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Armi finanziarie di
distruzione di massa
29
Febbraio 2004
12:11
New York
(WSI)
Lo
sviluppo di strumenti finanziari sempre più complessi e sofisticati ha
costituito il propellente per la crescita impetuosa dei mercati finanziari
globali. Da quando nei primi anni '70 due economisti dell'Università di
Chicago, Black e Scholes, scoprirono la formula per calcolare il prezzo delle
opzioni, il mercato dei derivati su azioni, valute, tassi di interesse, materie
prime e quant'altro ha conosciuto un continuo boom.
Negli ultimi dieci anni il volume dei derivati (così chiamati
perché il loro valore “deriva” da quello del titolo cui fanno riferimento)
trattati nei mercati mondiali è cresciuto in media del 17% all'anno. E negli
ultimi anni il trend si è impennato. Secondo
la Banca
dei Regolamenti Internazionali,
tra il dicembre 2000 e il giugno 2003 il valore di mercato dei derivati
scambiato è passato da
3000 a
8000 miliardi di dollari. Di
questi la parte del leone l'hanno fatta i derivati sui tassi di interesse che
sono cresciuti da circa 1300 miliardi di dollari a oltre 5000.
Fino a non molto tempo fa era opinione dominante che la maggiore
sofisticazione e la maggiore disponibilità di strumenti finanziari costituisse
un elemento positivo per la stabilità del sistema finanziario. Volendo
semplificare, le opzioni, i futures, gli swaps ecc. possono essere considerati
dei contratti di assicurazione contro la volatilità dei mercati o contro
particolari eventi e quindi aiutano a diversificare i rischi in modo più
efficiente. Di recente Greenspan ha sottolineato che l'introduzione di strumenti
derivati ha accresciuto la flessibilità del sistema economico e la capacità
dei mercati finanziari di superare senza traumi le fasi negative del ciclo.
Ma il consenso su questa visone rosea si era già incrinato quando
nel 1998 il fallimento del fondo speculativo Long Term Capital Management mise
in crisi la stabilità del sistema finanziario. Ulteriori dubbi furono innescati
dal crack Enron che proprio sui derivati aveva costruito la propria parabola.
Anche da ambienti non sospettabili di umori anticapitalistici sono arrivate
bordate pesanti. Per esempio Warren Buffet il più stimato finanziere americano
ha parlato di «armi finanziarie di distruzione di massa» e Bill Gross, capo di
PIMCO, uno dei fondi di gestione più grandi e prestigiosi si è unito alla
critica. Non si tratta di illustri casi isolati: un sondaggio condotto dal
Centre for the Study of Financial Innovation indica che la maggior fonte di
preoccupazione per i banchieri internazionali è proprio la complessità degli
strumenti finanziari.
A questo punto occorre una precisazione. Gli strumenti derivati
hanno caratteristiche molto diverse. Tra i più diffusi sono le semplici opzioni
per acquistare o vendere azioni (o indici azionari), valute o materie prime a un
certo prezzo entro una certa data. I mercati dove vengono scambiati sono molto
liquidi, spesso le transazioni si effettuano in mercati borsistici ben
regolamentati e le clausole contrattuali sono chiare.. Quindi in linea generale
si può dire che la loro introduzione è stato un elemento positivo per il
sistema finanziario e per le imprese.
Le paure riguardano invece una gran massa di contratti scambiati
over the counter, cioè al di fuori di mercati regolari, creati da intermediari
finanziari ad hoc per soddisfare le manie speculative dei clienti e quasi sempre
poco liquidi. In questo caso le preoccupazioni sono giustificate per due ordini
di motivi. In primo luogo le teorie economiche e i calcoli statistici su cui si
basano le valutazioni dei derivati hanno un legame piuttosto tenue con la
realtà. Il calcolo del rischio viene fatto con modelli che spesso sottostimano
la probabilità di eventi inusuali o di eccezionale gravità.
