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Venerdì 3 marzo 2006 |
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Venerdì 10 marzo 2006 |
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Venerdì 17 marzo 2006 |
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La Bce aumenta i tassi dello
0,25%
03 Marzo 2006 16:54 Milano - (di Alberto Susic) _______________________________________
La Banca Centrale europea nel corso della riunione
odierna ha deciso di alzare ulteriormente di un quarto di punto i tassi di
interesse, che salgono così al 2,5%, dopo il ritocco verso l'alto operato nel
meeting del primo dicembre. Si tratta
del secondo intervento da parte di Bruxelles nel giro di tre mesi, in seguito al
rialzo deciso a dicembre, quando i tassi erano saliti al 2,25%, dopo essere
rimasti fermi dal giugno del 2003 al 2%, il livello più basso dal dopoguerra.
La decisione odierna era stata già ampiamente
scontata dal mercato che di fatto aveva scommesso su intervento in questa
direzione, sulla scia non solo della positività mostrata dagli ultimi dati
macroeconomici dell'area euro, ma anche come naturale conseguenza dell'aumento
delle pressioni inflazionistiche negli ultimi mesi. Come sempre, gli operatori
hanno seguito da vicino e con interesse la consueta conferenza stampa tenuta dal
presidente del Board, Jean Claude Trichet, il quale ha illustrato i motivi della
decisione odierna, fornendo anche uno spaccato della situazione economica del
Vecchio continente.
Il
presidente dell'Eurotower ha dichiarato innanzitutto che, nonostante il rialzo
deciso oggi, i tassi di interesse si confermano ancora su livelli molto bassi e
la politica monetaria continua ad essere accomodante, aggiungendo che
l'attenzione sarà costantemente rivolta all'andamento della stabilità dei
prezzi.
Il numero uno della Bce non ha mancato di confermare
il suo ottimismo in merito al miglioramento dell'attività economica, per la
quale si prevedono forti tassi di crescita nel breve termine, ricordando però
che sull'attuale congiuntura continuano
a pesare i rischi al ribasso dovuti soprattutto all'andamento del prezzo del
petrolio e agli squilibri globali. Restano al rialzo invece quelli per
l'inflazione, che risentono di ulteriori rialzi dei prezzi del greggio, di una
più forte trasmissione di questi ai prezzi al consumo, di nuovi aumenti delle
tasse indirette e dei prezzi amministrati e, in particolare, dell'andamento dei
salari e dei prezzi più forti del previsto dovuti a effetti di secondo impatto
dei passati rialzi del petrolio.
Spostando lo
sguardo in avanti però, Trichet è convinto che vi siano tutte le condizioni
perché l'espansione economica nell'area euro possa andare avanti, ricordando a
tal proposito che la Banca Centrale ha rivisto al rialzo le stime di crescita
per il 2006 e il 2007, quando l'economia avanzerà ad un asso compreso tra
l'1,7% e il 2,5%, una forchetta che si allarga alla fascia compresa tra l'1,5% e
il 2,5% per l'anno prossimo. E' stato rivisto al rialzo però anche l'incremento
dell'inflazione, che dovrebbe salire tra l'1,9% e il 2,5% durante quest'anno,
passando al range tra l'1,6% e il 2,8% il prossimo.
Non a caso, il presidente
della Bce ha spiegato a chiare lettere che la decisione odierna di ritoccare
verso l'alto il costo del denaro, riflette proprio i rischi al rialzo per la
stabilità dei prezzi. Una mossa dunque inevitabile per contrastare i pericoli
crescenti sul fronte dell'inflazione, anche se, non è tanto quella odierna a
preoccupare il mercato, quanto gli interventi che potranno essere adottati in
futuro.
Come più volte accaduto in passato, Trichet non si è
sbilanciato oltre il dovuto in questo senso, sebbene abbia ribadito con forza la
filosofia e la strategia della Bce, dichiarando che saranno monitorati da vicino
tutti gli sviluppi e i dati che giungeranno nei prossimi mesi, pronti ad
intervenire per assicurare la stabilità dei prezzi. Pur riconoscendo di non aver
in programma ex ante una serie di rialzi dei tassi, Trichet non ha escluso la
possibilità di nuove strette monetarie, confermando in maniera diretta la
diversità della politica portata avanti da altre banche centrali, come nel caso
della Fed che invece sin dall'inizio aveva comunicato l'entità dei singoli
interventi.
Il mercato
da parte sua è già preparato ad un nuovo rialzo entro il prossimo mese di
settembre, ma il problema principale è quello di capire ora se questa sarà
davvero l'unica mossa del 2006, e soprattutto cercare di individuare la
dimensione della stessa. Un ritocco verso l'altro di un quarto di punto
in sostanza è già anticipato dalle quotazioni dell'Euribor, sebbene da questo
punto di vista non vi è alcuna garanzia, visto che il capo della Bce già in
passato aveva sottolineato come fosse sbagliato ritenere che la Bce possa
muovere la sua politica monetaria esclusivamente attraverso aumenti di un quarto
di punto per volta.

