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FED
alle banche,
fate
esercitazioni anticrack
16
Marzo 2004
16:17 Milano
(di
Renato Ferraro)
«Stress
testing», una prova di sicurezza simulando condizioni estreme: la consigliano
alle banche tanto la Federal Reserve americana quanto la Bis di Basilea, la
banca centrale delle banche centrali. Lo scopo è di mettere a punto i piani di
difesa degli istituti di credito nell'eventualità di uno choc imprevisto, perché
c'è il timore che una scossa, provocata ad esempio da un improvviso movimento
dei cambi o dei tassi, possa far implodere un gruppo bancario, affondando a
catena altre grandi banche fino a produrre un disastro globale. E’ solo uno
scenario.
Ma, come ripete Alan Greenspan, il governatore della Fed, «non
vanno ignorati gli scenari che sembrano poco probabili, qualora comportino
conseguenze catastrofiche». Difficile da valutare ma concreto, il pericolo d'un
collasso sistemico discende soprattutto dall'uso su larghissima scala di
strumenti che dovevano invece ridurre i rischi finanziari, i derivati.
Susan Schmidt Bies, uno dei governatori della Fed, ha dedicato al
tema una lunga analisi, di fronte alla Società americana degli specialisti del
rischio. In sintesi il suo parere può essere riassunto così: non sappiamo come
il sistema dei derivati potrebbe reagire a uno choc imprevisto; non sappiamo in
quale misura la catena di derivati fra istituzioni bancarie attenuerebbe
l'azzardo assunto da ciascuna o amplificherebbe le minacce complessive; non
sappiamo quanto i metodi di controllo del rischio in vigore nelle banche siano
efficaci; non sappiamo neppure se tutti i partecipanti comprendano i pericoli.
Ignoranza colpevole? No, i limiti alla previsione dei sismi
finanziari sono oggettivi, come nel caso dei terremoti e degli uragani, perché
questi fenomeni non appartengono al nostro mondo lineare, statisticamente
misurabile. Il crash del
19 ottobre 1987
a Wall Street, una caduta del
22,6% in un solo giorno, aveva la probabilità d'accadere una volta ogni 520
milioni di anni, secondo le distribuzioni statistiche normali, eppure in un
secolo gli indici americani hanno avuto tre crolli, nel 1929, 1987 e 2000. E il
crac dello hedge fund Ltcm, salvato d’urgenza nel 1998 da un consorzio di
banche per impedire una crisi mondiale, era stato prodotto da una congiunzione
di avvenimenti giudicata dai gestori del fondo «impossibile nell'intera vita
del nostro universo».
«Dobbiamo rassegnarci al pericolo: rischio e incertezza non sono
eliminabili. La storia c'insegna che choc brutali arrivano di colpo, senza
preavviso» ha detto Greenspan. L'imprevedibilità del sistema finanziario è un
aspetto della sua estrema complessità e dell'interdipendenza fra migliaia di
varabili e infiniti partecipanti. Le interdipendenze sono state amplificate
negli ultimi vent'anni dalla diffusione dei derivati, che trasferiscono il
rischio entro l'universo delle banche, delle assicurazioni e degli investitori,
e in questo modo lo diffondono nell'intero sistema. Sulla somma complessiva di
derivati in circolo nel mondo si hanno solo stime: forse più di centomila
miliardi di dollari in termini di «sottostante», cioè di beni o strumenti
finanziari dai quali discende il prezzo di futures, swaps, opzioni (con un
effetto leva, il derivato può controllare un sottostante decine di volte
maggiore).
Ad esempio i derivati sui cambi trattati ogni giorno equivalgono
alle riserve monetarie di tutte le banche centrali. Il valore «a rischio» è
la sola variazione sfavorevole del sottostante, che tuttavia può divenire
enorme quando la volatilità esplode.
Questi strumenti hanno lo scopo di rendere l'investimento
produttivo o finanziario meno pericoloso e costoso, e hanno contribuito al boom
economico degli ultimi decenni. Sono contratti d'assicurazione, perché
scorporano il rischio di movimenti negativi nel prezzo d'un prodotto, d'una
azione, d'una valuta e lo trasferiscono a uno speculatore versandogli un premio.
