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Mercoledì 17 ottobre 2007 |
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Lunedì 22 ottobre 2007 |
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Sabato 27 ottobre 2007 |
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UBS ACCUSA IL COLPO PER CRISI SUBPRIME
01 Ottobre 2007, New
York 17:39 - di
Swissinfo ____________________________
La maggiore banca svizzera
annuncia, a causa dei prestiti ipotecari a bassa copertura,
una perdita compresa tra 600 e 800 milioni nel terzo trimestre
del 2007. UBS sarà quindi costretta ad ammortizzare parecchi
miliardi di franchi di attivi. Il responsabile della divisione
«investment bank» e il responsabile delle finanze lasceranno
l'azienda; sono inoltre annunciati licenziamenti.
Il posto di Huw Jenkins verrà rilevato dal nuovo direttore
generale Marcel Rohner. Anche il direttore finanziario Clive
Standish lascerà il gruppo bancario. Il suo successore sarà
Marco Suter, attualmente vice presidente del consiglio
d'amministrazione dell'UBS. Le difficoltà legate alla crisi
dei prestiti a bassa copertura comporterà inoltre, per UBS, la
soppressione di circa 1500 posti di lavoro nella divisione
dell'«investment banking». La suddivisione dei tagli non è
ancora precisata. La profonda ristrutturazione – ha
sottolineato la banca – dovrà permettere all'UBS di rimediare
alla perdita di 4 miliardi di franchi subita nel terzo
trimestre nelle attività di reddito fisso, tassi e cambi.
Il CEO di UBS Marcel Rohner ha definito «deludente» la
prima perdita trimestrale dopo nove anni, soprattutto poiché
verificatasi dopo un primo semestre contraddistinto da
risultati spiccatamente positivi. Alla luce di questa
situazione, afferma Rohner, «ho deciso di agire nel modo più
trasparente possibile, effettuando opportuni cambiamenti a
livello di management e accelerando i cambiamenti già previsti
per l'azienda. Grazie a queste misure, UBS si troverà in una
posizione solida per continuare ad ampliare le sue attività
con la clientela». Per i primi nove mesi dell'anno il
gruppo bancario dovrebbe comunque registrare un utile attorno
ai dieci miliardi di franchi. Malgrado gli effetti della crisi
del mercato statunitense, l'UBS prevede quindi di chiudere
l'esercizio in corso con «un buon livello di utile e una
solida base di capitale», sottolinea il comunicato
dell'azienda. Nel periodo tra gennaio e settembre del 2006, la
banca aveva registrato un utile netto di 9,85 miliardi di
franchi. L'UBS aveva chiuso il primo trimestre dell'anno con
un utile netto di 3,275 miliardi di franchi, in calo del 7%
rispetto allo stesso periodo del 2006, che includeva tuttavia
una plusvalenza di 290 milioni derivante dalla vendita di
Motor Columbus. I dettagli sui risultati sul terzo trimestre e
sui primi nove mesi del 2007 sarranno pubblicati il 30
ottobre.
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WALL STREET
IN RALLY, DOW VOLA SOPRA I 14000
01 Ottobre 2007, New
York 22:18 - di
WSI ____________________________
Non
poteva aprirsi meglio il nuovo trimestre per la borsa
americana. Il Dow Jones ha guadagnato l'1.38% ad un nuovo
record di 14087 punti (max intraday 14105), l’S&P500
l'1.33% a 1547, il Nasdaq e' salito dell’1.46% a 2740. Gli
operatori hanno guardato ben oltre gli allarmi giunti dal
comparto finanziario proseguendo con vivacita’ sulla strada
dei rialzi nella speranza di una continuazione della politica
accomodante da parte della Fed. Gli operatori hanno letto
in positivo e perfino con eccessiva euforia anche l’ultimo
intervento di Alan Greenspan: l'ex presidente della Fed
intervenuto a Londra ha dichiarato che "la crisi finanziaria
e' quasi terminata". Il che e' ancora piu' strano, alla luce
del fatto che proprio lo scorso venerdi’ Greenspan aveva
lanciato un allarme sulle maggiori possibilita’ di recessione
per l’economia americana. A
rafforzare la tesi di ulteriori tagli ai tassi d’interesse e’
stato l’aggiornamento sul settore manifatturiero con l’indice
ISM scivolato a 52 punti a settembre, ai minimi di sei mesi.
Cio’ e’ stato sufficiente a far dimenticare presto agli
operatori i due pesanti profit warning lanciati dai colossi
finanziari UBS (UBS) e Citigroup (C). La banca svizzera ha
dichiarato che a causa della crisi del credito legata ai mutui
subprime riportera’ la prima perdita trimestrale di nove anni
e che adottera’ un taglio della forza lavoro; il gigante
americano ha annunciato un “considerevole” calo dei profitti,
probabilmente 60% in meno rispetto allo scorso anno.
L’ottimismo e’ anche basato
sulle prospettive degli utili societari. Con il peggio del
“credit crunch” ormai alle spalle, gli investitori scommettono
su un miglioramento dei risultati fiscali della Corporate
America che possano fungere da solido supporto per un
ulteriore apprezzamento dei titoli. Ottobre
e’ dal punto di vista storico il peggior mese per il comparto
azionario; i maggiori crolli (1929 e 1987) si sono sempre
materializzati in questo periodo: sara’ interessante seguire
con attenzione l’andamento dei listini nei prossimi giorni, in
parallelo al rilascio di nuovi dati macro che potrebbero
offrire alla Fed importanti segnali sulle scelte di politica
monetaria. Dei trenta titoli che compongono il Dow Jones
solo tre hanno chiuso in rosso (General Motors (GM), Alcoa
(AA) e AT&T (T)), i maggiori rialzi li hanno realizzati,
oltre al gia’ citato Citigroup (C), Verizon (VZ),
Hewlett-Packard (HPQ) e McDonald’s (MCD). Tra le altre
societa’, in rialzo Teva Pharmaceuticals dopo che la FDA ha
respinto la richiesta di Novartis sulla commercializzazione
della versione generica del Famciclovir da parte della rivale.
Tra le news di M&A, il colosso della telefonia mobile
Nokia (NOK) ha rilevato Navteq per $78 ad azione:
l'acquisizione del gruppo satellitare garantisce all’azienda
finlandese l'espansione della propria presenza nel business
“mobile”. Nel comparto retail, tonfo della catena Walgreen
(WAG) dopo la brutta trimestrale. Sugli altri mercati, nel
comparto energetico, il greggio ha continuato a ritracciare
chiudendo la sessione poco sopra gli $80 al barile. I futures
con consegna novembre hanno perso $1.42 a quota $80.24 al
barile. Sul valutario, l’euro ha chiuso in calo a 1.4229
nei confronti del dollaro. In rialzo l’oro: i futures con
consegna dicembre sono avanzati di $4.10 a $754.10 all’oncia.
In leggero progresso infine i Titoli di Stato. Il rendimento
sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.5570% dal 4.5770% di
venerdi'.
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Dopo un’estate di speculazioni su
immobiliare Usa, mutui subprime e dopo i primi profit warning
(Citigroup è stata l’ultima in ordine cronologico), ecco che ora si
è arrivati al redde rationem. La prossima settimana inizierà infatti
la stagione di trimestrali Usa: un test importante per tastare il
polso alla locomotiva America. Certo, nel secondo quarter i
profitti operativi delle società dell’S&P500 erano saliti oltre
le attese al 9,9%, spingendo i mercati ai top di luglio. Ma allora,
a fornire benzina erano stati i finanziari: con un peso del 20%
sull’indice, avevano contribuito agli utili per il 28 per cento. Ma
ora questo settore è fuori gioco e gli altri devono ballare da soli.
E con una congiuntura che sembra virare in negativo le prospettive
non appaiono rosee.
SI PARTE. Ad aprire le danze sarà
come sempre Alcoa, che martedì 9 ottobre, dopo la chiusura del
mercato, comunicherà i propri risultati: le attese sono di 0,66
dollari di eps, un valore che va a confrontarsi con il precedente
dato di 0,62. Ma lo stesso giorno anche Chevron, dopo aver già
annunciato un maxi buyback da 15 miliardi di dollari, illustrerà
l’andamento dei conti del terzo quarter. Pur con una quotazione
media del petrolio salita fra il secondo e il terzo trimestre da 65
a 75 dollari per barile, gli analisti si aspettano un calo dell’eps
del colosso energetico a 2,18 dollari (2,29 lo scorso anno). La
prima settimana di trimestrali si concluderà, come al solito, con
General Electric, venerdì 12. Per la conglomerata Usa le stime più
recenti sono di 55 centesimi per azione (erano 49 nel 2006).
AVANTI PIANO. «Si tratterà del più basso
incremento degli eps degli ultimi cinque anni - avvertono da S&P
- Le attese per il terzo quarter sono infatti di 23,58 dollari, il
2,4% in più dello stesso periodo del 2006. Era dal primo trimestre
del 2002, quando l’S&P500 mise a segno un misero +1,1%, che non
si registrava un aumento così ridotto», concludono gli
esperti di S&P. Non si tratterà tuttavia di una riduzione
generalizzata delle prospettive di crescita. Come spiega Howard
Silverblatt, della società di rating, «con il comparto finanziario fuori
gioco difficilmente avremo buoni risultati in futuro sull’S&P,
considerando che la dispersione a livello di settore è
elevata». Spiegano da S&P: «Per il comparto delle
telecomunicazioni le attese sono di un rialzo degli utili del 25%,
per l’healthcare del 16,% per l’It del 10% e del 7% per gli
industriali. Le utility dovrebbero restare al palo e gli energetici
arretrare del 4%».
EFFETTO VALUTARIO. «Vi è però un
aspetto importante da rilevare, e cioè che mentre negli Usa
l’economia sta rallentando a causa dei problemi di immobiliari e
finanziarie, nel resto del mondo, invece, è ancora molto forte -
dice Dirk Van Dijk, di Zacks Investment Research - A questo si
aggiunge l’effetto valutario. Il dollaro è più debole dello scorso
anno: ad esempio contro l’euro ha perso quasi l’8%». Le big cap
statunitensi si troveranno così agevolate sia sul versante
competitivo, grazie alla svalutazione del biglietto verde, sia nel
momento in cui convertiranno in dollari gli utili realizzati in
valute forti. A tutto ciò si aggiunge poi il fenomeno
buyback. Le operazioni di riacquisto di azioni proprie sul mercato
avranno due effetti: uno controdiluitivo che aiuterà le società a
mostrare bilanci con eps in crescita, l’altro di mantenere un basso
rapporto fra prezzo e utili. «Ma le prospettive, secondo il
consensus, per i successivi trimestri rimangono ancora improntate
all’ottimismo - interviene Jean Luc Buchalet di Factset -
Nell’ultimo trimestre dell’anno la crescita dei profitti è attesa al
12,5% e al 10,9% per i primi tre mesi del 2008».
RISCHI DI RECESSIONE. Questo
significa, tuttavia, che gli esperti non mettono in conto possibili
inversioni di trend a livello di utili. Uno scenario che Buchalet
giudica eccessivamente ottimista. «Un primo indicatore - spiega
l’esperto di Factset - è rappresentato dalla discesa dei margini
reddituali. Dopo la
forte crescita del quinquennio 2001-06, mi sembra improbabile che
possa migliorare ancora, in un contesto economico più difficile; del
resto già prima che scoppiasse la crisi subprime le attese erano di
un calo al 9 per cento. Ecco che, quindi, le ipotesi più plausibili
sono ora di un margine sotto il 9% per il 2007 e intorno all’8%
l’anno prossimo». Negli ultimi 46 anni questo calo ha rappresentato
quasi sempre un primo segnale Orso per la Borsa: le
statistiche mostrano come nell’anno successivo a un picco di
redditività l’S&P500 perda in media oltre il 9,6 per cento.
«Mentre una caduta dei profitti, attesa per fine 2008 - conclude
Buchalet - è in genere anticipata da un minimo relativo
dell’S&P500 di circa 11 mesi (si veda la tabella in pagina,
ndr). Da ora in avanti è meglio quindi rimanere all’erta e non
liquidare eventuali flessioni dei listini come semplici
correzioni».
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Fonte -
Borsa&Finanza |
Le bolle speculative sono più
facili da gonfiare che da mantenere in vita. La bolla immobiliare
negli Stati Uniti sta cominciando a sgonfiarsi e i rischi
dell’economia USA e globale sono più grandi che nel 2000 alla
vigilia del crollo dei mercati azionari e sono più grandi a causa
degli squilibri che si sono determinati in parte a seguito della
bolla immobiliare e del suo scoppio. Vi sono tutte le condizioni
perché il consumatore americano indebitato fino gli occhi tiri i
remi in barca, causando anche un crollo dell’import statunitense e
per questa via una recessione globale. Infatti, non bisogna
dimenticare che il motore della crescita economica è il
credito. Il credito
totale interno degli Stati Uniti è passato dal 150% del Pil nel 1969
al 240% nel 1990 e al 340% di oggi. Quando il credito si
espande in questo modo esso alimenta il consumo, gli investimenti,
l’occupazione e fa crescere i prezzi delle attività reali e
finanziarie come le azioni. Ma ad un certo momento un eccesso di
credito causa il surriscaldamento congiunturale e provoca una bolla
dei prezzi sui mercati.
Fino a che nuovo credito si
aggiunge a quello in essere, tutti sono in grado di prendere a
prestito per ripagare il capitale e, a volte, anche gli interessi.
Ad un certo punto quest’uso smodato del credito si interrompe perché
le famiglie e le imprese realizzano di non essere più in grado di
rimborsare. E’ questo il brusco passaggio dall’inflazione creditizia
alla deflazione creditizia. E’ questa la situazione che
stiamo sperimentando oggi. E’ una crisi creditizia internazionale
che dispone di una forza deflazionistica spaventosa. In base ai miei
calcoli, per contrastarla i governi dei principali Paesi dovrebbero
spendere almeno 1000 miliardi e forse quasi 2000 miliardi di
dollari. Ma chi finanzierà queste spese? Non certo il
contribuente che paga già tasse molto salate, ne’ il risparmiatore,
privato o istituzionale, che ha già troppi crediti nel portafoglio.
Forse lo potrebbero fare le banche centrali, ma questo sarebbe un
rimedio ancora peggiore del male perché si passerebbe dalla
deflazione all’inflazione galoppante. Queste sono le prospettive dello
scoppio della bolla creditizia e non sono prospettive incoraggianti.
In questo contesto è tornato a far parlare di sé il dollaro. Ma in
che cosa consiste esattamente il problema del dollaro? Esso risiede
nel fatto che il Paese che emette la moneta di riserva – quella cioè
accolta nei bilanci delle banche centrali di tutto il mondo per
denominare i crediti sull’estero (le riserve, appunto) che ha
ottenuto negli anni 1950 questo status per la sua moneta in grazia
della sua capacità di grande esportatore, da ormai tre decenni
registra grandi deficit nella sua bilancia dei pagamenti
correnti.
