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Martedì
03 luglio 2007 |
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04 luglio 2007 |
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Martedì
10 luglio 2007 |
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Ora
il dollaro
é proprio al verde
08 Luglio 2007 Milano - di Vincenzo
Sciarretta ________________________________________
Il
toto-valute scuote i mercati finanziari. Le previsioni più attendibili
suggeriscono, infatti, per l’euro una tenuta dei picchi massimi toccati
nei giorni scorsi. O perfino il superamento del record storico,
fissato il 27 aprile scorso a quota 1,3680 dollari per euro, con la
prospettiva di raggiungere il
traguardo di 1,40, entro la fine dell’anno. Ben pochi, al
contrario, scommettono che ci potrà essere un drastico ripiegamento nei
prossimi mesi della moneta unica. «Il biglietto verde - argomenta il capo
economista della Northern Bank Paul Kasriel - mostra i segni di una
debolezza generale e strutturale, che lo ha già spinto a nuovi minimi
assoluti contro la sterlina inglese, il dollaro canadese e quelli
neozelandese e australiano. E la lista potrebbe anche continuare». Non
c’è dubbio che la variabile principale su cui si gioca la partita è
rappresentata dai saggi d’interesse. Come sostiene Asmara Jamaleh, esperta in
mercati valutari di Caboto: «Le aspettative sul costo del denaro sono
stabili negli Stati Uniti, mentre quasi ovunque all’estero si
preannunciano ancora rialzi. È questo che mette le ali al
trasferimento di fondi verso i Paesi con i tassi più promettenti».
Secondo le opinioni
prevalenti, la Banca Centrale europea metterà di nuovo mano alla leva
monetaria nel prossimo settembre oppure a ottobre, e poi ancora a
cavallo fra il 2007 e il 2008, con l’intenzione di portare il saggio di
rifinanziamento al 4,5 per cento. «Ugualmente significativo -
stando a Kasriel - sarà l’atteggiamento della Banca del Popolo. È assai
probabile che le autorità di Pechino finiscano con lo stringere le
condizioni del credito con maggiore decisione a partire dal prossimo
autunno. E questo mentre, con ogni probabilità, negli Stati Uniti si
ricomincerà a parlare di allentare il rigore della politica monetaria».
Dove peraltro i tassi hanno compiuto una lunga corsa dall’1% del 2004,
fino al 5,25% attuale.
Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha reso noti i dati sulle
riserve ufficiali nel primo trimestre 2007. Ne risulta che la quota del
dollaro si è ulteriormente assottigliata passando dal 64,6% al 64,2 per
cento. Viceversa l’euro e la sterlina inglese emergono come i massimi
beneficiari delle tendenze in atto. E, come spesso è accaduto
nell’ultimo biennio, si intensificano nuovamente le voci su possibili
diversificazioni da parte del Drago cinese.
Il gigante asiatico tiene racchiuse nei suoi forzieri riserve valutarie
per circa mille e 250 miliardi di dollari, che diventeranno l’anno
venturo una montagna ancora più alta da mille e 400 miliardi di dollari. Ormai, il 60% dei titoli
del tesoro americano in circolazione è in mano ai cinesi.
E da poco il Parlamento di Pechino ha approvato una proposta del
ministero delle Finanze per la creazione di un’agenzia d’investimenti
con 200 miliardi di dollari in dotazione, per gestire queste riserve «in
modo attivo». Secondo altre
fonti la cifra sarà addirittura maggiore. Stephen Jen della Morgan
Stanley pensa, ad esempio, che saliranno ad almeno 300 miliardi.
Insomma, lo scenario più verosimile è quello di una continua e graduale
diversificazione da parte della Cina, della Russia, del Medio Oriente e
delle altre potenze emergenti, in favore delle divise europee, con in
testa ovviamente l’euro. Nel frattempo, però, Pechino sta contribuendo a
calmierare la volatilità nel mercato delle valute. Come spiega Gianmarco Salcioli, cambista
della Barclays: «Quando la moneta statunitense perde terreno, il valore
delle riserve denominate in dollari perde a sua volta terreno. Così le
Banche Centrali di mezzo mondo intervengono in acquisto per ripristinare
le percentuali desiderate. Quando, al contrario, il biglietto
verde mostra i muscoli, allora le autorità lo vendono per acquistare
euro, sterline e via dicendo. Ciò tende a smorzare le oscillazioni,
tanto è vero che la volatilità sull’euro-dollaro è attualmente la più
bassa di sempre».
Sempre Salcioli raccomanda di
guardare con attenzione anche sull’andamento del petrolio, giacché
esiste una forte correlazione fra prezzo dell’energia e performance
valutarie: «La Federal Reserve americana - insiste- tende a
considerare soprattutto l’inflazione inerziale, cioè quella depurata
dalle componenti di energia e derrate. Diversamente la Banca Centrale
europea guarda al costo della vita nel suo insieme, e perciò reagisce
con fermezza, se il grafico del greggio svolta pericolosamente verso
l’alto. Inoltre, un barile caro incrementa il fatturato dei Paesi
esportatori, con i quali l’Europa ha un giro d’affari che è diventato
superiore a quello degli Stati Uniti».
Paul Mackel - analista della Hsbc - punta invece il dito sullo stato di
salute dei mercati azionari: «Una delle forze trainanti dietro il
successo della moneta unica è ascrivibile ai forti acquisti di azioni
europee da parte dei gestori internazionali, peraltro motivati dalle
ottime prestazioni delle piazze di Parigi, Francoforte, Milano, Madrid,
ecc».
Per dare un’idea, basta dire che un risparmiatore italiano che ha
sottoscritto cinque anni fa dei fondi comuni specializzati nell’area
euro, oggi porta a casa un guadagno di circa il 47%, mentre se ha
acquistato fondi statunitensi, si mette in tasca appena il 4,2 per
cento. Addirittura, investendo nel reddito fisso europeo avrebbe
ottenuto un dignitoso +13%, mentre in quello a stelle e strisce avrebbe
perso il 9 per cento. Dunque, è abbastanza normale che si sia radicato
un certo pregiudizio nei confronti degli asset statunitensi. Al
punto che, in base al sondaggio mensile della Merrill Lynch, il 36% dei
money manager considera l’Europa ancora allettante, mentre solo il 14%
giudica tale l’America. Gavin Friend, della Commerzbank, nota pure come
il «crack» di qualche hedge fund, e i persistenti problemi nel credito
ad alto rischio, abbiano ancorpiù minato la fiducia nel re dollaro. «A
ciò - aggiunge Kasriel - deve sommarsi il concreto pericolo di
iniziative protezionistiche in America se, come sembra, il prossimo
inquilino della Casa Bianca sarà un democratico».
Dove può quindi arrivare l’euro? Per il
momento c’è da scavalcare l’ostacolo di 1,36 - 1,37. Osserva ancora
Salcioli: «L’impressione è che molti operatori siano pronti ad
acquistare dollari a questi livelli, sulla scommessa di un ripiegamento
del cambio verso la parte bassa della banda di oscillazione, verso quota
1,33». Se la rottura al rialzo avvenisse, allora si potrebbe
ipotizzare un allungo in direzione di 1,40, da agguantare entro la fine
del 2007. Ma non tutti sono convinti. I più sono inclini a immaginare un
quadro di stabilità, attorno alle soglie massime raggiunte nei giorni
scorsi. Almeno finchè reggerà la tenda a ossigeno delle banche centrali
e dei governi. Non a caso non si trovano analisti che guardino in modo
favorevole al dollaro, se si parla di ripresa duratura.
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Fonte -
Bloomberg - Borsa&Finanza |
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La galoppata dell'euro è l'altra
faccia della medaglia della pioggia di vendite che si è abbattuta
sul dollaro facendolo affondare anche contro lo yen e la sterlina.
La divisa unica ne ha approfittato per rompere la soglia psicologica
degli 1,37 dollari portandosi ieri fino a breve distanza da 1,3750,
in rialzo di oltre un centesimo rispetto agli 1,3626 dollari di
venerdì scorso. Tuttavia attribuire il nuovo record alla
sola debolezza del biglietto verde, non sarebbe esatto, infatti a
far da sprone alla moneta comune c'è anche la forte crescita di
Eurolandia, che fa prevedere agli analisti almeno un altro rialzo
dei tassi (oggi al 4%) da parte della Banca centrale europea entro
fine anno, probabilmente già dopo la pausa estiva. Ieri il
dollaro ha segnato il peggior scivolone contro lo yen (-0,9% a
122,26) dallo scorso 13 marzo, ed è sceso ai minimi di 26 anni
contro la sterlina (a 2,0275), ed ha perso posizioni anche contro il
franco svizzero, balzato a 1,2045. Sulle quotazioni del
biglietto verde pesa un miscuglio di fattori combinati,
probabilmente lo stesso che sta indebolendo Wall Street, che ieri ha
segnato la sua prima correzione dopo sei sedute consecutive
all'insegna del 'Toro'. E il primo di questi fattori è la
ripresa dell'economia statunitense, attesa da tutti, intravista dopo
alcuni dati macroeconomici delle ultime settimane (come gli indici
dei direttori acquisti del manifatturiero e dei servizi) ma ancora
non materializzatasi. Al contrario, qualcuno ipotizza che non sia
affatto così vicina come si spera, e soprattutto - cosa che
preoccupa particolarmente i mercati - che non sia ancora stato del
tutto superato il problema principale, e cioé la crisi immobiliare.
