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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Politica internazionale - rassegna guerra Israele/Libano

Kissinger: nessuna pace senza l'Iran

Politica internazionale - rassegna sventato attentato Londra

Londra, l'attentato non era imminente

Politica internazionale - rassegna questione nucleare Iran

S&P choc: il barile salirà a 250$

Politica e Finanza italiana

Il nuovo corso del credito nell'era Draghi

Politica e Finanza italiana

Merchant doppia, Nagel è avvisato

Politica e Finanza italiana

Mediobanca bacchetta i fondi

   

Vai alla seconda parte della Rassegna

 

+++   Israele, Olmert lancia la grande offensiva   +++   Razzi Hezbollah su Israele   +++   Libano, verso il cessate il fuoco   +++   Londra , sventato attentato Al Quaeda   +++   Iran non fermerà progetto di arricchimento dell'uranio   +++

Mercoledì  2  agosto  2006   Venerdì  4  agosto  2006   Sabato  5  agosto  2006
   
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Israele: 30 mln al giorno per guerra

Giovedì 3 Agosto 2006,

 

Governatore Banca centrale, conti sotto controllo (ANSA) - TEL AVIV, 3 AGO - Ogni settimana di guerra in Libano costa fra fra 150 e 200 milioni di euro a Israele: e' la stima del governatore della banca centrale. Nonostante la guerra, Israele dovrebbe concludere il 2006 con un deficit non superiore al 2% del Pil, al di sotto dell'obiettivo indicato dal governo del 3%. Il governatore ha aggiunto che uno dei segreti in un periodo di guerra e' la garanzia che il governo, il ministero delle finanze e la banca centrale rispettino gli obiettivi di bilancio.

Fonte ANSA  - 3 Agosto 2006

 

Libano, scatta la tregua, soldati israeliani iniziano ritiro

Lunedì 14 Agosto 2006, 08:42

GERUSALEMME/BEIRUT (Reuters) 14 ago 06 – 8,42 - Alcuni soldati israeliani hanno iniziato a ritirarsi dal sud del Libano oggi, subito dopo l'entrata in vigore della tregua voluta dall'Onu tra Israele e Hezbollah alle 7 ora italiana, mentre il ministro delle Finanze libanese ha detto che il cessate il fuoco sta tenendo e non ci sono più scontri.
"Ci sono forze che stanno uscendo, ma ce ne sono ancora abbastanza sul posto", ha detto un portavoce dell'esercito, senza fornire dati sul movimento dei soldati.
Israele ha inviato circa 30.000 uomini in Libano per tentare di fermare il lancio di razzi sullo stato ebraico da parte di Hezbollah.
Intanto, poco prima dell'inizio della tregua, almeno sette persone sono morte quando aerei da guerra israeliani hanno attaccato un furgone, secondo quanto riferito da fonti mediche . Il furgone, che stava viaggiando alla periferia dell'antica città di Baalbek, aveva a bordo poliziotti, soldati e civili.
La tregua, votata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, oltre alla "piena cessazione delle ostilità", prevede anche il dispiegamento di fino a 15.000 soldati delle Nazioni unite nel sud del Libano per assicurare la pace, dopo gli scontri che hanno ucciso circa 1.100 libanesi e 154 israeliani.
"Speriamo che il cessate il fuoco tenga.. Vi chiediamo di stare all'erta perché Hezbollah potrebbe infrangerla e perché dobbiamo essere pronti ad aiutare le nostre forze all'interno (del Libano) che possono avere bisogno di assistenza", ha detto un funzionario dell'esercito israeliano alla radio.
Israele ha lanciato nuovi raid aerei meno di 15 minuti prima dell'inizio della tregua sulla parte orientale del Libano e vicino a Sidone, nel sud, secondo quanto riferito da fonti della sicurezza. Sono stati riferiti anche di feroci scontri tra soldati israeliani e miliziani Hezbollah.
Il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Levin ieri ha ribadito che i soldati israeliani si ritireranno dal Libano solo quando arriverà la forza internazionale, che secondo l'Onu impiegherà una decina di giorni per dispiegarsi.
Accanto alla Francia, l'Italia ha detto di essere pronta a fornire fino a 3.000 uomini. Anche Portogallo, Spagna e Finlandia stanno considerando di inviare uomini. Il capo della politica estera Ue Xavier Solana ha citato Australia, Malaysia, e Indonesia come nazioni non Ue pronte a dare aiuto.
 

Fonte Reuters  - 14 Agosto 2006

 

 

M.O. : Lahoud, Israele non sconfiggerà Hezbollah

Berlino, Domenica 6 Agosto 2006,

 

L'offensiva di Israele in Libano ha fatto crescere il sostegno e il consenso verso la milizia del movimento sciita libanese Hezbollah e l'esercito israeliano ''non riuscira' a piegare la resistenza''. Lo ha affermato il presidente libanese Emile Lahoud, in un'intervista che sara' pubblicata domani dal settimanale tedesco 'Focus'.
 

Fonte ADNkronos/Dpa  - 6 Agosto 2006

 

Libano: Siniora, nostra diplomazia ha trionfato

Sabato 12 Agosto 2006

(AGI) - Beirut, 12 ago 17,35 . - L'approvazione della risoluzione in Consiglio di sicurezza e' "un trionfo della diplomazia libanese". Cosi' il premier libanese, Fuad Siniora, ha commentato il voto unanime con cui i 15 hanno chiesto la cessazione delle ostilita' e approvato l'invio di 15mila soldati dell'Unifil nel sud del Paese. "La risoluzione e' un trionfo dei negoziatori libanesi" ha detto prima di una riunione straordinaria del gabinetto per discutere il documento, "se confrontata a una bozza presentata prima di quella che poi e' stata approvata". (AGI) .
 

Fonte AGI  - 12 Agosto 2006

 

 

 

 

  Domenica  6  agosto  2006   Lunedì  7  agosto  2006   Giovedì  10  agosto  2006  
       
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   Kissinger: nessuna pace senza l'Iran

5 Agosto 2006 14:16 - di Henry Kissinger
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L’attenzione del mondo è concentrata sui combattimenti in Libano e nella Striscia di Gaza, ma il contesto della situazione porta invece a volgere lo sguardo verso l’Iran. Purtroppo, gli sforzi diplomatici in questa direzione vengono costantemente scavalcati dagli eventi. Mentre bombe piovono sulle città libanesi e israeliane, e Israele rioccupa parte di Gaza, la proposta fatta all’Iran a maggio dai Sei grandi (Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina), per negoziare sui suoi armamenti nucleari attende ancora una risposta.
E’ possibile che Teheran avesse letto il tono quasi supplichevole di alcuni appelli come segno di debolezza e indecisione. Oppure la violenza in Libano ha spinto i mullah a fare calcoli sui rischi nel fomentare e gestire la crisi. Qualunque cosa possiamo leggere nei fondi del caffè, l’attuale scontro in Medio Oriente rimane uno snodo cruciale. L’Iran potrebbe trarre giovamento dalla regola delle conseguenze impreviste. I Sei non possono più rimandare, e devono affrontare la doppia sfida lanciata dall’Iran: da un lato, la ricerca dell’arma nucleare rappresenta il desiderio di modernità dell’Iran, attraverso il simbolo di potere di uno Stato moderno.

