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INDICE ARTICOLI

 

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Borse & Mercati

Gufo ad honorem

Macroeconomia - USA

E' iniziata la crisi. No l'economia USA tiene bene

Borse & Mercati immobiliare

Sotto le borse la bomba casa

Borse & Tassi

Borsa: denaro facile addio

Borse & Mercati

«Se crolla io compro»

Focus Immobiliare

Paranoie & verità sulla crisi immobiliare

Focus Immobiliare

La vera storia dei mutui subprime

 
 

+++   Forti vendite su tutte le Borse mondiali   +++   L'immobiliare USA spaventa le Borse   +++

  Giovedì  1  marzo 2007   Giovedì  01  marzo 2007   Sabato  3  marzo 2007  
       
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Wall Street: peggior settimana da Marzo 2003  
 

02 Marzo 2007  - 22.01 New York - di ANSA
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I listini azionari hanno chiuso una seduta molto volatile ancora in calo estendendo le forti perdite settimanali. L’indice industriale ha ceduto l'1% a 12112, l’S&P500 l'1.15% a 1387, il tecnologico Nasdaq e’ arretrato dell'1.51% a 2368. Le performance degli ultimi 5 giorni, caratterizzati da massicce vendite, sono rispettivamente di 4.3%, 4.4% e 5.8%. Si tratta della peggior settimana dal 5 marzo 2003.
Gli operatori restano molto nervosi dunque, dopo la serie di ribassi e di turbolenze a livello mondiale. Analisti tecnici e gestori discutono di correzione del 5 o del 10% come mai era successo negli ultimi tre anni.

Secondo qualche trader le perdite giornaliere avrebbero potuto assumere dimensioni maggiori: il diffuso umore negativo sta infatti pesando sugli investitori maggiormente avversi al rischio che avrebbero potuto optare per una improvvisa uscita dall’azionario in vista del weekend.
Il sentiment a Wall Street e' completamente cambiato nell'ultima settimana. "Il mercato ha avuto un attacco di cuore, ma ancora non si sa quanto grave e' stato", dice Art Cashin, un vecchio trader sul floor del NYSE. Gli operatori sono concentrati solo sulle notizie negative, e il fatto che lo smart money stia lasciando in massa gli investimenti speculativi per scegliere quelli a basso tasso di rischio (bonds) spaventa ancora di piu' il pubblico generico dei piccoli investitori e alimenta in loro lo spettro della fatidica correzione.

A dar una spinta al ribasso gia’ dall’avvio erano state le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve del distretto di St. Louis, William Poole, secondo cui l’economia americana crescera’ ad un tasso del 3% nel 2007, senza pero’ che possa essere escluso il rischio di una recessione, ipotesi gia' avanzata nei giorni scorsi dall’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan.
Maggiori pressioni sono poi state impresse dal deludente dato macro sulla fiducia dei consumatori attestatosi a livelli inferiori a quelli attesi dal mercato. Nel mese di febbraio l’indicatore e’ stato rivisto a quota 91.3 punti dai precedenti 93.3, in calo rispetto a gennaio.
Continua a preoccupare inoltre la faccenda dei carry-trade, ovvero delle operazioni di prestito della valute giapponese mirate al rinvestimento in asset a maggiore rendimento. Il recente rialzo dei tassi d’interesse da parte della BoJ sta spingendo al rialzo lo yen, rendendo piu’ onerose le esposizioni agli investimenti.
Nel comparto societario a soffrire maggiormente sono state le istituzioni finanziarie coinvolte nella cessione di credito sui mutui immobiliari. New Century Financial (NEW) ha ceduto oltre sette punti percentuali, giu’ anche Countrywide Financial (CFC) che ha comunicato un ritardo nei pagamenti del 2006.

 

 

Wall Street: pesanti vendite perdite oltre il 2% 
 

13 Marzo 2007 - 21.05 New York - di ANSA
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Giornata nel segno delle vendite a Wall Street causate dalle preoccupazioni relative al comparto del credito e ad un rallentamento dell’economia. Il Dow Jones ha perso l'1.97% a 12075, l’S&P500 il 2.04% a 1377, il Nasdaq e' arretrato del 2.15% 2350. Tra gli operatori continua a dominare l’incertezza e l’instabilita’ creatasi nel settore finanziario contribuisce a rendere maggiormente critica la situazione sui mercati. L’indice industriale e’ in calo di 670 punti dai massimi storici registrati lo scorso 20 febbraio.
L’allarme di default che sta sconvolgendo il comparto dei crediti immobiliari ad elevato rischio ("subprime") sta continuando a pesare sul sentiment degli investitori, mettendo in ginocchio i grossi istituti finanziari con elevata esposizione.
New Century Financial (NEWC), il cui titolo era stato sospeso dalle contrattazioni per eccesso di ribasso nell’ultima seduta, ha ricevuto una nota di delistamento da parte del Nyse che ha costretto l’azienda ad essere scambiata nel mercato meno prestigioso e regolato delle Pink Sheets. La societa’ e’ finita anche nel mirino degli investigatori: la Sec, organo di controllo della borsa Usa, ha aperto un indagine sulle attivita’ del gruppo.
In ribasso anche la rivale Countrywide Financial (CFC) che ha riconfermato le deludenti stime sugli utili trimestrali a causa delle insolvenze; la societa’ e’ stata costretta anche a ridurre la forza lavoro per 108 posti. In caduta libera (-60%) Accredited Home Lenders (LEND) dopo aver comunicato problemi di liquidita' che potrebbero spingere la societa’ alla "ricerca di alternative strategiche".
I forti ribassi giornalieri seguono il rapporto diffuso proprio in mattinata relativo all' andamento delle insolvenze, il cui tasso ha toccato un record del 4.94% nell’ultimo trimestre, in progresso dal 4.67% dei tre mesi precedenti.
Le vendite hanno colpito maggiormente i comparti bancario e brokeraggio; JP Morgan (JPM), American Express (AXP) e Citigroup (C)hanno guidato i ribassi all’interno del Dow Jones. In forte calo anche il colosso dell’auto General Motors (GM) il cui braccio finanziario GMAC potrebbe risentire sensisbilmente della crisi del comparto. Gli unici titoli dell’indice industriale in grado di chiudere in territorio positivo sono stati 3M (MMM) e AT&T (T).
Un ulteriore elemento di preoccupazione per gli investitori e’ stato rappresentato dai deludenti dati macroeconomici diffusi in mattinata. Con il mercato gia’ dubbioso sul passo della crescita economica, ad infierire maggiormente sono stati i numeri relativi alle vendite al dettaglio di febbraio, attestatisi a livelli inferiori al consensus, sollevando ulteriori preoccupazioni sul rallentamento economico. L’indicatore e’ salito di un modesto 0.1% contro lo 0.3% atteso; in calo -0.1% la versione "core" in controtendenza con le stime degli analisti.
 

