.gif) |
|
|
 |
|
.png) |
|
|
. |
|
|
Venerdì 17 agosto 2007 |
|
Sabato 18 agosto 2007 |
|
Domenica 19 agosto 2007 |
.gif) |
|
.gif) |
|
.gif) |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato
PDF |
MUTUI: BCE
E FED CONTRO CRISI; BUSH, ECONOMIA E' SOLIDA
09 Agosto 2007 - 22,50
New York - di
Antonio Fatiguso ______________________________________________
La Bce e la Federal Reserve
escono dall'amministrazione ordinaria e si muovono contro le
turbolenze dei mutui subprime e la crisi di liquidità con
un'iniezione di oltre 150 miliardi di dollari per ridare
ossigeno ai mercati finanziari in Europa e Stati Uniti. La
Banca centrale europea lancia in aggiunta un allarme: dopo gli
Usa anche il Vecchio Continente è a rischio. Il
presidente George W. Bush, a conferma della delicata fase, ha
sentito il dovere d'intervenire e di rassicurare sul fatto che
"c'é abbastanza liquidità per consentire una correzione" dei
mercati, oltre a ribadire che "l'economia americana ha
fondamentali solidi". La lunga giornata di scossoni delle
piazze finanziarie ha inizio questa volta dall'Europa. I
listini di Borsa del Vecchio Continente sono andati sotto
pressione dopo che Bnp Paribas ha annunciato la sospensione
dei riscatti di tre hedge fund: al 27 luglio i fondi
possedevano asset per 2 miliardi di euro di cui un terzo
costituito da esposizioni subprime. Le turbolenze dei mutui
Usa ad altro rischio, dopo aver piegato la tedesca Ikb, hanno
causato una perdita da inizio anno di 189 milioni di dollari
per la banca olandese Nibc. La Banca centrale europea ha
deciso allora di muoversi e di annunciare un finanziamento
fine tuning, per far fronte alla improvvisa salita dei tassi
di mercato. L'operazione, del valore di 94,841 miliardi di
euro, ha soddisfatto integralmente la domanda di 49 istituti
di credito di Eurolandia ed è la più grande mai fatta finora
dalla Bce in una singola manovra. E' sufficiente ricordare che
dopo l'attacco terroristico alle Torri gemelle dell'11
settembre 2001, in due operazioni, il 12 e 13 settembre, la
Banca centrale europea fornì liquidità per 69 e 40 miliardi,
per complessivi 109 miliardi di euro. La Federal Reserve,
da parte sua, ha effettuato una doppia operazione di
rifinanziamento pronti contro termine della durata di 14
giorni, con un'iniezione di liquidità da due trance, disposte
a breve distanza l'una dall'altra e di 12 miliardi di dollari
ciascuna. Il provvedimento, anche in questo caso, si è reso
indispensabile quando il tasso di mercato overnight ha aperto
al 5,5%, 25 punti base in più dei Fed Funds. Di prima
mattina la Bce nel suo bollettino mensile aveva lanciato
l'allarme sull'estensione possibile della crisi all'Europa
perché "il mercato mondiale dei prestiti a elevata leva
finanziaria, ivi compreso un ampio segmento europeo, mostra
alcune analogie con il mercato statunitense dei mutui
ipotecari di qualità non primaria che potrebbero dar adito a
timori per la stabilità finanziaria nel caso di una svolta
avversa nel ciclo del credito". La mossa delle due banche
centrali riesce a contenere le perdite dei listini in Europa
intorno al 2%, mentre Wall Street sprofonda nel finale con
perdite a ridosso del 3%. La vigilanza resta alta, come spiega
il Dipartimento del Tesoro Usa guidato dall'ex capo di Goldman
Sachs, Henry Paulson, perchà la volatilità è "destinata a
durare a lungo", rileva Norbert Walter, capo economista di
Deutsche Bank. Il problema di fondo, infatti, è che i
bilanci di società finanziarie e bancarie sono imbottiti di
mutui subprime, acquistati (soprattutto nelle forme
cartolarizzate) per la forte remunerazione assicurata. Almeno
fino a quando lo schema non si é rotto, come nel caso di Bear
Stearns. Goldman Sachs, pur avendo sempre escluso il
contagio dai subprime, ha avviato l'alleggerimento delle
posizioni più rischiose di un secondo hedge fund, North
American Equity Opportunities (in aggiunta a quanto fatto con
Global Alpha), che aveva nel 2006 asset in gestione per 767
milioni di dollari e che perde il 15% da inizio anno, l'11%
solo a luglio. Le turbolenze sui mercati fanno aumentare le
probabilità che la Federal Reserve possa ridurre i tassi
d'interesse già a settembre: i future sui Fed Funds hanno
prezzato all'82% il taglio nel prossimo mese, a fronte del 25%
di ieri. Sui mercati, alla ricerca di un'iniezione di fiducia
(e di capitali), si è addirittura diffusa la voce che la Fed
possa allentare la presa in un meeting del Board monetario
(Fomc) da tenere tra i due appuntamenti in calendario del 18
settembre e del 30-31 ottobre, per rafforzare la liquidità sui
mercati del credito.
 |
Fonte -
ANSA |
|
At THE END OF THE
DAy
10 Agosto 2007 New York
- di
Macromonitor _____________________________________
Anche oggi, le banche
centrali di Stati Uniti, Europa, Giappone, Canada ed Australia
hanno iniettato liquidità nel sistema per scongiurare il
rischio di un credit crunch. La giornata si è aperta in
Asia-Pacifico, con la Bank of Japan a prestare fondi extra per
l’equivalente di 8,5 miliardi di dollari, la Reserve Bank of
Australia ha fornito 4,2 miliardi di dollari, nuovo massimo da
tre anni. In Europa, la Bce ha reiterato l’intervento di ieri,
su scala ridotta di 61,05 miliardi di euro, a fronte tuttavia
di richieste del sistema bancario pari a 110 miliardi di euro.
L’immissione di liquidità ha contribuito a frenare l’ascesa
del tasso overnight al 4,27 per cento, contro il picco di 4,31
per cento di ieri prima che venissero aperte le chiuse della
liquidità, ma ha messo di cattivo umore i mercati azionari,
che si attendevano ben altro, nell’abituale alternanza di
salvataggi che generano moral hazard che generano altri
salvataggi, una sequenza su cui i policy makers dovranno
fermarsi a riflettere, prima o poi.
All’apertura delle
operazioni oltreoceano, la Fed si è accodata alla fornitura di
liquidità, costretta dal fatto che il tasso sui Fed Funds
aveva toccato l’inquietante livello del 6 per cento, contro il
livello ufficiale di 5,25 per cento, ma ha fatto di più: nel
primo intervento, effettuato per un importo di 19 miliardi di
dollari (su 38 totali, in tre riprese) dalla branch di New
York, l’istituto di emissione statunitense ha acquistato (più
propriamente, ha accettato come collaterale dell’operazione di
pronti contro termine a tre giorni) dalle controparti
obbligazioni mortgage-backed, proprio la tipologia di titoli
sui quali la liquidità era evaporata, e che
rischiavano/rischiano di impiombare gli stati patrimoniali dei
prestatori, causando prima o poi qualche vittima
illustre.
Che accadrà da lunedì prossimo? Dopo la
stabilizzazione da prese di profitto (da weekend) di quanti
erano corti, viste oggi a Wall Street, forse la situazione
finirà progressivamente con il normalizzarsi, ed entro pochi
giorni qualche “esperto” ci segnalerà che il settore bancario
e finanziario, nei due lati dell’Oceano Atlantico, è diventato
una grande occasione, e pazienza se tra poche settimane gli
aggregati monetari ci segnaleranno che abbiamo nuovamente
aumentato il rischio inflazionistico: i bonus di Wall Street
saranno salvi. Forse il processo di aggiustamento sarà più
lento e doloroso, ma la lezione che le banche centrali
dovrebbero auspicabilmente trarre è che i salvataggi
andrebbero calibrati discernendo tra singoli operatori e
sistema, cioè in base alla gravità del contagio. Non sapremo
mai (forse) se la Banca Centrale Europea ieri è intervenuta
perché sapeva qualcosa che il mercato ignorava; è bastato
quell’intervento per convincere il mercato che qualcosa di
orribile stava per accadere.
Errori segnaletici (cioè
reputazionali) a parte, le banche centrali non dovrebbero
essere usate come psicofarmaci: a lungo andare creano
dipendenza, ed altre spiacevoli manifestazioni, come quella
qui sotto, che coglie chi vorrebbe che Bernanke diventasse
realmente Helicopter Ben, e lanciasse denaro dal cielo, per
permettere agli investitori di continuare a vivere felici e
contenti.
