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marzo 2007 |
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Wall
Street: peggior settimana da Marzo
2003
02 Marzo 2007 - 22.01 New
York - di ANSA ______________________________________________
I listini azionari hanno
chiuso una seduta molto volatile ancora in calo estendendo le forti
perdite settimanali. L’indice industriale ha ceduto l'1% a 12112,
l’S&P500 l'1.15% a 1387, il tecnologico Nasdaq e’ arretrato
dell'1.51% a 2368. Le performance degli ultimi 5 giorni,
caratterizzati da massicce vendite, sono rispettivamente di 4.3%,
4.4% e 5.8%. Si tratta della peggior settimana dal 5 marzo 2003.
Gli operatori restano molto
nervosi dunque, dopo la serie di ribassi e di turbolenze a livello
mondiale. Analisti tecnici e gestori discutono di correzione del 5 o
del 10% come mai era successo negli ultimi tre anni.
Secondo qualche trader le
perdite giornaliere avrebbero potuto assumere dimensioni maggiori:
il diffuso umore negativo sta infatti pesando sugli investitori
maggiormente avversi al rischio che avrebbero potuto optare per una
improvvisa uscita dall’azionario in vista del weekend.
Il sentiment a Wall Street e' completamente cambiato nell'ultima
settimana. "Il mercato ha avuto un attacco di cuore, ma ancora non
si sa quanto grave e' stato", dice Art Cashin, un vecchio trader sul
floor del NYSE. Gli operatori sono concentrati solo sulle notizie
negative, e il fatto che lo smart money stia lasciando in massa gli
investimenti speculativi per scegliere quelli a basso tasso di
rischio (bonds) spaventa ancora di piu' il pubblico generico dei
piccoli investitori e alimenta in loro lo spettro della fatidica
correzione.
A dar una spinta al
ribasso gia’ dall’avvio erano state le dichiarazioni del presidente
della Federal Reserve del distretto di St. Louis, William Poole,
secondo cui l’economia americana crescera’ ad un tasso del 3% nel
2007, senza pero’ che possa essere escluso il rischio di una
recessione, ipotesi gia' avanzata nei giorni scorsi dall’ex
presidente della Federal Reserve Alan Greenspan.
Maggiori pressioni sono poi state impresse dal deludente dato macro
sulla fiducia dei consumatori attestatosi a livelli inferiori a
quelli attesi dal mercato. Nel mese di febbraio l’indicatore e’
stato rivisto a quota 91.3 punti dai precedenti 93.3, in calo
rispetto a gennaio.
Continua a preoccupare inoltre la faccenda dei carry-trade, ovvero
delle operazioni di prestito della valute giapponese mirate al
rinvestimento in asset a maggiore rendimento. Il recente rialzo dei
tassi d’interesse da parte della BoJ sta spingendo al rialzo lo yen,
rendendo piu’ onerose le esposizioni agli investimenti.
Nel comparto societario a soffrire maggiormente sono state le
istituzioni finanziarie coinvolte nella cessione di credito sui
mutui immobiliari. New Century Financial (NEW) ha ceduto oltre sette
punti percentuali, giu’ anche Countrywide Financial (CFC) che ha
comunicato un ritardo nei pagamenti del 2006.
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Wall
Street: pesanti vendite perdite
oltre il 2% 13 Marzo 2007 - 21.05 New York -
di ANSA ______________________________________________
Giornata nel segno delle
vendite a Wall Street causate dalle preoccupazioni relative al
comparto del credito e ad un rallentamento dell’economia. Il Dow
Jones ha perso l'1.97% a 12075, l’S&P500 il 2.04% a 1377, il Nasdaq
e' arretrato del 2.15% 2350. Tra gli operatori continua a dominare
l’incertezza e l’instabilita’ creatasi nel settore finanziario
contribuisce a rendere maggiormente critica la situazione sui
mercati. L’indice industriale e’ in calo di 670 punti dai massimi
storici registrati lo scorso 20 febbraio.
L’allarme di default che sta
sconvolgendo il comparto dei crediti immobiliari ad elevato rischio
("subprime") sta continuando a pesare sul sentiment degli
investitori, mettendo in ginocchio i grossi istituti finanziari con
elevata esposizione.
New Century Financial (NEWC), il cui titolo era stato sospeso dalle
contrattazioni per eccesso di ribasso nell’ultima seduta, ha
ricevuto una nota di delistamento da parte del Nyse che ha costretto
l’azienda ad essere scambiata nel mercato meno prestigioso e
regolato delle Pink Sheets. La societa’ e’ finita anche nel mirino
degli investigatori: la Sec, organo di controllo della borsa Usa, ha
aperto un indagine sulle attivita’ del gruppo.
In ribasso anche la rivale Countrywide Financial (CFC) che ha
riconfermato le deludenti stime sugli utili trimestrali a causa
delle insolvenze; la societa’ e’ stata costretta anche a ridurre la
forza lavoro per 108 posti. In caduta libera (-60%) Accredited Home
Lenders (LEND) dopo aver comunicato problemi di liquidita' che
potrebbero spingere la societa’ alla "ricerca di alternative
strategiche".
I forti ribassi giornalieri seguono il rapporto diffuso proprio in
mattinata relativo all' andamento delle insolvenze, il cui tasso ha
toccato un record del 4.94% nell’ultimo trimestre, in progresso dal
4.67% dei tre mesi precedenti.
Le vendite hanno colpito maggiormente i comparti bancario e
brokeraggio; JP Morgan (JPM), American Express (AXP) e Citigroup
(C)hanno guidato i ribassi all’interno del Dow Jones. In forte calo
anche il colosso dell’auto General Motors (GM) il cui braccio
finanziario GMAC potrebbe risentire sensisbilmente della crisi del
comparto. Gli unici titoli dell’indice industriale in grado di
chiudere in territorio positivo sono stati 3M (MMM) e AT&T (T).
Un ulteriore elemento di preoccupazione per gli investitori e’ stato
rappresentato dai deludenti dati macroeconomici diffusi in
mattinata. Con il mercato gia’ dubbioso sul passo della crescita
economica, ad infierire maggiormente sono stati i numeri relativi
alle vendite al dettaglio di febbraio, attestatisi a livelli
inferiori al consensus, sollevando ulteriori preoccupazioni sul
rallentamento economico. L’indicatore e’ salito di un modesto 0.1%
contro lo 0.3% atteso; in calo -0.1% la versione "core" in
controtendenza con le stime degli analisti.
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Gufo
ad honorem
7 Marzo 2007 Milano - di Francesco Arcucci
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L’elenco dei rischi e degli eventi
negativi cui i mercati azionari hanno reagito in questi anni con una
scrollata di spalle, da quando il 10 Ottobre 2002 essi hanno terminato
la severa fase di ribasso dei prezzi iniziatasi nel 2000, è
straordinario e lunghissimo.
Ricordiamo in particolare l’attentato terroristico di Madrid dell’11
marzo 2004, quello di Londra del 7 luglio 2005, le notizie sui media che
giorno dopo giorno hanno sottolineato il pantano in cui gli Stati Uniti
si sono cacciati in Iraq e Afganistan, i disastri naturali dello Tsunami
del 26 dicembre 2004 e quello dell’uragano Katrina del 26 agosto 2005, i
rischi energetici con il rialzo del prezzo del greggio fino a quasi 80
dollari il barile, lo squilibrio straordinario della bilancia dei
pagamenti correnti degli Stati Uniti e la debolezza del dollaro contro
euro congiunta con la forza della moneta americana contro yen, il
livello di indebitamento delle famiglie statunitensi reso ancora più
pericoloso dallo scoppio, per ora non fragoroso, della bolla
immobiliare, il tasso di risparmio negativo in America, l’insicurezza e
la scontentezza della classe media di fronte alle crescenti
ineguaglianze indotte dalla globalizzazione, la debolezza dei leader del
mondo occidentale che appaiono come altrettante "anatre zoppe" negli
Stati Uniti e nelle altre grandi democrazie.
