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Il
toro a Wall Street per
ora può attendere
02 Giugno 2008 11:15 MILANO - di Giuseppe Turani
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In questo momento è in atto una
specie i corsa fra europei e asiatici a chi riesce a comprare più
cose in America. Soprattutto case, ma anche nei negozi ci sono
discreti assalti. E non è difficile capire perché. Il dollaro è
molto basso, e quindi si spende poco. Inoltre, anche il prezzo delle
case è sceso moltissimo, a seguito della crisi dei prestiti subprime.
Ebbene, secondo alcuni esperti, tutto questo potrebbe finire nel
giro di qualche mese o, almeno, potrebbe subire un rallentamento.
C´è una corrente di pensiero, infatti, la quale sostiene che da qui
alla fine dell´anno il dollaro potrebbe anche rivalutarsi di un buon
dieci per cento, come conseguenza di un mutamento di politica
economica da pare dell´America. O meglio: della banca centrale
americana, la Federal Reserve.
Fino a oggi la Fed ha avuto soprattutto due obiettivi: impedire che
gli Stati Uniti vadano in recessione e impedire che la crisi
subprime si trasformi in una catastrofe finanziaria. Per entrambe le
cose la cura trovata dalla banca centrale americana era, e è, una
sola: molto denaro a poco prezzo, cioè con tassi di interesse molto
bassi.
Questo, però, ha provocato la discesa del dollaro (per la gioia
degli europei e degli asiatici che volevano comperarsi una casa a
Miami o a New York), ma anche il rialzo del prezzo del petrolio (in
parte) che viene pagato in dollari. Gli sceicchi e in genere i paesi
produttori non sono stati affatto contenti di essere pagati con una
moneta svalutata. In sostanza, poi, il dollaro basso è un veicolo
per importare inflazione. Cosa che ovviamente non piace.
Ma tutto questo, si diceva, potrebbe finire o potrebbe attenuarsi.
Perché, secondo una minoranza (per ora) di esperti, la banca
centrale americana sarebbe sul punto di cambiare politica. La
priorità numero uno verrebbe data non più al sostegno della
congiuntura (l´ipotesi di una recessione appare a molti
scongiurata), ma alla lotta all´inflazione (che peraltro in America
non è ancora così esplosiva come in Europa).
Questo la porterebbe in autunno, o comunque entro la fine dell´anno,
a rialzare i tassi di interesse. In sostanza, l´attuale politica
(molto denaro e a basso prezzo) verrebbe capovolta. La conseguenza
di tutto ciò sarebbe, ovviamente, una ripresa del dollaro, che
potrebbe guadagnare anche il dieci per cento rispetto ai valori
attuali. E questo farebbe la gioia delle imprese europee che
esportano negli Stati Uniti.
Ma potrebbe anche innescare una corsa a Wall Street, dove si trovano
moltissimi titoli (soprattutto bancari) a prezzi scesi anche del
30-40 per cento (a questo proposito si dice che una grande banca
italiana sta studiando il dossier di una banca americana, con
l´intenzione di comprarsela, visto che ormai costa pochissimo). In
sostanza, andando a comprare a Wall Street si potrebbe guadagnare
due volte: sul rialzo dei titoli (perché sono molto bassi) e sul
rialzo del dollaro.
E´ sensato tutto questo ragionamento? Secondo molti esperti, no. O,
meglio, non ancora. Lo scenario, spiegano, ha una base logica e ci
si arriverà certamente, magari non in autunno, ma più avanti.
E questo per una serie di ragioni:
1 - La crisi del mercato immobiliare non è affatto finita. A
settembre saranno messe in vendita le case sequestrate perché
comprate con prestiti subprime non pagati (i militari sono i
maggiori protagonisti di questa vicenda: nelle città dove ci sono
basi militari le crisi subprime sono il quadruplo rispetto al resto
dell´America). Il momento della verità sarà appunto a settembre. E è
difficile che la Federal Reserve decida di rialzare i tassi prima di
aver visto la conclusione di questa vicenda.
2 - Il mondo del credito (banche e istituzioni finanziarie) non è
ancora a posto e possono esserci altre sorprese, con conseguenti
crisi. La Fed, quindi, dovrà adottare ancora per un po´ una politica
prudente, senza svolte troppo accentuate. E quindi il costo del
denaro dovrebbe rimanere bloccato. Cambiare troppo presto potrebbe
comportare la necessità di smentirsi nel giro di poche settimane.
3 - L´inflazione non è poi così violenta. Il fenomeno è molto più
grave in Europa, dove infatti la Banca centrale europea (fra le
proteste dei vari governi, interessati a un rilancio delle loro
congiunture), resiste e non abbassa i tassi di interesse.
4 - Infine, anche se comincia diventare ragionevole pensare a
un´America la cui economia rallenta fino alla crescita zero (per
qualche mese), e se appare sensato escludere l´ipotesi di una
recessione, un po´ di denaro a basso costo ancora per un po´ certo
non può fare male. I rischi di un incidente di percorso sono sempre
presenti.
Insomma, il momento del cambio di rotta dell´America, con
conseguente boom di Wall Street, probabilmente sta già scritto negli
oroscopi della Federal Reserve, ma non è detto che sia proprio per
dopodomani, appena dopo le vacanze. Forse bisognerà aspettare di
più.
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Fonte
- La Repubblica |
MUTUI:
S&P TAGLIA RATING SU BANCHE D'AFFARI
02 Giugno 2008 19:49 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
L'agenzia Standard & Poor's ha
abbassato il giudizio sul credito di Morgan Stanley, Merrill
Lynch e Lehman Brothers. Accelerano le vendite sull'intero
comparto finanziario.
Il downgrade effettuato da S&P ha affondato i titoli delle
banche coinvolte: Merrill Lynch cede il 4,19% a 42,08
dollari, Morgan Stanley il 3,14% a 32,44 dollari, Lehman
Brothers il 7,42% a 34,08 dollari.
Il rating di Morgan Stanley è stato ridotto da S&P da A+ a
AA-, quelli di Merrill Lynch e Lehman Brothers da A+ ad A-.
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Specchietto
retrovisore o binocolo?
Monday, 2 June, 2008 -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Standard & Poors ha
appena tagliato i rating di Merrill Lynch, Morgan Stanley e
Lehman Brothers. Si è salvata Goldman Sachs, la più grande e
meglio gestita del gruppo.
Fra le banche universali, J.P.Morgan, Citigroup, Bank of
America hanno visto ridursi l’outlook a negativo. Wachovia,
altra maxibanca a stelle strisce il cui CEO si è dimesso
(leggi: è stato cacciato) oggi, si è aggiudicata una
indagine tutta per sé. Siamo tornati ai tempi cupi - o non
li abbaimo mai abbandonati?
Gli ottimisti, quelli che pensano che il peggio sia ormai
passato, la prenderanno come l’ennesimo esempio di come le
agenzie di rating agiscano quando ormai il danno è fatto ed
anzi, abbiamo già toccato il fondo. I pessimisti, come la
dimostrazione che persino le agenzie di rating ci sono
arrivate e hanno capito l’estensione del danno. Insomma, la
luce in fondo al tunnel potrebbe essere un treno in arrivo.
Le azioni bancarie stanno, ovviamente, trascinando al
ribasso un mercato che già in Europa era mezzo collassato
sempre grazie alle pessime notizie dal fronte bancario,
questa volta inglese.
Questa crisi dura da ormai nove mesi, un tempo abbastanza
lungo, per gli standard recenti delle crisi finanziarie.
Ricordiamoci tuttavia che, nonostante nove mesi siano
parecchi, non sono certo una durata estrema, o molto lontano
dalla media - soprattutto sino a quando la crisi non porta
ad una recessione, ma ad un rallentamento nell’economia in
generale.
Fonte
- Macromonitor
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Tra
paure di crolli e speranze di rally
03 Giugno 2008 11:22 MILANO -
di
*Alessandro Fugnoli
*Questo
documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di
Abaxbank
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Che belle le tinte forti. Che belli
i sapori forti. Che bello leggere testi di singolaritariani alla
Kurzweil (il mondo è alla vigilia di un’esplosione inaudita delle
conoscenze perché le macchine stanno diventando più intelligenti di
noi) e alternarli con declinisti e teorici del societal collapse
alla Tainter o ecopessimisti alla Diamond. E’ come andare da
McDonald’s e alternare le patate fritte salatissime e il gelato
dolcissimo.
Allo stesso modo troviamo eccitante (nel suo genere) la lettura
degli strategist azionari europei di JP Morgan, positivi con solide
argomentazioni fin dai giorni cupi di febbraio, saldi nelle loro
convinzioni, fieri e pronti a sfidare il consenso, guidati dalla
stella polare dei rimborsi fiscali già partiti da quasi un mese e
dall’impennata del Pil che ne deriverà nel terzo e quarto trimestre.
E dopo averli letti, il massimo del piacere è fare come i finlandesi
(che dopo la sauna si gettano nella neve) e andarsi a guardare gli
studi degli strategist europei di Morgan Stanley, severi e spietati
nell’argomentare le fine della ricreazione del bear market rally e
la ripresa del bear market tout court (all’interno, per di più, di
un ciclo secolare negativo per gli asset finanziari, iniziato nel
2000 dopo tre decenni di bull market e destinato a proseguire fino a
metà del prossimo decennio).
Anche i finlandesi, però, dopo essersi rotolati nella neve si
rivestono e tornano in ufficio, fanno la spesa, vanno a pagare le
tasse e si reimmergono nel flusso grigio, lento e a suo modo potente
della vita. Chi sta sui mercati in questo 2008 (ma il discorso vale
anche per il 2009) fa bene a tenersi aperta la mente e a nutrirla di
quando in quando con visioni limite fortemente positive o fortemente
negative, ma farà ancora meglio a stare ancorato a uno scenario di
base grigo, opaco, mediano.
Il biennio 2008-2009 si profila grigio non per l’assenza dei colori,
ma per la loro compresenza tutti insieme. C’è la tendenza
all’implosione del mercato finanziario e immobiliare, ma c’è anche
una risposta di policy estremamente energica sul piano monetario e
che alla fine (con un secondo pacchetto sui mutui nel 2009 dopo
quello che verrà verosimilmente approvato nelle prossime settimane)
risulterà energica anche sul piano fiscale e politico.
Allo stesso modo ci sono perdite da parte delle banche ancora non
scontate dai mercati, ma c’è anche una capacità di
ricapitalizzazione anch’essa non scontata. Quanto ai profitti
corporate, l’attacco ai margini arriva da molte parti (in
particolare dall’aumento delle materie prime), ma in compenso la
produttività sta riaccelerando. Si sta ripetendo, su scala
inferiore, quello che avvenne dopo l’11 settembre, quando le imprese
tagliarono drasticamente i costi di ogni tipo. Oggi i tagli sono
meno appariscenti (a parte le banche non si licenzia, ma d’altra
parte si evita rigorosamente di assumere), ma gli effetti sono
tutt’altro che trascurabili.
Insomma questo è un mondo, ci pare, che riesce a restare in piedi,
sia pure barcollando. L’assorbimento degli eccessi di leva nella
finanza e nell’immobiliare procede speditamente e, per quanto molto
(più di quanto pensi il mercato) resti ancora da fare, è ragionevole
pensare che per la fine dell’anno prossimo l’operazione sarà
completata.