 

 

 

 

 

   Gufo ad honorem

7 Marzo 2007 Milano - di Francesco Arcucci  
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L’elenco dei rischi e degli eventi negativi cui i mercati azionari hanno reagito in questi anni con una scrollata di spalle, da quando il 10 Ottobre 2002 essi hanno terminato la severa fase di ribasso dei prezzi iniziatasi nel 2000, è straordinario e lunghissimo.
Ricordiamo in particolare l’attentato terroristico di Madrid dell’11 marzo 2004, quello di Londra del 7 luglio 2005, le notizie sui media che giorno dopo giorno hanno sottolineato il pantano in cui gli Stati Uniti si sono cacciati in Iraq e Afganistan, i disastri naturali dello Tsunami del 26 dicembre 2004 e quello dell’uragano Katrina del 26 agosto 2005, i rischi energetici con il rialzo del prezzo del greggio fino a quasi 80 dollari il barile, lo squilibrio straordinario della bilancia dei pagamenti correnti degli Stati Uniti e la debolezza del dollaro contro euro congiunta con la forza della moneta americana contro yen, il livello di indebitamento delle famiglie statunitensi reso ancora più pericoloso dallo scoppio, per ora non fragoroso, della bolla immobiliare, il tasso di risparmio negativo in America, l’insicurezza e la scontentezza della classe media di fronte alle crescenti ineguaglianze indotte dalla globalizzazione, la debolezza dei leader del mondo occidentale che appaiono come altrettante "anatre zoppe" negli Stati Uniti e nelle altre grandi democrazie.

In altri periodi anche una sola di queste circostanze avrebbe potuto far crollare i mercati azionari, ma da qualche tempo non è più stato così e il rimbalzo dei prezzi delle azioni è stato grandissimo. Esso dura da quattro anni e quattro mesi e molti indici di borsa hanno registrato addirittura valori ancora più elevati dei cosiddetti prezzi folli della primavera del 2000.
Inoltre, l’ondata di grande fiducia ha ridotto ai minimi i costi del rischio di insolvenza che pagano le aziende e i Paesi meno accreditati per potersi indebitare sui mercati. E’ ai minimi storici anche la volatilità dei mercati azionari e obbligazionari che si può ricavare dai prezzi dei derivati.
Tutti sanno che, in teoria, le fasi di maggior ottimismo dei mercati sono storicamente quelle di più grande pericolo, ma, poiché negli ultimi anni gli investitori che hanno dato ascolto ai propri timori e agli analisti pessimisti si sono sbagliati, è ormai invalso l’uso, in pratica, di non credere più ai richiami alla prudenza dei commentatori non ottimisti che vengono considerati spesso sciocchi profeti di sventura, incapaci di avere in mano il polso dei mercati azionari, dove le prospettive di rialzo dei prezzi sembrano ormai una sorta di diritto acquisito o di diritto di nascita.

Eppure la configurazione dei prezzi delle azioni e il ritmo temporale che l’accompagna trasmettono un altro messaggio e cioè che, dopo il picco del Dow Jones del 20 febbraio 2004 (con susseguente caduta di 1000 punti da 10500 a 9500), dopo quello del 4 marzo 2005 (anche qui la flessione fu di circa 1000 punti da 11000 a 10000) e dopo quello dell’8 maggio 2006 (da 11700 a 10700) siamo in presenza in questi giorni di un altro picco che si sta manifestando intorno a 12800 del Dow Jones e che conclude, appunto dopo 4 anni e 4 mesi di rialzo, tutta la fase di ritracciamento verso l’alto dai minimi dell’ottobre 2002 della precedente caduta e dischiude la porta ad un muscoloso bear market.
E’ vero che già in occasione del 20 febbraio 2004, del 4 marzo 2005 e soprattutto dell’8 maggio 2006, chi scrive aveva creduto nella fine del rimbalzo. Tuttavia attualmente la struttura tecnicomatematica del mercato di New York è molto più chiara e limpida che nei casi precedenti. Non segnalarla ai lettori sarebbe un vero peccato.
Prezzi e tempi si sono dati appuntamento in una sinfonia di elementi e di simmetrie che nella mia vita di analista dei mercati finanziari raramente erano state così chiari. In altre parole, i sintomi della fine del rialzo sui mercati azionari sono numerosi, concordanti e circostanziati. Il grande rimbalzo durato 1600 giorni (risalente appunto al 10 ottobre 2002) è terminato o sta terminando in questi giorni, aprendo la strada ad uno scenario brutto, molto più in linea con la preoccupazione che devono ispirare gli eventi e i rischi menzionati, che con l’ottimismo inossidabile manifestato dai mercati e dagli operatori negli ultimi 52 mesi.
 

Fonte - Affari & Finanza

 

 

 

 

   E' iniziata la crisi. No, l'economia USA tiene bene 

13 Marzo 2007 New York - di Maria T. Cometto    
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L' unica certezza è il nervosismo dei mercati. Per il resto non c'è accordo fra gli esperti su come leggere le statistiche che dovrebbero far capire lo stato di salute dell'economia e della finanza americane e mondiali. Secondo i pessimisti, è appena iniziato lo scoppio della bolla immobiliare negli Usa (e anche in altri Paesi), che provocherà l'atterraggio brusco degli States e del resto del mondo, dando il «la» a una nuova fase di ribasso per Wall Street e per le altre Borse. Gli ottimisti ribattono che invece l'attuale crisi è simile a quella della primavera dell'anno scorso, quando i mercati crollarono a maggio per poi risalire robustamente dall'estate in poi.
«Questo non è un eccesso temporaneo di volatilità e turbolenza come è stato nelle primavere 2005 e 2006, ma è frutto di un vero e serio rischio di hard landing degli Usa - ribatte Nouriel Roubini , economista capofila del fronte di chi vede nero e animatore del sito www.rgemonitor.com -. I mercati finanziari stanno reagendo ai dati fondamentali che mostrano un'economia Usa seriamente indebolita e alla dipendenza dell'economia globale dal ciclo americano. Quindi questo è l'inizio di una massiccia caduta dei listini dopo un periodo di eccessiva liquidità, bolle in diversi settori e sottovalutazione dei rischi». Secondo Roubini tutto parte dal mercato immobiliare americano, dove i prezzi hanno smesso di salire e in diverse aree sono già in discesa: la costruzione di nuove case e le vendite sono «in caduta libera» e i prezzi crolleranno per altri tre anni.

La «recessione della casa» ha già iniziato a contagiare altri settori, dall'auto a tutta l'industria manifatturiera. Le difficoltà delle finanziarie che fino a ieri hanno erogato mutui, e prestato soldi anche a clienti a rischio, sono comuni a molte altre banche e scateneranno una stretta creditizia generale. Le famiglie, che non possono più usare la casa per estrarne soldi (con i finanziamenti garantiti dalle ipoteche), taglieranno i consumi. Il petrolio a 60 dollari, pur inferiore ai massimi dell'anno scorso, è caro in questo clima di debolezza economica e produrrà ulteriori effetti negativi. La Federal Reserve (Banca centrale Usa) abbasserà il costo del denaro, ma questo non garantirà di evitare la recessione: il taglio dei tassi dal 6,5 all'1% non ci riuscì nel 2001.
«Le aspettative degli investitori per il taglio dei tassi della Fed potranno alimentare un temporaneo rally delle Borse, ma alla fine le azioni crolleranno - continua Roubini -. Tipicamente l'indice S&P500 scende del 28% durante una recessione Usa. Ma tutti i tipi di investimenti rischiosi saranno sotto pressione, dai mercati emergenti alle obbligazioni ad alto rendimento, comprese le materie prime. L'unico impiego sicuro saranno i titoli di Stato, meglio se non americani, perché anche il dollaro crollerà». Infine Roubini invita a prepararsi a una crisi finanziaria globale, simile a quella scatenata nel 1998 dal fallimento dell'hedge fund Ltcm. Spaventati? Per consolarvi si può ricordare che Roubini prevede gli stessi disastri già da qualche anno. E che altri la pensano molto diversamente.

