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INDICE ARTICOLI

 

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Finanza italiana - Crack Parmalat

Parmalat: i 10 mesi della crisi/cronologia

Finanza italiana - Crack Parmalat

Parmalat: FT, i tanti perchè della Enron europea

Macro USA

Economia: USA; nuovi dati, recessione iniziò nel 2000

Materie prime - ORO

Chi e perchè ha posizioni short sull'oro

Borse e Mercati - sentiment e previsioni

Catastrofisti in estinzione ?

 

+++ Bank of America: non esistono 4 mld di euro della Parmalat +++ Parmalat: The Economist, miglior imitazione Enron in Europa +++ Il titolo non riesce ad aprire in Borsa e segna un prezzo teorico a -42,67% +++ Titolo sospeso in Borsa 8 volte al ribasso +++ Parmalat chiude a -47% in Borsa nel giorno di Bank of America +++ Risparmiatori trattano rimborso +++ Cassaforte Bonlat con 1 $ di capitale +++ Il buco nero della Parmalat potrebbe arrivare a 7 mld di euro +++  Le Banche italiane sotto pressione +++ Parmalat: Bondi nominato commissario straodinario +++

martedì  09  dicembre   mercoledì  10  dicembre   giovedì  11  dicembre
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«Non esistono 4 miliardi di euro della Parmalat»

  Bank of America: non abbiamo un conto con la Bonlat, società della isole Cayman facente parte del gruppo alimentare italiano

 

PARMA - Si aggrava la situazione finanziaria della Parmalat

Parmalat. La Bank of America non ha riconosciuto l'autenticità di un documento dello scorso 6 marzo che attestava l'esistenza di posizioni in titoli e liquidità corrispondenti a circa 3,95 miliardi di euro appartenenti al 31 dicembre 2002 a Bonlat, società delle isole Cayman facente parte del gruppo Parmalat. Lo afferma una nota della Parmalat Finanziaria. Bank of America inoltre - secondo la nota - sostiene di non intrattenere un conto con Bonlat.
Il documento del 6 marzo è stato però la base della certificazione del bilancio 2002 Bonlat da parte di Grant Thornton, revisore dei conti di Bonlat Financing Corporation.

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIO - La Parmalat ha convocato per il tardo pomeriggio di venerdì un consiglio di amministrazione straordinario. Lo comunica la società con una nota precisando che all'ordine del giorno ci sono «comunicazioni del presidente».

TITOLO SOSPESO IN BORSA, OTTO VOLTE AL RIBASSO - Il titolo Parmalat è stato sospeso al ribasso in apertura di contrattazioni a Piazza Affari dopo la notizia di Bank of America. Il titolo è precipitato a 0,80 euro prima dello stop. In chiusura giovedì le azioni Parmalat erano state quotata 0,89 euro.
In Borsa in apertura forte ribasso anche per i titoli bancari: Capitalia -7,5% recuperando poi a -6%, Intesa -3,7% Bnl -2,5%.
In mattinata, dopo otto tentativi Parmalat. Attualmente il prezzo teorico è inchiodato a 0,51 euro (-42,61%).

RISPARMIATORI USA E GB TRATTANO RIMBORSO - Intanto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti i sottoscrittori delle obbligazioni Parmalat per 2 miliardi di dollari si sono accordati e hanno deciso di dare mandato a consulenti legali e finanziari di contrattare con la società di Tanzi la restituzione del loro patrimonio. Ne dà notizia il «Wall Street Journal» precisando che i rappresentanti del gruppo hanno già avuto colloqui con il nuovo numero uno di Parmalat, Enrico Bondi.
 

 

Milano   11/12/2003   11:46 (ANSA)

 

 

 

 

 

venerdì  12  dicembre   sabato  13  dicembre   mercoledì  17  dicembre
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  Parmalat: i 10 mesi della crisi/cronologia

19 Dicembre 2003  14:12  ROMA  (ANSA)

 

E' iniziata poco meno di un anno fa la lunga crisi della Parmalat che ha portato oggi Enrico Bondi al comando del gruppo di Collecchio. Alla fine di febbraio, infatti, un bond da 300 milioni veniva bocciato dal mercato per mancanza di chiarezza dando i primi segnali della crisi di liquidità che avrebbe colpito l'impero dei Tanzi. Da allora dieci mesi vissuti pericolosamente:

- FEBBRAIO 2003. Il 26 la Parmalat annuncia un bond da 300milioni rivolto a investitori istituzionali della durata di sette anni. La Borsa risponde con un crollo del titolo del 9% per mancanza di informativa sull'operazione: l'azienda cancella il bond e ribadisce la propria solidità.

- MARZO. Assogestioni bacchetta il gruppo per scarsa comunicazione. Il giorno dopo Tanzi annuncia un incontro a tutto campo con gli analisti in programma dopo il cda del 28. Il 12annuncia un aumento di capitale da 80 milioni, per rimborsare un bond di fine 2002, da approvare all'assemblea di aprile. Il 21il titolo mette il turbo in Borsa, sull'onda delle voci di un cambio ai vertici, smentite dalla società. Il 26Fausto Tonna, in seguito al pasticcio del bond di febbraio,lascia l'incarico di direttore finanziario, sostituito da Alberto Ferraris e da Luciano del Soldato, ma rimane nel cda.