Fonte -
Miaeconomia.it
Attenti: parla la Boji
08 Marzo 2006 14:12 Milano _________________________
Sarà una due giorni dura, quella
che inizia oggi, per i membri della Banca centrale del Giappone (Boj).
Entro domani, infatti, l’Istituto centrale nipponico svelerà la sua futura
politica monetaria. E la decisione potrebbe scontentare molti: soprattutto
gli investitori internazionali e i politici locali.
La Boj negli ultimi anni ha tenuto i
tassi di interesse a zero e ha pompato liquidità nel sistema bancario
domestico cercando di risollevare l’economia nazionale dalla crisi
peggiore dal dopoguerra. La
cura da cavallo sembra finalmente funzionare. Il problema, fanno notare
alcuni osservatori è che se il Sol Levante ha battuto la deflazione (e
questa è un fatto ancora da verificare) adesso il rischio è di entrare in
una spirale inflativa. A preoccupare sono gli ultimi dati sulla
crescita dei prezzi al consumo, che a gennaio sono cresciuti dello 0,5%
rispetto allo stesso mese del 2005. A novembre e dicembre dell’anno scorso
il dato era aumentato dello 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2004.
Erano otto anni che non si vedeva una
crescita dei prezzi al consumo per tre mesi di fila. A questo punto, è la
paura di tutti, la Bank of Japan interverrà con una stretta sui tassi. Le
attese di una mossa del Giappone ha contribuito in questi giorni al
rallentamento dei mercati Usa: lunedì i rendimenti dei bond
governativi sono aumentati, mentre le azioni sono calate. Gli investitori
americani, insomma, hanno paura che gli aumenti dei tassi di interesse in
giro per il mondo (ieri è arrivata una nuova stretta anche dalla Banca
centrale canadese) spinga la Fed a fare lo stesso.
C’è poi l’aspetto politico. Il ministro
dell’Economia, Koru Yosano, ha già avvertito il governatore della Boj,
Toshihiko Fukui, di attendersi che in caso di un rialzo vuole «spiegazioni
chiare sulla politica monetaria e su quali siano le condizioni che
condizioneranno le imprese». La risposta e le eventuali spiegazioni
di Fukui, se ci saranno, sono attese per domani.
Fonte -
Finanza & Mercati
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Borse:
outlook positivo per Tokyo
15 Marzo 2006 20:46 Milano (di Sara Silano) ____________________________
*Sara Silano è
Caporedattore di Morningstar in Italia.
L’incertezza sulle mosse di politica
monetaria ha innervosito il mercato azionario a febbraio, facendo
oscillare più volte l’indice Nikkei sopra e sotto la soglia dei 16 mila
punti. La Borsa di Tokyo ha ritrovato slancio dopo la recente decisione
della Banca centrale del Giappone di porre fine alla fase
ultra-accomodante di tassi di interesse vicini allo zero, che è
durata cinque anni. Il listino dei principali titoli ha guadagnato quasi
il 3% nell’ultimo mese (al 13 marzo), analogamente all’Msci Japan.
L’aumento dei tassi sarà lento e
graduale. L’istituto centrale nipponico ha annunciato di volerli mantenere
ancorati allo 0,1% ancora per qualche mese, per posizionarsi poi su
livelli “molto bassi” per alcuni trimestri, prima di entrare in una fase
di aggiustamenti al rialzo. La decisione sancisce l’uscita dalla
politica anti-deflazionistica attuata negli anni scorsi per sostenere
l’economia, basata, oltre che su saggi di interesse quasi nulli,
sull’iniezione di liquidità nel sistema finanziario.
Il cambiamento di direzione da
parte della Banca centrale è legato alla ripresa economica in atto e
all’incremento dell’indice dei prezzi negli ultimi tre trimestri, dopo una
lunga fase di contrazione. L’obiettivo di inflazione è stato fissato tra
lo zero e il 2%, livello più basso rispetto ai Paesi occidentali. Nel
quarto trimestre, il Prodotto interno lordo è cresciuto dell’1,3%, a
conferma che il Giappone ha imboccato con decisione la strada della
crescita.
Nell’ultimo mese, la Borsa di
Tokyo ha alternato sedute di forti acquisti e prese di beneficio. Hanno
contribuito a generare volatilità le voci di movimenti societari, tra cui
le indiscrezioni su un possibile interesse della società internet Softbank
per la divisione giapponese di Vodafone e quelle della cessione della
partecipazione di General Motors in Suzuki. Inoltre, le società di
esportazione sono state influenzate dall’andamento altalenante dello yen
nei confronti di euro e dollaro, legato alle politiche monetarie delle
Banche centrali europea ed americana.