|
BORSA: FED RASSICURA
CON 38 MLD
11 Agosto 2007 New York
- di
ANSA _______________________________Wall
Street tiene le posizioni ed evita il tracollo che ha colpito
le Borse di Asia e Europa, risollevandosi dalle pesanti
perdite incoraggiata dall'iniezione di liquidità per 38
miliardi di dollari della Federal Reserve. Il Dow Jones,
che cedeva l'1,61%, termina in calo di appena lo 0,23% (a
13.329,54 punti), il Nasdaq si ferma a -0,45% (da un minimo di
-2,09%), mentre lo Standard & Poor's 500 sale dello 0,04%,
a 1.453,64 punti, con un vero balzo da quota -1,61%. La
Fed aiuta i mercati con un'operazione, sviluppata in tre
tranche, di pronti contro termine per complessi 38 miliardi,
mettendo a segno la manovra più corposa in un solo giorno dopo
i 75,3 miliardi e gli 81,25 miliardi erogati l'11 e il 14
Settembre del 2001, in scia al panico degli attentati alle
Torri Gemelle. La banca centrale Usa spiega in una nota che
"continuerà a vigilare sui mercati assicurando la liquidità
per l'ordinato funzionamento dei mercati". "La Fed prova a
muoversi nella giusta direzione", commenta Lewis Alexander,
capo economista di Citigroup, secondo cui da un lato "non
vuole restare in attesa aspettando di vedere cosa succede e,
dall'altro, non vuole contribuire alla volatilità dei
mercati". L'iniziativa della Fed "ha avuto un immediato
impatto di ritorno alla calma", aggiunge da parte sua Lou
Crandall, capo economista di Wrightson Associate. "Il mercato
- rileva - aspettava segnali sul fatto che la banca centrale
riconosce il problema e che vorrebbe essere di supporto". In
aggiunta, l'Fmi valuta "gestibili" le "conseguenze sistemiche
di un riassestamento del rischio del credito". Eppure la
partenza non è stata delle migliori dopo che sono emersi altri
segnali d'allarme. Countrywide Financial, il più importante
operatore Usa nel comparto del credito immobiliare, ha ammesso
di trovarsi in grandi difficoltà per la crisi legata ai
subprime. In una nota inoltrata alla Sec, la società ha
precisato di aver registrato "perdite senza precedenti" a
valere sull'esposizione su questi strumenti, con la
conseguenza che ne risentiranno gli utili. Countrywide ha
toccato una perdita superiore al 12% e termina a 27,86 dollari
(-2,79%). Washington Mutual, la compagnia finanziaria con
una solida specializzazione in prestiti, ha reso noto che la
liquidità "é diminuita in modo significativo": i titoli
chiudono a 35,95 dollari (-2,2%). La Sec, la Consob Usa, ha
deciso di passare al setaccio i report finanziari delle
maggiori banche d'affari Usa, allo scopo di far luce
sull'effettiva esposizione sul segmento subprime, che negli
ultimi anni hanno contribuito alla chiusura di bilanci record.
Nel mirino sono finiti, tra gli altri, Goldman Sachs (-0,96% a
180,50 dollari) e Merrill Lynch (-0,75% a 74,12 dollari). Male
Bear Stearns (-3,38% a 110,20 dollari).
|
LA CHIAMAVANO LIQUIDITA'
16 Agosto 2007 New York
- di
Macromonitor ______________________________________________
Quando, il 14 agosto, i
giornalisti di CNBC hanno annunciato la breaking news del
blocco dei rimborsi alla clientela da parte del fondo
“monetario” (money market) Sentinel, siamo stati colti da un
sottile brivido. Ma come, anche i fondi monetari bloccano i
rimborsi? Quei fondi che investono in titoli a breve e
brevissimo termine, in titoli che si suppone siano molto
liquidi e privi di rischio? Certo, molti fondi monetari oggi
investono anche in obbligazioni societarie a breve termine, e
non solo in titoli di stato, ma la notizia restava raggelante.
Poi, leggendo meglio il comunicato di Sentinel, siamo stati
colti dai dubbi. In primo luogo, la società di gestione
informava di aver richiesto alla Commodity Futures Trading
Commission l’autorizzazione a sospendere i rimborsi “fino a
quando potremo onorarli in modo ordinato”, così come era
scritto in una lettera ai clienti pubblicata sul sito di
Sentinel il 13 agosto. Un fondo monetario non chiede
autorizzazioni all’autorità che vigila sulle transazioni in
futures. Immediata la reazione dei legali dei clienti, che
hanno parlato di violazione dei termini contrattuali, perché i
clienti potrebbero aver bisogno di liquidare immediatamente il
fondo Sentinel per far fronte a richieste di margini da parte
della cassa di compensazione sui futures. Notate la ricorrente
associazione tra Sentinel e futures, tra poco scopriremo il
motivo. Nel frattempo, la CFTC dichiarava di non avere alcun
potere per autorizzare Sentinel a bloccare i rimborsi. Sul
sito web della società di gestione si apprende che Sentinel
investe per clienti quali fondi di managed-futures, privati
facoltosi e fondi hedge che vogliono poter ritirare
rapidamente la propria liquidità in caso di necessità. Si
tratta quindi di un fondo specializzato “di servizio”,
dedicato soprattutto a chi opera sui futures. La cosa più
interessante è che il fondo Prime Portfolio di Sentinel aveva,
al 30 giugno, l’82 per cento del proprio attivo investito in
titoli a tasso variabile. E fin qui, il profilo sembra
corrispondere a quello di un fondo di liquidità. In realtà, la
società informa che la scadenza media ponderata del
portafoglio titoli è pari a 33 anni, soprattutto in
obbligazioni societarie. Non esattamente un fondo di
liquidità, che dite?
La verità è che Sentinel ha
investito in titoli strutturati, come i CDO (collateralized
debt obligation) e probabilmente anche in titoli subordinati
perpetui, che hanno scadenza formale lunghissima, con
l’evidente scopo di ottenere una remunerazione ben maggiore
rispetto a quella del “vero” mercato monetario. Si chiama
rapporto rischio/rendimento, ma per molti, negli ultimi anni,
la parola rischio è scomparsa dai radar. Attendetevi simili
aberrazioni anche dalle nostre parti, è solo questione di
tempo. Ma non attendetevi spiegazioni dai super-gestori che
riescono a “far meglio di Bot e Cct”. Quelle non le avrete. Si
chiama azzardo morale, è il vecchio gioco del cerino, ma
questo al vostro sportello bancario non ve lo diranno. E non
solo per incompetenza del personale addetto alla
clientela.
 |
Fonte -
Macromonitor.com
|
|
Il nervosismo dei mercati e la calma
di Bernanke
02 Agosto 2007
Milano - di Giacomo Vaciago
________________________________________
Il 2007 promette di essere un anno
importante per capire quali siano le regole ottimali della politica
monetaria, nel contesto del grande sviluppo dei mercati finanziari
che sta caratterizzando l'economia globale. Le recenti sofferenze
delle Borse, a cominciare da quelle americane, dimostrano che i
rialzi dei tassi fin qui attuati rischiano di provocare una
recessione? È dunque imminente una riduzione del costo del denaro,
partendo da quello praticato dalla Fed, come sembrano scontare ora i
mercati? Per rispondere a queste due domande, molto
dibattute negli ultimi mesi, è opportuno considerare anzitutto i
risultati delle ricerche pubblicate negli anni '90 dall'allora
professore a Princeton, oggi chairman della Fed, Benjamin S.
Bernanke. In quei lavori scientifici che gli hanno dato meritata
fama Bernanke affrontava
soprattutto due temi: quello della fragilità finanziaria e in
connessione ad essa la possibilità che avvengano crisi economiche
(anche gravi, come quella del '29); e quello dell'utilità o meno che
la politica monetaria risponda a variazioni dei prezzi delle
attività patrimoniali (azioni, immobili). Non si ricorda
altro caso di banchiere centrale che si trovi a fare politica
monetaria in condizioni così simili a quelle da lui stesso a lungo
studiate. Ciò che
importa sottolineare è che, finora, le difficoltà che sono emerse
negli Stati Uniti durante l'ultimo anno non hanno smentito le
previsioni del Bernanke accademico. La fragilità del sistema
finanziario è confermata ed è soprattutto dovuta alla mancata
percezione della rischiosità dei nuovi strumenti finanziari.
Come dimostra la vicenda dei prestiti immobiliari a clienti poco
affidabili (subprime): l'innovazione finanziaria è rivolta alla
riduzione e/o gestione del rischio, ma quando esagera poi il rischio
si vendica. Le conseguenze non sono gravi (a parte gli effetti
redistributivi tra chi i soldi prima li ha fatti e chi oggi ce li
rimette), se non viene contagiata la struttura bancaria. Sono le
banche che quando falliscono provocano guai grossi. Ma fin qui
le gravi perdite relative ai mutui immobiliari non hanno messo in
forse la solidità delle banche a stelle e strisce. Non hanno fatto
deragliare l'economia e non hanno neppure intaccato l'ottimismo del
consumatore americano. Il quale sembra comportarsi proprio come
l'agente razionale dei corsi universitari, che compensa nel tempo
guadagni e perdite di capitale più o meno casuali, e continua ad
aumentare i suoi consumi in linea con il tasso di crescita di lungo
periodo della produttività. Troppo bello per esser vero?
Il secondo contributo
analitico del Bernanke studioso riguarda le variabili che
influenzano l'azione della Banca centrale: devono essere solo
l'inflazione attesa (da mantenere vicina al 2% annuo) e la piena
occupazione (misurata da una disoccupazione vicina al 4,5%)? Oppure
la politica monetaria dovrebbe anche reagire alle variazioni dei
prezzi delle azioni, evitando che si formino "bolle" da eccessivo
ottimismo e successive crisi anche gravi quando poi le bolle
scoppiano? Bernanke in vari lavori
scientifici dimostrò che bene fa la Banca centrale a ignorare la
Borsa, sia quando sale sia quando scende. O meglio, dovrebbe tener
conto dei prezzi delle azioni solo se danno informazioni utili a
misurare le aspettative inflazionistiche. Se i movimenti
della Borsa fossero interpretabili come corretta anticipazione di
ciò che succederà ai prezzi dei beni e all'economia in generale,
allora il banchiere centrale farebbe bene a tenerne conto. Mentre
Alan Greenspan, uomo che veniva dal mercato mobiliare, ha variato i
tassi, soprattutto all'ingiù, per rispondere agli andamenti dei
listini azionari, soprattutto delle brusche cadute. Da queste brevi note
emergono due aspetti di attualità che merita sottolineare. Primo, le
regole di politica monetaria adottate dal governatore Bernanke sono
molto più ortodosse di quelle del suo famoso predecessore, Alan
Greenspan, che non a caso era più gradito ai mercati finanziari, ai
quali riservava continui complimenti e attenzioni. Bernanke è invece
un accademico cresciuto alla scuola del premio Nobel Joseph
Stiglitz: i mercati finanziari sono macchine umane che
possono anche sbagliare, spesso lo fanno, e il banchiere centrale
nulla dovrebbe fare per ridurre le loro perdite quando le hanno
meritate. Secondo, una correzione delle
Borse anche più pronunciata di quella fin qui vista non farà ridurre
i tassi della Fed fintantoché lo scenario prevedibile rimarrà quello
finora osservato:
l'economia americana è in buone condizioni, resta in piena
occupazione e l'inflazione è un po' più alta di quella desiderata.