In altri periodi anche una sola di queste circostanze avrebbe potuto far
crollare i mercati azionari, ma da qualche tempo non è più stato così e
il rimbalzo dei prezzi delle azioni è stato grandissimo. Esso dura da
quattro anni e quattro mesi e molti indici di borsa hanno registrato
addirittura valori ancora più elevati dei cosiddetti prezzi folli della
primavera del 2000.
Inoltre, l’ondata di grande fiducia ha ridotto ai minimi i costi del
rischio di insolvenza che pagano le aziende e i Paesi meno accreditati
per potersi indebitare sui mercati. E’ ai minimi storici anche la
volatilità dei mercati azionari e obbligazionari che si può ricavare dai
prezzi dei derivati.
Tutti sanno che, in teoria, le fasi di maggior ottimismo dei mercati
sono storicamente quelle di più grande pericolo, ma, poiché negli ultimi
anni gli investitori che hanno dato ascolto ai propri timori e agli
analisti pessimisti si sono sbagliati, è ormai invalso l’uso, in
pratica, di non credere più ai richiami alla prudenza dei commentatori
non ottimisti che vengono considerati spesso sciocchi profeti di
sventura, incapaci di avere in mano il polso dei mercati azionari, dove
le prospettive di rialzo dei prezzi sembrano ormai una sorta di diritto
acquisito o di diritto di nascita.
Eppure la configurazione dei prezzi
delle azioni e il ritmo temporale che l’accompagna trasmettono un altro
messaggio e cioè che, dopo il picco del Dow Jones del 20 febbraio 2004
(con susseguente caduta di 1000 punti da 10500 a 9500), dopo quello del
4 marzo 2005 (anche qui la flessione fu di circa 1000 punti da 11000 a
10000) e dopo quello dell’8 maggio 2006 (da 11700 a 10700) siamo in
presenza in questi giorni di un altro picco che si sta manifestando
intorno a 12800 del Dow Jones e che conclude, appunto dopo 4 anni e 4
mesi di rialzo, tutta la fase di ritracciamento verso l’alto dai minimi
dell’ottobre 2002 della precedente caduta e dischiude la porta ad un
muscoloso bear market.
E’ vero che già in occasione del 20 febbraio 2004, del 4 marzo 2005 e
soprattutto dell’8 maggio 2006, chi scrive aveva creduto nella fine del
rimbalzo. Tuttavia attualmente la struttura tecnicomatematica del
mercato di New York è molto più chiara e limpida che nei casi
precedenti. Non segnalarla ai lettori sarebbe un vero peccato.
Prezzi e tempi si sono dati
appuntamento in una sinfonia di elementi e di simmetrie che nella mia
vita di analista dei mercati finanziari raramente erano state così
chiari. In altre parole, i sintomi della fine del rialzo sui mercati
azionari sono numerosi, concordanti e circostanziati. Il grande rimbalzo
durato 1600 giorni (risalente appunto al 10 ottobre 2002) è terminato o
sta terminando in questi giorni, aprendo la strada ad uno scenario
brutto, molto più in linea con la preoccupazione che devono
ispirare gli eventi e i rischi menzionati, che con l’ottimismo
inossidabile manifestato dai mercati e dagli operatori negli ultimi 52
mesi.
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Fonte -
Affari & Finanza |
E' iniziata la crisi.
No, l'economia USA tiene bene
13 Marzo 2007 New York - di Maria T.
Cometto
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L' unica certezza è il nervosismo dei mercati. Per il resto non c'è
accordo fra gli esperti su come leggere le statistiche che dovrebbero
far capire lo stato di salute dell'economia e della finanza americane e
mondiali. Secondo i pessimisti, è appena iniziato lo scoppio della bolla
immobiliare negli Usa (e anche in altri Paesi), che provocherà
l'atterraggio brusco degli States e del resto del mondo, dando il «la» a
una nuova fase di ribasso per Wall Street e per le altre Borse. Gli
ottimisti ribattono che invece l'attuale crisi è simile a quella della
primavera dell'anno scorso, quando i mercati crollarono a maggio per poi
risalire robustamente dall'estate in poi.
«Questo non è un eccesso
temporaneo di volatilità e turbolenza come è stato nelle primavere 2005
e 2006, ma è frutto di un vero e serio rischio di hard landing degli Usa
- ribatte Nouriel Roubini , economista capofila del fronte di chi vede
nero e animatore del sito www.rgemonitor.com -. I mercati
finanziari stanno reagendo ai dati fondamentali che mostrano un'economia
Usa seriamente indebolita e alla dipendenza dell'economia globale dal
ciclo americano. Quindi questo è l'inizio di una massiccia caduta dei
listini dopo un periodo di eccessiva liquidità, bolle in diversi settori
e sottovalutazione dei rischi». Secondo Roubini tutto parte dal mercato
immobiliare americano, dove i prezzi hanno smesso di salire e in diverse
aree sono già in discesa: la costruzione di nuove case e le vendite sono
«in caduta libera» e i prezzi crolleranno per altri tre anni.
La «recessione della casa» ha già
iniziato a contagiare altri settori, dall'auto a tutta l'industria
manifatturiera. Le difficoltà delle finanziarie che fino a ieri hanno
erogato mutui, e prestato soldi anche a clienti a rischio, sono comuni a
molte altre banche e scateneranno una stretta creditizia generale. Le
famiglie, che non possono più usare la casa per estrarne soldi (con i
finanziamenti garantiti dalle ipoteche), taglieranno i consumi. Il
petrolio a 60 dollari, pur inferiore ai massimi dell'anno scorso, è caro
in questo clima di debolezza economica e produrrà ulteriori effetti
negativi. La Federal Reserve (Banca centrale Usa) abbasserà il costo del
denaro, ma questo non garantirà di evitare la recessione: il taglio dei
tassi dal 6,5 all'1% non ci riuscì nel 2001.
«Le aspettative degli
investitori per il taglio dei tassi della Fed potranno alimentare un
temporaneo rally delle Borse, ma alla fine le azioni crolleranno -
continua Roubini -. Tipicamente l'indice S&P500 scende del 28% durante
una recessione Usa. Ma tutti i tipi di investimenti rischiosi
saranno sotto pressione, dai mercati emergenti alle obbligazioni ad alto
rendimento, comprese le materie prime. L'unico impiego sicuro saranno i
titoli di Stato, meglio se non americani, perché anche il dollaro
crollerà». Infine Roubini invita a prepararsi a una crisi finanziaria
globale, simile a quella scatenata nel 1998 dal fallimento dell'hedge
fund Ltcm. Spaventati? Per consolarvi si può ricordare che Roubini
prevede gli stessi disastri già da qualche anno. E che altri la pensano
molto diversamente.
«Il rallentamento dell'economia è in corso, ma una recessione appare
ancora improbabile», sostiene per esempio Jason Trennert , analista di
Strategas research , citando come prova l'ultimo Libro Beige pubblicato
dalla Fed. Il rapporto, che disegna un quadro geograficamente
variegato della situazione economia degli States, mostra che in parecchi
distretti i prezzi immobiliari sono calati e continuano a scendere, ma
in altri si sono invece stabilizzati e il fenomeno riguarda il mercato
residenziale, mentre quello commerciale continua a crescere.