Secondo il sondaggio sui mercati
condotto da Morningstar la prima settimana di marzo, la Borsa nipponica
salirà nei prossimi sei mesi per il 62% dei gestori, percentuale in calo
rispetto ai mesi precedenti, ma che rimane nettamente superiore a quella
dei pessimisti (meno del 5%). Nel breve periodo i fund manager non
escludono volatilità e prese di beneficio, mentre nel medio periodo
prevale l’ottimismo in quanto la crescita economica è solida.
Il rialzo dei tassi di interesse è
considerato da alcuni operatori come una minaccia per il mercato
azionario. Altri, tra cui Henderson Global Investors, sostengono che,
mentre è chiaro che un incremento dei tassi possa provocare un aumento dei
rendimenti delle obbligazioni, non necessariamente questo è penalizzante
per la Borsa. La caduta dei ritorni del reddito fisso tra il 1990 e
il 2003, infatti, non ha in alcun modo favorito i titoli rappresentativi
del capitale di rischio.
Per Glen Maguire, economista
dell’area Asia-Pacifico di Société Générale, la decisione della Banca del
Giappone è stata mal compresa dal mercato, in quanto non si tratta
dell’inizio di un ciclo restrittivo, ma di una normalizzazione della
politica monetaria. Tuttavia, l’errore di valutazione porterà volatilità
in Borsa nei prossimi mesi e un indebolimento dello yen.
Fonte
- Morningstar.it
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Il
tasso
falso della
BCE
08 Marzo 2006 14:31 Milano _______________________________________
Jean Philippe Cotis, capo dell’ufficio studi
economici dell’Ocse, ha espresso un motivato dissenso sul rialzo dei tassi
d’interesse deciso la scorsa settimana dalla Bce. Secondo l’Ocse, sin qui
in Europa non si è presentato nessuno dei due fattori, una ripresa economica
robusta e una pressione inflazionistica di base, che potevano giustificare una
politica di rialzo dei tassi.
Jean
Philippe Cotis ha aggiunto che la Bce non dovrà compiere nuovi rialzi se non ci
saranno segnali privi di ambiguità sulla fine della fase di stanca in cui si è
trovata finora l’Europa e sulla crescita delle pressioni nell’inflazione di
base. Il riferimento di Cotis all’inflazione di base costituisce un
attacco particolarmente pesante a Jean Claude Trichet, il presidente della Bce,
e ai suoi consiglieri economici, che non distinguono fra un mero rialzo una
tantum del livello generale dei prezzi dovuto a fattori esterni, come l’aumento
del prezzo del petrolio, e una pressione inflazionistica di carattere interno,
come invece usa fare la Federal Reserve americana. Un rincaro una tantum come
quello del barile, per quanto elevato e gravoso, non è di per sé una
manifestazione d’inflazione. Potrebbe essere, anzi, un fattore di deflazione,
per la riduzione di potere di acquisto che genera nei bilanci dei consumatori.
Diventa inflazione solo se si trasmette ai prezzi dei beni di base, tramite un
rincaro dei loro costi.
In Europa
non si è avuto un fenomeno di questo genere, perché l’aumento dei prezzi
dell’energia ha frenato l’economia, anziché generare una spirale di aumento di
prezzi e salari. Secondo l’Ocse, la dimostrazione di ciò è data dal fatto che
l’aumento dei prezzi che era, per il semestre terminato in settembre, del 3 per
cento è sceso al 2 in gennaio. E ora la media annuale è del 2,3 per
cento. Con il riferimento all’inflazione di base, l’Ocse toglie di mezzo anche
le preoccupazioni di Trichet sul pericolo della bolla speculativa immobiliare
per la stabilità monetaria.

Fonte - Il
Foglio
Tassi
USA: la FED li alza dello 0,25%
28 Marzo 2006 21:15 NEW YORK
(di WSI)
________________________________________
Come ampiamente atteso dal mercato, il Federal Open Market Committee,
il braccio operativo della Federal Reserve, ha aumentato il costo
del denaro degli Stati Uniti.
Il target sui fed funds e'
stato infatti alzato di 25 punti base al 4.75%. Si tratta del
quindicesimo incremento consecutivo. Il primo della serie e'
stato deciso nel meeting del Fomc del 30 giugno del 2004.
Il FOMC ha aggiunto che ulteriori rialzi potrebbero essere
necessari.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano
del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee oggi ha deciso di alzare il target
sui federal funds di 25 punti base al 4.75%.