Questi deficit inoltre si sono
accentuati negli ultimi dieci anni, al punto che le esportazioni
degli Stati Uniti sono ormai pari a meno del 60% delle
importazioni, rendendo nei fatti impossibile un ritorno
all’equilibrio della bilancia dei pagamenti americana di fronte ad
un deprezzamento del cambio, fino ad un qualunque livello che non
sia palesemente assurdo. Le
autorità monetarie dei Paesi, specie asiatici, che in questi anni
hanno acquistato dollari per circa tremila miliardi contribuendo a
sostenere il valore della moneta americana, ora sono propensi a dire
basta: il troppo è troppo. Anche perché la banca centrale americana
pare intenzionata ad affrontare la crisi finanziaria dei mutui
subprime, degli hedge funds e del private equity abbassando i tassi
di interesse sul dollaro e quindi rendendo ancora meno attraente la
detenzione di moneta americana. Gli obiettivi di politica
economica interna (che consistono attualmente nell’attenuare la
morsa del credito o credit crunch) sono entrati in rotta di
collisione con gli obiettivi di stabilità del cambio del dollaro.
Questo contrasto viene ancora una volta risolto rifuggendo dalle
responsabilità degli Stati Uniti verso il resto del mondo e a
vantaggio delle loro esigenze domestiche.
L’Amministrazione in tutti questi
anni, pur facendo dichiarazioni in favore di un dollaro forte – ma
come diceva Talleyrand la parola serve spesso per nascondere il
pensiero – si è affidata interamente al deprezzamento del dollaro
(che dal 2002 rispetto ad un basket delle principali monete ha perso
il 25% del suo valore), sperando che esso fosse progressivo ed
ordinato, per riequilibrare un non riequilibrabile deficit dei conti
con l’estero. Ha preferito usare i pannicelli caldi invece di
adottare misurare più adeguate per salvaguardare lo status del
dollaro come moneta di riserva. Non ha fatto nulla per frenare il
deficit federale che ha generato un debito dell’Amministrazione
stimato attualmente in oltre 9000 miliardi di dollari (i cui titoli
pubblici sono per quasi il 50% nelle mani degli stranieri). Le spese
pubbliche sono state aumentate, mentre entravano in vigore i tagli
delle tasse. Si è lasciato
che si manifestasse un’inflazione creditizia di enormi proporzioni,
come dimostrato dall’uso smodato del credito nei confronti delle
famiglie, delle imprese e dei grandi e medi investitori (hedge
funds, private equity, etc.). L’Amministrazione non ha
favorito la formazione di risparmio interno al fine di ridurre la
necessità di massicci afflussi di capitali (4 miliardi di dollari al
giorno) dall’estero. Né si è curata di aumentare la competitività
degli Stati Uniti lasciando, ad esempio, che sulle imprese gravasse
il crescente fardello della spesa sanitaria e pensionistica. Ha
vissuto alla giornata, sempre sperando in un impossibile
ribilanciamento dei conti con l’estero, nonostante i crescenti segni
di nervosismo da parte delle autorità monetarie degli altri Paesi,
oggi più che mai infastidite dallo sgradevole compito di continuare
ad acquistare dollari, senza che vi fosse un programma finalizzato a
porre fine a questa anomalia.
E così l’America si è messa in
trappola. Essa è scattata nel momento in cui la Federal Reserve ha
cominciato ad abbassare i tassi di interesse per rispondere al
credit crunch oggi presente sui mercati finanziari. Si è così creata
una situazione nella quale le cose sono destinate ad andare male,
sia che si scelga bianco, sia che si scelga nero: una lose lose
situation. Infatti, se la Fed non abbassa ancora i tassi di
interesse, i mercati finanziari subiranno un brusco passaggio
dall’inflazione alla deflazione creditizia. Se abbassa i tassi
prepara la strada ad una crisi valutaria, ad un precipitoso crollo
del dollaro al quale seguirà una crisi dei mercati finanziari, anche
perché verrà messa in pericolo la crescita economica globale. Una
crisi valutaria avrà effetti negativi sul commercio internazionale,
sugli investimenti e sui tassi si interesse ancora più potenti di un
credit crunch. E’ probabile, comunque sia, che ancora una volta
l’incapacità degli Stati Uniti di comprendere il resto del mondo
farà fare ai pubblici poteri americani la scelta più
sbagliata.
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Fonte - La Repubblica - Affari &
Finanza |
Subprime:
Rato, la crisi è seria e continuerà
08 Ottobre 2007,
New York - di ANSA ____________________________
Meglio non
abbassare la guardia sui mercati. La crisi dei mutui
subprime non solo "seria" ma riserverà nuove puntate
fino ad arrivare ad incidere sulla crescita mondiale. A
vestire i panni del gufo guastafeste ci ha pensato il
direttore generale uscente del Fondo monetario
internazionale, Rodrigo Rato. Dalle colonne del
Financial Times Rato non ha usato troppi giri di parole:
"I politici non dovrebbero pensare che i problemi
rimarranno solo sulle scrivanie dei banchieri, perché i
problemi si stanno estendendo all'economia reale, ai
bilanci". A suo avviso "ci vorranno alcuni mesi,
probabilmente fino all'anno prossimo, prima che la
liquidità torni al livello normale".
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MUTUI USA:
STANDARD & POOR'S VEDE NERO
09 Ottobre 2007,
New York - di ANSA ____________________________
La crisi
derivante dal collasso finanziario legato al credito
immobiliare ad alto rischio e' ancora lontana dall'
essersi esaurita. E' quanto affermato dal capo
economista di Standard & Poor's, secondo cui il
tasso di disoccupazione e' destinato a crescere,
contestualmente ad un rallentamento dell' economia.
Parlando con alcuni giornalisti a Mumbai, Wavid
Wyss, responsabile economico dell' agenzia di rating, ha
affermato infatti che 'la crisi immobiliare non e' stata
ancora superata'.
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WALL
STREET: BELLA SPINTA DALLE MINUTE
09 Ottobre 2007, New
York 22:13 - di
WSI ____________________________
Dopo essersi mossi sulla
linea di parita’ per gran parte della seduta, i listini
americani hanno accelerato al rialzo nelle ultime due ore,
subito dopo la pubblicazione delle minute del Fomc. Il Dow
Jones ha guadagnato lo 0.86% a 14164, l’S&P500 lo 0.81% a
1565, il Nasdaq e’ avanzato dello 0.59% a 2803. Nel
meeting svoltosi lo scorso 18 settembre la Banca Centrale
aveva deciso per un taglio del costo del denaro di mezzo punto
percentuale (al momento al 4.75%). Dai dettagli dell’incontro
diffusi in giornata e’ emerso che si e’ trattato dell’”azione
piu’ prudente” dettata dall’incertezza circa l’impatto che le
recenti turbolenze del comparto finanziario avrebbero potuto
avere sull’economia globale. Future decisioni di politica
monetaria dipenderanno comunque dalle reazioni del mercato nei
prossimi giorni. Cio’ e’ bastato a spingere
l’indice industriale e l’S&P500 a nuovi massimi storici, e
il Nasdaq al top di 6 anni e 9 mesi. In tale contesto
pero’, con i listini che si muovono in una chiara condizione
di ipercomprato nel breve termine, sara’ fondamentale un nuovo
catalizzatore che possa spingere ulteriormente al rialzo il
comparto azionario. Da qui la forte attenzione che verra’
riposta dagli operatori sulla stagione degli utili societari.
Come di conseuto sara’ il gigante dell’alluminio Alcoa (AA) il
primo componente del Dow Jones a riportare la trimestrale
(subito dopo la chiusura delle borse). Le attese sono per un
EPS di 66 centesimi, in rialzo di circa il 5% rispetto allo
stesso periodo dello scorso anno. Restando sul fronte
degli utili, sono risultati migliori delle stime i numeri
della catena di ristoranti Yum! Brands (YUM) che ha anche
annunciato un piano di buyback di $4 miliardi. Nei guai invece
l’operatore wireless Sprint-Nextel (S), costretto a tagliare
l’outlook sull’interno anno dopo le dimissioni del CEO
(peraltro attese dati la brutta performance del titolo in
borsa e il calo degli abbonati). Tra i titoli del Dow
Jones, dopo aver sofferto in avvio, il colosso delle bibite
Coca-Cola (KO) e’ riuscito ad annullare sul finale le perdite
iniziali originate dai commenti negativi degli analisti della
banca d’affari Deutsche Bank. Tra le blue chip i migliori
rialzi sono stati riportati da Alcoa (AA), Caterpillar (CAT),
Exxon Mobil (XOM) e American Express. Vendite su Home Depot
(HD) e Citigroup (C). Nel comparto tecnologico, ancora
riflettori puntati sul colosso Internet Google (GOOG) che,
dopo essersi portato al di sopra della barriera dei $600, ha
continuato nella corsa arrivando a toccare un massimo intraday
di $623.78. Sugli altri mercati, il greggio ha recuperato
terreno. I futures con consegna novembre hanno guadagnato
$1.24 a quota $80.26 al barile. Sul valutario, reazione
dell’euro nei confronti del dollaro. Nel tardo pomeriggio di
martedi' a New York il cambio tra le due valute e di 1.4108.
In progresso anche l’oro: i futures con consegna dicembre sono
avanzati di $4.40 a $743.10 all’oncia. In lieve calo infine i
titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e'
salito al 4.6510%.
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I gestori, interpellati da
Morningstar nell’ultimo sondaggio, continuano ad essere positivi sui
mercati azionari. Ma mettono in conto un rallentamento dell’economia
che toccherà anche l’Europa. Opinioni discordanti sulle prossime
mosse della Bce, mentre la Fed taglierà ancora. ________________________________________
Rallentamento economico e
trimestrali in chiaroscuro porteranno ancora volatilità sui mercati,
ma i gestori continuano a preferire le azioni alle obbligazioni.
Secondo il sondaggio mensile condotto da Morningstar nella prima
settimana di ottobre, le Borse saliranno nei prossimi sei mesi.
L’economia europea cambia ritmo
Per il 78,3% dei gestori, le Borse
del Vecchio continente saliranno nei prossimi sei mesi (erano il
70,6% a settembre), nonostante i primi segnali di rallentamento
dell’economia e una stagione degli utili che porterà
volatilità. Il ciclo congiunturale ha oltrepassato il suo
picco e la crescita rimarrà vicina al suo potenziale se la debolezza
statunitense sarà adeguatamente compensata dallo sviluppo dei Paesi
emergenti, che sosterrà le esportazioni e gli investimenti. Come ha
sottolineato anche la Banca centrale europea nel Bollettino di
ottobre, “le prospettive di crescita sono soggette a rischi verso il
basso, legati principalmente a un impatto più ampio della
rivalutazione del rischio in atto nei mercati finanziari sul clima
di fiducia e sulle condizioni di finanziamento, ai timori di spinte
protezionistiche e di possibili andamenti disordinati connessi agli
squilibri mondiali, nonché a ulteriori rincari del petrolio e delle
materie prime”.
Immobiliare, spina nel fianco per Wall
Street
Nonostante la
crisi nel settore dei mutui sia parzialmente rientrata, il
rallentamento del mercato immobiliare può rappresentare un freno
pluriennale per la crescita economica, perché il restringimento
nelle concessioni di crediti sarà più rigido di quanto inizialmente
previsto. La Borsa statunitense, però, beneficia di una minor
volatilità rispetto ad altre aree e di un trend di crescita degli
utili che rimane soddisfacente. Wall Street salirà per il 59%
dei gestori, contro il 9% che prevede un calo nei prossimi sei mesi,
percentuale quest’ultima superiore al 6% di settembre.
In
attesa che il Sol Levante si rialzi
Rispetto a settembre è
cresciuta di circa dieci punti, la percentuale di gestori ottimisti
sul Giappone. L’incremento di quasi il 9% dell’indice Nikkei
nell’ultimo mese (al 10 ottobre) ha dato fiducia ai manager, che
sono convinti che le previsioni sugli utili societari rimangano
favorevoli. Inoltre il livello dello yen rispetto alle principali
valute è considerato attrattivo. Per molti, il mercato è
sottovalutato, anche perché ha reagito più lentamente delle altre
Borse alla crisi estiva. Sul listino, però, pesa il quadro politico,
che rimane incerto, nonostante l’elezione del nuovo primo ministro,
Yasuo Fukuda, in sostituzione del dimissionario Shinzo Abe. Gli
investitori attendono di capire se la nuova politica fiscale sarà
più espansiva, favorendo i consumi domestici. Un altro fattore
importante è la strategia della Banca centrale: nell’ultima riunione
ha lasciato i tassi fermi allo 0,5%, per sostenere l’economia, ma
eventuali strette potrebbero sostenere la divisa nipponica.
Bce ferma, Fed espansiva?
Non c’è accordo tra i
gestori sulle prossime mosse della Banca centrale europea. Secondo
alcuni, il ciclo restrittivo è finito, perché l’economia dà segni di
rallentamento, secondo altri riprenderà dopo una breve pausa, perché
l’obiettivo primario resta combattere l’inflazione. Per contro,
negli Stati Uniti è scontato un ulteriore taglio di 50 punti base
nei prossimi sei mesi per sostenere l’economia e finanziare il
deficit commerciale attraverso un ulteriore deprezzamento del
dollaro. In generale, i gestori non vedono grandi opportunità sul
mercato del reddito fisso. Per il 47% i prezzi delle obbligazioni
europee rimarranno fermi, mentre per quasi il 40% scenderanno,
percentuali che per l’area dollaro sono rispettivamente dal 30 e
43%.
Euro/dollaro stabile
Per il 57% dei gestori, il
rapporto tra euro e dollaro rimarrà invariato nei prossimi sei mesi,
mentre la divisa statunitense potrebbe ancora svalutarsi nei
confronti delle divise asiatiche. La politica monetaria della Fed
continua a favorire la valuta comunitaria, non favorendo una
rivalutazione del dollaro.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 2 e il 9
ottobre, 23 delle principali società di diritto italiano ed estero
operanti sul territorio, che contano per circa il 75% degli asset
gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen AM, Aletti Gestielle, Alpi
Sgr, American Express, Anima Sgr, Banca Fideuram, Banca Profilo, Bnl
Gestioni, Bsi, Dws Investments Italy, Eurizon Capital Sgr,
Henderson, Ing Im, Invesco, Investitori, Julius Baer Sgr,
Mediolanum, Mps Am, Pioneer Im, Sgam, Union investment, Vontobel,
WestLB Mellon.
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Fonte - Morningstar.it |
MUTUI:
COUNTRYWIDE, CRESCONO INSOLVENZE, CROLLANO I
PRESTITI
11 Ottobre 2007,
New York 17:05 - di ANSA ____________________________
Crescono a
settembre le insolvenze a valere sui finanziamenti
ipotecari, mentre al tempo stesso i nuovi prestiti sono
in caduta verticale, -44% e raddoppiano le situazioni in
cui la clientela non in regola con i pagamenti delle
rate di mutuo ha perso la proprietà dell' abitazione.