Nonostante la sostanziale tenuta dei consumi e alcune
statistiche economiche incoraggianti, il 'mattone' non si è ancora
ripreso del tutto, e stanno venendo allo scoperto nuovi, possibili
scogli sulla rotta per la ripresa. Molti operatori temono che la
crisi dei mutui 'subprime' possa sfociare in qualcosa di più grosso,
se dovessero instaurarsi pericolose reazioni a catena.
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(ANSA) - WASHINGTON, 19 LUG - "L'euro è correttamente valutato e
in linea con i fondamentali economici, in realtà la moneta
dell'Unione Europea non si è apprezzata negli ultimi mesi tanto
quanto sembrerebbe da un'analisi superficiale". Lo ha detto
Simon Johnson, capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale,
nel corso di un briefing con la stampa questa mattina a Washington.
"L'euro è salito dall'inizio dell'anno in realtà solo del 2% a
confronto con gli altri paesi. Il tasso di cambio bilaterale con il
dollaro, non dovrebbe venire considerato il fattore cruciale
effettivo dell'euro". Johnson ha anche sottolineato come la Banca
Centrale Europea abbia fatto "un ottimo lavoro" nel contenere le
aspettative inflazioniste nel vecchio continente ed ha detto di
aspettarsi lo stesso risultato dalla Federal Reserve negli Stati
Uniti.(ANSA).
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Scenari
argentini
per
l'€uro
18 Luglio 2007 Milano - di Carlo Pelanda ________________________________________
Mesi fa questa rubrica si impegnò a non
sparare più sulla Banca centrale europea perché i suoi difetti erano
minori di quelli sia dei governi sia del Patto di stabilità. Tali
considerazione e impegno restano, ma l’idealismo monetario della Bce
potrebbe far saltare l’euro non perché sia la causa principale di tale
rischio, ma per il fatto che soltanto una svolta pragmatica potrà
evitarlo.
Alla fine
degli anni Novanta, per eliminare l’inflazione in Argentina, il Fondo
monetario internazionale impose un modello di moneta forte a un’economia
fragile, peggiorata dal disordine politico. Il sistema crollò. La Bce
sta facendo un simile errore di idealismo monetario applicando una
moneta forte a economie che non sono in grado di reggerla. L’aumento dei tassi calibrato per il
contenimento dell’inflazione indipendentemente dal contesto globale dei
cambi sta portando l’euro alle stelle. L’accusa alla Bce è quella di far
pagare all’economia europea, riducendone l’export, tutto il costo del
riaggiustamento ribassista del dollaro perché i gestori dello yen e
dello yuan si guardano bene dall’alzarli. Francoforte si difende
comunicando che per ogni incremento del 5 per cento del valore dell’euro
sul dollaro la perdita di pil dell’eurozona è soltanto dello 0,1 per
cento. Un’inezia che vale il vantaggio di ridurre l’inflazione
importata.
Ma tale calcolo pare truccato e comunque basato sul fatto che Cina e
India stanno importando beni strategici (grandi sistemi, macchinari,
eccetera) indipendentemente dal prezzo. Ma è una contingenza. Mentre i
cultori dell’euro forte la considerano un tratto costante. E per questo
teorizzano che un’economia nazionale “deve” essere competitiva
indipendentemente dal cambio. Ma soltanto il sistema industriale tedesco
ha una tale efficienza, quello francese meno e l’italiano molto meno, il
resto a scendere. L’errore di idealismo è evidente: applicare una
politica monetaria che soltanto la Germania può reggere, forse, e gli
altri no. Ovviamente è peggiore l’errore di un Patto di stabilità che
non favorisce detassazioni in deficit che permetterebbero alle nazioni
deboli di investire in competitività qualificata. Inoltre è devastante
l’impotenza di tanti governi nazionali nell’adeguarsi all’efficienza
economica che l’euro richiede. Il punto: poiché non è pensabile che in
poco tempo il Patto venga migliorato e i governi diventino maghi, è
realistico segnalare che soltanto la Bce può risolvere il problema di un
euro insostenibile per troppi rischiando un pelo di più sul lato
dell’inflazione per abbassare il cambio. Senza tale pragmatismo
monetario – che la Fed americana adotta – l’eurozona avrà guai argentini
ed è meglio lo si sappia ora.
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Fonte -
Il Foglio |
Mercoledì
11 luglio 2007 |
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Mercoledì
11 luglio 2007 |
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Giovedì
12 luglio 2007 |
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Nuvole
nere
sull'Asia
02 Luglio 2007 Milano - di MiaEconomia.it ________________________________________
Lo
sbadiglio delle Tigri. Dieci anni fa il crollo dei mercati asiatici
aveva fatto correre un brivido su molte schiene, ora, secondo l'Asian
Development Bank (Adb), il pericolo si rinnova: nonostante i
progressi compiuti la regione è sempre più esposta su titoli denominati
in dollari. Questo perché le politiche di controllo dei cambi sono
volte ad evitare apprezzamenti delle valute locali rispetto al biglietto
verde, il rischia però è quello di pesanti ripercussioni nell'ipotesi di
un brusco riaggiustamento degli squilibri finanziari globali.
A
lanciare il monito è l'Asian Development Bank, proprio in
occasione dell'anniversario dello 'sboom' del 97-98: 10 anni fa, in
Thailandia, prese vita un terremoto finanziario che si estese
rapidamente a tutta l'area asiatica, provocando la perdita di lavoro per
milioni di persone, facendo crollare i mercati borsistici e immobiliari
locali, e tremare i mercati finanziari di tutto il mondo. Adb infatti punta il dito contro la
gestione dei crescenti surplus di partite correnti delle tigri asiatiche
e della Cina. "Sebbene l'Asia abbia agito bene per riprendersi dalla
crisi, e negli ultimi anni abbia messo a segno tassi di crescita
economica robusti, permangono delle sfide", ha detto il
presidente della Adb, Haruhiko Kuroda.
"Nel breve termine - ha proseguito - sulle economie dell'Asia, gravano
rischi legati alle prospettive di crescita economica degli Usa e
globali, agli squilibri globali sulle bilance dei pagamenti, e al ritmo
di moderazione della liquidità globale". Secondo il numero
uno della Adb, "una cosa che appare chiara è che per rafforzare le
difese delle economie dell'Asia da queste minacce sono necessari
approcci regionali". Di più, secondo l'istituzione finanziaria è
necessaria una stretta cooperazione tra i paesi della regione, con una
strategia che punti a creare un blocco di economie nell'area. "La
cooperazione e l'integrazione regionali giocheranno un ruolo chiave per
il futuro dell'Asia", ha convenuto la governatrice della Banca centrale
della Malesia, Zeti Akhtar Aziz. Secondo il ministro delle Finanze della
Thailandia, il paese da cui si scatenò la crisi del passato decennio,
Chalongphob Sussangkarm, le lezioni imparate nel 97-98 hanno favorito
riforme chiave che hanno rafforzato la capacità di resistenza delle
economie dell'area alle crisi.
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Fonte -
MiaEconomia.it |
Il
nuovo salto
delle commodity
02 Luglio 2007
Milano - di Marco Caprotti
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Rischio di inflazione, tensioni create
dal terrorismo internazionale e corsa senza fine di Cina e India. Quando
si vuole disegnare una strategia di investimento, dicono gli analisti,
c’è sempre un buon motivo per avere in portafoglio titoli delle materie
prime.
Il comparto delle
commodity, insomma, allo stato attuale sembra godere di ottima salute.
L’indice Msci del settore nell’ultimo mese (fino al 2 luglio e
attualizzato in euro) ha guadagnato il 4,4% portando a +11,3% la
performance dell’ultimo trimestre. Alla faccia di tutte le cassandre che
nei mesi scorsi, in seguito ai tentativi delle Cina di frenare il
boom economico e dei record segnati dalle materie prime, prevedevano un
rallentamento del settore. Ma gli aruspici non avevano tenuto conto
della crescita del prezzo del petrolio con il contestuale aumento del
rischio inflazione e l’allarme terrorismo che, oltre ad alimentare il
caro-barile, spinge gli investitori a proteggersi con strumenti e titoli
solidi.
In questo scenario a farla
da padroni sono soprattutto i metalli preziosi. L’oro spesso si
muove nella stessa direzione del petrolio. Gli investitori, infatti,
usano il nobile metallo per coprirsi dai rischi di inflazione. E con il
barile sopra i 70 dollari e vicino ai massimi degli ultimi 10 mesi,
l’oro nei giorni scorsi ha ritoccato per la settima volta il record
annuale arrivando a sfiorare i 652 dollari per oncia.
Ma gli
investitori hanno iniziato a puntare il radar verso il più plebeo
alluminio. Secondo gli analisti, infatti, sarà questo il materiale su
cui puntare almeno fino alla fine dell’anno. E si tratta un po’ di una
sorpresa. L’alluminio, infatti, dal 2002 è il worst performer del London
Metal Exchange. La situazione sta però per cambiare, dopo i tagli
all’estrazione decisi dalla Cina che lascerà il mercato mondiale
affamato di questo materiale.
