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Domenica 01 luglio 2007 |
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Lunedì 15 luglio 2007 |
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Martedì 17 luglio 2007 |
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Alert
rosso: parla il gufo
capo
03 Luglio 2007 Milano -
di Francesco Arcucci ________________________________________
Immaginiamo che in base ad una
certa teoria si sostenga che il movimento dei prezzi nei mercati
azionari (si prenda inizialmente quello di New York come paradigma)
partendo da un valore minimo si esprima in 5 macroonde, la
prima al rialzo (nella direzione dell’impulso), la seconda
correttiva, cioè di consolidamento, la terza molto potente di nuovo
al rialzo, la quarta correttiva e la quinta di nuovo al rialzo e
che, dopo questa quinta macroonda, vi sia una severa correzione di
tutto quanto il grande macromovimento ascendente. E immaginiamo che le cinque
macroonde siano iniziate nel decennio che ha caratterizzato la
rivoluzione americana e quella francese, due Paesi che si sono
affiancati alla Gran Bretagna nella grande rivoluzione industriale,
e cioè fra il 1780 e il 1790 (si prenda come riferimento il 1789).
1) In questo caso la datazione della
prima onda potrebbe essere 1789/1848 (macroonda ascendente).
2) Poi, un periodo di crisi e di
rivolgimenti fra il 1848 e la guerra francoprussiana del 1870/71
(terminato con la comune di Parigi) ha generato un’ampia flessione
del mercato azionario di New York e di Londra.
3) Successivamente si è verificato
un nuovo periodo di slancio e di sviluppo, quello che ha coinciso
con la belle époque e l’intensificazione dei traffici e del
commercio internazionale e in un certo senso con la prima
globalizzazione, interrotta, ma non spenta, dalla prima guerra
mondiale cui sono succeduti i ruggenti anni Venti. Ecco quindi la terza macroonda
ascendente 1870/1929 terminata con una bolla speculativa e poi con
il grande crollo della borsa di New York.
4) A quel punto si è avuta una nuova
onda di consolidamento e di correzione (quarta macroonda) che ha
abbracciato eventi tragici, quali la grande Depressione, il nazismo
e il tentativo di spallata, con la guerra, da parte di Germania,
Giappone e della piccola Italia contro il mondo occidentale
democratico a guida anglosassone. La versione militarista
dell’Occidente ha rischiato di prevalere fino al 1942 e la borsa di
New York ha registrato in quegli anni, appunto, la quarta
severissima macroonda correttiva.
5) Con il successo degli alleati ad
El Alamein e a Stalingrado si è iniziata la quinta e ultima
macroonda che al suo interno ha presentato cinque onde di grado
minore. La prima ascendente 1942/1946. La seconda correttiva
1946/1949 con l’inizio della guerra fredda, la terza fortemente
ascendente fino al 1968, la quarta che si è espressa durante i
terribili anni 1970 fino agli inizi degli anni Ottanta.
5) La quinta onda della quinta
macroonda iniziatasi il 12 agosto 1982 continua ancora
adesso.
Se esistesse una teoria del genere
sarebbe tutto chiaro ciò che sta avvenendo in questi ultimi anni. Un
movimento ascendente della durata di 200 anni non poteva finire che
con i fuochi artificiali sui prezzi. Un rialzo finale di questa
portata, inoltre, non poteva che abbracciare il mondo intero e così
sta avvenendo. Da Vienna all’Australia, da Madrid a San
Paolo, da New York a Milano, da Toronto a Varsavia, da Città del
Messico a Shanghai, etc. si festeggia il primo e insieme più grande
rialzo globale dei mercati azionari di tutti i tempi. Non si era mai
visto qualcosa di simile. Questo rialzo globale va
attribuito al dividendo della fine della guerra fredda, all’entrata
nel mercato del lavoro globale di quasi tre miliardi di nuovi
individui, alla crescita esponenziale dei profitti, al capitalismo
trionfante in ogni luogo, al grande sviluppo del Pil mondiale
(50 mila miliardi di dollari che crescono al ritmo del 5% all’anno),
all’inflazione moderata che consente l’espansione della massa
monetaria, alla caduta dei tassi di interesse verso livelli virtuosi
anche nei paesi emergenti, all’occupazione che aumenta dovunque
insieme con la produttività, ai cambi nel complesso stabili
nonostante gli squilibri nelle bilance dei pagamenti correnti di
alcuni paesi e in primis degli Stati Uniti.
Se esistesse una teoria di questo
genere spiegherebbe perché l’ottimismo sui mercati ha raggiunto in
questi mesi il parossismo e perché ne sono coinvolte e contagiate
piazze tradizionali di grandi Paesi e nuove piazze finanziarie dei
Paesi emergenti. Spiegherebbe la straordinaria esplosione dei corsi
di borsa su scala planetaria, molto più grande di quella della
seconda metà degli anni 1920 che era un fenomeno tipicamente
occidentale e riguardante soprattutto gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna. Un grande analista, il dr. Hussman, ha scritto
recentemente: «Attualmente la valutazione del mercato sulla base del
rapporto prezzi/ricavi aziendali, prezzi/valore di libro e
prezzi/dividendi è più alta di quella che è stata in occasione di
qualsiasi precedente picco del mercato, salvo quello del 2000. Sulla
base di profitti "normalizzati" anche il rapporto prezzi/utili è
molto alto e pari a 25 volte». Con una strumento conoscitivo di
questo genere si sarebbe stati in grado di prevedere che agli anni
bui del dodicennio 1930/1942 non poteva che succedere la luce di un
lungo periodo favorevole dopo la seconda guerra mondiale. E con in
mente una teoria di questo tipo alla fine degli anni 1970 – inizio
anni 1980 si sarebbe stati molto ottimisti perché mancava ancora un
grande movimento di rialzo dopo la quarta onda negativa 1968/1982. E
si sarebbe giunti alla conclusione che il quinto movimento della
quinta macroonda sarebbe stato straordinario perché completava il
primo glorioso periodo bicentenario seguito all’uscita del mondo
dall’era dell’agricoltura e dell’economia della sussistenza. Ma
con una teoria simile, purtroppo, si riesce anche a cogliere il
fatto che il movimento
pirotecnico sulle borse che stiamo vivendo è l’ultimo, prima di una
macroonda che correggerà tutto il movimento precedente di oltre 200
anni e che questa macroonda correttiva costituirà una degna
correzione al ribasso dello straordinario rialzo 1789 2007/8 (?) sia
per la sua durata (almeno 50/60 anni), sia per la sua ampiezza. Le
conseguenze sociali ed economiche negative saranno a dir poco
straordinarie.
Per capirci meglio. Il ribasso
1929/1942 è stato rispetto al rialzo 1870/1929 come il ribasso
2007(?)/2060 (?) sarà rispetto al rialzo 1789/2007 (?). Se, cioè, la
flessione dei corsi 1929/1942 è stata severa perché correggeva il
terzo macromovimento, e soprattutto la sua parte finale più
speculativa, quella degli anni 1920, il ribasso 2007 circa 2060
circa sarà molto più severo perché dovrà correggere tutto il
supermacromovimento 1789/2007 (?) Se valesse questa teoria, quello
che è avvenuto nel passato e sta avvenendo nel presente sarebbe
chiaro. Nessuno potrebbe meravigliarsi dell’ampiezza del rialzo dei
prezzi in borsa in questi ultimi quattro anni. Erano inevitabili
perché una supermacroonda di questa grandezza non poteva finire nel
2004, 2005 o 2006 con un piccolo petardo: poteva finire solo con le
follie globali di questi ultimi mesi. Comprendendo questo non
potremmo che brindare con il migliore champagne a quanto sta
avvenendo. Ma la stessa teoria ci spiegherebbe che il futuro
prossimo è già da adesso altrettanto chiaramente prevedibile e non è
favorevole. Saremmo consapevoli del fatto che per quanto non in
grado di determinare esattamente quando arriva la mezzanotte, di
mano in mano che i botti si fanno più intensi e rumorosi occorre
evitare di diventare sempre più ottimisti ed euforici, come fanno i
più, e prepararsi invece alla quaresima che sta per iniziare.
Il mio errore in questi ultimi
anni è stato quello di avere capito il modello logico in cui i
mercati vivevano, ma non avere compreso che tale modello
presupponeva un movimento finale potentissimo e non debole come un
colpetto a salve. Il mio errore cioè è stato quello
di sottolineare troppo la fase finale del movimento dopo il quale ci
sarebbe stato il baratro, invece di sottolineare che questo
movimento finale non poteva che essere lungo, potentissimo e
terminare solo quando, come sta avvenendo in queste ultime
settimane, si verificava una vera esplosione dei prezzi delle azioni
a livello globale. Forse un po’ più cauto, ma sempre
fortissimo laddove l’economia e la finanza sono mature, come negli
Stati Uniti e in Europa occidentale, supereffervescente nei Paesi
emergenti, come India, Cina ed Est europeo, dove convergevano
insieme forze lungamente represse.
Il problema ora è quello di
prevedere se il movimento finisce quest’anno, nel 2007, o tracimerà
nel 2008. Fra il 9 dicembre 1974, primo minimo, e il 12 agosto 1982,
secondo minimo della quarta onda correttiva, sono passati sette anni
e otto mesi. Se il massimo del Dow Jones del gennaio 2000 fosse
seguito da un secondo massimo dopo sette anni e otto mesi, il punto
finale del movimento ascendente e l’inizio del crollo potrebbe
collocarsi fra l’agosto e il settembre 2007, con una tolleranza di 2
mesi in più o in meno. Nessuno può individuare con
certezza la data del medesimo, ma il modello ci dice che, ora sì,
ora siamo vicinissimi come tempi anche per l’assordante squillare
delle trombe dell’entusiasmo sul mercato. A questo punto, per
chi ha capito tutto questo, e sono pochi, è una questione di scelta.
Si può preferire il ritiro sotto la tenda lasciando agli altri
l’ultimo urràh. E si può cercare di godere sino in fondo l’ultimo
movimento nella speranza del motus in fine velocior rischiando di
"uscire" troppo tardi. Dipende dalla propensione al rischio di
ciascuno.
L’importante è capire dove siamo
(e cioè a qualche giorno, qualche settimana, o al massimo qualche
mese dal picco dei mercati azionari) e che cosa succederà dopo: un
crollo al di là di ogni immaginazione. Nel periodo 1974/1982, mentre
il mondo era pessimista io ero molto ottimista perché mancava nella
struttura di duecento anni l’ultimo movimento. Oggi essere ottimisti
è ancora più sbagliato che essere pessimisti
allora.
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Fonte - La
Repubblica |
SIAMO NELL'
ESPANSIONE PIU' FORTE DELLA STORIA 3
Luglio 2007 3:14 MILANO - di *Alessandro Fugnoli ______________________
Suggeriamo a chi sta
considerando di alleggerire in misura consistente il suo
portafoglio azionario di meditare sulle dichiarazioni di Simon
Johnson, capo economista del Fondo Monetario Internazionale.
Il Fondo rivedrà ulteriormente al rialzo le stime di crescita
globale per il 2007. Le stime precedenti, che risalgono ad
aprile, davano la crescita al livello già altissimo del 4.9
per cento.
Suggeriamo a chi sta
considerando di approfittare della correzione per aumentare
massicciamente la sua esposizione azionaria, magari a leva, di
consultare il rapporto annuale appena pubblicato dalla Banca
dei Regolamenti Internazionali. Basta leggere l’introduzione e
le conclusioni, una ventina di pagine dense e tese (a tratti
quasi autocoscienziali), per rendersi conto di quanto questa
espansione travolgente, probabilmente la maggiore della
storia, cominci a suscitare sgomento e perfino paura nei
banchieri centrali.
Nel concetto di
travolgente c’è qualcosa di entusiasmante (se si travolge) e
qualcosa di inquietante (se si viene travolti). I banchieri
centrali da una parte e gli investitori dall’altra si trovano
già da ora nella condizione di dovere scegliere quanto
lasciarsi andare e quanto invece ricomporsi e riconquistare il
controllo della situazione, quanto continuare a correre a
folle velocità in una crescita (apparentemente) senza
inflazione (e in un bull market senza fine) e quanto porsi dei
limiti prima che sia troppo tardi.
Il dilemma è
particolarmente acuto in Cina, dove la crescita è in continua
accelerazione e sfiora ormai il 13 per cento. Il primo
ministro Wen Jiabao la definisce “instabile, sbilanciata,
scoordinata e insostenibile”. Le banche centrali, in cuor
loro, hanno già deciso come schierarsi. Anche in assenza di
inflazione conclamata è giunto il momento di accelerare la
ripresa in mano della situazione. Prevenire è meglio che
curare, dice la Bri, che raccomanda a tutti i paesi di alzare
i tassi non appena possibile.