Finora, i Sei sono stati vaghi sulla loro possibile reazione a un rifiuto degli iraniani a negoziare, salvo per minacce di sanzioni non meglio specificate ordinate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma se lo stallo tra la forzata tolleranza dei Sei e le minacciose invettive del presidente iraniano porterà infine ad acconsentire tacitamente di fatto al programma nucleare di Teheran, le prospettive per un ordine internazionale multilaterale diventeranno più remote per tutti.
Un disastro che sarebbe da paragonare non a Monaco, dove le democrazie consegnarono a Hitler la parte germanofona della Cecoslovacchia, ma la reazione all’invasione dell’Abissinia da parte di Mussolini. A Monaco le democrazie ritennero che le rivendicazioni di Hitler erano fondamentalmente giustificate dal principio dell’autodeterminazione: erano più che altro i metodi a dare fastidio. Nella crisi abissina, la natura della sfida non venne messa in discussione. Con vasta maggioranza, la Lega delle Nazioni votò per definire l’avventura italiana come aggressione e imporre delle sanzioni. Ma poi si tirò indietro di fronte alle possibili conseguenze di questa sortita, e respinse l’embargo petrolifero, al quale l’Italia non avrebbe potuto resistere. La Lega non si riprese mai da questa debacle.

Se i forum di sei Paesi che trattano con l’Iran e con la Corea del Nord subiranno fallimenti simili, la conseguenza sarà un mondo dove le armi proliferano incontrollabilmente, impossibili da intercettare per governi e istituzioni.
Un Iran moderno, forte e pacifico potrebbe diventare un pilastro di stabilità e progresso nella regione. Ma ciò non potrà accadere fino a che i leader iraniani non decideranno se rappresentare una causa o una nazione, se la loro motivazione principale sia la crociata o la cooperazione internazionale. Lo scopo della diplomazia dei Sei deve essere quello di obbligare l’Iran a confrontarsi con questa scelta. Si dice spesso che per l’Iran ci sia bisogno di una diplomazia simile a quella che, negli anni ‘70, spinse la Cina dall’ostilità verso la cooperazione con gli Usa. Ma la Cina non venne persuasa da un’abile diplomazia.
La Cina venne portata da un decennio di escalation del conflitto con l’Urss alla convinzione che la sua sicurezza era minacciata dall’America capitalista in minor misura che dalla crescente concentrazione delle truppe sovietiche sulle sue frontienre settentrionali.

La sfida del negoziato iraniano è ben più complessa. Nel caso della Cina, per due anni prima dell’apertura le due parti si impegnarono in azioni diplomatiche sottili e simboliche per conciliare le proprie posizioni. Nel corso di questo processo giunsero a una comprensione parallela della situazione internazionale, e la Cina optò per vivere in un mondo che cooperava.
Nulla di tutto questo è mai accaduto tra l’Iran e gli Usa. Non c’è nemmeno la parvenza di una visione mondiale condivisibile. L’Iran ha reagito all’offerta americana di aprire il negoziato con minacce, e ha fomentato tensioni nella regione. Anche se i raid degli Hezbollah dal Libano verso Israele, e il rapimento dei soldati israeliani non fossero stati progettati a Teheran - come sostiene oggi il presidente iraniano, facendo un’importante marcia indietro rispetto alla sua precedente retorica bellicosa - non sarebbero accaduti se i loro autori non gli avessero ritenuti contrari alla strategia dell’Iran. In altre parole, l’Iran non ha ancora scelto il mondo in cui vuole stare, oppure ha fatto la scelta sbagliata dal punto di vista della stabilità internazionale. La crisi in Libano potrebbe segnare uno spartiacque se conferisse un senso di urgenza alla diplomazia dei Sei, e una punta di realismo al comportamento di Teheran.
Per ora l’Iran ha giocato per guadagnare tempo. Il presidente Bush ha annunciato la volontà dell’America a partecipare al dibattito dei Sei con l’Iran per impedire il sorgere dell’emergenza di un programma di armi nucleari iraniano. Ma non sarà possibile separare nettamente il negoziato sul nucleare da una revisione completa delle relazioni dell’Iran con il resto del mondo. Il ricordo della crisi degli ostaggi, i decenni di isolamento, e l’aspetto messianico del regime iraniano rappresentano altrettanti ostacoli per la diplomazia.
Se Teheran insisterà nell’unire la tradizione imperiale persiana con il fervore islamico una collisione con l’America - e inevitabilmente, con i suoi partner nel negoziato a Sei - sarà inevitabile. Non possiamo permettere all’Iran di raggiungere il sogno imperiale in una regione di tale importanza per il resto del mondo. Nello stesso tempo, un Iran concentrato sullo sviluppo dei talenti del suo popolo e delle risorse del Paese non dovrebbe avere niente da temere dagli Usa.
Per quanto sia difficile immaginare che l’Iran, con il suo attuale presidente, partecipi allo sforzo che gli richiederebbe di troncare le sue attività terroristiche, questa consapevolezza dovrà emergere dal processo diplomatico, se non verrà formulata prima. Questo approccio implicherebbe una nuova definizione dell’obiettivo del cambio di regime, dando l’opportunità per un genuino cambiamento in Iran, indipendentemente da chi sarà al potere. Un vero accordo dipende anche dalla comprensione che si ha del fatto che questo dossier è solo un primo passo nell’invitare l’Iran di ritornare nel mondo esterno.

Fonte - La Stampa e © 2006 Tribune Media Services, Inc.

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Venerdì  11  agosto  2006   Sabato  12  agosto  2006   Giovedì  17  agosto  2006
   
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Londra, sventato piano per attacco su aerei, 21 arresti