«Il rallentamento dell'economia è in corso, ma una recessione appare ancora improbabile», sostiene per esempio Jason Trennert , analista di Strategas research , citando come prova l'ultimo Libro Beige pubblicato dalla Fed. Il rapporto, che disegna un quadro geograficamente variegato della situazione economia degli States, mostra che in parecchi distretti i prezzi immobiliari sono calati e continuano a scendere, ma in altri si sono invece stabilizzati e il fenomeno riguarda il mercato residenziale, mentre quello commerciale continua a crescere.
Sempre secondo il Libro Beige , il mercato del lavoro è piuttosto tirato: in diversi distretti c'è carenza di lavoratori qualificati e si registra un modesto aumento dei compensi, non tale però da causare pressioni inflazionistiche. Le ultime statistiche governative sull’aumento mensile dei posti di lavoro - più 97.000 in febbraio - sono tutt’altro che un segnale di recessione, ribadisce Trennert.
«Per capire dove andrà la Borsa, bisogna ricordare i dati fondamentali, che sono i tassi d'interesse e i profitti aziendali - spiega l'analista -. I rendimenti dei Treasury bond sono sempre molto bassi, attorno al 4,5% sia per i titoli decennali sia per i biennali. E i profitti continuano a crescere, 5,4% quest’anno, anche se non al ritmo elevatissimo (10% e oltre) degli anni scorsi. A questi livelli il prezzo delle azioni dell'indice S&P500 è solo 14,9 volte gli utili del 2007. Valutando che un rapporto equo sarebbe di 17 volte, c'è spazio per un aumento dei prezzi del 15%».  
 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

   Sotto le borse la bomba casa

15 Marzo 2007 Torino - di Mario Deaglio   
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Subprime. Questo termine americano, che ricorda vagamente il nome di un farmaco, indica in realtà un virus potentissimo che si è abbattuto inaspettatamente sulla Borsa americana con conseguenze preoccupanti per l’assetto generale del sistema finanziario mondiale. Nel gergo bancario americano, sono chiamati subprime (cioè «di serie B») i mutui per l’acquisto di un’abitazione concessi a beneficiari con precedenti creditizi non eccellenti: a persone, cioè, con un passato di pagamenti ritardati o non eseguiti che presentano quindi un livello di rischio più elevato del normale.
Il numero dei mutui subprime non onorati dai debitori è aumentato improvvisamente e sarebbero oltre due milioni le famiglie americane, generalmente di modeste condizioni economiche, che, siccome non ce la fanno con le rate, rischiano di perdere la casa in un Paese dove lo sfratto viene eseguito senza tanti complimenti. Nel clima di grande durezza sociale dell’America attuale questo non sarebbe considerato un gran male, ma il fatto è che questi mancati pagamenti rischiano di mandare in dissesto le società finanziarie, spesso collegate a banche, che ne sarebbero duramente colpite. E potrebbe riflettersi sulla stabilità dell’intero sistema creditizio. È questa la prospettiva che fa tremare Wall Street, ha fatto rimangiare in un paio di settimane i rialzi di sei mesi e smentito nettamente le previsioni rassicuranti di un 2007 di tranquilli rialzi.

Ma perché mai i finanzieri americani sono andati a prestare consistenti quantità di denaro a persone che non avevano tutti i requisiti per essere dei buoni debitori che onorano il loro debito e sono puntuali nelle rate? I motivi sono due.
Il primo motivo dipende dalle condizioni del mercato edilizio: quando questi prestiti sono stati concessi il prezzo delle case saliva allegramente e il mutuante poteva ragionevolmente pensare che, se il mutuatario non avesse pagato, si sarebbe ripreso la casa e l’avrebbe subito rivenduta con profitto; il secondo dipende dalle condizioni dei mutuatari. Dietro la smagliante facciata di un’America in buona salute economica, una quota importante del reddito si è spostata verso i profitti, il potere d’acquisto di molti salari si è ridotto ed è aumentato il numero delle famiglie in difficoltà finanziaria.
Per correre ai ripari, le istituzioni finanziarie rischiano di farsi del male con le loro stesse mani e di farne all’intero sistema: da un lato sono oggi molto più caute nel concedere i mutui, e quindi contribuiscono all’indebolimento della domanda di nuove abitazioni, dall’altro fanno aumentare l’offerta mettendo sul mercato le abitazioni degli sfrattati. Per conseguenza, la tendenza alla discesa dei prezzi degli immobili accelera e così le perdite di chi si rifà di crediti non pagati vendendo le case dei debitori morosi.

La soluzione è ben difficile da trovare; una via potrebbe essere quella, avanzata da un parlamentare democratico, di un pubblico sussidio ai mutuatari in difficoltà; essa metterebbe però in crisi l’intera filosofia del capitalismo americano attuale nella quale i pubblici sussidi hanno pochissimo spazio. Ed è comunque curioso che questo capitalismo, tutto orientato alla ricchezza, stia scivolando su una buccia di banana rappresentata dai segmenti più poveri della popolazione.
Da Wall Street la tendenza ha immediatamente contagiato le Borse europee, più per effetto di imitazione che per la presenza di condizioni simili. In Asia questa spinta al ribasso si è aggiunta a una ben più naturale correzione dopo un rialzo intenso e prolungato.
In realtà non c’è alcun vero motivo per cui la crisi dei mutui si debba estendere all’Europa e all’Asia, dove le situazioni sono molto diverse; in Europa, in particolare, la sorveglianza sull’operato delle istituzioni finanziarie è probabilmente più severa che in America. Eppure le Borse non americane, compresa quella italiana, stanno scendendo per la paura generica che il motore americano si fermi e che l’intera espansione mondiale subisca una brusca e dolorosa battuta d’arresto.
Questo è tecnicamente possibile ma richiederebbe una serie incredibile di errori da parte delle autorità monetarie. La paura di questi giorni presenta quindi le caratteristiche di uno sgomento irrazionale, così come era stata irrazionale l’esuberanza borsistica degli anni d’oro del boom americano. Se c’è una vittima di questa situazione - e speriamo che sia l’unica - questa è la reputazione dei mercati finanziari, soprattutto americani, di essere in grado di operare delle scelte informate, fredde, razionali; e quindi «giuste». 
 

Fonte - La Stampa

 

 

 

 

 

 

USA: NUOVO ALLARME GREENSPAN, CRISI MUTUI SI ALLARGHERA'
 

15 Marzo 2007  - 22.01 Roma - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 15 MAR - La crisi dei mutui ipotecari che sta colpendo gli Usa probabilmente si allargherà all'intera economia, specie se i prezzi delle case cominceranno a scendere. L'allarme viene dall'ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan: l'ex guru della finanza, che prima di fare il banchiere centrale e il consulente del governo Ford era specializzato in previsioni economiche, torna a sollevare lo spettro di un contagio all'intera economia da parte dei default dei mutui 'subprime', dopo aver avvertito gli investitori per ben tre volte, nell'ultimo mese, che gli Stati Uniti potrebbero vedere una recessione economia quest'anno. "Se i prezzi (delle case, ndr) scenderanno - ha spiegato Greenspan durante un convegno a Boca Raton, in Florida - avremo dei problemi, nel senso di un effetto a catena in altri settori economici", ha spiegato Greenspan. "Non è un piccolo problema", ha aggiunto. Alla voce di Greenspan, oggi, si è aggiunta quella di Merrill Lynch: in un report, un economista della banca centrale ha avvertito che ella sua nota agli investitori Rosenberg rileva che gli Usa finiranno probabilmente in recessione se la Fed non taglierà i tassi d'interesse. Le insolvenze sui mutui 'subprime', infatti, probabilmente avranno inevitabili ripercussioni anche sulla spesa edilizia e sulla crescita dei consumi complessivi. Al contrario, dalla Fed arrivano segnali rassicuranti: l'attuale presidente, Ben S. Bernanke, ai primi del mese, ha escluso che le insolvenze dei mutui possano avere un effetto a catena sull'intera economia, e ha detto di aspettarsi che la crescita economica acceleri.(ANSA).
 