Questi modelli sostanzialmente estrapolano il futuro analizzando un
campione di dati passati. Però i molteplici rischi cui sono sottoposti i
mercati sono il risultato di fenomeni la cui natura è sfuggente e le attuali
conoscenze matematiche e statistiche non ne consentono una stima accurata. In
secondo luogo gli operatori spesso non hanno un quadro preciso delle loro
esposizioni perché i contratti contengono clausole insidiose celate da
formulazioni oscure.
Al di là dei tecnicismi possiamo dire che il beneficio della
diversificazione si materializza solo se la reale portata dei rischi è
correttamente valutata da tutti gli attori coinvolti. Il caso Parmalat offre un
esempio paradigmatico. In almeno un caso una banca che prestava i soldi a Tanzi
si è cautelata contro il rischio di bancarotta attraverso dei “derivati su
crediti”. Questi strumenti consentono di riottenere l'intero ammontare
prestato in caso l'azienda fallisca. Non si sa bene chi sia stata la controparte
di tale transazione. Immaginiamo che la controparte fosse una compagnia di
assicurazione, istituzioni cui spesso le banche commerciali si rivolgono per
acquistare questi derivati sui crediti.
C'è da chiedersi che competenze e che risorse umane abbia
un'assicurazione per analizzare i bilanci della Parmalat o di qualsiasi altra
azienda. In altre parole è lecito il sospetto che alcune patate bollenti
vengano proditoriamente fatte cadere nelle mani di istituzioni gonfie di soldi e
povere di know-how.
Un altro aspetto di cui si parla poco è il fatto che spesso il
valore reale delle esposizioni attraverso derivati, secondo i criteri contabili
prevalenti, non deve essere riportato in bilancio. La ricerca del profitto,
specie in tempi di magra, induce alcune imprese industriali a speculare
attraverso derivati, per cui dirigenti, azionisti e analisti hanno solo una vaga
nozione delle esposizioni. In un sondaggio sponsorizzato della McKinsey, il 36%
dei direttori di grandi società ammette di non capire con chiarezza a quali
rischi le loro aziende sono soggette.
In sintesi gli strumenti derivati sono utili per diversificare, ma
solo se il calcolo dei rischi è accurato e se l'esposizione viene riportata in
modo trasparente nei bilanci. Al momento è dubbio che queste due condizioni
siano soddisfatte pienamente. E finché non lo saranno le autorità di vigilanza
farebbero bene a non lasciarsi cogliere di sorpresa.

Il Riformista
FED:
Greenspan;
debito
colossi immobiliari, rischio finanza
(ANSA)
- NEW YORK, 24 FEB - Dopo avere
giudicato positivamente, ieri, gli
investimenti nel mattone compiuti dalle famiglie statunitensi nel corso
degli ultimi anni, il
presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan,
mette sul chi vive il Congresso americano invitandolo a fissare un tetto
al debito contratto dalle due prime aziende del Paese attive nel settore
dei prestiti immobiliari: Freddie Mac e Fannie Mae. A giudizio
del numero uno della Fed - intervenuto oggi innanzi alla Commissione
bancaria della Camera - le due aziende,entrambe a partecipazione
statale, potrebbero incrinare il sistema finanziario statunitense se non
verranno fissati dei limiti ai loro debiti. Le due aziende divenute, anno
dopo anno, pilastri della
finanza a stelle e strisce controllano i tre
quarti dei prestiti immobiliari ottenuti dalle famiglie statunitensi: un
mercato da 4.000 miliardi di dollari. Sino ad ora - ha osservato
Greenspan - le due società hanno gestito bene i loro rischi finanziari
tuttavia, la crescita continua del giro di affari e,
contestualmente,dell'indebitamento potrebbe diventare una minaccia perl'economia
americana. "Nel futuro - ha evidenziato Greenspan - potrebbero
essere possibili, difficoltà sistemiche", nei cui confronti
il Congresso dovrebbe intervenire con celerità, puntando
al contenimento
del debito contratto dai due giganti del prestito immobiliare. Dalla
scorsa estate, Freddie Mac è sotto indagine da parte delle autorità
statunitensi decise a fare piena luce sui suoi conti dopo l'annuncio di
dovere rivedere i ricavi relativi al periodo compreso.
