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IRAQ,
il
Vietnam di George Bush
07
Aprile 2004
14:09 New York
(di
Edward Kennedy)
Nella
nostra società aperta è essenziale essere in grado di distinguere un acceso
dibattito, fondato su rispettabili differenze di opinioni, dall´uso reiterato
di argomentazioni false e fuorvianti al fine di persuadere il popolo americano.
L´integrità è la linfa vitale della democrazia. L´inganno è un veleno che
scorre nelle sue vene.
Principio fondamentale di ogni democrazia rappresentativa è che il
popolo abbia fiducia nel proprio governo. Se i nostri leader tradiscono questa
fiducia, tutte le nostre parole di speranza e di ottimismo e tutte le nostre
promesse di progresso e di giustizia non potranno che suonare come falsità alle
orecchie della nostra gente e del mondo intero, e i nostri obiettivi non
potranno mai essere raggiunti.
Questa Amministrazione è tristemente venuta meno al rispetto delle
regole basilari che garantiscono un dibattito politico chiaro e limpido. Su ogni
questione dice una cosa al popolo americano e ne fa un´altra. Inventa
ripetutamente «fatti» per poter più legittimamente attuare i programmi
predeterminati nella sua agenda. Questo schema è stato seguito sin dai primi
giorni del presidente Bush alla Casa Bianca, e il risultato è che si è venuto
a creare il maggior deficit di credibilità dai tempi di Richard Nixon.
Negli ultimi mesi è divenuto sempre più chiaro che
l´amministrazione Bush ha mentito sulla minaccia rappresentata per la nazione
dal regime iracheno. A un anno dall´inizio della guerra gli americani
continuano a chiedersi perché l´Amministrazione abbia deciso di intervenire in
Iraq, sebbene questo Paese non costituisse un pericolo reale, sebbene non
possedesse armi nucleari, chimiche o biologiche, sebbene non avesse concreti
legami con Al Qaeda né collegamenti con gli attacchi terroristici dell´11
settembre.
Tragicamente, prendendo la decisione di entrare in guerra,
l´amministrazione Bush si è aggrappata alla sua ostinata ideologia per
occultare la fredda e dura evidenza: l´Iraq non rappresentava una minaccia
immediata. Ha ingannato il Congresso e il popolo americano, poiché era conscia
del fatto che non avrebbe ottenuto l´autorizzazione alla guerra da parte del
Congresso qualora fosse stato a conoscenza della reale situazione.
Con la guerra in Iraq, fondata dunque su un inconsistente pretesto,
il presidente Bush ha trascurato la vera guerra al terrorismo, concedendo ad Al
Qaeda due anni, ben due anni, per riorganizzarsi e riassestarsi nelle regioni di
confine dell´Afghanistan. Come dimostrano gli attentati di Madrid e altri
recenti eventi, Al Qaeda si è servita di questo tempo per dislocare cellule in
tutto il mondo e creare legami con numerosi gruppi terroristici di altri Paesi.
Con la guerra in Iraq abbiamo inoltre deteriorato i rapporti con i
nostri alleati storici in tutto il mondo, non considerando che il loro aiuto è
per noi di fondamentale e urgente importanza sia sotto il profilo militare, sia
per quanto concerne l´intelligence e più in generale il rispetto della
legalità. Abbiamo accresciuto l´odio nei confronti dell´America e contribuito
a rendere la guerra al terrorismo ancora più difficile da vincere.
La nostra politica estera versa in una crisi strutturale, molto
pericolosa. Abbiamo perso il rispetto delle altre nazioni del mondo. Come
possiamo ricostruirlo? Come possiamo riprendere a lavorare con gli altri Stati
per vincere la guerra al terrorismo e far prevalere gli ideali che condividiamo?
Possiamo forse aspettarci che lo faccia il presidente Bush? Lui è il problema,
non certo la soluzione. L´Iraq è il Vietnam di George W. Bush e questo Paese
ha bisogno di un nuovo Presidente.
E´ chiaro che la prima vittima della guerra è stata la verità.
Ma l´atteggiamento equivoco e mellifluo di questa Amministrazione non si limita
alle questioni di guerra e pace. E´ stato ampiamente dimostrato come sia parte
integrante di tutta l´azione politica del Presidente, sia interna sia estera.
In questa Amministrazione, la verità è la prima vittima della politica.
Questa tattica è una delle arti apprese dall´odierna Casa Bianca
dalle battaglie politiche dei primi Anni Novanta. Il popolo americano
nell´ultimo decennio non ha mai dato fiducia ai programmi dell´estrema destra
repubblicana quando essi sono stati esposti in modo chiaro e diretto. Persino
molti di coloro che avevano contribuito al trionfo di Newt Gingrich nel 1994
guardarono con costernazione al modo in cui il crudo estremismo della leadership
repubblicana al Congresso intimoriva e respingeva gli elettori.