LONDRA (Reuters) 10 ago 06 – 14,25 

La polizia britannica ha detto oggi di aver sventato un piano per fare esplodere diversi aerei in volo tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti ed ha arrestato 21 persone nell'area di Londra e a Birmingham nella notte.
"Siamo fiduciosi di aver fermato un piano dei terroristi per causare morte e distruzione", ha detto il vice commissario della polizia di Londra Paul Stephenson "Semplicemente, intendeva essere un omicidio di massa su scala inimmaginabile".
Sia la Gran Bretagna che gli Usa hanno alzato il livello di sicurezza, provocando forti ritardi agli aeroporti in seguito alla divulgazione del complotto, che secondo una fonte di polizia avrebbe previsto l'uso di un dispositivo con una sostanza "chimica liquida".
Notizie non confermate riferite dai media dicono che obiettivo del complotto erano dai sei ai dieci aerei.
Il capo della polizia anti-terrorismo, Peter Clarke, ha detto che il piano aveva "dimensioni globali", aggiungendo che il numero dei voli, la destinazione e l'orario sono ancora sotto indagine.
Il dipartimento per la Sicurezza interna Usa ha portato il livello di minaccia per la sicurezza di tutti i voli commerciali ad "alto" e le autorità Usa hanno vietato liquidi, comprese le bevande, su tutti i voli.
I servizi di sicurezza britannici hanno alzato il livello della minaccia per il paese da "grave" a "critico", il più alto nella scala di cinque gradi che significa che ci "si aspetta un attacco imminente".
"La polizia agisce con il servizio di sicurezza MI5 e sta indagando su un presunto piano per abbattere un certo numero di voli attraverso esplosioni in aria, causando una considerevole perdita di vite", ha detto il ministro dell'Interno John Reid.
L'allerta per la sicurezza arriva 13 mesi dopo che quattro islamici britannici hanno ucciso 52 persone e ne hanno ferite 700 in un attacco alla rete di trasporti di Londra con attentati suicidi.
La nazionalità degli arrestati al momento non è chiara.
Il mese scorso, al Qaeda ha chiesto ai musulmani di combattere coloro che appoggiano l'aggressione di Israele contro il Libano e ha ammonito che ci sarebbero stati nuovi attacchi senza il ritiro della forze britanniche e Usa dall'Iraq e dall'Afghanistan.
Al Qaeda ha dirottato degli aerei nel settembre 2001 per distruggere il World Trade Center di New York e il britannico Richard Reid è stato arrestato nel dicembre 2001 per aver tentato di far esplodere un aereo diretto negli Usa.
"Questo tipo di attacchi con esplosivo liquido è particolarmente preoccupante. Gli aerei restano vulnerabili e nelle prossime settimane i terroristi penseranno a qualcos'altro da fare di cui non abbiamo idea", ha detto Peter Neumann, direttore del Centro per gli studi sulla difesa alla King's College university di Londra.
"Se avesse funzionato, sarebbe stato oltre ogni dubbio il più grande complotto terroristico nel Regno Unito", ha detto a Reuters.

VOLI SOSPESI
La società che gestisce gli aeroporti di Londra, la BAA, ha chiesto a tutte le linee aeree europee di sospendere i voli verso l'aeroporto londinese di Heatrow, dove nuove misure di sicurezza provocano forti ritardi.
Le linee aeree hanno detto che non sarà consentito portare bagagli a mano a bordo degli aerei in partenza dagli aeroporti britannici, ed è vietato portare a bordo anche dispositivi elettronici, compresi computer portatili e telefonini. E' vietato portare anche sostanze liquide, compresa la soluzione per lenti a contatto, per tutti i passeggeri in volo verso gli Stati Uniti.
Neumann ha detto che il complotto appare simile ad un piano del 1995 di far saltare 11 aerei usando della nitroglicerina mescolata in una soluzione per lenti a contatto e una batteria come detonatore.
Lunghe code si sono fermate all'aeroporto di Heatrow mentre i passeggeri si sottopongono ad accurati controlli.
"Sono una ex-assistente di volo, sono abituata ai ritardi, ma questo è un tipo diverso di ritardo", ha detto Gita Saintangelo, 54 anni, un'americana che deve far ritorno a Miami.
"Abbiamo sentito la notizia stamani alla tv, siamo usciti un po' prima e abbiamo detto una preghiera", ha detto a Heathrow.

CRITICHE
La Gran Bretagna è sotto un fuoco di critiche da parte dei militanti islamici per la sua campagna militare in Iraq e Afghanistan.
Anche Blair è stato molto criticato sia nel suo paese che all'estero dopo aver seguito i passi degli Usa ed essersi rifiutato di chiedere un immediato cessato il fuoco nel conflitto tra Israele e il gruppo Hezbollah in Libano.
In un discorso ieri, Reid ha detto che la Gran Bretagna è nel periodo più lungo di grave minaccia dalla fine della Seconda guerra mondiale.
L'ufficio di Blair, che è in vacanza ai Caraibi, ha detto che il primo ministro si è consultato con il presidente Usa George W. Bush sull'operazione durante la notte ed è in costante contatto con il Regno Unito per monitorare la situazione.
L'esperto di terrorismo Paul Beaver ha detto che il bagaglio a mano può dare problemi per la sicurezza degli aeroporti.
"Un computer portatile può contenere abbastanza esplosivo da fare saltare un aereo", ha detto, aggiungendo che la natura dello sventato attacco suggerisce legami con al Qaeda.
"Negli ultimi due mesi al Qaeda ha promesso di voler vendicare l'Iraq e l'Afghanistan attaccando gli assett dell'aviazione britannica e americana. Vedo un collegamento diretto con questo", ha detto.


Fonte REUTERS  - 10 agosto 2006
 

 

 

Borse europee in calo dopo sventato attacco aereo

 

Giovedì 10 Agosto 2006, 10,41 Londra - Reuters

 

Le borse europee cedono pesantemente terreno dopo la notizia che la polizia britannica ha sventato un piano che puntava a far esplodere un aereo in volo e sulla scia dell'andamento negativo di Wall Street
 

Fonte REUTERS  - 10 Agosto 2006

 

 

 

Londra sventato attacco aereo, vietati bagagli a mano da GB

Giovedì 10 Agosto 2006,  Londra - Reuters

LONDRA (Reuters) - La polizia britannica ha detto oggi di aver sventato un attacco aereo e aver arrestato nell'area londinese un numero di persone coinvolte nel piano. Subito dopo è arrivata la notizia che British Airways, seguendo una direttiva del governo britannico, ha deciso di vietare i bagagli a mano per tutti i voli che partono dagli aeroporti britannici.
La polizia ha detto che le persone fermate avevano architettato un piano per fare esplodere un aereo in volo, precisando che l'esplosivo sarebbe stato portato a bordo nascosto all'interno del bagaglio a mano.
"British Airways, seguendo le istruzioni del governo britannico, desidera comunicare ai passeggeri che nessun bagaglio a mano potrà essere portato a bordo per tutti i voli che partono dagli aeroporti della Gran Bretagna", ha detto la compagnia aerea in una nota. "Il governo britannico ha avvisato che questa direttiva si applicherà a tutte le linee aeree che operano dagli aeroporti britannici". British Airways ha detto che non sarà consentito portare con sé nessun dispositivo elettronico o alimentato a batteria, compresi computer portatili e cellulari.
 

Fonte Reuters  - 10 Agosto 2006

 

 

 

GB: resta allerta livello critico

Venerdì 11 Agosto 2006, 10,41 Londra - ANSA

Resta allerta livello critico per continuare a proteggere i cittadini, dice ministro Reid. Il livello di allerta terrorismo resta 'critico' - il massimo - nel Regno Unito per 'precauzione'.Lo scopo e' quello di proteggere la cittadinanza. Lo rende noto il ministro dell'Interno, John Reid che ha confermato l'arresto di 24 persone,definiti "i principali protagonisti" del complotto terroristico. Il ministro ha aggiunto che non c'é "autocompiacimento" tra le forze dell'ordine. Reid ha inoltre ringraziato il Pakistan per l'impegno nelle indagini.
 