Dunque, se investite in Borsa, potete pagare qualcuno per assumersi il rischio.
Magnifico. Che cosa fate subito dopo? Essendovi liberato del rischio comprate più
azioni e di nuovo vi «assicurate». In questo modo la piramide cresce, fino a
che non sorgono dubbi sulla capacità delle controparti di risarcirvi
all'occorrenza, come da contratto. Quando questo pericolo è apparso su scala
mondiale sono stati introdotti nuovi derivati, che coprono proprio l'eventualità
di bancarotta della controparte. «Qualunque rischio è trasferibile, però
rimane nel sistema, mascherato» ha ammonito Greenspan. Le banche si
garantiscono da fallimenti dei debitori offrendo derivati sul rischio di credito
(valore oggi: 800 miliardi di dollari in America, 2400 miliardi nel mondo).
Chi sul lato opposto s'impegna a garantire la protezione? «Negli
Stati Uniti metà di questi derivati finisce in altre banche, a titolo
d'investimento speculativo, e il resto in compagnie d'assicurazione, hedge funds,
portafogli vari - ha detto Susan Schmidt Bies -. Fra le banche internazionali le
europee e asiatiche sono al netto venditrici di protezione, compratrici di
rischio». Alla Fed non sfugge un altro aspetto: liberi di disfarsi del rischio,
i banchieri sono meno pignoli nel valutare l'affidabilità delle imprese cui
danno crediti, come hanno mostrato i crac Enron e
Parmalat, società che a loro
volta usavano derivati rendendo indecifrabili i bilanci.
I portafogli bancari di derivati vengono tenuti lontani dal
pericolo grazie a modelli matematici concepiti da premi Nobel. Si può essere
tranquilli? Macché. Proprio due di questi Nobel erano partner dello hedge fund
Ltcm esploso nel 1989. I loro modelli avevano ignorato gli estremi delle
probabilità statistiche ai limiti dell’impossibile. Uno dei metodi di «sicurezza»
più diffusi, quello del Var (Value at risk), obbliga a ridurre l'esposizione
quando la volatilità dei mercati cresce.
Siccome di recente la volatilità è invece scesa ai minimi di
dieci anni, il Var ha permesso alle banche di raddoppiare o triplicare
l'esposizione, come ha notato l' Economist in un articolo intitolato «The
Coming Storm», la tempesta in arrivo.
Stephen Roach, capo economista della Morgan
Stanley, attribuisce la
responsabilità dei potenziali pericoli a Greenspan: «Con la politica di alta
liquidità e tassi bassi, volta a stimolare l'America, la Fed ha gonfiato una
bolla dopo l'altra, nelle azioni, nelle obbligazioni, nell'immobiliare, nei
consumi, nell'indebitamento. Tassi d'interesse all'1% non offrono più spazio
per ulteriori tagli nel caso d'una emergenza e perciò lo scoppio della prossima
bolla potrà essere un botto mostruoso».
Questi tassi sono un doppio fattore di pericolo, ha riconosciuto
Susan Schmidt Bies: «Da una parte hanno spinto le banche a vendere obbligazioni
sicure che rendono pochissimo e comprarne di dubbia qualità con ritorni più
alti. Dall'altra gli attuali livelli sono fuori dalla norma, fuori
dall'esperienza degli investitori e magari fuori dai parametri dei modelli
matematici di controllo del rischio».
Anche Greenspan qualche anno fa aveva avvertito: «Nel periodo di
forte crescita dei derivati non c'è stata una crisi significativa che abbia
messo alla prova il sistema. I metodi di gestione si basano quindi su dati
storici che non includono episodi di panico, e verosimilmente sottovalutano i
pericoli, e sottovalutano le correlazioni che in tali casi emergono di colpo fra
strumenti finanziari diversi, vanificando la sicurezza attesa dalla
diversificazione».

16 Marzo 2004
16:17 Milano
(di
Renato Ferraro)
DERIVATIVES,
ESPLODONO NELLE BANCHE USA
L'ufficio
del Comptroller of the Currency degli Stati Uniti ha divulgato la
situazione relativa ai derivatives nel quarto trimestre 2003, per quanto
riguarda le banche commerciali Usa. La posizione totale (notional value)
e' cresciuta a un tasso annualizzato del 24% a $71.1 trilioni.