- APRILE. Il 10 la Parmalat annuncia un rapporto tra posizione finanziaria netta e patrimonio netto salito all'83%.Il 30 il nuovo socio Philips Pensioenfonds Stichting (che detiene il 2,05%) chiede di migliorare la governance.

- GIUGNO. Sia Philips Pensioenfonds Stichting sia Nextra(Intesa) scendono sotto il 2% del capitale. Il 18 viene emesso un nuovo bond da 300 milioni, interamente comprato da Nextra.

- SETTEMBRE. Il gruppo annuncia che non emetterà nel medio periodo obbligazioni convertibili e obbligazioni nel breve periodo da collocare sul mercato retail, avviando un programma di parziale buy-back. Il 15 viene emesso un nuovo bond da 350milioni interamente sottoscritto da Deutsche Bank. Lo stesso giorno Standard & Poor's rivede al ribasso, da positivo a stabile, l'outlook, confermando invece i rating del gruppo.

- 3 NOVEMBRE. Ricapitalizzazione in vista per la Parmalat Spa:gli azionisti vengono convocati in assemblea il 24 dicembre per deliberare un aumento di capitale a pagamento da 400 a 500milioni di euro.- 6 NOVEMBRE. La Consob, anche sull'onda della vicenda Cirio,chiede al gruppo di chiarire nella prossima trimestrale come intende rimborsare i bond in scadenza da qui al 2004.- 10 NOVEMBRE. La Parmalat risponde all'Autorità che i bond saranno rimborsati utilizzando la liquidità.- 11 NOVEMBRE. E' il primo vero giorno di passione della Parmalat story. La Deloitte & Touche esprime i suoi dubbi sull'investimento nel fondo delle Isole Cayman, Epicurum: il gruppo risponde respingendo le ipotesi di dissesto e ribadendola propria solidità finanziaria. Ma a fine giornata Standard & Poor's pone sotto creditwatch negativo tutti i rating assegnati ai titoli Parmalat a causa dei dubbi relativi alla contabilità dell'azienda e alle modalità in cui ha investito la propria liquidità.- 12 NOVEMBRE. Il gruppo annuncia l'imminente smobilizzo della quota nel fondo Epicurum e resuscita in Borsa.- 13 NOVEMBRE. Nonostante l'uscita da Epicurum, S&P mantiene il creditwatch con implicazioni negative. Il titolo sale ancora.- 14 NOVEMBRE. Alberto Ferraris lascia la funzione di direttore finanziario e la direzione Finanza viene accorpata all'Amministrazione e Controllo diretta da Luciano Del Soldato.- 25 NOVEMBRE. Deutsche Bank sale al 5,15% del capitale.- 27 NOVEMBRE. Via libera dall'assemblea di Epicurum alla liquidazione della quota di Parmalat. Venduta la Parmatour ad Argho.

- 8 DICEMBRE. Scade il bond da 150 milioni di cui è in dubbio il rimborso. La Consob chiede al gruppo di dare informazioni e di rassicurare il mercato. Parmalat comunica che Epicurum non ha proceduto alla liquidazione della quota alla scadenza prevista del 4 dicembre. Titoli sospesi in attesa del cda del 9.- 9 DICEMBRE. Il Cda assicura che il bond verrà rimborsato entro il 15 dicembre, accoglie le dimissioni di Del Soldato e nomina Enrico Bondi superconsulente. Tanzi parla di "momento difficile" e assicura l'impegno della famiglia. S&P declassa Parmalat a livello di junk bond.- 10 DICEMBRE. S&P taglia il rating a livello CC/C e parla di rischio default. Tanzi e Bondi sono ascoltati dalla Consob.Tonna lascia il Cda e tutti gli incarichi nel gruppo. La relazione di Bondi arriverà a fine gennaio 2004.- 11 DICEMBRE. Alla riammissione in Borsa, il titolo perde oltre il 40%.- 12 DICEMBRE. Nel pomeriggio, dopo un ennesimo bagno di sangue a Piazza Affari annuncia che il bond da 150 milioni è stato rimborsato. Un successo raggiunto grazie soprattutto al superconsulente Enrico Bondi: dall'Erario e da un gruppo di banche arrivano rispettivamente 35 milioni come restituzione dell'Iva e 25 milioni.- 15 DICEMBRE. Tanzi lascia cariche. Tutti i poteri affidati a Enrico Bondi che diventa presidente e ad del gruppo. Mandato a Mediobanca e Lazard per assistere la situazione economica e finanziaria del gruppo.- 18 DICEMBRE. Si bloccano i colloqui con Epicurum, facendo slittare la possibilità di rientrare in possesso dei 500 milioni di euro svaniti, che il fondo avrebbe dovuto mettere a disposizione.- 19 DICEMBRE. Nuovo scivolone in borsa dopo che Bank of America ha negato la l'esistenza di liquidità della Parmalat per 3,9 miliardi di euro, di pertinenza di Bonlat.(ANSA).