Fonte ANSA  - 11 Agosto 2006

 

Attacco a voli transatlantici sarebbe avvenuto in pochi giorni

 Venerdì 11 Agosto 2006, 08,52 Londra - Reuters

 

LONDRA (Reuters) - Mancavano pochi giorni prima che attentatori suicidi britannici si lanciassero in simultanei attacchi su linee aeree transatlantiche, quando le autorità hanno annunciato di aver sventato quello che un comandante della polizia ha definito "un omicidio di massa su scala inimmaginabile".

La polizia britannica ha arrestato ieri 24 persone che progettavano di portare esplosivi, camuffati da bibite, a bordo dei voli tra Gran Bretagna e Stati Uniti e ha disposto rigide misure di sicurezza anche per i voli previsti per oggi . Ieri diversi aeroporti sono finiti nel caos con una serie di voli cancellati, creando disagi per i passeggeri.
"(Gli attentatori) erano a un paio di giorni da una prova, e a pochi giorni dall'attentato", ha detto un funzionario dell'intelligence Usa, che ha chiesto di restare anonimo.

"Il piano prevedeva attentati suicidi a bordo degli aerei praticamente in contemporanea", ha detto il segretario per la sicurezza interna Usa Michael Chertoff, aggiungendo che l'organizzazione al Qaeda potrebbe essere coinvolta ma che è troppo presto per trarre delle conclusioni.

Il presidente Usa George W. Bush ha detto che il piano conferma che il suo paese sia "in guerra con i fascisti islamici".
Il Pakistan ha detto di avere svolto un ruolo importante nell'operazione che ha permesso di sventare il piano. Alcuni media pakistani hanno detto che le autorità locali hanno arrestato almeno tre uomini sospetti. Non hanno aggiunto altri dettagli.
Il sospetto complotto ha riproposto lo spettro degli attacchi agli Stati Uniti dell'11 settembre 2001 in cui persero la vita circa 3.000 persone e giunge 13 mesi dopo che quattro attentatori suicidi hanno ucciso 52 persone in un attacco alla rete dei trasporti londinesi.

I funzionari Usa hanno detto che circa 10 aerei avrebbero dovuto essere colpiti. I voli di linea transatlantici normalmente portano più di 300 persone a bordo, il che fa pensare ad un bilancio di migliaia di vittime.
"Riteniamo di aver sventato un piano terroristico che avrebbe causato incalcolabile morte e distruzione", ha detto il commissario della forza di polizia londinese Paul Stephenson.
"Detta in maniera più semplice, questo doveva essere un omicidio di massa su scala inimmaginabile".
 


Fonte REUTERS  - 11 Agosto 2006

 

 

 

 

 

   Londra, l'attentato non era imminente

29 Agosto 2006 Londra - di Enrico Franceschini
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Alle nove del mattino del 10 agosto scorso, quando i capi di Scotland Yard convocarono all´improvviso una conferenza stampa per annunciare l´arresto di 24 persone intenzionate a compiere un attentato «di dimensioni inimmaginabili», un brivido corse per il mondo, facendo rivivere l´orrore e la paura dell´11 settembre 2001.
Obiettivo dei terroristi, dissero quella mattina le autorità britanniche, era salire su dieci aerei in partenza dalla Gran Bretagna per gli Stati Uniti, facendoli esplodere in volo, con una sostanza liquida non riscontrabile ai controlli del metal detector, forse mentre sorvolavano città americane. Da allora sono trascorsi una ventina di giorni e l´inchiesta non ha rivelato molto di più: si sa che dodici degli arrestati sono stati effettivamente incriminati, altri otto vengono ancora interrogati, restando in carcere in base alle nuove leggi anti-terrorismo, e quattro sono stati rilasciati.
Il resto rimane coperto dal segreto istruttorio. A sollevare almeno un poco il velo di segretezza è arrivata ieri una lunga e accurata inchiesta del New York Times, che si può riassumere sostanzialmente così: la minaccia era seria, gli arresti vennero decisi dopo che alcuni dei presunti terroristi registrarono le rivendicazioni dell´attentato da rendere pubbliche dopo la loro morte suicida, ma apparentemente il complotto non aveva ancora raggiunto la fase finale e non è chiaro come e quando i complottatori lo avrebbero portato a termine. Qualcuno degli investigatori non è nemmeno sicuro se sarebbero riusciti a portarlo a termine, cioè se possedevano l´esperienza tecnica richiesta per fare detonare un esplosivo di quel tipo.
Queste ultime affermazioni trovano una conferma indiretta nel fatto che il livello d´allerta dichiarato nel Regno Unito, salito a «critico», cioè al massimo grado, il mattino del 10 agosto, è successivamente sceso di un paio di gradini, fino a «serio»; ed è forse confermato anche dalle indiscrezioni apparse sulla stampa britannica secondo cui il mese prossimo verranno ridotte le nuove norme sul bagaglio a mano che è consentito portare a bordo degli aerei in partenza e in arrivo dalla Gran Bretagna, norme che hanno provocato caos, ritardi e disagi su molti voli. Questo non significa che il pericolo non fosse (e non rimanga) serio; né che un´altra cellula terroristica non stia portando avanti nell´ombra un piano analogo, in Inghilterra o altrove.
Ma alcune affermazioni fatte nelle prime ore e nei primi giorni successivi all´arresto dei ventiquattro sospetti, scrive il New York Times, appaiono ora «esagerate», imprecise, fuorvianti. Non ci sarebbero prove, ad esempio, che i terroristi volevano far saltare «dieci» aerei, né che il loro attacco avrebbe causato un massacro «inimmaginabile, senza precedenti». La dinamica degli arresti e soprattutto il modo in cui furono annunciati diffuse l´impressione che i terroristi fossero stati fermati all´ultimo momento: poche ore dopo o al massimo il mattino seguente sarebbero saliti sugli aerei compiendo le loro stragi. Invece dall´inchiesta del New York Times risulta che non avevano ancora acquistato i biglietti e neppure deciso date o rotte dei voli. Ciò non toglie, naturalmente, che con minacce di questo tipo sia consigliabile reagire per eccesso, piuttosto che per difetto.
La polizia aveva sotto controllo video e audio l´appartamento in cui si incontravano i membri della cellula: quando il 9 agosto due di essi filmarono la «rivendicazione suicida», partì l´ordine di non aspettare oltre e arrestarli tutti immediatamente. «Voi ci bombardate e noi vi bombardiamo, voi ci uccidete e voi sarete uccisi», lesse uno dei kamikaze, ripreso dal video, «Allah sarà compiaciuto dalla nostra impresa». Poiché le leggi britanniche vietano la diffusione di materiale che può influire su un processo prima che questo avvenga, il New York Times avverte in una nota a fondo pagina di avere deciso di non distribuire ieri la sua edizione internazionale, l´Herald Tribune, nel Regno Unito, e di non fare apparire l´articolo in questione, ricco di dettagli e particolari sulle indagini, nemmeno sul proprio sito Internet e su quello del Tribune.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