Sono queste le indicazioni venute oggi da Countrywide
Financial, il colosso dei finanziamenti immobiliari
statunitense finito nel ciclone della crisi legata al
credito 'subprime'. Il mese scorso le insolvenze -
ha reso noto la società - sono arrivate al 5,85% contro
il 4,04% di un anno fa, mentre i proprietari che hanno
perso i diritti sulla casa hanno rappresentato l' 1,27%
contro il precedente 0,51%. Le cifre rese note oggi
sembrano indicare che la crisi del mercato immobiliare è
ancora lontana dall' essersi risolta. Sempre a settemre
il numero di nuovi prestiti accesi da Countrywide è
crollato invece a 21,0 miliardi di dollari, appunto
-44%. In Borsa oggi il titolo sta arretrando a New
York di un altro 5% abbondante, fino a 17,83 dollari e
da inizio anno la perdita é stata pari al 58%. Intanto
il New York Times ha riportato oggi la notizia secondo
cui lo Stato del North Carolina ha chiesto alla Sec - l'
Authority di Borsa - di indagare sulle operazioni fatte
sul mercato azionario dal chief executive officer di
Countrywide, Angelo Mozilo. Quest' ultimo ha venduto
azioni della compagnia nell' ambito di un piano già
annunciato di diversificazione del portafoglio.
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WALL
STREET:
IMPROVVISO SELL-OFF SULL'AZIONARIO
11 Ottobre 2007,
New York 21:19 - di ANSA ____________________________
I listini invertono
rotta dopo aver raggiunto nuovi massimi. Ondata di
vendite sull'hi-tech. Preoccupano i commenti
sull'inflazione dell'area Euro. Dopo essere volati a
nuovi massimi i listini azionari americani hanno
improvvisamente invertito rotta passando in territorio
negativo. A soffrire maggiormente e' il comparto
tecnologico. Il Dow Jones perde lo 0.70%, il Nasdaq
addirittura l'1.70%. Il motivo
dell'improvviso sell-off non e' ancora del tutto chiaro,
ma dalle prime indiscrezioni sembra sia legato ai
commenti di Axel Weber, membro del Consiglio governativo
della BCE, secondo cui a causa delle pressioni
inflazionistiche la Banca Centrale potrebbe essere
costretta a nuove azioni di politica monetaria.
Il fatto ha temporaneamente abbassato le
chance di un taglio al costo del denaro da parte della
Fed nel meeting di fine mese. Negli ultimi giorni
l'opinione di un proseguimento della politica
accomodante da parte di Bernanke & Co. era diventata
sempre piu' diffusa. Tra le cause del ritracciamento
dei listini si distinguono anche alcuni rumors relativi
ad alcuni commenti negativi da parte di un'importante
banca d'affari sul comparto tecnologico (da qui il forte
calo del Nasdaq), ma le voci non hanno ancora trovato
conferma. Di sicuro fino a questo momento c'e' che
gli analisti di JP Morgan hanno tagliato le stime sui
ricavi del motore di ricerca cinese Baidu.com (BIDU) il
cui titolo cede piu' del 10% a mezz'ora dalla
chiusura.
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MUTUI:
Wellink (Bce), Crisi Non e' Alle Spalle
13 Ottobre 2007,
New York 13:28 - di ANSA ____________________________
(ANSA) - ROMA, 13
OTT - Le turbolenze finanziarie scatenate dalla crisi
dei mutui subprime americani è tutt'altro che alle
spalle per Nout Wellink, componente del Board della
Bce. "Affermare che la turbolenza sia archiviata è
andare realmente un po' troppo veloci", ha sottolineato
in un'intervista a Het Financieele Dagblad, riportata
dall'agenzia Bloomberg. Gli effetti si vedranno sui
bilanci delle banche, dove crescerà l'elenco dei debiti,
ha continuato. Secondo Wellink, numero uno della
banca centrale olandese oltre che membro del consiglio
dell'Eurotower, la ristrettezza del credito scelta come
strategia da parte delle banche "influenza la crescita
negli Stati Uniti e in modo meno significativo anche
quella europea". Sarà comunque possibile "assorbire"
le perdite dei mutui, ha concluso, stimate tra i 100 e i
200 miliardi di
dollari. (ANSA). |
PIANO
SALVATAGGIO DELLE BANCHE USA
15 Ottobre 2007,
New York 16:57 - di ANSA ____________________________
Al via entro 90
giorni per ridare fiducia al mercato dopo il colpo
subito dal dissesto dei mutui subprime. Il "superfondo"
potrebbe arrivare a toccare i $100
miliardi. Citigroup, Bank of America, JPMorgan e
altre banche americane hanno confermato un patto per
creare un fondo, per il salvataggio del mercato. Il
fondo dovrebbe essere operativo entro 90 giorni e
servira' al salvataggio del mercato dei 'commercial
paper', debiti a brevissimo termine. Attraverso il
piano di salvataggio gli istituti coinvolti intendono
riportare la fiducia sui mercati dopo il colpo subito
dal dissesto dei mutui 'subprime'.
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WALL STREET PRESSATA DA CITIGROUP E
GREGGIO
15 Ottobre 2007, New
York 22:21 - di
WSI ____________________________
Alcune preoccupazioni sono
state sollevate dal colosso finanziario Citigroup (C) che ha
riportato un calo del 57% degli utili rispetto allo scorso
anno a causa della crisi del comparto finanziario. La banca ha
inoltre espresso pessimismo sul business a reddito fisso che
potrebbe continuare a soffrire nei prossimi mesi. Da un
articolo apparso sul Wall Street Journal si legge che alcune
istituzioni finanziarie americane, tra cui Citigroup, JP
Morgan (JPM) e Bank of America (BAC) starebbero organizzando
un "superfondo" del valore di $100 miliardi per “ripulire” il
comparto del credito dopo il colpo accusato nella stagione
estiva. C’e grande incertezza tra gli operatori in
vista della serie di trimestrali che verranno diffuse in
settimane. Oltre 80 aziende facenti parte dell’indice
S&P500 comunicheranno i risultati trimestrali nei prossimi
giorni. Sono attesi, tra gli altri, i numeri di colossi come
IBM (IBM), Google (GOOG), Yahoo! (YHOO), Bank of America
(BAC), solo per citarne alcuni. Le attese sono piuttosto
contenute, le analisi di Reuters riportano una stima sulla
crescita degli utili di appena il 3.2% rispetto allo scorso
anno. Non mancano tuttavia i commenti piu’ favorevoli di
alcuni analisti secondo cui molte societa’ americane
riporteranno risultati soddisfacenti grazie alle operazioni in
Europa e in Asia dove la domanda e’ risultata in forte
crescita grazie alle condizioni del mercato valutario.
Inoltre, le difficolta’ mostrate dalle grosse banche d’affari
per via del "credit crunch" non necessariamente dovranno
tradursi nella conclusione del trend rialzista dell’intero
comparto azionario. Ad impensierire maggiormente gli operatori
a Wall Stree e’ il forte rialzo del greggio, schizzato oltre
la soglia degli $85. I futures con consegna novembre sono
arrivati a toccare un massimo di $85.19 al barile; al momento
segnano un progresso di $1.60 a $85.29. Ad offrire la
spinta iniziale agli indici era stato il dato macro sull’area
manifatturiera di New York, schizzato ai migliori livelli di
oltre tre anni. Il NY Empire State Index si e’ infatti
attestato a quota 28.8 punti, nettamente al di sopra del
consensus. Alle 12.30 E.T. il volume di scambio e' di 449
milioni di pezzi al NYSE e 835 milioni al Nasdaq. I titoli in
rialzo contro quelli in ribasso sono 818 a 2281 al Nyse e 852
a 1961 al Nasdaq. I nuovi massimi contro i nuovi minimi delle
ultime 52 settimane sono: 45 a 67 al NYSE e 37 a 70 al
Nasdaq.
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Nel weekend, il ministero del
Tesoro statunitense sarebbe stato teatro di una serie d’incontri fra
le maggiori banche americane, al fine d’istituire un fondo dedicato
all’acquisto di carta commerciale emessa dai veicoli che le banche
stesse impiegano per immagazzinare e finanziare una serie d’impieghi
fuori bilancio. il miglior sunto è quello di MarketBeat : vogliono
farci credere che “non è un salvataggio, è ingegneria finanziaria“.
Sarà, ma qualche perplessità dovrebbe essere consentita, quando una
mega-banca come Citigroup fa girare il piattino delle offerte per
tutta Wall Street al fine di costruire una sorta di acquirente di
ultima istanza delle cambiali che le stesse banche impiegano per
finanziare investimenti fuori bilancio, inizialmente affidabili, ora
eccessivamente disinvolti. I listini azionari avranno anche
rimesso la marcia giusta, ma il mercato che ha scatenato la
tempesta, quello della liquidità, non si è ancora rimesso in salute;
di qui l’idea di “intrappolare” una parte consistente di tale
liquidità per sostenere il mercato.
Il mercato della carta commerciale è
solitamente impiegato dalle grandi aziende per finanziare i propri
bisogni di liquidità a brevissimo termine (tipicamente per il
capitale circolante); negli ultimi tempi, i profitti aziendali
record hanno ridotto l’emissione da parte aziendale, lasciando
intatta la domanda dei compratori. Questo squilibrio è stato invece
ampiamente sfruttato per finanziare veicoli societari di origine
bancaria, come SIV e conduit, per indebitarsi a brevissimo termine.
Tali veicoli esistono dalla fine degli anni’80, e sono nati come uno
strumento di gestione efficiente del capitale bancario, come
contenitori di attività a basso rischio e basso rendimento, ma poco
liquide, ideali insomma per fungere da garanzia a tranquilli
certificati in scadenza ogni tre mesi; purtroppo, negli ultimi tempi
hanno trovato la strada dei SIV anche investimenti che in teoria
avrebbero dovuto essere nel bilancio di hedge fund e speculatori
assortiti. Si tratta di un mix abbastanza “classico”, in finanza: il
danno non è compiuto dallo strumento in sé , ma dalla tentazione di
abusarne. Il ruolo del
Tesoro USA nell’organizzare tale fondo desta quindi un certo
scetticismo, sembrando superfluo: si tratta di un tentativo di
evitare alle banche di riconoscere i propri errori, “marcare” le
perdite e ripulire i propri bilanci. Non si vedono rischi di una
crisi di liquidità delle grandi, che aziende sembrano ancora bene in
grado di finanziare le proprie attività a breve tramite il mercato
della carta commerciale, provando come gli investitori
sappiano discriminare fra cambiali “finanziarie” pure, garantite da
investimenti in veicoli, ed invece cambiali finanziarie emesse da
solide realtà industriali. Funzionerà? Vedremo. Nel frattempo,
una piccola noticina storica: lo schema non è nulla di nuovo; la
venerdanda Bank of England, prima banca centrale propriamente detta,
nacque proprio per acquistare il debito pubblico inglese a lungo
termine e monetizzarlo, con uno schema quasi esattamente simmetrico
a quello che stiamo osservando oggi. Chapeau.
.gif) |
Fonte -
Macromonitor.it |
Martedì 02 ottobre 2007 |
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Sabato 06 ottobre 2007 |
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Martedì 16 ottobre 2007 |
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Crisi
subprime:
per Bernanke il mercato migliora ma le incertezze restano.
Probabili nuove turbolenze in Borsa
16 Ottobre 2007, New
York 20:39 - di
Alberto
Susic ____________________________
La diffusione dei primi
risultati trimestrali da parte delle società americane sta
riportando in primo piano il tema caldo della crisi dei mutui
subprime. Mentre il mercato nelle ultime settimana sembrava
aver accantonato i timori legati alle turbolenze estive,
riuscendo a riscattarsi con forza, ritornano le preoccupazioni
legate al credit crunch. E ad accendere nuovamente i
riflettori in questa direzione sono proprio i numeri delle
aziende americane, che si riferiscono proprio al trimestre
caldo in cui si è avuto lo scoppio dell'ultima crisi
finanziaria. A parlare dei subprime e delle eventuali
implicazioni che si potranno avere sull'economia e sui mercati
è stato nella tarda serata di ieri il presidente Benk
Bernanke. Intervenuto all'Economic Club di New York, il numero
uno della Fed ha dichiarato che ci sono segnali di
miglioramento sui mercati finanziari, invitando nel contempo
ad essere prudenti sulle prospettive dell'economia, in vista
di un peggioramento della crisi immobiliare. A partire dalla
metà di settembre infatti gli indicatori economici hanno
rafforzato le attese della Fed di un indebolimento del settore
edilizio, che a detta di Bernanke costituirà un freno
importante nel trimestre in corso e fino all'inizio del
prossimo anno. In ogni caso non è da trascurare che a
partire dalla metà di agosto il funzionamento dei mercati
finanziari è migliorato, favorendo così uno sviluppo positivo
per le prospettive economiche a breve termine, in quanto
aumentano le probabilità di assistere ad una crescita moderata
con prezzi stabili. E' bene tuttavia non dormire sugli allori,
perché per un ritorno alla piena stabilità sarà ancora
necessario del tempo e non è da escludere che nel frattempo si
possa assistere anche a qualche passo indietro. Bernanke a
tal proposito ha aggiunto che le ultime implicazioni delle
evoluzioni finanziarie per il costo e la disponibilità del
credito, quindi per l'economia in senso lato, restano incerte.
Ancora una volta è stato ribadito l'impegno della Fed a
monitorare da vicino la situazione, assicurando una pronta
azione in caso di necessità, per favorire un efficace
funzionamento del mercato e assicurare una crescita economica
sostenibile insieme alla stabilità dei prezzi. In questa
direzione, l'intervento sui tassi realizzato a settembre, che
ha colto di sorpresa il mercato con un taglio più corposo di
quello atteso, ha avuto come obiettivo quello di prevenire gli
impatti negativi sull'economia dalla crisi dei mutui subprime.
Questo però non è garanzia di ulteriori sforbiciate nel
breve, visto che lo stesso Bernanke ha chiarito che la Fed è
pronta ad agire anche in senso contrario. Non è da escludere
quindi un rialzo del costo del denaro specie in caso di
ripresa delle tensioni inflazionistiche, su cui potrebbe
pesare anche la debolezza del dollaro, per quanto l'impatto
sia piuttosto limitato, stando almeno a quanto accaduto negli
ultimi decenni. Molto importante sarà dunque
l'aggiornamento che arriverà domani proprio in riferimento
alla dinamica dei prezzi al consumo che a settembre dovrebbe
segnalare una ripresa rispetto all'incremento di agosto. Una
lettura che si discosti di molto da quella attesa potrebbe
infatti incidere non poco sulla prossima decisione della Fed
che si riunirà a fine mese, con inevitabili ricadute, positive
o negative, sull'andamento delle Borse. C'è ancora grande
incertezza sul futuro dei tassi e in particolare sulla
prossima decisione della Banca Centrale americana, anche se
nell'ultima settimana si sono affievolite e non poco le
speranze di un taglio del costo del denaro per fine mese. I
futures sui Fed Funds infatti scontano ora al 32% la
probabilità di una riduzione di un quarto di punto in
occasione del meeting del 30 e 31 ottobre prossimi. E
l'incertezza sui tassi sembra anche interessare il Board
guidato da Bernanke, il quale ha però fatto sapere che è
difficile affrontare una bolla di mercato con gli strumenti di
politica monetaria.