Sempre secondo il Libro Beige , il mercato del lavoro è piuttosto
tirato: in diversi distretti c'è carenza di lavoratori qualificati e si
registra un modesto aumento dei compensi, non tale però da causare
pressioni inflazionistiche. Le ultime statistiche governative
sull’aumento mensile dei posti di lavoro - più 97.000 in febbraio - sono
tutt’altro che un segnale di recessione, ribadisce Trennert.
«Per capire dove andrà la Borsa, bisogna ricordare i dati fondamentali,
che sono i tassi d'interesse e i profitti aziendali - spiega l'analista
-. I rendimenti dei Treasury bond sono sempre molto bassi, attorno al
4,5% sia per i titoli decennali sia per i biennali. E i profitti
continuano a crescere, 5,4% quest’anno, anche se non al ritmo
elevatissimo (10% e oltre) degli anni scorsi. A questi livelli il prezzo
delle azioni dell'indice S&P500 è solo 14,9 volte gli utili del 2007.
Valutando che un rapporto equo sarebbe di 17 volte, c'è spazio per un
aumento dei prezzi del 15%».
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Fonte -
Corriere della Sera |
Sotto le borse
la bomba casa
15 Marzo 2007 Torino - di Mario
Deaglio
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Subprime. Questo termine americano, che ricorda vagamente il nome di un
farmaco, indica in realtà un virus potentissimo che si è abbattuto
inaspettatamente sulla Borsa americana con conseguenze preoccupanti per
l’assetto generale del sistema finanziario mondiale. Nel gergo bancario
americano, sono chiamati subprime (cioè «di serie B») i mutui per
l’acquisto di un’abitazione concessi a beneficiari con precedenti
creditizi non eccellenti: a persone, cioè, con un passato di
pagamenti ritardati o non eseguiti che presentano quindi un livello di
rischio più elevato del normale.
Il numero dei mutui subprime non
onorati dai debitori è aumentato improvvisamente e sarebbero oltre due
milioni le famiglie americane, generalmente di modeste condizioni
economiche, che, siccome non ce la fanno con le rate, rischiano di
perdere la casa in un Paese dove lo sfratto viene eseguito senza tanti
complimenti. Nel clima di grande durezza sociale dell’America
attuale questo non sarebbe considerato un gran male, ma il fatto è che
questi mancati pagamenti rischiano di mandare in dissesto le società
finanziarie, spesso collegate a banche, che ne sarebbero duramente
colpite. E potrebbe riflettersi sulla stabilità dell’intero sistema
creditizio. È questa la prospettiva che fa tremare Wall Street, ha fatto
rimangiare in un paio di settimane i rialzi di sei mesi e smentito
nettamente le previsioni rassicuranti di un 2007 di tranquilli rialzi.
Ma perché mai i finanzieri americani
sono andati a prestare consistenti quantità di denaro a persone che non
avevano tutti i requisiti per essere dei buoni debitori che onorano il
loro debito e sono puntuali nelle rate? I motivi sono due.
Il primo motivo dipende dalle condizioni del mercato edilizio: quando
questi prestiti sono stati concessi il prezzo delle case saliva
allegramente e il mutuante poteva ragionevolmente pensare che, se il
mutuatario non avesse pagato, si sarebbe ripreso la casa e l’avrebbe
subito rivenduta con profitto; il secondo dipende dalle condizioni dei
mutuatari. Dietro la smagliante facciata di un’America in buona salute
economica, una quota importante del reddito si è spostata verso i
profitti, il potere d’acquisto di molti salari si è ridotto ed è
aumentato il numero delle famiglie in difficoltà finanziaria.
Per correre ai ripari, le istituzioni finanziarie rischiano di farsi del
male con le loro stesse mani e di farne all’intero sistema: da un lato
sono oggi molto più caute nel concedere i mutui, e quindi contribuiscono
all’indebolimento della domanda di nuove abitazioni, dall’altro fanno
aumentare l’offerta mettendo sul mercato le abitazioni degli sfrattati.
Per conseguenza, la tendenza alla discesa dei prezzi degli immobili
accelera e così le perdite di chi si rifà di crediti non pagati vendendo
le case dei debitori morosi.
La soluzione è ben difficile da trovare; una via potrebbe essere quella,
avanzata da un parlamentare democratico, di un pubblico sussidio ai
mutuatari in difficoltà; essa metterebbe però in crisi l’intera
filosofia del capitalismo americano attuale nella quale i pubblici
sussidi hanno pochissimo spazio. Ed è comunque curioso che questo
capitalismo, tutto orientato alla ricchezza, stia scivolando su una
buccia di banana rappresentata dai segmenti più poveri della
popolazione.
Da Wall Street la tendenza ha immediatamente contagiato le Borse
europee, più per effetto di imitazione che per la presenza di condizioni
simili. In Asia questa spinta al ribasso si è aggiunta a una ben più
naturale correzione dopo un rialzo intenso e prolungato.
In realtà non c’è alcun vero motivo per cui la crisi dei mutui si debba
estendere all’Europa e all’Asia, dove le situazioni sono molto diverse;
in Europa, in particolare, la sorveglianza sull’operato delle
istituzioni finanziarie è probabilmente più severa che in America.
Eppure le Borse non americane, compresa quella italiana, stanno
scendendo per la paura generica che il motore americano si fermi e che
l’intera espansione mondiale subisca una brusca e dolorosa battuta
d’arresto.
Questo è tecnicamente possibile ma richiederebbe una serie incredibile
di errori da parte delle autorità monetarie. La paura di questi giorni
presenta quindi le caratteristiche di uno sgomento irrazionale, così
come era stata irrazionale l’esuberanza borsistica degli anni d’oro del
boom americano. Se c’è una vittima di questa situazione - e speriamo che
sia l’unica - questa è la reputazione dei mercati finanziari,
soprattutto americani, di essere in grado di operare delle scelte
informate, fredde, razionali; e quindi «giuste».
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Fonte -
La Stampa |
USA: NUOVO ALLARME GREENSPAN, CRISI
MUTUI SI ALLARGHERA'
15 Marzo 2007 - 22.01
Roma - di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 15 MAR -
La crisi dei mutui ipotecari
che sta colpendo gli Usa probabilmente si allargherà all'intera
economia, specie se i prezzi delle case cominceranno a scendere.
L'allarme viene dall'ex presidente della Federal Reserve, Alan
Greenspan: l'ex guru della finanza, che prima di fare il
banchiere centrale e il consulente del governo Ford era
specializzato in previsioni economiche, torna a sollevare lo spettro
di un contagio all'intera economia da parte dei default dei mutui 'subprime',
dopo aver avvertito gli investitori per ben tre volte, nell'ultimo
mese, che gli Stati Uniti potrebbero vedere una recessione economia
quest'anno. "Se i prezzi (delle case, ndr) scenderanno -
ha spiegato Greenspan
durante un convegno a Boca Raton, in Florida - avremo dei problemi,
nel senso di un effetto a catena in altri settori economici", ha
spiegato Greenspan. "Non è un piccolo problema", ha aggiunto.
Alla voce di Greenspan, oggi, si è aggiunta quella di Merrill Lynch:
in un report, un economista della banca centrale ha avvertito che
ella sua nota agli investitori Rosenberg rileva che gli Usa
finiranno probabilmente in recessione se la Fed non taglierà i tassi
d'interesse. Le insolvenze sui mutui 'subprime', infatti,
probabilmente avranno inevitabili ripercussioni anche sulla spesa
edilizia e sulla crescita dei consumi complessivi. Al contrario,
dalla Fed arrivano segnali rassicuranti: l'attuale presidente, Ben
S. Bernanke, ai primi del mese, ha escluso che le insolvenze dei
mutui possano avere un effetto a catena sull'intera economia, e ha
detto di aspettarsi che la crescita economica acceleri.(ANSA).