 

Fonte - ANSA


 

 

 

 

 

  Mercoledì  7  marzo 2007   Giovedì  8  marzo 2007   Martedì  13  marzo 2007  
       
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GR1 RAI - 06 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 08 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 12 MAR ore 23:00

   

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JIM ROGERS PREVEDE UN CRASH IMMOBILIARE  
 

17 Marzo 2007  - 22.01 New York - di WSI
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Il guru delle commodities Jim Rogers segue le orme di Alan Greenspan, prevedendo un crash del mercato immobiliare negli Stati Uniti che inneschera' fallimenti a catena per via dei mutui "subprime" e contagera' i mercati emergenti.
"Non potete neanche immaginare quanto brutta sara' la situazione, prima che migliori" ha detto Rogers alla Reuters in una telefonata da New York. "Sara' un enorme disastro", ha specificato l'ex co-fondatore (con Geroge Soros) di Quantum, il primo degli hedge fund risalente agli anni '70. Rogers crede in quel che dice, visto che ha appena messo in vendita la sua townhouse ad Harlem (New York) del valore di $15 milioni (senza peraltro riuscire a venderla) mentre sta organizzando il suo trasferimento in Asia.

Riguardo al crash del mercato immobiliare negli Stati Uniti che inneschera' fallimenti a catena e contagera' i mercati emergenti (e quindi anche l'Europa) Rogers ha spiegato: "In questo momento c'e' un gigantesco eccesso di speculazione sui mercati emergenti in tutto il mondo. Una gran quantita' di denaro fuggira' tutta insieme dai mercati emergenti. Alcune delle borse crolleranno dell'80%, altre del 50%. Altre ancora molto probabilmente collasseranno".

Jim Rogers, il re delle materie prime, vende casa a New York (comprata ai minimi) e fa vela verso l’Asia. «Il 2007 sarà l’anno delle commodity agricole». Il solo mercato appetibile oggi è quello di Tokyo. Vivere a Shanghai o Pechino? Certo.
''Fenomeni di questo genere durano decenni'', assicura Jim Rogers, celebre ex gestore del Quantum Fund (con Soros). Vendere oggi - dice - sarebbe come aver venduto le azioni americane nel 1985 dopo soli 5 anni di toro. Al via i certificati...

 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

   Borsa: denaro facile addio 

19 Marzo 2007 Milano - di Giuseppe Turani   
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Le correzioni e gli scossoni delle borse nelle ultime settimane stanno preoccupando chi era convinto che i mercati potessero solo salire. Negli Stati Uniti c´è chi dice che starebbe per scoppiare la bolla immobiliare che si è progressivamente ingrandita negli ultimi dieci anni. In realtà un segnale non semplice da leggere è arrivato dai cosiddetti mutui sub prime, cioè quelli concessi a debitori che in fondo hanno solo la casa da dare in garanzia.

Una recente ricerca di Merril Lynch stima in 800 miliardi di dollari questo mercato ma indica in quattro trilioni di dollari l´importo che le borse hanno perso nelle ultime settimane. Sono cifre enormi, ma che fanno pensare alla relativa pochezza del mercato dei mutui sub prime ed infatti se anche tutte le società che li erogano dovessero fallire in fondo la perdita sarebbe ben inferiore alla recente correzione.
Se questi numeri hanno senso - e l´autorevolezza della fonte porta a pensare che l´abbiano - vuol dire che il rischio per le borse non è certo li. Forse il mercato aveva ed ha bisogno di un alibi per correggere il proprio trend dopo quattro anni di salite e una volta trova le frasi di Greenspan sulla recessione, una volta i mutui, la prossima chissà.
Ma in realtà un mercato come questo, che non si è accorto di un costo del petrolio passato da 20 ad 80 dollari e che ha avuto solo voglia di salire, a parte la correzione che sta cercando in questi giorni, se non succedono veramente fatti stravolgenti, continuerà a crescere.
«Anche perché si è capito bene in tutto il mondo - dicono gli gnomi di Wall Street - che i tassi non saliranno di molto -. Anzi, se ha ragione Greenspan, magari in Usa scendono anche, verso fine anno - per cui investitori e risparmiatori spostano progressivamente liquidità dall´obbligazionario all´azionario, addirittura agli hedge fund e al private equity. E questa è tutta benzina per le borse». Ciò vuol dire che siamo vaccinati da perdite ed ultravaccinati dai tanto temuti crolli? No di certo. Prima del primo storno del mercato, le borse devono correggere di un 10-12 per cento circa per tornare su fondamentali di sicuro trend positivo.

Quando ci sarà questo calo? Non lo sa nessuno. Però è bene che ci sia, ed anche presto. E con questo rischio dietro l´angolo c´è da stare attenti in quanto le recenti diminuzioni dei listini sono state brusche, decise, con accelerazioni in giornata del tutto impreviste. E ciò perché le posizioni finanziate a debito - i soliti carry traders - sono sempre molte e quando il titolo sottostante scende chi ha dei debiti a fronte è costretto a vendere. Una cosa però è certa e cioè che la corsa ai mutui è finita, che le banche devono ormai darsi una regolata nel prestare soldi a fronte di case, televisori, auto, credito al consumo in genere.
Una recente statistica ha dimostrato che anche in Italia i tassi sul credito al consumo hanno raggiunto livelli sopra al 20 per cento roba da usura, si direbbe. E infatti la legge sull´usura c´è ma non funziona perché i tassi di questa categoria anche sopra al 20 per cento sono incredibilmente ammessi. E forse sarebbe il caso che qualcuno ci mettesse gli occhi. In tutto il mondo le banche possono permettersi anche grosse perdite sui mutui e sui piccoli crediti perché guadagnano talmente tanto da potersi consentire molte insolvenze.
Però è un gioco pericoloso, che credo stia per finire. Non a caso le maggiori perdite di questi giorni a Wall Street sono state di JPMorgan, Citigroup ed altre grandi banche, che devono cominciare a preoccuparsi e che stanno notevolmente aumentando i fondi rischi nei bilanci. In questo modo uno settori più redditizi di questi ultimi anni sta vivendo un po´ di battute d´arresto, certamente salutari. E questo metterà un ulteriore freno ai rialzi di borsa. Insomma, momento non facile, di transizione, un po´ da vivere sulla riva del fiume sperando che l´onda passi presto, si porti via un bel po´ degli eccessi degli ultimi anni e ci faccia stare tranquilli per un certo tempo.