Il rallentamento della
crescita del Prodotto Interno Lordo reale nel quarto trimestre 2005
sembra avere maggiormente riflesso fattori temporanei o
straordinari. La crescita economica e’ rimbalzata
considerevolmente nel trimestre in corso ma sembra posizionata per
una crescita moderata ad un passo piu’ sostenibile. L’aumento dei
prezzi energetici e di altre commodities sembra aver avuto solo un
modesto effetto sull’inflazione “core”, l’incremento della
produttivita’ ha aiutato a mantenere sotto controllo la crescita dei
costi lavorativi, le attese restano per un inflazione contenuta.
Tuttavia, la possibile crescita nell’utilizzazione delle risorse, in
combinazione con gli elevati prezzi energetici e delle altre
commodities, potrebbero avere il potenziale di aggiungere maggiori
pressioni inflazionistiche.
La Commissione ritiene che ulteriori azioni di politica monetaria
siano necessarie per mantenere bilanciati i rischi per l'ottenimento
sia di una crescita sostenibile che di stabilita' dei prezzi. In
ogni caso, la Commissione rispondera’ ai cambiamenti sulle
prospettive economiche nel migliore dei modi per garantire tali
obiettivi.
A votare a favore dell’azione di
politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman;
Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Susan S. Bies; Jack Guynn;
Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Jeffrey M. Lacker; Mark W.
Olson; Sandra Pianalto; Kevin M. Warsh; e Janet L. Yellen.
In un'operazione collegata, il Comitato dei Governatori (Board of
Governors) ha approvato all'unanumita' un incremento di 25 punti
base del tasso di sconto al 5.75%. Nel prendere questa decisione, il
comitato ha approvato le richieste formulate dai Comitati dei
Direttori (Boards of Directors) della Federal Reserve Bank di
Boston, New York, Philadelphia, Cleveland, Richmond, Atlanta,
Chicago, St. Louis, , Minneapolis, Dallas, e San Francisco.
Ed ecco il testo originale del
documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di
aumentare il tasso interbancario al 4.75%:
The Federal Open Market Committee decided today to raise its target
for the federal funds rate by 25 basis points to 4-3/4 percent.
The slowing of the growth of real GDP in the fourth quarter of 2005
seems largely to have reflected temporary or special factors.
Economic growth has rebounded strongly in the current quarter but
appears likely to moderate to a more sustainable pace. As yet, the
run-up in the prices of energy and other commodities appears to have
had only a modest effect on core inflation, ongoing productivity
gains have helped to hold the growth of unit labor costs in check,
and inflation expectations remain contained. Still, possible
increases in resource utilization, in combination with the elevated
prices of energy and other commodities, have the potential to add to
inflation pressures.
The Committee judges that some further policy firming may be needed
to keep the risks to the attainment of both sustainable economic
growth and price stability roughly in balance. In any event, the
Committee will respond to changes in economic prospects as needed to
foster these objectives.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke,
Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Susan S. Bies; Jack
Guynn; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Jeffrey M. Lacker; Mark
W. Olson; Sandra Pianalto; Kevin M. Warsh; and Janet L. Yellen.
In a related action, the Board of Governors approved a
25-basis-point increase in the discount rate to 5-3/4 percent. In
taking this action, the Board approved the requests submitted by the
Boards of Directors of the Federal Reserve Banks of Boston, New
York, Philadelphia, Cleveland, Richmond, Atlanta, Chicago, St. Louis,
Minneapolis, Dallas, and San Francisco.
Fonte -
Wall Street Italia.com
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FED:
BERNANKE COME GREENSPAN, TASSI ANCORA IN RIALZO
POSSIBILI NUOVE STRETTE;
ECONOMIA PER ORA CONTINUA A CORRERE
28 Marzo 2006 21:57 ROMA
(ANSA)
_________________________________________________
L' era-Bernanke si è aperta esattamente così come si era
chiusa l' era-Greenspan: vale a dire che il costo del denaro negli Stati Uniti è
salito ancora (ai massimi da 25 anni) ed inoltre
sono più che probabili nuove strette di
politica monetaria. E' questa la sostanza del comunicato con cui oggi la Federal
Reserve, a conclusione della prima seduta del Federal Open Market Committee (FOMC)
presieduta appunto da Ben Bernanke, ha ufficializzato la decisione di
portare i Fed Funds al 4,75%, altri 25 punti base in più.
Una mossa che era stata peraltro scontata dai mercati, i quali però si
aspettavano probabilmente novità per quanto riguarda le prospettive, speranzosi
di intravedere la fine del tunnel, cioé del lungo rialzo dei tassi d' interesse
che si protrae ininterrottamente dal giugno del 2004. In tutto finora la Fed,
con quello odierno, ha deciso 15 rialzi con la conseguenza che il costo del
denaro è ai livelli più elevati dal mese di aprile del 2001.