Intanto a parlare quest'oggi della
crisi dei mutui subprime e in particolare del settore
immobiliare è stato anche il Segretario al Tesoro Usa,
Paulson, secondo cui il rischio maggiore per l'economia è
rappresentato proprio dal mercato edilizio. La correzione di
quest'ultimo infatti non si sta concludendo in maniera così
veloce come si sperava un anno fa e di conseguenza bisogna
attendersi ancora indicazioni in flessione nei prossimi
mesi. Le incertezze continueranno pertanto ad accompagnarci
ancora per qualche tempo e di questo ne è convinto anche Jaime
Caruana, direttore dei mercati dei capitali del Fondo
Monetario Internazionale. A suo dire il peggio delle
turbolenze sui mercati dovrebbe essere ormai alle spalle,
anche se questo non equivale a dire che i problemi siano
finiti. Per Caruana infatti il periodo di aggiustamento
richiederà tempo e sono possibili nuovi colpi di coda nei mesi
a venire.
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WALL STREET: PREOCCUPAZIONI DA PIU'
FRONTI
16 Ottobre 2007, New
York 22:11 - di
WSI ____________________________
Continuano le vendite
sull'azionario Usa. Il greggio supera gli $88, Bernake allarma
sul comparto delle case, nuovi profit warning
societari. Un’altra seduta nel segno delle vendite a Wall
Street, con i listini azionari pressati dal nuovo rialzo dei
prezzi energetici e da alcune notizie societarie deludenti. Il
Dow Jones ha registrato una perdita dello 0.51% a 13912,
l’S&P500 dello 0.66% a 1538, il Nasdaq ha perso lo 0.58% a
2763. Il nuovo record del greggio, oltre la soglia
degli $88 al barile, spinto dalle preoccupazioni di carattere
geopolitico e dalla riduzione delle scorte, potrebbe
rappresentare una seria minaccia per l’economia. Gli elevati
prezzi energetici potrebbero avere infatti un brusco impatto
sulla spesa dei consumatori e, di riflesso, sui profitti
aziendali. I futures con consegna novembre sono arrivati a
toccare un massimo intraday di $88.20 nell’arco delle
contrattazioni, per poi chiudere con un rialzo giornaliero di
$1.48 a $87.61. Solo nell’ultima settimana
il progresso e’ stato di circa $10 (+8%). L’OPEC si e’ detta
preoccupata del recente movimento del greggio, sottolineando
come i fondamentali non supportino gli attuali prezzi. Ad
incrementare l’incertezza sui mercati e’ stato anche l’ultimo
intervento di Ben Bernanke. Durante una cena al New York
Economic Club lunedi’ sera, il presidente della Federal
Reserve ha affermato che l’ancora difficile momento del
settore immobiliare continuera’ a pesare sulla crescita
dell’economia americana almeno fino alla prima parte del
prossimo anno. Bernanke ha aggiunto che le
condizioni finanziarie al momento sembrano solide, ma che ci
vorra’ del tempo per assistere ad un pieno recupero dalle
turbolenze della stagione estiva. Restando nel comparto delle
case, a gettare benzina sul fuoco e’ stato l’aggiornamento
mensile sull’indice NAHB cha ha mostarto un calo della fiducia
dei costruttori ai minimi storici. Ma a contribuire
al tono negativo giornaliero sono stati anche alcuni elementi
di carattere prettamente societario. Ericsson (ERIC), leader
mondiale delle infrastrutture network “mobile”, ha diffuso un
deludente aggiornamento infratrimestrale, da cui si evince che
la societa’ non sara’ in grado di rispettare le attese degli
analisti sui risultati trimestrali che verranno diffusi il
prossimo 25 ottobre. Il titolo e’ crollato del 25%. Del fatto
ne hanno risentito direttamente Motorola (MOT) e Cisco Systems
(CSCO), e l’intero comparto tecnologico piu’ in generale.
A distinguersi in positivo tra i titoli hi-tech e’ stato
il colosso IBM (IBM) che riportera’ i risultati trimestrali
subito dopo la chiusura delle borse. Anche il gigante media
online Yahoo! (YHOO) e il colosso dei chip Intel (INTC)
(cartina di tornasole dell’intero comparto dei semiconduttori)
diffonderanno i numeri fiscali nell’after hour. Sugli
altri mercati, sul valutario, euro in calo nei confronti del
dollaro. Nel tardo pomeriggio di martedi’ a New York il cambio
tra le due valute e di 1.4163. In lieve flessione l’oro: i
futures con consegna dicembre sono arretrati di appena 20
centesimi a $762.00 all’oncia. In progresso infine i titoli di
Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e' sceso al
4.6550% dal 4.6730% di lunedi’.
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Wall
Street Negativa; Pesano Banche e Crisi
Credito
18 Ottobre 2007, New
York 19:51 - di
ANSA ____________________________
(ANSA) - ROMA, 18 OTT -
Seduta di segno negativo per Wall Street che paga le cattive
notizie giunte ancora una volta dal comparto finanziario, con
la trimestrale di Bank of America, mentre il dollaro scivola
ai nuovi minimi storici contro l'euro. Fin dall'avvio della
seduta, gli indici hanno marciato in territorio negativo -
segnando tuttavia ribassi frazionali - in un mercato che
guarda con maggiore preoccupazione all'impatto della crisi
immobiliare e dei mutui sui profitti della Corporate America e
sull'espansione dell'economia a stelle e
strisce. A
creare allarme, i conti di Bank of America diffusi oggi prima
dell'apertura dei mercati statunitensi. La seconda maggiore
banca Usa, una delle più esposte alla crisi dei mutui per la
concentrazione delle sue attività sul mercato domestico, ha
chiuso il terzo trimestre con profitti in ribasso del 32% a
3,7 miliardi di dollari, come conseguenza della crisi dei
mutui 'subprime' che hanno imposto al colosso statunitense
forti svalutazioni. Per di più, Bank of America ha dovuto
accantonare 2,03 miliardi di dollari per far fronte a
potenziali perdite sui prestiti dopo aver già totalizzato
quattro miliardi di perdite tra svalutazioni di asset,
rallentamento dell'attività di intermediazione e default nel
settore dei subprime. Sul versante macro
continuano ad arrivare segnali di indebolimento dell'economia
che suffragano il taglio all'1,9% delle stime di crescita 2008
da parte del Fondo monetario internazionale, e lo scenario di
rallentamento prefigurato dalla Federal Reserve in previsione
di un peggioramento della recessione immobiliare. Oggi,
le richieste settimanali di sussidio di disoccupazione hanno
rivelato un aumento molto più forte del previsto (+28.000
unità a quota 337.000) e la statistica potrebbe indicare che
l'impatto della crisi finanziaria innescata dal collasso del
debito subprime comincia a farsi sentire sul mercato del
lavoro. Segnali di rallentamento per l'attività manifatturiera
con l'indice Fed di Philadelphia, che sintetizza l'andamento
del comparto negli Usa, sceso a ottobre a 6,8 da 10,9 del mese
prima, mentre il superindice economico statunitense il mese
scorso ha segnato un rialzo dello 0,3%, come nelle previsioni
degli analisti. Ad agosto però, il dato ha subito una
revisione al ribasso a -0,8% dal precedente -0,6%. Tra i
singoli titoli, Bank of America perde il 2,8% a 48,62 dollari.
Male anche E*Trade (-82 cent a 11,65 dollari) dopo che la
società di brokeraggio ha tagliato le stime sui profitti 2007
per la quarta volta quest'anno. Giù Countrywide (-43 cent a
16,92 dollari) dopo le indiscrezioni secondo cui il colosso
Usa dei mutui travolto dalla tempesta dei subprime, sarebbe al
centro di una indagine della Sec. Tra i tecnologici, Google
perde 2,48 dollari a 631 dollari in attesa della pubblicazione
- a mercati chiusi - dei conti del terzo trimestre. Attorno
alle 19.00 ora italiana, il Dow Jones segna -0,26% a 13.856,
44 punti; il Nasdaq composite -0,37% a 2.782,39 punti e lo
S&P 500 -0,41% a 1.534,85 punti.(ANSA).
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Oggi e' il ventesimo anniversario
del crash del mercato azionario americano. In poche ore quel lunedi’
19 ottobre 1987 il Dow Jones Industrials registro’ il piu’ pesante
crollo giornaliero del dopo-guerra, lasciando sul terreno 508 punti
(-22%). Il crash fu causato da un insieme di fattori: dai timori
inflazionistici, al rialzo dei prezzi petroliferi fino alle tensioni
in Medio Oriente, segnali presenti anche nell’attuale contesto
economico. Alla luce di cio’, potrebbe oggi verificarsi
nuovamente un fenomeno di tali dimensioni? Possono gli investitori
mondiali perdere qualsiasi interesse per l’azionario mandando Wall
Street a picco? Puo’ un evento catastrofico in Medio Oriente
innescare una paura tale tra gli operatori da abbandonare di corsa
il mercato azionario? Si puo’ assistere ad un crollo dei mercati
orientali e, di riflesso, di quelli europei ed americani? La
risposta e’ sicuramente affermativa. Incertezza e timore sono due
elementi ben presenti sui mercati anche oggi; e potrebbero offuscare
avidita’ e ottimismo in qualsiasi momento. Come hanno mostrato la crisi dei
mutui e le turbolenze nel comparto finanziario lo scorso agosto, le
banche centrali e gli organi di vigilanza non hanno molto piu’
controllo sui mercati di quanto ne avessero nel 1987. E la lista
delle similitudini tra oggi e vent’anni fa e’ piuttosto
lunga. Questa
comprende: un nuovo presidente al vertice della Federal Reserve, un
presidente degli Stati Uniti repubblicano vicino alla scadenza del
secondo mandato, un mercato azionario solido, il dollaro debole, il
forte incremento dei prezzi energetici, il serio indebolimento del
comparto immobiliare, i problemi nell’industria del credito (allora
con le casse di risparmio oggi con i subprime). Ottobre
ha la reputazione di mese “piu’ brutto e spaventoso” dell’anno per
gli investitori e non solo perche’ coincide con Halloween. I
maggiori crolli (1929 e 1987) e le crisi borsistiche minori (1989,
2000 e 2002) si sono sempre verificate in questo mese; non dovrebbe
stupire quindi lo stato d’animo piuttosto nervoso degli operatori in
borsa. Quattro anni di mercato “toro” non indicano
necessariamente una significativa correzione, ma non possono neanche
garantire un’estensione indefinita della tendenza rialzista. Il
problema resta il rischio che l’investitore e’ pronto ad accollarsi.
La tecnica migliore continua ad essere quella di seguire saggiamente
l'andamento della borsa con strategie pronte e mirate (stop loss,
selezione titoli, target ragionevoli, ecc.): si guadagna sempre in
modo selettivo (come sanno i nostri abbonati a INSIDER ) ma tutte le
grosse perdite iniziano da piccole perdite, quindi prudenza! E non
smettete mai di analizzare, selezionare, scegliere in modo razionale
e non emotivo. Le opportunita' a Wall Street sono sempre
moltissime.
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Fonte -
WallStreetItalia.com |
Bernanke
non aiuta il mercato:
la FED dovrà evitare reazioni eccessive. Scontato nuovo
taglio tassi
19 Ottobre 2007,
New York 19:43 - di Alberto Susic ____________________________
Una pesante
ondata di vendite si è abbattuta quest'oggi sui mercati
americani che sin dalle prime battute hanno imboccato la
via del ribasso. I listini stanno cercando di risalire
la china, allontanandosi dai minimi segnati proprio in
coincidenza della chiusura delle Borse europee, ma si
confermano ancora tutti in calo, con perdite di oltre un
punto percentuale.
Ad appesantire i listini sono
alcune deludenti trimestrali che hanno richiamato ancora
una volta l'attenzione sugli impatti negativi della
crisi dei mutui subprime. E tanto è bastato per
risollevare le preoccupazioni degli operatori in merito
al rallentamento dell'economia, secondo quanto segnalato
due giorni fa dal Beige Book. Non sono state di
alcun aiuto inoltre le dichiarazioni rilasciate dal
presidente della Fed, Ben Bernanke, che ha preso la
parola quest'oggi in occasione di un convegno
organizzato dalla Fed di St. Louis. Diversamente da
quanto sperato dal mercato, il numero uno della Banca
Centrale americana non ha fornito indicazioni più
dettagliate di quelle già rese note in precedenza, né
sull'attuale situazione dell'economia americana, né
sulle prossime mosse di politica monetaria. Con
riferimento alla decisione presa a settembre, quando i
tassi di interesse sono stati abbassati di mezzo punto,
Bernanke ha spiegato che un certo peso su questa scelta
è stato giocato anche dalle considerazioni di risk
management. Ciò che ha portato i membri del FOMC ad
optare per una sforbiciata più corposa di quella attesa,
è stato il timore che la correzione del mercato
immobiliare e le condizioni più restrittive del credito
potessero portare ad uno scenario macro debole difficile
da controllare. Per il Chairman è una sfida
decisamente impegnativa riuscire a valutare l'attuale
stato di salute della congiuntura americana. Proprio in
presenza di un quadro così incerto, sarà necessario
pertanto prendere in considerazione diversi scenari
possibili nel momento in cui si va a definire la
politica monetaria. Ma sono proprio le incerte
dell'economia a fornire un motivo valido in più che deve
indurre la FED ad evitare di reagire eccessivamente alle
attuali informazioni economiche. Nel contempo però, per
evitare un esito particolarmente gravoso, potrebbe
essere giustificata un'azione più decisa da parte della
Banca Centrale. La posizione della Fed dunque è
molto chiara: in caso di necessità, ci sarà un rapido
intervento, in linea con quanto confermato non più tardi
di ieri da Sandra Pianalto. La presidentessa della Fed
di Cleveland ha dichiarato che l'inflazione e le attese
su quest'ultima continuano ad essere moderate e ancora.
Il mercato immobiliare è ancora molto debole, ma
l'occupazione si presenta ancora in buona salute.
Nessuna anticipazione comunque è stata fornita in merito
alla possibile mossa della riunione di fine mese quando,
ha aggiunto la Pianalto, saranno valutati gli sviluppi e
si agirà come necessario per garantire la stabilità dei
prezzi e la massima crescita economica. Anche il
collega della Fed di Kansas City, Thomas Hoenig, non ha
voluto sbottonarsi sui prossimi interventi della Banca
Centrale americana. A suo dire è ancora presto per
valutare la direzione futura dei tassi di interesse Usa,
palesando la necessità di vigilare su eventuali ricadute
che potrebbero portare a nuove turbolenze sui mercati.
Stiamo vivendo un momento molto delicato ed è necessario
attendere prima di fornire risposte chiare e definite,
perché lo scenario futuro dipenderà da una serie di
fattori diversi. Prescindendo dalle posizioni
assunte dai singoli membri del FOMC, il mercato sembra
dare ormai per scontato un taglio dei tassi in occasione
del meeting di fine mese. Nel pomeriggio infatti, i Fed
Fund hanno visto balzare in avanti l'idea che la FED dia
una sforbiciata al costo del denaro il 31 ottobre. Il
futures è arrivato a prezzare questa probabilità
addirittura fino al 98%, che si confronta con li 72% di
ieri e con il 32% di appena una settimana fa. La
prospettiva di un taglio però non offre alcun sostegno
ai listini che continuano a muoversi in territorio
ampiamente negativo. La preoccupazione si è spostata ora
sul fronte della crescita economica e l'attesa riduzione
dei tassi potrebbe essere sintomatica di uno scenario
macro peggiore di quello previsto.