Circa i
diversi tipi di rischio, ecco le categorie: i derivatives sui tassi
d'interesse sono cresciuti del 25% a $61.9 trilioni; quelli sulle valute
sono saliti del 16% a $7.2 trilioni; quelli sul credito +61% a $1.0
trilione. Per quanto riguarda i diversi sotto-prodotti, gli Swaps hanno
registrato un'espansione del 28% a $44.0 trilioni; Futures &
Forwards +20% a $11.4 trilioni; Options +12% a $14.6 trilioni.
La
posizione totale in derivatives e' esplosa in totale del 57% nell'arco
degli ultimi due anni, con i contratti sui tassi d'interesse in rialzo
da soli del 61% in 24 mesi. Nel corso dell'anno passato (2003) la
posizione in derivatives di JP Morgan Chase e' aumentata di +30% a $37.4
trilioni, quella di Bank of America e' salita del 22% a $15.2 trilioni,
quella di Citigroup e' cresciuta +26% a $12.6 trilioni.
Alla fine del
2003, queste tre grandi banche commerciali americane raggruppavano il
92% della posizione totale in derivatives dell'intero mondo finanziario.
Una situazione di estrema pericolosita'.
21 Marzo 2004
15:15 New
York (Ansa)
LA
BOLLA CREDITIZIA USA
Il
credito totale del sistema bancario Usa e' salito la scorsa settimana di
$55.9 miliardi. La bolla sembra non avere tregua, alimentata dai bassi
tassi d'interesse, visto che nelle prime 10 settimane dell'anno il Total
Bank Credit e' salito di $227 miliardi, cioe' circa il 19% annualizzato.
La scorsa settimana, queste sono state le categorie piu'
"calde": Securities holdings +$25.2 miliardi, Loans &
Leases +$30.8, Real Estate +$14.8 (con una crescita record in 2
settimane di $24.2 miliardi).
20 Marzo 2004
16:19 New
York (Ansa)
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Greenspan politico
15
Marzo 2004
19:09
Torino
(di
Alexander Weber)
Se
Alan Greenspan dovesse - del tutto a sorpresa - alzare i tassi d'interesse alla
prossima riunione del Comitato della Federal reserve darebbe sicuramente
scandalo a chi ne conosce la capacità di navigazione nella diplomazia politica
e nei rapporti con il presidente Bush. Se non lo facesse però darebbe scandalo
ai puristi della politica monetaria. Prima o poi però dovrà piegarsi alle
ragioni dell'economia e tradire quelle della politica.
La
ragione principale per evitare un aumento del costo del denaro è la deludente
creazione di posti di lavoro dell'economia americana. Nonostante la ripresa si
stia facendo sentire, l'inflazione americana è ancora molto bassa e Alan
Greenspan non ha alcuna intenzione di smentire il proprio passato ottimismo.
Nondimeno
la maggior parte degli economisti monetari, non solo americani, si chiedono se
non si stia accumulando un eccesso mai visto di dollari. Gli stessi tassi
d'interesse sono al livello più basso degli ultimi 30 anni. Quelli reali sono
praticamente pari a zero. Il calo del dollaro è un altro elemento di
rilassamento nelle condizioni monetarie americane. Quanto pensa di poter andare
avanti così, Greenspan?
Una
nuova teoria sta prendendo piede. Ne abbiamo già accennato qualche settimana
fa. L'economia americana sembra aver bisogno di attirare investimenti attraverso
un processo di bolle speculative che si gonfiano una dopo l'altra. Prima quella
della new economy, poi le obbligazioni societarie, poi il mercato immobiliare.
Solo così gli Stati Uniti si assicurano di poter attrarre l'enorme quantità di
capitali che finanzia il deficit delle partite correnti. Per poter drogare i
mercati i tassi d'interesse devono restare molto al di sotto del tasso nominale
di crescita dell'economia che è una specie di approssimazione del tasso di
rendimento medio di tutto ciò che esiste sul territorio degli Stati Uniti.