Non è Bernanke a essere un accademico rigido, è l'economia americana
che è molto flessibile.
 |
Fonte - Il Sole 24
Ore |
Martedì 21 agosto 2007 |
|
Mercoledì 22 agosto 2007 |
|
Giovedì 23 agosto 2007 |
.gif) |
|
.gif) |
|
.gif) |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato
PDF |
La
FED taglia il
tasso di sconto
17 Agosto 2007 14:38
NEW YORK (ANSA)
La Federal Reserve
taglia di 50 punti base, dal 6,25% al 5,75%, il tasso di
sconto, in quanto "le condizioni dei mercati si sono
deteriorate". La Fed annuncia che il Federal Open Market
Committee e' pronto a fare tutto quanto sara' necessario per
sostenere l'economia. Le considerazioni espresse sembrano
preludere ad un taglio dei Fed Funds, cioe' il tasso
overnight, per ora fermi al 5,25%. La banca centrale
statunitense oggi é intervenuta sul tasso di sconto allo scopo
- viene precisato nella nota - di attenuare il differenziale
fra questo stesso tasso ed i Fed Funds, che rappresentano
appunto il riferimento per i mercati. Il comunicato della
Federal Reserve aggiunge peraltro che la banca "sta seguendo
l'evolversi della situazione ed è pronta ad intervenire
adeguatamente per mitigare gli effetti avversi che saranno
arrecati all'economia dall'attuale fase di deterioramento dei
mercati finanziari". In pratica, si fa capire che la Fed si
prepara ad un taglio anche del tasso overnight, una decisione
su cui il mercato da qualche giorno del resto sta
scommettendo, al punto da aver ipotizzato anche un meeting
straordinario del FOMC ad agosto.
 |
Fonte - ANSA
|
|
La
crisi dei mutui
e le colpe di
Greenspan
22 Agosto 2007
Milano - di T. Boeri e L. Guiso
________________________________________
Difficile prevedere quanto durerà
la crisi in corso sui mercati finanziari di tutto il mondo. La
dinamica ricorda quella di crisi precedenti, a partire da quella del
1998 (default russo e collasso del fondo Ltcm) di cui molti hanno
oggi perso memoria. Un eccesso di liquidità (inteso come
abbondante disponibilità di prestiti a basso costo) si è di colpo
trasformato in difetto di liquidità, nel senso che molti operatori
faticano a vendere i titoli che hanno in portafoglio senza provocare
forti riduzioni del loro prezzo. Niente di direttamente
paragonabile, invece, alla crisi del 1929. Per fortuna Ben Bernanke,
il Presidente della Federal Reserve ha studiato a fondo quella
crisi: nella sua ricostruzione, la "Grande Depressione" fu scatenata
da un crollo della produzione e dei consumi amplificato dai tagli
drastici al credito alle imprese effettuati dalle banche in parte
perché la Fed non fece quello che avrebbe dovuto: agire da
prestatore di ultima istanza. Esattamente l´opposto di
quanto sta accadendo oggi, con una economia mondiale che continua a
crescere a tassi molto sostenuti e con le banche centrali che hanno
finora assolto al loro ruolo. Il vero fattore in comune con la
Grande Depressione è l´epicentro della crisi: gli Stati Uniti.
Tornando al presente, è
utile cercare di spiegare le cause scatenanti la crisi. Tre fattori
contribuiscono alle difficoltà dei mercati finanziari indotte dai
(temuti) defaults sui mutui subprime negli Stati Uniti: i) la bassa
alfabetizzazione finanziaria delle famiglie, ii) l´innovazione
finanziaria insita nella massiccia cartolarizzazione di attività
illiquide e iii) la politica dei bassi tassi di interesse seguita
dalla Fed dal 2001 al 2003. La terza causa è di gran lunga la più
importante. Senza il contributo di Greenspan la crisi probabilmente
non ci sarebbe mai stata. Il primo fattore è un insieme
di cattiva informazione, inesperienza finanziaria e miopia dei
consumatori/investitori che si sono lasciati attrarre dalla
prospettiva di ottenere mutui a tassi mai visti prima, estrapolando
ai trenta anni successivi i tassi prevalenti sulle prime rate.
Questa miopia è stata nutrita e sfruttata dalle banche e dalle
finanziarie specializzate in mutui per attrarre e catturare clienti.
Non diversamente da quanto hanno fatto in altre circostanze
suggerendo agli investitori impieghi finanziari inadatti alla loro
tolleranza del rischio: in entrambi i casi a farla da padrone è il
conflitto di interesse che antepone il conseguimento di profitti
immediati da parte dell´intermediario (commissioni e interessi nel
caso dei mutui; commissioni nel caso della vendita di strumenti di
investimento) alle necessità del cliente. L´alfabetizzazione finanziaria è
molto bassa in Italia, ma lo è molto anche negli Stati Uniti.
Solo due terzi degli americani conosce le leggi della
capitalizzazione composta, dunque sa calcolare i costi
dell´indebitamento. Meno di un cittadino statunitense su due sa
misurare gli effetti dell´inflazione sui costi dell´indebitamento.
L´analfabetismo finanziario è notevolmente più alto fra i
sottoscrittori dei subprime. Gli intermediari hanno ampiamente
approfittato di questa bassa cultura finanziaria. Il secondo ingrediente è
l´innovazione finanziaria degli ultimi 10 anni e la scala raggiunta
dalle cartolarizzazioni. Oggi è facile liquidare un pacchetto
di crediti per loro natura illiquidi – quale un insieme di prestiti
bancari o di mutui ipotecari – emettendo a fronte titoli
rappresentativi del pool che vengono poi collocati sui portafogli
degli investitori. Qualunque banca con sofferenze all´attivo ha
colto questa opportunità e ha cartolarizzato i propri crediti. Come
tutte le innovazioni finanziarie ha i suoi pro e i suoi contro.
Il vantaggio è quello di
rendere liquido un credito illiquido, consentendo importanti
guadagni di efficienza perché permette, ad esempio, di prendere
posizioni a più lungo termine e a più elevato rendimento. Serve
anche a spalmare il rischio di insolvenza su di una platea più
vasta, riducendo il grado di esposizione del singolo operatore. Ma
le cartolarizzazioni finiscono anche per allentare gli incentivi
degli intermediari a monitorare il comportamento del prenditore
iniziale di fondi. Inoltre, dato che è possibile liquidare con
maggior facilità un credito divenuto rischioso, si riduce
l´incentivo delle banche a selezionare con cura i clienti, aprendo
quindi le maglie anche a creditori di bassa qualità.
I due fattori precedenti non sono
nuovi. Anche per questo motivo, senza il terzo fattore, il lascito
del banchiere centrale del secolo, la crisi probabilmente non ci
sarebbe mai stata. La politica monetaria dei bassi tassi che Alan
Greenspan ha imposto come risposta alla recessione successiva all´11
settembre del 2001 e all´esplosione della bolla della new economy,
ha immesso una quantità enorme di liquidità nel sistema, portando i
tassi di interesse a breve all´1 per cento, il livello più basso da
50 anni a quella parte. Di più, Greenspan ha tenuto per almeno due
anni i tassi di interesse significativamente al di sotto del loro
livello di equilibrio. Tassi di interesse per lungo tempo
così bassi, spesso negativi in termini reali, sugli strumenti
tradizionali di investimento e eccesso di liquidità invogliano i
prestatori di fondi a prendere maggiori rischi per strappare
rendimenti decenti. È quello che è puntualmente accaduto:
intermediari in cerca di profitti hanno esteso credito a famiglie e
imprese con limitata solidità finanziaria.
Investitori più o meno esperti hanno
riallocato i loro portafogli verso attività più lucrative ma per
questo più rischiose per cercare di accrescere il loro capitale o
anche solo per preservarne il potere di acquisto. Bassi tassi sul
debito, a breve e a lunga scadenza, hanno richiamato frotte di
debitori, famiglie innanzitutto, che vedevano la possibilità di
acquistare quello che in tanti anni nel passato era stato fuori
dalla loro portata. Al contempo hanno spinto i prezzi delle
abitazioni verso l´alto, ulteriormente incoraggiando l´estensione di
credito, tanto, si pensava, vi è dietro il valore dell´immobile a
garanzia.
Grazie Alan! Si paga oggi il conto
della sovrareazione alla recessione del 2001. La Bce è stata
saggiamente più guardinga e si è lasciata solo parzialmente tentare
dalle spinte keynesiane a ridurre i tassi (già assurdamente bassi)
per aggredire la stagnazione europea. Molti vorrebbero che lo
facesse ora. Gli stessi che paventano oggi una nuova crisi del 1929
invocano politiche keynesiane del tipo di quelle seguite negli Stati
Uniti, in Gran Bretagna e in Germania dopo la Grande Depressione.
Bene invece non ripetere l´errore di Greenspan, evitare politiche
monetarie troppo accomodanti per troppo tempo. Oggi le banche centrali fanno bene
a immettere liquidità nel sistema, anche perché in queste crisi c´è
da aver paura della paura: aspettative irrazionali possono scatenare
spinte ribassiste che fanno avverare le profezie più pessimistiche.