Sfortunatamente gli strateghi repubblicani non hanno imparato ciò
che avrebbero dovuto da quell´esperienza. Durante la campagna del 2000
l´America ha conosciuto un candidato presidente che ha promesso che la politica
estera statunitense sarebbe stata quella di una «umile nazione», non di una
«nazione arrogante». Si è presentato come un conservatore, ma ha promesso che
sarebbe stato un «conservatore compassionevole». Ha promesso di venire
incontro alle pressanti richieste degli anziani volte ad ottenere il rimborso
delle spese mediche tramite il Medicare.
Che fine hanno fatto tutte queste promesse? Una volta giunto alla
Casa Bianca, George Bush in politica estera si è dimostrato arrogante,
tutt´altro che umile; in politica interna si è rivelato conservatore,
tutt´altro che compassionevole. Ormai è chiaro, il linguaggio rassicurante
della campagna elettorale del 2000 non era altro che un cavallo di Troia
cinicamente costruito per portare l´estrema destra repubblicana alla Casa
Bianca.
Gran parte del dibattito di queste ultime settimane è stato
incentrato sugli inganni del Presidente sull’Iraq e sulla guerra al
terrorismo. Richard Clarke ha svelato la verità sulle gravi leggerezze
dell´Amministrazione che pure era a conoscenza della terribile e crescente
minaccia terroristica prima dell´11 settembre.
E´ stata inoltre fatta chiarezza sulle errate valutazioni del
Presidente sull’Iraq. La scriteriata guerra irachena ci ha fatto perdere di
vista la vera guerra che dobbiamo vincere, e anzi la ha resa maggiormente
insidiosa, lasciando l´America sempre più isolata nel mondo.

La Stampa
IRAQ:
ecco i vincitori
Lynne Cheney: moglie del Vice Presidente.
La Cheney
e' stata dal 1994 al 2001
uno dei directors nel consiglio d' amministrazione della Lockheed Martin,
il colosso del settore difesa/spazio che produce missili cruise e possiede
attualmente un sistema satellitare militare da 800 milioni di dollari di
supporto alle truppe in Iraq.
John Bolton: uno dei principali artefici della politica di Bush sull'Iraq, ha
lavorato con Bush Senior e Reagan al Dipartimento di Stato, al
Dipartimento di Giustizia, all'Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale
(USAID), e attualmente e' sottosegretario per il controllo sugli armamenti
e la sicurezza internazionale. E' un membro del Jewish Institute for
National Security Affairs (JINSA), un gruppo di destra che pone Israele e
la sua sicurezza al centro della politica estera statunitense, e del
Progetto per il Nuovo Secolo Americano (PNAC). E' inoltre il vice
presidente dell'American Enterprise Institute (AEI). I suoi interessi
economici sono legati a compagnie petrolifere e di armamenti e alla JP
Morgan Chase, come George Shultz. Si dice sia convinto dell'inevitabilita'
dell'Apocalisse.
Ahmed Chalabi: capo del Congresso Nazionale Iracheno con base a Londra. E'
sostenuto da Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld, Richard Perle, Douglas Feith
e il JINSA, e ha legami con l'American Enterprise Institute (AEI).
Wolfowitz e Rumsfeld hanno fatto pressioni affinché Chalabi fosse il
leader provvisorio nel dopoguerra in Iraq. Condannato in contumacia in
Giordania per essere coinvolto in un enorme scandalo di appropriazione
indebita, Chalabi ha ricevuto 12 milioni di dollari da Washington dopo la
prima Guerra del Golfo. In Iraq lavorera' al fianco di Robert Reilly,
intimo amico e socio in affari.
Dick Cheney: segretario della difesa sotto George H.W. Bush, fino all'inizio
del 1993. Attualmente Vice Presidente, Cheney e' un membro fondatore del
PNAC ed e' stato membro del consiglio direttivo del JINSA; ha sostenuto
l'attuazione del cambio di regime in Iraq per oltre un decennio. E' stato
presidente e amministratore delegato della compagnia petrolifera
Halliburton. L'affiliata dell'Halliburton,
la Kellogg Brown
& Root (KBR), si e'
assicurata contratti per il valore di 7 miliardi di dollari dall'U.S. Army
Corp of Engineers per il recupero dei pozzi petroliferi iracheni in
fiamme. E' un membro del consiglio di amministrazione dell'American
Enterprise Institute e ha contatti con
la Chevron
, per la quale ha condotto le
trattative per la costruzione di un oleodotto nel Mar Caspio.
Douglas J. Feith: sottosegretario al Pentagono. Feith seleziona i membri del
Defense Policy Board e fa parte del consiglio d'amministrazione del JINSA.
In qualita' di avvocato, ha rappresentato
la Northrop Grumman.
Feith e' un infervorato difensore di Israele e un entusiasta
sostenitore di Chalabi.
Zalmay Khalilzad: di origine afghana, e' l'inviato speciale di George W. Bush in
Afghanistan e in Iraq, ed e' coinvolto in grossi interessi petroliferi.