Il rialzo dei tassi
viene accompagnato da misure di contenimento degli eccessi dei
mercati. Le bolle vengono fermate una a una, cercando in tutti
i modi di evitare danni inutili e contagi, ma agendo comunque
con fermezza. Il caso
dei subprime è indicativo. La Fed sta incoraggiando lo
smontaggio delle posizioni. Non minimizza il problema con
dichiarazioni rassicuranti. Tace. Al tempo stesso evita di
soffiare sul fuoco per portare a casa una correzione azionaria
esemplare. Lascia che i bond recuperino un poco di terreno, ma
mantiene ferma la presa. Qualcuno si farà male, ma il danno
immediato sarà circoscritto a due hedge fund e a una banca
d’investimento. Il danno più largo, quello prodotto sugli
spread di credito in generale, sarà graduale, voluto e
controllato.
Nel marzo scorso i mercati
pensarono per qualche giorno che la crisi dei subprime avrebbe
fatto cadere il castello di carte degli asset backed,
provocato una rapida caduta dei prezzi delle case e una
contrazione dei consumi. Poi i mercati si ripresero e
dimenticarono completamente il problema. In realtà la questione si
trascinerà per almeno un paio d’anni e produrrà periodicamente
ondate di paura, ma è ragionevole pensare che non
comprometterà la crescita americana e globale.
Il fatto che le banche
centrali intendano comportarsi responsabilmente e mettere
qualche freno alla crescita è strategicamente positivo per
l’espansione, che può così durare più a lungo, e per i mercati
azionari. La
crescita delle borse avrà da essere molto più lenta e più
irregolare, ma sarà in compenso più solida. La sorveglianza
sui mercati sarà serrata e i motivi per periodiche correzioni
non mancheranno (petrolio, immobiliare, tassi, utili, moral
suasion). La volatilità, in via di rapida
normalizzazione dopo anni in cui è stata particolarmente
bassa, contribuirà a combattere la voglia di mantenere
esposizioni al rischio troppo elevate.
Per i mercati azionari la
direzione di fondo rimane sicuramente al rialzo. La
crescita estremamente sostenuta dell’economia globale è
destinata ad assorbire il moderato rialzo dei tassi che si
prospetta nei prossimi mesi e può anche compensare
un’eventuale erosione dei margini, purché limitata. Il
contesto generale, d’altra parte, si farà nei prossimi
trimestri via via più instabile e questo porta a suggerire un
uso progressivamente decrescente della leva e un
ridimensionamento ordinato, lento e progressivo
dell’esposizione al rischio. Un esito positivo delle
politiche restrittive non è assolutamente da escludere. Se ben
dosate, possono produrre un rallentamento dell’espansione
modesto e sufficiente comunque a fare recedere rapidamente le
pressioni inflazionistiche che stanno salendo. In un contesto globale per
molti aspetti nuovo e inesplorato tutto può succedere. Il
passaggio dal paradiso degli anni Sessanta (pieno impiego,
assenza d’inflazione, bull market azionario) all’inferno degli
anni Settanta (inflazione, stagnazione, collasso degli asset
finanziari) fu velocissimo e non fu percepito in tempo reale,
bensì quando era ormai troppo tardi. Quello fu però uno degli
esiti possibili, non l’unico possibile.
L’analogia con gli anni
Sessanta è che quando si viaggia alla massima velocità e in
pieno impiego basta un piccolo sassolino per andare fuori
strada. La differenza è che questa volta l’incidente potrebbe
essere semplicemente una sbandata che produce molta paura ma
non conseguenze gravi e durature. Nel 1970 non c’erano
centinaia di milioni di sottoccupati in Asia. Oggi ci sono.
Questo significa che
potrebbe essere sufficiente un rallentamento di un paio di
trimestri tra 2008 e 2009 (accompagnato da un bear market
azionario molto dolce) per decongestionare l’inflazione
salariale cinese già manifesta e quella che è probabilmente in
preparazione in America e in Europa.
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BOLLINE, BOLLE, BOLLONE 28 Luglio 2007 19:49 MILANO - di *Alessandro
Fugnoli _________________________
La prima bolla di cui
parliamo è quella dei crediti. E’ una bolla che ha raggiunto
nel suo punto massimo proporzioni consistenti e che sta
sgonfiandosi sotto i nostri occhi a grande velocità. Il mondo
dei crediti è composto da tante cose. Ci sono i corporate bond
tradizionali, i bond emergenti, gli asset backed (tra i quali
i famigerati subprime). Poi ci sono, cresciuti come
funghi negli ultimi tempi, i finanziamenti (più o meno
cartolarizzati) legati a operazioni di fusione e acquisizione
di aziende (o a project financing), tra cui quelle promosse,
in genere a leva elevata, da fondi di private equity, fondi
hedge eccetera. Tutto questo mondo ha goduto
in questi anni di condizioni sempre più favorevoli, con spread
sempre più piccoli e tendenti a zero rispetto ai tassi
dei titoli governativi e disponibilità molto abbondante di
liquidità. Di queste
condizioni si è usato e abusato. Molto si moraleggia in
questi giorni sull’avidità dei prenditori, ma se si vuole
metterla sul piano delle colpe ci sembra che ne abbiano di più
i finanziatori. Tra questi non ci sono infatti vedove incaute
e orfani ingenui bensì istituzioni finanziarie real money di
ogni tipo, sicuramente maggiorenni e dotate di uffici studi a
volte sontuosi. Tra i finanziatori il
mercato sta punendo in questa fase soprattutto le banche
d’investimento, perché sono l’obiettivo più facile. In realtà,
come dicevamo, è il real money finale che alla fine risulterà
colpito. Le banche d’investimento sono soprattutto
originatori che collocano sul mercato. Certamente avranno
qualcosa in magazzino e certamente subiranno un certo
rallentamento di alcune loro attività nei prossimi mesi, ma
non per questo le loro prospettive sono diventate
improvvisamente fosche.
Lo scoppio
della bolla dei crediti sta avvenendo comunque con una certa
razionalità. Gli emergenti, che godono di fondamentali
eccellenti, sono meno colpiti e chi gode di un flusso
di notizie particolarmente positivo, come in questi giorni
Islanda e Turchia, ne beneficia come in tempi normali. Anche
nel mondo corporate c’è una certa selettività, anche se si
nota qua e là un certo accanimento, per esempio sui
finanziari. L’emotività prevale invece tra i collateralizzati
e, in queste ore, nel mondo dei buyout a leva, dove
l’avversione al rischio è completa e i finanziatori, fino a
tempi recenti ansiosi di comprare a qualsiasi spread, sono
spariti nella foresta.
Il senso di quello che
avviene ci sembra questo. Non siamo al capolinea dei crediti.
Non siamo alla vigilia di un bear market drammatico come
quello seguito allo scoppio della bolla del 2000. Non siamo
però nemmeno a un banale incidente di percorso, a un’ondata di
paura momentanea destinata a rientrare
completamente.
Siamo a un repricing una tantum, più che dovuto, destinato a
restare ma non ad aggravarsi oltre. Nelle aree più colpite, a
partire dai famigerati subprime, c’è probabilmente da
rovistare per comprare, non per vendere. Quanto al
mondo delle fusioni e acquisizioni, il blocco attuale è
assolutamente temporaneo. Certo, le condizioni ideali di
liquidità abbondante e a buon mercato non si daranno più fino
al prossimo ciclo, ma quella che si apre è una fase più
normale in cui viene reintrodotta una sana selettività nelle
operazioni che verranno impostate.
Qualcuno si sta certamente
facendo male, ma nel grande schema delle cose quello che sta
avvenendo, come ha detto Trichet, è salutare. Le bolle del
credito provocano un’allocazione altamente inefficiente delle
risorse. Capitali che potrebbero essere impiegati in
investimenti produttivi o restituiti agli azionisti vengono
gettati in operazioni di profittabilità sempre più
dubbia. Una stretta data adesso, per dolorosa che sia,
è infinitamente meglio di quello che sarebbe accaduto più
avanti se la mancanza di selettività si fosse protratta.
La seconda bolla di cui
vogliamo parlare è quella dei bond governativi. Questa
bolla è più grande nelle dimensioni, perché insiste su un
mercato più ampio di quello dei crediti, ma è di intensità
meno pronunciata. Rispetto al grado di maturità
dell’espansione i bond governativi, in particolare la parte
lunga della curva, rendono ancora poco. Dato che l’inflazione
è ancora sotto controllo e dal momento che i rendimenti reali
quest’anno sono saliti la sopravvalutazione non è drammatica,
ma c’è. La pesante
correzione dei crediti ha spinto liquidità sui governativi.
Nel breve ha senso, ma non appena la situazione dei crediti si
sarà normalizzata la pressione riprenderà. Non parliamo di un
bear market lungo e doloroso, ma di correzioni one-off, come
quella di maggio/giugno, di entità sopportabile e distanziate
nel tempo tra loro. In mancanza di un term premium
significativo i bond governativi lunghi dovrebbero continuare
a essere sottopesati. Cash e equity rimangono preferibili.
La terza bolla da
considerare è quella azionaria. E’ piccola e qualcuno ne
contesterà subito l’esistenza. In realtà si tratta di una
bolla iniziale, con pochi mesi di vita e non pericolosa.
Quello che vogliamo sottolineare e che, per quanto graziosa e
minuscola, sempre bolla è. Gli utili che stanno uscendo in
America, pur essendo al di sopra delle stime, sono del 7.0%
superiori a quelli di un anno fa a quest’epoca, quando
l’S&P 500 era del 19% più basso. L’espansione dei multipli
è evidente. Non
bisogna spaventarsi per questa situazione. E’ assolutamente
fisiologica e può benissimo essere cavalcata ancora per
qualche trimestre a condizione di essere consapevoli della
possibilità crescente di correzioni fastidiose ma
temporanee.
Detto questo, in questa fase
estiva e nel primo autunno difficilmente vedremo rialzi
significativi. Saranno semmai più probabili momenti di paura,
sbandamenti e consolidamenti. Lavorare con gli stop loss in un
mercato così significa perdere soldi più che
guadagnarne. In caso di correzioni pronunciate
bisognerà però avere il coraggio di comprare, anche se si è
già investiti. Il mondo, infatti, sta continuando a vivere
una condizione di crescita impetuosa, a tratti esaltante. La
produzione industriale cinese nel secondo trimestre è
cresciuta a una velocità annualizzata del 29% (parliamo della
seconda potenza manifatturiera del mondo). Il Fondo Monetario
ha alzato oggi le stime della crescita globale per il 2007 e
per il 2008, portando entrambe al 5.2%. Quanto all’inflazione,
il Fondo prevede una crescita impercettibile nei paesi
avanzati (il 2.1 nel 2008 contro il 2.0 di quest’anno e il 2.3
dell’anno scorso) e una discesa nel resto del mondo. Nei
giorni bui, quando azioni e crediti scendono spaventati,
bisogna riguardarsi queste cifre. Con un’espansione di queste
dimensioni c’è quasi da meravigliarsi che le borse quotino 15
volte gli utili 2008 e non 18 o 20. Meglio così, naturalmente.
Più è occhiuta la sorveglianza dei policy maker su crediti e
borse e maggiore è l’autocontrollo dei mercati più a lungo ci
terremo lontani da crash e default di tutti i tipi.
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(ANSA) -
WASHINGTON, 19 LUG - L'economia mondiale è in una situazione
di "boom" e l'Europa "sta andando molto bene perché ci sono
stati cambiamenti importanti a livello strutturale". In
particolare va bene la Germania. Così il capoeconomista del
Fmi Simon Johnson descrive lo stato attuale dell'economia
mondiale. Alla sua forza contribuiscono anche "i paesi
emergenti che crescono velocemente" mentre gli Usa "mostrano
segni debolezza ma si riprenderanno". (ANSA).
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L'ECONOMIA
MONDIALE STA VIVENDO UN BOOM Venerdì 20 Luglio
2007, 17:22 -
di Alberto Susic ______________________________________________
Nelle ultime settimane
si è affrontato spesso il problema relativo alla crescita
economica globale, che è stato riportato in primo piano
soprattutto dalla fase di debolezza vissuta dalla congiuntura
americana, appesantita e non poco anche dalla crisi del
settore immobiliare e dei mutui subprime. Nonostante le
rassicurazioni arrivate di recente anche dal presidente della
Fed, Ben Bernanke, che ha parlato di tasso di espansione
ancora moderato per l'anno in corso con una leggera ripresa
nel 2008, i listini azionari hanno spesso manifestato qualche
incertezza. Ad impensierire gli investitori è la
preoccupazione che un rallentamento maggiore del previsto
possa impattare negativamente sugli utili aziendali, portando
quindi di conseguenza ad una drastica revisione delle
quotazioni attuali dei vari titoli. Pubblicita
Notizie
molto incoraggianti però sullo stato di salute dell'economia a
livello mondiale sono arrivate dalle dichiarazioni rilasciate
dal capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale in un
intervento a Washington, in occasione di un incontro con la
stampa. Parole che giungono a pochi giorni di distanza dalla
presentazione del primo dei due nuovi rapporti che l'FMI andrà
ad aggiungere alla tradizionale pubblicazione del World
Economic Outlook presentato tradizionalmente ad aprile e ad
ottobre di ogni anno. Il capo economista Simon Johnson ha
anticipato che nella presentazione di mercoledì prossimo,
saranno contenuti dati ancora in elaborazione ma molto vicini
a quelli che saranno confermati nel rapporto di ottobre.