Inoltre la crisi dei mercati colpisce tutti in modo indiscriminato,
anche chi non ha concesso mutui alla leggera. Il comunicato
della Fed di venerdì scorso non chiarisce però se è questo l´intento
del calo di mezzo punto del tasso di sconto o se è il preludio di
una nuova sovrareazione alla crisi dei mercati. Sarà dunque
importante dimostrare presto che si è imparata la lezione, evitando
di ripetere l´errore di Greenspan. Non gettiamo oggi, come fatto
tante volte in passato, i semi della crisi futura con una reazione
eccessiva alla crisi corrente.
 |
Fonte -
www.lavoce.info |
Credit crunch: Bernanke non
vide il pericolo
30 Agosto
2007 New York - di CRAIG TORRES ________________________________________
Inflazione e rallentamento della
produttività. Erano questi gli unici fantasmi per Ben Bernanke
ancora agli inizi di agosto, cioè alla vigilia del terremoto
creditizio che ha fatto tremare le borse mondiali. Lapesante sottovalutazione della
bufera emerge dai verbali della riunione del 7 agosto della
Fed. I documenti, infatti, mostrano che la Federal
Reserve, a 18 mesi dalla nomina di Bernanke alla presidenza
dell’istituto, era intenta a proteggere la propria credibilità di
baluardo contro l’inflazione. Solo una decina di giorni più tardi,
però, la banca centrale ha tagliato il tasso di sconto (il 17
agosto). E gli investitori ora pensano che i policy makers
abbasseranno di un quarto di un punto a quota 5% il benchmark rate
nel loro incontro del 18 settembre, se non prima. Secondo alcuni
economisti, a questo punto la preoccupazione per l’inflazione
potrebbe scoraggiarli dal decidere un taglio maggiore. O dissuaderli
dal segnalare una serie di tagli. Ma il taglio «sarà difficile da
evitare in settembre», dicono analisti comeBrian Sack,
vicepresidente Macroeconomic Advisers. È il 17 agosto, dunque, il giorno
simbolo della retromarcia della Fed. Bernanke ha del tutto
abbandonato il suo riferimento all’inflazione quando ha tagliato il
tasso di sconto e ha dichiarato che «i rischi di ribasso della
crescita sono aumentati in modo sensibile». Le registrazioni
della videoconferenza nel corso della quale i policy makers hanno
cambiato rotta, però, non saranno disponibili prima di ottobre.
Ancora all’inizio di agosto, la banca centrale vedeva lo
sconvolgimento nei mercati del credito come concentrato nei mutui
subprime, con «un piccolo net change nel costo del credito per le
attività investment-grade», come mostrano i verbali. Questa conclusione non rilevò i
crescenti segnali di stress in diversi mercati, sostengono gli
analisti. Eppure ai tempi del meeting del 7 agosto, il mercato
azionario aveva perso circa 1.300 miliardi di dollari di
capitalizzazione dopo che, in luglio, gli indici benchmark avevano
raggiunto livelli record. Il 24 luglio Countrywide Financial,
il numero uno americano nei prestiti per le case, aveva annunciato
il suo terzo trimestre consecutivo con profitti in calo e tagliato
le stime per l’intero bilancio 2007, dal momento che anche i
mutuatari di primordine faticavano a rimborsare i prestiti. Il
bilancio ha mostrato come le insolvenze si stessero allargando ai
prestiti meno rischiosi. «I verbali Fed indicano che hanno
sottostimato quanto il problema nel mercato del credito fosse
diventato profondo », ha commentato Scott Minerd, responsabile degli
investimenti della Guggenheim Partners di Santa Monica, California,
dove contribuisce a gestire 24 miliardi di dollari. «Prima della
riunione, il mercato stava chiaramente scollando ». Dal quel
momento, i policy makers hanno tentato di alleggerire la morsa con
una serie di strumenti. Anzitutto, hanno fatto la maggiore iniezione
di fondi sui mercati monetari dall’11 settembre 2001. Poi hanno
tagliato il tasso richiesto dalla Fed alle banche per i prestiti
diretti. Inoltre, Bernanke aveva autorizzato le banche a convogliare
discount-window borrowings (finestre di credito speciali) alle
proprie sussidiarie per migliorare l’accesso dei clienti al
capitale.
Il finanziamento per i prestiti e i
valori mobiliari a rischio rimane ancora costoso o vincolato. I
tassi d’interesse sui mutui jumbo, o su quelli più alti di 417.000
dollari, sono lievitati a 106 punti base più del costo di mutui più
piccoli, contro i 39 punti base dell’inizio del mese. Un punto base
è 0,01 un punto percentuale. «Vista la situazione del mercato, credo
che sarebbe molto difficile» per la Fed tagliare il tasso-obiettivo
il prossimo mese, ha detto John Silvia, capo economista della
Wachovia di Charlotte, Carolina del Nord. «La Fed andrà avanti e in
settembre ridurrà di 25 punti base e quindi starà a vedere quello
che succederà dopo ». I rendimenti sulle note biennali del
Tesoro sono oltre un punto percentuale al di sotto del tasso di
riferimento della Fed che è del 5,25%, indicando che gli investitori
anticipano una serie di tagli. Resta comunque quello spettro
inflazione che aveva annebbiato Fed a inizio agosto. I verbali
mostrano che gli strateghi non erano ancora persuasi del fatto che i
prezzi avevano rallentato abbastanza da poter abbassare la guardia.
La Fed ha detto che parte della moderazione nei quattro mesi fino a
giugno era dovuta a categorie «volatili» come l’abbigliamento.Ele
stime sull’inflazione per il prossimo anno sono rimaste «immutate»
anche se i prezzi del petrolio sono crollati. LaFed ha sottolineato
che«i partecipanti sono rimasti preoccupati per i fattori che
potrebbero aumentare la pressione sull’inflazione», incluso un più
lento tasso di crescita della produttività. Gli economisti hanno
anche citato gli alti livelli di «utilizzo delle risorse»,
riferendosi al tasso di disoccupazione che rimane storicamente
basso. Secondo il
ministero del Lavoro, nel 2006 la produttività è cresciuta del 1%,
il più piccolo guadagno dal 1995. Nel tagliare le loro stime sulla
crescita economica del 2007 e del 2008, gli economisti della Fed
hanno tenuto conto del rallentamento della produttività. «Se hai una
crescita della produttività più lenta - c’è scritto nei verbali - i
mercati fermi la traducono in maggiore inflazione, ecco perché c’è
un’estrema attenzione all’inflazione», ha detto Robert
Eisenbeis, ex capo della ricerca alla Federal Reserve Bank of
Atlanta.Aggiungendo che un tagli dei tassi al meeting di settembre
non è un esito scontato. Ma faceva le sue analisi senza accorgersi
dei cicloni in arrivo. Che, peraltro, parevano tutt’altro che
invisibili.
 |
Fonte - Bloomberg -
Finanza&Mercati |
Liquidity daily
21 Agosto 2007 New York
- di
Macromonitor ______________________
il problema della
liquidità è che non c’è mai quando ti serve. Fra il generale
nervosismo, si moltiplicano le iniziative di alcuni dei
partecipanti al mercato per ridurre limitare i danni dovuti
all’improvviso inaridimento delle fonti di finanziamento a
breve termine, con le quali avevano effettuato investimenti a
lungo termine: la cosiddetta trasformazione delle scadenze,
tipica attività bancaria che ha già causato più di una crisi
finanziaria. Ieri, Thornburg Mortgage Inc. ha liquidato 20
miliardi di dollari del suo portafoglio di mutui, accettando
una perdita di circa 900 milioni, per poter ricominciare ad
erogarne di nuovi; la mossa giunge dopo la chiusura del
mercato secondario dei mutui e il rifiuto di estendere linee
di credito per finanziare il “magazzino” di mutui già in
essere. KKR Financial, la divisione del colosso di private
equity KKR attiva nei prestiti subprime, ha annunciato un
aumento di capitale di 230 milioni di USD, che potrebbe
raggiungere i 500 in caso di necessità. Gli acquirenti delle
nuove azioni sono un gruppo di sette investitori
istituzionali, fra i quali spiccano Farallon Capital
Management, Morgan Stanley and Sageview Capital. Oggi, la
Bank Of England ha annunciato che la linea di finanziamento di
“emergenza”tramite la quale presta denaro a tassi superiori a
quelli di mercato è stata impiegata per 300 milioni di
sterline. In realtà l’impiego di tale linea non è un evento
tanto eccezionale da non avvenire almeno una volta ogni paio
di mesi e per importi anche maggiori. HBOS Plc, prima banca
nel Regno Unito per volume di mutui concessi, ha dichiarato
che fornirà la liquidità necessaria in caso di problemi per
Grampian LLC, la”conduit“, ossia il veicolo societario che ha
emesso debito a breve per 35 miliardi di dollari a fronte di
mutui originati dalla casa madre. Ci si consola pensando che,
perlomeno, HBOS ha un motivo per avere una divisione che
possiede mutui e ha necessità di finanziarli, visto che si
tratta del proprio oggetto sociale.
|
SE QUARANTA VI SEMBRAN POCHI
22 Agosto 2007 New York
- di
Macromonitor ______________________
LA BCE ha appena
iniettato altri quaranta miliardi di euro di liquidità nel
sistema, dopo le aggiunte dei giorni scorsi. Questa volta,
tuttavia, il denaro verrà prestato a tre mesi e non ad una
settimana, fornendo una stampella di medio periodo al sistema
bancario. Contemporaneamente, la Banca Centrale ha suggerito
che sarebbe ancora dell’opinione di alzare comunque i tassi a
settembre. La mossa cerca di rinforzare un messaggio
preciso: siamo qui per evitare che la crisi di liquidità possa
portare a danni nel sistema dei pagamenti ed all’economia
reale, ma la politica monetaria non diventerà ostaggio delle
ubbie degli speculatori. Staremo a vedere se il segnale,
decisamente poco ortodosso, sarà ascoltato. Rimane, piccolo
piccolo, un interrogativo: perché la BCE si sta impegnando con
cifre circa 10 volte maggiori rispetto a quelle delle banche
centrali giapponesi? Il sistema bancario tedesco, che sta
uscendo con una reputazione per investimenti ai limiti
dell’idiozia, è davvero messo tanto male da non trovare
finanziatori al di fuori del Continente?
|
sUBPRME: DA BUSH UNA CIAMBELLA DI
SALVATAGGIO
31 Agosto 2007
Washington - di
WSI
Il presidente
americano abbandona il libero mercato e diventa
assistenzialista per calmare le borse: ha annunciato
interventi per risolvere la crisi con l'aiuto delle banche.