24 Febbraio 2004
16:53 New York
(Ansa)
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USA: Bilancio; deficit
record 2004, Bush punta su difesa
02
Febbraio 2004
19:19
New York -
Ansa
(di
Gianluca Angelini)
Lotta
senza quartiere al terrorismo, difesa della sicurezza nazionale e sostegno all'economia, apparsa in forte ripresa a
partire dalla
seconda metà del 2003. Il tutto per 2.400 miliardi di dollari: a tanto ammonta
il bilancio 2005 presentato oggi dall'Amministrazione Bush innanzi al Congresso
degli Stati Uniti. Cifre che non mancheranno di fare discutere gli
opposti schieramenti politici riuniti nel consesso di Capitol Hill: il piano
stilato dalla Casa Bianca per l'esercizio fiscale 2005 -il cui avvio è fissato
per il prossimo primo ottobre - contiene infatti la previsione di un deficit
record per quest'anno e di uno ancora corposo per l'anno venturo.
Il
disavanzo stimato per quest'anno risulta essere
di 521 miliardi di dollari - una cifra quasi irreale rispetto ai 304 miliardi di
dollari che erano stati previsti al momento della presentazione del budget 2004
- e infinitamente più pesante rispetto ai 290 miliardi registrati da George
Bush senior nel 1992, il più ampio mai archiviato prima della gestione del
figlio George Jr. Per il 2005, invece, il deficit dovrebbe attestarsi sui
364miliardi di dollari: nonostante l'ingente somma, è il primo segno - così
afferma l'Amministrazione Bush - di un rallentamento nel rosso di bilancio, il
quale dovrebbe attestarsi a quota 237 miliardi di dollari nel 2009 nel rispetto
di
quel dimezzamento del deficit in cinque anni promesso dalla presidenza
statunitense già da diversi mesi. "Una recessione, gli attacchi
terroristici e poi la guerra" - ha spiegato il presidente Bush al termine di
una riunione con il suo staff - hanno guidato il ritorno del disavanzo cui il
governo farà fronte con una attenta politica di spesa senza però dimenticare le
priorità per il Paese. "Questa nazione - ha osservato Bush - resta in
guerra. Si è impegnata in una lunga guerra contro il terrore e la sua
conclusione
inevitabile sarà la distruzione dei terroristi".
SPESE DIFESA VOLANO OLTRE
400 MLD - Così - con un Iraq ancora da ricostruire e la minaccia sempre elevata
del terrore internazionale - il punto di forza del bilancio presentato
dal presidente americano appaiono le spese per la difesa: nel 2005
saranno pari a
401,7 miliardi di dollari in salita di 126,4miliardi di dollari, il 33,7% in più
rispetto ai 375,3 miliardi di dollari stanziati per l'anno in corso. Nel
dettaglio - senza contare che, secondo l'Ufficio Bilancio della Casa Bianca,
verranno chiesti al Congresso, nei mesi avenire altri 50 miliardi di dollari
aggiuntivi per le operazioni in Iraq e Afghanistan - 74,9 miliardi di dollari
saranno messi a disposizione per i nuovi sistemi d'armamento (ben 10,2 per il
solo
sistema di difesa missilistico) e 68,9 miliardi di dollari per la ricerca e lo
sviluppo, 3,2 dei quali per il piano Future Combat Systems destinato a fornire
alle truppe americane nuove divise da combattimento ipertecnologiche entro il
2010.
SALGONO COSTI SICUREZZA E MEDICARE - "Il bilancio per il 2005 - ha
spiegato Bush - risponde alle sfide poste da tre priorità nazionali, cioé
vincere la guerra contro il terrorismo, garantire sicurezza al Paese e generare
una crescita dell'economia sul lungo termine". Il governo statunitense ha
poi
previsto di mettere a disposizione 28,3 miliardi di dollari per la sicurezza
(rispetto ai 27,1 miliardi di dollari del budget 2004) e di richiedere 134
miliardi di dollari in più,rispetto ai 400 inseriti nel bilancio 2004 e già
ottenuti, perl'assistenza sanitaria Medicare.