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Fonte - ANSA |
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Mercoledì
7
marzo 2007 |
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Giovedì
8
marzo 2007 |
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Martedì
13
marzo 2007 |
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JIM ROGERS PREVEDE UN CRASH IMMOBILIARE
17 Marzo 2007 - 22.01
New York -
di WSI ______________________________________________
Il guru delle commodities
Jim Rogers segue le orme di Alan Greenspan, prevedendo un crash del
mercato immobiliare negli Stati Uniti che inneschera' fallimenti a
catena per via dei mutui "subprime" e contagera' i mercati
emergenti.
"Non potete neanche immaginare quanto brutta sara' la situazione,
prima che migliori" ha detto Rogers alla Reuters in una telefonata
da New York. "Sara' un enorme disastro", ha specificato l'ex
co-fondatore (con Geroge Soros) di Quantum, il primo degli hedge
fund risalente agli anni '70. Rogers crede in quel che dice, visto
che ha appena messo in vendita la sua townhouse ad Harlem (New York)
del valore di $15 milioni (senza peraltro riuscire a venderla)
mentre sta organizzando il suo trasferimento in Asia.
Riguardo al crash del
mercato immobiliare negli Stati Uniti che inneschera' fallimenti a
catena e contagera' i mercati emergenti (e quindi anche
l'Europa) Rogers ha spiegato: "In questo momento c'e' un gigantesco
eccesso di speculazione sui mercati emergenti in tutto il mondo. Una
gran quantita' di denaro fuggira' tutta insieme dai mercati
emergenti. Alcune delle borse crolleranno dell'80%, altre del 50%.
Altre ancora molto probabilmente collasseranno".
Jim Rogers, il re delle materie prime, vende casa a New York
(comprata ai minimi) e fa vela verso l’Asia. «Il 2007 sarà l’anno
delle commodity agricole». Il solo mercato appetibile oggi è quello
di Tokyo. Vivere a Shanghai o Pechino? Certo.
''Fenomeni di questo genere durano decenni'', assicura Jim Rogers,
celebre ex gestore del Quantum Fund (con Soros). Vendere oggi - dice
- sarebbe come aver venduto le azioni americane nel 1985 dopo soli 5
anni di toro. Al via i certificati...
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Fonte - WallStreetItalia.com |
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Borsa:
denaro facile addio
19 Marzo 2007 Milano - di Giuseppe Turani
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Le correzioni e gli scossoni delle borse nelle ultime settimane stanno
preoccupando chi era convinto che i mercati potessero solo salire. Negli
Stati Uniti c´è chi dice che starebbe per scoppiare la bolla immobiliare
che si è progressivamente ingrandita negli ultimi dieci anni. In realtà
un segnale non semplice da leggere è arrivato dai cosiddetti mutui sub
prime, cioè quelli concessi a debitori che in fondo hanno solo la casa
da dare in garanzia.
Una recente ricerca di Merril Lynch stima in 800 miliardi di dollari
questo mercato ma indica in quattro trilioni di dollari l´importo che le
borse hanno perso nelle ultime settimane. Sono cifre enormi, ma che
fanno pensare alla relativa pochezza del mercato dei mutui sub prime ed
infatti se anche tutte le società che li erogano dovessero fallire in
fondo la perdita sarebbe ben inferiore alla recente correzione.
Se questi numeri hanno senso - e l´autorevolezza della fonte porta a
pensare che l´abbiano - vuol dire che il rischio per le borse non è
certo li. Forse il mercato aveva ed ha bisogno di un alibi per
correggere il proprio trend dopo quattro anni di salite e una volta
trova le frasi di Greenspan sulla recessione, una volta i mutui, la
prossima chissà.
Ma in realtà un mercato come questo, che non si è accorto di un costo
del petrolio passato da 20 ad 80 dollari e che ha avuto solo voglia di
salire, a parte la correzione che sta cercando in questi giorni, se non
succedono veramente fatti stravolgenti, continuerà a crescere.
«Anche perché si è capito bene in tutto il mondo - dicono gli gnomi di
Wall Street - che i tassi non saliranno di molto -. Anzi, se ha ragione
Greenspan, magari in Usa scendono anche, verso fine anno - per cui
investitori e risparmiatori spostano progressivamente liquidità
dall´obbligazionario all´azionario, addirittura agli hedge fund e al
private equity. E questa è tutta benzina per le borse». Ciò vuol dire
che siamo vaccinati da perdite ed ultravaccinati dai tanto temuti
crolli? No di certo. Prima del primo storno del mercato, le borse devono
correggere di un 10-12 per cento circa per tornare su fondamentali di
sicuro trend positivo.
Quando ci sarà questo calo? Non lo sa
nessuno. Però è bene che ci sia, ed anche presto. E con questo rischio
dietro l´angolo c´è da stare attenti in quanto le recenti diminuzioni
dei listini sono state brusche, decise, con accelerazioni in giornata
del tutto impreviste. E ciò perché le posizioni finanziate a debito - i
soliti carry traders - sono sempre molte e quando il titolo sottostante
scende chi ha dei debiti a fronte è costretto a vendere. Una cosa però è
certa e cioè che la corsa ai mutui è finita, che le banche devono ormai
darsi una regolata nel prestare soldi a fronte di case, televisori,
auto, credito al consumo in genere.
Una recente statistica ha dimostrato che anche in Italia i tassi sul
credito al consumo hanno raggiunto livelli sopra al 20 per cento roba da
usura, si direbbe. E infatti la legge sull´usura c´è ma non funziona
perché i tassi di questa categoria anche sopra al 20 per cento sono
incredibilmente ammessi. E forse sarebbe il caso che qualcuno ci
mettesse gli occhi. In tutto il mondo le banche possono permettersi
anche grosse perdite sui mutui e sui piccoli crediti perché guadagnano
talmente tanto da potersi consentire molte insolvenze.
Però è un gioco pericoloso, che credo stia per finire. Non a caso le
maggiori perdite di questi giorni a Wall Street sono state di JPMorgan,
Citigroup ed altre grandi banche, che devono cominciare a preoccuparsi e
che stanno notevolmente aumentando i fondi rischi nei bilanci. In questo
modo uno settori più redditizi di questi ultimi anni sta vivendo un po´
di battute d´arresto, certamente salutari. E questo metterà un ulteriore
freno ai rialzi di borsa. Insomma, momento non facile, di transizione,
un po´ da vivere sulla riva del fiume sperando che l´onda passi presto,
si porti via un bel po´ degli eccessi degli ultimi anni e ci faccia
stare tranquilli per un certo tempo.
In conclusione, nonostante tutto le Borse hanno voglia di salire e lo
faranno (secondo gli operatori più scatenati). Solo che è cambiato lo
scenario. Fino a ieri il consumatore americano sapeva di poter trovare
tutto il denaro che voleva e a buon mercato. Adesso, comincia a non
essere più così. Solo che la congiuntura americana si è retta in tutti
questi anni di boom (l´era Greenspan) proprio sulla disponibilità quasi
infinita di soldi a basso prezzo. Sarà ancora così nei prossimi mesi?
Forse no.