Sostegno finanziario a chi è indietro con in pagamenti di
almeno tre mesi.
______________________________________________
il problema della
liquidità è che non c’è mai quando ti serve. Fra il generale
nervosismo, si moltiplicano le iniziative di alcuni dei
partecipanti al mercato per ridurre limitare i danni dovuti
all’improvviso inaridimento delle fonti di finanziamento a
breve termine, con le quali avevano effettuato investimenti a
lungo termine: la cosiddetta trasformazione delle scadenze,
tipica attività bancaria che ha già causato più di una crisi
finanziaria.
Crescerà il ruolo del governo
centrale statunitense per risolvere la crisi dei mutui
subprime. George W. Bush annuncerà oggi alle 11.10 locali (le
17.10 in Italia), interventi normativi e iniziative che
andranno incontro alle esigenze dei proprietari di casa che
sono titolari di mutui subprime e che stanno affrontando costi
crescenti. L'obiettivo è quello di evitare ulteriori
insolvenze.
Il presidente degli Stati Uniti parlerà
nel Giardino delle Rose delle Casa Bianca e presenterà delle
riforme che dovrebbero permettere all'Ufficio federale degli
alloggi (la Federal Housing Administration) di avere una
maggiore flessibilità in modo da aiutare chi possiede un mutuo
subprime ed è indietro con in pagamenti di almeno tre mesi.
In particolare la Federal Housing Administration
dovrebbe cambiare il suo programma di ammortamento così da
permettere a circa 80 mila proprietari di casa di accedere a
ulteriori forme di credito.
All'interno del nuovo
pacchetto normativo, George W. Bush dovrebbe annunciare anche
un'iniziativa del governo che mira a identificare le persone
che sono a rischio di insolvenza. Secondo le fonti, il
presidente degli Stati Uniti intende lavorare in coordinamento
con gli operatori finanziari per sviluppare prodotti
finanziari più accessibili a questo segmento di popolazione.
Seppure l'obiettivo principale dichiarato non è quello
di incidere sull'evoluzione dei mercati finanziari ma aiutare
le persone in difficoltà, il momento scelto per l'annuncio
sembra essere condizionato dalla possibile reazione di Wall
Street.

Fonte
- La Repubblica
|
Possibile svolta
nella politica
monetaria ?
17 Agosto 2007
Milano - di Alberto Susic ________________________________________
Un vero e proprio salvataggio in
calcio d'angolo ha permesso alle Borse europee di evitare un nuovo
attacco dei ribassisti, che pure nel corso della mattinata hanno
cercato di colpire ancora, salvo poi essere improvvisamente
spiazzati dall'arrivo di una corposa ondata di acquisti. L'ultima
seduta della settimana si conclude così con il sorriso per i listini
del Vecchio Continente, che riescono ad azzerare quasi interamente
le perdite della vigilia. Intanto proseguono lungo la via dei
guadagni anche gli indici americani che, pur avendo ritracciato dai
massimi segnasti a seguito di una fiammata iniziale poco dopo
l'apertura, si muovono tutti in buon progresso. Il merito di
questo ritrovato buonumore è da ricondurre senza dubbio alla mossa a
sorpresa della Federal Reserve che a circa un'ora dall'apertura
delle Borse americane, ha annunciato il taglio di mezzo punto del
tasso ufficiale di sconto, che scende così dal 6,25% a 5,75%. Il
tasso di credito primario, ossia quello a cui la Banca centrale
americana presta denaro a brevissimo termine alle banche, riduce
così lo spread con i Fed Funds che invece restano fermi al 5,25%.
Una condizione che verrà mantenuta fino a data da destinarsi, o
meglio fino a quando sarà giudicato opportuno dal Board. I mercati hanno salutato con molto
favore questo annuncio, per molti versi inatteso, soprattutto dopo
che nelle ultime ore era stata esclusa la necessità di un meeting
straordinario, prima di quello già fissato per il prossimo 18
settembre. Il FOMC si è invece riunito ieri intorno alle 18,
per prendere la sua decisione sui tassi, in un intervento “extra”
che è il primo dai tempi dell'attentato terroristico dell'11
settembre del 2001. Una chiara dimostrazione questa di come i
banchieri centrali, guidati da Bernanke, abbiano percepito l'estrema
volatilità dei mercati finanziari, optando per un intervento più
significativo rispetto a quello dei giorni scorsi. Ricordiamo
infatti che da più di una settimana la Fed si è impegnata a
garantire la sufficiente liquidità al sistema monetario, attraverso
l'immissione di nuove risorse a breve, di cui l'ultima è stata
realizzata proprio oggi, con un pronti a termine a 3 giorni, del
valore di 6 miliardi di dollari. La riduzione di 50 basis points
per il tasso di credito primario è stata decisa per promuovere e
ristabilire condizioni ordinate nei mercati finanziari. Non a caso
il Board ha deliberato contestualmente a tale mossa di allungare il
periodo di finanziamento a 30 giorni, rinnovabile a richiesta del
sottoscrittore. In un breve comunicato, diffuso separatamente
rispetto a quello contenente l'annuncio sul taglio del tasso
ufficiale di sconto, la Federal Reserve ha spiegato che le
condizioni del mercato finanziario si sono deteriorate e la
situazione del credito, insieme all'aumentata incertezza, hanno il
potenziale per ridurre la crescita economica negli Stati Uniti.
Nonostante gli ultimi dati
macroeconomici abbiano confermato che la congiuntura ha continuato
ad espandersi ad un passo moderato, i membri del FOMC ritengono che
siano aumentati considerevolmente ora i rischi verso il basso per
l'espansione economica. La Fed ha inoltre fatto sapere che è
impegnata in un attento e scrupoloso controllo della situazione, che
verrà ancora monitorata, dichiarandosi pronta ad intervenire, al
fine di attenuare gli effetti che si potrebbero avere sui mercati
dalle turbolenze in atto. Un'indicazione quest'ultima che
lascia intendere un probabile intervento anche sui tassi overnight,
attualmente fermi al 5,25%. Un taglio si potrebbe avere in occasione
del meeting del 18 settembre, anche se per alcuni potrebbe essere
ancora troppo presto, visto che la Fed dovrebbe prima prendere
visioni dei dati macro di prossimo rilascio. Solo in tal modo si
potrà avere una visione più chiara dello scenario e si inizierà a
valutare meglio l'entità dei danni effettivamente subiti dal tessuto
economico. Intanto però sono state già formulate diverse ipotesi
in merito alle mosse future in materia di politica monetaria, tanto
che Goldman Sachs (NYSE: GS - notizie) scommette per un costo del
denaro del 4,5% entro la fine dell'anno. Già in occasione
dell'incontro di settembre, e non è escluso anche prima, la Banca
Centrale americana dovrebbe operare la prima riduzione dei tassi
nell'ordine di 25 basis points. Meno aggressiva invece la
posizione dei colleghi di Lehman Brothers (NYSE: LEH - notizie) ,
che parlano invece di un costo del denaro al 4,75% entro fine anno,
con due interventi che si dovrebbero materializzare nei prossimi due
meeting, in agenda rispettivamente a settembre e a ottobre. E'
importante notare che prima della decisione odierna, gli analisti
della banca d'affari non si attendevano alcuna variazione sui tassi
per il 2007. La riduzione però del tasso ufficiale di sconto,
rappresenta a loro dire un primo segnale e anche alla luce di ciò
Lehman Brothers ha rivisto le stime sulla crescita del Prodotto
Interno Lordo americano che, nel quarto trimestre di quest'anno
dovrebbe salire ora del 2%, per poi passare al 2,1% nei primi sei
mesi del 2007.
La
mossa odierna della Fed non dovrebbe rimanere isolata, perché pur
essendo stata la prima Banca Centrale a mettere mano ai tassi, è
facile pensare che si possano accodare ora anche le altre. In tanti
sono a ritenere ora che la Banca Centrale europea non intervenga a
settembre, rinunciando così all'aumento del costo del denaro che era
stato già previsto dal mercato. Con ogni probabilità, anche la Banca
Centrale giapponese e quella d'Inghilterra dovrebbero astenersi ora
dall'incremento del loro tasso di riferimento, alla luce
dell'attuale situazione del mercato.
Spostando
l'attenzione sulle Borse invece, intanto possiamo dire che i
listini, tanto europei quanto americani, hanno dato vita ad una
prima reazione positiva, salutando con favore la decisione presa
oggi dalla Fed. E' fin troppo difficile poter dire da ora se questo
potrà rappresentare una vera e propria svolta, perché l'intervento
odierno non è certo sufficiente a rischiare le fosche nubi che
ancora di addensano sul fronte del settore dei mutui subprime e più
in generale del credito. Certo la decisione di ridurre il tasso
ufficiale di sconto rappresenta una risposta più efficace al
problema della carente liquidità, rispetto alle operazioni di
acquisto delle singole banche, secondo quanto realizzato nei giorni
scorsi. L'abbassamento del discount rate permette inoltre di
mantenere un certo rigore verso le pressioni inflazionistiche, che
rappresentano un tema cruciale per la Fed, da mesi ormai concentrata
più sulla dinamica dei prezzi al consumo che sull'andamento della
crescita economica. Un intervento sui Fed Fund, come ben
sappiamo, non sarebbe dispiaciuto già nei mesi scorsi al mercato
azionario, ma sicuramente in condizioni diverse da quelle attuali.
Un intervento più significativo del previsto sui tassi,
rifletterebbe infatti un contesto macro particolarmente debole,
alimentando così i timori su un rallentamento dell'economia maggiore
delle attese. E la minaccia di un “hard lending” non sarebbe
certo gradita ai mercati che sconterebbero anche in anticipo la
debolezza dei prossimi risultati trimestrali delle aziende quotate.
