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INDICE ARTICOLI

 

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Macro mondo - FMI/USA

L'FMI punta l'indice contro Bush

Materie Prime - Petrolio

Greggio: occhio alla bolla

Borse e Mercati - Sentiment

I gestori bocciano USA e Europa

 

+++  FMI punta l'indice contro Bush: la politica economico-finanziaria dell'amministrazione Bush mette a serio rischio la tenuta dell'economia statunitense e mondiale nel lungo periodo  +++  Il petrolio tocca livelli storici  +++  Torture in Iraq: Rumsfield chiedo scusa, ma non mi dimetto  +++

mercoledì  5  maggio  2004   giovedì  6  maggio  2004   sabato  8  maggio  2004
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  L'FMI punta l'indice contro Bush

16 Maggio 2004  (Miaeconomia)

La politica economico-finanziaria dell'amministrazione Bush mette a serio rischio la tenuta dell'economia statunitense e mondiale nel lungo periodo. A lanciare l'allarme due delle massime istituzioni in materia di politica economica come il Fondo Monetario internazionale e l'Ocse.
Pur giudicando positivamente la linea di 'deficit spending' seguita fin qui dagli Usa, che "ha fornito un importante supporto" alla ripresa senza spingere al rialzo i tassi d'interesse sul lungo termine, il Fmi avverte che in una prospettiva più lunga un elevato livello di deficit spingerà inevitabilmente verso l'alto i tassi d'interesse, diminuendo gli investimenti e quindi rallentando la crescita.
Dal canto suo, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si è espressa in totale disaccordo con la posizione dell'amministrazione Bush secondo cui un aumento delle tasse metterebbe in pericolo l'economia, e ha dichiarato che "la rimozione degli stimoli fiscali non mette più in pericolo la ripresa".

Nel World Economic Outlook semestrale, il Fmi prevede che anche se il deficit di budget Usa venisse ridotto a metà entro il 2009, come la Casa Bianca ha ipotizzato, il Pil Usa scenderebbe almeno dell'1,4% entro il 2020 e dell'1,9% entro il 2050. Quanto al Pil mondiale, sarebbe del 2,6% più basso entro il 2050, anche a causa dei più alti tassi d'interesse che molti paesi poveri sarebbero costretti a sostenere.
Ma l'istituto di Washington avverte che lo scenario potrebbe rivelarsi anche peggiore di quanto ipotizzato. Se le valutazioni di Bush - tra cui nessun ulteriore costo derivante dalla guerra in Iraq - si rivelassero errate e contemporaneamente il deficit di budget continuasse a viaggiare ai livelli attuali, il Pil Usa potrebbe essere del 2,7% più basso entro il 2020 e del 3,7% entro il 2050.

Il rapporto pubblicato ieri dal Fmi non è il primo allarme che l'istituto lancia sul deterioramento dello scenario del budget degli Stati Uniti. Ma i suoi esperti ritengono che anche quest'ultimo, come i precedenti, rimarrà inascoltato.
Il Fmi ha affermato che ci sarebbero "grandi benefici" se il deficit fosse ridotto più velocemente di quanto l'amministrazione Bush proponga attualmente, senza però specificare se una tale riduzione dovrebbe avvenire attraverso una diminuzione della spesa o aumenti delle tasse.

L'istituto di Washington - nel capitolo III del World Economic Outlook - detta anche la sua ricetta per garantire la crescita economica internazionale, ribadendo l'importanza delle riforme nelle cinque aree di interesse strategico: sistema finanziario, sistema fiscale, mercato del lavoro, commercio internazionale e mercato di alcuni prodotti. Alcuni settori, nota il rapporto del Fondo, hanno avuto maggiore successo di altri nell'attuare riforme strutturali: tra questi il settore finanziario, il commercio internazionale e alcuni mercati produttivi. Al contrario il mercato del lavoro e il sistema fiscale sono stati tra i comparti più carenti in termini di cambiamenti strutturali. La spiegazione di tale differenza, secondo l'Fmi, deve essere ricercata nel fatto che le riforme spesso costano ai cittadini in termini di minori garanzie, maggiori pressioni e flessibilità dei prezzi, a fronte di benefici che si concretizzano solo nel lungo periodo.

Il Fmi conclude la sua analisi esortando ad avviare adesso processi di riforma, essendo dimostrato dalle esperienze passate che i piani di riforma intrapresi dopo periodi di stagnazione o crescita lenta tendono ad avere effetti più ampi in termini di durata e intensità rispetto a quello intrapresi durante i periodi di congiuntura favorevole.