Inoltre, in gennaio sono arrivati brutti segnali dall´industria
manifatturiera americana. E anche l´inflazione ha rialzato un po´ la
testa. Infine la situazione internazionale non è delle più tranquille
con una guerra guerreggiata alle porte (Afganistan). Lo scenario, come
si vede, è molto cambiato e quindi è possibile che l´ottimismo senza
prudenza alcuna degli operatori più decisi a fare anche questo ultimo
giro. Tutto lascia pensare che, come dicono a Wall Street, dopo un´altra
botta, ogni cosa possa tornare come prima. E i movimenti del mercato
(appena descritti) lasciano appunto pensare questo. Ma potrebbe esserci
una sorpresa nel giro di qualche. Meno utili e più difficoltà
nell´economia americana.
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Fonte -
La Repubblica |
«Se
crolla
io compro»
20 Marzo 2007 Milano - di Vincenzo
Sciarretta
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«È in atto una radicale rivalutazione del rischio - dice David Kotok,
presidente e gestore della Cumberland Advisors - Fintanto che il
processo si svolgerà, le azioni resteranno sull’ottovolante con
fluttuazioni ben maggiori di quelle sperimentate mediamente nel periodo
2003-2006». «Sono però
convinto - aggiunge Kotok - che ogni scivolone profondo dai livelli
attuali costituisca un’eccellente occasione di acquisto per gli
investitori pazienti».
I conti sono presto fatti: i titoli inclusi nell’indice S&P500 portano
in dote utili pari al 6,25 della capitalizzazione di Borsa. Messe a
confronto, le obbligazioni governative decennali garantiscono il 4,55
per cento. Insomma, chi rinuncia a tenere nel reddito fisso i propri
risparmi e li canalizza verso Wall Street, intasca un extraguadagno
dell’1,7%, a cui dovrà sommare, nei prossimi 10 anni, il normale ritmo
di espansione degli utili e dei dividendi.
«Ecco perché - continua Kotok - ad alleggerire le mie posizioni non ci
penso proprio. Semmai le aumenterò qualora i prezzi dovessero colare a
picco in risposta a paure transitorie come quelle legate
all’immobiliare, alla fine del carry trade sullo yen o anche alla
stretta delle condizioni del credito in Cina». Il nostro «guru»,
come molti suoi colleghi, inquadra il nervosismo delle ultime due
settimane nella logica di una normale correzione, che riporterà in
equilibrio il trend rialzista.
I sintomi che questo possa essere lo scenario più convincente si
moltiplicano. Ad esempio, secondo David Coleman, consulente di Argus:
«Le vendite da parte degli insider si vanno assottigliando». Lo zenit è
stato raggiunto nel mese di febbraio, quando amministratori, direttori e
azionisti di rilievo hanno scaricato i loro pacchetti di titoli a piene
mani. «Gli insider - aggiunge Coleman - beneficiano del miglior punto di
osservazione possibile per valutare i fondamentali delle compagnie,
sicché quando si impegnano in vendite massicce non è mai un buon segno.
Adesso il sentiment di questi attori del mercato è in miglioramento,
anche se non ha ancora toccato i livelli generalmente associabili a una
ripresa degli indici azionari».
Se l’umore dei «bene informati» vira gradualmente in territorio
positivo, i piccoli risparmiatori stanno sprofondando nel pessimismo più
cupo. Conferma Ian Scott di Lehman Brothers: «I riscatti dai fondi
comuni d’investimento hanno doppiato il passo del giugno 2006, quando
gli investitori individuali scappavano a gambe levate». Allora
però i piccoli rimasero a bocca asciutta: non fecero a tempo a rientrare
quando le Borse riconquistarono velocemente il bull market.
Non è certo un fatto inusuale. In base ai calcoli di Scott, i riscatti
massicci dai fondi comuni spesso coincidono con i punti di minimo della
Borsa. Sul fronte dei rischi, diverse case di brokeraggio (Société
Générale, Bank of America, Credit Suisse e parecchie altre), stanno
abbassando le stime relative alla crescita degli utili. Ciò vale sia per
i listini americani che per quelli europei.
Infine, Gaetano Oteri, un veterano di Piazza Affari, segnala i pericoli
connessi all’eccesso di liquidità in circolazione: «È trascorso un anno
da quando la Fed ha deciso inopinatamente di cancellare l’andamento
della massa monetaria dal novero delle statistiche ufficiali, eppure
tutti sanno che lievita a un tasso ben maggiore rispetto alle esigenze
del sistema dei pagamenti». La tendenza è confermata in Europa, dove
invece la statistica esiste. Insomma, in un modo o nell’altro, il
sentiero di crescita della moneta deve essere ricondotto entro limiti
più stringenti se si vuole evitare l’inflazione: «E ciò non può che
penalizzare il mercato azionario», conclude Oteri. Ci si può però
consolare: le opinioni divergono, ma trovano anche un filo conduttore.
Se la Borsa cala parecchio è il momento di comprare.
 |
Fonte -
Bloomberg - Borsa&Finanza |
Paranoie e verità
sulla crisi immobiliare
20 Marzo 2007 Milano - di Alessandro
Fugnoli
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Supponiamo che tutti, ma proprio tutti
quelli che in America hanno ottenuto un mutuo subprime nel 2005 e 2006
si siano messi d’accordo e abbiano deciso in un’assemblea infuocata e
preinsurrezionale di non ripagare più nemmeno un centesimo. Supponiamo
anche (partendo dall’ipotesi da salotto Ancien Régime che i poveri siano
malvagi, invidiosi, perfidi e rancorosi) che l’assemblea abbia deciso di
opporre resistenza agli ufficiali giudiziari che verranno a mettere i
sigilli e in ogni caso, quando verrà il momento di cedere, di dare alle
fiamme la casa che si dovrà abbandonare, così da azzerare completamente
il suo valore di mercato.
Bene, il danno così prodotto
ammonterebbe a 750 miliardi di dollari (nostra elaborazione su dati
della Federal Reserve). Quanto hanno perso le borse mondiali in queste
due settimane? Quasi quattro trilioni, più di cinque volte tanto.
Teniamo a mente queste cifre, perché nelle prossime settimane la caccia
al finanziatore di mutui subprime sarà spietata. Come nelle grandi
epidemie di paranoia, chiunque sarà sospettabile. Si partirà (si sta già
partendo, ovviamente) dalle finanziarie e dalle banche regionali
americane, si proseguirà con le grandi banche commerciali e
d’investimento di tutto il mondo che potrebbero avere finanziato le
prime.
Poi si spediranno avvisi di garanzia a tutte le finanziarie che
potrebbero avere comprato questi mutui, facendone proprio il credito.
Poichè molte di queste avranno cartolarizzato i mutui e li avranno
rivenduti a fondi pensione, fondi d’investimento e perfino privati
cittadini, praticamente nessuno sarà escluso dalle liste dei sospetti.
Qualcuno dirà poi che, per elementare prudenza, il valore azionario di
chiunque andrà abbassato, nell’ipotesi, non si sa mai, che abbia nei
mesi scorsi venduto tutto quello che aveva per comprare questi crediti
ormai inesigibili.
Che sia giusto sospettare di
chiunque è confermato dalle prime confessioni. Perdite da mutui per 650
milioni sono state trovate nelle casse della General Motors, che nella
mente dei semplici viene ancora collegata alle automobili, ma che per
tentare di sopravvivere fa finanza come tutti. Nulla o quasi è
stato invece rinvenuto nelle grandi banche d’investimento di Wall
Street, che hanno appena comunicato utili record, ma il loro valore di
borsa è stato punito lo stesso. Non si sa mai.