Ma se i profitti calano, allora non ci saranno più validi motivi per
tornare ad acquistare piene mani i vari titoli, che potrebbero
riflettere già quotazioni in linea con fondamentali meno robusti di
quelli dei mesi addietro. In sintesi lo scenario si conferma
ancora estremamente delicato e bisognerà valutare di giorno in
giorno l'evoluzione dei listini, per capire quale sentiero potrà
essere imboccato da questi ultimi. Una risposta a ciò arriverà
ancora una volta dalle prossime indicazioni macro che forniranno un
quadro sempre più chiaro e definito dell'impatto che l'attuale crisi
avrà sull'espansione economica, non solo a stelle e strisce, ma
globale.
 |
Fonte - Corriere della
Sera |
..... |
Martedì 28 agosto 2007 |
|
Martedì 28 agosto 2007 |
|
Mercoledì 29 agosto 2007 |
|
|
.gif) |
|
.gif) |
|
.gif) |
|
|
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Scarica in
formato PDF |
..... |
Le preoccupazioni del
Governatore
09 Agosto 2007 Roma - di
Aberto Statera ________________________________________
Scaramanzia vuole che il dossier non
sia sulla scrivania del governatore Mario Draghi, al primo piano di
palazzo Koch, nello studio provvisorio a fianco della Sala degli
Arazzi, dove troneggia la raffigurazione "tessile" di Diana che
dinanzi al consiglio degli Dei invoca la "verginità perpetua". Ma
come tutti i capi delle banche centrali e delle autorità europee,
anche il governatore della Banca d´Italia lo sta silenziosamente
compulsando, perché quel dossier contiene la prima "simulazione" per
l´emergenza che potrebbe derivare dalla crisi di una grande banca
continentale, magari tedesca, francese, olandese. O – dio ci scampi
– italiana. Ha richiesto mesi di lavoro e "conference-call"
continentali durate anche due giorni di fila. Ma la fatica non è
stata vana perché "da questi esercizi - ha detto Draghi ai banchieri
- si impara molto". Scienza accademica, come si spera, o
prevedibilmente scienza di uso cogente per crisi imminenti o già
virtualmente in atto, sull´onda oceanica dei mutui "subprime"
americani o di altre onde mediterranee meno lunghe ma altrettanto
rovinose? Onde della nuova finanza e dei rischi connessi, cui la
banca centrale è pronta a far diga con tutti gli strumenti a
disposizione, compreso quello ritenuto essenziale delle riserve
auree, che il governo vorrebbe adesso usare in parte per ridurre il
debito pubblico. Son passati esattamente venticinque anni dal
crac del Banco Ambrosiano, che l´ex presidente del Nuovo Banco e
presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo
Giovanni Bazoli ha rievocato due giorni fa con Massimo Giannini su
questo giornale. Un quarto di secolo che non ci ha risparmiato tanti
altri scandali finanziari più o meno grandi, in una lista che
continua a ingrossarsi di giorno in giorno, ad esempio con l´ultima
new-entry di Banca Italease. Ma da allora, come non si stanca di
ripetere il governatore Draghi, che nell´ufficio non ha più
incombente sulla testa come i suoi predecessori il dipinto
raffigurante il San Sebastiano trafitto dalle frecce, molto è
cambiato in termini di concorrenza, di spessore dei mercati
finanziari, non più asserviti a pochi individui, magari anche in
termini di commistione tra banche e politica, di cui l´ultimo,
miserabile esempio abbiamo forse avuto due anni fa nella "saga dei
furbetti", messa in scena dal governatore cultore di San Tommaso e
dal suo amico banchiere "Fanfulla" predestinato al ruolo di "velona"
nell´harem di Lele Mora e nel Billionaire di Flavio Briatore.
Oggi il pericolo viene da più lontano, non dalle discoteche
della Costa Smeralda, ma dalle sale vetrificate in cui si coltiva la
crescente sindrome da scommessa del capitalismo mondiale. Un
capitalismo che produce finanza alla "polvere bianca", sempre più
eccitata, per larga parte incontrollabile da qualunque autorità, in
un intrico sofisticatissimo di strumenti di copertura,
controcopertura, derivati di credito, cartolarizzazioni, hedge
funds, private equity, swap, marchingegni finanziari complicatissimi
che spesso diventano, in realtà, strumenti di speculazione o
moltiplicatori infernali di perdite, che anche i funzionari di
banche e assicurazioni primarie vendono a ignari (o furbetti)
clienti senza neanche capire bene ciò che stanno smerciando. E le
interconnessioni diventano inestricabili persino per le autorità più
attrezzate, perché nessuno sa più alla fine in quale parte del
mondo, presso quali acquirenti siano finiti i rischi di credito
trasferiti. A quale grande assicurazione europea? A quali aziende? A
quali inconsci risparmiatori? Possono, ad esempio, gli americani
che non pagano più le rate dei mutui-spazzatura, i "subprime"
concessi troppo facilmente per l´acquisto della casa e di ogni bene
di consumo, in un´economia fondata sulla plastica delle carte di
credito e sul debito, essere portatori, come annunciano alcune
prefiche, di un crac finanziario mondiale simile a quello del 1929?
Nelle banche centrali europee realisticamente pensano che molte case
finanziarie e banche americane magari salteranno sui facili
prestiti, ma che il "contagio" non diventerà pandemico. La
sregolatezza finanziaria, tuttavia, tiene in ansia le autorità
europee, invitate ora da Draghi a definire "in tempi stretti" i
principi e le procedure per più frequenti "simulazioni di crisi",
come quella appena completata tra mille invocazioni scaramantiche.
Secondo il governatore,
che lo ha detto chiaro e tondo ai banchieri italiani, i derivati
contribuiscono ad aumentare la produttività del sistema finanziario
che cresce, ma a patto che le banche non ne approfittino solo per
rimpinguare i loro bilanci, come sembra che in molti casi sia fin
qui avvenuto. Sono utili se usati come si deve, ma diventano fonte
di instabilità se servono non per coprire i rischi, ma per
accrescere il numero dei rischi da assumere e se portano le banche
che cedono una parte del rischio a ridurre l´attenzione alla
solvibilità dei creditori. Esattamente ciò che sta avvenendo per i
mutui ipotecari negli Stati Uniti. Se il "contagio" americano ci
risparmia, non è detto che il dossier che non sosta per scaramanzia
sulla scrivania di palazzo Koch sia inutile. Le banche italiane, a
cominciare dalle primarie, sono esposte sui cosiddetti strumenti
finanziari per 6 mila miliardi di euro, come dire il quadruplo del
debito pubblico. Offrono talvolta ai clienti, aziende e
risparmiatori, contratti con clausole incomprensibili - callable,
range accrual, knock in, e chi più ne ha più ne metta nella
fantasiosità del lessico finanziario - che anziché garantire una
copertura dai rischi derivanti dall´aumento dei tassi del debito,
alla fine amplificano semmai le perdite. Il governatore
Draghi che, scaramanticamente, non tiene sul tavolo la preziosa
"simulazione di crisi" non può invece, purtroppo per lui, sbarazzare
la scrivania dal dossier "Banca Italease", di cui egli stesso ha
parlato l´11 luglio scorso all´assemblea dei banchieri: "Grazie a
un´ispezione che la Banca d´Italia aveva avviato nel gennaio presso
una banca - ha detto - è emerso che la banca in questione aveva
venduto a imprese clienti complessi prodotti derivati fortemente
esposti a un rialzo dei tassi d´interesse. A seguito degli andamenti
del mercato, tali derivati hanno determinato, una forte, repentina
crescita nell´indebitamento dei clienti che li avevano acquistati.
Oltre ai rischi legali e di reputazione, è cresciuta di conseguenza
l´esposizione della banca al rischio di controparte". Banca
Italease, che proponeva contratti derivati pieni di formule
matematiche e algoritmi incomprensibili anche a un premio Nobel, ha
irretito due o tremila clienti in una faccenduola da almeno 750
milioni di euro. Ma attenzione, l´80 per cento di tutte le
operazioni in derivati coinvolge anche le grandi banche, Unicredit,
Intesa, Monte dei Paschi, Capitalia, Bnl. "Reputazione" è una
delle parole più usate rispetto alle banche e alla finanza senza
regole dal governatore Draghi, impegnato al tempo stesso nel
complesso restauro della reputazione delle banche vigilate e di
palazzo Koch. Ma, ai tempi del nuovo capitalismo e della finanza
selvaggia, a quale dio potrà mai chiedere Draghi la "verginità
perpetua" rivendicata da Diana?
 |
Fonte - La
Repubblica |
Quanti falsi amici sui Tango
bond
13 Agosto 2007 Torino - di
Beppe Scienza
*Beppe
Scienza è professore al Dipartimento di Matematica dell'Università
di Torino ________________________________________
“Piove, governo ladro!”. È un po’
questo l’atteggiamento di chi addossa colpe al governo Prodi, perché
ora non riesce a ottenere nulla dall’Argentina per i possessori
delle sue obbligazioni, rimasti col cerino acceso in mano. Cioè per
i circa 200mila risparmiatori italiani che hanno ancora in
portafoglio i vecchi titoli, non avendo accettato il compromesso
offerto da Buenos Aires a inizio 2005. È la stessa logica di chi
allora accusava il governo Berlusconi di non adoperarsi abbastanza
per ottenere condizioni migliori per i circa 450.000 italiani
coinvolti nell’insolvenza dello stato sudamericano. L’offerta
pubblica di scambio (ops) dell’Argentina fu infatti oggetto di
critiche veementi. Venne definita offensiva, inaccettabile,
irricevibile, iugulatoria e chi più ne ha, più ne metta, perché
proponeva titoli molto più lunghi e con tassi molto più bassi in
cambio di quelli andati a gambe all’aria.
Attese salvifiche In entrambi i
casi il governo del momento viene visto come un deus ex machina che,
qualunque cosa vada storta, deve comunque provvedere a raddrizzarla.