SOLDI A NASA VERSO MARTE,
AGRICOLTURA AL RISPARMIO - Tra le pieghe del bilancio, ancora, a fronte della
crescita delle spese per la difesa e si registrano un lieve incremento per le
spese della Nasa (16,2 miliardi di dollari contro i 15,4 del 2004) e una serie di
riduzioni per quanto riguarda altri settori chiave come la giustizia (passata dai
19,3 miliardi di dollari del 2004ai 18,7 del 2005), i trasporti (scesi da 13,9
miliardi di dollari a 13,3) e l'agricoltura. In questo settore, uno dei più
importanti
per l'America, si è passati dai 20,7 miliardi di dollari stanziati nel bilancio
2004 ai 19,1 miliardi di dollari per il 2005. Tra questi, 60 milioni di dollari
sono stati iscritti in bilancio per fare fronte all'emergenza 'mucca pazza'.
(ANSA).

02
Febbraio 2004
19:19
New York
(Ansa)
domenica 01
febbraio 2004
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lunedì 02
febbraio 2004
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mercoledì 04
febbraio 2004
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Risparmio:
l'occasione
perduta
08
Febbraio 2004
22:44
Milano
(di
*Paolo Madron)
*Paolo
Madron e' il Direttore di Panorama Economy.
D’accordo,
la politica è l’arte della mediazione, che di questi tempi purtroppo si deve
accontentare di giocare al ribasso. Quando la conflittualità attraversa
pesantemente le coalizioni, accade inevitabilmente che la montagna delle buone
intenzioni partorisca topolini. È quello che è successo con il nuovo disegno
di legge sul risparmio, che concede poco a quanti vi avevano visto
un’autentica occasione riformista e molto, troppo, alle prerogative di
autoconservazione dello status quo.
Il
risultato è francamente un discreto pasticcio: dal vagheggiamento della
Authority unica si è passati a tre per arrivare a cinque nella versione finale.
Con in più una sovrapposizione di competenze tra Antitrust e Banca d’Italia
in materia di concorrenza che prefigura uno scenario di equivoci e confusione,
perché storicamente i poteri condivisi finiscono col neutralizzarsi piuttosto
che dar corso all’esercizio delle proprie funzioni.
Ma
era davvero pretenzioso sperare in qualcosa di meno compromissorio? No, perché
la riforma non era stata pensata a freddo, in un momento di buona vena del
capitalismo italiano, ma all’indomani di una serie di scandali finanziari che
ne hanno messo a dura prova la tenuta. E con il non trascurabile favore di
un’opinione pubblica consapevole della necessità di una svolta. Insomma, in
un contesto ambientale che agevolava l’azione riformatrice. E dunque, se pur
sono comprensibili le preoccupazioni di quanti, presidente del Consiglio in
testa, temevano da un lato l’eccessiva destabilizzazione, dall’altro la
deriva giustizialista di una magistratura che non perde l’occasione di abusare
del guanto di ferro (che errore, a posteriori, la presenza del pm di Milano
Francesco Greco alla riunione dell’Aspen Institute dove il progetto voluto dal
ministro Tremonti aveva ricevuto una benedizione bipartisan), non sarebbe stato
fuori luogo un maggior decisionismo.
In
particolare, per quel che riguarda il ruolo di Via Nazionale, che di questo
disegno di legge può giustamente gioire. Le sue prerogative ne escono appena
scalfite, mentre intatta è la sua giurisdizione in materia di concorrenza
bancaria. Perché, con la necessità del doppio assenso, Antonio Fazio mantiene
il suo potere di veto. A noi, che in tutti questi mesi abbiamo sostenuto che
proprio in questo stava la vera forza del governatore, la fonte della sua
autoreferenzialità, la soluzione non piace affatto.