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Wall
Street PRESSATA DALLE VENDITE, DOW
-367
19 Ottobre 2007,
New York 22:00 - di WSI ____________________________
Ondata di Sell
sull'azionario Usa dopo alcune deludenti trimestrali e
il nuovo record del greggio. Nel comparto hi-tech sale
l'inossidabile Google. Chiusura in pesante calo per
Wall Street con il Dow Jones in calo del 2,64%,
13.522,02 punti.Il Nasdaq cede il 2,65% (a quota
2.25,16). Lo Standard & Poor's 500, invece, si
attesta a 1.500,63 punti (-2,56%). Sui mercati valutari,
l'euro chiude le contrattazioni a 1,4297 contro il
dollaro, in leggero rialzo rispetto a quota 1,4295 di
ieri. Il dollaro e' stato quotato a 114,60 contro lo
yen, a 1,1671 contro il franco svizzero e a 0,4875.
A pesare sull’andamento dell’indice
industriale sono le deboli performance delle
conglomerate industriali 3M (MMM) e Honeywell (HON)
nonostante le trimestrali migliori delle attese; soffre
anche Caterpillar (CAT) che ha diffuso ricavi superiori
al consensus ma utili ad un livello inferiore rispetto
alle stime. La societa' ha dichiarato che il calo del
settore immobiliare sara' un fattore negativo per
lóutlook futuro. Non ha esaltato neanche il colosso fast
food McDonald’s (MCD) che ha comunque rispettato le
attese degli analisti. Nel comparto tecnologico si
distinguono i buoni numeri fiscali di Google (GOOG) e
Xerox (XRX). Il colossso Internet ha riportato un
aumento del 46% dei profitti, oltre le attese degli
analisti, nonostante la forte spesa mirata alla crescita
del gruppo. L’altra ha riportato un calo dei profitti
del 53% ma i risultati si sono attestati ad un livello
superiore al consensus. Contrastata la trimestrale di
AMD (AMD) che ha riportato ricavi superiori alle attese
ma una perdita di $396 milioni. Alcune pressioni
continuano a giungere dal comparto energetico. A causa
delle tensioni geopolitiche (attacco bomba all’ex
ministro del Pakistan) e ad alcune preoccupazioni sul
livello di scorte a livello mondiale, i futures con
consegna novembre sono arrivati a toccare un nuovo
record di $90.07 prima di stabilizzarsi sull’attuale
soglia di $88.73, in ribasso di 74 centesimi. Sugli
altri mercati, sul valutario, l’euro e’ in flessione
rispetto al dollaro, comunque sempre vicino ai massimi a
quota 1.4260. Lima i guadagni l’oro: i futures con
consegna dicembre guadagnano $0.60 a $769.30 all’oncia.
In rally infine i Titoli di Stato. Il rendimento sul
Treasury a 10 anni e’ sceso al
4.4170%.
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Wall
Street: BUONA REAZIONE, NASDAQ GUIDA
RIALZI
22 Ottobre 2007,
New York 22:05 - di WSI ____________________________
Rispondono bene i
listini americani al sell-off della scorsa settimana.
Segnali positivi dalla trimestrale di Merck. Tonico il
comparto hi-tech. Ritracciano greggio, oro e euro. Dopo
le forti vendite iniziali sulla scia del brusco sell-off
di venerdi’ (costato 367 punti al Dow Jones), i listini
sono riusciti a recuperare terreno nell’arco della
sessione chiudendo la seduta in rialzo. L’indice
industriale ha chiuso con un rialzo dello 0.33% a 13567,
l’S&P500 e' avanzato dello 0.38% a 1506, il Nasdaq
ha guidato la strada dei rialzi con un progresso
dell'1.06% a 2753. La scorsa settimana (la peggiore
dalle turbolenze del mercato del credito dello scorso
agosto) ha visto gli indici lasciare sul terreno oltre 3
punti percentuali, con l’ondata di vendite
intensificatasi proprio nel giorno del ventesimo
anniversario del crash (“Black Monday”), in seguito alle
deludenti trimestrali di Caterpillar (CAT), Citigroup
(C) e Bank of America (BAC) e ad una serie di dati macro
poco incoraggianti che avevano risvegliato i timori di
recessione per l’economia Usa. Fino a questo momento
la stagione degli utili societari si sta dimostrando
alquanto deludente: delle societa’ facenti parte
dell’S&P500 che hanno gia’ diffuso i risultati piu’
del 25% ha fallito nel rispettare le attese degli
analisti, oltre il doppio rispetto allo scorso anno. In
settimana e’ previsto un massiccio flusso di risultati
aziendali: sara’ fondamentale valutare l’impatto del
credit crunch e dell’aumento dei prezzi energetici sui
profitti aziendali. In mattinata spunti
positivi sono giunti dai numeri della farmaceutica Merck
(MRK) (che ha anche migliorato l’outlook per l’interno
anno fiscale) e dalla societa’ energetica Halliburton
(HAL); ha deluso invece Schering Plough (SGP).
Electrolux, la societa' svedese di elettrodomestici, ha
emesso un warning sull'outlook fiscale a causa della
forte incertezza circa il business condotto negli Usa.
C’e grande attenzione ora sugli utili di American
Express (AXP), Apple (AAPL) e Texas Instruments (TXN)
che verranno diffusi subito dopo la chiusura dei
mercati. Le attese sul colosso informatico di Cupertino,
che lancera’ il nuovo sistema operativo “Leopard” in
settimana, sono per un EPS di 85 centesimi e ricavi di
$6.05 miliardi. Il calendario odierno non prevedeva
alcuni aggiornamenti economici di rilievo. Nei prossimi
giorni saranno comunicati i dati sul comparto
immobiliare cui gli operatori porranno particolare
attenzione dopo che gli ultimi dati hanno incrementato
le chance di un taglio dei tassi nel prossimo meeting
della Fed. I futures sui fed funds scontano una
possibilita’ del 92% di assistere ad un ribasso di 25
punti base nel prossimo meeting del 31 ottobre. Tra
i titoli blue chip, a realizzare le migliori performance
sono stati Walt Disney (DIS), IBM (IBM) e la gia’ citata
Merck (MRK). Pressioni di vendita invece su Exxon Mobil
(XOM) (che sconta il ritracciamento del greggio),
American Express (AXP) e 3M Company (MMM). Sugli
altri mercati, nel comparto energetico il petrolio ha
ritracciato dai recenti massimi di $90.07 chiudendo la
seduta in calo. Spinti al ribasso da una serie di prese
di beneficio sul settore, i futures con consegna
novembre hanno chiuso la seduta in calo di $1.87 a
$86.73. al barile. Sul valutario, l’euro ha ceduto
vistosamente terreno nei confronti del dollaro, in
ribasso di oltre l’1%. Nel tardo pomeriggio di lunedi’ a
New York il cambio tra le due valute e di 1.4169. In
calo l’oro: i futures con consegna dicembre sono
arretrati di $8.40 a $760.00 all’oncia. Ancora in rialzo
infine i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a
10 anni e' sceso al 4.3930%.
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Wall
Street: ANCORA SU, VOLA IL NASDAQ CON
APPLE
23 Ottobre 2007,
New York 22:05 - di WSI ____________________________
Indici americani in
rally spinti dal flusso di buone trimestrali, capace di
offuscare le cattive notizie giunte dal comparto retail.
Anche oggi a guidare la strada dei rialzi e’ stato il
tecnologico Nasdaq, in progresso dell'1.65% a 2799, il
Dow Jones e’ avanzato dello 0.81% a 13676, l’S&P500
dello 0.88% a 1519. Ad offrire la spinta iniziale ai
listini, gia’ dal preborsa, sono state le ultime buone
trimestrali che hanno avuto l’effetto di allontanare
temporaneamente i timori circa il rallentamento della
spesa dei consumatori. Fino a questo momento i risultati
aziendali delle societa’ hi-tech si sono rivelati piu’
incoraggianti di quelli del comparto industriale.
Una ventata di ottimismo e’ arrivata dal colosso
informatico Apple (AAPL), il cui titolo ha chiuso con un
progresso giornaliero del 7% grazie alla crescita del
67% dei profitti supportata dalla robusta domanda per
computers Macintosh. La societa’ di Cupertino ha anche
emesso un outlook che lascia ben sperare per la stagione
delle festivita’. Note positive sono emerse anche
dal colosso chimico Du Pont (DD), componente del Dow
Jones, che ha migliorato le stime sugli utili
dell’intero anno fiscale 2007 e riportato utili
superiori alle attese in parte grazie alle operazioni
internazionali. Bene anche la societa’ delle carte di
credito American Express (AXP) il cui utile
dell’esercizio dell’ultimo trimestre e’ cresciuto
dell’11%. L’azienda telecom AT&T (T) ha riportato
risultati in linea col consensus: il titolo e' avanzato
dell’1.90%. A soffrire maggiormente in giornata e’
stato il comparto retail in seguito all’annuncio della
societa’ leader del settore Wal-Mart (WMT) relativo alla
riduzione della spesa capitale prevista per la fine
dell’anno. Il titolo ha ritracciato di oltre tre punti
percentuali. In ribasso anche l’azione della rivale
Target (TGT) che ha rivisto al ribasso le stime sulle
vendite del mese di ottobre. Restando nel settore
retail, in evidenza il pagamento di $583 milioni di Nike
(NKE) per l’acquisto del gruppo Umbro, fornitore
ufficiale delle maglie della nazionale di calcio
inglese. Nel settore finanziario, riflettori puntati su
Countrywide Financial (CFC) in seguito alla proposta di
rifinanziamento fino a $16 miliardi sui mutui subprime
concessi ai propri cclienti. Nel comparto auto, in
rialzo Toyota Motor (TM) grazie ad una notizia
pubblicato su un quotidiano giapponese secondo cui gli
utili del gruppo saliranno del 10% sulla scia delle
forti vendite in Asia e in Medio Oriente. Subito dopo la
chiusura delle borse, il gigante retail attivo sul Web,
Amazon.com (AMZN), diffondera’ i risultati trimestrali.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico il
petrolio ha continuato a cedere terreno. I futures con
consegna dicembre hanno chiuso la seduta in calo di 75
centesimi a $85.27 dopo aver perso nella sessione
precedente poco meno di $2.00. Mercoledi’ come di
consueto verranno comunicati i dati settimanali sulle
scorte. Sul valutario, l’euro ha ripreso quota nei
confronti del dollaro. Nel tardo pomeriggio di martedi’
a New York il cambio tra le due valute e di 1.4258. In
recupero anche l’oro: i futures con consegna dicembre
sono avanzati di $3.10 a $763.10 all’oncia. In ribasso
infine i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a
10 anni e' salito al 4.4050% dal 4.3930% di
lunedi’.
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sUBPRIME:
PERDITE RECORD PER MERRILL
24 Ottobre
2007, New York - di IL SOLE 24ORE _____________________________
Merrill
Lynch, la banca d'affari numero uno negli Stati
Uniti, ha pagato un pesantissimo scotto alla crisi
del credito esplosa ad agosto. Il colosso di New
York, che ha reso pubblico il bilancio
trimestrale, ha riportato una perdita di 2,31
miliardi di dollari, causa l'impatto di
svalutazioni per un valore di $8.4 miliardi, molto
più dei 5 miliardi di dollari di svalutazioni
attesi dalla banca d'affari.
Il passivo
riportato nel terzo trimestre dalla banca d'affari
è di gran lunga più forte di quanto previsto dagli
analisti che si attendevano in media una perdita
di 45 cent per azione. La stessa Merrill Lynch
aveva stimato all'inizio di ottobre perdite fino a
50 cent per azione a fronte di svalutazioni di
asset per cinque miliardi di dollari.
I ricavi
del terzo trimestre - riferisce l'agenzia
Bloomberg - hanno segnato un ribasso del 94% a 577
milioni di dollari, risentendo delle perdite nel
settore del reddito fisso che hanno oscurato i
profitti riportati in altre divisioni. Ad esempio,
i ricavi derivanti dall'attività di
intermediazione titoli sono cresciuti del 23% a
3,27 miliardi di dollari.
Ma per
l'impatto della crisi del credito e dei mutui ad
alto rischio, Merrill Lynch ha dovuto operare
svalutazioni di asset che riguardano prestiti
ipotecari, obbligazioni garantite da mutui, e
finanziamenti concessi nelle operazioni di
leveraged buyout. E il numero uno di Merrill
Lynch, Stanley O'Neal, ha dichiarato oggi che
l'entità delle svalutazioni è cresciuta dopo che
la banca ha condotto «analisi aggiuntive» sulla
propria esposizione nei cosiddetti CDO, derivati
strutturati che per la maggior parte hanno come
collaterale i prestiti ipotecari subprime.
Così,
l'ammontare complessivo delle svalutazioni ha
superato anche le già nere anticipazioni
pubblicate oggi da New York Times secondo cui la
banca avrebbe registrato in bilancio ulteriori 2,5
miliardi di dollari di svalutazioni raggiungendo
un totale di 7,5 miliardi. A Merrill Lynch è
andata dunque peggio di Citigroup che ha operato
svalutazioni per 6,5 miliardi. Quanto agli effetti
futuri della crisi dei mutui subprime, O'Neal ha
detto di aspettarsi ancora «condizioni di mercato
incerte» aggiungendo che «stiamo lavorando per
sanare la nostra posizione».
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Wall
Street: IN PREDA AI RUMORS RECUPERA IN
EXTREMIS
24 Ottobre
2007, New York 22:06 - di WSI ____________________________
Forte
volatilita', per via di voci selvagge su un
intervento d'emergenza della Fed: il Dow riprende
200 punti dai minimi e chiude piatto. Il Nasdaq
risale da -2,8% a -0.8%. Malissimo Amazon e
Merrill Lynch. I listini americani sono
riusciti ad arginare le perdite sul finale dopo
aver sofferto pesantemente nell’arco della seduta,
a causa delle deludenti trimestrali dei comparti
finanziario e tecnologico. Il Dow Jones ha chiuso
piatto (-0.01%) a 13676 dopo aver recuperato uno
sbilancio di circa 200 punti, l’S&P500 ha
ceduto lo 0.24% a 1515, il Nasdaq e’ arretrato
dello 0.88% a 2774, mentre nell'intraday il
listino tecnologico era arrivato a segnare una
perdita massima del 2.8% che aveva fatto temere il
peggio. A permettere ai
listini di riguadagnare terreno proprio sul finale
sono stati alcuni rumors circolati ad arte a New
York e ripresi sul web secondo cui la Federal
Reserve, data la situazione estremamente delicata
sul mercato e dato il perdurare della crisi
creditizia e immobiliare, starebbe per optare per
un nuovo maxi-taglio del costo del denaro di 50
punti base (0.50%) dei fed funds o a mercato
aperto (circostanza che sarebbe percepita di certo
come traumatica) oppure nel prossimo meeting del
Fomc (Federal Open Market Committee) che si
svolgera’ a fine mese. Un portavoce della Banca
Centrale Usa ha dovuto declinare qualsiasi
commento su tali speculazioni del
mercato. Le ultime trimestrali
delle aziende Usa hanno riacceso tra gli
investitori le notorie paure sul rallentamento
della spesa dei consumatori e sul duro impatto che
la recente crisi del comparto creditizio, esplosa
nel mese di agosto col collasso dei mutui
subprime, potra’ ancora avere sull’economia
americana in generale. A pesare sul sentiment
degli operatori e’ stato in primo luogo l’annuncio
della banca d’affari Merrill Lynch (MER) relativo
ad un ulteriore aumento delle svalutazioni per un
valore di $2.5 miliardi ad un totale di $8.4
miliardi, a causa delle forte esposizione sui
mutui subprime. La banca d'affari "numero 1" negli
Stati Uniti ha riportato la piu' forte perdita dei
suoi 93 anni di storia, pari a $2.24 miliardi (o
$2.82 per azione) nettamente superiori al
consensus, come diretta conseguenza del credit
crunch esploso durante l'estate A preoccupare
gli investitori e’ stata anche la deludente
trimestrale del colosso retail online Amazon.com
(AMZ) che ha stimato una contrazione dei margini
superiore alle attese ed emesso un outlook poco
incoraggiante per la stagione delle feste
natalizie, periodo cruciale per la corsa agli
acquisti online. Il titolo e’ arretrato di quasi
il 12% a fine giornata. Tra gli altri titoli
hi-tech, forti pressioni "sell" anche su azioni di
una certa fama quali Broadcom (BRCM), arrivato a
segnare una perdita del 19%, Juniper Networks
(JNPR) in calo dell’8% e Altera (ALTR) -15.5%.