 

19 Dicembre 2003  14:12  ROMA  (ANSA)

 

 

 

 

PARMALAT: THE ECONOMIST, migliore imitazione Enron in Europa

 

(ANSA) - LONDRA, 18 DIC - Il caso Parmalat potrebbe "fornire la migliore imitazione europea mai vista finora del caso Enron", con le dovute differenze in fatto di controllo familiare. E' quanto scrive il settimanale britannico The Economist in un articolo che verrà pubblicato sull'edizione in edicola domani. Come la società americana Enron, fallita a causa di un maxi- scandalo finanziario, la Parmalat era "troppo affezionata ad elaborate operazioni obbligazionarie e sul mercato dei derivati,spesso con l'uso di complesse strutture offshore che coinvolgevano alcune delle sue numerose controllate". Dopo il crollo del 2002 di Vivendi, ricorda il settimanale,la multinazionale francese venne definita la "Enron europea".Il titolo è passato questa primavera all'olandese Ahold a causa dei suoi problemi di contabilità nelle sue controllate estere. Adesso, man mano che emergono nuovi dettagli, sembra che sia la Parmalat a rappresentare l'imitazione migliore del caso Enron, commenta l'Economist. Anche la Parmalat, come l'ex società Usa, aveva "acquisito una reputazione di mancanza di trasparenza". E come nel caso della Enron, anche gli investitori ed i banchieri della Parmalat "avevano difficoltà nel capire il suo bilancio o nel valutare la vera portata delle sue passività". La Enron "distrusse" la reputazione della sua società di revisione, la Arthur Andersen, prosegue la testata. Adesso, la società di revisione della Parmalat, la Deloitte, "deve dare spiegazioni". E neanche le società per la valutazione dell'affidabilità creditizia ne escono a testa alta. La Standard & Poor's (S&P) aveva dato "allegramente" il disco verde alle obbligazioni della Parmalat e solo quando la società è entrata in crisi "é stato chiaro come la S&P fosse sbagliata. Non c'é stato nessun campanello d'allarme?". (ANSA).

Londra   18/12/2003   20:38 (ANSA)

 

 

PARMALAT: BONLAT, cassaforte con 1$ di capitale

 

(ANSA) - MILANO, 19 DIC - Il capitale è di appena 1 dollaro, come risulta dal bilancio consolidato 2002 di Parmalat, un elemento che accresce ulteriormente il mistero intorno a Bonlat, la cassaforte offshore del gruppo di Collecchio, nei cui conti però non risulterebbero liquidità e titoli per un ammontare di 3,95 miliardi di euro. Bonlat Financing Corporation, questa la denominazione completa, ha sede al terzo piano West Wind Building a George Town, nel paradiso di Gran Cayman. La ingente liquidità era depositata in un conto della Bank of America - almeno secondo il gruppo alimentare, che è stato, come reso noto in mattinata, "disconosciuto" dalla colosso Usa. La Bank of America ha infatti negato l'autenticità di un documento del 6 marzo 2003 che attestava l'esistenza di posizioni in titoli e liquidità corrispondenti a circa 3.950 milioni di euro al 31 dicembre 2002 di pertinenza di Bonlat, documento "preso a base della certificazione del bilancio Bonlat 2002". La holding dei misteri è stata costituita nel 1998 da un'altra controllata di Parmalat, l'italiana Contal srl, mentre ora fa capo direttamente alla Parmalat Capital Finance Limited, costituita alle Cayman e domiciliata nell'isola di Malta in Savona Street, Sliema. E la crisi finanziaria di Parmalat passa proprio attraverso la Bonlat, che sarebbe stata proprio il crocevia di tutte le operazioni denominate back to back. Attraverso uno schema semplice quanto rischioso, che vede un'azienda versare finanziamenti, con una propria controllata, in una banca estera, che, a sua volta, li trattiene a titolo di garanzia per apertura di nuovo credito a favore di una parte terza indicata dall'azienda iniziale. Nel caso di Bonlat, il meccanismo avrebbe consentito (utilizzando parte dei 6,9 miliardi di dollari di bond emessi da Parmalat) l'affidamento di finanziamenti ad altre società del gruppo alimentare provocando, inevitabilmente, distorsioni in bilancio, con le diverse poste riportate come liquidità o come credito. A seconda delle circostanze. (ANSA)

Milano   19/12/2003   19:50 (ANSA)

 

 

 

 

 

 

 

  Parmalat: FT, i tanti perchè della Enron europea

22 Dicembre 2003  11:01  Londra  (ANSA)

 

Il buco nero della Parmalat potrebbe anche arrivare a 7 miliardi di euro, intitola in prima pagina il Financial Times che dedica ampio spazio ed anche un editoriale alle vicende della "Enron europea". Anche se emerge che all'origine "c'é stato un imbroglio calcolato, la velocità con cui l'edificio della Parmalat è crollato fa nascere domande sul perché in tanti erano disposti a dare il beneficio del dubbio ad una società che forniva così poche informazioni", scrive tra l'altro nell'editoriale. 

Quello che è cominciato due settimane fa "come un problema di rimborso di bond per 150 milioni di euro è diventata alla fine della scorsa settimana l'ammissione di un buco di 3,95 miliardidi euro". Tre cose devono avvenire, aggiunge il giornale: salvare il più possibile patrimonio e posti di lavoro; i responsabili e quelli che hanno sbagliato devono essere identificati; la lezione deve essere imparata. Questa per FT è "una dura prova per l'Italia che ha la fama di avere un debole sistema di controlli". E Silvio Berlusconi, il primo ministro, "non ha aiutato sabato quando ha fatto capire di voler salvare la società che ha circa 35 mila dipendenti in 30 paesi. Può essere stato un momento di impeto, ma un soccorso pubblico finirebbe per incoraggiare un lassismo delle regole societarie". Il giornale rileva che ora i nuovi manager porranno probabilmente la società in amministrazione controllata e che le banche ritengono che il valore mondiale di Parmalat possa coprire i sei miliardi di debiti a bilancio "ma potrebbero essercene altri due o più fuori bilancio. E c'é il timore che altre irregolarità possano emergere".