Intanto l'esperto ha dichiarato che l'economia mondiale,
contrariamente a quanto si possa pensare, si trova ora in una
situazione di boom. Una nota particolarmente positiva è stata
spesa per l'Europa che sta andando molto bene, grazie ad una
serie di importanti cambiamenti a livello strutturale. Un
ruolo da traino è giocato dalla Germania, ma alla forza del
Vecchio Continente contribuiscono anche i Paesi emergenti che
crescono a ritmi decisamente sostenuti. Johnson ha
intessuto un vero e proprio elogio alla Banca Centrale
europea, cui ha riconosciuto il merito di aver realizzato un
ottimo lavoro nel contenere le aspettative inflazionistiche
nel Vecchio Continente. E la stessa fiducia viene ora riposta
nella Federal Reserve, da cui ci si attende sostanzialmente lo
stesso risultato sull'opposta sponda dell'Atlantico,
ricordando che l'America mostra ancora qualche segnale di
debolezza, ma si scommette su una ripresa futura anche in
quest'area geografica. Il capo economista dell'FMI non ha
mancato di dedicare un passaggio del suo intervento
all'andamento del rapporto Euro/Dollaro, che proprio nel
pomeriggio di oggi è arrivato a segnare un nuovo record della
moneta unica a 1,3838 contro il biglietto verde. Nessuna
preoccupazione è emersa in questa direzione, tanto che Jonhson
ha dichiarato che il valore dell'euro appare in linea con i
fondamentali di medio termine, segnalando che se si guarda al
tasso nominale di cambio effettivo, da inizio anno non si è
avuto un apprezzamento così minaccioso, con una crescita del
2%. In sostanza sembra che l'FMI non abbia nulla da temere in
questo momento, dichiarando apertamente di essere a suo agio
con l'attuale livello della divisa comune. L'esperto del
Fondo Monetario Internazionale ha così consegnato indicazioni
molto incoraggianti che suonano come una buona notizia anche
per i listini azionari. Questi ultimi infatti dovrebbero
continuare a beneficiare della favorevole situazione economica
che si registra a livello globale, e una spinta ancora
maggiore potrebbe arrivare proprio dalla prossima mossa
dell'FMI. L'organismo con sede a Washington infatti, proprio
mercoledì 25 luglio potrebbe rivedere al rialzo le sue
previsioni di crescita per la congiuntura globale, regalando
così un'ulteriore iniezione di fiducia all'azionario.
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Fonte - Corriere della
Sera
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Economia USA: tutto quel che
dovete sapere
24 Luglio 2007 New York - di *Richard B.
Hoey ________________________________________
*Richard B. Hoey e'
Chief Economist di The Bank of New York Mellon
Corporation.
Che cosa sta succedendo e perché?
A nostro giudizio, i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine
si stanno normalizzando verso un nuovo margine di contrattazione in
qualche modo più alto, per due ragioni principali. Primo, le aspettative sul futuro
orientamento di politica monetaria della Fed sono mutate dato che è
sempre più evidente che il rallentamento delle scorte industriali è
giunto al termine e che i mercati del lavoro restano su livelli
relativamente ristretti persino dopo quattro trimestri di
crescita economica sotto la pari. In secondo luogo, si è in parte
dissolto l’enigma dei bassi rendimenti delle obbligazioni
high-grade. Sono ancora in atto speciali forze sul fronte
dell’offerta e della domanda che in qualche modo limitano le
pressioni cicliche al rialzo sui rendimenti obbligazionari a lungo
termine in tutto il mondo, inclusi significativi incrementi nei
fondi investibili a livello mondiale, la riduzione dei deficit di
bilancio in molti paesi, una domanda debole di finanziamenti
ipotecari, un'abbondante liquidità delle imprese e la domanda
potenziale dei fondi pensione.
Tuttavia, l’equilibrio di queste
forze non è così solido come prima. I mercati iniziano a scontare
una tendenza verso la diversificazione da parte dei governi che
investono riserve valutarie in eccesso in attività diverse dai
titoli di stato. Anche se la proporzione dei saldi positivi delle
partite correnti reinvestiti in titoli di stato si riduce, comunque,
le dimensioni dei fondi investibili rispetto alla nuova offerta di
obbligazioni high-grade continuano ad essere piuttosto consistenti.
Riteniamo che il recente
incremento dei tassi di interesse sia attribuibile più a ridotte
aspettative di un serio indebolimento dell’economia negli Stati
Uniti che ai timori di un aumento dell'inflazione. Ciò che è
avvenuto è un incremento dei rendimenti obbligazionari reali, più
che dell’inflazione o delle aspettative inflazionistiche. A nostro
parere, questo incremento nei rendimenti reali dovrebbe rivelarsi
meno rischioso per l’economia e i mercati rispetto a un aumento
dell’inflazione e delle aspettative inflazionistiche, in quanto è
meno probabile che generi una politica monetaria ostile alla
crescita economica. Inoltre, è più in linea con un dollaro
relativamente stabile piuttosto che con un aumento dei tassi di
interesse causato dall’inflazione.
Gli ultimi dati vanno sempre più a
sostegno della tesi secondo cui il recente rallentamento economico
porterà probabilmente ad una nuova crescita, più che ad una
recessione. Ora che il settore dell’edilizia residenziale è calato
notevolmente, il suo tasso di flessione sarà meno consistente. I
consumi reali sensibili ai prezzi della benzina dovrebbero crescere
per un po’ di tempo a un ritmo inferiore, ma è meno probabile che
scatenino una debolezza economica più generalizzata, ora che il
rallentamento delle scorte industriali si sta attenuando.
Anche gli ordini di beni strumentali si sono rafforzati dopo la
debolezza registrata nei primi mesi dell'anno. Gli effetti negativi dell’edilizia
abitativa sulla ricchezza non hanno più di tanto influito sulla
spesa per consumi negli ultimi due trimestri, quando gran
parte della crescita del reddito era concentrata nelle fasce più
alte, e il mercato azionario era a livelli considerevolmente alti.
In mancanza di ripercussioni negative di rilievo sui consumi, la
debolezza dell’edilizia abitativa (un settore interno) non ha creato
ostacoli significativi oltremare, dove molte economie erano ancora
stimolate dal precedente allentamento monetario. La recessione dell’edilizia
abitativa non ha generato finora una grande debolezza
dell’occupazione. La situazione effettiva del mercato del
lavoro è in qualche modo incerta data la scarsità di dati statistici
sui cambiamenti occupazionali per i lavoratori privi di documenti,
la revisione al ribasso della crescita dell'occupazione nel terzo
trimestre 2006 e una crescita ridotta dell’occupazione nei dati sui
redditi delle famiglie (“household survey”) rispetto a quelli delle
rilevazioni ufficiali dei dati salariali ("payroll survey"). E’ probabile che negli Stati Uniti
si registri una crescita economica sopra la media nel secondo
trimestre 2007, dato che il tasso di flessione dell'edilizia
residenziale dovrebbe rallentare, l’accumulo delle scorte e le
esportazioni nette dovrebbero rimbalzare, e l’edilizia non
residenziale dovrebbe espandersi.
Le prospettive per la domanda
finale negli Stati Uniti nel secondo semestre sono invece più
ambigue. Abbiamo previsto un rallentamento di metà ciclo della
durata di circa un anno e mezzo e non siamo del tutto convinti che
il rallentamento sia finito dopo solo un anno. Anzi, prevediamo uno
schema più complesso con una crescita del PIL reale sopra la media
nel secondo trimestre, seguita molto probabilmente da una crescita
della domanda finale inferiore alla media nella seconda metà del
2007. Sostenuta
da un rimbalzo delle scorte, la crescita complessiva del PIL reale
sarà prevedibilmente solo leggermente inferiore alla media nel
secondo semestre del 2007. Mentre prevediamo uno schema ad L
per l’edilizia abitativa, questo settore potrebbe registrare un
periodo di flessione più prolungato a un ritmo più moderato, in un
contesto di incremento dei tassi ipotecari che dovrebbe aumentare la
difficoltà ad assorbire rapidamente l’eccesso di abitazioni e
condomini disponibili. In base alle previsioni di
consensus, la politica monetaria della Fed per il resto del 2007
sarà neutrale. Riteniamo che questa visione sia ragionevole.
Le argomentazioni contro un allentamento sono legate al fatto che il
mercato del lavoro non ha registrato una grande flessione, le
tensioni sui mutui subprime non hanno portato ripercussioni
consistenti, il ciclo delle scorte sta per invertire la tendenza e
l'inflazione, compresi generi alimentari ed energia, è ancora su
livelli elevati. Contro una stretta monetaria l’argomentazione è che
l’inflazione inerziale sta diminuendo lentamente e che è prematuro
concludere che la recessione dell’edilizia abitativa sia giunta al
termine. Il nostro
timore è che il rischio di una ben peggiore recessione dell’edilizia
abitativa potrebbe aumentare se la Fed dovesse inasprire la politica
monetaria prima di una stabilizzazione di questo settore. Ci
aspettiamo che un’ulteriore stretta si verificherà all'estero
piuttosto che negli Stati Uniti, dato che la politica monetaria
globale è stata più incentivante rispetto a quella statunitense.
A nostro giudizio c’è stata una leggera inversione al
rialzo nel margine di contrattazione a breve termine per i
rendimenti obbligazionari nell'ambito di una più prolungata tendenza
neutrale nel lungo termine. E con “prolungata” intendiamo che la
tendenza a lungo termine durerà dieci anni o più. Nel mercato
obbligazionario, si sono alternati nel corso di decenni periodi
prolungati di fasi al ribasso e fasi al rialzo. A nostro parere, le
variazioni nella politica monetaria delle banche centrali sono la
chiave di queste tendenze.
La “prolungata fase rialzista” del
mercato obbligazionario, cominciata nel 1981 con i rendimenti dei
titoli di stato statunitensi a 10 anni al 16%, è iniziata dopo che
la Fed, con la presidenza di Paul Volcker, prese una decisione
chiara per fermare l'ascesa dell’inflazione. Si è conclusa,
con un ribasso di quasi 1.300 punti base in 22 anni, a un rendimento
del 3,1% per i titoli di stato a 10 anni nel giugno 2003, dopo che
la Fed prese una decisione chiara al fine di prevenire la
deflazione. A nostro
giudizio, la prolungata fase rialzista del mercato obbligazionario e
la prolungata tendenza al ribasso dell’inflazione e dei rendimenti
si è conclusa quattro anni fa. La ragione per cui per il futuro
prevediamo una prolungata tendenza neutrale, anziché un prolungato
incremento dell’inflazione e dei rendimenti obbligazionari, risiede
nel fatto che, a nostro parere, le banche centrali non ripeteranno
gli errori di politica monetaria degli anni ’70, che hanno
generato un persistente rialzo dell'inflazione fino all'inizio degli
anni '80. I banchieri centrali ricordano i propri errori degli anni
'70, per cui è improbabile che li ripeteranno oggi. Ci attendiamo una “prolungata
tendenza neutrale” per il mercato obbligazionario, con rendimenti
dei titoli di stato statunitensi a 10 anni che ruotano intorno a un
centro di gravità all’incirca tra il 4,5% e il 5,5% per i prossimi
dieci o vent'anni, sulla base della nostra previsione di una
tendenza inflazionistica neutrale di lunga durata, in media tra il
2% e il 2,5%. Il centro di gravità per il mercato
obbligazionario neutrale che ci aspettiamo nei prossimi anni si
dimostrerà in linea con il rendimento medio dei titoli di stato
statunitensi a 10 anni dell’ultimo decennio, con una media
leggermente inferiore al 5%. In seguito al rimbalzo iniziale
rispetto ai livelli minimi raggiunti dai rendimenti obbligazionari
quattro anni fa, non prevediamo che i rendimenti a lungo termine
registreranno aumenti o diminuzioni di rilievo nel tempo.
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Fonte - Mellon
Financial |
Venerdì 13 luglio 2007 |
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Giovedì 19 luglio 2007 |
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Venerdì 20 luglio 2007 |
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Subprime,
ferita aperta
05 Luglio 2007 Milano - di Sara
Silano ________________________________________
Il mercato dei mutui di bassa
qualità dà nuovi segnali di crisi. Dopo gli Stati Uniti,
l’Inghilterra lancia l’allarme. Ma i fondi sono rimasti alla larga
dal settore e non dovrebbero correre pericoli. Sembrava un pericolo scampato,
invece, la crisi dei mutui subprime (quelli di minor qualità) è
tornata a far tremare i mercati. A lanciare un nuovo allarme negli
Stati Uniti sono stati due hedge fund di Bear Stearns, arrivati a un
passo dal fallimento a causa dell’esposizione verso il
settore. Il faro
sull’industria è stato acceso anche dalla Financial services
authority, l’autorità di vigilanza inglese, che ha messo
ufficialmente sotto inchiesta cinque società per lacune nelle
procedure per la concessione di crediti ai clienti di fascia bassa.