E
non per una pregiudiziale opposizione a Fazio, ma perché riteniamo che in
democrazia non ci possano essere istituzioni che rispondono del proprio operato
solamente alla discrezionalità di chi le guida. E non solo, che eccedendo i
propri ambiti si pongano come attore politico antagonista di qualsivoglia
governo. Non importa se la crisi industriale del Paese e la conseguente
bancarizzazione del sistema abbiano finito oggettivamente con l’enfatizzare
ruolo e responsabilità di Bankitalia.
Cucinato
il «fritto misto», ora c’è da sperare che il Parlamento sappia far emergere
più distintamente qualcuno dei sapori. Perché i pastiches non reggono a lungo.
A meno che, per porvi rimedio, non si voglia aspettare la prossima azienda che
salta, o la banca che per comprarsene un’altra si consumerà nell’attesa di
un’ambigua autorizzazione. O, peggio, che sia la normativa europea a fare
strame delle incertezze e delle ambiguità di quella italiana.

Economy
Cirio: dal crack dei bond
all'arresto di Cragnotti
11
Febbraio 2004
18:10
Roma
(ANSA)
(ANSA)
- ROMA, 11 FEB - Ecco una cronologia della crisi della Cirio:
- 7 NOV 2002 -
Cirio
Finanziaria annuncia un piano di ristrutturazione dopo il mancato rimborso di un
bond da 150 milioni. L'8 il Trustee da Londra dichiara il default su quel bond,
il 19 il default di tutte le altre obbligazioni della Cirio per un importo
totale di 1,125 miliardi.
- 5 DIC - Livolsi presenta un piano di salvataggio
alle banche, mentre Sergio Cragnotti si dice disponibile a lasciare la guida del
gruppo agroalimentare.
- 3 GEN 2003 - Cragnotti lascia la presidenza della Lazio
e l'8 quella della Cirio, anche se resta nel cda. Il nuovo presidente è Gianni
Fontana. Le banche concedono un prestito ponte di 20 milioni.
- 13 FEB -
Annunciate perdite per 152 milioni nell'esercizio chiuso a dicembre, 68 milioni
nel solo quarto trimestre dell'anno.
- 5 MAR - Il cda approva il piano di
rilancio industriale e finanziario e una serie di dismissioni.
- 2 APR - Un primo
gruppo di obbligazionisti chiede al Tribunale di Roma la restituzione delle some
investite.
- 22 MAG - Il cda approva il piano di rilancio preparato
da Livolsi,
che propone agli obbligazionisti il recupero tra il 15%e l'80% dei loro crediti
attraverso la conversione in azioni.
- 16 GIU - Via libera della Consob al
prospetto della conversione del debito in azioni previsto dal piano. la
procura di
Monza apre un'inchiesta sulle banche che hanno collocato il bond presso i piccoli
risparmiatori.
- 1 LUG - Cragnotti ci riprova, attraverso un progetto di rilancio
con la società turca Cukurova. Il 28 le assemblee degli obbligazionisti a
Londra bocciano il piano Livolsi. Il 31 viene decisa la liquidazione per il
gruppo.
- 5 AGO - Il ministro delle Attività produttive
Antonio Marzano annuncia
che chiederà al tribunale di ammettere la Cirio all'amministrazione
straordinaria. Luigi Farenga, Emmanuele Emanuele e Mario Resca commissari
giudiziali.
- 7 OTT: Il presidente della Consob, Lamberto Cardia, propone un
intervento mutualistico delle banche coinvolte nel collocamento dei bond.- 10
OTT: Il Tribunale civile di Roma concede l'applicazione della Prodi-bis alla
Cirio, dando inizio all'amministrazione straordinaria.- 16 OTT: 23 indagati
dalla Procura di Roma per bancarotta fraudolenta, tra i quali anche i figli e il
genero di Cragnotti.- 3 NOV: Iscrizione al registro degli indagati della procura
di Monza sulla vicenda Cirio dell'amministrazione delegato di Abaxbank Fabio
Arpe. Lo stesso giorno Arpe si dimette.