Secondo le previsioni delle maggiori banche d’affari
internazionali il prezzo dell’alluminio dovrebbe aumentare del 50% entro
la fine dell’anno, arrivando a 4mila dollari per tonnellata metro. E la
crescita dovrebbe continuare almeno fino al 2010. Uno scenario da sogno
per le società di estrazione come Bhp Billinton e Alcoa. Un incubo per
gli utilizzatori: Coca Cola e Boeing in testa.
Ma a menare le danze nel comparto delle
commodity sarà sempre il petrolio. Le maggiori case internazionali di
investimento stanno facendo a gara a rivedere al rialzo le stime sui
prezzi. Per quest’anno (per quanto riguarda la qualità West Texas
Intermediate si va dai 67 dollari di Ubs ai 62, 02 di Citigroup passando
per i 66 dollari di Merrill Lynch. Il Brent, a fine 2007, dovrebbe aver
registrato una media di 67 dollari al barile dopo essere arrivato a 72
dollari.
A guidare la domanda sarà la driving season negli Stati
Uniti quando milioni di persone si muoveranno per le vacanze. Passate le
ferie, tuttavia dovrebbero aumentare le richieste da parte di quelle
raffinerie che riprenderanno l’attività dopo la chiusura per riparazioni
o manutenzione ordinaria. A tutto questo va aggiunta la rinnovata
emergenza terrorismo a seguito dei due allarmi bomba a Londra e
dell’attentato in Scozia che aggiungono un elemento di imprevedibilità a
qualsiasi previsione.
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Fonte -
MorningStar.it |
PETROLIO:
IL BARILE ARRIVERA' A TOCCARE I $100 Venerdì 20 Luglio 2007 New York -
di ANSA ______________________________________________
Il greggio continua a correre, e
c'é addirittura chi ipotizza che possa superare la soglia dei 100
dollari al barile se la situazione geopolitica dovesse
peggiorare. A innescare la volata di oggi, che ha visto il petrolio
'Wti' raggiungere quota 75,87 dollari al barile a New York, ai
massimi dallo scorso 10 agosto, è stata la decisione del gruppo
francese Total di tagliare le esportazioni dal suo giacimento
angolano di Dalia a causa di un guasto meccanico. La decisione
di Total di dichiarare lo stato di forza maggiore sulle proprie
forniture, invocandone la sospensione a causa di condizioni che
esulano dal controllo della società, ha innescato l'ennesima corsa
al rialzo per le quotazioni, balzate anche a Londra con il Brent
salito dello 0,7% a 77,30 dollari al barile sulla piattaforma Ice.
Perché - spiegano gli esperti - la produzione dal giacimento di
Dalia, normalmente pari a 240.000 barili al giorno, era già stata
dimezzata, e la decisione di Total si somma al calo delle forniture
di benzina negli usa proprio in concomitanza con i picchi di domanda
dei mesi estivi. A New York questa sera il petrolio ha chiuso ancora
in rialzo a 75,89 dollari.
Diversi fattori stanno concorrendo
al balzo del greggio. La geopolitica, innanzitutto, con una
situazione sempre più difficile sul fronte iracheno, e una tensione
in Medio Oriente - dall'Iran al Libano - che non accenna a scendere.
Boone Pickens, il
miliardario che presiede il fondo speculativo BP Capital, ipotizza
che le quotazioni del greggio possano finire per superare i 100
dollari al barile se dovesse verificarsi "un evento geopolitico".
"Non credo - ha detto infatti oggi a Pechino Pickens secondo la
Bloomberg - che il mondo possa produrre più petrolio di adesso". Più
volte le previsioni di Pickens hanno fatto centro, come dimostra il
fatto che proprio la speculazione sul prezzo del petrolio gli è
valsa un posto nella lista degli americani più ricchi stilata da
Forbes. Più caute le previsioni di
analisti come Kevin Norrish di Barclays, convinto che "é forte
l'attesa per un mercato ancora più in difficoltà nei prossimi mesi,
con la conseguenza che i prezzi saliranno nel breve termine".
La banca inglese ha alzato le proprie previsioni per i prezzi del
Brent nel 2008 di ben 7,40 dollari, portandole a 73,60 dollari al
barile, perché non è in previsione alcun aumento delle forniture da
parte dei paesi che non fanno parte dell'Opec. Che ci siano
colli di bottiglia dal lato dell'offerta lo dimostra il calo delle
scorte statunitensi, che in base ai dati di oggi forniti dal governo
statunitense sono scese di 2,3 milioni di barili la scorsa
settimana, ben più delle previsioni di circa 900.000 barili in meno,
a causa della corsa ai rifornimenti di carburante da parte degli
americani in viaggio e del rallentamento delle importazioni. Ma
alla volata dei prezzi stanno concorrendo anche la forte crescita
economica della Cina, uno dei principali consumatori mondiali di
greggio, che nel secondo trimestre ha raggiunto un'espansione
dell'11,9%, ai massimi di dodici anni. Per non parlare dell'Opec: il
cartello dei paesi esportatori di greggio, di fronte alle quotazioni
in deciso rialzo, sta facendo melina e non ha dato alcun segnale di
voler allentare la propria presa sui tagli alle forniture.
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Fonte - ANSA
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Strategie
difficili
per i bond
10 Luglio 2007 Milano
- di MariaGrazia
Briganti
Prezzi in
discesa e rendimenti in salita. A penalizzare i mercati obbligazionari
sono state le incertezze sulle politiche monetarie. Per Erwin Deseyn e
Peter De Coensel, gestori del fondo BondsatWork, gli investitori
faticano a trovare opportunità in un mondo globalizzato. L’inflazione,
invece, non gioca al momento alcun ruolo.
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Nelle ultime
settimane i mercati obbligazionari hanno registrato pesanti flessioni.
Qual è lo scenario sui tassi in cui si sta realizzando questa
l’accelerazione verso il basso dei prezzi dei bond?
Nella prima metà del 2007 i mercati
sviluppati sono stati costantemente troppo ottimisti nello
stimare il comportamento delle banche centrali in materia di tassi di
interesse. Alla fine il mercato è crollato sulla disillusione -per tre
volte- delle attese di un taglio dei tassi negli Usa.
In Europa, attendiamo aumenti aggressivi
da parte della Banca Centrale e il raggiungimento del 4,75% entro
il primo trimestre del 2008. La Banca del Giappone esita a intervenire
una seconda volta, ma la sua strategia è chiara e il mercato dovrebbe
ormai considerare certi altri interventi nel 2008.
In sintesi, i
mercati obbligazionari hanno avuto difficoltà nell’implementare
strategie di investimento in uno scenario economico globalizzato. C’è
stato uno spostamento dall’Occidente all’Oriente testimoniato da un
premio per il rischio che ha raggiunto i minimi storici. La convergenza
dei tassi reali e nominali tra i paesi industrializzati ed emergenti è
l’anticamera della fine della parola emergente. Economie come il
Brasile, il Messico, l’India, sono già emerse.
Quale ruolo sta
invece giocando l’inflazione in questo scenario?
Al momento, non ha ancora avuto impatto
sui rendimenti dei bond. Attribuire la crescita dei tassi di
interesse a lungo termine alla paura del surriscaldamento dei prezzi è
sbagliato.
La prova è data dalle attese sull’inflazione
incorporate nei bond inflation-linked, che si sono mossi con fatica nel
corso dell’anno. Negli Usa, le attese sull’inflazione a 10 anni sono
ancora al 2,43%, con i Treasury al 5,10%, lo stesso livello quando i
decennali erano al 4,6% all’inizio di maggio. E lo stesso accade in
Europa.
Se l’inflazione non fa paura, quali sono i principali
rischi da monitorare?
Molti dei nostri concorrenti
considerano l’incertezza sui tassi di interesse e la duration di
portafoglio come principale fattore di rischio. Noi la pensiamo
diversamente e non offriamo previsioni, ma proposte di rendimento su un
orizzonte di tempo compreso tra i 5 e i 6 anni. Anche la duration è
gestita all’interno dello stesso periodo.
Circa un quarto del
portafoglio è allocato in emissioni a tasso variabile, legate ai tassi
swap europei a 10 anni (CSM paper), in modo da proteggere il fondo da
irripidimenti della curva a seguito di tassi crescenti.
Preferite le emissioni governative o quelle societarie?
Puntiamo circa il 10% su emissioni governative turche, brasiliane e
messicane che hanno un profilo rischio/rendimento positivo, perché
presentano migliori dinamiche macroeconomiche dei paesi sviluppati. Ma
uno dei nostri punti di forza è la selezione dei titoli corporate, che
segue un approccio bottom up e in cui l’allocazione settoriale è
residuale.
Con il risultato che, al momento, per fare un
esempio, non abbiamo alcuna posizione in titoli delle telecomunicazioni
a causa della mancanza di trasparenza e di una chiara direzione
strategica del comparto.
