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L'FMI punta
l'indice
contro Bush
16
Maggio 2004
(Miaeconomia)
La
politica economico-finanziaria dell'amministrazione Bush mette a serio rischio
la tenuta dell'economia statunitense e mondiale nel lungo periodo. A lanciare
l'allarme due delle massime istituzioni in materia di politica economica come il
Fondo Monetario internazionale e l'Ocse.
Pur giudicando positivamente la linea di 'deficit spending' seguita fin qui
dagli Usa, che "ha fornito un importante supporto" alla ripresa senza
spingere al rialzo i tassi d'interesse sul lungo termine, il Fmi avverte che in
una prospettiva più lunga un elevato livello di deficit spingerà
inevitabilmente verso l'alto i tassi d'interesse, diminuendo gli investimenti e
quindi rallentando la crescita.
Dal canto suo, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si
è espressa in totale disaccordo con la posizione dell'amministrazione Bush
secondo cui un aumento delle tasse metterebbe in pericolo l'economia, e ha
dichiarato che "la rimozione degli stimoli fiscali non mette più in
pericolo la ripresa".
Nel
World Economic Outlook semestrale, il Fmi prevede che anche se il deficit di
budget Usa venisse ridotto a metà entro il 2009, come
la Casa Bianca
ha ipotizzato, il Pil Usa scenderebbe almeno
dell'1,4% entro il 2020 e dell'1,9% entro il 2050. Quanto al Pil mondiale,
sarebbe del 2,6% più basso entro il 2050, anche a causa dei più alti tassi
d'interesse che molti paesi poveri sarebbero costretti a sostenere.
Ma l'istituto di Washington avverte che lo scenario potrebbe rivelarsi anche
peggiore di quanto ipotizzato. Se le valutazioni di Bush - tra cui nessun
ulteriore costo derivante dalla guerra in Iraq - si rivelassero errate e
contemporaneamente il deficit di budget continuasse a viaggiare ai livelli
attuali, il Pil Usa potrebbe essere del 2,7% più basso entro il 2020 e del 3,7%
entro il 2050.
Il
rapporto pubblicato ieri dal Fmi non è il primo allarme che l'istituto lancia
sul deterioramento dello scenario del budget degli Stati Uniti. Ma i suoi esperti ritengono che
anche quest'ultimo, come i precedenti, rimarrà inascoltato.
Il Fmi ha affermato che ci sarebbero "grandi benefici" se il deficit
fosse ridotto più velocemente di quanto l'amministrazione Bush proponga
attualmente, senza però specificare se una tale riduzione dovrebbe avvenire
attraverso una diminuzione della spesa o aumenti delle tasse.
L'istituto
di Washington - nel capitolo III del World Economic Outlook - detta anche la sua
ricetta per garantire la crescita economica internazionale, ribadendo
l'importanza delle riforme nelle cinque aree di interesse strategico: sistema
finanziario, sistema fiscale, mercato del lavoro, commercio internazionale e
mercato di alcuni prodotti. Alcuni settori, nota il rapporto del Fondo, hanno
avuto maggiore successo di altri nell'attuare riforme strutturali: tra questi il
settore finanziario, il commercio internazionale e alcuni mercati produttivi. Al
contrario il mercato del lavoro e il sistema fiscale sono stati tra i comparti
più carenti in termini di cambiamenti strutturali. La spiegazione di tale
differenza, secondo l'Fmi, deve essere ricercata nel fatto che le riforme spesso
costano ai cittadini in termini di minori garanzie, maggiori pressioni e
flessibilità dei prezzi, a fronte di benefici che si concretizzano solo nel
lungo periodo.
Il
Fmi conclude la sua analisi esortando ad avviare adesso processi di riforma,
essendo dimostrato dalle esperienze passate che i piani di riforma intrapresi
dopo periodi di stagnazione o crescita lenta tendono ad avere effetti più ampi
in termini di durata e intensità rispetto a quello intrapresi durante i periodi
di congiuntura favorevole.

16 Maggio 2004
fonte
Miaeconomia.it
Greggio: occhio alla
bolla
28
Maggio 2004
19:09 (Miaeconomia)
E'
una "bolla speculativa" nei mercati la ragione alla base del caro
greggio: questa è l'opinione del commissario Ue all'energia, Loyola De Palacio, secondo la
quale solo l'aumento della produzione può far sgonfiare le quotazioni del
petrolio.
