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Immobili: la festa è
finita
30
Luglio 2004 20:41
New
York (WSI)
La
festa e’ finita. E’ la frase che John
Talbott, ex banchiere di Goldman Sachs
e autore del best seller “The Coming Crash of the Housing Market” (Il
prossimo crack del mercato immobiliare) usa per descrivere quello che potrebbe
succedere al mercato immobiliare americano, dopo 35 anni di costante aumento dei
prezzi.
Le principali ragioni indicate da Talbott sono due. Innanzitutto,
quando i tassi di interesse aumentano, i nuovi acquirenti hanno una
qualificazione per prestiti di valore molto inferiore. In secondo luogo,
l’intero mercato dell’edilizia abitativa e’ "contaminato",
scrive Talbott in un articolo pubblicato dal Financial Times. Ai compratori poco
importa quanto viene chiesto per l’acquisto di una casa. Tanto, non e’
denaro loro.
Le banche, per contro, non sono sensibili ai prezzi ne’ sono
preoccupate per l’ammontare dei crediti. La maggior parte degli istituti
creditizi "rivende" i mutui a Fannie Mae e Freddie Mac. A questi due
colossi para-governativi del mutuo, a loro volta, poco importa quale e’ il
prezzo pagato per una casa perche’ beneficiano una garanzia implicita: quella
offerta dai cittadini americani che pagano le tasse.
Nel recente libro “The Coming Crash of the Housing Market”,
Talbott indica una serie di trend allarmanti. Il dato probabilmente piu’
allarmante e’ il livello record raggiunto negli Stati Uniti dai mutui non piu'
onorati e dalle bancarotte personali. E cosa succederebbe se i prezzi delle case
iniziassero a scendere? Un simile scenario non e’ poi cosi’ remoto: una
ricerca della Associazione Nazionale degli Agenti Immobiliari evidenzia che i
prezzi hanno raggiunto un picco nel luglio 2003 e da allora non si sono piu’
mossi.
In un’anteprima di quello potrebbe succedere, a New York sta
salendo il numero di persone che vendono i loro appartamenti multimilionari
(anche bilocali senza vista e poco spaziosi): questa gente deposita in banca i
ricavi della vendita e va a vivere in affitto.
La bolla immobiliare non e’ un fenomeno che interessa unicamente
gli Stati Uniti. Anche Irlanda, Inghilterra, Spagna, Australia, Cina e molti
altri paesi (compresa l'Italia) hanno visto salire in maniera esorbitante i
prezzi di case e appartamenti.
Talbott nota che l’esaurirsi delle bolle viene normalmente
segnalato dal verificarsi di un certo evento limite, una specie di campanello
d’allarme che segnala che le cose potrebbero presto cambiare. Ne fu un esempio
la cifra oltraggiosa, pari a 20 volte il cash flow, pagata da KKR (Kolbert,
Kravis e Roberts) per RJR Nabisco, affare che segno’ la fine della mania dei
leveraged buy-out degli anni ’80. La recente vendita di una casa a Londra per
$158 milioni potrebbe essere un indicatore che la bolla del mercato immobiliare
internazionale ha toccato il top.
Sul mercato americano, nello specifico, l’evento folle che
segnala che la bolla sta per scoppiare - scrive Talbott - e’ il numero
crescente di prestiti "esotici" offerti dalle banche, e di nuovi tipi
di mutui a tasso variabile. L'autore giudica una follia il fatto che la gente
stia prendendo denaro in prestito a tasso variabile in un contesto di aumento
dei tassi di interesse, un rialzo che capita proprio dai minimi di piu' di 40
anni.
E la ragione per cui tutto cio’ sta accadendo e’ forse ancora
piu’ spaventosa: la gente sta approfittando del basso costo del denaro per
prendere a prestito la somma piu’ alta possibile e comprare la casa piu’
grande possibile.
Ma se il prezzo degli immobili iniziasse a scendere,
l’alternativa sarebbe tra lo svendere il bene a prezzi calanti e il fare i
conti con rate mensili molto piu’ alte, in certi casi il doppio, nel caso di
un incremento dei tassi.
In questo periodo si assiste a un profilerare di varie forme di
mutui. Da quelli che non richiedono un deposito, a quelli con pagamanto dei soli
interessi ma non sul capitale, fino a quelli che non richiedono il controllo
della credit history, cioe' della solvibilita' e serieta' di chi chiede il
mutuo. E’ facile immaginare l’affidabilita’ delle persone che ne
potrebbero fare richiesta!
Quello che si sta profilando in questo periodo e’ una sorta di
truffa tipo catena di Sant'Antonio, con proprieta' che vengono passate di mano
in mano sempre piu’ velocemente per un valore sempre piu' alto in un folle
gioco in cui perde l’ultimo che rimane col cerino in mano.
In realta' sta diventando via via piu’ difficile trovare l'idiota
di turno disposto a pagare qualunque cifra per una casa. L’importante, mette
in guardia Talbott, e’ che non siate voi l'ultima persona a lasciare la festa.