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Fonte -
MorningStar.it |
Mercoledì
18 luglio 2007 |
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Giovedì
26 luglio 2007 |
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Giovedì
26 luglio 2007 |
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Banche
poco chiare
sul rischio bolla
10 Luglio 2007
Milano - di Marco Frojo ________________________________________
L’attuale situazione borsistica è molto
florida, forse troppo. Per cui, oculatezza e chiarezza di informazioni
nelle scelte d’investimento è d’obbligo. L’allarme su una correzione netta e
pericolosa all’orizzonte, arriva dal presidente Consob, Lamberto Cardia
che, ieri in Piazza Affari, nel corso dell’incontro annuale con il
mercato finanziario, ha detto che «l’esperienza mostra come gli
investitori individuali tendano a entrare nel mercato nelle fasi di
crescita prolungata dei prezzi, cui spesso seguono
riassestamenti, anche di forte intensità».
Ora più che mai, dunque, le banche devono fornire ai clienti una buona
consulenza al momento della scelta degli investimenti. Tuttavia, in base alle parole di Cardia,
non sembra che questo avvenga. Anzi, gli istituti di credito stanno
addirittura incanalando i capitali provenienti dal riscatto delle quote
dei fondi comuni in prodotti di scarsa trasparenza, ovvero verso
«polizze assicurative a contenuto finanziario» e verso «obbligazioni
bancarie, spesso caratterizzate da strutture complesse e di più
difficile valutazione».
«Questa evoluzione - è l’affondo di
Cardia - riflette, in larga parte, gli obiettivi delle reti
distributive, che negli ultimi anni hanno visto privilegiare la vendita
di prodotti finanziari a più elevati margini di rendimento per i
distributori e funzionali alle strategie di finanziamento dei gruppi di
appartenenza». Soprattutto riguardo ai bond bancari, la Consob ha
notato che ben il 40% delle emissioni è rappresentato da strutturati,
tanto che su questi « sarà ulteriormente sviluppata la vigilanza con il
supporto di specifici modelli di analisi». Per Cardia, quindi, i motivi addotti
dalle Sgr per spiegare il deflusso di capitali (primo fra tutti la
tassazione sul maturato e non sul realizzato) servirebbero solo a
nascondere una strategia di convogliare i capitali verso prodotti ad
alta profittabilità (per la banca). Le cifre in gioco, d’altronde, sono
enormi: da inizio anno il saldo dell’industria del gestito è negativo
per 20 miliardi. Le responsabilità delle banche non finiscono
qui: «L’evoluzione del mercato e del quadro normativo implica maggiori
responsabilità e consapevolezza dei rischi assunti». Che non sono solo
«fisiologici». Bensì, sul piano «patologico», possono richiamare
«eventuali comportamenti non corretti da parte di fornitori e servizi
finanziari». Per Cardia questi problemi possono essere risolti anche con
«una diffusa cultura finanziaria». Ma soprattutto, ha concluso, «si
avverte forte l’esigenza di favorire il ricorso degli investitori alle
azioni risarcitorie dei danni».
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Fonte -
Bloomberg - Finanza&Mercati |
La
versione della CONSOB
10 Luglio 2007 Milano -
di Miaeconomia.it ______________________________________________
Piazza Affari negli ultimi
quattro anni ha macinato rialzi, ma non è detto che questa tendenza
possa proseguire senza neppure una frenata nei prossimi mesi. Questo
il monito lanciato, nemmeno troppo sottovoce, dal presidente della
Consob, Lamberto Cardia. Nella relazione annuale il presidente
della Consob ha tirato qualche stoccata anche alle banche, lasciando
presagire che si avvicina la stretta sulla politica di 'spingere' la
vendita allo sportello dei prodotti finanziari con commissioni più
alte o delle proprie obbligazioni, anche se queste rendono meno dei
Titoli di Stato. Per scardinare l'uso di tali pratiche, che
hanno provocato gravi danni all'industria italiana del risparmio
gestito e la disaffezione dei consumatori, decisivo sarà l'arrivo
della 'rivoluzione copernicana' rappresentata dalla direttiva Mifid.
L'introduzione della Mifid permetterà di mettere i risparmiatori
al centro dell'attenzione delle banche e assicurazioni spezzando il
legame, a volte pernicioso, e il conflitto di interesse latente fra
fabbrica e rete distributiva di proprietà dello stesso gruppo
bancario. Sulla separazione, sottolineato più volte dal
governatore di Bankitalia Mario Draghi, la Mifid non fornisce
obblighi ma rimette alla responsabilità degli intermediari che per
la verità in Italia hanno iniziato a muoversi si questa strada come
realizzato ad esempio di recente dal gruppo Mps. E prosegue
anche la lotta contro i 'furbetti del quartierino', Cardia aveva
chiesto più poteri e norme per combattere gli illeciti, richieste in
gran parte accolte e che già danno i primi frutti sul fronte delle
sanzioni (cresciute a 11,7 milioni di euro) e dei sequestri (40
milioni) anche se, secondo il presidente, va corretto il sistema
delle oblazioni che permette di 'patteggiare' e pagare una sanzione
senza che che la cosa sia resa pubblica, evitando così la 'gogna
mediatica'. Le operazioni di fusione hanno ridotto il numero di
sistemi piramidali e 'scatole' cinesi ma il peso del fenomeno, tutto
italiano, dei patti di sindacato nel 2006 è passato dal 16,5 al
22,3% della capitalizzazione complessiva della Borsa di Milano
rendendo minore la contendibilità. Attenzione anche all'uso
degli strumenti derivati, che aumenta costantemente, in specie, da
parte delle banche, ma in Italia resta ancora limitato. Il fenomeno
è sotto la lente delle autorità di vigilanza.
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Fonte - MiaEconomia.it
|
|
E'
ancora il solitario ottimo
Draghi a stangare le banche
12
Luglio 2007 Roma -
di Il Rformista ________________________________________
Chissà cosa ne pensano i grandi fan di
Alessandro Profumo o di Cesare Geronzi. Quelli sempre prontissimi a
spellarsi le mani e lanciarsi in elogi sperticati per ogni pioggia di
utili o per ogni superacquisizione all’estero messa a segno dai nuovi
capitani coraggiosi di un paese sempre più bancocentrico. Ammiratori
cui casca un po’ troppo spesso la penna quando si tratta di calcolare i
benefici di questa crescente competitività al livello internazionale sui
clienti. Che sono pari a zero. Allora diventa importantissimo che sia di
tanto in tanto la massima autorità di vigilanza sul sistema creditizio a
bacchettare le banche per la loro coriacea insensibilità nei confronti
della clientela. Ieri il
governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, dopo aver insistito
spesso, in quest’anno e mezzo, sui costi eccessivi dei servizi bancari,
ha puntato il faro in particolare sugli interessi sui mutui e sul
credito al consumo. Che «sono più elevati rispetto a quelli medi
dell’area dell’euro su operazioni simili». Il che, in tempi di
trend rialzista della Banca centrale europea e di elevato costo della
vita, che costringe cittadini e famiglie sempre più spesso a ricorrere
agli acquisti a rate, rasenta lo sciacallaggio. Il monito di Draghi,
nel corso del suo intervento in occasione dell’assemblea annuale
dell’Abi, è stato accompagnato da una pressante esortazione al sistema
bancario ad applicare una maggiore trasparenza sulle condizioni
applicate alla clientela. Le stesse parole usate due giorni fa dal
presidente della Consob, Lamberto Cardia.
Ma il governatore non si è fermato qui. Ha anche chiesto alle banche di
abbassare la commissione di massimo scoperto «che è un istituto poco
difendibile tanto che alcune banche l’hanno già soppresso ». Infine, non
ha mancato di bacchettare qualche vecchio, incomprensibile dogma. Come
quello che prevede che prima di incassare realmente un assegno, dal
giorno in cui è stato versato, si debba aspettare ben sette giorni.
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Fonte -
Il Riformista |
Il popolo bue dei
risparmiatori
09 Luglio 2007 Milano - di Luigi Dell'olio
Una ricerca
suddivide gli investitori in quattro categorie, in base al livello di
preparazione e al tempo dedicato alla finanza. Le fonti: tv, radio e
televideo. Seguono la lettura di giornali e riviste, gli incontri coi
consulenti. E Internet. ________________________________________
Cercano di accantonare somme di denaro
per far fronte alla vecchiaia e agli imprevisti, ma sono presi dal
panico quando devono scegliere come allocare i risparmi. Nella maggior
parte dei casi affermano di essere interessati alle tematiche
finanziarie, ma poi dedicano poche ore all’anno ai propri investimenti
perché si considerano poco preparati verso la materia o per diffidenza
verso gli strumenti di investimento mobiliari.
È l’immagine, solo all’apparenza contraddittoria, degli italiani che
emerge dalla ricerca "L’Italia che risparmia" realizzata dall’Ispo
di Renato Mannheimer, su un campione di un migliaio di cittadini,
attraverso interviste telefoniche e focus group.
Secondo l’indagine, il 90% degli italiani
ritiene che il risparmio sia fondamentale per far fronte al futuro
proprio e dei figli, alla vecchiaia e agli imprevisti, ma uno su due
confessa che la gestione delle somme accantonate è complessa e fonte di
ansie. Al punto tale che un risparmiatore su cinque confessa di aver
rinunciato in qualche occasione a investire, frenato dall’eccessiva
complessità percepita.