Scrisse un articolo su Saddam Hussein, dal titolo "Overthrow Him"
(Rovesciamolo, NdT) insieme a Paul Wolfowitz, suo ex superiore. Consulente
per la compagnia petrolifera Unocal, ha esercitato pressioni per la
costruzione di un gasdotto di gas naturale in Afghanistan durante il
regime talebano, e ha lavorato per Condoleezza Rice quando era direttrice
della Chevron. E' inoltre un forte alleato di George Shultz. E' un ex
collaboratore della RAND Corporation e socio fondatore del PNAC.
Lewis Libby: direttore del personale di Cheney. Libby era al Dipartimento
della Difesa di George H.W. Bush; amico intimo di Paul Wolfowitz; socio
fondatore del PNAC; membro del consiglio di amministrazione della RAND
Corporation, che ha sottoscritto numerosi contratti con il Pentagono.
Libby e' proprietario di azioni di compagnie di armamenti e ha interessi
in diverse compagnie petrolifere; consulente per
la Northrop Grumman
, che esercita una certa influenza sul Defense Policy Board (DPB),
considerato la mente del Pentagono.
La Rand Corporation
ha appalti per la difesa per 83 milioni di dollari.
Andrew Natsios: capo dell'USAID, il dipartimento che assegna i contratti per la
ricostruzione dell'Iraq, presso il quale solo le compagnie Usa possono
presentare le offerte di appalti. Natsios e' un tenente colonnello in
pensione della prima Guerra del Golfo. Come amministratore delegato della
Massachusetts Turnpike Authority, ha diretto il progetto per la
costruzione di un tratto di autostrada di cinque chilometri a Boston,
sovvenzionato dalla Bechtel, superando di 10 miliardi i costi previsti,
con il maggiore incremento di budget avvenuto proprio durante il suo
incarico.
Richard Perle: membro chiave del JINSA e importante esponente dell'American
Enterprise Institute (AEI). Insieme a James Woolsey, presiede
la Foundation
for the Defense of Democracies.
Perle
e' stato presidente del Defense Policy Board dal quale ha dato le
dimissioni in seguito allo scandalo per il conflitto d'interesse relativo
alle sue connessioni imprenditoriali, ma fa tuttora parte dell'ente. Perle
ha offerto consulenze per i clienti della Goldman Sachs, una societa'
d'investimento, sulle opportunita' d'investimento nel dopoguerra in Iraq.
E' inoltre un dirigente della Autonomy Corp., un' azienda di software che
ha molti clienti al Pentagono. L'Autonomy prevede un forte aumento dei
suoi profitti dopo la fine della guerra in Iraq.
Robert Reilly: ex direttore di Voice of America, un'emittente radiofonica
pro-Usa. A Reilly e' stata affidata la riorganizzazione delle radio, delle
televisioni e dei giornali iracheni. Ha gia' avviato Radio Free Iraq,
usando i trasmettitori installati in Medio Oriente per le operazioni
psicologiche militari. E' anche coinvolto nella creazione di un network in
Medio Oriente. L'avvio di un'emittente TV satellitare da 62 milioni di
dollari e' previsto per la fine dell'anno. E' amico intimo e socio in
affari di Ahmed Chalabi.
Condoleezza Rice: consigliere per la sicurezza nazionale di Cheney.
La Rice
e' stata direttrice della
Chevron fino al 2001 e una petroliera porta il suo nome. Durante il suo
incarico, l'amministratore delegato della Chevron Kenneth Derr una volta
disse: "L'Iraq possiede vaste riserve di petrolio e gas che vorrei
la Chevron
potesse sfruttare".
Donald Rumsfeld: segretario della difesa sotto George W.
Bush. Rumsfeld e' socio
fondatore del PNAC. E' tra gli uomini con le piu' forti conoscenze
politiche in America, e pianificatore dell'invasione dell'Iraq. Ogni
dettaglio sulla ricostruzione del dopoguerra deve essere discusso con
Rumsfeld. Come inviato speciale di Ronald Reagan in Iraq negli anni ‘80,
durante la guerra tra Iran e Iraq, ha incontrato Saddam Hussein per
discutere della costruzione di un oleodotto per conto della Bechtel,
mentre l'Iraq e l'Iran usavano gas asfissianti l'uno contro l'altro.
Rumsfeld lavorava allora per il segretario di stato di Reagan, George
Shultz, che divenne vice presidente della Bechtel, attualmente uno dei
principali concorrenti che vogliono assicurarsi gli appalti del governo
Usa per la ricostruzione dell'Iraq.
George Shultz: segretario di stato sotto Richard Nixon, consigliere per la
campagna presidenziale di George W. Bush, e membro del consiglio direttivo
della Bechtel. Shultz e' una delle menti chiave dell'amministrazione Bush
per la gestione del dopoguerra in Iraq e presidente del consiglio
internazionale della JP Morgan Chase, il gruppo bancario in cui Lewis
Libby detiene forti investimenti.