Sabato  19  agosto  2006   Domenica  20  agosto  2006   Mercoledì  23  agosto  2006
   
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Iran potrebbe giocare carta petrolio se forzato sul nucleare

 

Domenica 6 Agosto 2006, 11:46 - Reuters

 


TEHERAN (Reuters) - L'Iran non vuole tagliare le esportazioni di petrolio nella disputa sulle sue attività nucleari, ma sarà costretto a farlo se sarà trattato male dalla comunità internazionale . Lo ha detto oggi un alto funzionario del Paese.
"Non vogliamo usare l'arma del petrolio, sarebbero loro a imporcelo. All'Iran dovrebbe essere permesso di difendere i propri diritti in maniera proporzionata alla loro posizione", ha detto il capo negoziatore sul nucleare Ali Larijani nel corso di una conferenza stampa. L'Iran è il quarto esportatore mondiale di petrolio.
Larijani ha aggiunto che qualsiasi Paese imponga sanzioni all'Iran per le sue attività nucleari avrà una risposta "dolorosa".
"Se lo fanno, reagiremo in un modo che sarà doloroso per loro", ha detto in conferenza stampa, rispondendo alla domanda su cosa accadrà se il Consiglio di sicurezza Onu approva delle sanzioni.
"Non possono pensare di poterci colpire e che noi resteremo fermi senza reagire", ha aggiunto.
 

Fonte REUTERS  - 06 Agosto 2006

 

 

Iran: Ahmadinejad, Proseguiremo Programma Nucleare

Sabato 26 Agosto 2006 - 14,06 - Adnkronos

Teheran, 26 ago . (Adnkronos) -Teheran sfida le Nazioni Unite. A cinque giorni dalla scadenza dell'ultimatum con cui il Consiglio di sicurezza e' tornato a chiedere la sospensione dei programmi per il trattamento di combustibili nucleari, in Iran viene ufficialmente inaugurato un impianto per la produzione dell'acqua pesante che verra' utilizzata nel ciclo di produzione di plutonio nel vicino reattore nucleare in via di costruzione. ''Non risparmieremo alcuno sforzo per continuare a perseguire tecnologia nucleare'', ha dichiarato il Presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ha presieduto l'inaugurazione dell'impianto di Khondab, vicino ad Arak. ''L'Iran proseguira' i suoi programmi nucleari con volonta', programmi pacifici che non rappresentano una minaccia contro nessun Paese, neanche contro il regime sionista''.

Fonte ADNkronos  - 26 Agosto 2006

 

 

Iran pronto a respingere richiesta sospensione uranio arricchito

 
            Martedì 22 Agosto 2006, 12,05 - Reuters

 

TEHERAN (Reuters) - L'Iran consegnerà oggi alle 14.30 (ora italiana) la sua risposta al pacchetto di incentivi offerto dalle potenze mondiali per risolvere la crisi nucleare . Lo ha detto oggi la televisione iraniana Al-Alam, precisando che la risposta - in cui probabilemnte la repubblica islamica continuerà a rifiutarsi di fermare i processi di arricchimento dell'uranio - verrà consegnata agli ambasciatori a Teheran dei Paesi che hanno elaborato l'offerta.
Secondo fonti diplomatiche occidentali, la mancata sospensione dell'attività di arricchiamento - che l'Iran sostiene essere utile solo alla produzione di energia elettrica, mentre la comunità internazionale vede come un modo per nascondere la produzione di testate nucleari - equivarrebbe a rifiutare l'intero pacchetto di incentivi offerti.
Nonostante ciò, un eventuale rifiuto ancora non innescherebbe una reazione immediata del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il quale il mese scorso ha approvato una risoluzione che dà tempo all'Iran fino al 31 agosto per sospendere l'arricchimento.
"Non consideriamo quella di oggi come una vera scadenza perchè non è quella fissata dal Consiglio di sicurezza", ha precisato un diplomatico occidentale. "Ma se l'Iran dovesse rifiutare di sospendere le attività di arricchimento, ci saranno presto altre consultazioni presso il Consiglio di Sicurezza".
La situazione è divenuta ancora più tesa quando diplomatici dell'agenzia per il controllo dell'energia atomica delle Nazioni Unite hanno dichiarato che ai suoi ispettori era stato negato l'accesso ad una parte sotterranea del complesso che l'Iran sta costruendo per produrre uranio arricchito su scala industriale.
Un diplomatico di alto livello ha affermato che questo potrebbe rappresentare una violazione del Trattato di antiproliferazione, che in teoria garantisce agli ispettori delle Nazioni Unite libero accesso a qualsiasi sito nucleare in costruzione.
L'Iran ha negato di aver ostacolato l'ingresso alla centrale di Natanz agli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica venuti per raccogliere informazioni in vista di un rapporto che dovrà essere presentato entro il 31 agosto al Consiglio di sicurezza.
A giungo, gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, la Cina, la Germania e la Russia hanno offerto all'Iran un pacchetto di incentivi economici e di altro genere nel tentativo di convincerlo a sospendere l'attività che la comunità internazionale sospetta possa servire alla costruzione di armi nucleari.
L'Iran, che ha fatto sapere di considerare la scadenza del 31 agosto come illegale e senza valore, si è impegnato a dare una risposta alla proposta entro la fine del mese iraniano di Mordad, che corrisponde al nostro 22 agosto.


Fonte REUTERS  - 22 Agosto 2006

 

 

 

 

 

 

   S&P choc: il barile salirà a 250$

8 Agosto 2006 Milano - di Luca Testoni
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Barile a 250 dollari; Stati Uniti, Europa e Giappone in recessione, con Pil in discesa di oltre il 5% l’anno. Lo scenario choc, senza precedenti anche nelle analisi più ardite delle banche d’affari, porta la firma autorevole di Standard & Poor’s.

L’agenzia americana ha diffuso un report che studia quattro possibili evoluzioni dell’attuale conflitto in Medio Oriente. Compreso, appunto, quello di un petrolio a quota 250 dollari, con conseguenze economiche devastanti, tanto da riaprire la porta «allo spettro di una recessione mondiale analoga a quella del 1980-82». S&P ritiene questo scenario «improbabile», ma precisa che «anche la peggiore combinazione di eventi in Medio Oriente è da considerare possibile». Nel caso di un allargamento a Teheran del conflitto, infatti, la reazione più dura porterà alla completa chiusura dello stretto di Hormuz, un collo di bottiglia di 21 miglia (di cui appena due navigabili dalle petroliere) tra Oman e Iran, da cui transita gran parte del petrolio arabo (che a sua volta vale ancora il 31% della produzione mondiale).
Nel caso, invece, Teheran decidesse di chiudere soltanto i propri rubinetti (2,7 milioni di barili al giorno, il 3% dell’output mondiale) i prezzi balzerebbero a 100 dollari, per tornare attorno ai 60-70 dollari solo alla fine del prossimo anno. L’aspetto bellico, peraltro, non è il solo fattore che mette in fibrillazione i mercati.
«Nell’ambito dei progetti di perforazione in tutto il mondo - spiega Charles Whall, di Newton (gruppo Mellon) - sono evidenti i ritardi causati da carenze di ogni tipo, dalla tecnologia alla mancanza di operatori esperti. Mentre gli enormi giacimenti, su cui finora abbiamo fatto affidamento, stanno entrando nella fase di declino terminale. Come le riserve di Cantarelli, in Messico, il più grande giacimento fuori dall’Arabia Saudita». Pozzi nel giardino di casa degli Usa, che quest’anno produrranno l’8% in meno.