30
Luglio 2004 20:41
New
York (WSI)
fonte
Wall
Street Italia.com
Fondi comuni: costano
tanto rendono niente
26
Luglio 2004 18:16
Milano
(di
Giuseppe Turani)
Puntuale come sempre arriva l'annuale indagine di Mediobanca su quel che hanno
fatto (e non hanno fatto) i Fondi di investimento italiani. Va detto subito che
nell'indagine di quest'anno ci sono una buona notizia e almeno tre cattive
notizie.
La buona notizia consiste nel fatto che nel 2003, finalmente, i
fondi italiani hanno guadagnato complessivamente 19 miliardi di euro. E questo
farà certamente contenti i loro sottoscrittori. Questa buona notizia, peraltro,
ha un suo risvolto pesante. Se infatti si vanno a considerare gli ultimi cinque
anni di attività nel loro insieme, i fondi italian i hanno perso il 19,2 per
cento. Il che significa circa 90 miliardi di euro.
Qualcuno, molto maligno, ha fatto i conti e ha calcolato che con
quei soldi 500 mila italiani avrebbero potuto comprare un discreto appartamento
(
90 metri
quadri) senza fare nemmeno una
centesimo di mutuo. Zam, zam, in contanti, sull'unghia. Invece questi 90
miliardi di euro sono volati via, persi nel turbine delle Borse mondiali sotto
l'attenta regia (e consulenza, ben pagata) dei gestori dei fondi italiani.
Ma rimangono da elencare le tre cattive notizie che accompagnano la
prima buona notizia. La prima di queste è il fatto che continuano a salire i
costi. Ormai i fondi si fanno pagare (per gestire i denari dei sottoscrittori,
con risultati almeno dubbi) qualcosa come il 2,5 per cento del patrimonio. Il
che è il massimo degli ultimi cinque anni e il doppio di quanto si paga a un
fondo americano per farsi gestire i soldi (con risultati migliori del doppio).
La seconda cattiva notizia è che gli anni passano, ma i gestori
dei nostri fondi continuano a essere personcine un po' confuse e agitate.
Continuano a comprare e vendere titoli, in una sarabanda frenetica. Al punto che
ogni otto mesi rigirano tutto il patrimonio, e poi ricominciano da capo. Nervosi e,
visti i risultati, non troppo efficienti. I loro colleghi americani impiegano
invece due anni (e non otto mesi) per rigirare tutto il patrimonio. Sono più
calmi, pensano di più (probabilmente vanno anche a pesca e in vacanza più
spesso), ma alla fine guadagnano molto di più dei nostri, che danno un po'
l'impressione di perdersi dentro i loro comitati strategici.
Ma c'è di peggio. Alla fine di tutto questo movimento, i gestori
italiani riescono a guadagnare meno dei benchmark da essi stessi indicati. E non
è che sia capitato una volta, è la regola.
I fondi azionari, ad esempio, nel 2000 sono andati sotto (rispetto
al benchmark (cioè al riferimento di rendimento da essi stessi indicato) del
4,7 per cento, nel 2001 sono andati sotto del 3,9, nel 2002 dell'1,7 per cento e
nel 2003 sono tornati a peggiorare: sono andati sotto infatti del 2,8 per cento.
Ma insomma conviene o non investire nei fondi? Dipende da fondo a
fondo, ovviamente. Nel loro insieme, comunque, negli ultimi cinque anni hanno
perso il 3,1 per cento (che diventa il 19,2 per cento se confrontato con i
poveri Bot). Negli ultimi dieci anni, rispetto ai Bot, i Fondi hanno reso il
30,6 per cento in meno. Dal
1984 a
oggi (data della loro nascita) i
fondi hanno reso quasi il 70 per cento in meno rispetto ai Bot. Aveva ragione la
nonna, che non si è mai voluta separare dai suoi Bot, anche quando sembrava che
non rendessero niente.

La Repubblica
Parmalat:
rapporto Bondi critica Banche internazionali
hanno
fornito risorse finanziarie per tenere in piedi il gruppo
(ANSA)
- LONDRA, 23 LUG - Le banche internazionali per
anni hanno sostenuto
la Parmalat
con miliardi di euro anche
quando il gruppo alimentare era in guai finanziari e faceva imbrogli.
Lo sostiene - secondo quanto riferisce oggi il Financial Times - il
nuovo
amministratore Parmalat Enrico Bondi in un rapporto che la prossima
settimana invierà al governo italiano. "Un continuo afflusso di
risorse finanziarie ha costituito la condizione necessaria per mantenere
in piedi il gruppo ben oltre la sua naturale capacità di sopravvivenza.
Queste risorse furono fornite direttamente dalle banche, o attraverso
queste,tramite veicoli creati a questo scopo dalla Parmalat
all'estero,spesso in paradisi fiscali", è scritto nel rapporto di
cuiFinancial Times è entrato in possesso.