Il colosso aerospaziale Boeing (BA) ha diffuso
numeri superiori alle attese per l’esercizio
dell’ultimo trimestre ma ha ridotto le aspettative
sui risultati del prossimo anno fiscale; Coca-Cola
Enterprises (CCE) ha fatto meglio del consensus ma
non ha particolarmente esaltato nell’outlook sui
prossimi mesi. Anche l’energetica ConocoPhillips
(COP) ha chiuso in rosso nonostante abbia
riportato un EPS di 4 centesimi superiore alle
stime degli analisti. L'unico dato macro
rilasciato in giornata ha confermato il sempre
piu' difficile momento del settore immobiliare
Usa. Nel mese di settembre le vendite di case
esistenti sono risultate in calo dell'8% ai minimi
livelli degli ultimi 8 anni, e al di sotto delle
attese. Sugli altri mercati, nel comparto
energetico il petrolio si e’ spinto al rialzo dopo
che i dati settimanali sulle scorte hanno
evidenziato un forte calo degli indicatori. I
futures con consegna dicembre hanno chiuso la
seduta in progresso di $1.83 a $87.10 al barile.
Sul valutario, invariato l’euro nei confronti
del dollaro. Nel tardo pomeriggio di mercoledi’ a
New York il cambio tra le due valute e' di 1.4260.
In leggero rialzo l’oro: i futures con consegna
dicembre sono avanzati di $2.50 a $765.60
all’oncia. In buon rialzo infine i titoli di
Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e'
sceso al 4.3310% dal 4.4050% di martedi’.
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PER
BUFFETT LA CRISI SUBPRIME DURERA' DUE
ANNI
26 Ottobre 2007, New
York 02:14 - di
ANSA ____________________________
Secondo Warren Buffett,
il miliardario americano al terzo posto nella classifica degli
uomini piu' ricchi del mondo, i problemi dei mutui subprime
continueranno a pesare sui consumatori degli Stati Uniti per
altri due anni, anche se l'economia Usa sara' capace di
fronteggiare nel complesso la tempesta. "Il problema dei
subprime sta avendo impatto", ha detto Buffett nella sua prima
visita in Corea del Sud. "Anzi avra' piu' che un impatto".
"Nei prossimi 6 mesi, un anno, due anni - ha aggiunto il
presidente di Berkshire Hataway - i problemi sul mercato
creditizio e dei mutui immobiliari al alto rischio potrebbero
avere numerose conseguenze negative sul consumo e influenzare
il poter d'acquisto degli Stati Uniti". Buffett ha parlato
giovedi' notte ad una conferenza stampa organizzata subito
dopo l'atterraggio del suo jet privato proveniente dalla Cina.
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Wall
Street RITROVA LA STRADA DEI
RIALZI
26 Ottobre 2007, New
York 22:15 - di
WSI ____________________________
Sessione in forte progresso
grazie alle ultime trimestrali societarie. Countrywide
rassicura gli investitori sui prossimi risultati, brillante
Microsoft volata +9%. Nuovi record per greggio e
euro. Indici azionari in rally sulla borsa americani grazie
alle ultime trimestrali che hanno ridato fiducia gli
investitori sulla spesa dei consumatori e sull’outlook
economico. Il Dow Jones e’ avanzato dello 0.99% a 13806,
l’S&P500 dell'1.38% a 1535, il Nasdaq ha guadagnato
l’1.94% a 2804. A riportare gli acquisti sull’azionario
Usa e’ stata in primo luogo la trimestrale di Countrywide
Financial (CFC), il colosso americano leader nei mutui
ipotecari negli scorsi mesi finito nell’occhio del ciclone a
causa della crisi "subprime". Il gruppo ha riportato perdite
superiori al consensus ma l’outlook offerto per il prossimo
trimestre ha rassicurato gli operatori a Wall Street: il
titolo e’ schizzato del 30% circa grazie all’annunciato
ritorno alla profittabilita’ gia’ a partire dal prossimo
trimestre. In evidenza anche i numeri fiscali del
colosso informatico Microsoft (MSFT) che ha avuto l’effetto di
trainare al rialzo l’intero comparto tecnologico. La societa’
di Bill Gates ha riportato utili nettamente superiori al
consensus grazie alle robuste vendite del nuovo sistema
operativo Vista e del popolare videogame “Halo 3”. Il titolo
ha archiviato la seduta con un progresso del 9% ma nell’arco
delle contrattazioni e’ arrivato a segnare un rialzo massimo
di oltre 13 punti percentuali. Anche il comparto delle
commodities si e’ mosso in buon rialzo grazie al sostenuto
avanzamento di petrolio e oro. Il greggio e’ balzato ad un
nuovo record storico, spingendosi fino ad un massimo di $92.22
al barile nelle contrattazioni elettroniche. A fine giornata i
futures con consegna dicembre hanno registrato un progresso di
$1.40 a $91.86 al barile. Ad innescare la nuova ondata di
vendite sul petrolio e’ stato un mix di elementi
macroeconomici, dal livello delle scorte ai rischi
inflazionistici fino alle tensioni in Medio Oriente. L’Amex
Oil Index (XOI) e’ avanzato del 2% guidato dalla buona
performance di Valero Energy (VLO). A risentire del nuovo
aumento dei prezzi energetici sono stati i titoli del comparto
aereo (XAL) e quelli del settore dei trasporti. Nuovo top
di 28 anni per l’oro i cui contratti con consegna dicembre
sono avanzati di $16.50 a $787.500 all’oncia. Anche i titoli
minerari hanno beneficiato del movimento del metallo prezioso
con l’ Amex Gold Bugs Index (HUI) in progresso +2.8%. Tra
le altre notizie societarie, in evidenza le trattative avviate
dal CEO di Merrill Lynch (MER), Stanley O'Neal, con Wachovia
(WB) su un possibile merger delle due banche, all’oscuro del
Board della banca d’affari: O’Neal rischia di essere
licenziato stando a quanto riportato dal New York Times.
L'unico dato macro rilasciato in giornata ha mostrato una
contrazione superiore alle attese della fiducia dei
consumatoristilata dall'Universita' del Michigan. Nella
settimana prossima sono previsti in calendario la diffusione
dei dati sul Prodotto Interno Lordo e l'incontro del FOMC sui
tassi d'interesse. Sugli altri mercati, sul valutario,
nuovo record dell’euro nei confronti del dollaro. Nel tardo
pomeriggio di venerdi’ a New York il cambio tra le due valute
e' di 1.4392. In ribasso infine i titoli di Stato. Il
rendimento sul Treasury a 10 anni e' salito al 4.3890% dal
4.3520% di giovedi’.
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Venerdì 19 ottobre 2007 |
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Sabato 20 ottobre 2007 |
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Sabato 20 ottobre 2007 |
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Il mercato immobiliare degli Stati
Uniti è sull’orlo del baratro e, sfortunatamente, non c’è da essere
per nulla ottimisti. Anzi, osservo che un numero crescente di
«esperti» inizia a sposare la mia tesi, secondo la quale il peggio
lo dobbiamo ancora vedere. Il Dipartimento del commercio Usa ha
annunciato mercoledì 17 ottobre che i lavori edili appena avviati
sono crollati nel mese di settembre del 10,2%, scendendo a 1,19
milioni di unità, cioè il livello più basso dal marzo 1993.
Il picco era stato raggiunto nel gennaio del 2006 a 2,3 milioni di
unità. Sebbene la correzione sia vistosa, la ritengo ancora
insufficiente a correggere gli squilibri fra domanda e offerta.
Infatti, se in un normale ciclo economico, i lavori edili appena
avviati flettono da quasi 2 milioni di unità a circa 1 milione, in
questo caso siamo di fronte a un «superciclo», che tende a esagerare
gli umori in una direzione e poi nell’altra.
LE CASE INVENDUTE. Vale la pena di
ricordare che nella storia degli Stati Uniti le costruzioni
residenziali non hanno mai apportato più del 5-5,5% al prodotto
interno lordo, mentre nel 2005-2006, si era andati oltre il 6 per
cento. Quando l’euforia lascerà spazio alla paura, il deterioramento
della congiuntura statunitense scivolerà facilmente in recessione.
Convergono a formulare questa diagnosi parecchi segnali, non ultimo
l’enorme accumulo di case invendute. Secondo le statistiche
ufficiali, occorrerebbero 10 mesi per smaltire le abitazioni in
attesa di un acquirente (la media è di 4-5 mesi in condizioni
normali). Ma il dato, di per sé è già allarmante, fotografa solo una
mezza verità, in quanto non conteggia gli edifici in mano alla
speculazione. Da un lato abbiamo i venditori che
desiderano ardentemente sbarazzarsi delle case in eccesso,
dall’altro la domanda non è in grado di rispondere, oppressa da una
serie di restrizioni regolamentari nonché dalla crisi dei mutui
subprime. Inoltre le autorità hanno chiesto alle banche di adottare
criteri meno lassisti, e le agenzie di rating guardano con sospetto
alle cartolarizzazioni di nuova emissione. A loro volta, le famiglie
a basso reddito erano solite acquistare casa facendo leva sui
prestiti meno garantiti, ma su di essi è sceso un anatema. E con
questo segmento fuori dai giochi, anche le altre porzioni del
mercato subiscono una gelata giacché coloro che desiderano
acquistare una dimora più prestigiosa non riescono a monetizzare il
vecchio alloggio per mancanza di compratori. E così i prezzi
intraprendono gradualmente la via del ribasso.
PRIME AVVISAGLIE. Ad agosto il
valore medio di un alloggio nuovo è diminuito del 7,5%, cifra che
non include gli sconti addizionali dell’industria delle costruzioni
per venire incontro alle famiglie. Come esempio, il gruppo
immobiliare Lennar ha accordato uno sconto doppio rispetto al
recente passato. Voglio precisare che questi cali rappresentano solo
le prime avvisaglie di una caduta generalizzata dei corsi
immobiliari perché la bolla si era davvero gonfiata oltre ogni
limite. In base a un indice disegnato dall’economista Robert
Shiller, i prezzi del mattone sono saliti del 50% sopra la media
reale degli ultimi 120 anni e dovrebbero perdere il 28% per tornare
a un livello congruo con il reddito delle famiglie. Se ciò
avvenisse, le famiglie vedrebbero evaporare circa 5mila miliardi di
dollari, e i fruitori del credito ipotecario si ritroverebbero
letteralmente in ginocchio. Siamo al punto in cui persino gli agenti
immobiliari non riescono a nascondere la sfiducia: addirittura, in
un sondaggio estivo, ben il 41% ha dichiarato di aspettarsi prezzi
in calo nel 2008. Leggere anche il piu' recente articolo sul
mercato immobiliare Usa: Chiudo questo mio intervento
con una riflessione delineata nella recentissima autobiografia di
Alan Greenspan, a proposito dell’effetto ritardato che si può
accompagnare a un crollo: «Sai cosa dicono le persone cui hanno
sparato addosso? - scrive Grenspan - Dicono che ti senti come se ti
avessero tirato un pugno, ma il trauma è tale che non provi subito
dolore». Il vero dolore
viene in seguito, e così sarà con la crisi del settore immobiliare.
Il peggio è davanti a noi.
*Gary Shilling e'
presidente della società di ricerca A. Gary Shilling & Co. Sui
maggiori temi economici e sulle strategie d’investimento pubblica
previsioni sul www.agaryshilling.com, sulla rivista americana
«Forbes» e sulla stampa finanziaria giapponese. È autore di saggi
sull’attualità economica e su strumenti e tecniche di
analisi.
.gif) |
Fonte -
Borsa&Finanza |
Il mondo continua a essere un po´
paradossale. Chiunque può leggere sui giornali lo stato
dell´economia mondiale e certamente non ci sono notizie confortanti.
In Europa il rallentamento della congiuntura e già iniziato a andrà
avanti forse per tutto il 2008, certamente per la prima metà
(abbondante). Per quanto riguarda gli Stati Uniti gli economisti
sono lì che discutono: sono divisi fra quanti sostengono che
ormai la recessione è inevitabile e quanti invece sono dell´idea che
potrà essere sostituita da un anno o due di crescita molto bassa e
lenta (intorno al 2 per cento appena). E non vanno meglio le cose in
Asia, dove la crescita c´è, ma è fin troppo vivace. E quindi si
intravede una brusca frenata nel giro di qualche mese. A tutto
questo, per completare il quadro delle notizie "nere", bisogna
aggiungere il petrolio a 92
dollari al barile e la crisi dei prestiti subprime che non è affatto
finita. Infine, gli utili delle aziende reggono, ma non potrà durare
ancora a lungo, in un mondo che ha tutti i problemi che abbiamo
appena elencato. Basterebbe la metà di queste cose
per vedere una fuga in massa dai listini. Invece non è
così. Le Borse stanno sui loro massimi storici. E questa settimana,
giusto per dare torto ai pessimisti, lo Standard & Poor´s 500 a
New York è andato su del 2,3 per cento mentre la crescita del Nasdaq
ha sfiorato il 3 per cento. Tutti pazzi? In parte probabilmente sì.
Ma gli ottimisti, quelli che
stanno comprando insomma, avanzano qualche spiegazione per il loro
apparentemente bizzarro comportamento. La prima cosa a cui si
aggrappano è un
proverbio: «Never fight the Fed», mai andare contro la Federal
Reserve. E la Banca
centrale americana ha appena abbassato i tassi di interesse di 50
basis point, martedì taglierà altri 25 basis point, altri 25 li farà
fuori a dicembre. E altri 25 in primavera. Più che dei
segnali di ottimismo, si sente dire, queste sono spintonate verso i
listini. Mai si era vista
una Fed tanto decisa a sostenere i corsi. E la Fed, dice il
proverbio, non va mai combattuta. Insomma, se la Fed indica
una strada, mai andare nella direzione opposta. E quindi si compra.