In conclusione, nonostante tutto le Borse hanno voglia di salire e lo faranno (secondo gli operatori più scatenati). Solo che è cambiato lo scenario. Fino a ieri il consumatore americano sapeva di poter trovare tutto il denaro che voleva e a buon mercato. Adesso, comincia a non essere più così. Solo che la congiuntura americana si è retta in tutti questi anni di boom (l´era Greenspan) proprio sulla disponibilità quasi infinita di soldi a basso prezzo. Sarà ancora così nei prossimi mesi? Forse no.
Inoltre, in gennaio sono arrivati brutti segnali dall´industria manifatturiera americana. E anche l´inflazione ha rialzato un po´ la testa. Infine la situazione internazionale non è delle più tranquille con una guerra guerreggiata alle porte (Afganistan). Lo scenario, come si vede, è molto cambiato e quindi è possibile che l´ottimismo senza prudenza alcuna degli operatori più decisi a fare anche questo ultimo giro. Tutto lascia pensare che, come dicono a Wall Street, dopo un´altra botta, ogni cosa possa tornare come prima. E i movimenti del mercato (appena descritti) lasciano appunto pensare questo. Ma potrebbe esserci una sorpresa nel giro di qualche. Meno utili e più difficoltà nell´economia americana.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

   «Se crolla io compro» 

20 Marzo 2007 Milano - di Vincenzo Sciarretta    
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«È in atto una radicale rivalutazione del rischio - dice David Kotok, presidente e gestore della Cumberland Advisors - Fintanto che il processo si svolgerà, le azioni resteranno sull’ottovolante con fluttuazioni ben maggiori di quelle sperimentate mediamente nel periodo 2003-2006». «Sono però convinto - aggiunge Kotok - che ogni scivolone profondo dai livelli attuali costituisca un’eccellente occasione di acquisto per gli investitori pazienti».
I conti sono presto fatti: i titoli inclusi nell’indice S&P500 portano in dote utili pari al 6,25 della capitalizzazione di Borsa. Messe a confronto, le obbligazioni governative decennali garantiscono il 4,55 per cento. Insomma, chi rinuncia a tenere nel reddito fisso i propri risparmi e li canalizza verso Wall Street, intasca un extraguadagno dell’1,7%, a cui dovrà sommare, nei prossimi 10 anni, il normale ritmo di espansione degli utili e dei dividendi.

«Ecco perché - continua Kotok - ad alleggerire le mie posizioni non ci penso proprio. Semmai le aumenterò qualora i prezzi dovessero colare a picco in risposta a paure transitorie come quelle legate all’immobiliare, alla fine del carry trade sullo yen o anche alla stretta delle condizioni del credito in Cina». Il nostro «guru», come molti suoi colleghi, inquadra il nervosismo delle ultime due settimane nella logica di una normale correzione, che riporterà in equilibrio il trend rialzista.
I sintomi che questo possa essere lo scenario più convincente si moltiplicano. Ad esempio, secondo David Coleman, consulente di Argus: «Le vendite da parte degli insider si vanno assottigliando». Lo zenit è stato raggiunto nel mese di febbraio, quando amministratori, direttori e azionisti di rilievo hanno scaricato i loro pacchetti di titoli a piene mani. «Gli insider - aggiunge Coleman - beneficiano del miglior punto di osservazione possibile per valutare i fondamentali delle compagnie, sicché quando si impegnano in vendite massicce non è mai un buon segno. Adesso il sentiment di questi attori del mercato è in miglioramento, anche se non ha ancora toccato i livelli generalmente associabili a una ripresa degli indici azionari».

Se l’umore dei «bene informati» vira gradualmente in territorio positivo, i piccoli risparmiatori stanno sprofondando nel pessimismo più cupo. Conferma Ian Scott di Lehman Brothers: «I riscatti dai fondi comuni d’investimento hanno doppiato il passo del giugno 2006, quando gli investitori individuali scappavano a gambe levate». Allora però i piccoli rimasero a bocca asciutta: non fecero a tempo a rientrare quando le Borse riconquistarono velocemente il bull market.
Non è certo un fatto inusuale. In base ai calcoli di Scott, i riscatti massicci dai fondi comuni spesso coincidono con i punti di minimo della Borsa. Sul fronte dei rischi, diverse case di brokeraggio (Société Générale, Bank of America, Credit Suisse e parecchie altre), stanno abbassando le stime relative alla crescita degli utili. Ciò vale sia per i listini americani che per quelli europei.
Infine, Gaetano Oteri, un veterano di Piazza Affari, segnala i pericoli connessi all’eccesso di liquidità in circolazione: «È trascorso un anno da quando la Fed ha deciso inopinatamente di cancellare l’andamento della massa monetaria dal novero delle statistiche ufficiali, eppure tutti sanno che lievita a un tasso ben maggiore rispetto alle esigenze del sistema dei pagamenti». La tendenza è confermata in Europa, dove invece la statistica esiste. Insomma, in un modo o nell’altro, il sentiero di crescita della moneta deve essere ricondotto entro limiti più stringenti se si vuole evitare l’inflazione: «E ciò non può che penalizzare il mercato azionario», conclude Oteri. Ci si può però consolare: le opinioni divergono, ma trovano anche un filo conduttore. Se la Borsa cala parecchio è il momento di comprare. 
 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza

 

 

 

   Paranoie e verità sulla crisi immobiliare

20 Marzo 2007 Milano - di Alessandro Fugnoli   
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Supponiamo che tutti, ma proprio tutti quelli che in America hanno ottenuto un mutuo subprime nel 2005 e 2006 si siano messi d’accordo e abbiano deciso in un’assemblea infuocata e preinsurrezionale di non ripagare più nemmeno un centesimo. Supponiamo anche (partendo dall’ipotesi da salotto Ancien Régime che i poveri siano malvagi, invidiosi, perfidi e rancorosi) che l’assemblea abbia deciso di opporre resistenza agli ufficiali giudiziari che verranno a mettere i sigilli e in ogni caso, quando verrà il momento di cedere, di dare alle fiamme la casa che si dovrà abbandonare, così da azzerare completamente il suo valore di mercato.

Bene, il danno così prodotto ammonterebbe a 750 miliardi di dollari (nostra elaborazione su dati della Federal Reserve). Quanto hanno perso le borse mondiali in queste due settimane? Quasi quattro trilioni, più di cinque volte tanto.
Teniamo a mente queste cifre, perché nelle prossime settimane la caccia al finanziatore di mutui subprime sarà spietata. Come nelle grandi epidemie di paranoia, chiunque sarà sospettabile. Si partirà (si sta già partendo, ovviamente) dalle finanziarie e dalle banche regionali americane, si proseguirà con le grandi banche commerciali e d’investimento di tutto il mondo che potrebbero avere finanziato le prime.
Poi si spediranno avvisi di garanzia a tutte le finanziarie che potrebbero avere comprato questi mutui, facendone proprio il credito. Poichè molte di queste avranno cartolarizzato i mutui e li avranno rivenduti a fondi pensione, fondi d’investimento e perfino privati cittadini, praticamente nessuno sarà escluso dalle liste dei sospetti. Qualcuno dirà poi che, per elementare prudenza, il valore azionario di chiunque andrà abbassato, nell’ipotesi, non si sa mai, che abbia nei mesi scorsi venduto tutto quello che aveva per comprare questi crediti ormai inesigibili.
Che sia giusto sospettare di chiunque è confermato dalle prime confessioni. Perdite da mutui per 650 milioni sono state trovate nelle casse della General Motors, che nella mente dei semplici viene ancora collegata alle automobili, ma che per tentare di sopravvivere fa finanza come tutti. Nulla o quasi è stato invece rinvenuto nelle grandi banche d’investimento di Wall Street, che hanno appena comunicato utili record, ma il loro valore di borsa è stato punito lo stesso. Non si sa mai.
Non dimentichiamo però che la perdita massima del sistema, nell’ipotesi apocalittica che abbiamo formulato, resta di 750 miliardi. Scendendo adesso su un piano di verosimiglianza, i quattro quinti dei mutui subprime verranno onorati (attualmente è pagato puntualmente l’87 per cento). Per di più, le case reclamate agli insolventi varranno ancora qualcosa, si presume. Certo, visto che abbandoniamo l’ipotesi che vengano date alle fiamme, queste case rimesse in vendita deprimeranno il mercato, ma in termini di valore si tratterà di case piccole e poco pregiate.
Non vogliamo con questo passare per ottimisti a oltranza. Il mercato immobiliare mondiale vale il doppio del mercato azionario (è un’anomalia degli ultimi anni, storicamente il loro valore è sempre stato grosso modo simile) e qualsiasi suo problema può teoricamente diventare un problema di tutti. Detto questo, vorremmo fare qualche osservazione.