La Morgan Chase
finanzio' il regime di
Saddam con 500 milioni di dollari nel 1983. Shultz e' un membro del
Comitato per
la Liberazione
dell'Iraq e un mecenate
dell'American Enterprise Institute (AEI).
Paul Wolfowitz: vice segretario della difesa di Donald
Rumsfeld. Wolfowitz e' il
principale ideologo dell'Amministrazione Bush e l'architetto chiave della
ricostruzione nel dopoguerra in Iraq. E' uno dei membri principali del
gruppo neoconservatore PNAC, che sosteneva il cambio di regime in Iraq
gia' prima della nomina di George W. Bush. Wolfowitz e' inoltre un membro
chiave del JINSA.
R. James Woolsey: vecchio sostenitore della guerra in Iraq, membro del PNAC e del
JINSA e ex direttore della CIA sotto Bill Clinton (1993-95). Woolsey
potrebbe divenire il ministro dell'informazione nel governo provvisorio
iracheno nel dopoguerra. Presiede
la Foundation
for the Defense of Democracies, insieme a Richard Perle. I
suoi interessi economici sono legati alla British Aerospace,
la Titan Corporation
, e
la DynCorp. Ha
dichiarato, "solo la
paura ristabilira' il rispetto degli arabi verso di noi; abbiamo bisogno
di un piccolo Machiavelli."
Bechtel Inc.: quasi certamente si aggiudichera' appalti per 900 milioni di
dollari. Il giro di affari per la ricostruzione dell'Iraq potrebbe
ammontare a 100 miliardi.
La Bechtel
ha donato 1 milione e
trecentomila dollari ai fondi per le campagne politiche sin dal 1999, la
maggior parte dei quali sono andati al Partito Repubblicano. George Shultz
e' un ex amministratore delegato della Bechtel e fa ancora parte del
consiglio di amministrazione. Un altro repubblicano connesso alla
compagnia e' l'ex segretario della difesa di Reagan, Caspar Weinberger.
Jack Sheehan, generale del Corpo dei Marine in pensione, e' il vice
presidente senior, e presiede l'ente influente del Pentagono, il Defense
Policy Board. Nel 1980,
la Bechtel
propose la costruzione di un
oleodotto attraverso l'Iraq, incaricando Donald Rumsfeld come
intermediario. Inoltre, Rumsfeld, durante il suo incarico al Dipartimento
di Stato sotto Reagan (con George Shultz, come segretario di stato,
successivamente vice direttore della Bechtel), tratto' con Saddam Hussein
per conto della Bechtel per la costruzione dell'oleodotto.
La Bechtel
ha costruito Camp X-Ray di
Guantanamo, per la detenzione a tempo indeterminato dei sospetti membri di
al Qaeda, per 16 milioni di dollari.
Booz Allen Hamilton: agenzia di consulenza, che ha vinto un contratto per
sviluppare un modello computerizzato sulla societa' irachena nel
dopoguerra della prima Guerra del Golfo.
La Booz Allen
ha inoltre legami con James
Woolsey e con il Defense Policy Board.
DynCorp: connessa all'ex direttore della CIA James Woolsey. Fornisce
servizi di sicurezza nei luoghi di crisi internazionale in cui l'America
ha intrapreso il ruolo di poliziotto.
La DynCorp
corrisponde alle
inclinazioni intellettuali di Woolsey: insieme a Richard Perle, presiede
la Foundation
for the Defense of Democracy,
un'organizzazione a sostegno dell'esercito.
La DynCorp
fornisce le guardie del
corpo a Hamid Kharzai, il Presidente afghano, e ha installato un servizio
di sicurezza in Bosnia.
La DynCorp
e' stata denunciata per violazioni dei diritti umani in
Bosnia, per disastri ambientali in Ecuador e per frode in America.
Fluor Corp: ha donato 275.000 dollari ai Repubblicani e 3.500 dollari
direttamente a George W. Bush.
La Fluor Corp.
ha legami con funzionari dei
servizi segreti e di societa' di appalti per la difesa, tra i quali
Kenneth J. Oscar, ex segretario per l'esercito, e Bobby R. Inman,
ammiraglio in pensione, ex direttore della NSA e vice direttore della CIA.
Halliburton: gigante petrolifero una volta diretto da Dick Cheney. Cheney
lascio' la compagnia con una liquidazione di circa 30 milioni di dollari.
Ha ricevuto pagamenti posticipati di 180.000 dollari all'anno durante il
suo incarico di vice presidente. L'affiliata della Halliburton,
la Kellogg Brown
& Root (KBR), e' stata la prima compagnia ad aggiudicarsi un
contratto dal Pentagono per la ricostruzione in Iraq, per chiudere i pozzi
petroliferi incendiati. Il contratto si aggira sui 500 milioni di dollari
ed e' stato assegnato dall'Army Corps of Engineers senza nessuna gara
d'appalto.