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 

 

 

 

  Giovedì  24  agosto  2006   Sabato  26  agosto  2006   Lunedì  28  agosto  2006  
       
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   Il nuovo corso del credito nell'era Draghi

25 Agosto 2006 Milano - di Orazio Carabini
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La benedizione del presidente del Consiglio Romano Prodi, quella del ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa,il via libera del presidente della Cariplo Giuseppe Guzzetti sono tutti segnali importanti cui va aggiunto il tacito consenso del governatore Mario Draghi che fin dalla sua prima uscita pubblica ha sollecitato i banchieri a promuovere nuove aggregazioni.
L'avvio del progetto è anche il frutto più importante dell'alleanza tra il presidente di Intesa Giovanni Bazoli e quello di SanpaoloImi Enrico Salza,culminata nella scelta di Corrado Faissola per la presidenza dell'Abi a costo di provocare una spaccatura senza precedenti nel mondo bancario.
Bazoli e Salza avevano già accolto la sollecitazione di Draghi a crescere, ma senza successo. Le avances verso Capitalia e Mps erano state respinte dai destinatari, peraltro senza argomentazioni convincenti. Le ambizioni personali e il campanilismo che, secondo Draghi,non avrebbero dovuto frenare il processo incompiuto di consolidamento del settore bancario,finora hanno invece prevalso.
Adesso si apre una fase nuova. Rispetto ai tentativi precedenti anche il " metodo" sembra più appropriato, con un maggiore coinvolgimento degli azionisti e un lavoro preparatorio più approfondito. Questo però non significa che tutti i problemi siano risolti. Il primo riguarda l'assetto azionario. Dopo la fusione i soci "forti" della nuova banca sarebbero sostanzialmente quattro, di cui due italiani e due stranieri. Il primo è l'insieme delle fondazioni (con il 22% circa) che,una volta raggiunto l'accordo sulla governance, le sedi e la strategia,si dovrebbero muovere all'unisono. Al loro fianco, per motivi di "vicinanza" e a tutela dell'"italianità", ci sarebbero le Generali (con il 4,5%).
Quanto ai due soci esteri, i loro obiettivi potrebbero essere diversi. Il Credit Agricole, che con il suo 18% è in grado di condizionare qualsiasi decisione del patto di sindacato di Banca Intesa e che avrebbe l'8% dopo la fusione, ha sempre affermato di essere favorevole a operazioni di crescita a patto di non dover diluire la sua quota. Può darsi che questa condizione venga meno nelle trattative per la governance della nuova banca e che l'Agricole accetti ua quota più bassa pur di rimanere in una posizione di forza,simile a quella che ha in Intesa, anche nella nuova banca.

Molto però dipenderà dalle scelte del Banco Santander. Gli spagnoli da tempo a Torino si trovano in mezzo a un guado. Hanno capito di essere indesiderati ( soprattutto con la tentata fusione Sanpaolo ImiDexia), ma non vogliono rinunciare all'opportunità di acquisire l'intero SanpaoloImi partendo dalla robusta quota che è già nelle loro mani. E magari riuscire là dove hanno fallito i rivali del Banco Bilbao Vizcaya, che si sono fatti sfilare la Bnl sotto al naso dai francesi di Bnp Paribas. Il progetto di fusione con Intesa non sarà accolto bene dal Santander, che potrebbe anche decidere di cedere le sue azioni. Oppure potrebbe puntare sull'insuccesso dell'operazione e rimanere alla finestra per vedere come va a finire. Pronto magari a giocare le sue carte se e quando Intesa e Sanpaolo Imi stabilissero che la fusione non conviene.
Ma i rapporti tra gli azionisti non sono l'unico ostacolo da superare. Per restare alla governance sarà interessante vedere come e dove saranno sistemate le numerose "prime donne" presenti nei due gruppi. A cominciare dai due presidenti, per i quali si profila un interessante compromesso grazie al nuovo dirito societario che consente l'istituzione di un consiglio di sorveglianza al fianco del consiglio di amministrazione.
Tra i vari top manager la guida operativa spetterà a Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa, mentre Alfonso Iozzo, che tanto ha contribuito al progetto, ha preferito fare un passo indietro, anche se assumerà importanti incarichi. Più complessa si presenta la situazione di Pietro Modiano, direttore generale dell'istituto torinese. Molti osservatori sono però pronti a scommettere che potrebbe assumere lo stesso ruolo nella nuova banca.L'unico che dovrebbe dormire sonni tranquilli è Mario Greco: la sua Eurizon, società di prossima quotazione mirata al wealth management, non dovrebbe correre rischi.
Infine c'è l'aspetto forse più delicato che riguarda il futuro del personale. BancaIntesa e SanpaoloImi sono due banche abbastanza efficienti che hanno compiuto importanti ristrutturazioni anche grazie alle precedenti fusioni. Perché l'aggregazione dei due colossi abbia un senso è necessario procedere alle dovute razionalizzazioni che comportano inevitabilmente, ancora una volta, riduzioni del personale. La fredda reazione delle forze sindacali all'annuncio di ieri è la conferma che il problema esiste e che potrebbe portare a tensioni anche politiche. Ma,con il consenso del sindacato e nei tempi dovuti, l'impresa non è impossibile.

Fonte - Il Sole 24Ore

 

 

 

 

 

SANT' INTESA?

26 Agosto 2006 20:56 Milano - di Il Foglio
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L’obiettivo economico della fusione fra Intesa e Sanpaolo-Imi è quello di evitare la scalata dei due complessi da parte di banche estere, dato che la capitalizzazione di Borsa di circa 62 miliardi di euro, doppia rispetto a quella di ciascuno dei due istituti, la renderebbe molto costosa. Non a caso l’operazione ha luogo sotto la gestione della Banca d’Italia di Mario Draghi, che non intende difendere l’italianità del nostro sistema bancario con strumenti impropri.