1) Il ridimensionamento dell’immobiliare è stato preannunciato da Greenspan quando ancora era governatore e ribadito come previsione da Bernanke. E’ per di più un ridimensionamento voluto, in particolare negli Stati Uniti. Il progetto è di fare scendere lentamente le quotazioni degli immobili, fare sentire leggermente più poveri i proprietari, farli consumare un po’ meno, fare crescere gli Stati Uniti meno degli altri paesi e per questa via contenere prima e poi ridurre il disavanzo americano delle partite correnti.
Il piano può naturalmente non riuscire perfettamente. Sono manovre difficili e delicate, qualcosa può sfuggire di mano. Finora, ad esempio, manca all’appello la ripresa degli investimenti produttivi, cui la Fed, giustamente, tiene molto. In compenso, la riduzione del disavanzo delle partite correnti sta prendendo velocità, grazie al boom delle esportazioni (che compensa almeno in parte, in termini di Pil, il rallentamento dei consumi). Correggere lentamente il disavanzo senza passare per una recessione o una megasvalutazione richiede pazienza, collaborazione internazionale e abilità. Finora non ci si era mai nemmeno provato.

2) Le borse avevano comunque bisogno di correggere. Non è questione di Shanghai (già dimenticata) e nemmeno di carry trade (le oscillazioni dello yen sono in questi giorni controllatissime e non giustificano certo da sole quello che accade sull’azionario).
I subprime sono un pretesto migliore ma, come abbiamo visto, non possono spiegare più di tanto. Resta dunque un’esigenza tecnica di ridimensionamento (con il rituale del test dei minimi perfettamente rispettato) con in più, sullo sfondo, l’ipotesi di un rallentamento importante della crescita degli utili, che impone una discesa una tantum delle quotazioni, non un bear market. Ci sembra del resto che le borse stiano ripercorrendo le famose tre C di Byron Wien (complacency, cautela e capitolazione) e che siano entrate nella terza fase, quella della paura e questo, di per sé, è incoraggiante. Il pavimento è pieno di detriti, occorreranno settimane per ripulire, una volta fatto ordine si andrà avanti molto adagio ma questo non è, lo ripetiamo, l’inizio di un bear market.

3) Non è l’inizio di un bear market perché le quotazioni non sono più sopravvalutate (questo lo dicono negli ultimi giorni anche i policy maker) ma soprattutto perché l’economia mondiale non è alla vigilia di una crisi. Ci sembrano sufficienti questi tre elementi, tutti degli ultimi due giorni. Il primo è Weber della Bundesbank, che stima temporaneo il rallentamento tedesco del primo trimestre, prevede per quest’anno una crescita che sfiorerà il due per cento e per il 2008 dice che si andrà tranquillamente oltre.
Il secondo elemento è dato dalle previsioni Ocse. L’Ocse è spesso la più arcigna tra i grandi istituti di ricerca e questo contribuisce a renderla interessante. L’Ocse prevede per il trimestre in corso una crescita G7 certamente inferiore a quella del fortissimo quarto trimestre, ma superiore a quella del terzo trimestre 2006, un periodo in cui le borse recuperarono molto bene dopo la correzione di maggio. Per il secondo trimestre che sta per cominciare ci sarà poi una piccola accelerazione. Altro elemento interessante, l’Ocse si unisce al Fondo Monetario nel chiedere al Giappone di non alzare i tassi, anche se questo dovesse creare problemi ai mercati (ovvero spingerli a riprendere alla grande il carry trading sullo yen).

Il terzo elemento è dato dalle anticipazioni Reuters del World Economic Outlook semestrale del Fondo Monetario che sarà pubblicato nei prossimi giorni. Può darsi che quelli del Fondo, pur seguendo minuziosamente con il microscopio tutti i paesi del mondo (è appena uscito il report su San Marino), non si siano accorti della questione dei mutui subprime. Sta di fatto che, secondo le anticipazioni, la crescita globale per il 2007 e 2008 è mantenuta al 4.9 per cento, poco sotto il 5.3 dello scorso anno.
Il Fondo, evidentemente distratto da San Marino e dalle Isole Tonga, ha tenuto inalterata la stima 2007 di tre mesi fa e questo ci sembra molto degno di nota. Notiamo per inciso che, sulla base di queste stime, il Pil mondiale reale a fine dicembre 2008 sarà del 31 per cento più alto rispetto a quello del primo gennaio 2003. Il mondo sarà cresciuto di quasi un terzo in sei anni, una cosa straordinaria, che in epoca non postbellica ha un precedente solo negli anni 1934-39 successivi alla Grande Depressione.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Abaxbank

 

 

 

 

 