E gli operatori vedono altri possibili casi all’orizzonte.
Il tema è stato al centro del convegno di
apertura della Morningstar investment conference, che si è tenuta
nei giorni scorsi a Chicago. Secondo Jeffrey Gundlach,
responsabile degli investimenti dell’americano TCW Group (Société
Générale asset management) e gestore dell’anno nella categoria
reddito fisso degli Award statunitensi, la crisi è solo agli inizi e la
situazione non potrà che peggiorare. Nelle sue parole non
c’è panico, ma una pacata visione del settore. Fino ad ora, il tasso di
pignoramento degli immobili a garanzia di mutui subprime è stato in
linea con quello degli ultimi tre anni (13%), ma è in rapida
crescita e potrebbe raggiungere il 20% prima che la situazione
cominci a migliorare. Pesanti i riflessi sui titoli esposti al
segmento: per quelli emessi nel 2006, Gundlach stima perdite
oltre l’8%.
Il gestore è,
però, convinto che l’impatto sul mercato dei mutui di qualità sarà
contenuto, in quanto presentano storicamente un basso tasso di
fallimento. Analogamente non dovrebbe risentirne il comparto dei
mortgage backed securities che sono obbligazioni garantite da
agenzie governative e quindi con elevato Rating. Negli
ultimi tempi, come è emerso nel corso del seminario estivo di Julius
Baer, che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano, le banche stanno
aumentando la stretta sul settore immobiliare, elevando gli standard
minimi richiesti per la concessione di mutui soprattutto per la
casa. Ma la facilità con cui sono stati prestati i soldi negli anni
scorsi e la ricerca di rendimenti maggiori rispetto ai titoli di
Stato da parte degli investitori suscitano qualche motivo di
preoccupazione. Anche perché,
come sempre, i più esposti sono i piccoli risparmiatori con minor
esperienza finanziaria e coloro che hanno cavalcato la moda di
questi prodotti l’anno scorso. E’ bene precisare, però, che il
problema riguarda prevalentemente gli Stati Uniti, dal
momento che questi strumenti non sono diffusi in Italia.
E i fondi? In base
alle statistiche di portafoglio disponibili nella banca dati di
Morningstar, i (per altro) pochi comparti distribuiti in Italia e
specializzati in titoli mortgage backed (obbligazioni su mutui
ipotecari) investono in strumenti di qualità garantiti da agenzie
governative americane. Un’indagine analoga, realizzata dai colleghi
americani, sui fondi domiciliati negli Stati Uniti, ha messo in luce
che anche i gestori a stelle e strisce hanno preferito stare alla
larga da questi strumenti. Insomma la crisi non va ignorata, ma il
panico è ingiustificato.
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Fonte -
MorningStar.it |
Il mattone STA
CADENDO 05 Luglio 2007 Milano - di Marco Caprotti ______________________________________________
Prosegue la discesa
dell'indice immobiliare. L'aumento dei tassi di interesse
controlla l'inflazione ma allontana gli investitori
dall'acquisto di case. E rischia di rimettere in discussione
la crescita economica. Ma c’è ancora il boom immobiliare
di cui tanti parlano, o la bolla sta scoppiando? A guardare i
grafici la situazione è, quantomeno, traballante. L’indice
Msci che segue l’andamento del settore a livello mondiale
nell’ultimo mese (fino al 3 luglio e calcolato in euro) ha
perso quasi l’8%. Nel trimestre lo scivolone è stato del 6,6%.
Le cose cambiano poco, se si analizzano i numeri a
partire dagli Stati Uniti che, come in ogni altro settore,
indicano la via al resto del mercato. E’ vero che il prezzo
degli appartamenti nella zona di Manhattan nei tre mesi chiusi
a giugno di quest’anno è cresciuto dell’1,7% rispetto allo
stesso mese del 2006. Ma si tratta comunque del secondo
trimestre in cui si registra un aumento inferiore al 2%.
L’andamento della zona più “in” di New York, inoltre, non
riflette quello del resto degli Stati Uniti dove gli acquisti
non sono condizionati dai ricchi bonus guadagnati dagli
operatori di Wall Street.
Secondo la National
Association of Realtor (Nar, l’associazione che raggruppa i
costruttori americani) le vendite delle case già costruite
quest’anno scenderà del 4,6%. I prezzi dovrebbero invece
calare dell’1,3%. Se le previsioni fossero corrette si
tratterebbe del risultato peggiore mai registrato dalla Grande
depressione degli anni ’30. Mentre i palazzinari yankee
trattengono il fiato in attesa dei risultati di fine anno, gli
analisti del mattone iniziano a spostare l’attenzione verso il
Giappone. Il più lungo periodo di crescita economica
registrato dalla fine della seconda guerra mondiale sta
riaccendendo le speranze di quegli operatori che aspettavano
una ripresa del mercato immobiliare che dal 1991 ha perso
circa la metà del proprio valore.
Secondo i dati del
Ministero nipponico del territorio i prezzi dei terreni
commerciali a Tokyo, Osaka e Nagoya sono aumentati quasi
dell’8% nel 2006. Nello stesso periodo il prezzo delle aree a
uso residenziale è cresciuto del 3%. Questa situazione ha
spinto gli operatori a cercare nuove opportunità in altre
zone. Più complessa la situazione in Australia dove le
case, nella prima parte di quest’anno hanno raggiunto prezzi
che non si vedevano da almeno 20 anni diventando anche più
difficili da comprare dopo i tre rialzi dei tassi effettuati
dalla Banca centrale nel 2006.
Il risultato è stato
che le richieste di costruire nuovi appartamenti ad aprile di
quest’anno sono scese del 5,6% mentre gli analisti si
attendevano una discesa dell’1,4%. Se la tendenza dovesse
continuare ci sarebbero guai in vista per un Paese in cui una
persona su dieci lavora nel comparto immobiliare e dove la
crescita economica dura ininterrottamente da 16 anni.
L’Europa intanto guarda con preoccupazione quello che
succede in Inghilterra. Il mercato immobiliare d’Oltremanica,
infatti, viene considerato un indicatore per quello che
succederà circa un anno e mezzo dopo nel resto del Vecchio
continente.
Nel Regno Unito a giugno il prezzo delle
case è cresciuto dello 0,3%, il tasso mensile più basso
registrato da dicembre 2006. Annualizzato, si tratta di una
crescita del 6,4% contro il 6,7% del mese precedente. E
secondo alcuni osservatori alla fine dell’anno si potrebbe
arrivare al 4%. Anche in questo caso è la Banca centrale a
remare contro il comparto con i suoi cinque aumenti dei tassi
da agosto dell’anno scorso (che hanno portato il costo del
denaro al 5,75%) e un altro che, secondo quanto lasciato
intendere dal Cancelliere dello Scacchiere, potrebbe arrivare
entro quest’anno. |
LO SGAMBETTO, DEI MUTUI
USA 24
Luglio 2007 08:49 MILANO - di Marco Caprotti ______________________________________________
Tutti lo sanno, ma
nessuno lo ammette. Anche a costo di negare l'evidenza. La
crisi dei mutui cosiddetti subprime (per le persone a basso
reddito e quindi a più alto rischio di insolvenza) sta
picchiando duro sui titoli del comparto finanziario.
L'indice Msci di settore nell'ultimo mese (fino al 23
luglio) ha perso quasi il 5% portando a -3,9% la performance
trimestrale. Il tutto alla faccia di un'economia mondiale che
sta crescendo (la congiuntura globale, secondo le indicazioni
del Fondo monetario internazionale nel 2007 potrebbe battere
le attese degli economisti per il settimo anno consecutivo
migliorando del 2,7%). Ma anche in barba a uno scenario di
tassi in aumento (almeno in Europa e Asia) e delle fusioni e
acquisizioni che continuano verificarsi nel settore. E pure a
dispetto degli amministratori delegati delle maggiori società
finanziarie mondiale che, nei giorni scorsi, hanno perso la
voce a furia di spiegare che non c'è nessuna crisi. Ma i fatti
raccontano una storia diversa. Il presidente della Federal
Reserve Ben Bernanke nelle sue ultime audizioni ha avvertito
che le perdite legate al mercato dei subprime potrebbero
costare al settore del credito almeno 100 miliardi di dollari.
Il pericolo, inoltre, è che la crisi esca dai confini
americani per invadere il resto del pianeta. E allora il conto
sarebbe molto più salato. Gli indici che misurano i rischi di
default dei prestiti concessi, intanto, sono ai minimi
storici. Almeno 20 fra le maggiori corporate americane hanno
dovuto cancellare emissioni obbligazionarie per 20 miliardi di
dollari perché nessuno le vuole. Nemmeno le istituzioni
finanziarie che sono il vero motore di questo mercato le hanno
acquistate. Nel 2006, invece, le grandi società di
investimento di tutto il mondo dalla compravendita di bond,
soprattutto legati ai mutui, hanno intascato circa 27,4
miliardi di dollari. Ma in un momento così difficile per
il comparto, spiegano gli analisti, tutti gli investitori,
anche i più preparati e con le spalle larghe preferiscono
puntare su strumenti più sicuri. E, magari, tenersi in cassa
un po' di liquidità. Del resto non è il momento giusto per
correre eccessivi rischi. Il mattone che per banche e
assicurazioni è sempre stato un posto sicuro dove mettere i
soldi, sta facendo sentire sinistri scricchiolii. L'indice
Msci immobiliare negli ultimi 30 giorni è sceso del 4,8%, in
linea – guarda caso - con l'andamento del suo “fratello”
finanziario”. Nonostante il momento difficile,
sottolineano tuttavia gli analisti, le opportunità di
investimento non mancano. Anche se vanno affrontate con
estrema cautela. Il comparto assicurativo europeo, per
esempio, mostra interessanti segnali di attività, soprattutto
dopo che le due compagnie inglesi Friends Provident (Londra:
FP.L - notizie) e Resolution hanno annunciato di avere avviato
i colloqui per arrivare a una fusione che potrebbe creare il
quinto gruppo del Regno Unito. Se l'operazione andasse in
porto, dicono gli operatori, ci potrebbe essere una nuova
ondata di aggregazioni nell'intero comparto del Vecchio
continente che, peraltro, darebbe supporto all'intero settore
azionario. Le banche, intanto, almeno da questa parte
dell'Oceano continuano a seguire con interesse la partita che
si sta giocando fra Barclays (Londra: BARC.L - notizie) e la
cordata guidata da Royal bank of Scotland (Londra: RBS.L -
notizie) per il controllo di Abn Amro (Amsterdam: AABA.AS -
notizie) . Lo scontro è diventato più interessante da quando
sono entrate in campo, dalla parte degli inglesi, la Cinese
Development Bank e la Temasek Holding di Singapore. Se
Barclays dovesse vincere l'intero settore creditizio europeo
dovrebbe iniziare a fare i conti anche con una forte presenza
asiatica in casa. E le strategie, a quel punto, andrebbero
completamente rifatte.
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Lo tsunami Subprime e
l'economia virtuale
25 Luglio 2007 Milano - di Andrea
Mazzalai ________________________________________
Il mercato dei mutui di bassa
qualità dà nuovi segnali di crisi. Dopo gli Stati Uniti,
l’Inghilterra lancia l’allarme. Ma i fondi sono rimasti alla larga
dal settore e non dovrebbero correre pericoli.
Subprime e ancora subprime, una
parola, un significato sino a poco tempo fà sconosciuti, un eco
lontano, subprime, subprime, subprime che diventa all'improvviso
realta! Sigmund Freud sosteneva sempre che, con un semplice atto
di volontà si poteva reprimere la memoria di ricordi sgradevoli, di
situazioni comunque non desiderate. Sembrerebbe che uno dei
fondamenti della psicoanalisi sia la rimozione dei ricordi, delle
situazioni ovvero un processo che aiuta a dimenticare, a
sottovalutare tutto ciò che non desideriamo, che ci fà paura
allontanandolo dalla coscienza e depositandolo negli abissi
dell'inconscio. "SUBPRIME" una fenomeno da dimenticare,
sottovalutare, una sensazione di malessere da allontanare come un
incubo da relegare nel profondo dell'inconscio.
Questo è il tempo del "Capitalismo
senza Capitale" dove chiunque possieda lo zero virgola, può ambire a
regnare sul trono di società che sino a pochi anni fà erano
considerate come dei castelli inviolabili. Oggi non è più il tempo
dell'economia, l'economia si è ritirata, in letargo in attesa di una
nuova chiamata, lasciando il posto alla politica monetaria e alla
finanza. Oggi è il
tempo dell'ingegneria finanziaria, scopriamo che gli alchimisti dei
nostri giorni hanno progettato strumenti atti alla comprensione
suprema del "rischio", strumenti ingegnosi al limite della follia
che talvolta aiutano e talvolta distruggono la finanza stessa e con
essa l'economia di una società e forse di un'intera
nazione. Formule
finanziarie chiamate CDO, CMO e CLO dove ad ognuno basta
aggiungere una piccola esse, CDOs, CLOs e subito si trasformano in
porzioni magiche, sintetiche con la potenza della leva esponenziale.
