamo tornati al 1931.
La buona notizia e' che non siamo ancora al 1933. "E'
spaventoso", ha dichiarato il professor Tim Congdon di
International Monetary Research. "Il crollo della massa M3 non
ha precedenti dai tempi della Grande Depressione. Il motivo
dominante alla base della contrazione e' che le autorita' di
tutto il mondo stanno facendo pressione sulle banche perche'
raccolgano altro capitale dal mercato e perche' riducano le
loro attivita' di rischio. Per questo motivo l'economia degli
Stati Uniti non si sta riprendendo come sperato", ha
detto. Le autorita' statunitensi hanno da offrire una
spiegazione completamente diversa per giustificare il
fallimento delle misure di stimolo e stanno ancora optando per
altre massicce dosi di spesa keynesiana, nonostante gli
avvertimenti del FMI sul debito pubblico lordo degli Stati
Uniti, che si prevede raggiungera' il 97% del PIL il prossimo
anno e il 110% entro il 2015. Larry Summers, principale
consigliere economico del presidente Barack Obama, ha chiesto
al Congresso di "stringere i denti" e di approvare un nuovo
stimolo fiscale da $200 miliardi per mantenere l'economia sui
binari della crescita. "Siamo a corto di quasi 8 milioni di
posti di lavoro. Per milioni di americani e' ancora emergenza
economica". David Rosenberg di Gluskin Sheff ha fatto
notare che la Casa Bianca sembra aver invertito rotta solo
poche settimane dopo che Obama ha promesso di fare rientrare
l'enorme deficit di bilancio di $1.500 miliardi (9.4% del PIL)
quest'anno e ha istituito una commissione per indirizzare tali
tagli. "Sono iniziative inaccettabili. Il governo degli Stati
Uniti ha una paura da morire di cadere in una recessione a
doppia V", ha detto. La richiesta della Casa Bianca
equivale ad una tacita ammissione di impotenza, nella
constatazione che l'economia sta gia' perdendo spinta. La
ripresa potrebbe congelarsi alla fine di quest'anno, con il
pacchetto originale di misure di rilancio da $800 miliardi che
incomincia a svanire. Summers ha sottolineato che la crisi
della zona euro ha acceso i riflettori sui pericoli della
spirale del debito pubblico, aggiungendo che le spese
pubbliche "facili" non hanno fatto che rimandare il giorno
della resa dei conti e lasciano gli Stati Uniti in balia dei
creditori esteri. In definitiva, "fallimento genera
fallimento", nella politica fiscale. Congdon ha detto che i
rischi che la politica dell'amministrazione Obama comporta
sono quelli di ripetere gli errori strategici del Giappone,
che ha spinto il debito a livelli pericolosamente alti con una
spinta fiscale dopo l'altra, durante il decennio battezzato
"Lost Decade". "La politica fiscale non funziona - ha
proseguito Congdon - gli Stati Uniti hanno appena provato il
piu' grande esperimento fiscale della storia ed hanno fallito.
Cio' che conta e' la quantita' di denaro. Se la Fed non
agisce, una recessione a doppia V diventera' una
certezza". Bernanke invece ormai non da' piu' peso ai dati
sulla massa monetaria M3. La banca centrale ha smesso di
pubblicare le cifre cinque anni fa, considerandole un elemento
troppo erratico per poter essere considerato utile. Ma
questo potrebbe rivelarsi un errore capitale, dal momento che
la crescita a due cifre dell'M3 durante la bolla immobiliare
Usa ha offerto un chiaro segnale di allarme di quanto la
situazione fosse fuori controllo. L'improvviso rallentamento
dello stock monetario tra l'inizio e la meta' del 2008 -
proprio quando la Fed iniziava a discutere di una eventuale
cambio di politica monetaria - ha fatto suonare un secondo
campanello d'allarme, indicando che l'economia stava per
rimanere impantanata in una fase di recessione. Anche Paul
Ashworth di Capital Economics ha detto che la contrazione
della massa M3 e' preoccupante, precisando che indica un
crescente rischio di deflazione. "L'inflazione core e' già la
piu' bassa dal 1966, quindi non abbiamo molto margine di
errore. La deflazione diventa una minaccia se si protrae
abbastanza a lungo da diventare radicata". Tuttavia,
Ashworth ha messo in guardia contro un'interpretazione
meccanica delle cifre dell'offerta di moneta. "Si potrebbe
anche sostenere che l'M3 e' in calo perche' la gente ha
prelevato i soldi dai propri conti bancari per reinvestirli in
azioni, investimenti immobiliari o altre attivita'". Gli
eventi presto ci diranno se questa contrazione e' benigna o
maligna. Una cosa e' certa: e' sicuramente impressionante.
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