E’ una soluzione obbligata, dato il rifiuto di Capitalia di essere assorbita da Intesa e di Monte dei Paschi di essere incorporata in Sanpaolo. Ed è, sotto questo profilo, una soluzione migliore, perché le operazioni alternative, non gradite alle due banche, che avrebbero dovuto fare da preda, avrebbero dato luogo a gruppi da 45 miliardi di euro, ancora scalabili da grandi banche internazionali.
Non ci sono però apprezzabili sinergie fra i due istituti, fra di loro molto simili. Perché sono due grandi banche di tipo tradizionale senza particolari presenze internazionali. Il nuovo complesso in Borsa è di poco inferiore a Unicredito, che vale 66 miliardi, ma non è paragonabile all’istituto guidato da Alessandro Profumo, che è oramai una multinazionale bancaria europea con una presenza diffusa nei paesi di lingua tedesca e dell’Europa orientale.

La Borsa ha reagito favorevolmente alla fusione, nonostante le scarse sinergie, perché la grande dimensione del nuovo gruppo, un quarto del mercato nazionale, può dargli dei vantaggi con la clientela. Segno che in Italia quello bancario non è ancora percepito come un mercato di concorrenza. Inoltre gli azionisti di Intesa sono contenti perché la loro banca, nel nuovo complesso, ha una posizione dominante tramite il duo Bazoli-Passera.
Gli azionisti di Sanpaolo sembrano contenti perché l’area lombardo-veneta di Intesa è più ghiotta di quella piemontese-meridionale di Sanpaolo. A Romano Prodi la fusione piace perché ci vede una crescita di potere economico dei suoi amici insediati al vertice dei due gruppi, tramite le fondazioni bancarie, che hanno un potere anomalo che sottrae il nuovo istituto alla pressione del mercato.
 

Fonte - Il Foglio

 
 

 

 

 

 

  Venerdì  25  agosto  2006   Venerdì  25  agosto  2006   Sabato  26  agosto  2006  
       
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   Merchant doppia, Nagel è avvisato

25 Agosto 2006 Milano - di Finanza&Mercati  
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Dietro il coro di consensi, vi è anche chi ieri non aveva ragioni per brindare al matrimonio annunciato tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi. Tra questi potrebbe esserci il vertice di Mediobanca. Piazzetta Cuccia non sembra aver molto da guadagnare dalla nascita di un colosso bancario che vanterà una notevole potenza di fuoco nell’asset management e nel corporate e investment banking.
Anzi, proprio la nuova casa d’affari che sorgerà dalla fusione tra la storica struttura dell’Imi (molto forte sul reddito fisso) e la nuova divisione Corporate di Banca Intesa guidata da Gaetano Miccichè (che ha preso il volo nell’ultimo anno) potrebbe rappresentare un vero e proprio campione nazionale dell’investment banking. Certo - come spesso avviene in questi casi - integrare le due strutture richiederà tempo e sacrifici. E tuttavia Mediobanca si troverà un concorrente agguerrito che potrà giocare a tutto campo dal segmento azionario a quello obbligazionario, passando per gli strumenti derivati. La Banca Imi guidata da Pietro Modiano - per inciso - ha chiuso il 2005 con un utile record, che ha raggiunto 190 milioni, più del doppio rispetto agli 83 milioni dell’anno precedente.

Concorrenza e numeri che, in realtà, finora non hanno dato più di tante preoccupazioni allo staff del direttore generale di Mediobanca, Alberto Nagel. Preoccupazioni che invece sarebbero potute venire dalle ipotesi circolate ieri sul mercato di una possibile risposta alle nozze Sanpaolo-Intesa da parte di Unicredit e Capitalia. Le due banche possiedono insieme circa il 18% di Piazzetta Cuccia e hanno rispettivamente al loro interno le merchant bank Ubm e Mcc.
Le ipotesi azzardate sul mercato in piena frenesia da risiko poggiavano sulla recente alleanza tra l’istituto di Alessandro Profumo e quello di Matteo Arpe in sede Abi per esprimere perplessità sulla nomina di Corrado Faissola (emersa anche quella dall’asse Bazoli-Salza). Ma è bastato poco per sfrondare quelle voci: nessun riscontro è infatti venuto sull’ipotesi Uni-Capitalia. Anzi, la mossa sulla strada Torino-Milano avrebbe di fatto aperto altre strade nel risiko bancario, alcune delle quali non inedite ma rimaste congelate all’epoca delle scalate a Bpi e Antonveneta.

Una in particolare sembra riprendere fiato, quella che potrebbe portare all’unione fra Capitalia e Monte dei Paschi di Siena. Anche in questo caso sono mancati ieri riscontri ufficiali, ma gli analisti giudicano il clima che si creerà con le nozze Sanpaolo-Intesa un’occasione d’oro per rasserenare le tensioni registrate con il gruppo presieduto da Cesare Geronzi e guidato da Matteo Arpe. Senza più il fiato sul collo (che portò Arpe, con Geronzi temporaneamente sospeso dagli incarichi, ad accumulare il 2% di Intesa per bloccarne l’assalto) il management capitolino potrà concentrarsi su operazioni che rispondano solo a quei profili industriali richiamati spessi dallo stesso Arpe.
E tra queste, l’opzione più plausibile è proprio quella Mps. Un’ipotesi già circolata in passato, ma poi passata in secondo piano anche per questioni legate agli equilibri politici senesi. Stando ad alcuni osservatori, si tratterebbe di un’alleanza con diversi punti di forza. Primo fra tutti l’importante e complementare presenza nel Sud Italia, con Capitalia in Sicilia (in virtù degli sportelli ereditati dall’ex-Banco di Roma) e con Mps in Puglia con la vecchia Banca 121.
Si tratta, ovviamente, soltanto di un’ipotesi che per tradursi in atti concreti potrebbe richiedere diversi mesi. Almeno fino al 2007: cioè il tempo necessario per convincere i vertici del Monte a battere la strada delle aggregazione dopo il fallimento delle prove di matrimonio con Sanpaolo Imi e Intesa. Capitalia, nel frattempo, quando il merger Intesa-Sanpaolo andrà in porto potrà liberarsi di quel pacchetto difensivo del 2,01% di Intesa acquistato lo scorso marzo.

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati
 


 

 

   Mediobanca bacchetta i fondi

Miaeconomia.it - 01/08/2006

Mediobanca versus fondi secondo round. Il 12 luglio era già arrivato un bello schiaffo, con la prima parte della relazione dedicata ai fondi e alle sicav italiani dall’Ufficio Studi di Piazzetta Cuccia. Costi troppo alti, distruzione di valore negli ultimi dieci anni e fuga degli investitori, era questa la fotografia, impietosa, della situazione.
Oggi arriva il secondo manrovescio sugli scoraggiati gestori dei fondi di casa nostra, incapaci di battere l’indice di riferimento scelto da loro stessi, cioè il benchmark, l’asticella da superare se si vuole ottenere un rendimento positivo.
Non solo, perché c’è chi tra le righe, o meglio tra le colonne dello studio di Mediobanca, legge una velata accusa ai gestori. Poco fantasiosi e ancor meno coraggiosi. Per questo preferiscono di gran lunga acquistare titoli di Stato, dando minor peso ad azioni e alla Borsa in generale.
Poco male, diranno i più, visto che la prudenza molto spesso è una virtù apprezzata quando si tratta di gestire i soldi altrui.