Non dimentichiamo però che la perdita massima del sistema, nell’ipotesi
apocalittica che abbiamo formulato, resta di 750 miliardi. Scendendo
adesso su un piano di verosimiglianza, i quattro quinti dei mutui
subprime verranno onorati (attualmente è pagato puntualmente l’87 per
cento). Per di più, le case reclamate agli insolventi varranno ancora
qualcosa, si presume. Certo, visto che abbandoniamo l’ipotesi che
vengano date alle fiamme, queste case rimesse in vendita deprimeranno il
mercato, ma in termini di valore si tratterà di case piccole e poco
pregiate.
Non vogliamo con questo passare per ottimisti a oltranza. Il mercato
immobiliare mondiale vale il doppio del mercato azionario (è un’anomalia
degli ultimi anni, storicamente il loro valore è sempre stato grosso
modo simile) e qualsiasi suo problema può teoricamente diventare un
problema di tutti. Detto questo, vorremmo fare qualche osservazione.
1)
Il ridimensionamento
dell’immobiliare è stato preannunciato da Greenspan quando ancora era
governatore e ribadito come previsione da Bernanke. E’ per di più
un ridimensionamento voluto, in particolare negli Stati Uniti. Il
progetto è di fare scendere lentamente le quotazioni degli immobili,
fare sentire leggermente più poveri i proprietari, farli consumare un
po’ meno, fare crescere gli Stati Uniti meno degli altri paesi e per
questa via contenere prima e poi ridurre il disavanzo americano delle
partite correnti.
Il piano può naturalmente non riuscire perfettamente. Sono manovre
difficili e delicate, qualcosa può sfuggire di mano. Finora, ad esempio,
manca all’appello la ripresa degli investimenti produttivi, cui la Fed,
giustamente, tiene molto. In compenso, la riduzione del disavanzo delle
partite correnti sta prendendo velocità, grazie al boom delle
esportazioni (che compensa almeno in parte, in termini di Pil, il
rallentamento dei consumi). Correggere lentamente il disavanzo senza
passare per una recessione o una megasvalutazione richiede pazienza,
collaborazione internazionale e abilità. Finora non ci si era mai
nemmeno provato.
2)
Le borse avevano comunque
bisogno di correggere. Non è questione di Shanghai (già
dimenticata) e nemmeno di carry trade (le oscillazioni dello yen sono in
questi giorni controllatissime e non giustificano certo da sole quello
che accade sull’azionario).
I subprime sono un pretesto migliore ma, come abbiamo visto, non possono
spiegare più di tanto. Resta dunque un’esigenza tecnica di
ridimensionamento (con il rituale del test dei minimi perfettamente
rispettato) con in più, sullo sfondo, l’ipotesi di un rallentamento
importante della crescita degli utili, che impone una discesa una tantum
delle quotazioni, non un bear market. Ci sembra del resto che le borse
stiano ripercorrendo le famose tre C di Byron Wien (complacency, cautela
e capitolazione) e che siano entrate nella terza fase, quella della
paura e questo, di per sé, è incoraggiante. Il pavimento è pieno di
detriti, occorreranno settimane per ripulire, una volta fatto ordine si
andrà avanti molto adagio ma questo non è, lo ripetiamo, l’inizio di un
bear market.
3)
Non è l’inizio di un bear market
perché le quotazioni non sono più sopravvalutate (questo lo
dicono negli ultimi giorni anche i policy maker) ma soprattutto perché
l’economia mondiale non è alla vigilia di una crisi. Ci sembrano
sufficienti questi tre elementi, tutti degli ultimi due giorni. Il primo
è Weber della Bundesbank, che stima temporaneo il rallentamento tedesco
del primo trimestre, prevede per quest’anno una crescita che sfiorerà il
due per cento e per il 2008 dice che si andrà tranquillamente oltre.
Il secondo elemento è dato dalle previsioni Ocse. L’Ocse è spesso la più
arcigna tra i grandi istituti di ricerca e questo contribuisce a
renderla interessante. L’Ocse prevede per il trimestre in corso una
crescita G7 certamente inferiore a quella del fortissimo quarto
trimestre, ma superiore a quella del terzo trimestre 2006, un periodo in
cui le borse recuperarono molto bene dopo la correzione di maggio. Per
il secondo trimestre che sta per cominciare ci sarà poi una piccola
accelerazione. Altro elemento interessante, l’Ocse si unisce al Fondo
Monetario nel chiedere al Giappone di non alzare i tassi, anche se
questo dovesse creare problemi ai mercati (ovvero spingerli a riprendere
alla grande il carry trading sullo yen).
Il terzo elemento è dato dalle
anticipazioni Reuters del World Economic Outlook semestrale del Fondo
Monetario che sarà pubblicato nei prossimi giorni. Può darsi che quelli
del Fondo, pur seguendo minuziosamente con il microscopio tutti i paesi
del mondo (è appena uscito il report su San Marino), non si siano
accorti della questione dei mutui subprime. Sta di fatto che, secondo le
anticipazioni, la crescita globale per il 2007 e 2008 è mantenuta al 4.9
per cento, poco sotto il 5.3 dello scorso anno.
Il Fondo, evidentemente distratto da San Marino e dalle Isole Tonga, ha
tenuto inalterata la stima 2007 di tre mesi fa e questo ci sembra molto
degno di nota. Notiamo per inciso che, sulla base di queste stime, il
Pil mondiale reale a fine dicembre 2008 sarà del 31 per cento più alto
rispetto a quello del primo gennaio 2003. Il mondo sarà cresciuto di
quasi un terzo in sei anni, una cosa straordinaria, che in epoca non
postbellica ha un precedente solo negli anni 1934-39 successivi alla
Grande Depressione.
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Fonte -
Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Abaxbank
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Wall
Street: in rally spinta dalle
operazioni di M&A 19 Marzo 2007 - 21.05 New York -
di ANSA _____________________________________
Dopo i cali della scorsa
settimana a Wall Street sono tornate a prevalere gli acquisti. La
forza dei mercati asiatici ed europei e il flusso di accordi
societari, per un valore complessivo superiore ai $10 miliardi,
hanno permesso agli operatori di accantonare le preoccupazioni sul
rallentamento economico e sui mutui ipotecari. Il Dow Jones e’
avanzato dello 0.95% a 12225, l’S&P500 dell'1.09% a 1402, il Nasdaq
ha guadagnato lo 0.92% a 2394.
Il fatto che oggi i titoli
finanziari abbiano partecipato al rally evidenzia un segnale
incoraggiante, risaltando alcuni fattori di ripresa del comparto
dopo che la recente vicenda dei mutui ipotecari aveva messo in
ginocchio grossi istitui di credito. All’interno dell’indice
industriale American Express (AXP), Citigroup (C) e JP Morgan (JPM)
hanno messo a segno rialzi di tutto rispetto.
Ma il catalizzatore alla base del rialzo odierno e’ rappresentato
dalle numerose operazioni di fusioni ed acquisizioni, un classico
del lunedi’ e come al solito un segnale incoraggiante per le borse.
Fonti informate sui fatti riportano che il gruppo inglese Barclays
PLC (BCS) abbia avviato le trattative per l’acquisto della banca
olandese ABN Amro (ABN). La proposta sembra aver sollevato
l’interesse di altre banche europee tra cui ING Group, BNP Paribas,
BBVA (BBV) e Banco Santander (STD) che potrebbe sfociare in una vera
e propria guerra dei prezzi per l’acquisto della banca o di alcune
sue divisioni.