- 5 NOV: il trustee londinese Law
Debenture presenta domanda al tribunale di Roma per l'ammissione al passivo in
rappresentanza di tutti i circa 35.000 obbligazionisti Cirio.- 18 NOV: Nominato
il comitato di sorveglianza.- 27 NOV: Cragnotti è iscritto sul registro degli
indagati di Roma per corruzione.
- 5 DIC:
indagato dalla Procura di Roma il
presidente di Capitalia Cesare Geronzi. Il reato ipotizzato è concorso in
bancarotta preferenziale. - 19 DIC: Accordo fra Unicredit e alcune associazioni
di consumatori: la banca rimborserà, almeno in parte, i bond Cirio collocati
presso i suoi clienti.- 23 DIC: Cicr sui crac finanziari. Alemanno (An) chiede
il rafforzamento della Consob.- 24 DIC: Il governatore della Banca d'Italia,
Antonio Fazio, esclude responsabilità dell'istituto nei crac Cirio e Parmalat.
-
7 GEN 2004: I Pm romani che indagano sul crac della Cirio ritengono che
l'acquisizione di Eurolat da parte della Parmalat nel 1999 dalla Cirio possa sia
un'operazione "perlomeno strana".- 9 GEN: Capitalia vara un piano per
assicurare alla propria clientela una protezione negli investimenti in corporate
bond.- 15 GEN: Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti dice in Senato che,
sulla Cirio, Fazio ha "dato una risposta 'de minimis'" alle richieste
di informazioni- 24 GEN: Sale a 45 il numero degli indagati nell'ambito
dell'inchiesta romana sul crac Cirio.- 27 GEN: Fazio dice al Senato che
"non vi era alcun elemento che consentisse di vietare l'offerta" di
bond Cirio e Parmalat in termini di legge.- 28 GEN: Pubblicato il programma di
dismissioni della Cirio. Conferma la prospettiva di salvataggio, ma indica la
divisione in tre blocchi come la strada più facile per vendere, chiedendo tempi
il più rapidi possibile. Resca parla di un possibile rimborso dei creditori
entro fine 2004.- 29 GEN: La prima risparmiatrice ottiene il rimborso dei soldi
investiti in bond Cirio, dal San Paolo Imi.
- 4 FEB:
Marzano dà il via libera ai
bandi di gara per la cessione delle aziende Cirio.- 10 FEB: Nuovi iscritti nel
registro degli indagati della procura di Milano: fra questi, un ex dirigente di
Antonveneta oltre a manager di Banca popolare di Milano, Bipop-Carire, San Paolo
Imi, Banca Intesa e Popolare di Novara.-11 FEB: Cragnotti è arrestato.
Un'ordinanza di custodia cautelare colpisce anche il figlio Andrea e il genero
Filippo Fucile. Agli arresti domiciliari Paolo Micolini, per diversi anni
amministratore delegato della Cirio. Nell'ordinanza si parla di un illecito
trasferimento di risorse finanziarie da alcune società del gruppo ad alcuni
soggetti terzi. Per i Pm c'é il pericolo che i reati vengano reiterati e le
prove inquinate.(ANSA).

11 Febbraio 2004
18:10
Roma
(ANSA)
sabato 04
ottobre 2003
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giovedì 16
ottobre 2003
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venerdì 17
ottobre 2003
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°
Ancora
io
Beppe
Grillo
Alcuni
brani tratti dall'ultimo spettacolo in teatro di Beppe Grillo.
A
me piace far ridere con argomenti serissimi. È la mia caratteristica:
parlo di cose di fronte a cui la gente resta stranita. Anticipo
l'attualità, facendo un lavoro che dovrebbe fare ogni giornalista onesto.
Reperisco informazioni andando alla fonte, leggo i libri di gente che vede
il mondo in un altro modo da anni. Perché per me il teatro è un luogo
dove la gente viene, si siede e ascolta. Lo scopo è destare il senso
critico, ma anche esortare tutti ad essere un po' cialtroni, anarchici e
buffoni. Oggi serve una chiave di decodifica perché facciamo guerre di
marketing, morti di marketing e abbiamo piazzisti ai governi che si fanno
le leggi. E siamo solo all'inizio.