Le difficoltà oggettive
riguardano soprattutto il linguaggio dell’economia e dei suoi operatori:
ci sono troppe espressioni tecniche, accusano gli intervistati, anche
per il ricorso diffuso alla lingua inglese. Inoltre i concetti sono
spesso esposti con un linguaggio poco comprensibile ai più. Le ragioni
soggettive riguardano, invece, la paura di fare scelte sbagliate o la
convinzione di non possedere risorse adeguate da investire. Si spiega
così il divario tra quanti si dicono interessati al tema del risparmio
(il 64% degli italiani) e coloro che effettivamente si informano con
costanza (48%). Un differenziale del 18% composto prevalentemente da
uomini (sono il 5% in più delle donne), da persone con un basso livello
di istruzione (licenza media) e avanti con gli anni. Meno paura suscita
il mondo della finanza presso i laureati, la fascia d’età compresa tra i
25 e i 34 anni, i professionisti e chi frequenta con costanza la propria
banca.
Tra coloro che si informano
sui temi della finanza, il canale privilegiato è costituito dal gruppo
tv, radio e televideo. Seguono la lettura di giornali e riviste, gli
incontri con consulenti ed esperti e Internet. Quest’ultimo si
riscatta in termini relativi, considerato che è il canale con il
maggiore tasso di crescita negli ultimi anni. In linea generale,
prevalgono i canali di informazione fai da te, mentre è scarsamente
diffuso il ricorso a professionisti del settore per farsi consigliare e
ridurre quindi il rischio di errori. Le scelte d’investimento restano in
molti casi un fatto personale, da non condividere nemmeno con amici e
conoscenti più esperti.
La
ricerca suddivide i risparmiatori in quattro categorie, in base al
livello di preparazione e al tempo dedicato alla finanza. In vetta ci
sono gli investitori "consapevoli", che rappresentano il 28% del totale.
Si tratta di coloro che seguono con costanza i propri investimenti
(svariate ore ogni settimana), si informano utilizzando vari canali e
sono tendenzialmente a loro agio con gli operatori della banca. Si
tratta, dunque, di investitori maturi, che non avvertono barriere
oggettive all’informazione e raramente si sentono in ansia al momento di
prendere decisioni. L’elevato livello di preparazione li rende più
esigenti rispetto alla media e desiderosi di un rapporto personalizzato
con la propria banca. La
categoria più numerosa (il 31% del totale) è costituita dai cosiddetti
"relazionisti": si tratta di persone che attribuiscono molta importanza
al risparmio, si dicono interessati all’informazione finanziaria, ma
evidenziano difficoltà di comprensione. In particolare, i
"relazionisti" sono generalmente a disagio con gli operatori della
banca, incontrano molte difficoltà a capire come gestire al meglio i
propri risparmi e per questo si percepiscono come ansiosi e, spesso,
inadeguati. Si tratta di risparmiatori bisognosi di
informazioni semplici e chiari, al pari dei cosiddetti "confusi", che
costituiscono il 28% del totale. In questa categoria rientrano
coloro che assegnano un’importanza contenuta al risparmio, si dichiarano
poco interessati ai temi finanziari e vi dedicano poco tempo. Incontrano
anche molte barriere oggettive all’informazione, trovano piuttosto
difficile capire quale sia il modo migliore di gestire i propri risparmi
e per questo sono spesso ansiosi al momento di investire. L’ultima categoria è costituita dai
risparmiatori "distanti" (13%), che non si interessano alle tematiche
finanziarie, dedicano poco tempo ai propri risparmi, avvertono
disagio nel rapportarsi agli operatori della banca, ma non si sentono
particolarmente inadeguati verso il mondo della finanza. Sotto questa
classificazione rientrano soprattutto gli investitori sfiduciati dagli
scandali finanziari, coloro che non hanno tempo o competenze sufficienti
e quelli colpiti dalla crisi delle borse di inizio secolo. Risparmiatori
che potranno essere riavvicinati al mondo della finanza solo migliorando
il clima di fiducia tra cittadini e istituti di credito e rendendo più
semplice la comunicazione finanziaria.
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Fonte -
La Repubblica |
EURISPES:
ECCO I POVERI IN GIACCA E CRAVATTA 12 Luglio
2007 Roma - di 9Colonne.it ______________________________________________
Aumenta la povertà definita
dall’Eurispes in “giacca e cravatta”, quella che colpisce i ceti
medi in difficoltà, in fila alla mense Caritas. E’ quanto si
legge nello studio "Problemi di famiglia", realizzato in
collaborazione con Federcasalinghe.
Cresce la schiera dei working
poors, ossia quei lavoratori che, pur percependo uno stipendio, la
sera, non avendo la possibilità di una casa nella quale rientrare,
usano i dormitori pubblici. Alla povertà di lungo periodo si va
sempre più affiancando una povertà circoscritta a eventi temporanei
(diminuzione del salario e/o del potere di acquisto, fuoriuscita ed
espulsione dal mercato del lavoro, variazioni nel reddito da
pensione o da sussidio, matrimonio, separazione e/o divorzio,
malattia o decesso della persona di riferimento economico
all’interno della famiglia, ecc.), riferibili a fattori
intermittenti e temporanei di vita. In sostanza, una precaria
condizione socio-esistenziale ed economica non “relativa” o
“assoluta”, “estrema” o “immateriale” ma, appunto, “oscillante”,
temporanea, instabile, talvolta occasionale, spesso ricorrente.
Sono lavoratori o impiegati
improvvisamente ex, che hanno dovuto vendere la macchina di media
cilindrata, che non hanno più soldi per pagare affitto o mutuo, con
carte di credito mute, piccoli conti in banca bruciati, talvolta
angariati dagli usurai ai quali sono stati costretti a ricorrere.
Questi ed altri soggetti “normali” appartenenti ad un ceto medio che
arranca, anche se difficilmente identificabili (per discrezione,
pudore, vergogna, dignità sociale), sono per lo più il simbolo di
persone e nuclei che avevano un reddito e un lavoro, magari
precario, che l’hanno perso e si ritrovano impoveriti; famiglie che
non riescono più a far quadrare i conti, a pagare le bollette per il
mutuo, l’affitto, la luce, il gas e il riscaldamento, le spese di
condominio, costrette sempre più a fare i conti non più con la
quarta ma con la terza settimana.
Nel periodo 2001-2005 l’Eurispes
ha calcolato una crescita complessiva dell’inflazione del 23,7% con
una perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni pari al 20,4%
per gli impiegati, al 14,1% per gli operai, al 12,1% per i dirigenti
e all’8,3% per i quadri. Questo scenario delinea la società
dei tre terzi della quale l’Eurispes ha sempre parlato, dove un
terzo vive all’interno di una zona di sicuro disagio sociale e
indigenza economica, un terzo appare assolutamente garantito e la
fascia centrale (i ceti medi) vive in una condizione di instabilità
e di precarietà.
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Fonte - 9Colonne.it |
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Dopo le
azioni
l'ora del cash
09 Luglio 2007
Milano - di Anna Messia e Gabriele Petrucciani
Hanno
partecipato a questo Forum organizzato da Borsa & Finanza: Caterina
Mameli (resp. gestioni istituzionali di Ubs Global Am), Marco Pirondini
(resp. ricerca azionario globale di Pioneer Investments), Emanuele
Bellingeri (resp. fund buyer Italia di Invesco), Renato Zaffuto
(responsabile investimenti di AAA Sgr), Nicola Trivelli (dir.
investimenti di Sella Gestioni), Cristiano Busnardo (ad di Sgam),
Gianmarco Stanga (responsabile gestioni collettive di Mc Gestioni),
Massimo Cesareo (direttore investimenti gestioni patrimoniali di Dws),
Luca Tenani (resp. divisione mutual funds di Schroders), Carlo Benetti (resp.
asset management di Julius Baer), Corrado Capacci (gestore Compass Am).
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non
necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia,
che rimane autonoma e indipendente.
________________________________________
Non si ferma il valzer delle azioni. Anzi.
Nonostante i rendimenti delle obbligazioni abbiano raggiunto livelli più
che attraenti, l’equity rimane sempre l’asset class preferita dai
gestori. A dispetto di un rialzo dei mercati che dura ormai da più di
quattro anni (è iniziato a marzo del 2003), le valutazioni sono ancora
ragionevoli e in alcuni casi addirittura convenienti. Le aziende sono
sane e il livello di indebitamento è ai minimi storici. Inoltre,
l’economia a livello globale continua a fornire segnali incoraggianti,
con sorprese positive che arrivano da Cina, India e Germania. Insomma,
sembrerebbe proprio che non ci siano elementi che possano far pensare a
un imminente cambio di tendenza. Allo stesso tempo, però, tra le sale
operative comincia a diffondersi un atteggiamento sempre più prudente,
che punta a privilegiare lo stock picking, le singole realtà aziendali.