E deve farlo anche se non ha nessuna responsabilità di quanto
accaduto, come per l’insolvenza dell’Argentina a fine 2001. Vale la
pena di osservare che si tratta di pretese tutte italiane. Una quota
non trascurabile dei titoli argentini (5,1% corrispondenti a 3,2
miliardi di euro) era posseduta dai risparmiatori tedeschi, ma in
Germania nessuno si sognò di chiedere ai politici di intervenire.
Per altro adesso là il problema non si pone più, perché saggiamente
i tedeschi aderirono in larghissima misura all’ops. La presenza
di una quota così elevata - grosso modo la metà - di risparmiatori
rimasti a bagno è di nuovo una peculiarità tutta italiana, che
merita qualche spiegazione. Ed è uno di quei casi in cui viene
proprio da dire: "Dagli amici mi guardi Iddio!".
Consigli sciagurati A parte i pochissimi che hanno
ottenuto rimborsi dalle banche, incastrandole per irregolarità
spesso formali, chi si trova adesso a peggior partito è chi non ha
dato all’Argentina i vecchi titoli in cambio dei nuovi,
indiscutibilmente molto meno redditizi. Quando i giornali
ritornano sull’argomento del cosiddetto default, ovvero insolvenza,
dell’Argentina, si riferiscono appunto a quanti hanno ancora in mano
o, a essere volgari, ancora sulle croste i vecchi titoli. Nei mesi
scorsi sono usciti parecchi articoli sull’argomento. Mai una volta
però che l’autore abbia riferito com’è andata a chi ha accettato il
concambio (vedi Marco lo Conte, Sole 24 Ore, Plus24, 22-4-2006, pag.
6; Isabella Bufacchi, Sole 24 Ore, 17-9-2006, pag. 25; Elena
Bonanni, La Stampa, 5-3-2007, pag. 27 e potremmo continuare a
lungo).
Un po’ di conti Per questo
possono essere interessanti le valorizzazioni della tabella
pubblicata in questa pagina, dove si tirano le fila della vicenda,
basandosi su dati incontestabili, in quanto tutti pubblici. Si vede
così che i piccoli risparmiatori hanno recuperato ai prezzi attuali
oltre metà di quanto investito, un po’ meno chi ha ricevuto le
Argentina Discount 2033, un po’ di più quanti hanno avuto in cambio
le Par 2038. Questa per altro è la situazione di inizio agosto,
nettamente peggiorata dopo le salite dei tassi d’interesse degli
ultimi mesi. Chi ha liquidato la propria posizione a fine 2006,
dovrebbe aver riportato a casa 65 o rispettivamente 60 euro ogni 100
euro di capitale nominale iniziale. Che per un fallimento significa
leccarsi le dita. Siamo quindi di fronte a perdite ben inferiori
al 70%, percentuale spesso riportata anche contro ogni evidenza
(vedi Edmondo Rho, Panorama, 14-12-2006, pag. 203).
Colpe delle banche Ovviamente
non si tratta di assolvere lo stato argentino per le sue
inadempienze. Ma di non dimenticare neppure le gravi colpe di altri.
Per cominciare delle banche, i cui dipendenti non hanno sottolineato
abbastanza il rischio comunque insito in quei titoli. Per altro
l’Argentina è un caso nettamente diverso dalla Cirio e dalla
Parmalat. Per la Cirio è chiaro che alcune banche l’hanno spinta
a emettere obbligazioni e poi aiutata a piazzarle presso i
risparmiatori italiani. Le hanno fatto così arrivare in cassa soldi,
con cui essa ha potuto rimborsare prestiti bancari. Per la Parmalat
la questione è molto più complessa, ma stanno venendo alla luce
complicità da parte di istituti di credito anche in relazione a sue
emissioni obbligazionarie. Ma per le obbligazioni argentine
sicuramente non è la regola, checché taluni affermino, che le banche
italiane le abbiano affibbiate ai propri clienti, non sapendo come
altrimenti sbolognarsene. Normalmente era infatti possibile venderle
senza difficoltà sull’euromercato. Ma chi ha aderito all’ops, ha
appunto salvato il salvabile. È invece grave la situazione di chi ha
ancora le vecchie obbligazioni e dal dicembre 2001 non ha più visto
il becco di un quattrino. E rischia di non incassare nulla neanche
in futuro. Cioè una perdita del 100%. Si tratta soprattutto di
piccoli risparmiatori, perché quasi tutti i grossi investitori e
tutti gli speculatori hanno aderito senza esitazioni.
Altroconsumo Sono invece rimasti
fuori quanti hanno dato retta alle pubblicazioni del gruppo
editoriale Altroconsumo (si tratta, ricordiamolo, di società di
capitale con fine di lucro) e ai consigli di molte associazioni di
consumatori, quali per esempio Codacons, Adiconsum ecc.. Tutti
costoro si erano appiattiti senza riserve sulla posizione della Task
Force Argentina (Tfa), un’associazione imbastita dalle banche
italiane al fine di distogliere i propri clienti dal proposito di
rivalersi su di esse. Essa ha invitato pervicacemente gli
interessati a rifiutare lo scambio, senza lesinare i toni fieri e le
minacce risibili, come quella del sequestro degli interessi che
l’Argentina avrebbe pagato ai legittimi proprietari delle nuove
obbligazioni.
La newsletter Altroconsumo
attivò addirittura una newsletter, come se ci fossero state così
tante cose da dire, mentre bastava una parola: “Aderite!”. Il
Codacons chiese di cambiare il nome a Piazza Argentina in Piazza
della Vergogna Argentina… per non parlare dei perentori inviti a
smettere subito di ballare il tango. Eppure bastava un minimo di
competenza per sapere che conveniva dire di sì, come sostenni io
stesso su più testate (la Repubblica, Quotidiano Nazionale, Milano
Finanza, lo stesso Libero ecc.). Chi vuole conoscere meglio i
dettagli della vicenda, trova parecchio materiale nel mio sito
all’Università di Torino (http://www.beppescienza.it/).
Manna per avvocati Una manna per
gli avvocati. Ma anche chi ha perso tutto, può perdere altri soldi.
Si aggirano infatti alcuni avvocati, veri o finti, che si fanno dare
soldi per intentare cause perse contro quell’uno o quell’altro
soggetto; alcuni addirittura contro la Consob. Ma bisogna stare
attenti anche prima di citare una banca italiana, ricordandosi che
nelle cause l’avvocato ci guadagna sempre, il cliente solo a volte.
Chi poi ricorda varie sentenze favorevoli a risparmiatori, tenga
conto che gli italiani vittime dei titoli argentini sono appunto
circa 450mila. Fossero quindi anche duecento le cause vinte, si
tratterebbe solo dello 0,04 per cento. In quanto all’arbitrato
internazionale promosso dalla Tfa, l’avvocato Paolo Marzano ha
dichiarato che «il governo argentino dovrà pagare il capitale, gli
interessi. Poi i danni» (Economy, 21-2-2007, pag. 9). Le probabilità
che ciò accada sono zero via zero.
Barlumi di speranza Con tutto
ciò forse non è irrimediabilmente segnata la sorte dei possessori
delle vecchie obbligazioni. Un qualche ripescaggio dell’Argentina è
anche possibile. Cadono però le braccia a leggere che il ministro
degli esteri Massimo D’Alema abbia come fonte d’informazione e
riferimento Nicola Stock, presidente della Task Force Argentina,
famigerata per le sue previsioni regolarmente smentite dai fatti e
soprattutto per i danni provocato a chi le ha dato ascolto. Infatti
anche nel caso in cui l’Argentina decida di riaprire il concambio,
esso sarà sicuramente a condizioni peggiori rispetto a quello chiuso
nel 2005.
 |
Fonte -
Libero |
ANCHE lUGLIO E' FREDDO PER I
FONDI 06 Agosto 2007 Milano -
di Marco
Caprotti ______________________________________________
Il mese di luglio
dell’industria del risparmio gestito si è chiuso con una
raccolta netta negativa pari a -8,1 miliardi di euro, contro i
-3,7 miliardi di giugno. Il patrimonio del sistema fondi oggi
è di 598 miliardi, con una flessione del 2% rispetto allo
scorso mese.Sul risultato complessivo di fine mese elaborato
da Assogestioni, hanno inciso per circa 5,3 miliardi di euro,
le operazioni di trasferimento di risorse tra Fondi Riservati
da parte di investitori istituzionali. Anche questa volta
i riscatti più consistenti sono stati registrati dalla
categoria dei fondi obbligazionari, che hanno accusato
deflussi per 7,8 miliardi di euro (-3,6 miliardi il mese
precedente). A dispetto dei deflussi continua a vantare il
patrimonio più robusto: 221 miliardi. Azionari e bilanciati
hanno avuto riscatti pari rispettivamente a 1,6 e 1,5 miliardi
(-2,8 miliardi e -641 milioni a giugno). Luglio, invece, è
stato un buon mese per i fondi hedge (+1,1 miliardi,
sostanzialmente in linea con giugno) e per i prodotti monetari
(+1,8 miliardi di euro, 70 milioni il mese precedente). Gli
asset delle due categorie, sono cresciuti rispettivamente del
3,3% e del 2% arrivando a quota 35 miliardi per i prodotti
alternativi e a 85 miliardi per quelli di liquidità. Dopo
un lungo periodo florido i fondi flessibili hanno invertito la
marcia, registrando un saldo negativo di 90 milioni di euro
(+1,9 miliardi a giugno). A dispetto dei riscatti, tuttavia il
patrimonio è cresciuto fino ad oltrepassare la quota dei 69
miliardi di euro. Il mese scorso i risparmiatori italiani
hanno preferito, ancora una volta, i fondi esteri e hanno
versato nelle casse di questi prodotti somme per oltre 1,3
miliardi di euro (+1,46 miliardi il mese precedente). I
roundtrip (fondi esteri promossi da intermediari italiani)
hanno subito invece riscatti per 351 milioni (-171 milioni nei
30 giorni precedenti). I fondi italiani hanno perso 9,1
miliardi di euro (contro i -5,2 miliardi di giugno.
 |
Fonte - Morningstar
|
|
Bond
italiani: 248
depennati
19 Agosto 2007
Milano - di Nicola Borzi
________________________________________
Sono 248 gli "angeli caduti" degli
ultimi due anni e mezzo. Non si tratta di una rivisitazione
dell'Inferno dantesco ma delle obbligazioni a basso
rischio-rendimento (bond di emittenti privati ma anche di titoli di
Stato) che, da marzo 2005 a oggi, hanno perso gli standard
qualitativi per i quali erano state certificate dal Consorzio
PattiChiari dell'Associazione bancaria italiana. Lo rivela
un'analisi dell'Ufficio studi del «Sole-24 Ore» sui dati di
PattiChiari. Tutto l'elenco degli "angeli caduti", quelli con il
minor periodo di permanenza nella lista certificata, sono indicati
nella tabella pubblicata nel link più sotto. La permanenza media tra
l'ingresso e la (definitiva) uscita è stata di 60 giorni ma il
record di "velocità in picchiata" appartiene al bond Air Liquide
Fin/5,25 scadenza 28 dicembre 2011: un solo giorno da leoni. Perché
scatta l'"espulsione"? Soprattutto, la lista è del tutto affidabile?