Nel comunicato di
oggi, la banca centrale statunitense aggiunge che "qualche altro rialzo potrà
rendersi necessario", allo scopo di tenere sotto controllo l' inflazione.
Al riguardo, la Fed precisa comunque che l' impatto derivante dal prezzo del
petrolio (tornato proprio oggi sopra i 66 dollari a New York) e delle altre
materie prime è stato "modesto" sul cosiddetto 'core rate', cioé l' indice dei
prezzi depurato da cibo e petrolio. Ma al tempo stesso, i prezzi energetici ed i
costi del lavoro pongono - è stato spiegato - alcuni rischi in termini di
andamento dell' inflazione complessiva.
Tanto più - si osserva - che "l' economia ha recuperato in maniera forte nel
trimestre in corso", anche se al tempo stesso "appare probabile che debba
rallentare fino ad un tasso di sviluppo più sostenibile".
La decisione odierna è stata presa all' unanimità; il
livello del costo del denaro negli Usa è diventato il più elevato fra i Paesi
del G7, sopra il 4,5% del Regno Unito e ben 225 punti base più del tasso-Bce.
Adesso, le prossime riunioni del FOMC sono in calendario per il 10 maggio e per
il 28-29 di giugno. Il mercato dà per scontato - il 93% dei pareri è favorevole
al riguardo - che si arriverà senz' altro al 5,0%. Dopo di che le incognite
restano, perché se l' economia non dovesse rallentare, la corsa proseguirebbe.
Con il rischio che un livello dei tassi troppo elevato possa farsi sentire sui
consumi, vero e proprio 'motore' dell' economia statunitense.

Fonte - ANSA
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Sabato 18 marzo 2006 |
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Venerdì 24
marzo 2006 |
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Sabato 25
marzo 2006 |
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Speculare sul Nikkei
21 Marzo 2006 0:59 MILANO
- (di *FtaOnLine)
________________________________________
*Financial
Trend Analysis e' una societa' che opera nel settore dell'Analisi
Tecnica.
Dopo la
Federal Reserve e la Banca Centrale Europea anche la Banca del Giappone ha
deciso recentemente di cambiare la propria politica monetaria. Nel caso
dell'istituto giapponese tuttavia il mutamento è decisamente più
rilevante: a partire dal 2001 infatti la Bank of Japan (BOJ) aveva
attuato la cosiddetta politica di allentamento quantitativo. Tale politica
consiste nell'agire sul sistema monetario immettendo liquidità sul mercato e non
direttamente sui tassi di interesse. La BOJ aveva sempre dichiarato che avrebbe
mantenuto tale politica fino a quando sarebbero rimasti rischi di deflazione.
La decisione
della banca centrale nipponica di abbandonare questo approccio in favore del più
classico regime basato sulla crescita dei tassi di interesse significa quindi
implicitamente che l'istituto centrale ha smesso di temere il rischio di una
deflazione e che le aspettative sono ormai saldamente in favore di una ripresa
economica duratura (la crescita del pil nell’ultimo trimestre dello
scorso anno è stata rivista a +1.3% dalla precedente stima pari a +1.4%, un dato
comunque migliore di quanto atteso dagli economisti).
I mercati hanno recepito il messaggio: la fase di
incertezza potrebbe essere veramente terminata e dopo un lungo intervallo
durante il quale la borsa del Sol Levante non aveva riservato grandi
soddisfazioni è possibile tornare a guardare con fiducia al mercato azionario
nipponico e non solo per quello che riguarda il medio termine. Il trend rialzista in atto dai minimi del
maggio 2003 potrebbe non essere quindi una semplice correzione del precedente
lungo ribasso, ma ha invece la possibilità di dimostrarsi una fase rialzista
dotata di dignità autonoma, destinata a protrarsi anche nel lungo termine.
Ovviamente
la decisione della BOJ avrà anche un effetto rilevante sul mercato dei cambi,
sostenendo le quotazioni dello yen contro dollaro. I cambiamenti decisi
dalla Banca Centrale avverranno comunque in tempi relativamente lunghi. Per il
momento infatti è stato deciso di tagliare a sei trilioni di yen l'ammontare
massimo dei rifinanziamenti concessi al sistema bancario dai precedenti 35
trilioni, una variazione che avverrà nel corso dei prossimi mesi. Nel frattempo
i tassi dovrebbero rimanere prossimi allo zero (attualmente i tassi sono in area
0,001%).