 FT sottolinea che le conseguenze vanno ben oltre l'Italia e che resta da stabilire: come Parmalat abbia costruito una rete impenetrabile di transazioni offshore; come i controllori non siano riusciti a prevenire che il denaro fosse drenato altrove; come le società di rating abbiano garantito lo status degli investimenti sulla base di scarse informazioni e perché banche ed investitori abbiano rischiato denari su una società chechiaramente non conoscevano. Una volta capita la lezione conclude il giornale - le riforme devono seguire. Nell'articolo in prima pagina FT rileva che dopo l'annuncio che non c'era contabilizzazione dei 3,95 miliardi di euro nella Banca d'America, persone che conoscono il gruppo sostengono che il buco nero potrebbe essere anche superiore ai 7 miliardi di euro. FT ricorda che all'inizio del mese Callisto Tanzi aveva ammonito le banche creditrici che la società avrebbe potuto non rimborsare i 7 miliardi di bond e di debiti che diceva di avere allora. Il giornale ricorda anche che i magistrati che indagano sul crack hanno raccolto molti documenti negli uffici della GrantThornton a Milano, la società di auditing della maggior parte delle sussidiarie della Parmalat. (ANSA).

22 Dicembre 2003  11:01  Londra  (ANSA)

 

 

 

mercoledì  24  dicembre   martedì  30  dicembre   mercoledì  31  dicembre
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  Economia: USA; nuovi dati, recessione iniziò nel 2000

10 Dicembre 2003  16:29  ROMA  (ANSA-BLOOMBERG)

 

L' ultima recessione dell' economia a stelle e strisce non è iniziata nel marzo 2001, come finora dichiarato dall' arbitro ufficiale dei cicli economici Usa, ovvero il National Bureau of Economic Research, ma alcuni mesi prima, cioé nel terzo trimestre del 2000, quando si ebbe una contrazione del pil dello 0,5% contro la stima finora accreditata di +0,6%. La novità emerge dalla tradizionale revisione sui principali dati economici del Paese compilata ogni quattro-cinque anni da Dipartimento del Commercio americano che, in base al miglioramento delle statistiche e al cambiamento delle definizioni, si estende fino a diversi anni addietro, in questo caso addirittura al 1929.

 L ' inizio anticipato della recessione, in quell' anno 2000 che pure ha segnato una crescita del 3,7% (dato rivisto, +3,8% la stima iniziale), dà peraltro sostegno alla dichiarazione del presidente Bush di aver ereditato la recessione dalla amministrazione del democratico Clinton. Il rapporto rivede anche leggermente al ribasso, al 2,6% contro il precedente 2,7%, la crescita Usa registratasi dal termine della recessione, ovvero novembre 2001, al secondo trimestre di quest' anno. Riguardo al 2003, secondo il nuovo rapporto il pil è salito al 2% nei primi tre mesi dell' anno contro la prima stima di 1,4%, mentre nel secondo trimestre è cresciuto al 3,1% contro il precedente 3,3%. La revisione attenua anche l' impatto della recessione, rivedendo la contrazione dal quarto trimestre 2000 al terzo trimestre 2001 allo 0,5% contro il precedente 0,6% PROFITTI SU, RISPARMI GIU' - 

Buone notizie sul fronte degli utili societari, rivisti consistentemente al rialzo per il 2002 e i primi sei mesi del 2003. Nel primo caso i profitti sono risultati pari a 904,2 miliardi di dollari, ovvero il 15% in più circa rispetto alla stima iniziale; per quanto riguarda, invece, i primi sei mesi di quest' anno, gli utili sono risultati pari a 975 miliardi di dollari, con un balzo del 14% circa rispetto alla prima stima. 

A spingere gli utili, la diminuzione da parte dei lavoratori dipendenti dell' esercizio delle stock options, stante la situazione poco rosea della Borsa Usa, che solo da marzo scorso ha ripreso a correre. Note dolenti, invece, sul fronte dei risparmi, rivisti al ribasso a partire dall' ' 87 in seguito alla correzione in alto della spesa personale e a quella verso il basso che ha riguardato, invece, il reddito personale. 

Per quanto riguarda il 2002, i risparmi sono dunque risultati di 2,3 cents per ciascun dollaro del reddito personale disponibile, contro la precedente stima di 3,7 cents. E il calo si e' ulteriormente accentuato nel primo e secondo trimestre di quest' anno, con la correzione, rispettivamente, a 1,9 cents dai precedenti 3,5 e 2,3 dai precedenti 3,2.(ANSA).

10 Dicembre 2003  16:29  ROMA  (ANSA-BLOOMBERG)

 

 

 

  Catastrofisti in estinzione ?

01 Dicembre 2003   15,45  MILANO  (Alessandro Fugnoli)

 

La sottile linea rossa tra sana ripresa e bolla planetaria è ancora lontana sull’orizzonte. Karl Popper è passato di moda da un pezzo, ma una sua idea resta ancora utile per chi si confronta con i mercati. L’idea è che chi formula un’ipotesi deve poi passare il suo tempo e impiegare tutte le sue energie intellettuali a cercare di confutarsela da solo. Se poi ci riesce, deve essere stoicamente contento, non deluso.