La KBR
e' inoltre uno dei due
appaltatori scelti dalla Defense Threat Reduction Agency per provvedere
all'eliminazione delle armi di distruzione di massa, qualora venissero
trovate. Dal 1999,
la Halliburton
ha devoluto il 95 percento,
ovvero circa 700.000 dollari, dei suoi contributi elettorali al Partito
Repubblicano, e circa 18.000 dollari a George W. Bush.
International Resources Group (IRG):
compagnia di Washington che ha vinto una gara d'appalto per 70 milioni di
dollari, per avviare il programma di aiuti umanitari in Iraq. Ovviamente,
l'operazione richiede la stretta collaborazione con l'USAID, l'ente che
assegna gli appalti. Quattro dei vice presidenti dell'IRG hanno avuto
incarichi di rilievo all'USAID e 24 su 48 dei suoi addetti tecnici hanno
lavorato per l'USAID.
Lucent Technologies: il deputato californiano Darell Issa chiede che a
compagnie come
la Lucent Technologies
e
la Qualcomm
venga affidata la
ricostruzione degli obsoleti sistemi di telecomunicazione iracheni, un
giro d'affari pari a circa 1 miliardo di dollari. Il sottosegretario al
Pentagono Douglas Feith ha investito fino a 500.000 dollari nella Lucent,
e il capo del personale di Dick Cheney, Lewis Libby, possiede azioni della
Qualcomm.
Northrop Grumman: uno dei principali vincitori di appalti in seguito agli aumenti
di budget per la difesa voluti da Bush. Ha vinto gare di appalti per 8
miliardi e cinquecento milioni di dollari durante il
2002. Ha
legami con l'AEI e i falchi
dell'amministrazione Bush. La compagnia ha previsto una fusione con
la Lockheed Martin
, un altro gigante della difesa, del cui consiglio di
amministrazione fa parte la moglie di Dick Cheney.
Parsons Corp.: ha donato 152.000 dollari al Partito Repubblicano e a George W.
Bush. Ha collaborato alla ricostruzione in Kosovo e in Bosnia e ha
costruito la "citta' militare" saudita di Yanbu. Il segretario
del lavoro di Bush, Elaine Chao, era membro nel consiglio di
amministrazione prima di andare al governo. Ha la possibilita' di
aggiudicarsi appalti di ricostruzione per 900 milioni di dollari e
collabora con
la Halliburton. Il
marito della Chao, il capogruppo di maggioranza Mitch McConnell,
ha legami con la compagnia di appalti per la difesa Northrop Grumman. Ha
ricevuto inoltre contributi, tra gli altri, dalla Halliburton e dal
produttore di armi Lockheed Martin.
Raytheon Corp.: scelta dalla Defense Threat Reduction Agency, insieme alla KBR
della Halliburton, per l'eliminazione delle armi di distruzione di massa,
qualora venissero trovate.
La Raytheon
, insieme alla Lockheed
Martin, partecipa alla costruzione dei missili Patriot.
Steve Doring Services of America (SSA):
importante compagnia portuale di Seattle che ha vinto la prima gara di
appalti dell'USAID per la ricostruzione in Iraq, un contratto di quasi
cinque milioni di dollari per la gestione del porto strategico iracheno di
Umm Qasr. Nota per le sue battaglie contro i sindacati, ha un volume
d'affari di 1 miliardo di dollari all'anno, e il suo presidente, John
Hemmingway, ha offerto personalmente contributi ai candidati repubblicani.
Generale Jerry Bates: ha condotto operazioni logistiche e di supporto nel
dopoguerra iracheno. Bates partecipo' all'intervento militare a Haiti. E'
il vice presidente senior del National Group, un ramo del MPRI (Military
Professionals Resources Inc.).
Tratto da "CENSURA. Le notizie piu' censurate nel
2003", estratto pubblicato per gentile concessione di
www.nuovimondimedia.it - no copyright.

13 Aprile 2004
00:41 New
York (WSI)
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Lavoro
USA: dubbi
sul boom di nuovi posti
02
Aprile 2004
17:15 Siena
(di
*Antonio Cesarano)
I
dati sul mercato del lavoro Usa di marzo hanno nettamente sorpreso in positivo
le attese. In termini di numero di posti di lavoro creati si è registrata la più
alta variazione positiva (+308.000) dall'aprile del 2000.
L'aumento del numero di posti di lavoro ha interessato soprattutto
il settore dei servizi (+230.000), mentre nel settore manifatturiero per la
prima volta dopo 43 mesi si è arrestata la distruzione di posti di lavoro.
Ancora una volta, l'andamento del tasso di disoccupazione non ha
rappresentato il vero indicatore dello stato di salute del mercato del lavoro.
Il dato, infatti, ha registrato un rialzo (da +
5,6 a
+5,7%), ma in tal caso è stato
influenzato da un evento positivo rappresentato dal fatto che, dopo diversi mesi
in cui si registrava una fuoriscita dalla forza lavoro, vi è stato un forte
ritorno di lavoratori ricompreso nel novero della forza lavoro al punto che nel
mese di marzo la variazione è stata positiva per 14.000 unità.