Da queste
decisioni e dal modo trasparente in cui sono state comunicate al mercato si
intuisce anche un altro importante elemento: la BOJ non ha più intenzione di
perseguire una politica fatta di interventi a sorpresa ma intende rendere
consapevoli i mercati delle proprie intenzioni in anticipo, in modo da non
creare situazioni di squilibrio. Tale atteggiamento nasce probabilmente
dalla consapevolezza di essere nuovamente in una situazione di forza rispetto ai
mercati: l'economia tira, il Governo si è adoperato per risolverne i problemi
strutturali, la deflazione è ormai uno minaccia lontana.
Gli investitori (e gli speculatori) non devono più
essere tenuti a bada con le minacce (ad esempio di interventi diretti sul
mercato dei cambi) ma tranquillizzati circa la credibilità della ripresa e la
sua capacità di protrarsi nel tempo. Ed anche il risparmiatore domestico
potrebbe decidere di ascoltare questo messaggio. Del resto i mezzi per investire
direttamente sulla borsa giapponese sono molti. In Italia è quotato l'Ishares
Msci Japan, uno strumento che permette di replicare l'indice Msci (Morgan
Stanley) relativo al Giappone. All'interno dell'MSCI Japan sono compresi 370
titoli circa, un paniere più esteso quindi rispetto a quello del Nikkei 225, ma
in pratica l'andamento dei due indici è sostanzialmente sovrapponibile, quindi
potrebbe essere sufficiente controllare l'andamento del Nikkei (le cui
quotazioni sono di più facile reperibilità) per assumere decisioni di
investimento relative anche all'ETF citato.
Ed il quadro grafico del Nikkei sembra promettente:
le quotazioni stanno infatti lottando da alcuni mesi, a partire dal top del 14
dicembre 2005, con il 62% di ritracciamento relativo al ribasso dal massimo
dell'aprile 2000. Questa quota di resistenza, l'ultima che compare nella serie
di Fibonacci più comunemente utilizzata, rappresenta un test importante per un
rialzo, dal momento che il suo superamento permette di ipotizzare un
proseguimento del trend correttivo fino all'origine del movimento che viene
ritracciato.
Per il
Nikkei il superamento netto di area 16000 potrebbe significare quindi un ritorno
verso il top del 2000 a 20830 punti circa. Oltre i massimi di febbraio di area
16550 l'indice Nikkei potrebbe procedere al test di area 18000, resistenza
intermedia sulla strada dei 21000 punti. E non dovrebbero impensierire più di
tanto eventuali flessioni: tutta la fase rialzista dal minimo di aprile
2005 si è realizzata senza che si verificassero vere e proprie correzioni,
quindi una fase di ritracciamento potrebbe fornire una occasione all'indice per
rimodellare la curva dell'ascesa secondo un tasso di crescita più facilmente
sostenibile nel medio / lungo termine (negli ultimi mesi, tra ottobre 2005 e
gennaio 2006, i prezzi avevano corso molto, facendo salire l'RSI a 21 sedute in
netto ipercomprato).
Solo discese sotto i 14500 punti potrebbero rappresentare un elemento
critico per il proseguimento del rialzo.

Fonte -
FtaOnLine per Wall Street Italia.com
La
ricarica del toro
27 Marzo 2006 5:35 Milano - (di Edoardo
Montalbano)
________________________________________
Era il 12 marzo del
2003, le Borse d’Europa viaggiavano sull’orlo del baratro: sotto gli abissi del
settembre 2001 (-37%), a una distanza siderale dai massimi del 2000: meno 73%.
Pochi, dopo lo stress di epidemie (la Sars) e conflitti (la guerra irachena)
avrebbe scommesso che proprio quel giorno sarebbe partito il rally dei mille
giorni del Toro. Nessuno, forse, avrebbe puntato su un rialzo solido, quasi
senza soste o correzioni di sorta, capace di superare guerriglie in Medio
Oriente, la corsa del greggio e nuove epidemie. Ma così è stato. E adesso?
Esistono ancora margini di crescita?
LA GRANDE CORSA.
In mille giorni il Mibtel ha segnato una
performance del 95 per cento, trainato dal boom di bancari (+132%), petroliferi
(+100%) e small cap (+122,5% l’indice All Stars). Tra quest’ultime è
presente la società che ha corso di più sul listino italiano nell’ultimo
triennio: Esprinet. Il gruppo attivo nella distribuzione di prodotti hi-tech ha
aumentato il proprio valore di dodici volte, grazie al miglioramento dei
risultati di bilancio, con profitti lievitati a 26,6 milioni da 6,34 milioni del
bilancio 2002. Alle spalle di Esprinet, nella graduatoria delle lepri di Piazza
Affari, figurano Trevi e Tenaris, con un rialzo rispettivamente pari all’851,6 e
all’696,5 per cento. Le due società hanno beneficiato, insieme a Saipem
(+248,3%), dell’impennata del prezzo del petrolio, raggiungendo nuovi massimi
storici.