Essendo positivi su economie, azioni e bond siamo dunque, popperianamente, avidi consumatori di letteratura finanziaria catastrofista e il fatto che ce ne sia in giro sempre meno induce già di per sè a una certa cautela. Sono rimasti in circolazione, infatti, solo i professionisti del negativo. Tra questi ci sono quelli, come il Fondo Monetario o l’Ocse, che avvertono sempre e comunque, per dovere d’ufficio, dei pericoli in agguato. Il loro moniti si sono fatti di recente più stanchi e burocratici e si concentrano su un possibile crollo del dollaro (che non si capisce bene se sia un problema americano o non piuttosto, come sospettiamo, un problema europeo). Ci sono poi i negativi a sfondo politico, alla Joseph Stiglitz o alla Paul Krugman. Già erano critici ai tempi di Clinton, figuriamoci ora con Bush.

Infine è rimasto un nucleo duro di strategist ed economisti di mercato, da Bernstein a Roach a pochi altri, che hanno scelto (fede? partito preso? sadismo? infanzia infelice?) di fare i permabear, quelli che sono sempre negativi. Prima hanno negato la possibilità di una ripresa, poi l’hanno giudicata effimera e ora sono pronti, se per caso continua, a denigrarla come bolla. Il fatto che la loro performance nell’ultimo anno sia stata deludente non significa che lo sarà anche in futuro. Il fatto che siano negativi da tempo immemorabile non toglie nulla alla possibile efficacia delle loro argomentazioni. Uno spunto di riflessione stimolante lo offre Andy Xie di Morgan Stanley. Questa volta, dice, non c’è una bolla solo sulla borsa, ma su tutti gli asset, finanziari e reali. Questa bolla è riuscita ad avviare la ripresa dell’economia globale e le darà ossigeno ancora per il 2004. Ma una bolla è sempre una bolla e la sua sorte è segnata.

Ci pare elegante la teoria della bolla diffusa. Effettivamente la Fed ha fatto tesoro dell’esperienza della bolla precedente e propone questa volta un bubble management di nuova concezione. Il 1999 vide il crollo dei bond e il boom della borsa. Questa volta si vuole evitare a tutti i costi di strafare ossessivamente con la borsa (e la sua componente tecnologica) e si dà qualcosa a tutti. Ai bond, alle case, alle azioni (tutte). Si dà meno nell’occhio e ci si garantisce un rientro meno traumatico a festa finita. Questa tesi ha un elemento di verità e una possibile forzatura.

L’elemento di verità è che questa è un’epoca storica di deflazione strutturale. Lasciato a se stesso il ciclo si muove a ondate di fiducia e sfiducia estreme, come nell’Ottocento. La fiducia genera eccessi di investimento (finanziario e reale) che portano a una continua espansione dell’offerta e alla creazione di asset inflation. In questa fase i prezzi di materie prime, prodotti e servizi recuperano parte della discesa precedente (ma non sono inflazione come quella che abbiamo vissuto nei decenni scorsi). A questa fase segue quella dell’implosione e della liquidazione di capacità produttiva in eccesso, accompagnata da asset disinflation e default. Oggi non siamo nell’Ottocento, ma ci accomuna a quel secolo la potenziale violenza dei cicli, la mancanza di inflazione strutturale e la tendenza, periodicamente, a buttare al vento capitale, ovvero ad allocarlo male. La Fed è oggi impegnata in un esercizio di fine tuning degli spiriti animali di investitori e imprenditori. Si vuole ricreare fiducia senza generare la sua caricatura, l’entusiasmo. La Fed fa così da reattore nucleare della ripresa mondiale, ma è questa volta molto attenta a controllare l’emissione di radiazioni.

L’elemento di forzatura nella tesi della bolla diffusa sta nel definire fin da subito come bolla la ripresa in corso. Attivare enormi capacità inutilizzate non significa creare una bolla. Al massimo significa riscoprire Keynes. Quale può essere, allora, la sottile linea rossa che separa una sana ripresa da una bolla? Non è l’inflazione. In un contesto di deflazione strutturale l’inflazione è sempre circoscritta e temporanea. L’oro a 400 dollari non significa assolutamente niente. Le altre materie prime in rialzo significano qualcosa di più, ma fino a un certo punto. Non si riapre una miniera chiusa (o non se ne apre una nuova) due giorni dopo l’inizio di un rialzo dei prezzi. Si aspetta di vedere se il rialzo è serio. Con un po’ di pazienza l’offerta si fa viva. Nel mondo ci sono tutti i minerali che si vogliono. Il petrolio è sovrabbondante e più a lungo l’Opec ne tiene su artificialmente il prezzo più grande sarà la caduta sotto i 20 dollari quando non ce la farà più. Quanto al capitale umano, c’è probabilmente mezzo miliardo di persone in esubero nell’agricoltura mondiale. Nelle sole periferie delle città cinesi e indiane ci sono almeno 50 milioni di persone pronte a fare qualsiasi lavoro immediatamente.