Nel complesso il dato può essere considerato positivo e ben
augurante per il trimestre che si è appena aperto. Occorre però fare alcune
considerazioni al riguardo. Nel corso del secondo trimestre del 2004 le
aspettative su crescita ed occupazione rimangono piuttosto positive e sono
legate soprattutto al forte supporto dei rimborsi fiscali che raggiungeranno
l'apice proprio in tale periodo.
Rileviamo però come l'improvvisa forte escursione al rialzo del
numero di occupati possa di per sè essere un segnale che, proprio a causa del
repentino sbalzo, alimenta il sospetto che la ripresa non sia strutturale. In
effetti, il dato di oggi presenta alcune componenti che non contraddicono tale
view di fondo.
Ci riferiamo ad esempio alla durata media della disoccupazione che
sebbene in calo ( da
20,3 a
20,1 settimane) rimane ancora
prossimo al livello massimo dall'84 ad oggi. Inoltre il tasso di partecipazione
(forza lavoro/forza attiva) è rimasto invariato al 65,9%, pari al livello
minimo dall'88 ad oggi.
Di conseguenza, pur riconoscendo la portata positiva del dato
odierno, in ottica secondo semestre, sottolineiamo che rimangono in essere i
dubbi sulla sostenibilità della ripresa in atto, troppo legata all'effetto
positivo dei rimborsi fiscali.
A tal proposito evidenziamo che, in base ai dati forniti dall'Internal
Revenue Service USA, nel mese di marzo si è registrato un incremento del 4,9%
del valore medio dei rimborsi (da
2027 a
2128$), a testimonianza di come
l'incidenza di tale fattore sia già piuttosto forte ed è destinata ad
amplificarsi nel corso del trimestre che si è appena aperto in base a quanto
previsto dal piano Bush.
I numeri positivi, sia sulla crescita che sul mercato del lavoro,
che dovrebbero caratterizzare il secondo trimestre, potrebbero pertanto portare
a più elevati tassi di mercato in tale periodo. Sul tratto decennale le nostre
stime al momento si attestano tra il 4,25 ed il 4,5%.
Ribadiamo però la nostra view dicotomica tra secondo trimestre e
secondo semestre 2004: in quest'ultimo periodo, qualora si verifichi l'ipotesi
di non strutturalità della ripresa, riteniamio infatti possibile un nuovo
ridimensionamento dei tassi di mercato.
Nel breve termine la reazione dei mercati è stata netta: tassi al
rialzo, rafforzamento del Dollaro verso Euro, appiattimento della curva, tassi
Usa nuovamente più elevati rispetto a quelli Euro, ridimensionamento dell'oro.
* Antonio Cesarano e' il Responsabile Desk Market Research
di MPS Finance.
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02 Aprile 2004
17:15 Siena
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E
Bill Gates parlò di
mini bolla
01
Aprile 2004 17:41
Roma
(WSI)
Forse
sarà la rabbia per la maxi-multa di 500 milioni di dollari inflittagli
dall'Antitrust europea, forse sarà il nervosismo nel vedere seriamente
minacciato il monopolio del suo Windows da parte di Linux, o forse si tratta
solo di sano realismo ma Bill Gates non è stato molto tenero quando gli è
stato chiesto un parere sulle prospettive delle società che operano nel
commercio elettronico.
«Gli investitori hanno ricreato una mini-bolla speculativa
spingendo le quotazioni delle Internet stocks così in alto; le aspettative in
esse incorporate sono troppo elevate rispetto alle effettive capacità di
crescita, anche se credo che la gara ad eliminazione risulterà meno cruenta che
nel periodo
2000-2002
».
In effetti l'opinione del capo di Microsoft, non certo isolata
all'interno della comunità finanziaria, tiene conto di una verità storica: in
tutte le corse all'oro, e non vi è dubbio che Internet lo sia stata e lo è
seppur in tono minore tuttora, i concorrenti alla partenza sono centinaia ma lo
striscione d'arrivo lo vedono in pochi ed oggi, a distanza di oltre un lustro
dalla nascita delle prime dot.com, i vincitori della gara, i pesi massimi del
settore - da Yahoo a E-bay, da Amazon a InterActive - sono forti, ben piantati
sulle gambe e pronti a cogliere ogni occasione per accrescere la propria sfera
di influenza e il predominio tecnologico.
Ma è soprattutto il richiamo alla prudenza in merito alle
valutazioni borsistiche raggiunte da queste società dopo un anno al galoppo che
deve essere salutato quanto mai opportuno; qualcuno potrà pensare che Gates sia
roso dall'invidia per aver visto l'azione Microsoft salire solo del 6% dai suoi
minimi del giugno 2003 contro il 58% di E-Bay, il 73% di Amazon e l'oltre 100%
di Yahoo e probabilmente non sbaglia.