P/E IN LINEA.
La stagione del rialzo ha più di una
spiegazione. Tra queste una nota a parte la merita la costante crescita
dell’efficienza e dei margini operativi in tutta Europa: secondo l’indice del
consensus Ibes, il 75% delle società quotate prevede margini operativi più
elevati per il 2006. Redditività e crescita dei prezzi sono andati quasi
in parallelo, cosicché il p/e, ovvero il rapporto tra prezzi e utili, si è
mantenuto quasi costante. Anche tra i titoli che hanno corso di più, come Saipem
o Tenaris. L’esempio più efficace è quello dell’Eni. A fronte del rialzo in
Borsa (+96%) nell’ultimo triennio, l’utile è cresciuto dai 5,6 miliardi di euro
del 2003 agli attuali 8,79 miliardi: il rapporto tra il prezzo e i profitti
attesi nel 2006 è 9,1.
L’INCUBO DEL FISCO.
La bolla, insomma, sembra lontana. Ma la
cautela, nel breve, s’impone. Diversi fattori rendono possibile una pausa, se
non una correzione: la partenza bruciante del 2006; la prospettiva di un aumento
dei tassi; l’ipotesi, non improbabile, di un rafforzamento dell’euro. A questi
fattori comuni all’area euro va aggiunta l’incognita post-elettorale. Dal
sondaggio di B&F (vedere pagina 13) emerge il rischio di tagli alla spesa,
destinati a colpire le grandi opere. Ma, soprattutto, la prospettiva di un
intervento fiscale tra la primavera e l’estate che può provocare una battuta
d’arresto. E la regola aurea («vendi a maggio e torna in autunno») è stata
rispettata anche nel 2004/05, anni Toro per eccellenza. Nei momenti in cui i
mercati cambiano passo, si può agire in due direzioni: ruotare dai titoli growth
a quelli value (vedere pagina 14); passare dai piccoli e medi a titoli più
grandi.
Il JOLLY M&A.
Ma gli effetti dello stop saranno di
breve durata. La Borsa, affermano gli intervistati, si riprenderà. E il finale
d’anno sarà bullish. Tuttavia, non è il caso di andare in letargo. Dopo tante
chiacchiere gli M&A stanno entrando nel vivo. Anzi, più passa il tempo,
più si accumulano munizioni per battaglie roventi. E vantaggiose per i soci. I
riflettori sono accesi su Capitalia (p/e pari a 16,4 volte)che pure, dal 2003,
ha già aumentato di oltre sette volte il suo valore. Ma nel mirino sono, in
pratica, tutti i finanziari (con un occhio di riguardo per Bpi e Unipol),
l’energia e le utility. E più ancora le Telecom grandi e piccole. Senza
trascurare i turnaround industriali. La Fiat di Sergio Marchionne (più che
raddoppiata in meno di un anno) è un esempio che non resterà isolato: Brembo,
Pininfarina o Sirti sono i possibili hit.

Fonte - Bloomberg -
Borsa & Finanza
Il caro greggio che verrà
22 Marzo 2006
La questione energetica e
soprattutto il caro greggio faranno ancora da contrappeso all’andamento
dell’economia mondiale, almeno per i prossimi trent’anni. Al centro negli
ultimi mesi per i continui rincari, secondo l’Agenzia Internazionale
dell’Energia (Aie) l’oro nero avrà di fatto ancora un ruolo predominante,
rendendo marginali le altre tipologie di fonti
energetiche.
Dati alla mano, sebbene il prezzo
medio del greggio venduto sui principali mercati, pari a oltre 51 dollari
nel 2005, dovrebbe scendere a 40 dollari nei prossimi cinque anni,
conoscerà una nuova impennata a partire dal 2010. Successivamente infatti
i listini del greggio dovrebbero tornare sopra i 50 dollari nel 2020 per
poi toccare i 65 dollari nel 2030. In termini reali e con riferimento al
livello del 2004, il prezzo salirebbe in media del 3% entro il 2020 e di
circa l'8% entro il 2030.
La flessione. A confermare le
indicazioni che parlano di un aumento della capacità produttiva globale e
di una correlata diminuzione del prezzo fino al 2010, spiega l’Aie, sono
le stesse indicazioni di rafforzamento degli investimenti nelle principali
regioni produttrici. I paesi dell'Opec hanno annunciato di fatto di aver
programmato investimenti che amplierebbero la loro quota produttiva quasi
del 20% tra il 2005 e il 2010, consentendo la piena ricostituzione dei
precedenti margini.