Per le borse gli scenari a tinte forti positivi e quelli negativi
possono essere conciliati e convivere. Il bull market strutturale
degli utili è finito, ma quello che si profila non è un bear market,
ma un plateau strutturale con un intervallo ciclico moderatamente
negativo (in Europa più che in America) per questo biennio.
Dall’altro lato, simmetricamente, il
bear market strutturale dei multipli iniziato nel 2001 può subire in
questo biennio un’interruzione ciclica per poi riprendere più lento
dal 2010 in avanti.
L’effetto combinato del rialzo degli utili e del ribasso dei
multipli è stato in questi dieci anni una borsa che non si è mossa
(o che si è mossa tornando al punto di partenza). Se il fenomeno, al
di là dei movimenti ciclici di questo biennio, dovesse proseguire
negli anni Dieci, portando i multipli da anormalmente alti ad
anormalmente bassi, avremmo un decennio e mezzo di correzione senza
ribasso dopo tre decenni di bull market.
In altre parole, sulle borse è bene pensare in bianco e in nero da
una parte e agire in grigio dall’altra.
La traduzione pratica è che
non bisogna troppo lasciarsi trascinare da paure di crolli o da
speranze di forti bull market ma agire come si agisce in un trading
range, comprando nella parte bassa e vendendo nella parte alta.
Un’esogena importante in questo biennio è stata, è e continuerà ad
essere il petrolio. Anche qui circolano teorie a tinte forti,
insieme a qualche sciocchezza. Tra le sciocchezze mettiamo ad
esempio le interpretazioni prevalenti nel dibattito politico
tedesco, dove il principale imputato del rialzo sono gli hedge fund,
oppure le tesi che prevalgono nell’opinione pubblica americana, che
incolpa il Congresso e le società petrolifere.
Tra le tesi forti più degne di considerazione ce ne sono di
rialziste e di ribassiste. La tesi di base rialzista più forte è che
il petrolio sta iniziando a finire. Questo è un truismo. Il petrolio
ha iniziato a finire il giorno in cui i Babilonesi ne hanno usato
una piccola quantità per asfaltare una strada. E’ come dire che la
vita inzia ad avviarsi verso la sua conclusione un attimo dopo il
concepimento.
Fino a oggi abbiamo usato metà del petrolio conosciuto. In realtà si
può stare certi che se ne scoprirà dell’altro, forse altrettanto
(anche se d’altra parte la domanda globale di energia è avviata a
crescere aggressivamente). Nel mondo concreto, in ogni caso, agli
effetti pratici non è vero che il petrolio stia finendo. La scadenza
trattata più lontana è il 2016 e possiamo stare sicuri che per
quella data il petrolio non sarà finito.
Un argomento forte dei ribassisti è che questo è uno spike e che
presto si tornerà nell’alveo dei prezzi medi di lungo periodo,
orientati al rialzo ma in modo moderato. Una versione interessante
che tenta una sintesi è quella di GaveKal. E’ vero, si dice, che
siamo in peak oil, ma lo eravamo e sapevamo di esserlo anche un anno
fa, quando il greggio costava la metà. A questo punto, prosegue il
ragionamento, che il greggio costi 50, 100 o 200 dollari non dipende
tanto dai flussi abbastanza stabili di domanda e offerta quanto
dalla disponibilità di credito da una parte e dalla riflessività del
mercato dall’altra.
Se la disponibilità di credito
scenderà, si conclude, la riflessività agirà verso il basso e
riporterà il greggio sotto i 100 dollari. C’è del vero in questa
tesi. Dopo tutto negli ultimi sette giorni siamo passati da 125 a
135 solo perché T. Boone Pickens (che sui mercati conta spesso di
più di Opec, Iea e Aie messe assieme) si è dichiarato rialzista.
Tuttavia, per quanto sia innegabile la presenza di rumore nelle
quotazioni e per quanto la loro volatilità esasperata sia un segno
della confusione di questa fase, è altrettanto vero che ci sono due
semplici fatti che depongono a favore di un petrolio sopra i 100
dollari.
Il primo è che i tre quarti dell’offerta marginale vengono dal non
convenzionale, cioè dalle sabbie del Canada, del Venezuela e, fra
poco, del Congo. I costi del non convenzionale sono molto alti e in
rapida crescita. Sotto i 100 dollari molti progetti cesserebbero di
essere economici. Il secondo è che un terzo della crescita
dell’offerta (quella poca che c’è) viene assorbito dalla domanda
voracissima dei paesi produttori stessi. Sul gas naturale, che ha
una dinamica affine, i paesi del Golfo, con l’eccezione del Qatar,
stanno diventando tutti importatori netti.
Per quanto fermamente convinti del bull market strutturale del
greggio per i prossimi due decenni, saremmo comunque perplessi di
fronte a uno spike a 200 dollari. Nelle condizioni attuali, per
questo biennio, un range tra i 100 e i 150 ci sembra più verosimile.
Un range di questo tipo, pur ampio e tale da avere molta influenza
sulle tendenze di breve delle borse, non sarebbe tale da mettere in
discussione né il quadro macro né la tenuta dei mercati. Assumendo
queste ipotesi, come sintesi operativa, ribadiamo qunto scritto la
settimana scorsa.
Siamo in una fase di moderata correzione dopo le dieci settimane di
recupero successive a Bear Stearns. Questa fase può prolungarsi
ancora qualche settimana e coincidere con l’arrivo di dati che
confermano il rallentamento ciclico globale iniziato in marzo. I
primi dati di questa serie non sono così negativi, ma non c’è da
contare troppo su una tenuta. In aprile e maggio il mondo, con
l’eccezione cinese, non è cresciuto e si è praticamente fermato.
Da giugno in avanti, con l’entrata in circolo dei rimborsi fiscali
americani, la crescita riprenderà. I dati di conferma arriveranno ai
mercati da luglio. La ripresa, anche se solo fino a fine anno, avrà
sui mercati un effetto superiore all’effetto negativo della discesa
ulteriore dei prezzi delle case. Verso fine anno, però, gli effetti
positivi gradualmente cesseranno e le case continueranno invece a
scendere.
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Fonte
- Il Rosso e il Nero |
Borsa: NY CALO CON FINANZIARI, LEHMAN SCENDE A
MINIMI 2003
03 Giugno 2008 22:39
NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 3
giu - Lehman Brothers affossa Wall Street che chiude in
negativo per la seconda seduta consecutiva. I timori che la
banca d'affari possa essere costretta a un aumento di
capitale per far fronte alla prima perdita trimestrale dal
suo sbarco in borsa, hanno pesato sugli indici: il Dow Jones
è calato dello 0,82% a 12.400,74 punti, il Nasdaq ha ceduto
lo 0,44% a 2.480,48 punti, mentre lo S&P 500 è arretrato
dello 0,59% a 1.377,51 punti. Le parole del presidente della
Fed, Ben Bernanke, e l'inaspettato aumento degli ordinativi
industriali sembravano, insieme al calo del petrolio, aver
dato una spinta a Wall Street. Poi però le preoccupazioni
per la crisi del credito hanno preso il sopravvento, con gli
indici arrivati a cedere oltre l'1%. Il comunicato diffusa a
giornata avanzata da Lehman Brothers ha smorzato in parte le
tensioni, consentendo agli indici di ridurre le perdite. Il
downgrade di Standard & Poor's e le indiscrezioni su un
possibile aumento di capitale da 4 miliardi hanno fatto
sprofondare Lehman, che ha chiuso ai minimi degli ultimi
cinque anni, -9,40% a 30,65 dollari. Le indiscrezioni su
Lehman hanno pesato sull'intero comparto finanziario:
Wachovia è arretrata del 6,28% a 21,93 dollari, Washington
Mutual del 3,00% a 8,73 dollari e Merrill Lynch -1,81% a
41,85 dollari. Più contenute le flessioni di Citigroup e
Bank of America che hanno lasciato sul terreno
rispettivamente lo 0,42% a 21,37 dollari e lo 0,80% a 33,31
dollari. Il mercato premia General Motors e il piano per
andare incontro alle nuove esigenze dei consumatori: il
titolo sale dello 0,92% a 7,60 dollari, dopo essere arrivato
a guadagnare oltre il 4% nel corso degli scambi. La casa
automobilistica ha varato una riorganizzazione che prevede
la chiusura di quattro stabilimenti in Nordamerica, da cui
dovrebbe derivare risparmi per un miliardo di dollari, e
deciso di cambiare strategia puntando su auto più piccole.
Sale anche Ford (+0,30% a 6,66 dollari). (ANSA).
Fonte -
ANSA
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Lehman Bloodbath day - yet again
Tuesday, 3 June, 2008 - di
John Christian Falkenberg ______________________________________________
Chi ha detto che la
crisi era finita? L’altro ieri, la monoline Ambac ha
annunciato di avere di fatto già bruciato l’aumento di
capitale del mese scorso. Nulla è accaduto. Oggi, Lehman
Brothers ha perso sino al 12 percento sulla scia di un
reportage che la darebbe vicina ad un nuovo aumento di
capitale, per fronteggiare la difficoltà nello sbarazzarsi
della montagna di asset legati ai mutui all’edilizia
commerciale. L’effetto sulle Borse è stato notevole, questa
volta.
Se Lehman è stata il detonatore, il malessere non è limitato
al solo comparto azionario: anche oro e petrolio sono in
netto calo, mentre i titoli di Stato a lunga rimangono a
malapena stabili. Potrebbe trattarsi di un semplice
strascico della crisi dei mutui, ma al secondo giorno di
ribasso pesante delle Borse USA, è probabile che chi pensava
che il peggio fosse passato debba avere ancora una certa
pazienza.
Sino a quando il sistema finanziario non si sarà ripreso,
inutile sperare che ogni rialzo di Borsa sia più che un
fuoco di paglia, né che una ripresa economica sia poco di
più di pochi punti decimali sopra la stagnazione: senza un
sistema finanziario e dei pagamenti in efficienza, senza
credito, non esiste leva per gli investimenti, non esiste
rete di protezione nei confronti della poca liquidità e
della necessità di capitale circolante.
Sena contare le problematiche legate all’inflazione: il
petrolio potrebbe anche scendere, ma l’isteresi
inflazionistica è un fenomeno ben documentato e molto
pericoloso, di cui si sono già viste le avvisaglie: le
aspettative di rialzo dei prezzi stanno aumentando e
rischiano di innescare un circolo vizioso indipendentemente
o quasi dall’andamento dei prezzi delle materie prime.
Quando le aspettative di inflazione futura sono alte,
infatti, ogni operatore cercherà a sua volta di aumentare i
prezzi dei propri prodotti o aumentando le proprie pretese
salariali, provocando una ulteriore previsione di aumento
dell’inflzione.
Fonte -
Macromonitor
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Bond,
la cura chiude il rubinetto delle
emissioni
09 Giugno 2008 14:44 MILANO -
di Marco Caprotti
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C’è bonaccia sul mercato
obbligazionario internazionale. L’indice Lehman Brothers Global
Aggregate nell’ultimo mese (fino al 9 giugno e calcolato in euro) ha
perso quasi il 2%. E’ vero che gli ultimi dati macroeconomici
(soprattutto quelli sulla disoccupazione Usa ai massimi dal 2003)
stanno spingendo gli investitori verso questo asset di investimento
considerato sicuro, dicono gli analisti. Ma è anche vero che negli
ultimi mesi è diminuita l’offerta.