Questo assicurerebbe che il costo del finanziamento del capitale, sia inferiore
al rendimento dell'Azienda America e quindi che il flusso di capitali
dall'estero non si interrompa. Ancora una volta se questo è il ragionamento di
Greenspan, l'economia americana è governata davvero da un mago illusionista.
C'è da chiedersi se la corda sotto i suoi piedi esista davvero. La domanda con
la Federal Riserve infatti non sembra essere più se l'inflazione sale o scende,
ma se i mercati degli assets stanno scalando nuove vette e allettando i capitali
di mezzo mondo. Nulla a che vedere ovviamente con le teorie sul tasso neutrale
d'interesse.
Il
rischio che questo strano mix riporti in America lo spettro dell'inflazione è
piuttosto modesto. Anche se il prezzo del petrolio sale e il dollaro scende, la
pressione salariale resta molto moderata. Alla fin fine la domanda di beni di
consumo resta debole e non si può scaricare sull'indice dei prezzi.
E'
davvero una magra consolazione non avere inflazione solo grazie a un eccesso di
disoccupazione e di contenimento dei redditi da lavoro. Ma dove si scarica
intanto l'eccesso di offerta di moneta che la Fed sta pompando nel mercato?
Evidentemente, come sosteniamo da tempo, nel gonfiare le bolle speculative. Il
risultato è che la situazione sociale in America si sta polarizzando in misura
estrema tra basso reddito da lavoro e alto rendimento del capitale. A ben vedere
la scelta del tasso d'interesse di Greenspan è davvero tutt'altro che neutrale,
anche politicamente.

La Stampa
Il n° 2 di Al Quaida:
abbiamo armi nucleari
22
Marzo 2004
01:53 New
York (Ansa)
Ayman
al-Zawahri, il braccio destro di Osama bin Laden, ha detto alla TV australiana
che il gruppo terroristico Al Qaida ha comprato in Asia centrale armi nucleari
atomiche. In un'intervista che sara' trasmessa lunedi' dalla televisione
Australian Broadcasting Corporation, il giornalista pakistano Hamid Mir dice che
secondo Ayman al-Zawahri "armi nucleari fatte in casa" erano e sono
disponibili sul mercato nero. La notizia e' stata diffusa dall'Associated Press.
I servizi di intelligence degli Stati Uniti ritengono che Al-Qaida
stia cercando da tempo di impadronirsi di "smart bomb" nucleari, senza
peraltro confermare che questo progetto sia mai andato in porto.
"Con $30 milioni, basta andare sul mercato nero nell'Asia
centrale, contattare uno scienziato ex-sovietico insoddisfatto, e troverete una
gran quantita'.... di componenti di bombe nucleari", dice Mir
nell'intervista, citando le parole che gli sarebbero state dette da Ayman
al-Zawahri.
"Ci hanno contattato, abbiamo spedito i nostri uomini a Mosca,
a Tashkent, in altre nazioni dell'Asia centrale, hanno negoziato e alla fine
abbiamo comprato qualche bomba", avrebbe aggiunto il numero 2 di Al Qaida.
Il mese scorso si e' appreso che uno scienziato del Pakistan ha
venduto materiale e tecnologia nucleare a Iran, Libia e Corea del Nord,
alimentando i timori che simili armi possano facilmente cadere nelle mani dei
terroristi.
Il giornalista pachistano Mir descrive al-Zawahri come "il
vero cervello dietro Osama bin Laden." "E' lui il vero stratega, Osama
bin Laden e' solo l'uomo di facciata", dice Mir nel corso dell'intervista
alla TV australiana. "E' piu' pericoloso di bin Laden."
Al-Zawahri - un chirurgo egiziano - secondo le indicazioni
dell'intelligence Usa si nasconderebbe nella zona montagnosa al confine tra
Pakistan e Afghanistan, dove l'esercito pachistano sta conducendo da vari giorni
un'operazione di accerchiamento contro forze Talibane e di al-Qaida. Al-Zawahri
ha avuto un ruolo chiave nella pianificazione dell'attacco terroristico dell'
11 settembre 2001
22
Marzo 2004
01:53 New
York
(Ansa)
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