Quando si pensa al limite teorico della crescita mondiale si fa veramente fatica a trovarne uno. Forse il collo di bottiglia più stretto è l’energia elettrica. Brasile, Messico e Cina potrebbero crescere molto di più se risolvessero il nodo delle centrali. La Cina aumenta l’offerta di energia del 10 per cento all’anno, ma riesce comunque a crescere di più togliendola massicciamente all’uso domestico con black out imponenti. Il vincolo, dunque, non è l’inflazione. Una bolla diventa bolla solo quando il capitale inizia a essere usato male non solo dagli investitori ma anche dagli imprenditori. Nella fase finale di un bull market azionario è normale fare investimenti a casaccio, comperare al meglio, non studiare più quello che si compra. Lo stesso fanno le imprese. Probabilmente la storiografia stabilirà che, nel disastro del 2000-2002 , hanno ancora più responsabilità degli investitori. Ci sono oggi segnali di deterioramento nell’allocazione del capitale? Uno solo, si direbbe. In Cina si è costruito troppo e lo si è fatto a credito. Ora è in atto una stretta, si costruirà molto meno e si metterà meno pressione sui corsi delle materie prime (che avranno in più, come abbiamo visto, un aumento di offerta).

Niente altro, ci pare. Nell’M&A ci sono solo timidi segni di risveglio. I collocamenti azionari sono ancora pochi. Manca all’orizzonte una killer application come Internet che faccia sognare e stimoli investimenti disordinati. I dati sulla produttività, del resto, indicano una riluttanza estrema allo sperpero di capitale. Può darsi che le cose stiano cambiando, ma siamo solo agli inizi. Tempo al tempo. Al momento tutto sembra in ordine. La borsa è dove deve stare e cresce in linea con gli utili. In questi giorni viene dato un po’ di gas per indurre gli americani a spendere di più per Thanksgiving e Natale, ma tutto avviene all’insegna della massima moderazione. I bond, dal canto loro, non sembrano particolarmente vulnerabili, soprattutto in America.

Forse avremo 150-200,000 posti di lavoro in più la settimana prossima, ma c’è anche qualche segnale di rallentamento nella domanda di case (e il fatto che si costruisca molto può aggravare il problema). E’ più che lecito nutrire dubbi sulla tenuta della domanda interna nel 2004. Una domanda buona, ma non spettacolare, non porrebbe nessun problema ai bond, anzi. Nemmeno il dollaro deve preoccupare. Si approfitta di giornate di borsa forte per indebolirlo senza creare problemi. Non c’è sotto nient’altro. Il ritorno all’orizzonte dei rischi geopolitici e un conflitto commerciale a bassa intensità tra Cina e Stati Uniti (con l’Europa felicissima di approfittarne per innalzare altre barriere) sembrano al momento sufficienti a moderare gli entusiasmi (come quelli un po’ interessati che va diffondendo la Fed ). In questo modo si può spalmare positività tra crescita, bond e azioni senza che la prima schiacci gli altri due.

01 Dicembre 2003   15,45  MILANO  (Alessandro Fugnoli)

 

 

 

  Chi e perchè ha posizioni short sull'oro

04 Dicembre 2003   04:40  NEW YORK  (Us Equity & Macro Lab)

 

L’oro ha sfondato la soglia dei 400 dollari sopra la quale non chiudeva dal febbraio 1996. Nonostante sia stato discreditato sin dal suo sorgere e qualunque siano gli sviluppi di breve periodo che ne caratterizzeranno il prossimo andamento, il genuino mercato toro del metallo giallo ha continuato la sua salita raggiungendo un traguardo molto importante.

E’ un dato di fatto che la salita dell’oro sia stata finora molto irrequieta e turbolenta. Ed è molto probabile che continuerà a esserlo nel futuro. Come ricordò tempo fa Richard Russell, è tipico dei mercati toro genuini, soprattutto nelle loro fasi iniziali, avere movimenti bruschi di modo che, come in un rodeo, rimangano in sella solo le mani forti. Proprio quello è accaduto al mercato dell’oro e che invece da marzo non si è verificato nel caso del mercato azionario.

Stando alle dinamiche di mercato, ai grafici, e ai fondamentali, il termine di questo mercato toro ancora giovane si preannuncia molto lontano, sia in termini temporali che di prezzo. Il superamento dei massimi raggiunti nel 1980 potrebbe rappresentare solo l’entrata nella terza e ultima fase, quella finale e più speculativa, in grado di attrarre il pubblico in massa come fece il mercato azionario negli anni 1998-2000 , o come accadde sullo stesso mercato dell’oro 25 anni fa. Tuttavia per le gravi implicazioni economiche che comporterebbe un valore dell’oro a quei livelli è impossibile oggi azzardare qualunque tipo di congettura.

E’ quindi normale e in parte fisiologico che in questi due anni lo scetticismo nei confronti dell’oro si sia mantenuto ben solido al crescere del prezzo. Per altra parte il merito di tale scetticismo va sicuramente al costante lavoro di dissuasione svolto della maggioranza dei media. Largo spazio di notizia tendenzialmente neutrale su ogni nuovo massimo solo in preparazione di una pubblicità negativa, decisamente altisonante, in occasione dello storno successivo. Le cause imputabili sia ai nuovi massimi che agli storni violenti che hanno fatto inevitabilmente seguito, sono state ricondotte quasi sempre a motivi e fattori superficiali, talvolta alquanto bizzarri per non dire del tutto ridicoli, che poco e niente avevano a che vedere con le reali cause a supporto del trend crescente. Si veda ad esempio, per ultimo, il superamento temporaneo di quota 400 avvenuto il 26 novembre scorso. A quanto pare (non ne siamo testimoni) l'episodio venne attribuito da un network televisivo americano a delle strane esalazioni fumose provenienti dalla metropolitana di New York!!