Nel comparto servizi, Servicemaster (SVM) ha annunciato di aver
raggiunto un accordo per essere rilevata per $5.5 miliardi da un
gruppo di investitori privato capeggiato da Clayton, Dubilier & Rice,
mentre Community Health Systems (CYH) sta pensando a un takeover di
Triad Hospitals (TRI), il che manderebbe a monte l'attuale piano di
buyout da $4.5 miliardi. Voci insistenti hanno riguardato anche una
contro-offerta nell'operazione di takeover per rilevare (TXU).
Sotto i riflettori anche il settore chimico: il Wall Street Journal
ha riportato che il colosso Dow Chemical (DOW) sta discutendo un
possibile accordo di joint venture con l’indiana Relience Industries
(RELI). La societa’ di trasporti EGL (EAGL) potrebbe essere
privatizzata in un accordo valutato $1.7 miliardi. Infine, nel
comparto energetico, il titolo Todco (THE) e’ salito di oltre il 19%
sulla notizia relativa alla proposta di acquisto avanzata da
Hercules Offshore (HERO).
A sostenere gli acquisti e’ stato anche il calo dello yen sulla scia
del rialzo dei tassi in Cina, il terzo in meno di un anno. Il fatto
ha ammorbidito le tensioni sui carry trade che avevano rappresentato
un elemento di preoccupazione nelle scorse settimane. Ad inficiare
sulla performance della valuta giapponese sono state anche alcune
speculazioni secondo cui la Bank of Japan martedi' lascera’
invariato il costo del denaro allo 0.50%.
Quanto agli Usa, mercoledi’ prossimo il FOMC della Fed si riunira’
per la decisione sui tassi: non e’ prevista alcuna variazione dagli
attuali livelli (5.25%) ma sara’ interessante valutare il documento
ufficiale che accompagna la decisione per capire meglio il futuro
atteggiamento della Banca Centrale in materia di politica monetaria.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico il greggio ha
continuato a cedere terreno in una sedu5ta piuttosto volatile. I
futures con consegna aprile sono arretrati di 52 centesimi a $56.59
al barile, peggior livello delle ultime sette settimane. Nell’arco
della scorsa settimana, la perdita complessiva e’ stata del 4.9%.
(Leggi cosa pensano i trader del recente calo in Target News)
Sul valutario l’euro ha chiuso in leggero calo rispetto al dollaro.
Nel tardo pomeriggio di lunedi’ a New York il cambio tra le due
valute e’ di 1.3293, massimo dell’anno. L’oro ha chiuso in lieve
rialzo: i contratti con consegna aprile sul metallo prezioso sono
avanzati di appena $0.40 a $654.30 l'oncia. In flessione i titoli di
Stato Usa: il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ salito al 4.5710%
dal 4.55% di giovedi’.
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Wall
Street: ringrazia la FED e va in
rally
21 Marzo 2007 - 21.001
New York - di ANSA ______________________________________
Sessione in rally per gli
indici americani, stabili sulla linea di parita’ per quasi l’intera
seduta, poi schizzati al rialzo subito dopo la comunicazione della
Federal Reserve sui tassi d’interesse. Il Dow Jones e’ avanzato
dell'1.28% a 12444, l’S&P500 dell'1.68% a 1434, il Nasdaq ha
guadagnato l'1.98% a 2455. La Banca Centrale americana ha lasciato,
come ampiamente atteso, invariato il costo del denaro al 5.25%,
dimostrandosi pero’ maggiormente propensa ad un taglio sui fed funds
nei prossimi mesi.
Il cambiamento del
linguaggio utilizzato nel documento ufficiale che ha accompagnato la
decisione ha rinvigorito le speranze degli operatori su una
riduzione dei tassi nel prossimo futuro. Il fatto che la
Banca Centrale abbia puntato l’attenzione sui contrastati dati
macro, sinonimo di un rallentamento della crescita economica, oltre
che sulle solite paure sull’incremento dell’inflazione, hanno
incrementato le possibilita’ di adozione di una politica monetaria
meno restrittiva.
Le chances che i fed funds vengano riportati al 5% nel meeting di
fine giugno sono incrementate al 48% dal 29% antecedente la riunione
della Fed. Nelle ultime settimane, la crisi che ha colpito il
comparto del credito a causa delle insolvenze sui mutui ipotecari
aveva creato un senso di depressione tra gli investitori, intimoriti
da un calo della liquidita’ e da un ulteriore rallentamento del
comparto immobiliare (e dell’economia piu’ in generale).
Il rialzo delle ultime ore ha permesso ai listini di mettere a segno
rialzi di tutto rispetto. Il Dow Jones e’ cresciuto di oltre 150
punti, girando in positivo dall’inizio dell’anno; 29 dei suoi
componenti hanno terminato la sessione in progresso. I maggiori
rialzi sono stati registrati dai titoli finanziari/bancari come
American Express (AXP), Citigroup (C) e JP Morgan (JPM) , sostenuti
anche dalla buona trimestrale di Morgan Stanley (MS) che ha
riportato un balzo del 70% dei profitti nell’ultimo trimestre.
Sempre in tema di trimestrali, buone notizie erano gia’ arrivate
prima dell’apertura con i numeri superiori alle attese dei due
colossi software Oracle (ORCL) e Adobe Systems (ADBE); relativa
delusione era stata invece originata dai risultati fiscali del
corriere internazionale FedEx (FDX).
L’atteggiamento meno "severo" della Fed ha anche offerto una spinta
alle societa’ ultimamente finite nell’occhio del ciclone dei mutui "subprime".
Fremont General (FMT) e’ salita del 17% grazie agli ultimi accordi
che le permetteranno di godere di una maggiore liquidita, Accredited
Home Lenders (LEND) ha continuato ad estendere il buon rialzo di
lunedi’ dopo essersi assicurata un’estensione della linea di
credito.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico il greggio ha chiuso in
lieve rialzo. I futures con consegna maggio, da oggi quelli di
riferimento, sono avanzati di 36 centesimi a $59.61 (picco intraday
$59.85). Per la seconda settiman consecutiva le scorte di petrolio
sono risultate in crescita mentre quelle di benzina e prodotti
distillati sono diminuite (leggi i dettagli nella sezione Target
News).
Sul valutario l’euro si e’ rafforzato rispetto al dollaro. Nel tardo
pomeriggio di mercoledi’ a New York il cambio tra le due valute e’
di 1.3378. L’oro ha terminato la sessione in leggero rialzo: i
contratti con consegna aprile sul metallo prezioso sono avanzati di
$1.00 a $660.00 l'oncia. Ancora su’ i titoli di Stato Usa: il
rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.518% dal 4.547% di
martedi’.
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Mercoledì
14
marzo 2007 |
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Giovedì
15
marzo 2007 |
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Martedì
20
marzo 2007 |
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La vera storia
dei mutui subprime
21 Marzo 2007 Milano -
di Economiaitaliana
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Ed ora, ecco sotto i riflettori il
mercato immobiliare americano e le notizie - non molto rassicuranti, per
la verità - che da lì arrivano.
Per la verità, c'erano già state discrete avvisaglie, che facevano
monitorare con qualche preoccupazione lo sgonfiamento della bolla
immobiliare negli USA (ché di bolla, ormai sono tutti d'accordo, si
tratta).
Dopo una prima diminuzione di prezzi e compravendite, il mercato pareva
essersi stabilizzato. Nell'ultimo scorcio del 2006, però, il calo dei
prezzi è ripreso, accompagnato da una ulteriore contrazione del numero
di compravendite in ben 40 stati dell'Unione; uno stato di cose che ha
iniziato a produrre qualche grattacapo negli intermediari finanziari.
Il punto è che, accanto agli
accantonamenti relativi a mutui divenuti in tutto o in parte inesigibili
e magari non più assistiti da una garanzia immobiliare congrua (a causa
del calo dei prezzi), si sono iniziati a manifestare effetti ulteriori.