La conferma arriva da uno studio appena pubblicato dalla Bank for
International Settlement (Bis, l’organizzazione che svolge il ruolo
di “banca delle banche centrali”) nel suo bollettino trimestrale,
secondo cui il comparto internazionale del debito, da gennaio a
marzo 2008 è rimasto stagnante. “L’emissione di bond è scesa del 26%
arrivando a 360 miliardi di dollari, al di sotto del livello
registrato nel terzo trimestre del 2007, quando la crisi dei mercati
ha iniziato a farsi sentire”, spiega lo studio della Bis. “Detto
questo, ci sono stati anche segni di recupero nei segmenti delle
obbligazioni investment grade”.
Il calo delle emissioni, nei Paesi sviluppati, si è avuto
principalmente per i titoli denominati in euro che avevano mostrato
un rimbalzo alla fine del 2007. Nei primi tre mesi di quest’anno si
sono dimezzate arrivando a 105 miliardi di dollari. Il declino più
evidente è stato osservato in Spagna, seguita da Irlanda e Francia.
“In questi Paesi la discesa riguarda soprattutto le istituzioni
private ed è legata probabilmente alla crisi dell’immobiliare”,
continua lo studio della Bis.
La stagnazione, tuttavia, si è fatta sentire anche su strumenti
denominati in altre valute. Le emissioni di bond in dollari sono
passata da 204 a 189 miliardi, mentre quelle in yen (da parte di
società giapponesi) sono scese da 16 a 6 miliardi. Nello stesso
tempo il collocamento di obbligazioni denominate in valuta
giapponese sul mercato del Sol levante da parte di aziende straniere
(i cosiddetti Samurai bond) sono passate da 5 a 7 miliardi.
Spaccando il dato a livello settoriale, si nota che la diminuzione
maggiore è stata registrata dalle istituzioni finanziarie (da 348 a
239 miliardi) e dagli emittenti corporate (da 85 a 54 miliardi). Per
quanto riguarda la qualità del credito c’è una chiara divergenza fra
le emissioni investment grade e non investment grade. Le prime sono
salite da 548 a 778 miliardi (426 miliardi per le AAA, il 59% in più
rispetto alla media degli ultimi cinque anni fino al 2007). Le
seconde sono scese a 2 miliardi: un livello che non si vedeva da
quarto trimestre del 2002.
Nei Paesi in via di sviluppo l’emissione di obbligazioni nel primo
trimestre di quest’anno è andata in territorio negativo. La discesa
è coincisa con un allargamento degli spread che si erano ristretti
alla fine del 2007. Il declino è stato particolarmente accentuato in
America latina, Africa e Medio Oriente.
Dal punto di vista operativo Richard Woolnough gestore di M&G
Optimal Income consiglia di puntare sulle obbligazioni corporate
investment grade. “Oggi sono molto interessanti”, spiega in una
nota. “Innanzitutto dovrebbero beneficiare dal calo dei tassi di
interesse e, in secondo luogo, l’extra-rendimento che offrono
rispetto ai titoli di stato è quasi senza precedenti. Sono un po’
più cauto per quanto riguarda i bond high yield, che non stanno
ancora prezzando le minacce di una recessione. Tuttavia, stanno
emergendo alcune aree di valore anche nel settore degli high yield”.
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Fonte
- MorningStar.it |
INDIA E cINA sono la zavorra
dell'Asia
11/06/2008 14.36 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
Cina e India stanno
pesando sull’andamento della regione asiatica (Giappone
escluso). E sui fondi specializzati in quell’area.
Nell’ultimo mese (fino al 10 giugno e calcolato in euro),
l’indice Msci di riferimento ha perso circa il 5,3%. I due
Paesi, spiegano gli analisti, sono stati fra i peggiori
performer dell’Asia a partire da novembre dell’anno scorso,
quando la crisi scatenata dai mutui americani subprime
(quelli di scarsa qualità) si è trasformata in una
correzione dell’azionario a livello globale.
Un brutto colpo, soprattutto per quegli investitori che si
erano esposti in maniera significativa su quei mercati,
credendo che le zone emergenti (India e Cina in particolare)
avrebbero mantenuto un po’ della loro forza nonostante il
rallentamento dell’economia globale. I fondi raccolti nella
categoria Morningstar Asia Pacifico ex Giappone, a livello
globale, dai picchi toccati a novembre dell’anno scorso
hanno registrato (fino al 31 maggio) un crollo medio del
14,4%, facendo peggio di quelli specializzati su Stati Uniti
ed Europa. “Questa debolezza è dovuta principalmente
all’aura negativa che ha condizionato i mercati azionari
mondiali e alla paura degli investitori che il rallentamento
dell’economia americana portasse il resto del mondo a una
recessione”, spiega Ash Kumar, analista di Morningstar. “Ma
è anche attribuibile a fattori specifici dei singoli Paesi”.
Gli economisti, per esempio, scommettono su una possibile
stretta monetaria da parte della Reserve Bank of India per
contenere l’inflazione derivante dalla corsa delle materie
prime. “Questo può coincidere con il rallentamento
dell’economia del Paese che quest’anno potrebbe crescere del
7,5% contro il 9% circa registrato in passato”.
L’effetto negativo dei giganti asiatici sui fondi dell’area
diventa ancora più evidente se si osservano le composizioni
dei portafogli negli ultimi sette mesi. Gli strumenti che
stanno andando male (e sono quindi nell’ultimo quartile)
hanno un’esposizione nei confronti della Cina doppia
rispetto a quelli che si trovano nel primo quartile. Lo
stesso discorso vale per chi investe in India. Una ulteriore
conferma arriva guardando l’andamento degli indici di
riferimento. Gli Msci China e India, che hanno toccato i
massimi a ottobre 2007, da allora sono scesi rispettivamente
del 27,2% e 19,3% in euro. I fondi raccolti nelle categorie
Morningstar Cina e India, a livello globale, hanno lasciato
per strada il 25,2% e il 19,4%. Per avere un’idea
dell’ampiezza di questo declino basta vedere cosa avevano
fatto da marzo 2003, quando il precedente mercato Orso era
terminato, fino a ottobre dell’anno scorso: +44,1% e +40,7%
(annualizzati).
“Il cattivo andamento nel breve termine probabilmente si
spiega con la fiducia che i gestori danno alla regione
asiatica nel lungo”, continua Kumar. “Non a caso continuano
ad aumentare gli investimenti su Cina e India a spese di
Hong Kong”. Secondo l’analista l’esposizione sui due Paesi è
ai massimi storici ed è il risultato della debolezza di quei
mercati negli ultimi sette mesi.
Visto con gli occhiali degli investitori privati,
l’andamento dell’area dimostra che non può essere
considerata un porto sicuro nei momenti di turbolenza dei
mercati. “Questo non significa che le due economie non
abbiano forti potenzialità future e una buona capacità di
diversificazione”, precisa Kumar. “Noi crediamo che le
abbiano e per questo comprendiamo perché i gestori si stanno
sbilanciando. Tuttavia suggeriamo agli investitori di capire
bene quanta parte del portafoglio è investita in maniera
diretta e indiretta su questi due Paesi. I titoli delle
risorse energetiche, per esempio, sono legati a filo doppio
alle prospettive di crescita di India e Cina. L’aumento del
prezzo del petrolio potrebbe bloccarsi improvvisamente se
l’appetito dei due giganti dovesse passare. Il nostro
consiglio è quello di investire in un fondo che abbia una
buona diversificazioni su tutti i Paesi della regione”.
Fonte - MorningStar.ir
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India: INFLAZIONE VOLA SOPRA 11%, MASSIMI DA 13 ANNI
20 Giugno 2008 12:42 NEW DELHI -
di ANSA _____________________________
(ANSA) - NEW DELHI, 20 GIU -
L'inflazione in India ha raggiunto il suo tetto più alto degli
ultimi tredici anni. In base ai dati comunicati oggi dal
Ministero del Commercio e dell'Industria, l'inflazione ha
toccato, nella settimana terminata il 7 giugno, l'11,05%. Si
tratta del livello più alto dal 6 maggio 1995, quando si arrivò
all'11,11%. In pochi giorni si è registrato un aumento
notevolissimo. Solo la settimana precedente il tasso era stato
dell'8,75%. L'incremento del prezzo del petrolio, che ha
comportato aumenti per la benzina, il diesel e il gas da cucina,
è considerato il principale responsabile di questo forte balzo
in avanti del livello di inflazione. Pochi minuti dopo che il
tasso di inflazione è stato reso noto, il Sensex, l'indice della
Borsa di Mumbai, è crollato di 350 punti, riflettendo la
sfiducia degli investitori sull'efficacia delle misure adottate
dal Ministero delle Finanze e della Reserve Bank of India per
contenere l'inflazione.(ANSA).
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CINA: AUMENTATO PREZZO BENZINA, LA BORSA SI RIPRENDE
20 Giugno 2008 09:48 PECHINO -
di ANSA __________________________
(ANSA) - PECHINO, 20 GIU - La
benzina e il diesel costeranno da oggi in Cina rispettivamente
0,8 yuan (0,07 euro) e 0,92 (0,08 euro) in più al litro. Per il
cherosene utilizzato nel trasporto aereo l' aumento sarà di
1.500 yuan (140 euro) a tonnellata, mentre rimarranno invariati
i prezzi del gpl (gas di petrolio liquefatto) e del gas
naturale. Lo ha annunciato la Commissione nazionale per le
riforme e lo sviluppo. Il rialzo del prezzo dei derivati del
petrolio è stato accolto con favore dalla Borsa di Shanghai, che
ha interrotto un lungo periodo negativo facendo registrare un
rialzo del 4,75 per cento. Le misure - le prime da otto mesi a
questa parte - riflettono la necessità di adeguare i prezzi al
consumo alle impennate del greggio (oltre 130 dollari al barile)
e di tamponare le pressioni inflazionistiche. Secondo quanto
riportato dalla stampa locale, la mossa del governo è
soprattutto mirata a fronteggiare le ingenti perdite subite
negli ultimi mesi dalle compagnie petrolifere domestiche, che
sono tra quelle preferite dagli investitori cinesi. Sono
compagnie statali e la politica di sussidi pubblici provoca loro
gravi perdite, perché devono comprare ai crescenti prezzi
internazionali e vendere ai prezzi artificialmente bassi imposti
dallo Stato. Con il rialzo dei prezzi, le loro prospettive
migliorano. Dal prossimo primo luglio è previsto anche un
rincaro delle tariffe elettriche pari a 0,025 yuan per
chilowattora, con alcune eccezioni che riguardano soprattutto le
attività agricole, mentre il prezzo del carbone sarà
temporaneamente sottoposto al controllo delle autorità. (ANSA).
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Gestori
più liquidi
12/06/2008 16.00 -
di Sara Silano
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I portafogli dei gestori diventano più liquidi a discapito di azioni
e obbligazioni. Secondo l’ultimo sondaggio condotto da Morningstar
tra le principali società di gestione, italiane ed estere, nei fondi
bilanciati il cash è in media del 25%, con punte del 60%.
Per tutti
gli intervistati, la preoccupazione principale è rappresentata dal
rallentamento economico, che dagli Stati Uniti è arrivato in Europa.
Il prezzo dell’euro forte
La percentuale di gestori ottimisti sulle Borse europee è scesa ai
minimi da oltre un anno e mezzo, passando dal 30% di maggio al 25%.