Jim Sinclair, indubbiamente uno dei migliori esperti sul mercato dell’oro, chiosò in occasione dell’avvenimento:

“Sappiamo tutti che la metropolitana di New York emana sempre una puzza un po’ strana, specialmente intorno a mezzogiorno. Se la gente per pranzo smettesse di mangiare cibo speziato e se i macchinari funzionassero con energia pulita, quella puzza, probabilmente, sparirebbe all’istante. Una delle forme più pericolose di terrorismo verbale è oggi quella dei commenti lava-cervello dei nostri maggiori network televisivi. Evidentemente come causa principale della salita del prezzo dell’oro non era lecito e appropriato menzionare il massiccio bombardamento avvenuto oggi contro il dollaro sui mercati valutari .”

I nostri complimenti a Jim Sinclair, sia per questa feroce ironia che, soprattutto, per il suo ottimo lavoro di analisi, svolto e gratuitamente pubblicato sul suo sito a delucidazione delle reali dinamiche che interessano il mercato dell'oro.

Tornando all’analisi del prezzo dell’oro, a febbraio 2002 avevamo fatto notare il trend rialzista già in corso. A dicembre 2002 invece avevamo detto che il mercato era entrato nella seconda fase di quel trend.

Tuttavia, questa seconda fase ha trovato finora espressione e limite solo nel prezzo espresso in dollari. In effetti, il prezzo dell’oro espresso nelle altre valute principali giace ancora nella sua prima fase di accumulazione. La salita in termini di dollari, infatti, è andata nell’ultimo anno e mezzo più o meno di pari passo con l’apprezzamento delle principal valute mondiali.

A questo comportamento corrisponde evidentemente una considerazione e preferenza monetaria dell’oro rispetto al dollaro non inferiore di quella che ha interessato le altre principali valute cartacee. Non solo, la tendenza generale che sembra mostrare il recente andamento fa presupporre una prossima entrata nella seconda fase anche in termini delle altre valute. Si veda a tal proposito, per una visualizzazione dei singoli grafici, l’articolo: “Has the True Gold Bull Begun & the Coming World Currency Crisis”.

Del resto una salita del prezzo dell’oro anche in termini delle altre valute sembrerebbe essere una conseguenze piuttosto logica e crediamo inevitabile. Quella in atto è una svalutazione del dollaro a danno delle esportazioni degli altri paesi. Tuttavia gli squilibri in essere rappresentati dalla già pesante accumulazione di dollari e bond in mano straniera (siamo a oltre 1 trilione di dollari) non possono essere liquidati a favore delle altre valute, pena un ulteriore indebolimento del dollaro. Una situazione senza soluzione in cui l’oro rappresenta l’unica via di fuga neutrale. Nel veloce processo di disinvestimento dal dollaro, l'unica maniera per smobilizzare dollari senza causare l'apprezzamento di altre valute è proprio l'acquisto di oro, la moneta di tutti e di nessuno. Il problema è che in tal caso una salita dell’oro in termini assoluti comincerebbe a rivestire un valore segnaletico non trascurabile.

Il titolo dell’articolo sopra citato è a tal proposito sufficientemente significativo. La salita dell’oro, infatti, oltre a segnalare una politica monetaria americana estremamente accomodante, a scontare crescenti aspettative inflazionistiche e a misurare come un qualunque altro indice o altra cartamoneta la forte discesa del dollaro sui mercati valutari, porta con sé significati molto più profondi (di queste semplici e tutto sommato ingenue deduzioni) che potrebbero presto trovare seguito e conferma nelle dinamiche economiche.

Nel momento in cui la seconda fase si estendesse anche alle altre valute principali, euro, pound e yen, il verdetto del mercato sarebbe chiaro: il prezzo dell’oro starebbe segnalando l’eventualità di una crisi del sistema monetario mondiale basato sul dollaro e, per immediata estensione, l’eventualità di una crisi economica globale, dalle conseguenze difficilmente inimmaginabili. E’ forse questo il motivo per cui le posizioni dei Commercial sull’oro (secondo Jim Sinclair, sei grosse banche di investimento) sono ostinatamente corte (short, posizionate al ribasso) e continuano ad essere in errore da oltre due anni. Queste posizioni corte perseguono, a nostro avviso l'obiettivo di circoscrivere l'importante valore segnaletico che le pressioni di mercato, esercitate dagli enormi squilibri in essere, tendono tradizionalmente a trasmettere al prezzo dell'oro. La manifestazione di tale valore segnaletico sarebbe sicuramente poco gradita agli ingegneri economici, in quanto minerebbe quella apparente stabilità monetaria ed economica, da lungo tempo perduta, ottenuta oramai solo tramite la corruzione delle spontanee dinamiche di mercato...

Tuttavia, l'andamento dell'oro negli ultimi due anni e mezzo ha ben mostrato come il lavoro di compressione del prezzo dell'oro, che aveva avuto sortito un ottimo successo nella secondà metà degli anni novanta, stia riscontrando da due anni a questa parte crescenti difficoltà. Come dimostrano anche i dati relativi agli open interest sul mercato dei derivati, alle mani forti che accumulano oro sul mercato del fisico si è affiancata ultimamente una consistente speculazione rialzista sul mercato dei futures, come se quest'ultima avesse subodorato una facile e ghiotta opportunità di guadagno. Basti ricordare per analogia gli episodi relativi alla lira e alla sterlina del 1992.