Ma è anche vero che i prezzi attuali di questi titoli
rappresentano valori di mercato che esprimono una fiducia sconfinata, quasi
cieca, nella possibilità per queste aziende di espandersi a ritmi
impressionanti sempre e comunque.
E che ci sia troppa euforia in giro si riscontra anche nei
collocamenti di nuove società che tornano a mostrare nel loro nome quel
suffisso .com che per quasi tre anni era praticamente scomparso: la scorsa
settimana è arrivata sul mercato Shopping.com, che aveva mancato l'appuntamento
con la quotazione a causa dello scoppio della bolla quando si chiamava
Dealtime.com, mentre durante il secondo trimestre verrà quotata la società di
software Salesforce.com.

Il Riformista
Come prendere a
sberle
i risparmiatori
14
Aprile 2004 21:47
Torino
(di
Beppe Scienza)
Prendere a sberle i risparmiatori è uno sport divertente. Lo praticano da
decenni, con profitto, le grandi banche. A volte lo fa pure quella strana società
di cui esse sono le principali azioniste (leggi: la Banca d'Italia). En passant
lo coltiva anche la Borsa Italiana con comportamenti che la stampa economica
passa regolarmente sotto silenzio.
Titoli
spariti. Uno di questi è la radiazione di prestiti prima - anche molto prima -
del loro rimborso. Già è uno scandalo che le banche italiane rimpinzino i loro
clienti di obbligazioni non quotate, ovviamente scadenti. Tuttavia, per pudore,
San Paolo, Comit, Banco di Roma, Unicredit ecc. un ristretto numero dei loro
titolo li ha fatti approdare al listino. Cosa fa però la Borsa Italiana? Ogni
tanto ne cancella qualcuno. Così ne vennero cassati alcuni dell’Istituto di
Credito Fondiario delle Venezie e, analogamente, qualche settimana fa è sparita
una mezza dozzina di emissioni della Cassa di Risparmio di Bologna.
Ammettiamo
pure che formalmente tutto sia a posto: per i titoli bolognesi l'avviso n. 11844
fa esplicito riferimento all'articolo 2.5.4 della Borsa Italiana. Di fatto però
il risparmiatore che ne possedeva ha subito un danno perché s’è ritrovato
contro la sua volontà con un investimento
illiquido.
Quotazioni
inutili. Ma la Borsa Italiana ne ha combinate anche altre, come quando nel
novembre scorso quotò 26 titoli di stato francesi, tedeschi o spagnoli. Questa
fu una vera presa in giro. È entrata nel listino una manciata di titoli che non
dicono nulla e sono rimasti fuori quei tre o quattro che di cui c’era
effettivamente bisogno.
Esistono
(e già esistevano) titoli di stato francesi e greci legati all'inflazione
europea più interessanti di quelli italiani, per es. le OATei
25-7-2032
3,15% o la Grecia
25-7-2025
2,9% nei cui confronti le banche praticano un
metodico ostruzionismo. E cosa fa la Borsa Italiana? Li ignora e in compenso
quota i Bonos spagnoli 2014 4,75% o le Bundesobligationen tedesche 2008 4,25%,
che sostanzialmente sono dei doppioni rispetto a titoli del Tesoro di pari
scadenza. Coerentemente non s’impegna per inserire ora nel listino il migliore
fra titoli indicizzati all’inflazione italiana, ovvero le Infrastrutture
31-7-2019
2,25% che logicamente moltissime banche
rifiutano con vari pretesti a chi glieli chiede. Per dettagli sui suddetti
titoli si veda la mia pagina web all’Università di Torino:
www.beppescienza.it.
Patti
Chiari. Ma allora è vero che la Borsa Italiana fa gl’interessi delle banche,
sue azioniste, a danno dei risparmiatori italiani? Il dubbio era già venuto nel
2003 esaminando quello sgorbio che è progetto Patti Chiari, con cui il sistema
bancario italiano ha tentato di recuperare un po' della credibilità che aveva
giustamente perso. Sorprendentemente l'elenco degli oltre mille titoli
consigliati comprendeva una sola obbligazione quotata in Italia. Al che uno si
sarebbe aspettato vibrate proteste dalla Borsa Italiana. Invece niente.
L'istituzione diretta da Massimo Capuano si è presa tranquillamente lo schiaffo
in faccia, senza neanche fare vedere essersene accorta.

14
Aprile 2004 21:47
Torino
(di
Beppe Scienza)
Investire? no grazie,
mi fido poco
27
Aprile 2004 18:05
Milano
(di
Giuditta Marvelli)
La metà degli italiani non ha mai sentito parlare del Mib 30, l’indice dei
titoli più importanti di Piazza Affari. E la poca conoscenza va a braccetto con
la diffidenza: il 76% della popolazione adulta (35 milioni) confessa di non aver
fiducia nelle società quotate.