E’ aumentato, invece, il numero di coloro che prevedono una
stabilità attorno agli attuali livelli (45,8%) nei prossimi sei
mesi, mentre i pessimisti sono rimasti invariati. Nel Vecchio
continente, l’euro forte pesa sulla competitività e sugli utili
delle imprese, con effetti che si cominciano a vedere appena ora.
Inoltre, i prezzi più elevati di alimentari ed energia erodono il
potere di acquisto dei consumatori e la politica monetaria, tra le
più restrittive nei Paesi sviluppati, non stimola l’economia in
sofferenza. Secondo molti fund manager, le stime sui profitti
continuano a rimanere troppo alte e dovranno necessariamente essere
riviste al ribasso. Per questo motivo l’area è sottopesata, anche se
non viene esclusa una possibilità di ripresa dei listini nella
seconda parte del 2008.
Piazza Affari a rischio rialzo dei tassi
L’S&P/Mib è stato uno degli indici europei peggiori da inizio anno,
a causa soprattutto del peso del settore finanziario. Un ulteriore
colpo potrebbe arrivare dall’aumento dei tassi di interesse da parte
della Banca centrale europea, che si somma alla debolezza
dell’economia. Per queste ragioni il 47% dei gestori prevede un calo
del listino milanese nei prossimi sei mesi, contro il 31,6% che si
aspetta un incremento. La preferenza è accordata ai titoli
difensivi, i cui utili sono scollegati dall’andamento del ciclo e
che possono proteggere dall’aumento dell’inflazione.
Usa, ancora timori di recessione
Il sentiment sul mercato americano è alterno. A maggio, la
percentuale degli ottimisti era salita al 55% perché la Federal
Reserve aveva dato fiducia a Wall Street con il salvataggio di Bear
Sterns. Nell’ultimo mese sono riemerse le preoccupazioni per il
rallentamento dell’economia a causa dei deboli dati
sull’occupazione, della fragilità del settore immobiliare, degli
alti costi dei beni alimentari e dell’energia che rischiano di
annullare i benefici delle agevolazioni fiscali. I gestori che si
attendono un rialzo della Borsa americana sono, quindi, scesi al
45,8% a giugno, mentre coloro che prevedono un ribasso sono saliti
sopra il 30%. Tra gli intervistati i pareri non sono unanimi sul
fatto che il minimo della congiuntura sia stato raggiunto e sulla
durata degli effetti della crisi: secondo alcuni sarà pluriennale;
secondo altri limitata.
Qualche spiraglio in Giappone
I timori di inflazione e di un rallentamento globale ostacolano i
tentativi di rimbalzo della Borsa di Tokyo. I gestori, però, cercano
di cogliere i segnali positivi che si sono manifestati negli ultimi
mesi, in particolare i crescenti flussi di denaro provenienti dal
Medio Oriente e dagli Stati Uniti e il minor impatto del rincaro del
petrolio, conseguente a un uso più efficiente di questa risorsa
rispetto ad altre regioni. A giugno, la percentuale di ottimisti è
cresciuta, passando dal 50% di maggio al 62,5%, mentre i pessimisti
sono rimasti sui medesimi livelli. Questi ultimi sostengono che la
sovra-performance del Topix rispetto all’indice mondiale a partire
da marzo è dovuta principalmente ai riacquisti di azioni da parte
delle aziende, alla crescita dei dividendi e ai bassi tassi di
interesse, mentre lo scenario generale non è molto diverso da quello
dei mercati occidentali.
Bond europei tra forze opposte
Nel discorso del 5 giugno, il presidente della Banca centrale
europea ha aperto la strada a un possibile rialzo dei tassi a
luglio. Resta, però, difficile definire un livello appropriato per i
saggi di riferimento, spinti da due forze opposte (crescita
economica e inflazione), per cui i gestori prevedono forti
oscillazioni sul mercato obbligazionario. E’ possibile che i prezzi
scendano nel breve per effetto della stretta, ma potrebbero risalire
se il rallentamento congiunturale raffredderà l’inflazione. Il 50%
degli intervistati prevede che le quotazioni rimarranno attorno agli
attuali livelli nei prossimi sei mesi, mentre il 41,7% stima una
discesa. La maggior parte, inoltre, dichiara di voler mantenere
bassa la duration.
Il reddito fisso Usa sta alla finestra
Dopo la forte correzione del mercato obbligazionario americano,
alcuni gestori hanno cambiato il loro giudizio sui titoli
governativi da negativo a neutrale. Per decidere le mosse future,
tuttavia, i fund manager attendono di capire quali saranno le
prossime mosse di politica monetaria, la durata della crisi
economica e l’andamento dell’inflazione. La maggior parte degli
intervistati, comunque, è convinta che i prezzi scenderanno, a
fronte di un rialzo dei rendimenti, e solo il 12,5% prevede un
incremento.
Più chance per il dollaro
Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, l’euro ha recuperato
rispetto al biglietto verde, successivamente, però, si è nuovamente
indebolito portandosi intorno a quota 1,53. Per il 65% dei gestori
il dollaro si apprezzerà nei prossimi sei mesi contro il 4% che
stima un indebolimento. Le ragioni sono diverse: il ritorno verso la
normalità della politica monetaria americana, il rallentamento
dell’economia europea, che dovrebbe stemperare le tensioni sui
prezzi, la convinzione della Federal Reserve e del governo americano
che la valuta debba stabilizzarsi per contrastare l’aumento
dell’inflazione. Gran parte degli intervistati è convinto che nel
giro di dodici mesi, il rapporto tra le due divise si assesti sotto
quota 1,5.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 3 e il 10 giugno, 24
delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul
territorio, che contano per circa l’80% degli asset gestiti in
Italia. Si tratta di Aberdeen Am, Aletti Gestielle, American
Express, Anima Sgr, Axa Im, Banca Profilo, Bnp Paribas Am, Clariden
Leu, East Capital, Eurizon Capital, Euromobiliare Am, Fideuram asset
management, Ing Im, Investitori, JC&Associati, Julius Baer, Maxos,
MC Gestioni, Mps Am,, Pioneer Im, Sella gestioni, Sgam, Total Return,
Vontobel.
 |
Fonte
- MorningStar.it |
Chi si salva dall’effetto-gregge
20/06/2008 14.28
-
di Sara Silano ______________________________________________
Quando i mercati sono in ansia,
il freddo “cervello” del computer può potenzialmente dare
risultati migliori della mente umana emotivamente più sensibile
agli umori delle Borse. Nell’ultimo anno, però, non è stato così
e un primo assaggio del cambiamento si è avuto l’estate scorsa
con l’esplosione della crisi dei mutui subprime. A pagare il
prezzo più alto sono stati i fondi cosiddetti 130/30, che,
impiegando modelli quantitativi, assumono posizioni lunghe sui
titoli che ritengono possano salire e corte su quelli che
pensano possano scendere.
Secondo un recente studio del Cfa Institute tra 31 società di
gestione europee e statunitensi, agenzie di rating dei fondi e
altri esperti del settore, il fenomeno si spiega con la sempre
maggiore correlazione tra i mercati, la rotazione dei portafogli
e, soprattutto, il crescente numero di operatori che adottano
metodi matematico-statistici fattoriali, poco differenti tra
loro e basati sugli stessi dati per la selezione dei titoli.
In altre parole, se tutti si muovono nella stessa direzione è
difficile generare extra-rendimenti. Come ha commentato
ironicamente Larry Siegel, direttore della Fondazione per la
ricerca del Cfa Institute, “una strategia studiata per evitare
l’effetto-gregge degli analisti fondamentali, ha finito per
creare a sua volta un comportamento analogo”. La questione è
delicata, perché è proprio sulla capacità di generare Alfa,
ossia valore aggiunto in termini di performance e controllo del
rischio, che si misura la bontà di un modello.
I tre quarti dei partecipanti allo studio del Cfa Institute,
hanno ammesso che è sempre più difficile trovare opportunità di
profitto per un gestore azionario perché i modelli giungono
spesso alle medesime conclusioni. La sfida, dunque, è quella di
avere più informazioni “esclusive”. Per questa ragione, molte
società di gestione hanno cominciato a considerare una strategia
ibrida che combina l’approccio fondamentale, basato sulla
conoscenza approfondita di un settore o un titolo, con quello
quantitativo, più rigoroso perché matematico-statistico.
E’ troppo presto, però, per dire se saranno celebrate le nozze
tra i due metodi, anche perché i sostenitori del quantitativo
puro sono riluttanti ad accettare qualsiasi forma di
commistione, preferendo investire sulla ricerca di modelli più
sofisticati, che tengano conto della complessità dei mercati.
Negli ultimi anni, la crescita dell’impiego delle metodologie
quantitative è stata esponenziale. Tra la fine del 2007 e
l’inizio del 2008, il numero di membri dell’indice Barclay
sistematic trader index (che comprende i fondi alternativi
gestiti almeno per il 95% con modelli matematici) è passato da
390 a 434. E il trend è destinato a continuare. La crisi
dell’estate scorsa, però, ha dato a tutti la consapevolezza che
non è possibile non tenere conto dei mercati che cambiano e
degli attori che si moltiplicano. Per questo motivo, secondo i
gestori, un fattore discriminante delle società di successo sarà
l’abilità nello sviluppare i sistemi e, di conseguenza, sulla
capacità di trovare le persone con le competenze per farlo.
Fonte - MorningStar.it
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Giallo a Wall Street:
ex re degli hedge fund fugge con i soldi dei clienti
16 Giugno 2008 16:50 NEW YORK -
di
WSI
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La polizia federale americana ha lanciato la più imponente caccia
all'uomo che si ricordi per uno scandalo finanziario: l'Fbi, gli Us
Marshals (gli agenti federali specializzati nei grandi latitanti) l'Interpol
e la polizia di mezzo mondo stanno dando infatti la caccia a Samuel
Israel III, ex re degli hedge fund di Manhattan, fondatore di uno
tra i fondi speculativi più noti, il Bayou Management, sospettato di
essere fuggito con diverse centinaia di milioni di dollari. Sulla
testa dell'ex trader 48enne, figlio di una facoltosa famiglia della
Louisiana e considerato uno dei geni della finanza creativa, pesa
una condanna a 20 anni di carcere per aver fatto sparire dal fondo,
oggi defunto, quasi 500 milioni di dollari dei propri clienti.
Solo che oltre ai soldi, da circa tre giorni è sparito anche lui,
con una messinscena in stile hollywoodiano che fa passare in secondo
piano il caso di Jerome Kerviel, il trader francese accusato di un
buco da 5 miliardi di euro a SocGen e trovato dalla gendarmerie in
casa sua alla periferia di Parigi.
Il giallo finanziario che sta animando Wall Street e ha messo in
allarme gli agenti federali e gli inquirenti internazionali è
iniziato lunedì scorso, quando Israel avrebbe dovuto presentarsi
davanti alle autorità per scontare una pena di 20 anni in carcere
per appropriazione indebita e altri reati finanziari. Dopo aver
salutato la compagna ad Armonk, cittadina a un'ora da New York, è
salito in macchina, ma in Massachussets, dove era atteso, non è mai
arrivato. Di lui nessuna traccia: la sua vettura è stata trovata
lunedì pomeriggio a Bear Mountain, zona di boschi e laghi
frequentata da cacciatori nella parte settentrionale dello stato di
New York. Nell'auto gli investigatori hanno trovato un messaggio che
recita «suicide is painless», il suicidio non dà dolore, una frase
tratta dalla sigla di una celebre serie tv americana, «M.a.s.h.».