Ma non c´è solo questo (che basterebbe). C´è anche il fatto che il
petrolio a 92 dollari al barile, se deprime le economie e preoccupa
i governi, in compenso sta creando molti nuovi super-ricchi nelle
aree del petrolio (governi, sceicchi, e magnati vari, oligarchi). E
tutti questi super-ricchi (che già erano molto ricchi, per la
verità) hanno il denaro che proprio non gli sta più in tasca. Dove
vanno a metterlo? In Borsa. Qualche azione crolla? Bene, allora è il
momento di comprare. E forse non sbagliano. Inoltre, dalla Cina e
dall´Asia continuano a arrivare fiumi di denaro. Denaro che, alla
fine, dopo aver esplorato l´oro e altri territori, va comunque verso
i listini più importanti. In sostanza, i broker di Wall
Street si trovano da una parte con la Federal Reserve che taglia il
costo del denaro a ritmi sempre più frenetici (per spingerli a
tenere su i listini), e dall´altra con i torrenti di denaro in
arrivo dal mondo del petrolio e dell´Asia. Che cosa dovrebbero fare?
Dire no a tutti e rimandare quel denaro a casa? No. Lo smistano,
comprano. E fanno salire gli indici. E c´è una cosa in
più. Alcuni di loro sostengono che, storicamente, è proprio in
momenti confusi, e difficili, come questi che nascono le grandi
operazioni di fusione e concentrazione. Nel mondo di Internet questo
sta accadendo già da un po´ di tempo (i "social network" stanno
passando di mano a prezzi folli). Nel mondo delle grandi banche e
delle assicurazioni non è proprio detto che tutti i grandi giochi
siano già stati fatti. C´è, e ci sarà sempre di più, grande fermento
nel mondo delle telecomunicazioni. Si parla, ad esempio, di una
possibile vendita in blocco di tutto il mondo di 3G. Ma anche
l´impero di Orascom-Wind è al centro di qualche grande operazione. E
anche le quattro grandi Telecom europee (Italia, Francia, Germania e
Spagna) dovranno inventarsi qualcosa nel giro se non di qualche
mese, di qualche anno. Anche perché la tecnologia, come la vecchia
talpa, sta scavando sotto queste società e ne sta cambiando i
connotati quasi settimana dopo settimana. Al punto che fra qualche
anno si scoprirà, forse, che sono diventate operatori multimediali
che, come gadget, regalano anche telefonate alla vecchia zia o alla
fidanzata. Inoltre, non è ancora chiaro dove finirà il mondo
Internet, anche se, a giudicare dai prezzi dei "social network", c´è
qualche probabilità che diventi il centro di ogni cosa. E, in questo
caso, meglio aver comprato qualcosa adesso, anche se i prezzi sono
già elevati. parla di questo articolo nel Forum di WSI Insomma, la congiuntura non è
brillante e probabilmente il mondo sta andando verso una pausa (dopo
quattro-cinque anni di crescita forsennata), ma non si
fermerà. E, quando i
giochi riprenderanno, il terreno di sfida e di scontro sarà come
sempre rappresentato dalle Borse. E quindi, poiché i soldi non
mancano, è meglio comprare qualche buon posto in tribuna.
Così ragionano quelli che in questi giorni stanno mandando su i
listini, apparentemente contro ogni logica.
.gif) |
Fonte -
La
Repubblica |
WALL
STREET AVANZA E GUARDA ALLA
FED
29 Ottobre 2007,
New York 21:15 - di WSI _____________________________
Gli operatori snobbano
il nuovo record del petrolio, avvicinatosi ai $94 al
barile, dando per scontato un nuovo taglio al costo del
denaro da parte della Banca Centrale americana. I
listini americani hanno proseguito sulla strada dei
rialzi in avvio di settimana supportati dalle speranze
per un nuovo taglio al costo del denaro da parte della
Fed. Il Dow Jones e’ avanzato dello 0.46% a 13870,
l’S&P500 dello 0.37% a 1540, il Nasdaq ha guadagnato
lo 0.47% a 2817. Martedi’ il Fomc, il braccio
operativo della Federal Reserve, iniziera’ la riunione
relativa alla decisione sul costo del denaro che verra’
comunicata il prossimo mercoledi’. I futures sui fed
funds segnalano una piena probabilita’ che la Banca
Centrale abbassera’ i tassi a breve al 4.50%, attuando
un taglio di 25 punti base. Alcuni analisti ritengono
addirittura probabile un taglio di mezzo punto
percentuale, il che porterebbe i fed funds al 4.25%.
I titoli finanziari e le azioni maggiormente
sensibili ai tassi d’interesse hanno iniziato a
beneficiare maggiormente da tale ipotesi. Ricordiamo che
il comparto bancario sta cercando di uscire dal brutto
periodo della scorsa estate in seguito alla crisi del
credito scoppiata ad agosto. In evidenza il colosso
finanziario Merrill Lynch (MER) in seguito alla notizia
del cambio ai vertici dell’azienda con le “forzate”
dimissioni del CEO Stan O’Neal dopo che la scorsa
settimana la banca d’affari n.1 d’America aveva
riportato la peggiore perdita in 93 anni di storia.
Tra le societa’ che hanno diffuso i risultati
trimestrali, il colosso dei cereali Kellogg (K) ha
riportato utili in linea col consensus, migliorato
l’outlook per il 2007 ma abbassato le stime sul 2008; la
conglomerata industriale Lowe’s (LTR) ha riportato
ricavi inferiori alle attese, il gigante telecom Verizon
(VZ) ha battuto le stime. Nel settore retail
dell’elettronica, acquisti su RadioShack (RSH), forte
degli ultimi numeri fiscali che hanno permesso
all’azione di volare +7%. Vendite invece sulla compagnia
assicuratrice Humana (HUM) che non e’ riuscita a
conservare i guadagni iniziali originati dal balzo del
90% degli utili nell’ultimo trimestre e dalla revisione
dei risultati per i prossimi mesi. L’ottimismo
originato dalla possibile continuazione della politica
accomodante da parte della Fed ha aiutato gli operatori
a guardare oltre il nuovo record del petrolio, schizzato
vicino ai $94 al barile. I futures con consegna dicembre
hanno chiuso la seduta con un rialzo giornaliero di
$1.67 a $93.56. Nell’arco delle contrattazioni hanno
segnato un top intraday (ed assoluto) di $93.80. Ad
alimentare gli acquisti sul comparto energetico, la
continua debolezza del dollaro e alcuni problemi di
produzione nell’area del Golfo del Messico a causa delle
cattive condizioni meteo. Sugli altri mercati, sul
valutario, nuovo record (1.4476) dell’euro nei confronti
del dollaro. Nel tardo pomeriggio di lunedi’ a New York
il cambio tra le due valute e' di 1.4424. Ancora in
progresso l’oro. I futures con consegna dicembre sono
avanzato di $5.10 a $792.60 all’oncia. In lieve rialzo
infine i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a
10 anni e' sceso al 4.3860% dal 4.3890% di venerdi’.
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Wall
Street: DUBBI SU DECISIONE
FED
30 Ottobre 2007,
New York 17:15 - di WSI ____________________________
Speculazioni sullo
stop della politica accomodante da parte della Banca
Centrale Usa. I membri del Fomc gia' riuniti a
Washington. Scende la fiducia dei consumatori. Ritraccia
il greggio. In attesa della decisione sui tassi ed in
assenza di significativi aggiornamenti economici, gli
indici americani continuano a muoversi sotto la linea di
parita’ a meta’ giornata. Il Dow Jones cede lo 0.35% a
13821, l’S&P500 lo 0.48% a 1533, il Nasdaq arretra
dello 0.15% a 2813. Tra gli operatori
prevale un clima attendista per la decisione del FOMC
(il braccio operativo della Federal Reserve) sui tassi
d’interesse. I membri del Federal Open Market Committee
sono riuniti a Washington per decidere sul corso della
politica monetaria. Il mercato si aspetta una
continuazione della politica accomodante originata dal
taglio di mezzo punto percentuale a meta’ settembre.
A remare contro le attese degli operatori e’
pero’ un articolo apparso sul Wall Street Journal
secondo cui la scelta di un nuovo taglio ai fed funds
nell’imminente meeting non e’ poi cosi’ scontata.
Sul fronte societario, il colosso dei prodotti di
largo consumo Procter & Gamble (PG) ha riportato una
trimestrale in linea con le attese e confermato
l’outlook sul prossimo anno fiscale. Tra le altre
societa’ dell’indice S&P500 bene Colgate-Palmolive
(CL) con un EPS di un centesimo superiore alle stime, in
progresso anche Goodyear Tire & Rubber (GT), mentre
ha deluso la societa’ dell’acciaio Unites States Steel
(X). Numeri inferiori alle attese anche da parte
dell’azienda sviluppatrice di batterie Energizer (ENR) i
cui utili per azione si sono attestati ad un livello di
3 centesimi inferiore al consensus. Tra i titoli
finanziari, riflettori puntati su Merrill Lynch (MER) in
seguito alle dimissioni, ampiamente attese, del CEO Stan
O'Neal. Negative le notizie emerse dal fronte
macroeconomico. Ad ottobre la fiducia dei consumatori e’
scesa ai peggiori livelli degli ultimi due anni mentre
il rapporto Case Shiller, che monitora l’andamento dei
prezzi delle case nei 20 maggiori centri statunitensi,
e’ risultato in flessione per l’ottavo mese consecutivo
al maggior tasso degli ultimi 16 anni. A livello
settoriale le migliori performance sono segnate dai
comparti: Commercial Printing +7.6%, Tires & Rubber
+7.0%, Personal Products +3.1%, Food Distribution +2.0%,
e Resident REITS +1.7%. Tra i piu' forti ribassi: Real
Estate Management & Development -12.8%, Office
Service & Supplies -8.7%, Steel -4.0%, Oil & Gas
Equipment -2.8%, e Household Products -2.7%. Alle
12.30 E.T. il volume di scambio e' di 422 milioni di
pezzi al NYSE e 812 milioni al Nasdaq. I titoli in
rialzo contro quelli in ribasso sono 1210 a 1856 al Nyse
e 1002 a 1793 al Nasdaq. I nuovi massimi contro i nuovi
minimi delle ultime 52 settimane sono: 133 a 37 al NYSE
e 41 a 47 al Nasdaq.
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TASSI
USA: LA FED LI ABBASSA DELLO
0.25%
31 Ottobre 2007, New
York 19:05 - di
WSI ___________________________1
Come atteso dal mercato, il
Federal Open Market Committee, il braccio operativo della
Federal Reserve, ha tagliato il costo del denaro degli Stati
Uniti di un quarto di punto percentuale. Il target
sui fed funds scende dunque al 4.50%. Si tratta del secondo
taglio consecutivo in un mese e mezzo. Nella riunione dello
scorso 18 settembre Ben Bernanke e gli altri nove governatori
riuniti avevano abbassato i fed funds di 50 punti base, al
4.75%. Fino a quel momento il tasso interbancario era fermo al
5.25% dal 29 giugno dello scorso anno, lasciato poi invariato
negli 8 incontri successivi.
Il Federal Open Market
Committee ha deciso oggi di abbassare il target sui fed funds
di 25 punti base al 4.50%. La crescita economica e’
stata solida nel terzo trimestre, e le difficolta’ del mercato
finanziario si sono in qualche modo alleggerite. Tuttavia, il
tasso di espansione economica sembra posizionato a ridursi nel
breve termine, riflettendo parzialmente l’intensificazione
della correzione del settore immobiliare. La decisione
odierna, in combinazione con l’azione di politica monetaria
attuata a settembre, dovrebbe contribuire a contenere alcuni
degli effetti negativi sull’economia che potrebbero altrimenti
nascere dalle turbolenze dei mercati finanziari e promuovere
una crescita moderata nel tempo. Le letture
sull’inflazione "core" hanno mostrato modesti miglioramenti
quest’anno, ma i recenti rialzi dei prezzi energetici e delle
comoodities, tra gli altri fattori, potrebbero originare nuove
pressioni sull’inflazione. In tale contesto, il Comitato
ritiene che rimangano alcuni rischi inflazionistici, e
continuera’ a monitorare attentamente i relativi sviluppi.
Il Comitato ritiene che, dopo tale azione, i rischi
di un incremento dell’inflazione bilancino grossolanamente
quelli di un calo della crescita. Il Comitato continuera’ a
monitorare gli effetti finanziari sulle prospettive economiche
ed agira’ come necessario per garantire la stabilita’ dei
prezzi e una crescita economica sostenibile. A votare a
favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati):
Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman;
Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner;
Frederic S. Mishkin; William Poole; Eric Rosengren; e Kevin M.
Warsh. A votare contro
e’ stato Thomas M. Hoeing che avrebbe preferito lasciare
invariato il federal funds rate in questo incontro.
In un'operazione collegata, il Comitato dei
Governatori (Board of Governors) ha approvato all'unanimita'
un abbassamento di 25 punti base del tasso di sconto al 5.00%.
Nel prendere questa decisione, il comitato ha approvato le
richieste formulate dai Comitati dei Direttori (Boards of
Directors) della Federal Reserve Bank di New York, Richmond,
Atlanta, Chicago, St. Louis e San Francisco. Ed ecco il
testo originale del documento che accompagna la decisione
della Federal Reserve di tagliare il tasso interbancario al
4.50%: The Federal Open Market Committee decided today to
lower its target for the federal funds rate 25 basis points to
4-1/2 percent. Economic growth was solid in the third
quarter, and strains in financial markets have eased somewhat
on balance. However, the pace of economic expansion will
likely slow in the near term, partly reflecting the
intensification of the housing correction. Today’s action,
combined with the policy action taken in September, should
help forestall some of the adverse effects on the broader
economy that might otherwise arise from the disruptions in
financial markets and promote moderate growth over time.
Readings on core inflation have improved modestly this
year, but recent increases in energy and commodity prices,
among other factors, may put renewed upward pressure on
inflation. In this context, the Committee judges that some
inflation risks remain, and it will continue to monitor
inflation developments carefully. The Committee judges
that, after this action, the upside risks to inflation roughly
balance the downside risks to growth. The Committee will
continue to assess the effects of financial and other
developments on economic prospects and will act as needed to
foster price stability and sustainable economic growth.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S.
Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman;
Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner;
Frederic S. Mishkin; William Poole; Eric S. Rosengren; and
Kevin M. Warsh. Voting against was Thomas M. Hoenig, who
preferred no change in the federal funds rate at this meeting.
In a related action, the Board of Governors unanimously
approved a 25-basis-point decrease in the discount rate to 5
percent. In taking this action, the Board approved the
requests submitted by the Boards of Directors of the Federal
Reserve Banks of New York, Richmond, Atlanta, Chicago, St.
Louis, and San Francisco.