Quando
un comico diventa un premonitore di catastrofi di borsa vuol dire che
siamo alla frutta, che il sistema è collassato. Ormai c'è gente che
prima di comprare azioni del Mib 30 mi chiama a casa. Sono in imbarazzo.
Nel 2001 parlando dell'economia in generale dicevo che Cragnotti e Tanzi
si dividevano centinaia di miliardi pubblici... Non ci dobbiamo stupire se
il sistema costituito da banche, Consob, borsa e grandi gruppi aziendali
sta collassando. Ora, per fallire nel latte più che essere disonesti
bisogna essere scemi e spendere miliardi nei cappellini di Lauda e grandi
squadre di calcio: è il complesso berlusconiano che hanno gli
imprenditori di provincia. E poi l'idea di fare la Coca-cola del latte...
Il latte è un prodotto perfetto con una tecnologia di un milione di anni,
esce già pronto per essere consumato. Tanzi gli ha tolto le proteine e ne
ha fatto una cosa a lunga conservazione che non dovrebbe più chiamarsi
latte, ha studiato un prodotto per coprire gli investimenti. Faceva un
latte fresco che durava otto giorni e con queste allucinazioni prendeva i
soldi dallo Stato. Ha preso cospicui finanziamenti dalle tasse degli
italiani.
Avete
mai provato a leggere un bilancio? C'è da morir dal ridere. Quando andavo
alle riunioni degli azionisti della Telecom per sentir leggere i bilanci
c'era da sbellicarsi. Basta un ragioniere di terza categoria per capire. E
poi c'è un principio: se io mi faccio una società alle Cayman sono una
persona disonesta, anche se la legge lo permette. Infatti stiamo
assistendo alla nascita della figura del delinquente che si percepisce
come una buona persona. È il fuorilegge a norma di legge. Provi a vedere
i bilanci delle società del Mib 30, uno qualsiasi: il 90% del loro
patrimonio sono prestiti. Se uno possiede un'azienda sana non la va a
dividere con gli altri quotandola in borsa. Applico princìpi di buon
senso, da buon Genovese. Provengo da una famiglia di industriali, ma gli
industriali non erano dei ragionieri come questi qua. Penso a Pirelli,
Olivetti o Piaggio, che faceva le Vespe in Italia e le vendeva nel mondo.
Oggi
sono dei principianti senza un senso etico. Prendiamo il concetto di Ford
della catena di montaggio: un operaio, nel '30, guadagnava da Ford
l'equivalente di 150mila lire al giorno perché fosse in condizione di
comprare la macchina che costruiva. Erano etiche diverse. Questi manager
sono fasulli. Bisognerebbe avere il coraggio di fare nomi e cognomi,
tirarli fuori e mandarli via dicendo loro: o rischi i tuoi soldi e metti
la tua responsabilità illimitata, o resti fuori. È una regola che stanno
attuando negli Stati Uniti, mentre in Italia abbiamo tolto il falso in
bilancio, rendendolo un reato amministrativo. Là rischi 25 anni di
carcere. Essere imprenditori è un'altra cosa, è seguire le idee di Adam
Smith che parlava di etica, delle virtù del capitalista e di passioni.
Lui era un umanista e non ha mai pensato a questo tipo di economia, dove
chi produce la birra poi si fa le leggi sulla birra. Diceva che la tutela
era nelle mani dello Stato. Quindi questi sono finti capitalisti, finti
liberisti; hanno un'economia pianificata perché fanno finta di farsi
concorrenza, ma la concorrenza non c'è.
Non
parliamo delle banche. Dovreste analizzare un contratto, non ce n'è uno
che si attenga alla legge della trasparenza. Aggirano le leggi, come
l'ipoteca che dura vent'anni e loro la rinnovano tacitamente per prendere
le spese di estinzione dell'ipoteca, cose da denuncia. Su tutto il
risparmio assistito degli ultimi 15 anni, il 99% degli investitori ci ha
rimesso i soldi; gli unici guadagni sono venuti da Bot, Cct e buoni
postali. Negli Stati Uniti chi compra azioni può diventare proprietario,
dire la sua, qui in Italia gli azionisti non possono dir nulla, alle
riunioni nessuno può mettere in discussione alcunché. Pochi mesi fa le
più grandi banche del mondo sono state multate in America con 1,4
miliardi di dollari per truffa aggravata agli azionisti e ai correntisti.