E qui comincia il mistero: perché il tutto farebbe pensare un
suicidio, a partire dal luogo, un ponte sull'Hudson River dove negli
ultimi 28 anni si sono registrati 40 casi di persone che si sono
tolte la vita gettandosi nel fiume. Ma il corpo di Israel non si
trova e, quasi a sfida beffarda verso gli investigatori, la canzone
a cui fa riferimento il messaggio compare in un episodio della serie
tv dove va in scena proprio un finto suicidio. Lo scandalo del fondo
Bayou risale a tre anni fa, quando nell'estate del 2005 l'hedge
newyorchese chiuse improvvisamente i battenti con in portafoglio 400
milioni di asset. All'epoca Israel giustificò la chiusura
motivandola con la volontà di stare vicino ai figli dopo il divorzio
e rassicurò che il fondo non era insolvente. Ma le cose non stavano
così e la Sec aprì un'indagine.
Nell'autunno del 2005 il finanziere si dichiarò colpevole di
associazione a delinquere e frode finanziaria e lo scorso aprile è
stato definitivamente condannato a 20 anni di carcere. Fino a
lunedì, però, Israel era rimastoa piede libero dietro pagamento di
riscatto e per la collaborazione offerta nel tentativo di recuperare
parte delle somme del fondo (a oggi sono stati ritrovati 100
milioni). Morte o fuga abilmente orchestrata, dunque? Nessuno lo sa,
per ora. Pattuglie di agenti stanno perlustrando l'Hudson River in
cerca del presunto cadavere di Israel ma, data la portata del fiume,
è come cercare un ago in un pagliaio;nel frattempo foto segnaletiche
dell'ex trader sono state inviate agli uffici della polizia di tutto
il mondo.
Finti suicidi e messinscene hanno scandito la storia del crack di
Bayou: due anni dopo la nascita del fondo, nel 1996, Israel e soci
crearono una società di revisione fantasma per certificare falsi
rendiconti finanziari. Di certo Israel si è rilevato il più
spregiudicato fra i suoi soci: il compagno d'affari Daniele Marino,
che per l'anagrafe Usa è Daniel E. Marino, è da tempo in prigione
dopo essersi dichiarato anche lui colpevole e condannato a 20 anni.
Pure Marino, però, aveva lasciato un messaggio negli uffici del
fondo in cui annunciava il suo suicidio. E la storia recente dei
fallimenti degli hedge fund è piena di misteriose scomparse: due
anni fa la polizia ha rintracciato tale Kirk Wright, un finanziere
che era apparentemente scomparso dopo il collasso del suo hedge fund,
costato 150 milioni ai risparmiatori. E lo scorso autunno un altro
gestore di fondi speculativi finito in crisi, Angelo Haligiannis, è
stato arrestato in un lussuoso resort di Creta, dopo essere scappato
da New York nel 2006.
 |
Fonte
-
WallStreetItalia.com |
RETATA
FBI
A WALL STREET PER I
MUTUI SUBPRIME
19 Giugno 2008 21:22
NEW YORK - di
WSI ______________________________________________
Frode, complotto e
insider trading. Con queste accuse l'Fbi ha arrestato due
manager di Bear Stearns, insieme a 60 altre persone,
incriminandone un totale di 406 in quella che appare come
una vera e propria retata a Wall Street, nata dalla crisi
dei mutui subprime.
Cento giorni. Nella rete dell'operation malicious mortgages,
avviata il 1 marzo e durata più di cento giorni, sono finiti
Ralph Ciotti e Matthew Tannin, manager di hedge fund falliti
che facevano capo a Bear Stearns, prelevati dalle rispettive
abitazioni a Manhattan e nel New Jersey. Come annunciato dal
direttore dell'Fbi Robert Mueller, in una conferenza stampa
al dipartimento di Giustizia, dovranno rispondere del
fallimento dei fondi speculativi che hanno acceso la miccia
della crisi subprime. Su Ciotti e Tannin pesa l'accusa di
inganno a scapito degli investitori: i due ex manager erano
perfettamente al corrente del cattivo stato di salute dei
fondi, anche se pubblicamente affermavano il contrario
rassicurando e allo stesso tempo ingannando gli investitori,
causando così perdite stimate per il momento intorno al
miliardo di dollari.
Inchiodati dalle e-mail. A inchiodare Ciotti e Tannin
sarebbe uno scambio di e-mail: Tannin dal suo indirizzo
privato proponeva a Ciotti di discutere della chiusura degli
hedge fund. Cioffi accettava invitandolo nella sua casa in
New Jersey. Ambedue erano a conoscenza delle difficoltà dei
fondi ma, nonostante questo, quattro giorni dopo, nel corso
di una conference call, Cioffi, pur dichiarando che i
risultati dei fondi speculativi erano in calo, constatava
apertamente che non c'erano problemi di liquidità e che il
portafoglio titoli era solido. Il fallimento dei fondi è
costato agli investitori 1,6 miliardi di dollari.
Preda facile. «Il suo fondo è stato il primo a fallire e
questo lo rende una preda facile, ma non significa che abbia
fatto qualcosa di sbagliato», spiega l'avvocato di Cioffi,
Edward Little, sottolineando che «perdere soldi non è un
crimine». «Il mio cliente è innocente ed è il capro
espiatorio per un'estesa crisi dei mercati», afferma invece
uno dei legali di Tannin, Susan Brune. «C'è molta pressione
politica ad andare avanti nelle indagini in questo settore»,
constata Dan Richman, ex pubblico ministero e ora professore
alla Columbia Law School.
Cattiva condotta. Nell'illustrare i risultati preliminari
dell'indagine e spiegare le motivazioni alla base
dell'arresto di Cioffi e Tannin, le autorità sottolineato
che «gli arresti degli ex manager di Bear Stearns forniscono
la magnitudine e la grossolanità della loro cattiva
condotta. Hanno gravemente violato la fiducia pubblica»,
tradendo gli investitori. Cioffi e Tannin non sono i primi a
scivolare su uno scambio di e-mail: prima di loro si erano
cacciati nei guai con la posta elettronica Henry Blodget (Merrill
Lynch), Jack Grubman (Citigroup) e Frank Quattrone (Credit
Suisse First Boston).
Fonte -
WallStreetItalia.com
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Mutui:
MAXI-INDAGINE FBI A UN
ANNO DA INIZIO CRISI / ANSA
20 Giugno 2008 01:28
NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 20
GIU - A poco più di un anno dallo scoppio della crisi dei
mutui subprime, innescata lo scorso luglio dal fallimento di
due hedge fund di Bear Stearns, arrivano la maxi indagine
federale sulla crisi e i primi arresti, anche eccellenti. Ma
nel frattempo le teste cadute a Wall Street a causa dei
subprime sono già molte, così come le società che sono state
travolte dall'onda lunga della crisi. In manette nelle
ultime ore sono finiti proprio i due gestori degli hedge
fund di Bears Stearns, Ralph Cioffi e Matthew Tannin, che
hanno provocato poi l'effetto domino sul mercato,
dichiarando l'avvio della crisi. E quasi in contemporanea
con i primi due arresti eccellenti, sui quali gravano - e
questa è la novità - accuse penali, il Dipartimento di
Giustizia e l'Fbi hanno reso nota la propria maxi-indagine
che, apertasi lo scorso marzo, ha già portato alla condanna
di 173 persone su 283 arresti e 406 incriminati. Di vittime,
negli ultimi dodici mesi, la crisi dei mutui subprime ne ha
fatte molte. Fra queste Bear Stearns, la più piccola delle
banche d'affari statunitense, sull'orlo del fallimento e
salvata in extremis da un'azione congiunta JpMorgan-Fed.
Alcuni nomi di primo piano di Wall Street sono stati
costretti a cedere i posti di comando, travolti dalle
ingenti perdite e svalutazioni ammesse: fra questi Marcel
Ospel (Ubs), Charles 'Chuck' Prince (Citigroup) e Stanley
O'Neil (Merrill Lynch). Determinante nella crisi il ruolo
giocato dalla Fed che, modificando il proprio consueto
atteggiamento, è intervenuta massicciamente sia sul mercato
(concendendo alle banche d'affari di accedere alla finestra
di tasso di sconto) sia a supporto dell'economia (riducendo
drasticamente i tassi di interesse al 2%). La crisi e il
crollo di Bear Stearns hanno acceso un forte dibattito sulla
normativa in vigore negli Usa e soprattutto sul ruolo della
Fed, per la quale in molti chiedono più poteri e maggiore
accesso alle informazioni delle banche d'affari. Il
segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson, lo ha ribadito
anche nelle ultime ore: alla Fed devono andare più poteri
per garantire la stabilità dei mercati. Nelle ultime ore le
novità, soprattutto legali, legate alla crisi si sono
succedute: - Le autorità newyorkesi arrestano due ex manager
di Bear Stearns, accusandoli di frode. I legali di Cioffi e
Tannin respingono le accuse ma per i loro assistiti il
rischio è di oltre 20 anni di prigione. Tannin, infatti,
rischia 20 anni per frode e complotto, mentre Cioffi ne
rischia 40 in quanto su di lui grava anche l'accusa di
insider trading. - L'Fbi e il Dipartimento di giustizia
rendono noti i primi risultati dell'operazione 'malicous
mortgage', che dal 1 marzo ha portato all'arresto di 273
persone, di cui oltre 170 già condannate, su 406
incriminanti. Solo nelle ultime 24 ore gli arresti sono stai
60. L'indagine Fbi-Dipartimento di Giustiza non è collegata
con quella che ha portato alla cattura dei due ex manager
Bear Stearns. - Dibattito in Senat sul piano casa che
prevedrebbe la creazione di un fondo da 300 miliardi di
dollari. la casa Bianca minaccia il veto sulla
proposta.(ANSA).