"Banche straniere e
banche di investimento hanno usato -continua il rapporto - le leggi
particolari dei così detti paradisi fiscali per piazzare i bond. Queste
banche hanno direttamente fornito le risorse finanziarie attraverso
prodotti finanziari strutturati che, di fatto, hanno contribuito alla
falsa rappresentazione nei conti del gruppo della situazione economica e finanziaria".
Bondi, riferisce Ft, valuta che
Parmalat direttamente o indirettamente ha ottenuto 13,2 miliardi di euro
dalle banche fra il 31 dicembre del 1998 e il 31 dicembre del 2003. Le
banche internazionali hanno fornito l'80% dei fondi ed il resto è
venuto
dagli italiani. Durante quel periodo Parmalat generò solo 1 miliardo di
euro in flusso di cassa lordo. Bondi, scrive ancora il quotidiano della
City, calcola che Parmalat ha speso circa 5,4 miliardi di euro in
acquisizioni ed altri investimenti, 2,8 miliardi di euro in commissioni
alle banche, 2,5 miliardi in pagamenti ai titolari di obbligazioni, 900
milioni in tasse e 300 milioni in dividendi. I rimanenti 2,3 miliardi
sono apparentemente stati distratti per altri scopi, compreso il
finanziamento dell'impresa turistica della famiglia Tanzi. "Nel
tentativo di occultare il suo stato di insolvenza, Parmalat si è
invischiata in sempre più costose operazioni finanziarie su larga
scala", si legge nel rapporto che, rileva Financial Times, non muove
critiche a singole banche. Il rapporto Bondi suggerisce che "fin
dal 1997, le informazioni sulla vera condizione di Parmalat erano
sufficienti per consentire all'intera comunità finanziaria di
realizzare che la compagnia era nei guai.
La Parmalat
avrebbe
potuto crollare nel
1997-98 e lo scandalo sarebbe costato meno soldi agli investitori".
(ANSA).

23 Luglio 2004
10:25 Londra (Ansa)
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La
FED è il più grande Hedge fund del mondo
21
Luglio 2004
14:52 New York
(di
Stephen Roach)
"
La
Federal Reserve
e’ il piu’ grande hedge fund del mondo".
Ad affermarlo e’ Stephen Roach, capo economista di Morgan Stanley.
Nell’articolo che segue, Roach accusa
la Fed
di aver
adottato in passato e di continuare a seguire una politica monetaria
irresponsabile, che favorisce il formarsi di bolle speculative di enormi
dimensioni e accresce i rischi di collasso del sistema finanziario globale.
Roach
punta il dito sulla crescente pericolosita’ di strategie di investimento -
indirettamente incoraggiate dalla Fed - come il carry trade (e cioe'
l'investimento su vari mercati e assets finanziari con denari presi a credito).
Nella sua forma piu’ semplice, il carry trade consiste nel prendere a prestito
fondi della Federal Reserve reinvestendoli in titoli finanziari, come il
classico Treasury Usa a 10 anni. Il differenziale dei rendimenti costituisce il
guadagno dell’operazione.
Ecco
il testo dell' articolo con l'attacco alla Federal Reserve scritto da Steven
Roach per i clienti della Morgan Stanley, che ringraziamo per la gentile
concessione.
La Federal Reserve
e’ il piu’ grande hedge fund del mondo. Non solo
la Fed
e’ leader nel ristretto circolo
delle banche centrali mondiali, ma e’ anche artefice dei piu’ grandi
‘macro trade’ dei tempi moderni. Tra le sue "creazioni", il "Carry
Trade I" del 1993, che fini' con la bolla speculativa della fine degli anni
’90, e il "Carry Trade II" in atto in questo momento: sono tutte
dirette conseguenze delle strategie di trading implicitamente raccomandate da
Greenspan & Co. La crescita di queste strategie ha aumentato la
precarieta’ del sistema finanziario globale, con la costante presenza del
rischio di una rottura.
Questa
trasformazione ha avuto inizio nel 1987. La crescita dei mercati azionari fino
all’estate di quell’anno aveva diffuso la sensazione che non occorreva piu'
temere i rischi di un ribasso dei titoli azionari; e che questi rischi potevano
essere agevolmente contenuti attraverso un' adeguata strategia basata sull'
utilizzo di opzioni (portfolio insurance). Il crash dell'ottobre 1987 svelo'
l’infondatezza di tale modo di ragionare.
In
quella circostanza, la risposta della Fed fu di iniettare liquidita’ nel
sistema. Ed e’ da quel caos nato diciassette anni fa che tra gli investitori
di borsa e' nata la mentalita’ del "dip buying" (acquistare quando
il prezzo scende). Le opportunita’ create dal Crash dell’87 erano un affare
che gli operatori – soprattutto i gestori di hedge funds - non potevano
lasciarsi scappare.
21
Luglio 2004
14:52 New York
(di
Stephen Roach)
fonte
Wall
Street Italia.com
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