Una leva talmente
potente da amplificare a dismisura ogni guadagno, ma allo
stesso tempo capace di distruggere in un solo istante ogni
patrimonio, ogni portafoglio. Oggi il mercato dei CLO, ovvero le
obbligazioni garantite dai prestiti aziendali risente di un
cambiamento nella percezione del rischio, nessuno accetta più il
rischio, il rischio di strumenti che le agenzie di rating,
fiduciarie della finanza, non hanno saputo prezzare adeguatamente,
riconoscere e comprendere sino in fondo ai loro doveri istituzionali
distratte dai guadagni stellari di un'era finanziaria
indimenticabile. L'universo dei Private Equity (PEHN.SW -
notizie) abbisogna di 300 miliardi di dollari per finanziare le
acquisizioni annunciate e secondo JPMorgan il maggiore operatore nel
campo, contano per il 60 % dei loro prestiti sul mercato dei CLO
indispensabili per produrre i fuochi artificiali delle ultime
M&A e dare impulso al leveraged by out.
Un' " terrible
idea" questi innumerevoli " equity bridges" secondo Dimon, chief
executive di JPMorgan Chase. Passeggiando su internet e
precisamente dalle parti di Wikipedia, cercando notizie relative
alla nascita dei CDO e CLO ho scoperto che, verso la fine degli anni
80 la fiducia degli investitori nei leveraged buyouts stava svanendo
e la critica verso i "junk bonds" stava aumentando. Alcuni
sostengono che gli strumenti del debito e talvolta quelli del "turbo
debito" erano la pietra angolare degli anni '80 ovvero "la decade di
Greed" il periodo più lungo di crescita economica che l'America
abbia mai conosciuto, ma contavano solo per il 25 % delle operazioni
e non come oggi per il 60 %. Poi come la_storia_insegna , un
impiegato "dinamico" di nome Michael Milken portò al fallimento la
Drexel Burnham Lambert, molto attiva in questi strumenti, dovuto
alla partecipazione di attività illegali nel mercato dei "junk
bond". Un problema isolato, circoscritto, limitato a una
sessantina di istituti finanziari secondari, qualche azienda
dell'indotto, un paio di hedge fund e qualche spicciolo che va da un
minimo di 50 miliardi di dollari ad un massimo che nessuno può
conoscere, compresa la Federal Reserve che nel suo dovere
istituzionale per tranquillizzare i mercati professa una lontananza
accademica rispetto al contagio in atto. Dalla Federal Reserve
alla Mortgage Bankers Associations, dalla National Associations of
Realtors alle istituzioni federali FannieMae e FreddieMac, tutti
uniti in un unico pensiero: nessun contagio!
Subprime, il mercato dove acquisti
il " Sogno Americano " talvolta al prezzo di tre punti in più del
tasso di mercato, non importa se e dove lavori, la tua storia
finanziaria, non importa se per alcuni anni non restituisci il
capitale e talvolta neanche gli interessi, tanto i prezzi delle
abitazioni non possono che salire, in un crescendo sublime
con formule esotiche che ti portano a sognare che in fondo il debito
è solo la porta del Paradiso che porta all'Inferno. E poi un giorno, la sera, la notte
ti accorgi che in fondo tutto è come prima, che il debito prima o
poi và saldato perchè come dice uno dei padri fondatori
dell'America, Benjamin Franklin i creditori hanno miglior memoria
dei debitori. Uno
tsunami imprevedibile, che nello spazio di un battito d'ala
sconvolge progressivamente e lentamente l'economia reale, la
finanza, i mercati globali. E si perchè tutto è sparso intorno,
persino nella lontana Australia, dove a differenza dei nostri paesi
gli hedge fund sono aperti a tutti, agli investitori istituzionali
come ai comuni investitori, la gente di ogni giorno. Tutto
intorno attraverso l'indotto del mercato immobiliare, costruzioni,
materiali edili, arredamento, articoli da giardinaggio e su
attraverso il MEW ovvero l'estrazione di ricchezza che ha sostenuto
i consumi in questi anni, dimenticando che esiste anche un mercato
del credito al consumo "subprime". Ma l'economia
virtuale presuppone il funzionamento a pieni giri della borsa, si
preoccupa, come nella ultime minute della Fed, del tasso di
risparmio delle famiglie americane che pur negativo stà cambiando,
mettendo a rischio i consumi pilastro riconosciuto dell'economia
reale, ma non si preoccupa più di tanto dei deficit gemelli, del
risparmio personale negativo delle famiglie. Tutto e il
contrario di tutto! Crollano i consumi e contemporaneamente
aumenta la fiducia del consumatore con l'inflazione reale che sale,
sale, sale ripulendo le tasche dei cittadini e lasciando quel sapore
un pò "core". Il mercato immobiliare è in piena recessione e il
mercato del lavoro edilizio, non scende, anzi aumenta le
assunzioni. Le aziende tornano ad investire timidamente e
contemporaneamente la fiducia dei Ceo e delle loro aziende scende ai
minimi dal 2000. Il mercato del lavoro si dimostra in ottima
forma, ma poi le revisioni preludono a notevoli riduzioni nel 2006
come constatato dalla Fed nelle ultime minute. Le foreclosure
aumentano, si moltiplicano, la deflazione immobiliare avanza e le
richieste di ipoteca aumentano senza constatare che in fondo nessuno
è in grado di dire presso quante banche una famiglia "subprime" o
"ALt-a" deve fare richiesta prima di veder accettata la sua
domanda. Un'economia virtuale, un'economia delle revisioni,
revisioni e ancora revisioni! Un'economia che vive di dati
anticipati forse troppo talvolta rivisti dal giorno alla notte e
viceversa.
Oggi e domani usciranno i nuovi dati relativi alle
vendite di case nuove e esistenti ai quali il mercato guarderà con
trepidazione. Voglio solo ricordare che come spesso accadde il
margine di errore dei dati comunicati è spesso sensibile per non
dire incredibile. Siamo nel mezzo di una possibile "deflazione"
immobiliare, diminuiscono i volumi delle transazioni , declinano le
vendite e aumentano le abitazioni invendute. La domanda non incontra
l'offerta in quanto l'effetto psicologico è rilevante. Inoltre per
chi non lo ricorda da questo mese in poi scadranno una marea di
mutui che si trasformeranno in tassi variabili superiori di circa
2/3 punti al tasso di partenza. Ovviamente la nuova ondata di
pignoramenti e fallimenti aumenterà l'inventario delle case
esistenti. Non si vende
per non prendere di meno di quello che si considera giusto e non si
compra in attesa di tempi migliori, la speculazione ormai ha
lasciato definitivamente il campo e i cosidetti "compratori
principianti" coloro che si affacciano al mercato per la prima volta
sono intimoriti dalle notizie e trovano difficoltà ad accedere al
credito, in quanto ormai il mercato "subprime" fà parte del
passato. Concludo ricordando infine il fattore
annullamenti. Abbiamo visto insieme come gli elenchi delle
abitazioni invendute siano vitali per la fiducia dei costruttori e
allo stesso modo abbiamo visto come stanno aumentando sensibilmente
gli annullamenti dei preliminari di acquisto. Gli annullamenti
non vengono incorporati nei dati rilasciati e quindi spesso le
vendite risultano migliori e gli inventari sottovalutati. Un
mercato immobiliare, immobile nelle sue quotazioni, sente intorno a
se la mancanza di fiducia, forse il preludio ad un'accelerazione che
si rifletterà negli anni a venire.
.gif) |
Fonte -
MiaEconomia.it |
Domenica 22 luglio 2007 |
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Venerdì 27 luglio 2007 |
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Venerdì 27 luglio 2007 |
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GRANDE
ONDATA DI EUFORIA A
WALL STREET
12 Luglio 2007 22:04 NEW
YORK (WSI)
Due
record per l'indice industriale e per lo S&P500. Il Dow
Jones ha guadagnato il 2.10%. Nasdaq +1.88%, sopra quota 2700
per la prima volta da anni.
La sessione a New York ha
chiuso in clima di grande euforia, con gli indici sui massimi,
e anzi con due nuovi record assoluti nel caso del listino
industriale e per lo Standard & Poor's 500. Il Dow Jones
ha chiuso a 13,863.60, un rialzo record di 285.73 punti
(+2.10%), il Nasdaq finisce per la prima volta da anni sopra
quota 2700 per l'esattezza a 2,701.73, in crescita di 49.94
punti (+1.88%) e infine lo S&P 500 sale a 1,547.70, con un
guadagno di 28.94 punti (+1.91%). Motivo di tanto
ottimismo a Wall Street: una girandola di fusioni e
acquisizioni, nonche' i buoni dati sulle vendite al dettaglio
nelle catene di grandi magazzini a giugno, che hanno
confermato la crescita dell'economia. Sugli altri mercati
il greggio e' stabile, ma sempre molto alto, col barile a
72,49 dollari. Sul valutario l'euro continua la corsa, e
stabilisce i nuovi record assoluti nei confronti di un dollaro
sempre piu' a buon mercato: la quotazione delle due monete e'
ormai a un soffio da quota 1 e 38. Non sono emerse grandi
sorprese dal fronte macro. Come previsto dagli analisti il
deficit commerciale degli Usa si e’ allargato a $60 miliardi
nel mese di maggio, mentre le nuove richieste di sussidio da
parte dei disoccupati si sono attestate a quota 308 mila, a
livelli migliori di quelli stimati dagli economisti,
evidenziando una solida situazione del mercato del lavoro.
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WALL
STREET RITRACCIA, DELUDONO LE TRIMESTRALI
20 Luglio 2007 15:35 NEW
YORK (WSI)
Apertura in rosso per gli indic americani. Il Dow
Jones perde lo 0.33% a 13953, l’S&P500 lo 0.18% a 1550, il
Nasdaq arretra dello 0.38% a 2709. Le deludenti trimestrali
societarie hanno dato la stura alle vendite.
Non sono attesi dati
macroeconomici di rilievo nella giornata odierna. Il recente
progresso dei listini, che ha permesso al Dow Jones di
chiudere oltre la soglia dei 14000 punti per la prima volta
nella storia, potrebbe dare origine ad alcune prese di
beneficio.Contrastate le trimestrali diffuse in mattinata.
Positive quelle delle societa’ finanziarie Citigroup (C) e
Wachovia (WB) i cui titoli trattano rispettivamente in rialzo
dell’1.35% e dell’1.72%; pessima quella del colosso dei
macchinari per le costruzioni Caterpillar (CAT) che ha
riportato un utile per azione di 24 centesimi inferiore al
consensus: il titolo arretra di quasi il 7%. Notizie
importanti sono giunte dalla Cina che ha alzato per la terza
volta quest’anno il costo del denaro (quinta negli ultimi 15
mesi), all’indomani dell’ultimo aggiornamento sulla crescita
economica interna pari a +11.9%, maggior tasso di oltre 11
anni. Sugli altri mercati, nel comparto energetico il petrolio
e’ in leggero ribasso ma vicino ai massimi. I futures con
consegna agosto (all’ultimo giorno di scambi) segnano un calo
di 15 centesimi a $75.77 al barile. Sul valutario, l’euro e’
in leggero progresso rispetto al dollaro: il cambio tra le due
valute e’ a quota 1.3808. In lieve progresso l’oro. I futures
con consegna agosto vengono scambiati a $680.00 all’oncia
(+$1.90). Salgono, infine, i Titoli di Stato. Il rendimento
sul Treasury a 10 anni e’ sceso al
5.00% |
WALL
STREET:
SUBPRIME E UTILI SPINGONO LE VENDITE
24 Luglio 2007 18:15
NEW YORK (WSI)
Deludenti trimestrali, prese di profitto e il
risveglio dei timori circa l'industria del credito innescano i
Sell. Greggio giu'.
Gli indici non accennano ad
arginare le perdite e a meta' seduta si muovono vicino i
minimi livelli giornalieri. Il Dow Jones cede lo 0.76% a
13836, l'S&P500 lo 0.79% a 1529, il Nasdaq lo 0.71% a
2671. Alcune deludenti trimestrali, le prese di profitto e il
risveglio dei timori circa l'industria del credito stanno
facendo da volano alle vendite. Sorprendentemente
migliori del previsto i numeri del comparto finanziario, per
cui era atteso un crollo sulla scia della crisi innescata
dalle insolvenze dei mutui subprime. I timori sono pero’ stati
risvegliati dalla pessima trimestrale di Countrywide Financial
(CFC) (leader nell’offerta di mutui immobiliari) il cui titolo
cede oltre il 7%. Con i listini ai recenti massimi gli
operatori sono in attesa di un significativo catalizzatore che
possa spingere ulteriormente al rialzo gli indici. Non sono da
escludere alcune prese di beneficio in tale contesto seguite
dalla ripresa degli acquisti solo a livelli maggiormente
attraenti. Proseguono intanto le operazioni di M&A.