Quel mix di fattori che ha sorretto l’equity in questi anni (cioè
crescita economica forte, bassa inflazione, abbondante liquidità e bassi
rendimenti obbligazionari), infatti, sta andando via via scemando. E
molte Sgr hanno cominciato a ridurre il sovrappeso azionario nei loro
portafogli. È quanto emerso dal Forum organizzato da Borsa&Finanza,
al quale hanno partecipato: Nicola Trivelli (direttore investimenti di
Sella Gestioni), Cristiano Busnardo (amministratore delegato di Société
Générale Asset Management), Marco Pirondini (responsabile ricerca
azionario globale di Pioneer Investments), Emanuele Bellingeri
(responsabile fund buyer Italia di Invesco), Caterina Mameli
(responsabile gestioni istituzionali e advisory desk di Ubs Global Asset
Management), Luca Tenani (responsabile divisione mutual funds di
Schroders), Gianmarco Stanga (responsabile gestioni collettive di Mc
Gestioni), Carlo Benetti (responsabile asset management di Julius Baer),
Massimo Cesareo (direttore investimenti gestioni patrimoniali e clienti
istituzionali di Dws), Corrado Capacci (gestore di Compass Am) e Renato
Zaffuto (responsabile investimenti di Antonveneta Abn Amro Sgr).
Secondo i money manager, ci sono diversi fattori che consigliano di
adottare un atteggiamento più prudente. Uno su tutti è il rischio bolla
del mercato del credito, che ha raggiunto livelli di eccesso simili alla
bolla azionaria del 2000. E, poi, c’è anche un fattore psicologico.
Oggi, infatti, c’è una maggiore consapevolezza del surriscaldamento dei
mercati azionari. Di conseguenza tutti hanno il dito sul bottone della
vendita, pronti ad alleggerire le proprie posizioni. Per non parlare del
rischio inflazione e del deficit delle partite correnti Usa, che permane
alto e che potrebbe favorire un ulteriore indebolimento del dollaro. Ma
per sapere come muoversi e quali sono le piazze finanziarie, nonché i
settori, da privilegiare, lasciamo la parola ai gestori. 1 Le Borse
hanno iniziato quest’anno il loro quinto giro di valzer. Il vostro motto
rimane ancora equity, equity, equity? O ci sono le condizioni per
cominciare a prendere profitto e guardare con interesse ad altre asset
class? Pirondini: La prima parte del 2007 è stata sicuramente a
favore dell’equity. E personalmente sono convinto che questo trend
positivo proseguirà anche nella seconda parte dell’anno, sebbene a un
ritmo di crescita inferiore. Le valutazioni viaggiano su livelli ancora
attraenti e la maggior parte delle aziende può vantare bilanci in buona
salute. Insomma, il contesto generale è sicuramente positivo e l’unica
fonte di preoccupazione arriva dal mercato del credito. Bellingeri:
Condivido pienamente questa visione. Il clima di crescita economica
sostenuta, senza tensioni inflazionistiche rilevanti, dovrebbe
contribuire al mantenimento di una tendenza positiva del mercato
azionario. Inoltre le valutazioni relative dell’equity, se confrontate
con altre asset class, rimangono attraenti, grazie anche alla crescita
degli utili e a un’attività di M&A che continuerà a essere sostenuta.
Zaffuto: Negli ultimi quattro anni le Borse sono salite quasi
esclusivamente per effetto della crescita degli utili per azione, un
fattore che ora però sembra destinato a decelerare, in Usa e in Europa.
L’espansione dei multipli, comunque, dovrebbe più che compensare questa
frenata. Mi spiego meglio: l’espansione dei multipli dipende dal ciclo
dei tassi e dal premio per il rischio. Le forze sono contrapposte, nel
senso che i tassi di interesse sono destinati a salire, specie quelli
che incorporano il rischio creditizio, mentre l’equity risk premium è
destinato a scendere. In altre parole, mentre sul mercato del credito ci
sono chiari segnali di bolla speculativa, sull’azionario ci sono ancora
delle interessanti opportunità da cogliere. Soprattutto considerando
che, grazie al traino di Cina e Germania, il ciclo economico globale
continuerà a essere robusto.
Trivelli: Anche io credo che il secondo semestre 2007 sarà ancora
all’insegna dell’equity. Allo stesso tempo, però, è consigliabile
muoversi con molta prudenza. I fondamentali macroeconomici ci portano a
dire che non dovremmo essere vicini all’inversione di trend; ma visti i
livelli assoluti raggiunti, i rischi finanziari dovuti alle tensioni sul
settore immobiliare americano e il rischio bolla speculativa sul
credito, riteniamo opportuno sottopesare l’esposizione sull’azionario.
Busnardo: Gli ultimi anni sono stati eccezionali in termini di rialzo,
grazie a un giusto mix di crescita economica forte, bassa inflazione,
abbondante liquidità a disposizione per investimenti, rendimenti
obbligazionari estremamente contenuti e crescita virtuosa dei margini e
dei profitti aziendali. L’impatto combinato di questi fattori ha
sostenuto le azioni in un contesto di volatilità molto bassa. Nei mesi a
venire, però, alcuni di questi fattori, e specialmente la liquidità a
livello globale, non saranno più in grado di fornire un supporto stabile
ai mercati; la conseguenza sarà un aumento della volatilità e
dell’incertezza generale. Di conseguenza, di recente abbiamo preferito
prendere profitto sulle nostre posizioni maggiormente esposte alle
azioni internazionali, ritornando a un contesto di neutralità. Tuttavia,
nel medio periodo manteniamo un orientamento positivo sulle azioni. In
particolare, riteniamo che sorprese rialziste possano arrivare dalla
zona euro.
Stanga: Anche io sono convinto che nel medio periodo il trend
rialzista delle Borse sia destinato a proseguire. Nel breve, invece,
credo sia necessaria un po’ di cautela e soprattutto di discernimento
sui Paesi e settori. Questo ci ha indotto ad adottare all’interno dei
portafogli bilanciati una maggiore neutralità. Cesareo: Considerando
che siamo arrivati al quinto anno consecutivo di crescita dei mercati, è
lecito ritenere che si possano verificare dei vuoti d’aria. Alla fine,
comunque, anche noi siamo convinti che il trend positivo sia destinato a
proseguire. Le Borse non sono troppo tirate; al tempo stesso, però,
suggeriamo una leggera variazione sul tema, e ora il nostro motto è:
equity, equity, cash. Quello che voglio dire è che oggi abbiamo un
atteggiamento sì positivo, ma anche di maggiore cautela. I fattori che
ci spingono a essere ancora positivi sull’equity sono fondamentalmente
due: una crescita mondiale robusta e un’inflazione globale sotto
controllo. Per quanto riguarda i settori i nostri preferiti sono gli
industriali, l’energia, compresa quella alternativa e i tecnologici. Su
Piazza Affari, manteniamo una posizione neutrale, e nonostante il rally
già messo a segno siamo ancora positivi su Eni, Saipem e Tenaris.
Tenani: Ricollegandomi a quanto detto in precedenza da Busnardo, non c’è
dubbio che uno dei principali fattori che ha guidato la performance dei
mercati azionari degli ultimi quattro anni sia stata l’abbondante
liquidità in circolazione. E oggi questo fattore ancora non è venuto
meno. Inoltre, in questi ultimi anni la crescita dei corsi azionari è
stata comunque inferiore a quella degli utili aziendali. Tutto questo,
inserito in un contesto economico globale che è tornato a crescere a
ritmi decisamente sostenuti, ci porta a conservare un atteggiamento
positivo nei confronti dell’equity. Tuttavia, anche noi di recente
abbiamo diminuito il sovrappeso sull’azionario, a causa di una crescita
dei rischi connessi: rischi legati a un potenziale aumento delle
aspettative sull’inflazione e a un rapporto profitti societari/Pil che
potrebbe diventare eccessivamente alto. Se dovessero verificarsi queste
condizioni, i mercati potrebbero correggere. Benetti: In questo
momento non vedo ragioni per poter temere l’inflazione. E questo gioca
sicuramente a favore dell’equity. Tuttavia oggi, al quinto anno
consecutivo di crescita delle Borse, c’è una maggiore consapevolezza che
i mercati possano correggere da un momento all’altro, magari per effetto
di eventi periferici, di fattori di disturbo imponderabili. Perciò
raccomando all’investitore azionario di mantenere sempre un orizzonte
temporale medio-lungo e di adottare un atteggiamento di estrema
selettività nella scelta di settori e titoli per la seconda parte del
2007. Sono a favore di uno stile di gestione growth, privilegiando i
titoli delle large cap. In particolare i settori che sovrappeso sono gli
industriali, le materie prime e gli assicurativi. Sono, poi, positivo
sull’healthcare e le biotecnologie. Mameli: Con un mercato azionario
internazionale che ha messo a segno da inizio anno quasi il 10%, il
nostro modello di valutazione segnala da qualche tempo che le azioni
sono sopravvalutate. Al momento, però, nei nostri portafogli bilanciati
globali conserviamo un leggero sovrappeso sull’equity, per motivi
comportamentali di mercato: in poche parole riconosciamo che il mercato
è ancora sostenuto da fattori quali la liquidità e il fenomeno M&A. Al
tempo stesso però non possiamo ignorare le varie crisi che in fasi
diverse e per motivi diversi si sono registrate sul mercato; in realtà
sono stati tutti tentativi di riprezzamento del rischio da parte del
mercato. A livello di settori, un po’ in controtendenza col mercato,
ritengo interessanti le telecom europee, in vista del consolidamento in
atto tra telefonia mobile e fissa e perché credo, a differenza di altri
miei colleghi, che in questo settore non ci sia un eccesso di
competizione. Resto, infine, positiva sugli assicurativi in Europa.