16 Maggio 2004  fonte Miaeconomia.it  

 

 

 

martedì  11  maggio  2004   martedì  11  maggio  2004   mercoledì 12  maggio  2004
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  Greggio: occhio alla bolla

28 Maggio 2004   19:09  (Miaeconomia)

E' una "bolla speculativa" nei mercati la ragione alla base del caro greggio: questa è l'opinione  del commissario Ue all'energia, Loyola De Palacio, secondo la quale solo l'aumento della produzione può far sgonfiare le quotazioni del petrolio.    

Sulla scia di quanto già chiesto dai ministri delle finanze del G7 e da diverse capitali europee, De Palacio ha ribadito con enfasi i rischi per l'Europa di un prezzo del greggio che non si schioda dai 40-41 dollari il barile.    

Il perdurare di un prezzo "superiore di dieci dollari rispetto alla banda di oscillazione dell'Opec (tra 22 e 28 dollari) può avere un impatto tra lo 0,3% e lo 0,5% del Pil dell'Unione", ha detto la commissario Ue.    

Con il caro greggio, l'Europa si gioca insomma una parte rilevante della propria ripresa che ha rilanciato la proposta di far quotare il greggio da un "paniere con monete diverse, compreso naturalmente l'euro".    

A margine di un incontro con la stampa sulle energie rinnovabili, De Palacio ha detto molto chiaramente che, a differenza di altre crisi petrolifere, "questa volta nei mercati non c'è una vera scarsita" di greggio.

In sostanza, le tensioni dei prezzi sono il risultato delle manovre della speculazione. "In qualche occasione ci sono addirittura dei quantitativi di greggio che spariscono", ha detto la commissario Ue, che ha appunto posto il problema di "una maggior trasparenza dei mercati, perché la speculazione campa proprio sui 'rumor', l'incertezza e l'opacità".    

Per sbloccare la situazione, e far rientrare le quotazioni a livelli piu' bassi e compatibili con la ripresa dell'economia mondiale, De Palacio crede che ci sia un'unica alternativa: "l'aumento della produzione" da parte dell'Opec ma anche dei paesi produttori non-Opec, che "devono dimostrare di voler ridurre la volatilità dei prezzi".    

De Palacio ha d'altra parte manifestato il proprio "fermo rifiuto a che da parte di un qualsivoglia paese si possa intervenire sulle accise ai carburanti".

Insomma, no a "misure unilaterali" sulle tasse ai combustibili, ha sottolineato la commissario Ue, che confida anzi di avere "da parte degli stati membri un impegno contro azioni unilaterali", o che d'altra parte un paese possa "ottenere l'unanimità dai colleghi all'Ecofin".

28 Maggio 2004   19:09  fonte Miaeconomia.it

 

 

 

  giovedì  13  maggio  2004   domenica 16  maggio  2004   lunedì  24  maggio  2004  
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  I gestori bocciano USA e Europa

14 Maggio 2004   (Morningstar)  

Inversione di marcia per i gestori intervistati nel consueto sondaggio mensile di Morningstar, tra le 30 principali società di gestione che operano in Italia,  sull’andamento dei mercati.

Per i prossimi 6 mesi infatti il 50% dei money manager prevedono che la Borsa americana scenderà o resterà stabile. Un brusco passo all’indietro rispetto al 73% che a marzo si attendeva un rialzo.

Ma non è il solo dato in controtendenza. E’ in discesa, infatti, anche la percentuale di gestori positivi sull’Europa, che passa dal 69,2 al 60%. Resta invariato, invece, il giudizio su Piazza Affari: il 70% degli intervistati, infatti,  li vede in crescita (c’è ottimismo sulle blue chips, che raccolgono il 67% delle preferenze).

C’è timore negli States per la ripresa dell’inflazione, l’aumento dei tassi e i dati sull’occupazione. Non cambia, infatti, il giudizio positivo sui dati macro che mostrano la solidità della ripresa con gli utili aziendali già cresciuti nel primo trimestre e previsioni positive per i prossimi mesi. Sono altri quindi gli elementi di preoccupazione.

I mercati hanno, inoltre, iniziato a prendere in considerazione la possibilità di un aumento dei tassi ufficiali a seguito della crescita economica e delle prime pressioni. Per l’86,6% dei gestori i prezzi delle obbligazioni americane continueranno a scendere nei prossimi mesi, contro l’84,7% del mese scorso. Calano, invece, dal 73,1 al 66,6% i manager che si attendono un calo dei bond europei.

Infine un occhio all’euro. Per il 41,4% dei gestori, l’euro rimarrà attorno agli attuali livelli nei prossimi mesi, mentre è scesa dal 40 al 37,9% la percentuale di coloro che credono in un ulteriore apprezzamento.

Del calo della moneta unica dai massimi possono beneficiare le aziende europee, perché diminuiscono le pressioni sugli utili. Restano, comunque, le preoccupazioni per la debolezza economica e il rischio geopolitico, che nel breve potrebbero portare a un aumento della volatilità.

 

14 Maggio 2004   fonte Morningstar.it