L’ultima interessa il comparto energetico e vede in prima
linea le due societa’ di trivellazione Transocean (RIG) e
GlobalSantaFe (GSF): i due gruppi hanno raggiunto un accordo
per cui la seconda sara’ acquisita dall’altra per $18
miliardi. Sugli altri mercati, nel comparto energetico il
petrolio sta continuando a cedere terreno. I futures con
consegna settembre cedono $1.70 a $73.19 al barile. Sul
valutario, l’euro continua a muoversi vicino ai massimi nei
confronti del dollaro a quota 1.3816. In rialzo
l’oro. |
WALL
STREET: PROVE TECNICHE DI
CORREZIONE 27
Luglio 2007 22:04 NEW YORK (WSI) _________________________________________
Ancora una giornata
pesante per Wall Street dove gli indici, dopo l'altalena
iniziale, cedono nell'ultimo quarto d'ora e chiudono in
territorio negativo per le turbolenze del mercato del credito,
snobbando tra l'altro il dato sul Pil del secondo trimestre
migliore delle attese. Il Dow Jones termina in calo
dell'1,54% (a 13.265,47 punti, il Nasdaq perde l'1,43% (a
quota 2.562,24), mentre lo Standard & Poor's 500 si
attesta a 1.458,95 punti (-1,60%). E' stata la peggiore
settimana di oltre 4 anni, cioe' dalla settimana che fini' il
28 marzo 2003: il Dow Jones ha perso negli ultimi 5 giorni
-4.2%. Il Nasdaq Composite incassa un -4.6%. Peggio di tutti
il benchmark S&P500 con -5.0%. A fine seduta il
volume di scambio e' stato di 2.2 miliardi di pezzi passati di
mano al New York Stock Exchange e di 2.7 miliardi al Nasdaq.
I titoli in ribasso
hanno battuto quelli in rialzo per 2 a 1 al Nyse e per 11 a 5
al Nasdaq. Da giovedi', dopo la forte pioggia di vendite che
ha visto il Dow Jones chiudere con una perdita di 311.5 punti,
i listini stanno continuando a cedere terreno pressati da un
mix di elementi negativi che vanno dalla crisi dell’industria
del credito alle deludenti trimestrali comunicate dalle
societa’ costruttrici, dai cattivi dati macro sul comparto
immobiliare, al rialzo del greggio oltre i $77 al barile.
I timori di una gelata dell'intero settore hanno
scosso le borse mondiali sulle attese di una frenata delle
operazioni di acquisizioni e di cessioni a causa del rischio
di un 'credit crunch', cioé carenza di liquidità sui mercati.
Infatti il fondo neo-quotato di private-equity Blackstone
Group LP (BX) e' arretrato venerdi' in una sola seduta -5.45%,
ed e' giu' di circa -20% dall'Ipo avvenuto poche settimane fa.
Ad accentuare il pessimismo, Cadbury Schweppes (CSG)
rinvia la scadenza per la vendita di 7Up e Dr Pepper, e delle
restanti attività statunitensi nel settore delle bevande, a
causa della 'estrema volatilita' del mercato del credito.
Oltre a Cadbury, altri segnali giungono ad esempio dal
private equity Kohlberg Kravis Roberts, che oltre a congelare
il piano di quotazione, non riesce a trovare finanziatori
disposti a sottoscrivere bond per 10 miliardi di dollari per
l'acquisizione di Alliance Boots. I fondi proprietari della
catena inglese di negozi di abbigliamento New Look Group, poi,
rinviano un progetto di rifinanziamento del debito della
società. L'intera seduta e' stata contrassegnata da nuovi
Rumors sulla possibile crisi di parecchi hedge funds, il che
ha amplificato l'effetto "fuga verso la qualita'" da parte
degli investitori, verso i Treasuries e fuori dall'azionario,
come e' accaduto per tutta la settimana. "Sarebbe soprendente
se non ci fossero hedge funds in crisi, visto il recento
aumento della volatitilita'", dice un broker del New York
Stock Exchange. Uno dei nomi che si fanno con maggior
insistenza e' quello dell'hedge fund australiano Basis
Capital. A soffrire di più, proprio per questo motivo,
sono stati i titoli finanziari e assicurativi come Citigroup
(C) (-1,76%), American Express (AXP) con -2.8%, American
International Group (-1,89%) e soprattutto Fannie Mae (-2.0% a
59,39) che guida i ribassi per il secondo giorno di fila
accusando le più forti perdite dal 2005. In un primo tempo,
gli indici hanno oscillazioni tra modesti ribassi e cauti
guadagni, alla luce dell'accelerazione del Pil Usa. Nel
secondo trimestre si è registrato un tasso di crescita del
3,4%, il ritmo più veloce da oltre un anno (dal +0,6% del
primo trimestre), mentre appaiono in rallentamento i prezzi al
consumo. L'indice, calcolato all'interno della statistica sul
Pil, è salito del 2,7%, rallentando rispetto al +4,2% dei tre
mesi precedenti, contro la stima degli analisti di un +3,4%.
L'indice 'core' - calcolato al netto dei prodotti alimentari
ed energetici e monitorato con particolare attenzione dalla
Federal Reserve - ha segnato un rialzo dell'1,4%, il più basso
dal 2003. Tra i singoli titoli, vanno male soprattutto
quelli di società al centro dei Rumors su possibili scalate
ostili che ora, invece, potrebbero sfumare. Così vanno giù
Marsh & McLennan (-4,22%), Wyndham Worldwide (-3,4% a
33,76 dollari). In controtendenza Ford Motor (F) (+1,73%)
premiata dall'upgrade a 'neutral' da 'sell' espresso da
Merrill Lynch dopo che la casa automobilistica ha chiuso per
la prima volta un trimestre in utile dopo sette trimestri di
conti in rosso. Sugli altri mercati, i futures del greggio
si sono impennati fino a $77.02 al barile, il livello piu'
alto dalla meta' di agosto del 2006. Il contratto e' salito
2.8% nella sola seduta di venerdi'.
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Orsi e tori
come investire nel prossimo semestre
03 Luglio 2007 Milano - di WSI
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Su una sola previsione i guru di
Wall Street sono d'accordo: la seconda metà dell'anno continuerà ad
essere molto volatile, con forti oscillazioni su e giù degli indici
azionari americani. Del resto i motivi per scatenare
un'altalena di emozioni abbondano: il mercato delle compravendite di
case continua a calare, in termini sia di volumi sia di prezzi, ma
non c'è stato il crollo che molti temevano. Sono saltati due
hedge fund di Bear Stearns che speculavano sui mutui immobiliari
sub-prime (concessi ai creditori poco affidabili), ma sono stati
salvati da Merrill Lynch e non si è verificato un effetto domino. Il
fondo di private equity Blackstone si è quotato in Borsa senza
entusiasmare, segnando secondo i critici la fine del boom delle
fusioni ed acquisizioni, ma la liquidità globale di capitali a
caccia di affari continua ad essere molto elevata. La fiducia dei consumatori è scesa
ai minimi degli ultimi dieci mesi, ma i posti di lavoro e gli
stipendi continuano a crescere e a sostenere i consumi. È schizzato
all’insù il prezzo del latte e della benzina, ma l'inflazione core ,
quella considerata importante dalla Federal Reserve (banca centrale
Usa) resta mite. I tassi di interesse sono un po' risaliti, ma
rimangono a un livello storicamente basso. L'economia americana è
rallentata, ma i profitti delle società quotate continuano ad
aumentare, battendo le stime degli analisti. Ma la
volatilità non è solo negativa, ha spiegato Bob Doll, responsabile
globale degli investimenti azionari della società di gestione
BlackRock, facendo il punto di metà anno delle sue previsioni 2007.
Doll crede che nei prossimi
mesi non arriverà l'Orso, ma la Borsa crescerà meno del primo
semestre. «Sarà una fase ragionevolmente costruttiva, dove le azioni
americane saranno sempre più attraenti delle obbligazioni —
ha continuato il supergestore di BlackRock —, però per sfruttarla
bisogna scegliere i titoli giusti: quelli di grandi aziende, con
solidi bilanci e molto legate all'economia globale, che sta
crescendo a un ritmo doppio di quello Usa». Proprio la domanda degli
altri Paesi sta alimentando un boom delle esportazioni dagli States,
con un impatto positivo sui conti americani superiore al peso
negativo della crisi immobiliare, secondo Doll. Gli piacciono quindi
le multinazionali, le cui quotazioni sono ancora basse rispetto al
loro valore. Più cauto
ancora è Sam Stovall,
capo delle strategie d'investimento dei servizi di ricerca di
Standard&Poor's, secondo cui il rally primaverile di Wall Street
è dipeso in larga parte dalla corsa degli investitori per «non
perdere il treno» e non da motivi fondamentali. Questi ultimi invece peseranno
sulla seconda metà dell'anno: il rincaro dei prezzi
petroliferi, il non taglio dei tassi della Fed, le difficoltà del
mercato immobiliare e la netta decelerazione dei profitti aziendali,
che secondo le stime S&P nel secondo trimestre 2007 cresceranno
solo del 5,9% rispetto allo stesso periodo 2006, tutto questo
insieme farà sì che l'indice
S&P500 chiuderà l'anno poco sopra quota 1.500. «Per
riuscire ad ottenere performance positive nei prossimi mesi, è
meglio sovrappesare i titoli dei settori con un flusso di profitti
più stabile e prevedibile, come quelli del business della salute e
dei beni di largo consumo», raccomanda Stovall. Di tutt'altro parere è Tobias
Levkovich, responsabile delle strategie azionarie Usa di Citi,
pronto a scommettere che un'altra volta le società americane
stupiranno gli analisti, pubblicizzando profitti più alti delle
previsioni per il secondo trimestre 2007.
«Dopo lo scivolone di fine febbraio
causato dalla paura della bolla cinese, uno dei fattori trainanti
del rialzo di aprile-maggio era stata la forza dei profitti del
primo trimestre, cresciuti del 9,5% rispetto allo stesso periodo del
2006, molto più del consenso degli analisti su un magro +3,2% —
ricorda Levkovich —. Gli analisti avevano abbassato le stime,
anticipando un impatto negativo della crisi della casa e dei mutui
sub-prime , che non si è verificato. Credo che continuino a
sbagliare anche sul secondo trimestre, sottovalutando i benefici sui
conti aziendali di un dollaro debole e della forte domanda estera».
Così secondo Levkovich Wall
Street continuerà a salire chiudendo l'anno con l'indice S&P500
a 1.600 punti, e andranno particolarmente bene i settori su
cui oggi prevale il pessimismo, le banche e i beni non di largo
consumo, in particolare i media e le catene di negozi di
abbigliamento o altri generi discrezionali». Su quest'ultimo
comparto invece è decisamente scettico Brian Belski, strategist di
Merrill Lynch sui settori della Borsa Usa, che gli ha dedicato il
suo ultimo report e che raccomanda di dargli un peso neutrale
all'interno di un portafoglio azionario. Fra i dieci sottosettori
dell'indice S&P500, da inizio anno quello dei beni non di largo
consumo ha realizzato la seconda peggior performance, +2,4% (meno
bene hanno fatto solo i titoli finanziari con una perdita
dell'1,2%). L'inflazione non core che comprende i prezzi alimentari
ed energetici e che non è considerata dalla Fed per le sue
politiche, pesa però nelle tasche degli americani e spiega il calo
dei loro consumi non di base, secondo Belski. L'analista di Merrill
Lynch suggerisce quindi di preferire i titoli di settori con un
business più stabile, come la salute e i beni di largo consumo,
oppure favoriti dalla domanda che viene dagli altri Paesi in boom
economico, come i titoli industriali.
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Fonte - Corriere della
Sera |
Borse
volatili ma sempre
su
04
Luglio 2007 Milano - di
Edoardo Montalbano ________________________________________
L’occasione è di quelle da non
perdere. L’incontro con la comunità finanziaria italiana di Helmut
Kaiser, global chief investment strategist di Deutsche Bank Pwm, la
divisione dedicata ai clienti privati. Un colosso che a livello
mondiale gestisce asset per oltre 170 miliardi di euro. Il messaggio
di Kaiser è chiaro: «Il rialzo dei mercati azionari
non è finito, c’è solo da gestire la volatilità. Rispetto ai massimi
2000, la situazione è diversa, perché globalizzazione e liquidità
guidano le Borse. In particolare, gli utili sono in crescita,
l’inflazione è contenuta e i multipli borsistici sono inferiori alla
media storica».
Insomma quasi una cuccagna.
L’unica differenza, rispetto ai mesi precedenti, è la necessità di
un’attenta gestione del rischio. «Le quotazioni azionarie -
sottolinea Giorgio Mascherone, direttore investimenti per i clienti
privati di Deutsche Bank in Italia - pur mantenendo un equilibrio in
rapporto agli utili e alle medie storiche, stanno crescendo da oltre
quattro anni. Il p/e dei titoli quotati sul Dax è 13,2, contro 30,8
del marzo 2000 e una media a lungo termine di 15,6. In più le
politiche monetarie in Europa, Stati Uniti, Cina ed Europa stanno
mettendo i listini sotto pressione, aumentando la loro volatilità».