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Wall
Street: GOLEADA DI RECORD, EURO, ORO E
GREGGIO
31 Ottobre 2007, New
York 21:05 - di
WSI ____________________________
Dopo la decisione della
Federal Reserve di abbassare il costo del denaro al 4.50%, la
valuta europea schizza sopra $1.45, il petrolio arriva a
sfiorare i $95 al barile, il metallo prezioso sfora la
barriera degli $800. Il taglio ai tassi d’interesse da
parte della Federal Resereve, peraltro ampiamente atteso dal
mercato, ha permesso ai listini americani di archiviare la
sessione in territorio positivo. Il Dow Jones ha guadagnato
l'1.00% a 13930, l’S&P500 l'1.20% a 1549, il Nasdaq e’
salito dell'1.51% a 2859. Dopo aver tagliato il tasso
interbancario di mezzo punto percentuale nel meeting di
settembre, la Banca Centrale americana ha preferito proseguire
su una linea di politica monetaria di tipo accomodante per
permettere all’economia di assorbire piu’ efficacemente il
colpo della crisi del mercato del credito scoppiata nei mesi
estivi. Con il taglio di 25 punti base il tasso
interbancario e’ passato al 4.50%; anche il tasso di sconto e’
stato rivisto al ribasso nella stessa misura, al 5.00%. I
membri del Fomc sono tornati ad enfatizzare l’impatto della
debolezza del comparto immobiliare e dei possibili rischi che
gli elevati prezzi energetici e delle commodities possono
ancora avere sulla dinamica inflazionistica. Per Bill
Gross, manager di Pimco (il principale fondo obbligazionario
del mondo), la Federal Reserve potrebbe optare per una pausa
nel meeting di dicembre, ma sara’ costretta a portare i tassi
a breve in un range compreso tra il 3% e il 3.5% per
consentire all’economia statunitense di tornare a crescere.
Nell’arco della seduta, prima della comunicazione sui fed
funds, gli operatori hanno avuto modo di valutare diversi
comparti economici grazie al massiccio flusso di aggiornamenti
macro. Nel dettaglio, la versione preliminare del Prodotto
Interno Lordo ha mostrato un avanzamento del 3.9% nel terzo
trimestre, oltre le attese degli economisti (pari a +3.1%) e
superiore al trimestre precedente (+3.8%). L’indicatore
sull’ADP Emplyment ha evidenziato un forte recupero del
mercato del lavoro nel settore privato. Ha sorpreso gli
economisti il calo dell’indice Chicago PMI, al di sotto della
soglia dei 50 punti; migliore del consensus e’ risultato
invece il dato sulla spesa per le costruzioni avanzato dello
0.3% contro le attese di un calo dello 0.4% Tra le
societa’ facenti parte dell’S&P500 che hanno diffuso i
risultati fiscali in giornata si sono distinte in positivo
Mastercard (MA), Kraft Foods (KFT) e la mineraria Newmont
Mining (NEM); la compagnia assicuratrice Prudential Financial
(PRU) riportera’ la trimestrale subito dopo la chiusra delle
borse. I titoli tecnologici hanno continuato la corsa al
rialzo: il comparto e’ giudicato “immune” dalla crisi del
credito e dalla forte crescita delle commodities. In evidenza
il colosso Internet Google (GOOG) schizzato ad un nuovo
record, oltre la soglia dei $700. Bene anche Microsoft (MSFT)
avanzato di oltre il 3%, buona serie di Buy anche su Apple
(AAPL). Nel comparto energetico, netta reazione del
petrolio al recente sell-off, salito ad un nuovo massimo
storico. I futures con consegna dicembre hanno chiuso la
seduta con un rialzo giornaliero di $4.15 a $94.53 al barile.
Nella seduta di martedi’ i contratti erano tornati a trattare
poco sopra i $90 dopo che Goldman Sachs aveva consigliato ai
propri clienti di "realizzare i profitti" sul petrolio. In
riferimento al comparto valutario, il taglio al costo del
denaro ha avuto l’effetto di indebolire ulteriormente il
biglietto verde, spingendo brevemente l’euro ad un nuovo
record sopra 1.45. Nel tardo pomeriggio di mercoledi’ a New
York il cambio tra le due valute e' di 1.4483. Forti acquisti
anche sull’oro. I futures con consegna dicembre sono avanzati
di $8.20 a $796.00 all’oncia; nelle contrattazioni after-hour
hanno superato la barriera degli $800 per la prima volta negli
ultimi 28 anni. In ribasso infine i titoli di Stato. Il
rendimento sul Treasury a 10 anni e’ schizzato al 4.4750% dal
4.3830% di martedi’.
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Venerdì 25 ottobre 2007 |
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Sabato 27 ottobre 2007 |
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Martedì 30 ottobre 2007 |
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Credete che non ci
siano rischi se la FED taglia ?
31 Ottobre 2007, Lugano 12:41 - di
*Alfonso Tuor
*Alfonso
Tuor e' il direttore del Corriere del Ticino ________________________________________
I mercati finanziari danno per
scontato che oggi la banca centrale statunitense tagli i tassi
almeno di un quarto di punto, portando i Fed Funds al 4,5%. I
mercati ritengono anche che la Federal Reserve ridurrà ulteriormente
i tassi nei prossimi mesi. La prima «vittima» di queste aspettative
è il dollaro, che alcuni scommettono scenderà fino a quota 1,50
contro la moneta unica europea e che quindi stabilirà un nuovo
minimo storico rispetto al franco svizzero, scendendo sotto 1,11
franchi, ossia il livello già toccato nel 1995. Nei prossimi giorni
e nei prossimi mesi potremo giudicare la bontà di queste previsioni,
ma oggi cercheremo di
ipotizzare quali sono, da una parte, gli imperativi della politica
monetaria americana e, dall’altra, i pericoli da sventare.
Questa analisi non può che partire dalla crisi dei mutui subprime
che ha già costretto la Fed (così come la Banca centrale europea ed
altre banche centrali) ad iniettare decine di miliardi nei mercati
per scongiurare una crisi del sistema finanziario internazionale e
che ha già spinto lo scorso mese di settembre la banca centrale
americana a ridurre i tassi di mezzo punto. Gli imperativi della banca
centrale americana sono strettamente connessi con la crisi dei mutui
subprime. In primo luogo, tagliare il costo del denaro per evitare
l’aggravarsi della crisi del mercato immobiliare americano e per
evitare che la discesa dei prezzi dei valori immobiliari incida in
modo significativo sui consumi delle famiglie provocando un forte
rallentamento della crescita economica. In secondo luogo, tagliare i
tassi per alleggerire il costo delle perdite dei titoli legati al
mercato subprime che solo ora il sistema bancario americano comincia
a contabilizzare. Questi obiettivi devono essere
perseguiti evitando alcuni pericoli. Il primo rischio è una crisi
del dollaro. Come noto, il biglietto verde, «appesantito» dal
disavanzo estero americano, è stato sostenuto finora dal
differenziale tra i tassi statunitensi e quelli europei. Con il
taglio dei tassi americani questo differenziale si assottiglia
sempre di più e spinge al ribasso il dollaro. Finora la discesa del
biglietto verde è stata rapida ma ordinata. La Federal Reserve deve dunque
evitare che il deprezzamento del dollaro, che comincia ad avere
effetti positivi sulla bilancia commerciale statunitense, si
trasformi in una caduta disordinata che potrebbe produrre effetti
pericolosi. Quest’ultima eventualità è comunque altamente
improbabile. Infatti mentre un calo del dollaro è considerato da
tutti ineluttabile, una sua caduta non converrebbe a nessuno.
Quindi, tutti interverrebbero in suo sostegno. Vi sono invece altri pericoli cui
la politica espansiva della Federal Reserve potrebbe prestare il
fianco. Il primo e più importante è l’inflazione. Questa
«malattia», scomparsa dall’orizzonte negli ultimi anni, rischia di
ricomparire. I motivi sono presto detti: il prezzo del petrolio è
alle stelle, i prezzi delle altre materie prime e delle derrate
agricole sono in forte rialzo, così come il prezzo dell’oro che è un
buon indice delle aspettative inflazionistiche. In Europa e in
Svizzera l’aumento di questi prezzi è attutito dall’indebolimento
del dollaro, negli Stati Uniti invece si scarica completamente
sull’acquirente finale. Questa ipotesi viene contraddetta ricordando
che il tasso di inflazione americano (calcolato escludendo i prezzi
dei generi alimentari e dei prodotti energetici) non dà chiari segni
di rialzo. Si sostiene dunque che i rialzi di questi prezzi non
stanno producendo effetti tangibili nel complesso dell’economia
americana. Questa situazione potrebbe però rapidamente cambiare.
Molti fattori spingono in questa direzione: l’indebolimento del
dollaro favorisce l’importazione di inflazione, l’effetto
calmieratore sui prezzi delle importazioni dalla Cina si sta
affievolendo ed infine l’economia americana non dà ancora chiari
segnali di rallentamento, come invece inducono a pensare le attuali
manovre monetarie della Federal Reserve. Inoltre, ed è l’altro
pericolo molto concreto, una politica monetaria espansiva che si
aggiunge alla forte crescita della massa monetaria degli ultimi anni
può produrre solo due risultati: inflazione oppure una nuova bolla
finanziaria o ancora ambedue. Ed è questo il vero pericolo.
Dunque la Federal Reserve è costretta ad agire in base alle esigenze
di un sistema finanziario americano, che vuole alleggerire e
spalmare nel tempo il costo delle perdite della crisi dei mutui
subprime. E per raggiungere questo scopo si è disposti a correre il
rischio di far resuscitare l’inflazione e/o di creare una nuova
bolla speculativa.
.gif) |
Fonte - Corriere del
Ticino |
Bomba mutui: il peggio deve ancora
arrivare
30 Ottobre 2007, Milano - di
Vincenzo
Sciarretta ________________________________________
Il dramma dei mutui ipotecari
potrebbe avere la miccia lunga e deflagrare con la massima energia
nel 2008. A sostenerlo è David Berson, vicepresidente e capo
economista del più grosso istituto americano operante nel business
dei finanziamenti immobiliari, cioè la Fannie Mae. A suo
giudizio, il numero delle compravendite e il volume dell’attività
edile proseguiranno la parabola discendente sino alla metà dell’anno
venturo, mentre per la stabilizzazione dei prezzi bisognerà
aspettare il 2009.
Dottor Berson, quest’estate è
scoppiata la bomba dei mutui subprime, ma lei ammonisce che il
peggio è ancora di là da venire... Se ragioniamo in termini di
insolvenze, fallimenti e pignoramenti, direi che è proprio vero.
All’origine di queste considerazioni vi è la dinamica dei saggi
d’interesse. Perché se si guarda ai subprime con la rata fissa, ci
si accorge che l’andamento non è affatto disperante. Mentre invece
la tendenza è negativa nel segmento dei debitori meno solidi. Del
resto, se così non fosse, non li chiameremmo subprime. E quindi
dov’è il problema? Il
problema grosso è sul terreno dei mutui a rimborso variabile. C’è
una consistente fetta di prestiti rischiosi, che affondano le loro
radici nel biennio 2005-2006, le cui rate mensili aumenteranno a
cavallo fra il 2007 e il 2008. Perciò sospetto che il travaglio dei
mutui subprime non abbia raggiunto ancora l’acme.
Si è a lungo dibattuto sugli effetti
di questa crisi per l’intera economia. Qual è il suo punto di vista?
Come si sa, il boom ha creato una interazione «tossica» fra la
capacità di spesa delle famiglie e l’andamento dei valori
patrimoniali. La frenata della congiuntura scivolerà in una
recessione se il consumatore americano stringerà i cordoni della
borsa, spaventato e impoverito dalla rettifica della sua ricchezza
immobiliare. Qui siamo nella sfera delle probabilità, e la mia stima
personalissima quantifica la recessione al 40 per cento. Non è
un numero piccolo. Le quotazioni delle villette unifamiliari sono
calate a settembre del 4,9% rispetto a settembre 2006, ma ciò accade
dopo un apprezzamento del 56% nell’ultimo decennio e del 100% se si
prende come nastro di partenza il 1994. Quale sarà la
traiettoria dei trimestri futuri? Nel complesso - dal punto di
massimo al punto di minimo - la discesa potrebbe essere nell’ordine
del 10% o un po’ superiore. L’elevato numero di case invendute,
giocoforza, eserciterà un’influenza negativa.
Quando sarà
raggiunto il punto di minimo? Per rispondere occorre distinguere fra
valore degli immobili e livello dell’attività edile. Bene,
facciamolo. Allora iniziamo con il numero delle compravendite e il
volume dei lavori edili appena avviati. La flessione di entrambi
questi aggregati rispecchia un concorso di circostanze, tra cui
emergono il rallentamento dell’economia, l’alto valore delle
abitazioni, il maggior peso dei mutui, la fine delle correnti
speculative e, in ultimo, la stretta degli standard creditizi. La
stretta riguarda soprattutto i mutui ad alto rischio, quelli a
rischio medio-alto e quelli concernenti i prestiti di grandi
dimensioni. E l’impatto? In base ai nostri calcoli, la
diminuzione nella compravendita di case dovrebbe attestarsi al 15,4%
nel 2007 e al 10% nel 2008, con un peggioramento in caso di
recessione. Il numero delle transazioni ha buone chance di
stabilizzarsi nella seconda metà dell’anno venturo.
E per quanto riguarda i prezzi?
Forse le perdite si estenderanno fino al 2009, quando il decremento
degli immobili invenduti e il recupero dell’attività economica
dovrebbero rovesciare l’andamento negativo e aprire le porte a una
nuova tendenza rialzista nel 2010. Voglio appena sottolineare che si
tratta del primo ribasso generalizzato dai tempi della Grande
Depressione. Pensa che la Federal Reserve darà vita a
ulteriori tagli dei tassi d’interesse dopo lo sconto di 50 punti
base messo in atto lo scorso 18 settembre? Il direttorio della Banca
centrale si riunirà il 30 e 31 di ottobre, votando quasi certamente
per ridurre il costo del denaro. Il tasso sui fondi federali
passerà dal 4,75% attuale al 4,25% entro l’inverno del 2008, almeno
stando alle nostre previsioni. Come sa, esiste una quantità enorme
di titoli creditizi ad alto rischio. Qualcuno si è già bruciato le
dita nel maneggiarli. Chi sono i prossimi candidati? È
buffo da dirsi, ma nessuno sa davvero in quali mani ribollano le
cartolarizzazioni meno solide. Fannie Mae e Freddie Mac (altro
gigante dei mutui in America, ndr) non ne hanno tanti. Credo che
anche le banche tradizionali abbiano un’esposizione ragionevole e
abbiano fatto un ottimo lavoro nel vendere il rischio di credito a
terzi. Perciò, forse, gli investitori esteri, gli hedge fund, le
gestioni comuni, alcuni player specialistici. Ma voglio ripetere che
in verità nessuno lo sa. Quale svalutazione si annida nel
comparto subprime? Anche qui, è difficile a dirsi, ma in sé e per sé
non sono cifre ingestibili. Perché il debito subprime in
circolazione è nell’ordine di 1.500 miliardi di dollari. Non faccio
previsioni, ma possiamo sviluppare delle ipotesi: se, ad esempio, un
terzo fallisse, staremmo parlando di 500 miliardi. Poi c’è la
liquidazione delle garanzie, e magari si recupera il 75%, così si
scende a una perdita di 125 miliardi. Ripeto, non sono previsioni.
Ma forse il vero incubo è per chi ha posizioni a leva o troppo
concentrate. Un’ultima domanda: come valuta lo stato di
salute del credito di qualità più elevata? Il mercato è in flessione
per quanto attiene gli scambi; le insolvenze e gli inadempimenti
crescono leggermente a causa della congiuntura traballante, però la
liquidità e il merito non destano soverchie
preoccupazioni.
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