Sulla
scia di quanto già chiesto dai ministri delle finanze del G7 e da diverse
capitali europee, De Palacio ha ribadito con enfasi i rischi per l'Europa di un
prezzo del greggio che non si schioda dai 40-41 dollari il barile.
Il
perdurare di un prezzo "superiore di dieci dollari rispetto alla banda di
oscillazione dell'Opec (tra 22 e 28 dollari) può avere un impatto tra lo 0,3% e
lo 0,5% del Pil dell'Unione", ha detto la commissario Ue.
Con
il caro greggio, l'Europa si gioca insomma una parte rilevante della propria
ripresa che ha rilanciato la proposta di far quotare il greggio da un
"paniere con monete diverse, compreso naturalmente l'euro".
A
margine di un incontro con la stampa sulle energie rinnovabili, De Palacio ha
detto molto chiaramente che, a differenza di altre crisi petrolifere,
"questa volta nei mercati non c'è una vera scarsita" di greggio.
In
sostanza, le tensioni dei prezzi sono il risultato delle manovre della
speculazione. "In qualche occasione ci sono addirittura dei quantitativi di
greggio che spariscono", ha detto la commissario Ue, che ha appunto posto
il problema di "una maggior trasparenza dei mercati, perché la
speculazione campa proprio sui 'rumor', l'incertezza e l'opacità".
Per
sbloccare la situazione, e far rientrare le quotazioni a livelli piu' bassi e
compatibili con la ripresa dell'economia mondiale, De Palacio crede che ci sia
un'unica alternativa: "l'aumento della produzione" da parte dell'Opec
ma anche dei paesi produttori non-Opec, che "devono dimostrare di voler
ridurre la volatilità dei prezzi".
De
Palacio ha d'altra parte manifestato il proprio "fermo rifiuto a che da
parte di un qualsivoglia paese si possa intervenire sulle accise ai
carburanti".
Insomma,
no a "misure unilaterali" sulle tasse ai combustibili, ha sottolineato
la commissario Ue, che confida anzi di avere "da parte degli stati membri
un impegno contro azioni unilaterali", o che d'altra parte un paese possa
"ottenere l'unanimità dai colleghi all'Ecofin".

28
Maggio 2004
19:09 fonte
Miaeconomia.it
I gestori bocciano USA
e Europa
14
Maggio 2004
(Morningstar)
Inversione
di marcia per i gestori intervistati nel consueto sondaggio mensile di
Morningstar, tra le 30 principali società di gestione che operano in Italia,
sull’andamento dei mercati.
Per
i prossimi 6 mesi infatti il 50% dei money manager prevedono che
la Borsa
americana scenderà o resterà stabile. Un
brusco passo all’indietro rispetto al 73% che a marzo si attendeva un rialzo.
Ma
non è il solo dato in controtendenza. E’ in discesa, infatti, anche la
percentuale di gestori positivi sull’Europa, che passa dal 69,2 al 60%. Resta
invariato, invece, il giudizio su Piazza Affari: il 70% degli intervistati,
infatti, li vede in crescita (c’è ottimismo sulle blue chips, che
raccolgono il 67% delle preferenze).
C’è
timore negli States per la ripresa dell’inflazione, l’aumento dei tassi e i
dati sull’occupazione. Non cambia, infatti, il giudizio positivo sui dati
macro che mostrano la solidità della ripresa con gli utili aziendali già
cresciuti nel primo trimestre e previsioni positive per i prossimi mesi. Sono
altri quindi gli elementi di preoccupazione.
I
mercati hanno, inoltre, iniziato a prendere in considerazione la possibilità di
un aumento dei tassi ufficiali a seguito della crescita economica e delle prime
pressioni. Per l’86,6% dei gestori i prezzi delle obbligazioni americane
continueranno a scendere nei prossimi mesi, contro l’84,7% del mese scorso.
Calano, invece, dal 73,1 al 66,6% i manager che si attendono un calo dei bond
europei.
Infine
un occhio all’euro. Per il 41,4% dei gestori, l’euro rimarrà attorno agli
attuali livelli nei prossimi mesi, mentre è scesa dal 40 al 37,9% la
percentuale di coloro che credono in un ulteriore apprezzamento.
Del
calo della moneta unica dai massimi possono beneficiare le aziende europee,
perché diminuiscono le pressioni sugli utili. Restano, comunque, le
preoccupazioni per la debolezza economica e il rischio geopolitico, che nel
breve potrebbero portare a un aumento della volatilità.
14
Maggio 2004
fonte
Morningstar.it
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