La lista. L'iniziativa "Obbligazioni basso rischio-rendimento" è
stata lanciata dal Consorzio PattiChiari dell'Abi il 15 novembre
2003. A tutt'oggi la lista dei bond comprende 1.587 titoli emessi da
445 società e istituzioni di 27 tra Paesi ed enti sovranazionali.
L'elenco dei bond di qualità non ha una lunghezza fissa e i singoli
titoli possono tanto uscirne quanto rientrarvi, se tornano in
possesso dei parametri richiesti. I requisiti.I bond dell'elenco
(titoli di Stato e corporate) non possono essere strutturati, sono
denominati in euro (niente rischio cambio), quotati su mercati
ufficiali, hanno bassa variabilità di prezzo (volatilità), devono
avere rating elevati da Standard & Poor's, Moody's e Fitch. La
selezione avviene in base a due parametri: basso rischio di mancato
rimborso (possono restare nell'elenco solo titoli con rating medi
elevati, da AAA ad A-) e basso rischio di ribasso sul mercato,
misurato dal Valore a Rischio" o VaR (l'indice massimo giornaliero
ammesso è dello 0,3125% con probabilità del 99%). Valutazioni
"terze". Secondo Massimo Roccia, direttore di PattiChiari, «sono
all'incirca sei milioni i risparmiatori italiani che hanno in
portafoglio obbligazioni appartenenti a questa lista. L'iniziativa è
interattiva: il cliente bancario che detiene questi bond viene
avvisato entro 48 ore dal suo istituto se si verifica un forte
aumento del rischio dell'obbligazione, mentre se il grado di rischio
resta basso l'informazione gli arriva con l'estratto conto. Né
PattiChiari né l'Abi esprimono un giudizio su questi bond o
tantomeno li raccomandano, ma si rimettono alle valutazioni delle
agenzie di rating combinate con l'indicatore sintetico espresso dal
VaR», conclude Roccia. Un caso limite. L'affermazione di Roccia
vale come monito sui limiti di affidabilità del sistema. Una prova
emerge dall'esame di due corporate bond emessi da Cit Group, grande
finanziaria Usa (74 miliardi di dollari di masse amministrate) che
offre una vasta gamma di servizi finanziari retail e ha rating A
secondo S&P e Fitch, A2 per Moody's, con outlook positivo. Cit
Group ha due titoli nella lista di PattiChiari (Cit Group/4,25
scadenza 22 settembre 2011, cedola annua fissa del 4,25% e
rendimento effettivo 8,45%, codice Isin XS0201605192, emissione da
750 milioni; Cit Group/3,8, scadenza 14 novembre 2012, cedola annua
fissa del 3,8%, rendimento effettivo dell'8,15%, codice Isin
XS0234935434, emissione da 500 milioni). Il secondo bond fa
parte della lista di Patti Chiari dal 30 settembre 2006 e non ne è
mai uscito. Il primo, invece, ha una storia travagliata: entrato il
24 dicembre 2005, è uscito dall'elenco appena sette giorni dopo, il
31 dicembre, è rientrato il primo aprile 2006, uscito il primo
luglio e rientrato definitivamente il 30 settembre, sempre perché
aveva "registrato una variazione del livello di rischio oltre i
parametri stabiliti". Da inizio agosto, però i due bond hanno visto
i corsi deteriorarsi velocemente (per il primo sono passati da 96,4
a 79,6, per il secondo da 91,63 a 76,6), perdendo rispettivamente il
16,25 e il 16,4%. Nello stesso periodo, invece, l'indice Citigroup
Total Return Corporate Rating A ha guadagnato lo 0,26%. Nonostante
la forbice degli spread si sia aperta notevolmente, indicando un
chiaro aumento del rischio, al 23 agosto i due titoli facevano
ancora saldamente parte della lista di PattiChiari. Cosa non
funziona? Qualcosa, dunque, non ha funzionato. Poiché PattiChiari
svolge solo il ruolo di fornitore di contenuti che trasmette ai
risparmiatori italiani le valutazioni di terzi indipendenti (le
agenzie di rating), l'errore non può che stare a monte. Ma dove?
Tutti i bond usciti dalla lista di PattiChiari .
 |
Fonte - Il Sole 24
Ore |
E'
MIFID anche in
Italia
31 Agosto 2007 Milano -
di Sara Silano ________________________________________
Sullo scoccare
del gong, il Governo ha approvato il decreto legislativo che
recepisce la direttiva europea sui mercati, gli strumenti e i
servizi finanziari, nota come Mifid. Qualche giorno ancora di
ritardo e l’Italia avrebbe rischiato di cadere sotto la procedura di
condanna della Corte di giustizia europea per non aver rispettato i
tempi. La nuova normativa entrerà in vigore il 1° novembre, anche se
gli intermediari avranno tempo fino alla fine di giugno 2008 per
adeguare gli attuali contratti con i clienti. Spetterà inoltre alla
Banca d’Italia e alla Consob emanare i regolamenti attuativi.
La direttiva è
destinata a rappresentare un momento di svolta per i mercati e gli
intermediari e, a differenza della precedente normativa, si pone
l’ambizioso obiettivo di promuovere un unico mercato europeo dei
servizi finanziari, che porti a una riduzione dei costi e offra più
trasparenza e scelta per gli investitori. Tra i principi base,
infatti, vi è il divieto imposto agli Stati membri di stabilire
obblighi aggiuntivi per le imprese del settore.
In
molte disposizioni normative traspare chiaramente l’esigenza del
legislatore di adeguarsi all’evoluzione del sistema. Il caso più
emblematico è l’abolizione dell’obbligo di concentrazione degli
scambi nei mercati regolamentati e il riconoscimento di altre
piattaforme di contrattazione, che introduce una maggior concorrenza
e apre la strada a nuovi operatori e a una riduzione dei costi.
In alcuni casi, le nuove norme sono il risultato di un
travagliato cammino. Un esempio che vale per tutti è quello della
consulenza. Come rileva Luca Zitiello nel volume Mifid. La nuova
disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, in Italia,
la prima regolamentazione in materia è stata dettata nel 1991 e
comprendeva tale attività tra quelle di intermediazione mobiliare,
sottoponendola ad autorizzazione e riservandola agli intermediari
abilitati. Successivamente venne liberalizzata e ampio è stato il
dibattito in mancanza di una rigorosa definizione di questo
servizio. Ora, la direttiva europea inverte la rotta e torna a
riservare tale attività a soggetti in possesso di determinate
caratteristiche e sottoposti a controlli di vigilanza. Viene,
infatti, istituito un albo sottoposto alla vigilanza della Consob.
La Mifid tocca da vicino l’investitore finale, che assume un
ruolo più attivo, perché sono introdotti diversi livelli di
servizio, dalla mera esecuzione degli ordini (execution only),
attività per la quale l’intermediario non è tenuto a chiedere
informazioni aggiuntive al cliente per valutare l’appropriatezza
degli strumenti finanziari offerti, al più complesso servizio di
consulenza, distinto dalla fornitura di consigli generici. Inoltre,
la direttiva stabilisce tre tipi di clienti: le controparti
qualificate, che operano nei servizi di negoziazione e raccolta
ordini, gli operatori professionali, che possiedono l’esperienza e
le competenze per prendere autonomamente le proprie decisioni e
valutare correttamente i rischi, e i clienti al dettaglio, i quali
necessitano di un maggior livello di tutela.
Sempre ispirato
alla tutela e trasparenza nei confronti dell’investitore finale è la
disciplina sugli inducements (particolari incentivi legati alla
prestazione di servizi finanziari), che detta criteri per
suddividere le pratiche ammesse da quelle proibite. Per quelle
ammesse, in ogni caso, la direttiva pone alcune condizioni: la
comunicazione chiara al cliente, la garanzia della qualità del
servizio, l’obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente.
Sulla stessa linea si pone la disciplina dei conflitti di
interesse, nodo delicato soprattutto nel rapporto tra banche e
fondi. Gli intermediari dovranno adottare misure adeguate per
identificarli e gestirli in modo che non danneggino i clienti. Se
non potranno eliminarli, dovranno, comunque, esporli in modo chiaro
all’investitore.
La
direttiva, dunque, pone le basi per una maggior trasparenza e tutela
degli investitori, ma cerca anche di responsabilizzare questi
ultimi, che assumono, nel bene e nel male, un ruolo attivo nelle
scelte in merito ai propri risparmi. La Mifid può rappresentare una
rivoluzione, come molti l’hanno definita, ma solo se non sarà
trattata con superficialità né dagli intermediari né dai clienti.
| |