Il fallimento definitivo ed eventuale di questa ostinata difesa del dollaro dal prezzo dell’oro darebbe luogo a sviluppi sicuramente interessanti. Proviamo ad abbozzare quello che potrebbe essere il principio di uno degli scenari plausibili.

Ricordiamo come ai primi di giugno avesse ben poco senso che il mercato dei bond salisse verso nuovi record parallelamente a quello azionario. Uno dei due si stava clamorosamente sbagliando. Considerata la gran confusione e speculazione che da diversi anni la FED alimenta sui mercati finanziari, non era certo un episodio di cui stupirsi. Per noi, si sbagliavano entrambi, ma mentre la corsa del mercato azionario poteva ancora trovare sostegno grazie a ragioni ben precise (le ondate di liquidità della FED) quella dei bond aveva raggiunto eccessi difficilmente sostenibili.  

Il crollo di luglio proclamò come perdente il mercato obbligazionario e risparmiò quello azionario. In quella caduta quest’ultimo trovò anzi motivi di conferma per la ripresa che in effetti si è materializzata quantitativamente (benchè a nostro avviso non qualitativamente) nei dati dell'ultimo trimestre. E ancora oggi le borse mantengono gli attuali livelli più per l’effetto di un intenso vortice speculativo, analogo e forse non inferiore a quello che caratterizzò le borse tra il 1999 e l’inizio del 2000, che non per altre ragioni logicamente convincenti.

Oggi la stessa incongruenza è ravvisabile considerando l’andamento dell’oro, e più in generale anche quello delle commodities, rispetto all’andamento dei bond e dell’azionario. Non ha infatti molto senso che il dollaro continui a scendere a beneficio sia del mercato obbligazionario che di quello azionario.

Il mercato dei bond ha consolidato dopo la caduta di luglio, sostenuto dagli interventi verbali degli ingegneri economici della FED che con la promessa di mantenere tassi bassi continuano ad alimentare i flussi di liquidità e a favorire le strategie di "carry trade" a sostegno dei tassi di lungo termine. Tuttavia tale strategia è suscettibile di perdere quanto prima quella credibilità ricostruita dopo la fase di sfiducia di luglio, proprio a causa della forte pressione esercitata sia dal mercato azionario e, ancor più, dall'andamento dei prezzi delle commodities.

In questo momento, quindi, il mercato dei bond rimane, a nostro avviso, il più vulnerabile. Un secondo shock della stessa intensità di quello di luglio non è affatto da escludersi. A favore di questa ipotesi, si prendano in considerazione anche i dati più recenti che hanno visto un graduale ritiro degli investitori stranieri dai bond americani. Uno shock del genere avrebbe conseguenze quasi immediate non solo sui bond di altre aree geografiche, ma anche sulle borse. Così come avvenne nel 1987 una ulteriore gamba rialzista dei tassi potrebbe facilmente contribuire a sgonfiare in maniera brusca e altrettanto traumatica la minibolla azionaria in formazione da diversi mesi.

La ripresa, o mini boom, del quale non abbiamo osato mettere in discussione gli aspetti quantitativi, è infatti riconducibile ancora una volta, alla pari del boom degli anni novanta, al ciclo economico di boom and bust sviluppato dalla teoria economica Austriaca: espansione monetaria e creditizia che crea un boom non sostenibile caratterizzato da malinvestments, squilibri, e distorsioni nella struttura produttiva e nei processi economici. Inevitabilmente il mercato richiederà una nuova correzione, il bust, e questa volta troverà la FED e le altre autorità preposte all’intervenzionismo economico senza più la vasta gamma di strumenti che avevano a disposizione nel 2000.

Un'ulteriore complicazione, purtroppo, è data dal fatto che i nuovi squilibri creati di recente si sono sommati, e potremmo anche dire moltiplicati, a quelli già in essere tre anni fa. Come più volte ripetuto quegli squilibri non hanno avuto modo di essere riassorbiti dalle dinamiche del libero mercato proprio a causa dell’intervento di quella che riteniamo essere la peggiore amministrazione della FED di tutti i tempi. Nel corso di questi tre anni il cuore di tali squilibri si è gradualmente e pericolosamente concentrato proprio in quella istituzione basilare del processo economico che è costituita dalla moneta. E il discorso di Ron Paul (vedi bollettino Settembre 2002 articolo "denaro di carta e tirannia") da noi tradotto tempo fa non poteva essere a tal proposito più chiaro e illuminante:

“La moneta é una questione morale, economica e politica. Poiché l’unità monetaria stabilisce qualsiasi transazione economica, dai salari ai prezzi, dalle tasse ai tassi di interesse, é estremamente importante che il suo valore venga stabilito in modo onesto dal mercato senza che banchieri, governi, politici o la Federal Reserve manipolino il suo valore al fine di servire interessi particolari”.

Proprio quello che purtroppo è accaduto negli ultimi decenni. Il messaggio che porta con sè il valore segnaletico incorporato nel prezzo dell’oro sta cercando di dirci questo e niente altro. I banchieri centrali naturalmente non ascoltano e continuano a vendere le loro riserve laddove l'unica via di scampo dalla crisi sarebbe, forse, ricostituirle. Prima che sia troppo tardi.

 

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