Quando in un contratto si dice che la banca può rescindere, ma se lo
faccio io devo pagare penali, è una truffa legalizzata. Se la banca mette
delle spese solo per ricevere i soldi che le restituisco dopo un prestito,
questa è una truffa. Sono tutte truffe.
Ci
sono persone che non hanno accesso al credito, mentre persone che non
avrebbero dovuto averlo lo hanno, come questi grandi industriali. Cosa
vuol dire tutto questo? Che il sistema sta marcendo, questi ne sono i
sintomi: se non li curiamo adesso sarà troppo tardi. Oggi vediamo una
bella vetrina, ma non c'è più il negozio. La gente arriva al 15 e non
più al 30 del mese, non si ammazza più da sola, prima uccide tutta la
famiglia e poi si suicida. Sono sintomi di un'umanità che non vede il
futuro. Sono tutti proiettati nel passato e nessuno ha un'idea del futuro.
Alla Confindustria nessuno pensa di cambiare i sistemi produttivi ed
energetici.
L'ambiente,
fanno finta che non ci sia. Parlano di flessibilità perché pensano
ancora a lungo che ci saranno poveracci che lavorano per pochi dollari la
settimana. C'è ansia e rabbia nella gente. Per questo ho sempre più
pubblico. Hanno tutti un'ansia e non sanno perché, sperano che io glielo
dica e invece ce l'ho anche io quest'ansia. A me piace far ridere con
argomenti serissimi. È la mia caratteristica: parlo di cose di fronte a
cui la gente resta stranita. Anticipo l'attualità, facendo un lavoro che
dovrebbe fare ogni giornalista onesto. Lavoro quattro mesi e otto mesi
giro nei teatri. Reperisco informazioni andando alla fonte, leggo i libri
di gente che vede il mondo in un altro modo da anni. Perché per me il
teatro è un luogo dove la gente viene, si siede e ascolta. Lo scopo è
destare il senso critico, ma anche esortare tutti ad essere un po'
cialtroni, anarchici e buffoni. Dico: disegnatevele voi di notte le piste
ciclabili, fate qualcosa! Oggi serve una chiave di decodifica perché
facciamo guerre di marketing, morti di marketing e abbiamo piazzisti ai
governi che si fanno le leggi. E siamo solo all'inizio.
Se
portassi in diretta su Rai Uno lo spettacolo che faccio oggi in teatro
sono sicuro che cadrebbe il governo. Non perché sia io, ma perché si
tratta di cose a cui basta dare una spallata e vanno giù da sole. Sono
tutte costruite sul nulla: su elezioni a cui nessuno partecipa, su
democrazie che sono ormai concetti vuoti e su un popolo sovrano che non
c'è più. La televisione dovrebbe essere super partes, dovrebbe essere
potente, far paura e riuscire a buttare giù un governo in 24 ore se non
merita di stare su. Dovrebbe essere la forza dell'informazione, ma mi
viene da ridere: siamo arrivati al giornalista che si autocensura per far
piacere al potere. Il mio rapporto con la tv consiste nel guardare un
programma con i miei cari e esclamare insieme: che culo che non ci sono!
Non faccio parte di quel mondo lì e ne sono orgogliosissimo. A Milano
abbiamo fatto 40.000 presenze attaccando due manifesti, a Roma neanche
quelli perché i posti sono andati via in due settimane. Per me è un
momento magico: più si incancrenisce la situazione più divento una
belva.
Sta
girando via email. Forse non sarà uguale all'originale, ma salviamo la
buona fede di chi lo manda.
Fonte:
Nuovimondimedia.it
21
Gennaio 2004 11:56
Roma
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