Capacci: Il nostro motto è «il rendimento come benchmark» e vuole
sintetizzare uno stile di gestione volto alla ricerca del rendimento
assoluto, il più possibile slegato dall’andamento dei mercati. Fatta
questo premessa, posso dire che ultimamente vediamo mercati azionari su
livelli di valutazione generalmente elevati e pertanto l’utilizzo di
coperture è ai massimi storici. 2 Anche sui mercati emergenti ci
sono ancora margini di crescita? E dove conviene investire tra America
Latina, Asia ed Est Europa? Mameli: Anche se i fattori interni, cioè
i fondamentali di questi Paesi restano di supporto, la spinta propulsiva
dei fattori esterni da cui dipende l’evoluzione dell’asset class, cioè
crescita globale e liquidità, sta venendo un po’ meno. Alla fine,
comunque, al momento abbiamo nei portafogli bilanciati globali ancora un
leggero sovrappeso, nell’ordine dell’1 per cento. In termini di aree
preferiamo l’Asia, mentre siamo negativi sull’America Latina e e
neutrali sui Paesi emergenti dell’Est Europa. Capacci: Noi non
abbiamo un’esperienza diretta di investimenti azionari nei mercati
emergenti. Di contro siamo ben presenti sul fronte obbligazionario e dal
contatto diretto con le realtà economiche dei Paesi dell’America Latina
e dell’Est Europa emergono costantemente ottime opportunità di
investimento. In tema di azioni abbiamo maturato la convinzione che il
mercato turco offra un potenziale molto significativo, se nel prossimo
futuro verrà confermata la graduale discesa dell’inflazione. Benetti:
L’inarrestabile fenomeno della globalizzazione, sia pure con forti
contrasti e sperequazioni, ha l’indubbio vantaggio di favorire e
accelerare il processo di catching up di molti Paesi emergenti, ovvero
la lenta ma graduale chiusura del gap di sviluppo con i Paesi più
avanzati. Detto questo, ritengo che quella emergente stia diventando un’asset
sempre meno facoltativa in portafogli globalmente diversificati. In
particolare, tra le aree che meritano attenzione c’è sicuramente
l’America Latina. Ma una regione che reputo di elevato interesse è
quella del Mar Nero, che si caratterizza per la presenza di importanti
risorse naturali e per una industria con elevata sofisticazione
tecnologica. Tenani: In chiave strategica i Paesi emergenti hanno
sicuramente ancora margini di crescita. Basti considerare che il loro
Pil pesa per più del 50% del Pil mondiale e che le loro economie sono
diventate più forti e slegate da quella statunitense. Piuttosto che
suggerire delle macro-aree geografiche, preferiamo segnalare alcuni
Paesi sui quali cui secondo noi vale la pena puntare in chiave tattica:
è questo il caso del Brasile, della Russia e della Thailandia.
Cesareo: All’interno dell’area emergente, riteniamo che Asia e
soprattutto Brasile siano i Paesi al momento più promettenti. Tuttavia,
manteniamo un approccio cauto in quanto sia i mercati asiatici sia
quello brasiliano hanno già assistito a una forte crescita. Stanga:
Tatticamente sarebbe più saggio puntare a un’equa distribuzione tra le
tre aree. Ma da un punto di vista strategico preferiamo sicuramente
l’Asia e l’America Latina. Busnardo: I mercati emergenti sembrano
non aver risentito delle correzioni del mercato cinese e dell’andamento
al rialzo dei tassi d’interesse. In generale le valutazioni sono
leggermente elevate, ma il potenziale di crescita degli utili
sembrerebbe giustificare multipli a questi livelli. In India, per
esempio, i profitti aziendali hanno dimostrato una notevole capacità di
recupero. Gli utili del primo trimestre rimangono solidi e le previsioni
sono estremamente positive. Sul Brasile, invece, dove i dati della
produzione industriale e delle vendite al dettaglio indicano una
crescita economica in probabile accelerazione, abbiamo rivisto le nostre
previsioni al rialzo per il 2007-2008. Tuttavia, in seguito a uno
scenario globale di surriscaldamento, manteniamo una posizione di
cautela in un’ottica di breve periodo. Quindi, sebbene i fondamentali
rimangano solidi, abbiamo reagito all’incremento dei fattori di rischio
adottando una posizione neutrale sui mercati emergenti nel loro
complesso, in linea dunque con la nostra strategia per i mercati
sviluppati. Trivelli: Il trend dei mercati emergenti è ancora
interessante: in particolare per l’area del Sud America, grazie ai
miglioramenti strutturali per il ciclo ancora positivo delle materie
prime (Brasile su tutti), e per l’area asiatica, trainata da una nuova
spinta dei consumi interni. Su questi livelli, comunque, ci potrebbero
essere correzioni, che dovrebbero però essere interpretate come
opportunità di acquisto. Qualche dubbio solo sulla Russia, in vista del
cambiamento in corso sul fronte politico interno. Zaffuto: Riteniamo
che ci siano forze strutturali legate ai processi di globalizzazione e
all’economia cinese piuttosto duraturi. Quindi la risposta è
affermativa: ci sono ampi margini di crescita. In ordine le nostre
preferenze sono per Asia, America Latina ed Est Europa. Bellingeri:
Nel lungo periodo riteniamo che il livello di crescita economica
strutturalmente più elevato rispetto a quello delle altre regioni possa
consentire ai mercati emergenti di continuare a sovraperformare gli
indici dei Paesi sviluppati. Tuttavia, un aumento dell’avversione al
rischio degli investitori, legato principalmente al raggiungimento di
livelli di valutazione elevati, potrebbero generare nel breve periodo
delle prese di profitto. In termini relativi abbiamo una
sovra-ponderazione in Asia. Pirondini: La mia valutazione è
perfettamente in linea con quella espressa dai miei colleghi; le piazze
emergenti hanno tutti i numeri per continuare a fare bene anche in
questa seconda metà del 2007. In particolare, guardiamo con molto favore
al continente asiatico. 3 I rendimenti obbligazionari hanno
raggiunto livelli interessanti. Secondo voi non è arrivato il momento di
cominciare a guardare anche ai bond? Pirondini: Noi continuiamo ad
avere una visione piuttosto cauta sul fronte obbligazionario. Il
processo di normalizzazione dei tassi, che a mio avviso rimangono bassi,
è appena iniziato e per i prossimi mesi è lecito attendersi ulteriori
riaggiustamenti della curva dei rendimenti. Di conseguenza, riteniamo
che nella seconda parte del 2007 l’equity continuerà a offrire più
valore rispetto ai bond. Bellingeri: Condivido in pieno. Le
politiche monetarie rimangono in una fase restrittiva quasi
generalizzata e nuove manovre in tal senso sono attese nel terzo
trimestre oltre che nella zona euro anche nel Regno Unito, in Giappone e
in Cina. Per quanto riguarda i tassi a lungo termine, invece, la
correzione non ci sembra conclusa: il dinamismo della crescita economica
mondiale giustifica una normalizzazione delle curve di rendimento e un
ritorno dei tassi reali a lungo termine verso le loro medie storiche,
dopo diversi anni di sorprendente debolezza. Ne consegue che un aumento
dell’esposizione in asset obbligazionari ci sembra assolutamente
prematuro. Zaffuto: Anche noi riteniamo che non sia ancora giunto il
momento di puntare sui bond. Il processo di normalizzazione dei tassi di
interesse è appena agli inizi: i tassi monetari salgono perché
l’economia europea, trainata dalla Germania, è finalmente robusta; e i
titoli di stato a lunga scadenza hanno un premio per la scadenza troppo
esiguo, quindi sono destinati a salire. In un contesto come questo è
meglio stare alla larga dall’obbligazionario. Trivelli: Effettivamente
sulla parte lunga della curva c’è ancora qualche rischio. Ma sulla parte
breve noi cominciamo già a vedere delle interessanti opportunità
d’investimento. Busnardo: Nell’attuale configurazione di mercato,
non si possono escludere rinnovate pressioni al rialzo sulla curva dei
rendimenti a livello globale. Il nostro orientamento, dunque, è di
sottopesare i titoli governativi. In particolare, ci attendiamo che tale
pressione arrivi da tre fonti principali: in primo luogo potrebbero
esserci sorprese sul fronte della crescita economica nel breve termine.
La seconda fonte di pressione al rialzo sui rendimenti nominali
potrebbe, invece, arrivare dalla crescente preoccupazione sul fronte
inflazionistico. Infine, l’ultimo elemento è il famoso fenomeno «conundrum»
introdotto da Greespan, relativo all’eccesso di liquidità globale, ma in
progressiva diminuzione. Da notare come la richiesta da parte dei fondi
pensione di soluzioni d’investimento a reddito fisso potrebbe nel tempo
agire da freno sui rendimenti dei bond.
Stanga: Anche noi riteniamo che al momento non si debba ancora puntare
sulle obbligazioni. In particolare, siamo convinti che in una
congiuntura globale di rialzo-mantenimento dei tassi attuali il comparto
obbligazionario a lungo termine sia da sottopesare a favore della parte
breve della curva. Cesareo: Mi trovo perfettamente d’accordo con
quanto è stato detto fino a ora. È indubbio che l’incremento dei tassi
monetari ha, di fatto, già impattato sulla parte lunga dei rendimenti.