Anche
se il pessimismo non è in molti casi frutto di una recente delusione personale,
visto che l’80% nel 2003 non ha fatto alcun investimento, né in azioni né in
altri strumenti finanziari. In compenso il 40% premia il mattone come campione
di sicurezza, ma solo il 7% si dichiara pronto a mettere il proprio denaro in
immobili nei prossimi mesi.
Il
ritratto dell’Italia davanti allo specchio delle finanze di famiglia è stato
disegnato da Ocra, il secondo Osservatorio realizzato da Cra e Pms Corporate
Communications per Corriere Economia . In questo ritratto il volto dell’Italia
è quello di una signora in grigio. Poca fiducia, poche informazioni e - a
quanto sembra - non molti soldi a disposizione da impiegare al meglio in vista
del futuro.
Solo
9,5 milioni di persone (20%) ha investito nell’ultimo anno, puntando su uno o
più asset. I restanti 37,6 milioni (80%) non hanno potuto (o voluto?) farlo. E
le intenzioni per il 2004 non sembrano diverse: più o meno la stessa
percentuale (79%) dichiara che nei prossimi mesi non investirà.
Il
campione del sondaggio, formato da 4.400 persone intervistate tra febbraio e
aprile, è rappresentativo dell’Italia maggiorenne, poco più di 47 milioni di
uomini e donne. Un Paese abituato a investire da generazioni in Bot e titoli di
Stato, che oggi si trova con la moneta unica in tasca e una frequentazione della
Borsa ancora decisamente elitaria.
Poco
più di 5 milioni, infatti, dichiarano di aver investito in azioni: una quota
pari all’11% dei cittadini. La maggioranza di questo club degli azionisti
(36%) ha acquistato titoli di aziende quotate negli anni tra il 1999 e il 2001.
Il 21%, invece, dice di esser diventato azionista due anni fa, in piena crisi.
Il 18% è invece investitore di lungo termine, da prima del 1999. Mentre un 10%
ha comprato nell’ultimo anno e un 15% negli ultimi sei mesi.
Sono
però ben 35 milioni quelli che non si fidano delle aziende iscritte al listino
di Piazza Affari. E il tasso di pessimismo dei non investitori è più alto di
quello di chi invece ha puntato sulla azioni di recente: 77% contro 71%. Chi le
conosce, insomma, ha meno paura di chi non le ha in portafoglio.
Ma
quali sono gli asset preferiti dalle famiglie nel passato? E che intenzioni
hanno per questo 2004? Solo il 6% degli italiani ha fatto più di due
investimenti negli ultimi 12 mesi. Il 14% ne ha fatto solo uno. Complessivamente
il drappello degli investitori è formato da 9,5 milioni di persone. Gli
impieghi più gettonati sono stati i fondi venduti dalle banche e le
assicurazioni (5% del campione totale, 27% se ci si riferisce solo alla
popolazione di investitori). Seguono i titoli di Stato, gli immobili, i buoni
fruttiferi. Solo il 3% (vale a dire il 13% degli investitori) ha preferito le
azioni.
Nei
desideri per il futuro stravincono gli immobili: il 6,7% dei 47 milioni totali
dice che investirà sul mattone, il più sicuro (39,7%) e il più remunerativo
(37%) tra gli impieghi di denaro. Il 5,2% punterà sui titoli di Stato, il 4,8%
dice che investirà in polizze e il 4,7% in fondi comuni. Solo l’1,5% vota per
le azioni. Quanto al giudizio sulla sicurezza dopo la casa si piazzano i titoli
di Stato (24,8%) che però sono ritenuti vantaggiosi e remunerativi solo dal
15%. Relativamente sicure e remunerative sono invece considerate le
assicurazioni (16-17%), mentre le azioni vengono ritenute sicure dal 3,8% e
remunerative dal 9%. Numeri che sembrano confermare una certa coscienza
razionale del rapporto fra rischio e rendimento. I Bot sono sicuri, ma non
troppo redditizi. Con le azioni si rischia, ma si può guadagnare di più.
Quel
che invece non è decisamente noto è il Mib 30, l’indice dei titoli guida
della Borsa di Milano. Il Mib 30, questo sconosciuto, ormai è un ospite fisso
dei telegiornali, ma l’esistenza del principale termometro di Piazza Affari è
ignorata dal 50% degli italiani, che dichiarano di «non averne mai sentito
parlare». Solo il 18,6% sa bene che cos’è, mentre il 30,5% ne ha vagamente
contezza, ma non sa esattamente di che cosa si tratta. Ancor meno noto il Nuovo
Mercato: il 12% si sente ferrato sull’argomento. Il 65%, invece, non ha mai
sentito nominare il mercato dei titoli ad alto potenziale di crescita del nostro
listino. Infine praticamente clandestino è il segmento Star, il gruppo di
aziende ad alti requisiti con capitalizzazione inferiore a 800 milioni di euro.
Solo il 4% lo conosce, il 10% non ha le idee chiare, l’86% non ne sa nulla.
27
Aprile 2004 18:05
Milano
(di
Giuditta Marvelli)
Corriere della Sera
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