Fonte -
ANSA
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Mutui:
FBI INDAGA MENTRE UBS
CONFESSA MEGA-EVASIONE /ANSA - INCHIESTA SI ESTENDE A
MACCHIA D'OLIO IN TUTTI GLI USA
20 Giugno 2008 22:05
NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 20
giu - C'é chi si è pagato matrimoni da 1 milione di dollari
e chi ha cercato rifugio nelle bellezze tropicali di Samoa:
nel mirino dell'indagine dell'Fbi non ci sono solo grandi
società e pescecani di Wall Street ma anche 'pesci' più
piccoli e organizzazioni criminali attive nel riciclaggio di
denaro sporco. Ad arricchire di particolari lo spaccato di
un'America in qualche modo 'corrotta' tracciato dalla
indagini federali e governative è anche la mega-evasione
fiscale orchestrata da alcuni banchieri di Ubs: davanti a un
corte della Florida Bradley Birkenfeld, ex banchiere
dell'istituto svizzero, ha ammesso di aver preso parte a uno
schema che ha consentito ad abbienti americani di evadere
tasse per 20 miliardi di dollari. L'indagine dell'Fbi,
svelata nelle ultime ore, si estende a macchia d'olio per
tutti gli Stati Uniti, anche se la città finora più colpita
è Chicago con 67 casi di frode scovati. Non mancano però
all'appello Miami, Houston, Los Angeles, New York. A colpire
gli agenti federali è il fatto di essersi imbattuti in
truffe sui mutui nell'ambito di altro tipo di indagini,
quali ad esempio quelle relative allo spaccio di droga e al
riciclaggio di denaro. L'ampia portata dell'azione in atto
da parte degli investigatori è data anche dal variegato
panorama di personaggi coinvolti: se da un lato finiscono in
manette due ex manager di Wall Street, dall'altro vengono
accusati anche due ex agenti di star, Joseph Babajian e Kyle
Grasso, che si sono dichiarati innocenti e che dovranno
apparire in tribunale il prossimo ottobre. molti costruttori
edili sono finiti nel mirino delle autorità, fra questi
Charles Elliot Fitzgerald e Mark Alan Abrams, che hanno
ammesso la propria colpevolezza. Fitzegerald, sul quale
pende l'accusa di frode per 5 milioni di dollari, aveva
lasciato gli Stati Uniti nel 2003 per cercare rifugio a
Samos. Le autorità, però sono riuscite a scovarlo e
arrestarlo. A far finire dietro le sbarre in North Carolina
Joy Jackson e il marito Kurt Fordham è stato il matrimonio
da mille e una notte, svoltosi al Myflower Hotel di
Washington con 360 invitati e dal costo di circa 1 milione
di dollari. Un evento che ha insospettito ancora di più le
autorità che già indagavano sulla società che faceva capo a
Jackson-Fordham, anche per via del tanto elevato da destare
sospetti, tenore di vita della coppia, sulla quale ora grava
un'accusa per frode da 35 milioni di dollari. Il ritratto
dell'America alle prese con i mutui scattato dall'Fbi è
completato nelle ultime ore dalla prima comparizione davanti
a un giudice dell'ex banchiere di Ubs, Birkenfeld, che si è
dichiarato colpevole, ammettendo di aver fatto parte di uno
schema organizzato per aiutare alcuni ricchi americani ad
evadere le tasse. In una testimonianza scritta, Birkenfeld
racconta che la divisione di private banking di Ubs
consigliava ai clienti americani di 'nascondere' denaro e
gioielli in cassette di sicurezza svizzere, di acquistare
opere d'arte e preziosi tramite conti offshore e di aprire
conti sotto falso nome nei paradisi fiscali come la stessa
Svizzera, il Liechtnstein, Panama, Hong Kong e Isole
Vergini. Ubs, tramite questo servizio, guadagnava
annualmente 200 milioni di dollari all'anno, ha confessato
Birkenfeld, raccontando di aver accettato in un'occasione di
acquistare diamanti per un cliente americano utilizzando
fondi svizzeri e di "aver esportato illegalmente le pietre
negli Stati Uniti nascondendole in un tubetto di
dentifricio". Nell'ambito dell'indagine per evasione
fiscale, nella quale è finita Ubs, una delegazione svizzera
è in queste ore a Washington per discutere con le autorità
americane la domanda di estradizione. (ANSA).
Fonte -
ANSA
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Prendi
i soldi e scappa
23 Giugno 2008 13:28 TORINO -
di Fabio Pozzo
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La lista degli speculatori truffaldini si allunga.
Proprio nella settimana in cui gli agenti dell’Fbi stanno soffiando
sulla tela di «Mutuo maligno», l’operazione che ha portato
sott’accusa oltre 400 persone e in carcere più di 300, tra le quali
anche gli ex top manager di Bern Stars Ralph Cioffi e Mattewh Tannin,
la polizia di New York è sulle tracce di Samuel Israel, un trader
che è accusato di aver sottratto 450 milioni di dollari a decine di
investitori attraverso il suo fondo Bayou Grop.
Israel - abituato a vivere alla grande, tanto da risiedere in una
delle ville che furono di Donald Trump, pagando un affitto di 30
mila dollari al mese - ha tentato l’ultima truffa anche ai danni dei
detective della Grande Mela. Il 9 giugno scorso doveva presentarsi
in un penitenziario del Massachussets, dove avrebbe dovuto scontare
la pena di 20 anni di carcere (ne rischiava 30, ma ha avuto lo
sconto perché ha collaborato con le autorità). Ma ha preferito
inscenare il suicidio: la polizia ha trovato il suo Suv vicino ad un
ponte e un biglietto con scritto «il suicidio è indolore». Il suo
corpo non è stato trovato, gli agenti non se la sono «bevuta» e lo
hanno dichiarato latitante.
Certo, 450 milioni sono poca cosa, volendo, rispetto alla frode da
7,2 miliardi di dollari, 4,9 miliardi di euro contestata a Jérome
Kerviel, il trader della seconda banca francese Société Générale,
ormai passato alla storia e alla celebrità. Già, Kerviel. Che ne
sarà ora del suo futuro? E che cosa ne sarà di quello di tanti altri
speculatori che sono in odore di sbarre? Qualche indicazioni
potrebbe venire dalla storia personale di altri traders che, prima
di loro, sono finiti sotto i riflettori per aver messo sotto i piedi
codici deontologici e penali. Un club piuttosto ampio, quanto ad
iscritti d’ufficio. Qualcuno, la buona parte, è finito in prigione;
altri hanno cambiato decisamente vita; altri ancora, hanno firmato
una cambiale con la dea fortuna.
Nick Leeson, per esempio. E’stato uno dei primi trader
inglesi a negoziare contratti futures ed altri derivati, le cui
azioni provocarono il fallimento della Barings Bank, la più vecchia
e una delle più prestigiose banche d’investimento del Regno Unito.
Leeson operava (senza l’autorizzazione dei suoi superiori)
soprattutto sul mercato monetario di Singapore: cominciò nel 1992 e
in principio gli andò bene; quando arrivarono le prime perdite, le
registrò segretamente sull’account error 88888 (8 è considerato uno
dei numeri fortunati dai cinesi) e le nascose. Il tracollo seguì nel
1995, quando Nick scommise sul rialzo del mercato asiatico, andato
in collasso. Non la indovinò e fuggì, lasciandosi dietro le spalle
una perdita di 827 milioni di sterline (1,3 miliardi di dollari) e
una nota ai suoi superiori. «I’m sorry», mi dispiace.
Arrestato, è stato condannato a sei anni e mezzo di prigione e
quindi rimesso in libertà, dopo la diagnosi di un cancro. Ma è stato
fortunato: ha vinto la malattia e oggi vive a Galway, sulla costa
Ovest dell’Irlanda. E’ general manager della squadra di calcio
locale, ha scritto due libri sulla sua avventura, il primo dei quali
ha ispirato il film «Rouge Trader», con la star Ewan McGregor. Tiene
un regolare circuito di conferenze in giro per il mondo, in cui
parla dello stress e dei rischi ai quali sono sottoposti i manager.
La tariffa? 12 mila dollari per mezz’ora. E poi scrive articoli per
giornali e magazine (mille sterline a pezzo), e ha un Web site
attraverso il quale vende i suoi libri, Dvd e servizi. Servizi?
racconta alle banche come difendersi da quelli come lui.
Ultimamente, in occasione dello scandalo Kerviel, è riuscito anche a
piazzare due interviste esclusive a due media inglesi. La Bbc ha
ammesso di averlo pagato.
Altri trader sono ancora dietro le sbarre. Come John
Rusnak, di Baltimora, che s’è beccato 7 anni e mezzo per il buco di
691 milioni di dollari arrecato alla Allied Irish Banks. O Chen
Jiulin, che ha lasciato una perdita di 550 milioni di dollari nella
«schiena» della China Aviation Oil Corp. di Singapore. Qualcuno,
invece, ha scelto l’oblìo: è il caso di Yasuo Hamanaka, detto Mister
Copper, che negoziò contratti infedeli sul rame per 2,6 miliardi di
dollari a danno della Sumitomo Corp. e che ora, dopo aver trascorso
otto anni in galera, vive anonimamente in un suburbo di Tokio.
E poi ci sono quelli che hanno svoltato. Toshihide Iguchi, ad
esempio, che tra gli Anni ‘80 e ‘90 ha causato una perdita di 1,1
miliardi di dollari alla divisione americana della Daiwa Bank.
Quattro anni di carcere, in cui ha conosciuto il mafioso Greg Scarpa
Junior, il terrorista Ramzi Yousef (World Trade Center, 1993) e
George Harp, il fondatore dell’Aryan Brotherhood, una gang che conta
molto dietro le sbarre, che lo ha difeso dai Latin Kings e distolto
dai brutti pensieri. Con quest’ultimo è nata un’amicizia: Iguchi gli
parlava di futures e bond, Harp di rapine in banca.
«Qualcosa di molto simile al trading», ha commentato di recente al
Wall Street Journal il trader pentito. In prigione, Iguchi ha
scritto anche un libro, che è diventato un best-seller in Giappone,
dove oggi - è un nipponico naturalizzato in Usa - è ritornato. Ha
aperto una scuola d’inglese, vicino a Kobe, grazie a un prestito
della madre. Il libro era andato bene, ma i diritti gli sono serviti
per pagare la multa di 2,6 milioni di dollari inflittagli dal
tribunale.
 |
Fonte
- La Stampa |
Crisi
dei mercati:
in arrivo altre grosse perdite
?
Giovedì 19 Giugno 2008,
7:52 - di Banche e Risparmio ______________________________________________
Mentre qualcuno
iniziava già a considerare alle spalle la crisi dei mutui
subprime, i mercati hanno iniziato a segnare una serie di
risultati negativi, riaccendendo le preoccupazioni di molti
operatori.
Ma soprattutto, non mancano previsioni a tinte decisamente
fosche. Secondo alcuni analisti, nei prossimi tre-quattro
mesi si potrebbe assistere per lo S&P 500 a discese fino a
300 punti, cioè vicine al Questa fase negativa avrebbe
comunque caratteristiche differenti da quella a cui abbiamo
assistito nei mesi scorsi: mentre quest'ultima era
riconducibile a una sorta di bolla del settore del credito,
quella che potrebbe aprirsi invece è da ricondurre alle
difficoltà dell'economia americana. E ad aggravare la
situazione c'è il fatto che la fase di rallentamento
dell'economia USA si accompagna ad una inflazione sempre
maggiore, generando uno scenario di stagflazione che
potrebbe essere molto difficile da gestire.
In parole semplici: se si contrasta l'inflazione si frena la
crescita, se invece si cerca di supportare la crescita i
prezzi potrebbero "esplodere" mettendo in seria difficoltà
l'economia (e poi alla fine comunque frenando la domanda).
Ecco il perché dello scenario negativo che viene
prospettato.
Va però detto che non vi è unanimità su queste previsioni.
Non manca chi sottolinea che gli ultimi dati USA su
occupazione, PIL, fiducia delle aziende, ed ordini
industriali, per quanto non siano positivi non indicano
l'avvicinarsi di una recessione prolungata: e anzi qualcuno
(Bank of England, per fare nomi) lascia intendere che le
difficoltà dell'economia reale sarebbero sopravvalutate.
E' vero però che i consumatori americani starebbero
iniziando a tagliare le spese quotidiane (dai pranzi ai
caffè), un dato che non può non essere interpretato come un
sintomo di difficoltà.