Ma è altrettanto indubbio che conviene ancora attendere prima di
investire sulle obbligazioni a lungo termine e che è meglio puntare
sulla parte breve della curva, dove i rendimenti sono leggermente
inferiori, ma anche il rischio è minore. Tenani: Sì, è vero, è
ancora presto per puntare sul mercato obbligazionario. Non siamo ancora
arrivati in prossimità dei picchi dei tassi d’interesse in Europa, per
cui riteniamo che fino alla fine di quest’anno sia preferibile investire
in questa asset class con un approccio flessibile, a rendimento
assoluto, piuttosto che prendere delle scommesse direzionali di duration.
Benetti: Come il 2006, anche il 2007 non è un anno semplice per i
gestori obbligazionari: certamente, in un portafoglio bilanciato le
obbligazioni costituiscono una sorta di «assicurazione» contro gli
imprevedibili shock dei corsi azionari e come ogni assicurazione esige
un premio. Così detenere obbligazioni si è rivelato un
costo-opportunità. Riteniamo comunque che il mercato obbligazionario
abbia superato il momento più difficile. La congiuntura Usa si trova in
una fase delicata, ma poiché la Fed giudica ancora elevato il rischio di
surriscaldamento dei prezzi non ci attendiamo manovre sui tassi
ufficiali nella restante parte dell’anno. La Bce, invece, ha portato al
4% il tasso ufficiale con due interventi a marzo e in giugno e ci
attendiamo un andamento laterale dei rendimenti obbligazionari in euro.
Di conseguenza riteniamo che sia prematuro allungare l’esposizione in
bond.
Capacci: Il vero problema del mercato obbligazionario è che la curva
dei rendimenti continua a essere molto piatta: investendo su scadenze
lunghe si ottiene solo un marginale miglioramento del rendimento, con
una ricompensa per l’extra-rischio a nostro giudizio non adeguata.
Mameli: Per quanto ci riguarda, alla luce del recente rialzo dei tassi,
nei portafogli bilanciati globali abbiamo effettuato un cambio
strategico con uno switch dal cash verso i bond. Poiché i tassi si sono
avvicinati a quelli che secondo noi sono i valori di equilibrio, siamo
diventati meno negativi sui titoli di Stato, anche se la duration rimane
corta un po’ in tutte le aree. Siamo particolarmente negativi sui bond
giapponesi e inglesi. Guardiamo con favore, invece, ai bond europei,
dove i tassi a lunga sono prossimi ai nostri i valori di equilibrio e
dove anche in termini di duration siamo tornati quasi neutrali. Stiamo
entrando in una fase di consolidamento, dove il guadagno che ci
aspettiamo dalla cedola è tornato interessante rispetto alla perdita che
possiamo avere in conto capitale. In particolare, a nostro parere lo
spazio di rialzo sulla parte lunga nel mercato europeo è più limitato
rispetto ad altri mercati. Per due motivi: da un lato per la domanda
degli istituzionali, come i fondi pensione, che sostengono le
valutazioni; dall’altro per l’attenzione al miglioramento dei deficit
fiscali che ci aspettiamo in Europa. 4 Un’ultima domanda
sull’industria italiana del gestito. A novembre entrerà in vigore la
Mifid. Quali saranno gli effetti su un sistema fondi ormai in crisi
conclamata? Mameli: La Mifid è una direttiva europea di
armonizzazione che disciplina intermediari e mercati finanziari, dunque
in generale i servizi d’investimento. L’obiettivo sarebbe l’unificazione
dei mercati finanziari europei. In estrema sintesi vi sono due
macro-aree. La prima legata all’abolizione dell’obbligo di
concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati. La seconda
relativa all’aumento delle tutele e delle garanzie per gli investitori
in vari modi. È chiaro che dalla parte degli investitori la prima
macro-area porterà a un aumento della competizione e dunque a una
riduzione dei costi: la seconda macro-area invece porterà a consulenze
d’investimento più obiettive, maggiore trasparenza e prezzi più
competitivi. Dalla parte delle case d’investimento, invece, è ovvio che
nel breve i maggiori vincoli porteranno a un aggravio di costi e che la
maggiore trasparenza sui prezzi dei prodotti e sulla ripartizione tra
asset manager e distributore porterà a una compressione dei margini. Con
la maggiore trasparenza e la maggiore competizione solo i migliori
riusciranno a sopravvivere. Di conseguenza le case d’investimento che
vorranno restare sul mercato dovranno migliorare servizio e performance.
Capacci: Questi cambiamenti normativi non faranno altro che accelerare
il processo di «polarizzazione» del mercato del risparmio gestito tra
prodotti passivi di tipo «index tracking» e prodotti con stile attivo o
volto al rendimento assoluto. Le banche saranno sempre più
distributrici, a meno di non avere un’offerta captive competitiva, e
cercheranno sempre più di recuperare margine attraverso prodotti
strutturati e a capitale garantito che in realtà vanno contro
l’interesse dei risparmiatori. Benetti: Io vorrei semplicemente
ricordare che l’industria del risparmio gestito, in Italia come in
Europa, è già una «casa di vetro» e che i prodotti gestiti, sia
collettivi sia individuali, godono di un grado di trasparenza
ineguagliato da altri prodotti che ultimamente sono nelle preferenze di
risparmiatori e collocatori. In particolare, per quanto riguarda
l’Italia, la rigorosità e il grado di dettaglio della direttiva la
rendono in perfetta coerenza con il dettato costituzionale che
all’articolo 47 stabilisce che «la Repubblica incoraggia e tutela il
risparmio in tutte le sue forme». La direttiva Mifid, infatti,
interviene con norme dettagliate e prescrittive su molti aspetti del
rapporto tra industria e investitore. Il fatto, poi, che il legislatore
europeo abbia scelto la strada non della moral suasion o di indicazioni
di minima ai singoli Stati membri, ma quella della armonizzazione forte,
è nello stesso tempo un riconoscimento della «pervasività» dei mercati
finanziari e degli operatori che varcano facilmente le frontiere
nazionali. Tenani: Qualsiasi norma che vada nella direzione di
tutelare maggiormente il risparmiatore finale va accolta favorevolmente.
Ben venga, quindi, la Mifid se i suoi intenti di rendere il mercato più
trasparente, più efficiente e scevro da conflitti d’interesse, avranno
un impatto su tutte le forme di risparmio gestito, nessuna esclusa.
Detto questo, sull’industria dei fondi, e non solo su quella italiana,
potrebbe esserci ripercussioni negative, se la Mifid escludesse dalla
regolamentazione alcuni prodotti di gestione del risparmio, sui quali
distributori non virtuosi potrebbero concentrare i loro sforzi
commerciali. Cesareo: Indubbiamente l’industria italiana del
risparmio gestito sta subendo forti contraccolpi: nei soli primi sei
mesi del 2007 il mercato dei fondi comuni di investimento ha perso ben
20 miliardi di euro. Pensiamo che la direttiva Mifid apporterà al
sistema fondi delle interessanti novità, anche a tutela del
risparmiatore.
Stanga: A nostro avviso la Mifid impatterà soprattutto sui canali
distributivi, dove l’attuale livello commissionale sarà giustificato
solo a fronte di un notevole miglioramento dei servizi offerti alla
clientela.
Busnardo: Alla luce dei dati di raccolta, è chiaro come per gli
operatori nazionali sia necessario un forte riorientamento strategico.
In quest’ottica, la direttiva Mifid non potrà che accelerare una
modifica delle strategie e delle strutture organizzative delle Sgr
domestiche, che a parità di costo dovranno dimostrare di offrire
prodotti qualitativamente comparabile ad altri. Questo elemento porterà
sia a una focalizzazione delle Sgr italiane sulle proprie aree di
effettiva eccellenza sia a un ulteriore rafforzamento del trend di
crescita dei prodotti multi-manager.
Trivelli: L’introduzione della Mifid è da leggere sicuramente in
chiave positiva, come un processo che darà maggior trasparenza al
mercato; andrebbe però affiancato dalla riforma fiscale di equiparazione
dei prodotti finanziari e da regole comuni di trasparenza sui differenti
classi di strumenti finanziari. Bellingeri: Ci sarà maggiore
efficienza nell’asset management e maggiore tutela per gli investitori
privati. Le società che gestiscono fondi italiani, comunque, non devono
nascondersi dietro il problema della diversa tassazione, ma devono
affrontare una scelta strategica e investire per avvicinare le strutture
di gestione a quelle delle maggiori case internazionali. Sicuramente la
strada non sarà facile, perché ci troviamo in uno scenario competitivo
dove i distributori da un lato privilegiano la vendita di prodotti più
remunerativi, come strutturati e prodotti assicurativi, e dall’altro si
rivolgono sempre più a un concetto di open architecture. Inoltre, alla
luce della nuova direttiva e della sempre maggiore attenzione al
problema costi, ritengo che prodotti come gli Etf faranno sempre più
concorrenza a quelli tradizionali.
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Fonte -
Bloomberg - Borsa&Finanza |
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