Wall Street: in rally spinta dalle operazioni di M&A 
 

19 Marzo 2007 - 21.05 New York - di ANSA
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Dopo i cali della scorsa settimana a Wall Street sono tornate a prevalere gli acquisti. La forza dei mercati asiatici ed europei e il flusso di accordi societari, per un valore complessivo superiore ai $10 miliardi, hanno permesso agli operatori di accantonare le preoccupazioni sul rallentamento economico e sui mutui ipotecari. Il Dow Jones e’ avanzato dello 0.95% a 12225, l’S&P500 dell'1.09% a 1402, il Nasdaq ha guadagnato lo 0.92% a 2394.
Il fatto che oggi i titoli finanziari abbiano partecipato al rally evidenzia un segnale incoraggiante, risaltando alcuni fattori di ripresa del comparto dopo che la recente vicenda dei mutui ipotecari aveva messo in ginocchio grossi istitui di credito. All’interno dell’indice industriale American Express (AXP), Citigroup (C) e JP Morgan (JPM) hanno messo a segno rialzi di tutto rispetto.
Ma il catalizzatore alla base del rialzo odierno e’ rappresentato dalle numerose operazioni di fusioni ed acquisizioni, un classico del lunedi’ e come al solito un segnale incoraggiante per le borse. Fonti informate sui fatti riportano che il gruppo inglese Barclays PLC (BCS) abbia avviato le trattative per l’acquisto della banca olandese ABN Amro (ABN). La proposta sembra aver sollevato l’interesse di altre banche europee tra cui ING Group, BNP Paribas, BBVA (BBV) e Banco Santander (STD) che potrebbe sfociare in una vera e propria guerra dei prezzi per l’acquisto della banca o di alcune sue divisioni.
Nel comparto servizi, Servicemaster (SVM) ha annunciato di aver raggiunto un accordo per essere rilevata per $5.5 miliardi da un gruppo di investitori privato capeggiato da Clayton, Dubilier & Rice, mentre Community Health Systems (CYH) sta pensando a un takeover di Triad Hospitals (TRI), il che manderebbe a monte l'attuale piano di buyout da $4.5 miliardi. Voci insistenti hanno riguardato anche una contro-offerta nell'operazione di takeover per rilevare (TXU).
Sotto i riflettori anche il settore chimico: il Wall Street Journal ha riportato che il colosso Dow Chemical (DOW) sta discutendo un possibile accordo di joint venture con l’indiana Relience Industries (RELI). La societa’ di trasporti EGL (EAGL) potrebbe essere privatizzata in un accordo valutato $1.7 miliardi. Infine, nel comparto energetico, il titolo Todco (THE) e’ salito di oltre il 19% sulla notizia relativa alla proposta di acquisto avanzata da Hercules Offshore (HERO).
A sostenere gli acquisti e’ stato anche il calo dello yen sulla scia del rialzo dei tassi in Cina, il terzo in meno di un anno. Il fatto ha ammorbidito le tensioni sui carry trade che avevano rappresentato un elemento di preoccupazione nelle scorse settimane. Ad inficiare sulla performance della valuta giapponese sono state anche alcune speculazioni secondo cui la Bank of Japan martedi' lascera’ invariato il costo del denaro allo 0.50%.
Quanto agli Usa, mercoledi’ prossimo il FOMC della Fed si riunira’ per la decisione sui tassi: non e’ prevista alcuna variazione dagli attuali livelli (5.25%) ma sara’ interessante valutare il documento ufficiale che accompagna la decisione per capire meglio il futuro atteggiamento della Banca Centrale in materia di politica monetaria.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico il greggio ha continuato a cedere terreno in una sedu5ta piuttosto volatile. I futures con consegna aprile sono arretrati di 52 centesimi a $56.59 al barile, peggior livello delle ultime sette settimane. Nell’arco della scorsa settimana, la perdita complessiva e’ stata del 4.9%. (Leggi cosa pensano i trader del recente calo in Target News)
Sul valutario l’euro ha chiuso in leggero calo rispetto al dollaro. Nel tardo pomeriggio di lunedi’ a New York il cambio tra le due valute e’ di 1.3293, massimo dell’anno. L’oro ha chiuso in lieve rialzo: i contratti con consegna aprile sul metallo prezioso sono avanzati di appena $0.40 a $654.30 l'oncia. In flessione i titoli di Stato Usa: il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ salito al 4.5710% dal 4.55% di giovedi’.
 

 

Wall Street: ringrazia la FED e va in rally  
 

21 Marzo 2007  - 21.001 New York - di ANSA
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Sessione in rally per gli indici americani, stabili sulla linea di parita’ per quasi l’intera seduta, poi schizzati al rialzo subito dopo la comunicazione della Federal Reserve sui tassi d’interesse. Il Dow Jones e’ avanzato dell'1.28% a 12444, l’S&P500 dell'1.68% a 1434, il Nasdaq ha guadagnato l'1.98% a 2455. La Banca Centrale americana ha lasciato, come ampiamente atteso, invariato il costo del denaro al 5.25%, dimostrandosi pero’ maggiormente propensa ad un taglio sui fed funds nei prossimi mesi.
Il cambiamento del linguaggio utilizzato nel documento ufficiale che ha accompagnato la decisione ha rinvigorito le speranze degli operatori su una riduzione dei tassi nel prossimo futuro. Il fatto che la Banca Centrale abbia puntato l’attenzione sui contrastati dati macro, sinonimo di un rallentamento della crescita economica, oltre che sulle solite paure sull’incremento dell’inflazione, hanno incrementato le possibilita’ di adozione di una politica monetaria meno restrittiva.
Le chances che i fed funds vengano riportati al 5% nel meeting di fine giugno sono incrementate al 48% dal 29% antecedente la riunione della Fed. Nelle ultime settimane, la crisi che ha colpito il comparto del credito a causa delle insolvenze sui mutui ipotecari aveva creato un senso di depressione tra gli investitori, intimoriti da un calo della liquidita’ e da un ulteriore rallentamento del comparto immobiliare (e dell’economia piu’ in generale).
Il rialzo delle ultime ore ha permesso ai listini di mettere a segno rialzi di tutto rispetto. Il Dow Jones e’ cresciuto di oltre 150 punti, girando in positivo dall’inizio dell’anno; 29 dei suoi componenti hanno terminato la sessione in progresso. I maggiori rialzi sono stati registrati dai titoli finanziari/bancari come American Express (AXP), Citigroup (C) e JP Morgan (JPM) , sostenuti anche dalla buona trimestrale di Morgan Stanley (MS) che ha riportato un balzo del 70% dei profitti nell’ultimo trimestre.
Sempre in tema di trimestrali, buone notizie erano gia’ arrivate prima dell’apertura con i numeri superiori alle attese dei due colossi software Oracle (ORCL) e Adobe Systems (ADBE); relativa delusione era stata invece originata dai risultati fiscali del corriere internazionale FedEx (FDX).
L’atteggiamento meno "severo" della Fed ha anche offerto una spinta alle societa’ ultimamente finite nell’occhio del ciclone dei mutui "subprime". Fremont General (FMT) e’ salita del 17% grazie agli ultimi accordi che le permetteranno di godere di una maggiore liquidita, Accredited Home Lenders (LEND) ha continuato ad estendere il buon rialzo di lunedi’ dopo essersi assicurata un’estensione della linea di credito.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico il greggio ha chiuso in lieve rialzo. I futures con consegna maggio, da oggi quelli di riferimento, sono avanzati di 36 centesimi a $59.61 (picco intraday $59.85). Per la seconda settiman consecutiva le scorte di petrolio sono risultate in crescita mentre quelle di benzina e prodotti distillati sono diminuite (leggi i dettagli nella sezione Target News).
Sul valutario l’euro si e’ rafforzato rispetto al dollaro. Nel tardo pomeriggio di mercoledi’ a New York il cambio tra le due valute e’ di 1.3378. L’oro ha terminato la sessione in leggero rialzo: i contratti con consegna aprile sul metallo prezioso sono avanzati di $1.00 a $660.00 l'oncia. Ancora su’ i titoli di Stato Usa: il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.518% dal 4.547% di martedi’.

 
 

 

 

 


 

  Mercoledì  14  marzo 2007   Giovedì  15  marzo 2007   Martedì  20  marzo 2007  
       
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GR1 RAI - 14 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 15 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 22 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 28 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 29 MAR ore 23:00

   

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   La vera storia dei mutui subprime

21 Marzo 2007 Milano - di Economiaitaliana   
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Ed ora, ecco sotto i riflettori il mercato immobiliare americano e le notizie - non molto rassicuranti, per la verità - che da lì arrivano.
Per la verità, c'erano già state discrete avvisaglie, che facevano monitorare con qualche preoccupazione lo sgonfiamento della bolla immobiliare negli USA (ché di bolla, ormai sono tutti d'accordo, si tratta).
Dopo una prima diminuzione di prezzi e compravendite, il mercato pareva essersi stabilizzato. Nell'ultimo scorcio del 2006, però, il calo dei prezzi è ripreso, accompagnato da una ulteriore contrazione del numero di compravendite in ben 40 stati dell'Unione; uno stato di cose che ha iniziato a produrre qualche grattacapo negli intermediari finanziari.
Il punto è che, accanto agli accantonamenti relativi a mutui divenuti in tutto o in parte inesigibili e magari non più assistiti da una garanzia immobiliare congrua (a causa del calo dei prezzi), si sono iniziati a manifestare effetti ulteriori.
Contando su una continua espansione del mercato, spesso gli intermediari che erogavano mutui si rifinanziavano "scontandoli" presso il mercato o presso banche d'affari più grandi, anche sfruttando le tecniche di cartolarizzazione.