Ma come si riflette tutto ciò sull'economia europea? Per
quanto sia secondo me opportuno non dare per scontato che
quello che accade in USA accada anche in Europa, è chiaro
che è improbabile che l'economia europea vada in una
direzione completamente diversa. Se non altro perché la
malattia di fondo è comunque la stessa, con un rallentamento
dell'economia che non è solo "importato", e dove comunque le
tensioni inflazionistiche non mancano (per quanto la BCE
abbia probabilmente cercato di contrastare l'inflazione più
di quanto ha fatto la FED).
Fonte -
Banche e Risparmio [http://banche.blogspot.com]
|
La
fase di negatività
è destinata a continuare ! Atteso il superamento
dei precedenti minimi !
Giovedì 19 Giugno 2008, 10:32 - di Il punto-borsainvestimenti
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Il mercato americano è ai
minimi degli ultimi tre mesi. Manca poco alla rottura dei minimi che
sarebbe un evento molto rilevante che non farebbe che accelerare le
vendite. Non sappiamo se già settimana prossima saremo con gli
indici americani sotto i minimi. È probabile che potremo
assistere ad un altro rimbalzo prima della "grande discesa". Non
guardiamo i movimenti di breve, ma LA TENDENZA DI MEDIO! E allora...CASH
IS KING. Questa mattina in Asia abbiamo visto un bel po' di vendite
RECESSIONE IN RITARDO...(per
colpa della statistica).
In America la domanda di greggio sta scendendo rapidamente! I prezzi
alti stanno cambiando la mentalità degli americani. Il calo della
domanda è prevedibile che diverrà stabile. Per ora la crescita del
PIL americano è stato sorretta da un cattivo deflattore che non
considerava in maniera corretta il rialzo dei prezzi di petrolio e
materie prime (gonfiando erroneamente il PIL). La continua riduzione
dei consumi porta a prevedere un futuro rallentamento del PIL.
Tuttavia se i prezzi della benzina dovessero scendere
rapidamente...beh allora il PIL potrebbe anche
CROLLARE...(evidenziando, con ritardo, una recessione). È pensabile
che quando i dati saranno terribili...il peggio sarà alle spalle.
Ricordatelo! Sarà tempo di shopping!
ALLARME: AUMENTA IL RISCHIO
INSOLVENZA DEGLI STATI AMERICANI
Gli Stati dell'America si aspettano una recessione nel 2008 che avrà
significativi impatti sulle finanza degli stessi. Ben 29 Stati, fra
i quali California, Florida, NY, NJ, Rhode Island, Nevada, Alabama,
Arizona, stanno affrontando un deficit di oltre $48 miliardi per il
2009; hanno bisogno di assitenza da parte dello Stato Centrale
(aumentando il contributo per le spese mediche, per esempio). La
caduta delle case e dei consumi, uniti all'aumento della
disoccupazione, porta a minori entrate per gli Stati (minori entrate
dalle tasse sui redditi, minori tasse sui capital gains, minori
tasse dalle vendite di case, minori entrate dalle vendite del
patrimonio immobiliare dei singoli stati). A questo sommiamo un
costo maggiore per l'emissione dei MUNI BONDS. (obbligazioni
municipali). Molti sono gli Stati a rischio d'insolvenza, ad esempio
NY, NJ, California, Alabama): alcuni di essi potrebbero decidere di
aumentare le tasse e aumentare i tagli alle spese (costi per la
salute, per l'educazione ecc ecc) aspettando aiuti dal Congresso
(che però è alle prese con le elezioni a novembre...).
Cari lettori, la crisi dei
mercati finanziari NON è che all'inizio! Il peggio è davanti a noi.
Ci aspettano target sugli indici direi drammatici:
S&P500: 1050
Dow Jones (notizie): 9.800
Dax (Xetra: notizie): 5.000
S&P/Mib (Milano: notizie): 23.000
Gli indici potrebbero
perdere entro fine anno fra il 30% e il 45% del valore che avevano a
inizio anno. Nelle prossime settimane i dati ci confermeranno
che l'inflazione raggiungerà proporzioni bibliche. I tassi
cominceranno a salire nuovamente. Si dirà che un aumento dei tassi
non sarà sufficiente. I mercati azionari continueranno a scendere.
Le aziende a fallire sotto il peso dei debiti. L'immobiliare
crollerà anche in Europa. Gente come Zalesky e Zunino verranno
spazzati via. Grosse perdite colpiranno tutti i settori. I bassi
volumi estivi permetteranno alla speculazione di affondare BUSH, la
FED, la BCE, Trichet ecc ecc.
VI PREGO DI RIMANERE CON LA CASSA SUL CONTO CORRENTE O AL MASSIMO DI
INVESTIRE IN BOT A UN ANNO.
Lo so che verrò bollato di catastrofismo, ma ricordatevi questo
articolo fra qualche mese. Quando un mese fa vi ho detto che la
crisi sarebbe arrivata dal Bric qualcuno mi ha telefonato e mi ha
detto che ero esagerato, ma da allora l'indice cinese ha lasciato
sul terreno il 25% per non parlare degli altri mercati). Quando
guardi il mercato azionario italiano ti accorgi che arrivano vendite
continue senza fermarsi. Molti titoli sono venduti da settimane
lentamente e inesorabilemente.
Seguo la Borsa da oltre 25 anni e sono sicuro che fasi come queste
vengono sempre seguite da crolli violenti. Non fatevi ingannare dai
prezzi apparentemente attraenti. ALLONTANATEVI DALLA BORSA fino a
che siete in tempo, o perlomeno compratevi una protezione.
 |
Fonte
-
Il punto-borsainvestimenti |
Wall
Street
alletta senza i finanziari
26/06/2008 15.52 - di
Sara Silano ______________________________________________
Non è un sì convinto,
forse più un “nì”, ma i gestori sono tornati ad affacciarsi
su Wall Street. Da inizio anno l’indice S&P 500 (total
return, ossia che tiene conto del reinvestimento dei
dividendi) ha lasciato sul terreno il 9% in dollari, meno
dei listini europei, che registrano ribassi a due cifre. E
il Nasdaq 100, che non ha titoli finanziari nel paniere, si
è comportato ancora meglio (-8,5%). Nell’ultimo trimestre il
divario è aumentato, con il benchmark tecnologico che ha
registrato un incremento del 5% contro il -1,8% dell’S&P
500.
Nei sondaggi Morningstar degli ultimi tre mesi, la
percentuale di gestori che prevedono un aumento della Borsa
americana nel prossimo semestre è stata vicina al 50%. I
mali dell’economia sono noti (fragilità del settore
immobiliare, dati sull’occupazione e l’inflazione in
deterioramento, possibili nuove svalutazioni creditizie), ma
la parola “recessione” viene pronunciata con meno frequenza
e le previsioni sul Prodotto interno lordo sono state
riviste al rialzo.
Nella riunione del 25 giugno, la Federal Reserve ha lasciato
i tassi invariati, dopo sette tagli consecutivi. Rispetto
all’incontro di aprile, i toni sono cambiati: i timori si
sono spostati dai rischi per la crescita a quelli per
l’inflazione. E come sottolinea l’economista Michael T.
Darda, i mercati finanziari hanno provato sollievo nel
vedere che l’istituto guidato da Ben Bernanke ha spostato il
focus sui prezzi, anche se non è imminente una mossa
restrittiva.
Secondo l’investitore miliardario Warren Buffett, l’economia
è nel bel mezzo di una stagflazione (stagnazione e
inflazione) ed è difficile prevedere quando avverrà la
ripresa. Tuttavia, in una prospettiva
storica, il quadro economico appare meno fosco di quanto
possa sembrare considerando solo gli ultimi anni. Esistono
tutta una serie di indicatori che, se l’America fosse in
recessione, avrebbero un trend opposto all’attuale. “La
produzione industriale è in crescita, grazie alle
esportazioni che sono sostenute dal dollaro debole. Il
problema, piuttosto, è che mancano i container per
trasportare le merci, soprattutto sul versante Atlantico”,
spiega Marco Pirondini, responsabile globale degli
investimenti di Pioneer Investments. “La disoccupazione è
stata così bassa solo due volte negli ultimi cinquant’anni.
Inoltre, i massicci interventi della Fed hanno evitato una
crisi sistemica di liquidità”.
Assumendo sempre una prospettiva di lungo periodo, le
valutazioni azionarie di Wall Street, intese come rapporto
tra prezzi e utili (p/e), sono al livello più basso degli
ultimi 25 anni in rapporto ai rendimenti dei titoli
governativi. La ragione principale risiede nella crescita
dei profitti, anche se, avvertono alcuni gestori, su questo
fronte potrebbe esserci qualche sorpresa negativa.
I bilanci delle aziende, comunque, sono solidi e la
generazione di flussi di cassa elevata, con l’eccezione del
settore finanziario, che è ancora nel bel mezzo della crisi.
Nonostante alcuni gestori abbiano cominciato a prendere
posizioni nel comparto, la maggior parte preferisce starne
fuori. Un investitore privato che desideri esporsi al
mercato d’oltreoceano attraverso un fondo tradizionale o un
Exchange traded fund deve essere consapevole del fatto che
gli indici di riferimento usati con più frequenza sono l’S&P
500 e l’Msci US, nei quali la quota di titoli finanziari è
intorno al 16%. In media, nel portafoglio degli strumenti
specializzati sull’area, banche ed assicurazioni pesano per
il 15%.
Nei prodotti a gestione attiva, la percentuale può essere
sensibilmente inferiore (ma anche superiore), per cui è bene
controllare sempre la scheda del fondo. Negli Etf, che sono
passivi, la replica dell’indice è fedele, per cui se non si
intende avere un’esposizione al settore finanziario è
possibile scegliere gli strumenti che hanno per benchmark il
Nasdaq 100, ricordando, però, che il paniere è molto
concentrato sui tecnologici che rappresentano circa i due
terzi del totale.
Fonte -
MorningStar.it
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Consulenza,
meglio certificata
11/06/2008 14.35 - di Sara Silano
________________________________________
Sono settimane decisive per i consulenti finanziari.
La Consob ha avviato le consultazioni sulla bozza di regolamento che
disciplina il nuovo albo, mentre il decreto del ministero
dell’Economia che stabilisce i requisiti professionali,
patrimoniali, di indipendenza ed onorabilità per le persone fisiche
è all’esame del Consiglio di Stato. Difficilmente il nuovo quadro
riuscirà ad essere completato entro il termine del 30 giugno,
fissato dalla legge che ha recepito la direttiva Mifid e sarà
probabilmente necessaria una proroga.
La normativa comunitaria, che ha rivoluzionato il mercato
finanziario, ha accentuato l’importanza della formazione dei
promotori e dei consulenti finanziari. Non è un caso che, durante la
prima convention nazionale di €fpa (European financial planning
association), dal tema “Il valore della professione certificata nel
mercato del risparmio”, che si è tenuta a Verona, il presidente
Sergio Boido, abbia ricordato come l’associazione, che promuove la
diffusione di standard europei nel mondo della consulenza, abbia
partecipato alle consultazioni pubbliche della Consob e del
ministero dell’Economia per disciplinare il nuovo albo.
“Con l’avvento della Mifid sono stati definiti alcuni principi che
pur insiti nel Dna del promotore/consulente finanziario non erano
stabiliti puntualmente a livello normativo”, spiega Boido. “Mi
riferisco in particolare alla conoscenza del cliente non solo sotto
l’aspetto patrimoniale ma anche culturale, finanziario e
addirittura, definirei, emotivo; alla gestione dei conflitti di
interessi e alla problematica dell’inducement (accordi di
retrocessione). Questo, oltre a costringere gli intermediari a
qualificare sempre di più l’offerta, ha posto ancora più in evidenza
l’importanza di un interlocutore (il promotore/consulente
finanziario) da sempre abituato a mettere il cliente al centro della
propria attività di consulenza”.