In particolare, per le
prossime settimane è attesa un’ulteriore correzione delle Borse, che
dovrebbero riprendere la corsa in autunno. La stima è di una
performance dell’8-12% nei prossimi 12-18 mesi. Dopo l’estate, ci dovrebbe essere
un rafforzamento delle operazioni di private equity e degli M&A.
Questa spinta ai listini dovrebbe arrivare in un contesto in cui non
sono cambiate le condizioni che hanno trainato l’azionario in questi
anni. A livello mondiale gli utili dovrebbero crescere a
tassi sostenuti: +9,4% nel 2007 e +10,1% l’anno successivo, grazie a
una domanda elevata, supportata dalla crescita globale, a ulteriori
guadagni in termini di produttività e a un uso più intensivo
dell’indebitamento, nonostante l’aumento del costo del denaro. «Il
listino di Francoforte - ricorda Kaiser - ha ancora grandi
potenzialità, nonostante sia cresciuto del 20% da inizio anno. A
differenza degli altri maggiori Paesi europei, la Germania può
contare su un basso costo del lavoro. Inoltre, i gruppi quotati sul
Dax hanno dimostrato di sfruttare meglio di altri il boom di Asia ed
Est Europa, come dimostrano i dati sull’export. Tra i settori su cui
puntare healthcare, infrastrutture e costruzioni». Giudizio negativo
sull’obbligazionario, anche se ora i bond statunitensi rendono più
del 5% e i governativi tedeschi oltre il 4,5 per cento. «I
rendimenti - sottolinea Kaiser - continueranno a crescere fin quando
non terminerà la stretta sui tassi da parte delle Banche centrali.
Nel frattempo le quotazioni dei bond si manterranno vulnerabili».
La preferenza degli analisti va poi verso i titoli di Stato,
dato che per i corporate il premio al rischio è troppo contenuto. Al
fine di stabilizzare il livello di volatilità Kaiser suggerisce di
aumentare la componente degli investimenti alternativi e delle
commodity. Tra le materie prime, la preferenza va, in primo luogo,
verso i prodotti agricoli come il grano e il mais così come i
metalli industriali hanno ottime prospettive di crescita, grazie
alla domanda elevata e a un’offerta limitata e poco
flessibile.
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Fonte - Borsa &
Finanza |
La
prudenza
degli ottimisti 12
Luglio 2007 Milano - di Marco Caprotti ______________________________________________
Le Borse mondiali rallentano in attesa di
settembre. La situazione macro, dicono gli operatori, è
positiva ma è bene essere cauti. La crisi dei subprime,
infatti, sta minando il sistema creditizio Usa. Cina e India,
intanto, viaggiano a due velocità.
I listini mondiali
tirano il fiato. Dopo aver guadagnato, secondo l’indice Msci
globale, quasi il 50% in tre anni, nell’ultimo mese (fino al
12 luglio e calcolato in euro) hanno perso l’1%. Niente di cui
allarmarsi, dicono gli analisti. Si tratta, aggiungono, di una
correzione attesa. E’ il risultato delle grandi pulizie che
vengono effettuate nei portafogli per prepararsi a settembre
quando l’operatività riprenderà a pieno regime. La situazione
macroeconomica, come dimostrano anche le strette di alcune fra
le maggiori banche centrali, del resto è buona, anche se gli
esperti consigliano di agire con prudenza. Non mancano,
infatti, elementi preoccupanti che, se dovessero sfuggire di
mano, cambierebbero completamente il quadro.
Stati
Uniti E’ il mercato che, al momento, desta le maggiori
preoccupazioni. La crisi dei mutui cosiddetti subprime (quelli
dedicati alle persone meno abbienti) sta scuotendo le fino ad
oggi solide fondamenta del sistema creditizio della prima
economia mondiale. Il tasso di insoluti (quello che in America
definiscono delinquencies) ha raggiunto il livello massimo
degli ultimi 10 anni. Un colosso come Bearn Stearns il mese
scorso ha dovuto pompare 1,6 miliardi di dollari in un suo
fondo che vendeva prodotti legati ai subprime. A questo si
unisce il rallentamento del comparto immobiliare che, dicono
gli economisti, inevitabilmente diminuirà la capacità di spesa
degli americani.
In una situazione del genere, la
Federal Reserve in controtendenza rispetto alle Banca centrale
europea e a quella inglese, potrebbe decidere di tagliare il
costo del denaro per consentire alle aziende di ricorrere più
facilmente ai prestiti e tornare a investire. Magari
attraverso una nuova ondata di fusioni e acquisizioni che,
fino ad ora, sono state finanziate principalmente dai fondi di
private equity. Nel frattempo il dollaro ha raggiunto i minimi
contro l’euro e, secondo alcune previsioni, entro fine anno
potrebbe perdere il 5% contro lo yen arrivando a 116.
Europa Fusioni e acquisizioni continuano ad essere i
motori delle Borse del Vecchio continente. Il momento è caldo
soprattutto nel comparto minerario che, grazie anche alla
corsa delle materie prime, sta assistendo a un vero e proprio
boom. Gli ultimi rumor – che peraltro si rincorrono da tempo –
riguardano il matrimonio fra Bhp Billiton e Xstrata. Le nozze,
spiegano gli operatori, sono inevitabili se le due società
vogliono competere con il colosso che nascerà dalla fusione
fra Rio Tinto e la canadese Alcan (un’operazione da oltre 38
miliardi di dollari).
Più in generale alcuni analisti
sottolineano che il mercato azionario europeo è a sconto
rispetto alla piazza finanziaria americana e continua ad
essere un porto sicuro per la grande liquidità a disposizione
degli investitori mondiali. Fra i titoli più interessanti gli
esperti segnalano quelli energetici. I primi sono quelli
petroliferi trainati dal un barile che settimanalmente macina
nuovi record e sembra intenzionato a tenersi al di sopra dei
76 dollari.
Ma il momento è buono anche per le utility
e per le società che per queste lavorano. La francese Alstom,
terzo produttore mondiale di impianti di potenza, nel primo
trimestre fiscale ha registrato un fatturato in crescita del
27% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente.
Merito ha spiegato il management, dei grandi investimenti che,
soprattutto in Europa, vengono fatti nel comparto elettrico.
Cina e India Il boom cinese non dà segni di cedimento.
Non a caso gli investimenti stranieri nel “Regno di mezzo” nel
primo semestre di quest’anno, secondo i dati del Ministero del
commercio sono aumentati del 12,2%. Le aziende straniere che
hanno impianti sul suolo cinese ormai contribuiscono per metà
dell’export (che in tutto vale quasi 970 miliardi di dollari)
e ai quasi 27 miliardi di dollari di surplus.
L’economia nel primo trimestre dell’anno è cresciuta
dell’11,1% facendo aumentare gli stipendi del 19,5% nelle
città e del 15,2% nelle zone rurali. I comparti più
interessanti su cui investire, spiegano gli analisti sono
quelli dell’abbigliamento, della telefonia cellulare e dei
computer. Ma più in generale interessa la grande
distribuzione. Il colosso giapponese del settore Aeon, per
esempio, ha annunciato che nei prossimi cinque anni, investirà
l’equivalente di due miliardi di dollari per aprire
supermercati che facciano concorrenza a Wal-Mart e Carrefour.
Battuta d’arresto, invece, per l’India l’altro grande
Paese emergente di questi anni. I numeri, comunque, farebbero
la felicità di qualsiasi governo. La produzione industriale, a
maggio, è cresciuta dell’11,1% contro il +12,4% segnato ad
aprile e atteso dagli economisti. Colpa dei tassi di interesse
che sono arrivati al livello più alto degli ultimi cinque anni
e che stanno riducendo la domanda per prodotti made in India.
Le esportazioni, tuttavia, sono cresciute di un
rispettabilissimo 18%. Il mese precedente, il progresso era
stato del 23%. Tutto questo avrà un impatto sulla congiuntura.
Per quest’anno (che si chiuderà il 31 marzo 2008) la banca
centrale indiana si attende un’espansione economica dell’8,5%,
contro il 47% segnato nel 2006.
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ALLE
BORSE NON BASTANO I RECORD 13 Luglio 2007 08:49 MILANO - di Marco Caprotti ______________________________________________
Settimana difficile per le piazze finanziarie
mondiali. Gli indici Msci regionali restano tutti intorno a
quota zero. I livelli storici fatti segnare da Wall Street,
dal Giappone e dall'euro non bastano a cancellare le
preoccupazioni legate agli Usa.
Ce l’hanno messa tutta
le Borse per regalare agli investitori una settimana
memorabile: ribassi improvvisi, rialzi da record, euro ai
massimi storici e petrolio a prezzi stellari. Ma, alla fine,
il bilancio dell’ottava è stato pressoché deludente: l’indice
Msci mondiale dopo cinque sedute da cardiopalma, ha segnato un
misero +0,1%.
Le quotazioni da Guinnes fatte segnare
da alcuni dei maggiori listini, infatti, sono riuscite a
ridurre ma non a compensare le perdite delle giornate
precedenti. Gli alti e bassi a cui stiamo assistendo in questi
giorni, spiegano gli operatori, sono il segnale di un mercato
nervoso che reagisce con eccessi di entusiasmo o di
disperazione alle notizie finanziarie e macroeconomiche.
Stati Uniti L’indice Msci del Paese nell’ultima
settimana ha guadagnato lo 0,3% a dispetto anche della seduta
di giovedì in cui il Dow Jones è arrivato al record: 13.861,73
punti con un balzo che non si vedeva da cinque anni. E’ stata
spazzata quindi in un colpo solo la paura dei subprime (i
mutui per le persone meno abbienti) che ha fatto tremare il
sistema finanziario americano? No, anzi. Il colpo di reni,
come ampiamente riportato dai giornali, è dovuto
all’esplosione dell’uso dei derivati.
Con questi
strumenti gli investitori si assicurano contro il crollo dei
titoli tradizionali come azioni e obbligazioni. Una scelta
forzata, quindi, per salvare i portafogli dall’effetto
subprime. A questo si sono aggiunte le nuove operazioni di
fusione e acquisizione che continuano a essere l’argomento
principe delle piazze finanziarie.
Dal punto di vista
macroeconomico, invece, il quadro assomiglia a un puzzle
incompleto. I risultati di settimana scorsa sulla
disoccupazione (ai minimi) e quelli positivi di Wal-Mart a
giugno (vendite in aumento del 2,5%. Il colosso della grande
distribuzione viene considerato un termometro dello stato di
salute dell’economia Usa) dimostravano una situazione
congiunturale buona.
Poi sono arrivati i dati del
Dipartimento del commercio sulle vendite al dettaglio: -0,9% a
giugno contro il +1,5% del mese precedente. In pratica, il
dato peggiore degli ultimi due anni. Il prezzo del petrolio,
spiegano gli economisti, ormai sopra 76 dollari al barile, sta
svuotando le tasche degli americani più di quanto ci si
aspettasse. Le prossime mosse delle Federal Reserve, quindi,
tornano ad essere un’incognita.
Europa L’indice Msci
dell’area nell’ultima ottava ha guadagnato lo 0,6%. Qui le
prospettive di crescita sono meno oscure rispetto agli Usa.
Eurolandia cresce (+0,7% a giugno, meglio delle previsioni) e,
dicono gli economisti, non dovrebbe avere difficoltà a
raggiungere il +2,5% atteso dalla Banca centrale europea (Bce)
per fine anno.
La moneta unica ai massimi storici
contro dollaro (1,38) non avrà impatti significativi sulle
esportazioni. I cinesi, con i loro stipendi sempre più alti,
ci tengono troppo ad avere prodotti made in Europe per
preoccuparsi di pochi centesimi di differenza fra le due
maggiori valute mondiali.
Resta, incombente, il
pericolo inflazione. La Bce tuttavia continua a vigilare e ha
già promesso una stretta fra settembre e ottobre se la
situazione dovesse surriscaldarsi. Magari per colpa del prezzo
del petrolio che, tuttavia, fa bene ai titoli delle società
energetiche. La domanda, inoltre, l’anno prossimo dovrebbe
essere in crescita.
L’altro tema forte delle Borse
europee sono state le altre commodity. La richiesta di materie
da parte dei Paesi emergenti, infatti, non accenna a
rallentare. Le fusioni e acquisizioni che si celebrano in giro
per il mondo, infine, hanno portato una ventata di ottimismo
anche nel Vecchio continente.
AsiaL’indice Msci della
regione nell’ultima settimana ha perso lo 0,8%. Eppure anche
lì sono stati registrati dei record. Nella seduta di venerdì
il listino ha guadagnato l’1,4%: il salto più alto registrato
dal 7 maggio. Il Giappone, invece, è volato ad altezze che non
raggiungeva da sette anni.