Peraltro, molti di questi contratti di rifinanziamento contemplavano l'obbligo di riacquistare i mutui qualora il valore delle relative garanzie immobiliari fosse sceso al di sotto di una certa soglia: il che è proprio ciò che ha cominciato ad avvenire.
Il risultato? Contenziosi tra grandi banche (ad esempio la HSBC) e piccole finanziarie che si trovano costrette a rifiutare il riacquisto, o anche fallimenti di taluna di queste finanziarie.
Come (CADN.SW - notizie) in dicembre scorso, quando Merril Lynch chiese alla ResMae Mortgage il riacquisto di almeno 308 milioni di dollari di mutui, provocandone la richiesta di amministrazione controllata.
In questi giorni, invece, si parla tanto dei mutui "subprime", ovvero non di prima qualità, e delle difficoltà (o dei veri e propri fallimenti) di alcune società che operano nel settore; si parla anche del coinvolgimento di "grandi firme" del mondo bancario e non solo (vedi la GM (NYSE: GM - notizie) e il suo braccio finanziario), che rischiano di rimanere invischiati con perdite nel dissesto degli operatori di cui parlavamo prima.
Ma, secondo me, anche se fallimenti e possibili procedure di amministrazione controllata, conditi da crolli dei titoli in borsa e delisting, sono notizie più clamorose, il punto focale non è quello. Sono altri i numeri che preoccupano, tutti forniti dalla MBA, la Mortgage Bankers Association (vedi, fra gli altri, "Il Sole 24 Ore" del 16.3.2007).
Certo, la percentuale dei mutui subprime che presentano anomalie è lievitata, a fine 2006, al livello record del 13,6%; il problema, però, è che i ritardi nei pagamenti dei mutui "ordinari" è salito ormai al 5%, ed il numero di abitazioni pignorate nel 2006, cresciuto di un rotondo 42% nel 2006, è arrivato allo 0,54% che, come si faceva notare sulla stampa, rappresenta il livello più alto mai registrato nei ben 37 anni di attività della MBA.
Ecco, la crisi, le paure, le constatazioni sui rapidi deterioramenti sono tutti qui, in questi pochi numeri. E, ad un secondo livello, nella possibilità che - in seguito al notevole incremento di emissioni costruite sulla cartolarizzazione di mutui ordinari e subprime, la crisi del settore possa, in prospettiva, estendersi causando perdite anche a fondi comuni non direttamente coinvolti nell'attività immobiliare.
In più, resta il problema delle banche: alcune stime si spingono a valutare in oltre due milioni le case che passerebbero ai creditori solo in relazione alla crisi del segmento subprime; in ogni caso, le banche vogliono in genere fare il proprio mestiere, e non le società immobiliari. Tanto più che possedere un immobile costa, sia in termini di tributi da onorare sia in termini di spese di esercizio (il banale "condominio") e di necessaria manutenzione per evitare il deperimento della proprietà.
Dunque, i creditori potrebbero essere portati a disfarsi in tempi brevi degli immobili caduti nelle proprie mani, intensificando le pressioni sui prezzi che già hanno portato un ribasso percentuale a due cifre nel prezzo mediano delle abitazioni USA (in un quadro che vede comunque l'allungamento dei tempi di vendita e la lievitazione dello stock di invenduto).
La preoccupazione sta nel fatto che certe svolte tendono a manifestarsi ed a svilupparsi con più rapidità di quanta gli operatori del settore e quelli istituzionali non siano poi oggettivamente in grado di gestire; ed ora, a complicare il quadro congiunturale, arriva anche l'inatteso rimbalzo dell'indice USA dei prezzi alla produzione (+1,3% mensile, ben al di sopra delle stime più pessimistiche).
Un sondaggio commissionato dal Wall Street Journal ha recentemente certificato l'ovvio, rendendo nota l'opinione di un panel di economisti che si attendono nuove flessioni nei prezzi delle case.

In questo quadro suonano un po' stonate le parole pronunziate da Greenspan l'8 aprile di due anni fa, quando celebrava l'innovazione che ha portato una moltitudine di nuovi strumenti come i crediti subprime, e constatava come questi progressi avessero portato ad una rapida crescita del mercato dei mutui.
 

Fonte - http://economiaitaliana.splinder.com

 

 

 

 

 

Tassi Usa: la FED li lascia invariati 
 
21 Marzo 2007 - 19,15 New York - di WSI
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Come ampiamente atteso dal mercato, il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro degli Stati Uniti.
Il target sui fed funds e' dunque fermo al 5.25%. Nella riunione dello scorso 8 agosto, la decisione di non ritoccare i tassi, poi confermata in quelli del 20 settembre, del 25 ottobre del 12 dicembre e del 31 gennaio, aveva chiuso la serie di rialzi durata per ben due anni. Il primo rialzo della serie fu deciso nel meeting del Fomc del 30 giugno del 2004.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee ha deciso di lasciare invariato il tasso sui fed funds al 5.25%.
I recenti indicatori sono risultati contrastati e la stabilizzazione del settore immobiliare sembra essere in atto. Tuttavia, l’economia sembra rimanere posizionata per un’espansione ad un passo moderato nei prossimi trimestri.
Le ultime letture sull’inflazione "core" sono risultate alquanto elevate. Sebbene le pressioni inflazionistiche dovrebbero affievolirsi col passare del tempo, l’alto livello di utilizzazione delle risorse ha il potenziale di sostenere tali pressioni.
In tali circostanze, la preoccupazione predominante della politica condotta dal Comitato resta incentrata sul fatto che l’inflazione possa non affievolirsi come previsto. Le future mosse di politica monetaria dipenderanno dall’evoluzione dell’outlook inflazionistico e delle crescita economica, cosi’ come sara’ implicato dalle informazioni rilasciate quotidianamente.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati (all'unanimita'): Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Cathy E. Minehan; Frederic S. Mishkin; Michael H. Moskow; William Poole; e Kevin M. Warsh.

Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di lasciare il tasso interbancario al 5.25%:
The Federal Open Market Committee decided today to keep its target for the federal funds rate at 5-1/4 percent.
Recent indicators have been mixed and the adjustment in the housing sector is ongoing. Nevertheless, the economy seems likely to continue to expand at a moderate pace over coming quarters.
Recent readings on core inflation have been somewhat elevated. Although inflation pressures seem likely to moderate over time, the high level of resource utilization has the potential to sustain those pressures.
In these circumstances, the Committee's predominant policy concern remains the risk that inflation will fail to moderate as expected. Future policy adjustments will depend on the evolution of the outlook for both inflation and economic growth, as implied by incoming information.

Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Cathy E. Minehan; Frederic S. Mishkin; Michael H. Moskow; William Poole; and Kevin M. Warsh.
 

 

Fonte - WallStreetItalia.com