Contando su una continua espansione del mercato, spesso gli intermediari
che erogavano mutui si rifinanziavano "scontandoli" presso il mercato o
presso banche d'affari più grandi, anche sfruttando le tecniche di
cartolarizzazione.
Peraltro, molti di questi contratti di rifinanziamento contemplavano
l'obbligo di riacquistare i mutui qualora il valore delle relative
garanzie immobiliari fosse sceso al di sotto di una certa soglia: il che
è proprio ciò che ha cominciato ad avvenire.
Il risultato? Contenziosi tra grandi banche (ad esempio la HSBC) e
piccole finanziarie che si trovano costrette a rifiutare il riacquisto,
o anche fallimenti di taluna di queste finanziarie.
Come (CADN.SW - notizie) in dicembre scorso, quando Merril Lynch chiese
alla ResMae Mortgage il riacquisto di almeno 308 milioni di dollari di
mutui, provocandone la richiesta di amministrazione controllata.
In questi giorni, invece, si parla tanto dei mutui "subprime", ovvero
non di prima qualità, e delle difficoltà (o dei veri e propri
fallimenti) di alcune società che operano nel settore; si parla anche
del coinvolgimento di "grandi firme" del mondo bancario e non solo (vedi
la GM (NYSE: GM - notizie) e il suo braccio finanziario), che rischiano
di rimanere invischiati con perdite nel dissesto degli operatori di cui
parlavamo prima.
Ma, secondo me, anche se
fallimenti e possibili procedure di amministrazione controllata, conditi
da crolli dei titoli in borsa e delisting, sono notizie più clamorose,
il punto focale non è quello. Sono altri i numeri che preoccupano, tutti
forniti dalla MBA, la Mortgage Bankers Association (vedi, fra gli altri,
"Il Sole 24 Ore" del 16.3.2007).
Certo, la percentuale dei mutui subprime che presentano anomalie è
lievitata, a fine 2006, al livello record del 13,6%; il problema, però,
è che i ritardi nei pagamenti dei mutui "ordinari" è salito ormai al 5%,
ed il numero di abitazioni pignorate nel 2006, cresciuto di un rotondo
42% nel 2006, è arrivato allo 0,54% che, come si faceva notare sulla
stampa, rappresenta il livello più alto mai registrato nei ben 37 anni
di attività della MBA.
Ecco, la crisi, le paure, le constatazioni sui rapidi deterioramenti
sono tutti qui, in questi pochi numeri. E, ad un secondo livello, nella
possibilità che - in seguito al notevole incremento di emissioni
costruite sulla cartolarizzazione di mutui ordinari e subprime, la crisi
del settore possa, in prospettiva, estendersi causando perdite anche a
fondi comuni non direttamente coinvolti nell'attività immobiliare.
In più, resta il problema delle banche: alcune stime si spingono a
valutare in oltre due milioni le case che passerebbero ai creditori solo
in relazione alla crisi del segmento subprime; in ogni caso, le banche
vogliono in genere fare il proprio mestiere, e non le società
immobiliari. Tanto più che possedere un immobile costa, sia in termini
di tributi da onorare sia in termini di spese di esercizio (il banale
"condominio") e di necessaria manutenzione per evitare il deperimento
della proprietà.
Dunque, i creditori potrebbero essere portati a disfarsi in tempi brevi
degli immobili caduti nelle proprie mani, intensificando le pressioni
sui prezzi che già hanno portato un ribasso percentuale a due cifre nel
prezzo mediano delle abitazioni USA (in un quadro che vede comunque
l'allungamento dei tempi di vendita e la lievitazione dello stock di
invenduto).
La preoccupazione sta nel fatto
che certe svolte tendono a manifestarsi ed a svilupparsi con più
rapidità di quanta gli operatori del settore e quelli istituzionali non
siano poi oggettivamente in grado di gestire; ed ora, a complicare il
quadro congiunturale, arriva anche l'inatteso rimbalzo dell'indice USA
dei prezzi alla produzione (+1,3% mensile, ben al di sopra delle stime
più pessimistiche).
Un sondaggio commissionato dal Wall Street Journal ha recentemente
certificato l'ovvio, rendendo nota l'opinione di un panel di economisti
che si attendono nuove flessioni nei prezzi delle case.
In questo quadro suonano un po' stonate le parole pronunziate da
Greenspan l'8 aprile di due anni fa, quando celebrava l'innovazione che
ha portato una moltitudine di nuovi strumenti come i crediti subprime, e
constatava come questi progressi avessero portato ad una rapida crescita
del mercato dei mutui.
 |
Fonte -
http://economiaitaliana.splinder.com
|
Tassi
Usa: la FED li lascia invariati
21 Marzo 2007 - 19,15 New York -
di WSI ______________________________________________
Come ampiamente atteso
dal mercato, il Federal Open Market Committee, il braccio operativo
della Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro
degli Stati Uniti.
Il target sui fed funds e' dunque fermo al 5.25%. Nella riunione
dello scorso 8 agosto, la decisione di non ritoccare i tassi, poi
confermata in quelli del 20 settembre, del 25 ottobre del 12
dicembre e del 31 gennaio, aveva chiuso la serie di rialzi durata
per ben due anni. Il primo rialzo della serie fu deciso nel meeting
del Fomc del 30 giugno del 2004.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano
del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee ha deciso di lasciare invariato il
tasso sui fed funds al 5.25%.
I recenti indicatori sono risultati contrastati e la stabilizzazione
del settore immobiliare sembra essere in atto. Tuttavia, l’economia
sembra rimanere posizionata per un’espansione ad un passo moderato
nei prossimi trimestri.
Le ultime letture sull’inflazione "core" sono risultate alquanto
elevate. Sebbene le pressioni inflazionistiche dovrebbero
affievolirsi col passare del tempo, l’alto livello di utilizzazione
delle risorse ha il potenziale di sostenere tali pressioni.
In tali circostanze, la preoccupazione predominante della politica
condotta dal Comitato resta incentrata sul fatto che l’inflazione
possa non affievolirsi come previsto. Le future mosse di politica
monetaria dipenderanno dall’evoluzione dell’outlook inflazionistico
e delle crescita economica, cosi’ come sara’ implicato dalle
informazioni rilasciate quotidianamente.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono
stati (all'unanimita'): Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F.
Geithner, Vice Chairman; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall
S. Kroszner; Cathy E. Minehan; Frederic S. Mishkin; Michael H.
Moskow; William Poole; e Kevin M. Warsh.
Ed ecco il testo
originale del documento che accompagna la decisione della Federal
Reserve di lasciare il tasso interbancario al 5.25%:
The Federal Open Market Committee decided today to keep its target
for the federal funds rate at 5-1/4 percent.
Recent indicators have been mixed and the adjustment in the housing
sector is ongoing. Nevertheless, the economy seems likely to
continue to expand at a moderate pace over coming quarters.
Recent readings on core inflation have been somewhat elevated.
Although inflation pressures seem likely to moderate over time, the
high level of resource utilization has the potential to sustain
those pressures.
In these circumstances, the Committee's predominant policy concern
remains the risk that inflation will fail to moderate as expected.
Future policy adjustments will depend on the evolution of the
outlook for both inflation and economic growth, as implied by
incoming information.
Voting for the FOMC
monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F.
Geithner, Vice Chairman; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall
S. Kroszner; Cathy E. Minehan; Frederic S. Mishkin; Michael H.
Moskow; William Poole; and Kevin M. Warsh.
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Fonte - WallStreetItalia.com |
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