Oggi, i professionisti certificati €fa in Italia sono 2.590, contro
i 189 “pionieri” del 2002. “La formazione è sempre più importante
per chi vuole rimanere competitivo in un mercato che richiede, come
ha mostrato una ricerca Eurisko, informazioni chiare, complete e
trasparenti, oltre alla correttezza e professionalità degli
operatori”, sostiene Boido. Non solo, sono necessari standard
europei, perché, come ha sottolineato Susan Middelboe, presidente
dell’€ducational advisory commitee, nel corso della convention, i
clienti sono ormai “transnazionali”, grazie alla maggior mobilità e
alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia.
La certificazione €fa è frutto di un percorso formativo che
comprende standard qualitativi riconosciuti a livello europeo ed è
basato su criteri rigorosi nell’individuazione dei contenuti. Un
altro aspetto importante è l’aggiornamento professionale costante e
continuativo sull’evoluzione dei servizi e della normativa, pena la
perdita della certificazione stessa.
La principale sfida futura, secondo il presidente di €fpa Italia, è
quella di far riconoscere e percepire dal cliente il vantaggio di
usufruire di una prestazione qualificata. Non meno importante, è il
sempre maggior incremento di professionisti certificati e la
diffusione nelle istituzioni bancarie del diploma D€FS (il cui primo
esame si svolgerà il 13 giugno 2008), che non solo avrà il vantaggio
di unificare su standard comuni, riconosciuti e riconoscibili, la
formazione erogata ai propri operatori dai singoli istituti, ma
anche di essere propedeutica alla preparazione per l’acquisizione
della certificazione di primo livello €fa. “Da ultimo”, conclude
Boido, “riuscire a essere sempre un riferimento per tutto il mercato
in virtù della capacità di tradurre in processi formativi
strutturati e condivisi le istanze di qualità, professionalità ed
eticità che di volta in volta il mercato stesso riterrà di
manifestare”.
 |
Fonte
-
MorningStar.it |
Mutui:
TASSI RECORD,DA 5 ANNI MAI
COSI'CARO COMPRAR CASA/ANSA
18 Giugno 2008 20:30
ROMA - di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 18 GIU -
Negli ultimi anni comprar casa non era mai stato così caro.
A maggio infatti, secondo le rilevazioni mensili dell'Abi,
il costo dei mutui immobiliari ha toccato il record da
cinque anni a questa parte salendo al 5,75%. Un dato che
rispecchia sostanzialmente quanto emerso più in generale
dalla recente Relazione annuale della Banca d'Italia che
rilevava come in Italia il costo dei mutui, sia a tasso
variabile, sia fisso, fosse maggiore che nel resto dell'area
euro, anche se per quelli a tasso fisso il differenziale si
è ridotto a fine 2007 di 7 decimi di punto grazie alla
maggior concorrenza. Il costo dei prestiti per l'acquisto di
nuove case fotografato a maggio, precisano tuttavia i
tecnici dell'associazione bancaria, rappresenta un valore
medio tra i tassi variabili e quelli fissi ed è stato
influenzato anche dal fatto che in molti hanno deciso di
passare dai mutui a tasso variabile a quelli a tasso fisso.
Il costo dei prestiti immobiliari del mese scorso, pari al
5,75%, mostra tuttavia un aumento piuttosto consistente
rispetto al 5,66% di aprile. E se poi si va ad analizzare il
trend dell'ultimo anno si nota come la tendenza al rialzo
dei tassi sia stata costante. Dal maggio 2007, quando un
prestito si ripagava mediamente al 5,39% l'accelerazione è
stata continua fino al 5,71% di ottobre. Il saggio applicato
è quindi sceso nel mese successivo per toccare un nuovo
record quinquennale a dicembre con il 5,72% per poi scendere
in linea con le previsioni a gennaio, febbraio e marzo fino
al 5,61%. Ad aprile si è registrata una nuova tendenza al
rialzo al 5,66%, per poi toccare un nuovo picco il mese
scorso. Scoraggiate forse dal rialzo del costo del denaro
anche le famiglie sembrano meno propense a indebitarsi.
Proprio un recente rapporto dell'Abi ha fatto vedere che nel
2007 i prestiti erogati dal sistema bancario ai nuclei
familiari, quindi mutui immobiliari e credito al consumo,
sono cresciuti meno di prima. Hanno infatti superato i 367
miliardi di euro, con una crescita dell'8,7% rispetto
all'anno precedente, ma nel 2006 la crescita era stata stata
del 10,4%, nel 2005 del 13,8% e nel 2004 del 15,4%. "Non c'é
all'orizzonte il rischio di una 'stretta al credito',
piuttosto c'é un forte segnale di maturità delle famiglie
che, in una congiuntura incerta, pianificano con attenzione
i loro comportamenti di spesa", aveva comunque rassicurato
il direttore generale dell'Abi, Giuseppe Zadra. (ANSA).
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ITALIA
TERZULTIMA
24 Giugno 2008 04:30 ROMA - di
ANSA ______________________________________________
L'Italia arretra ancora nella
classifica europea del Pil pro capite. E' nella media Ue-27
ma viene superata praticamente da tutti i Paesi dell'Unione
Europea prima dell'allargamento, a eccezione di Grecia (98)
e Portogallo (75). E si allarga la forbice con la Spagna:
nel 2007, infatti, considerata pari a 100 la media Ue a 27,
la Spagna arriva a 107 mentre l'Italia si ferma a 101.
Nel 2006 la classifica Eurostat aveva assegnato all'Italia
un valore di 103 e di 105 alla Spagna, dando dato adito a
una polemica sul sorpasso di Madrid che aveva portato l'ex
premier Romano Prodi a ricalcolare da solo i dati sulla
ricchezza per affermare che comunque il 'sorpasso' non c'era
stato, perlomeno non in termini assoluti.
E tuttavia la distanza tra Italia e Spagna nel 2007 è
passata da due a sei punti. La ragione principale - spiegano
fonti della Commissione - è la crescita tumultuosa
registrata nel Pil spagnolo negli ultimi anni, a fronte di
"un incremento quasi nullo, o comunque molto ridotto" del
Pil italiano.
Ma già nei prossimi mesi potrebbe verificarsi un'inversione
di tendenza - spiegano gli esperti - soprattutto a causa
della crisi che in Spagna sta colpendo il settore delle
costruzioni, e che molto probabilmente causerà un
rallentamento della crescita economica.
Secondo i dati di Eurostat il Lussemburgo si conferma come
il Paese leader in Europa con un Pil pro capite che nel 2007
si è attestato a quota 276. A seguire ci sono l'Irlanda
(146), i Paesi Bassi (131), l'Austria (128). Sopra a Spagna
e Italia si attestano la Francia (111), la Germania (113) e
il Regno Unito (116).
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Subprime:
BANKITALIA VUOLE VEDERCI
CHIARO
26 Giugno 2008 16:51 NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
La Banca d'Italia chiede alle
banche di fornire "un'ampia e dettagliata informativa" sulle
esposizioni verso prodotti finanziari "rischiosi". Per il
governatore Mario Draghi...
La Banca d'Italia chiede alle banche, in ottemperanza alle
raccomandazioni del Financial stability forum, di fornire
"un'ampia e dettagliata informativa" sulle esposizioni verso
prodotti finanziari percepiti dal mercato come rischiosi in
occasione delle relazioni del primo semestre 2008.
E' quanto si legge in una lettera inviata dalla Vigilanza
alle filiali il 16 giugno.
Per il governatore Mario Draghi, che è anche presidente del
Fsf, "l'incertezza e il lento ripristino di una fisiologica
condizione di reciproca fiducia tra gli operatori appare,
infatti, in parte riconducibile a prassi informative non
sempre corrispondenti alle crescenti esigenze conoscitive
che si vanno manifestando".
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Allarme
di Confindustria: è stagflazione
26 Giugno 2008 12:52
ROMA - di Reuters
________________________________________
Andamento dell'economia stagnante per il 2008 e una
modesta ripresa per il prossimo anno. È il quadro macroeconomico
delineato dal Csc di Confindustria secondo il quale "il compimento
del risanamento dei conti pubblici è a portata di mano", anche se
bisogna ancora agire sul contenimento della spesa corrente primaria.
Nel dettaglio, Confindustria stima che l'economia italiana cresca di
uno 0,1% nel 2008 e dello 0,6% nel 2009. Il rapporto deficit/Pil,
secondo le nuove stime del Centro studi di viale dell'Astronomia
diffuse oggi, è visto al 2,5% quest'anno e al 2,6% nel 2009; il
debito al 103,2% nel 2008 e al 102,7% nel 2009.
Le previsioni di Confindustria arrivano due giorni dopo la
pubblicazione ufficiale del Dpef, che ha rivisto il quadro
macroeconomico rispetto alle previsioni di marzo. Il governo stima
ora una crescita del Pil allo 0,5% quest'anno e a +0,9% il prossimo.
Il deficit programmatico è visto al 2,5% nel 2008 e al 2% nel 2009,
il debito a 103,9% e a 102,7%.
DA DL FISCALE SOSTEGNO A CONSUMI DI 0,3% PUNTI L'ANNO Confindustria
apprezza il fatto che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti
abbia "fatto propri sia l'obbiettivo di pareggio di bilancio sia le
linee di azione fissati dal suo predecessore, in un raro esempio di
continuità di azione bipartisan. Ha inoltre anticipato i tempi della
manovra 2009 inserendola in un programma triennale opportunamente
modificato". Inoltre, per Confindustria le misure contenute nel
decreto legge fiscale [abolizione Ici prima casa e detassazione
straordinari], "se pienamente efficaci, offriranno un sostegno alla
crescita dei consumi che si stima in misura pari a 0,3 punti
percentuali in ragione d'anno".
INFLAZIONE PROGRAMMATA 1,7% "CREDIBILE E COERENTE" Analogamente a
quanto scrive il governo nel Dpef, Confindustria stima una crescita
media dell'inflazione del 3,4% nel 2008. Per il 2009 il Csc prevede
un rallentamento a +2,5%. A fronte di queste stime, Confindustria
ritiene "credibile e coerente" la scelta del governo di fissare nel
Dpef un'inflazione programmata di +1,7% nel 2008 e +1,5% negli anni
successivi.
"L'accelerazione dei prezzi al consumo è stata marcata. Tuttavia
rimane concentrata nei prodotti derivati da materie prime
energetiche e alimentari e potrà rientrare altrettanto rapidamente a
partire dall'autunno" verso il 3% in dicembre, dice Confindustria.
Nei giorni scorsi i sindacati hanno criticato aspramente il livello
dell'inflazione programmata, arrivando a dire che la decisione del
governo mette a rischio il dialogo con gli industriali per la
riforma dei contratti. Il Csc sottolinea che per aumentare il potere
d'acquisto delle famiglie servono interventi fiscali mirati. Anche
ieri la presidente degli industriali Emma Marcegalia ha ricordato
che non spetta alle parti sociali ma al governo adottare le misure
adeguate per risollevare i redditi.
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