Fatto sta che, secondo l'addendum pubblicato ieri, i fondi comuni italiani investono il 57% del portafoglio in titoli di Stato (in larga maggioranza, il 60%, si tratta di Titoli di Stato italiani).
Si snobba il tricolore invece quando si punta sull’azionario. Infatti, se è vero che solo il 29,9% è impiegato in azioni, queste sono per la gran parte straniere (le italiane sono il 21,6%). Da sottolineare come i gestori preferiscano di gran lunga quelle con diritto di voto anche se quelle con voto limitato hanno avuto negli ultimi dieci anni un rendimento pari al doppio delle ordinarie.

I fondi comuni aperti, rileva così Mediobanca, pesano sul flottante della Borsa Italiana per circa il 5% sulle azioni ordinarie e per l'1% circa su quelle senza voto.
In generale quindi gli emittenti italiani (Stato o società), hanno una quota poco inferiore alla metà del totale e, con gli altri emittenti dell'Unione Europea, raggiungono quasi l'80%.
I 4/5 del portafoglio dei fondi aperti è così investito in titoli denominati in euro, seguiti da quelli in dollari (10,7% che sale al 22,7% negli azionari) e yen (4,5%).

Ma le note dolenti sono più acute quando si va a fare il raffronto tra i valori delle quote e i benchmark indicati dagli stessi fondi. Il rendimento è stato inferiore di oltre un punto. Nella versione 'total return' (che comprende anche i dividendi distribuiti) secondo l'ufficio studi di Piazzetta Cuccia, lo scostamento sale a 1,4 punti, restando invariato a quanto riportato nel 2004. A pagare il dazio maggiore sono gli azionari (2,3 punti contro i 2,8 del 2004). Negli ultimi sei anni il differenziale negativo e' stato del 10,3% e per le azioni del 17%.
L’ultimo capitolo è dedicato ai costi di gestione. La ricerca esamina per la prima volta i dati sugli oneri di negoziazione grazie ai nuovi dettagli contenuti nei rendiconti che rimangono comunque parziali e limitati alle azioni.
Nel 2005 gli oneri sono ammontati a 383 milioni di euro e il 16,5% è stato pagato a intermediari che appartenevano allo stesso gruppo della Sgr che gestisce il fondo. Oltre la meta à degli oneri di negoziazione, rileva Mediobanca, corrisponde a servizi prestati da banche a imprese di investimento straniere e la quota delle banche italiane è del 18,8%.
Le prime tre società di gestione del risparmio (Sgr), che fanno capo a grandi gruppi creditizi, si servono però maggiormente di banche italiane (30,1%) anche se la quota dall'estero resta prevalente (36,3%). Per le Sgr minori la dipendenza dalle banche estere sale al 62,7% del totale.

Fonte - Miaeconomia.it
 

 

 

 

 

Fondi esteri alla conquista del risparmio italiano

Miaeconomia.it | 2006-08-22

I numeri parlano chiaro e non hanno bisogno di eccessive spiegazioni. Nel primo trimestre del 2006 la raccolta netta, cioè la differenza tra entrate e uscite del risparmio gestito, è stata positiva per circa 8 miliardi di euro. Ma questo risultato è frutto dei +12,39 miliardi positivi dei fondi esteri e dei più 8,57 miliardi degli esterovestiti, i cosiddetti roundtrip, cioè i fondi che fanno capo ad operatori italiani ma sono domiciliati all’estero.

Perché nello stesso periodo i fondi italiani hanno registrato un rosso di 12,90 miliardi. Ma non è tutto, anche l’ultima rilevazione di Assogestioni, l’associazione che rappresenta le società di gestione del risparmio, parla chiaro.

Nel mese di luglio i deflussi per i fondi italiani sono pari a poco più di 2 miliardi di euro e il loro patrimonio è di 373 miliardi di euro. Uscite anche per i fondi roundtrip negativi per 487 milioni, in crescita il patrimonio, superiore a 191 miliardi di euro. Mentre migliora la raccolta per i Fondi Esteri, con flussi superiori ai 740 milioni di euro ed il patrimonio che si attesta a quota 34 miliardi di euro.

Ma quali sono i motivi. Da un lato ci sono le spiegazioni più naturali. I fondi esteri ottengono migliori performance e in media costano di meno. Dall’altro c’è una tendenza sempre più crescente negli ultimi mesi: i gandi distributori dei prodotti del risparmio gestito non offrono più solo i prodotti di casa, ama anche quelli esterni, aprendo di conseguenza le porte fondi che non sono italiani.

Ultimo particolare. Secondo un recente studio di Mediobanca, inoltre, i fondi italiani farebbero anche il gioco delle grandi banche straniere. La continua compravendita di titoli cui sono soliti i nostri prodotti del risparmio gestito porterebbe più della metà dei soldi spesi dai fondi per la negoziazione dei titoli nella tasche delle banche straniere: agli istituti italiani finirebbero solo le briciole.
 
 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

Il momento nero dei fondi di diritto italiano

Miaeconomia.it | 2006-08-24

La raccolta netta dei fondi, cioè la differenza tra entrate e uscite, negli ultimi mesi ha parlato chiaro. C’è una netta tendenza degli investitori a puntare sui prodotti di diritto estero e sui roundtrip a discapito dei fondi di diritto italiano.

E va in questa direzione anche l’analisi di Morningstar, la società che monitora e valuta gli strumenti del risparmio gestito. La percentuale dei fondi di diritto italiano che hanno raggiunto le cinque stelle è davvero bassissima, inferiore al 2% del totale. Ancora più impietosa se si fa riferimento alla media europea che raggiunge invece il 10%.

Da ricordare che i rating assegnati da Morningstar sono elaborati su base europea utilizzando un indice che ingloba misurazioni di costi, rendimenti e rischio. La formula usata tiene conto dei rendimenti, al netto delle spese di gestione e di performance, corretti per la volatilità.

AUMENTANO I FONDI CON RATING Su un totale di 6.428 autorizzati alla vendita sono 4.703 i fondi venduti in Italia che hanno ricevuto una valutazione di Morningstar. Ben 43 i fondi debuttanti nella classifica.

Tra italiani ed esteri, comunque, i cinque stelle sono aumentati rispetto luglio: da 299 sono passati a 306 e rappresentano il 6,5% dell’offerta totale dei prodotti con Rating venduti in Italia. In leggera diminuzione i quattro stelle (871 contro gli 888 della rilevazione precedente), che rappresentano il 18,5% del totale dell’offerta domestica, rispetto a una media del 22,5% nel Vecchio continente.

CRESCE LA QUOTA DEI PRODOTTI A DUE STELLE Continua il calo dei fondi a una stella italiani ed esteri, che questo mese si attestano a quota 551 dai 559 di luglio, pari all’11,7% del totale dei prodotti con Rating venduti in Italia (10% la media in Europa). Restano superiori alla media europea i due stelle: in tutto 1.278, pari al 27% dell’offerta complessiva domestica.

 
 

Fonte - Miaeconomia.it