Anche in questi casi sono
servite le operazioni di merger & acquisition annunciate
e, forse ancora di più, quelle che il mercato si attende. La
situazione, però, in generale resta quella che è emersa nelle
ultime settimane. L’Asia, a dispetto dei miglioramenti a
livello di corporate governance e risultati societari, viene
ancora considerata una piazza pericolosa per investire.
Soprattutto quando non si capisce cosa sta succedendo negli
Stati Uniti che rappresentano il principale mercato di sbocco
per le merci prodotte nella regione.
La liquidità che
arriva fino alla regione è principalmente composta dai dollari
dei Paesi produttori di petrolio, fra i pochi investitori che,
in questo momento, se la sentono di fare scommesse nella zona.
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Sabato
28 luglio 2007 |
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Sabato
28 luglio 2007 |
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Domenica
29 luglio 2007 |
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Fed: Bernanke, Da Crisi Mutui Perdite, Fra
50 e 100 Mld Dlr 19
Luglio 2007 Roma - di ANSA ______________________________________________
Secondo il presidente della
Fed, l'impatto del calo dei prezzi immobiliari sulla spesa per
consumi non sarà molto grande. E, sempre sul fronte
della crisi dei mutui, la Fed sta valutando alcune misure per
aumentare la trasparenza a favore dei consumatori. La banca
centrale - ha spiegato - ha messo sotto osservazione le
penalità che le banche infliggono a chi chiede di estinguere
un mutuo in anticipo, che non sembrano essere nell'interesse
dei consumatori. Stesso discorso per le politiche delle banche
un po' troppo lassiste nel concedere mutui troppo
facili. Bernanke è anche tornato a commentare l'andamento
dei prezzi: c'é la possibilità - ha detto che l'inflazione
torni a salire, e l'andamento attuale continua ad essere
superiore a quello c he la Fed vorrebbe, con alcune variazioni
mensili dei prezzi piuttosto "fastidiose".
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Fonte -
ANSA |
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Borse: é l'ora dei tre fantasmi
?
23 Luglio
2007 Milano - di Giuseppe Turani
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Sono tre i fantasmi che in questo
momento inquietano il sonno dei broker, ma che domani potrebbero
inquietare quelli di tutti noi: il Pil americano, l´inflazione, e un
eventuale crollo delle Borse.
Il primo fantasma, il Pil degli
Stati Uniti, potrebbe
già manifestarsi con tanto di lenzuolo bianco e corse nei
corridoi dei castelli finanziari, già venerdì prossimo, il
27. In quella data, infatti, sarà reso noto l´andamento del
Pil americano nel secondo trimestre e gli esperti non sono per
niente ottimisti. Temono
che si tratti di un dato brutto, molto brutto, che documenti
l´attuale fase di rallentamento (per non dire di peggio)
dell´economia di Oltre Atlantico, al di là di qualche buon numero
uscito qui e là. Se il dato di venerdì sarà davvero brutto, allora
il dollaro non potrà rimanere sui livelli attuali. Il mercato
sospetterà (con qualche ragione) che alla fine la Federal Reserve
non riuscirà a resistere alle pressioni e taglierà i tassi per
impedire il collasso dell´economia su cui governa. Vedere la banca
centrale americana che taglia il costo del denaro in presenza di
un´inflazione non ancora domata non è cosa di tutti i giorni, ma ci
stiamo avvicinando a agosto e tutto può succedere. Ma tagliare i
tassi in America significa spalancare la strada perché l´euro voli a
quota 1,40 contro il dollaro. E questo potrebbe avere una doppia
conseguenza: fuga da New York in massa e difficoltà nel sistema
produttivo europeo. Sul
primo punto c´è poco da dire. Di fronte a tassi che calano e di
fronte a un dollaro in caduta libera tutti i capitali caldi del
mondo sceglieranno di scappare e di andare a rifugiarsi su monete
ritenute in quel momento in crescita (tipicamente l´euro).
Ma un euro troppo forte (e di solito quota 1,40 è
considerata una specie di barriera, in proposito) finirà per creare
difficoltà crescenti all´economia europea, ancora molto legata alle
esportazioni. Insomma, il fantasma che venerdì potrebbe alzarsi in
volo e svolazzare sui mercati e un fantasma che rischia di regalarci
tanto una tempesta monetaria quanto una doppia semi-recessione (o
comunque una forte frenata) su entrambe le sponde dell´Atlantico.
Potrebbe avere l´effetto, cioè, di spegnere due delle più grosse
economiche del mondo. A quel punto a tirare resterebbe solo (forse)
l´Asia. Come si vede, il primo fantasma, che fino a venerdì prossimo
se ne starà chiuso nel suo armadio in America, è di quelli capaci di
creare molti, moltissimi danni.
Il secondo è rappresentato
dall´inflazione. Per
ora si tratta di un soggetto che non ha ancora creato danni
evidenti, ma se ne sta nell´ombra, pronto a alzarsi in volo al
minimo "rumore" (guerre, incidenti). Basti pensare a quello che
potrebbe accadere se, come qualcuno dice, il petrolio dovesse volare
sul serio a 100 dollari al barile. E si sa che le banche
centrali di tutto il mondo non hanno nessuna voglia di scherzare con
l´inflazione. La Banca centrale europea è già da tempo su un
sentiero (percorso con molta decisione) di rialzo dei tassi di
interesse. Se l´inflazione dovesse accelerare, questo percorso
verrebbe fatto di gran lena. I governi europei potrebbero
protestare, ma per ora la Bce ha tutti i poteri necessari per
bloccare l´inflazione, e quindi aumenterebbe ancora di più il costo
del denaro. E anche la Federal Reserve negli Stati Uniti non
starebbe a fare molte storie: di fronte all´inflazione le banche
centrali hanno dei riflessi ormai condizionati, automatici.
Aumentano il costo del denaro e sia quello che sia. Insomma, il
ripresentarsi dell´inflazione (che per ora è solo un fantasma)
provocherebbe il quasi automatico rialzo dei tassi di interesse
negli Stati Uniti e in Europa, con conseguente botta in testa alle
due economie, che finirebbero se non in recessione, certamente fuori
strada. L´America già non se la passa benissimo, e l´Europa se la
cava appena. Un aumento nel costo del denaro taglierebbe le gambe a
tutte e due. In America si avrebbe, in quel caso, una vera e propria
recessione, in Europa una grande frenata.
Rimane l´ultimo fantasma, quello
di un eventuale crollo delle Borse. Anni fa sarebbe stato un vento
abbastanza limitato ai mercati finanziari e ai broker, ma ormai
l´economia mondiale si è molto legata alla finanza, e un crollo dei
mercati (determinato da quel che si è detto fin qui) finirebbe per
avere conseguenze anche sul sistema produttivo e sulle
industrie. D´altra parte, finora le Borse hanno corso come
invasate perché immerse in un´economia mondiale che sta
attraversando un periodo "miracoloso" che ormai dura da cinque anni
e che, fantasmi a parte, potrebbe durare almeno altri cinque. Con
utili in aumento e nuovi mercati che si aprono ogni giorno. Se
tutto questo dovesse finire perché i tre fantasmi decidono di
alzarsi in volo tutti insieme (o anche separatamente) per i mercati
e l´economia si tratterebbe della più grande doccia fredda mai
vista. Non assisteremmo più alla fuga da New York di cui si diceva
all´inizio,ma assisteremmo più semplicemente alla fuga da tutto. Al
disordine globale.
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Fonte - La
Repubblica |
Il castello di carta dei mutui
americani
29 Luglio 2007 Milano - di Giuseppe
Turani ________________________________________
In questo momento le Borse hanno
più di un motivo per essere inquiete. Tanto per cominciare non è
ancora ben chiaro che cosa sta accadendo all´economia americana. Gli ultimi dati resi noti dicono
che va bene, ma si tratta di numeri relativi alla situazione di
qualche mese fa. E i
dubbi rimangono per quanto riguarda il futuro. Ma le Borse,
si sa, guardano appunto avanti, non indietro. Inoltre, i mercati corrono ormai
da qualche anno, praticamente senza interruzioni. E un po´ tutti
sono convinti che avrebbero dovuto fermarsi già da tempo. Ma
vanno avanti perché nel mondo c´è una montagna di liquidità che non
sa bene dove andare a sbattere la testa. Tutti, però, sanno che stanno
camminando un po´ sul filo del rasoio. Da qualche tempo c´è, comunque, un
elemento in più di inquietudine: si tratta dei prestiti
sub-prime. In termini meno tecnici si può dire che sono
prestiti immobiliari fatti alla clientela meno sicura, cioè quella
un po´ più a rischio. Una volta una questione del genere sarebbe
rimasta confinata dentro alle banche erogatrici del prestito. Ogni
istituto fa le sue scelte e può capitargli di dare del denaro anche
a clienti non molto affidabili. Di solito si garantisce con
ipoteche, fideiussioni e altro. Insomma, sono faccende che
riguardano la banca e il suo modo di gestire gli affari. Può anche
succedere che qualche somma non ritorni indietro perché il cliente,
alla fine, risulta insolvente. In questo caso la banca ha le sue
ipoteche e, nella peggiore delle ipotesi, ha i suoi fondi di
garanzia, le sue riserve. E´ attrezzata, per dirla con poche parole,
per affrontare anche le perdite su prestiti. Ma da qualche tempo le
cose non sono così semplici. Sono cambiate e sono cambiate in un
modo che, oggi, spaventa i mercati.
Il meccanismo del credito
immobiliare (ma anche quello commerciale o per i private equity)
funziona in un modo diverso. La banca eroga il credito a clienti di
varia natura, poi «impacchetta» questi stessi crediti in
obbligazioni e vende il tutto. Chi compra questi obbligazioni,
riceve in cambio una cedola (dei dividendi, grosso modo), che
vengono finanziati con il pagamento dei debiti dei clienti. In
termini ancora più chiari. La banca dà un milione di euro al signor
Rossi per comprarsi una casa. Poi trasforma il milione dato al
signor Rossi (e altri cento prestiti analoghi a altrettanti signori
Rossi) in obbligazioni che vengono vendute a qualche Fondo di
investimento. Mano a mano che i signori Rossi restituiscono i soldi,
il Fondo ha i soldi per dare un dividendo a quelli che hanno
comprato le quote di quello stesso Fondo.
Il meccanismo è ingegnoso. In
questo modo, infatti, le banche liberano i loro conti dal peso dei
prestiti fatti. Questi stessi prestiti, attraverso il meccanismo
appena descritto, sono stati «venduti» a altri, cioè al mercato. In
genere, a dei Fondi, i quali hanno poi venduto loro quote alla
clientela minuta. Le banche, quindi, hanno i loro bilanci
liberi e possono ricominciare il gioco. L´aspetto interessante
di questo meccanismo (di uso crescente e ormai quasi universale) è
che quello che una volta era il «rischio bancario» (prestare soldi
alla gente, che può restituirli oppure no) viene trasferito al
mercato, cioè a noi. Se i vari signori Rossi non pagano le rate del
mutuo, questo non è più un problema della banca (che ha «venduto»
l´operazione), ma del Fondo che l´ha comprata e dei clienti che
hanno comprato le quote di quel Fondo.
Il secondo aspetto interessante (e
inquietante) del meccanismo è che noi, cittadini-sottoscrittori del
Fondo, non siamo delle banche, non abbiamo fondi di garanzia, non
abbiamo riserve, non abbiamo un patrimonio accumulato negli anni e
messo lì apposta per far fronte alle eventuali insolvenze. Se
qualcosa va storto, se ci accorgiamo che il mercato dei prestiti
immobiliari comincia a fare acqua, ci spaventiamo (giustamente) e il
nostro unico desiderio è quello di esserci coinvolti il meno
possibile. E quindi cominciamo a vendere. Non abbiamo altra
possibilità. E le Borse scendono (anche i gestori dei Fondi
vendono).
Ecco, oggi ci troviamo esattamente
a questo punto. Il mercato dei prestiti immobiliari sub-prime, in
America, mostra segni di debolezza (per non dire di peggio), e la
platea dei piccoli risparmiatori (che vi è coinvolta, suo malgrado)
mostra segni crescenti di nervosismo. Come dice qualche esperto, può
trattarsi solo di un temporale estivo. In qualche modo, magari, la
falla dei prestiti sub-prime verrà arginata e il meccanismo andrà
avanti. Ma potrebbe anche non essere un temporale estivo, e potrebbe
trasformarsi in qualcosa di assai più pericoloso. Per ora
nessuno è in grado di dirlo. Intanto, le Borse hanno preso le loro
prime legnate, e non è affatto detto che siamo le ultime. Si vedrà
nei prossimi giorni.
Tutto quello che sappiamo, al
momento, è che, attraverso il meccanismo che abbiamo descritto
sopra, tutti noi (se abbiamo comperato quote di Fondi) siamo
coinvolti in qualche forma di prestito (immobiliare, commerciale o a
Fondi di private equity, o altro), pur non essendo delle banche. E
già questo dovrebbe farci un po´ di paura.
Fonte -
La Repubblica
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