La ripresa. L’aumento della
capacità di produzione tuttavia fa anche pensare a un rafforzamento dello
stesso cartello petrolifero sulla formazione del prezzo. Oltre il 2010, il
progressivo rialzo dei listini rifletterà le conseguenze del crescente
grado di concentrazione dell'offerta in questa regione, spiega l’agenzia
parigina. Tradotto in numeri, la quota dei paesi dell'Opec sulla
produzione mondiale, oggi pari al 40%, salirebbe al 45% nel 2020 e al 50%
nel 2030, valore prossimo al picco del 1973. Lo scenario dell'Aie ipotizza
comunque che il cartello non utilizzi la sua posizione dominante per
sospingere i prezzi, ma assecondi l'espansione della domanda
mondiale. E non solo: a contribuire all'aumento della quota di mercato dei
paesi dell'Opec sono i costi di produzione nell'area mediorientale
che si ipotizza continuino a restare decisamente più bassi che nel
resto del mondo. Il costo medio di produzione di un barile di greggio si
colloca oggi a 3-5 dollari in Medio Oriente, a fronte dei 12 dollari nel
Golfo del Messico e dei 15 dollari nel Nord Europa.
Così l’oro nero potrà contare
anche nei prossimi decenni della sua particolare distribuzione mondiale.
Le differenze di costo tra regioni, osserva l’Aie, riflettono direttamente
la distribuzione molto concentrata delle risorse petrolifere mondiali: il
57% delle riserve accertate nel mondo è infatti situato in Medio Oriente,
di cui circa il 75% in giacimenti di grandi dimensioni, disponendo
così di stock sufficienti a coprire oltre settanta anni di produzione ai
volumi attuali.
Fonte -
Miaeconomia.it
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Oro:
sullo sfondo quota 2000
13 Marzo 2006 2:43
Milano - (di Gianluigi Raimondi)
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«Quest’anno
l’oro arriverà a 625 dollari per oncia e, entro il 2009, toccherà quota 900 con
possibili punte speculative a 2mila dollari». Un anno fa una previsione
del genere sarebbe stata bollata come folle. Ancora oggi appare provocatoria. Ma
dietro questa analisi ci sono parecchie
buone ragioni. A elaborarle Paul Mylchreest, analista dell’autorevole banca
d’affari francese Cheuvreux.
«Anzitutto -
spiega l’esperto - le principali banche centrali mondiali possiedono 10-15mila
tonnellate di oro in meno rispetto alle 31mila ufficialmente dichiarate. I
lingotti mancanti sono stati prestati a molti singoli istituti di credito che a
loro volta li hanno venduti all’industria gioielliera». In secondo luogo, il
deficit di offerta diventa sempre più ampio. «Senza tenere conto delle
vendite non ufficiali effettuate dalle banche centrali - continua l’esperto -
attualmente la domanda eccede la produzione di 1.300 tonnellate. L’output delle
compagnie minerarie è stato nel 2005 pari a sole 2.500 tonnellate. E i governi
di Russia e Cina hanno dichiarato, più o meno velatamente, l’intenzione di
comprare oro per diversificare le proprie riserve».
Ma non è
tutto. Negli ultimi mesi il peso sulla domanda globale di oro degli investitori
istituzionali, quali Etf e fondi comuni, è cresciuto a dismisura: secondo le
ultime stime pubblicate nel 2005 dal World Gold Council, il maggiore incremento
delle richieste (più 53%) è arrivato da investitori istituzionali, quali fondi
comuni piuttosto che Etf. «Una situazione - prosegue l’analista - che
andrà ad amplificare il rally dei prezzi, visto la carenza di oro fisico e la
capacità, propria di questa tipologia di operatori, di determinare direzioni ed
eventuali accelerazioni dei prezzi sul mercato».
A questo si aggiunge poi il fatto che, sempre
secondo le stesse stime, il dato relativo ai consumi del comparto gioielliero
(2.736 tonnellate nel 2005, pari al 73% della domanda totale) è stato positivo,
con un incremento del 5% rispetto a quanto registrato l’anno precedente. Infine,
un altro fattore che a parere di Cheuvreux favorirà la corsa del prezzo del
metallo sarà lo scenario macroeconomico degli Stati Uniti. «Al momento l’economia americana - afferma
Mylchreest - corre sul filo del rasoio tra inflazione e deflazione. In ottica di
breve termine riteniamo che sarà l’inflazione ad avere la meglio. Mentre a
cinque anni il quadro potrebbe mutare verso la deflazione. In entrambe le
situazioni l’oro è (storicamente, ndr) l’unico asset in grado di proteggere i
portafogli degli investitori».
Infatti,
anche nell’ipotesi in cui la locomotiva Usa s’impantanasse in una riduzione
della crescita del prodotto interno lordo, la domanda delle banche centrali e i
bassi rendimenti dei tassi reali riusciranno a sostenere il rally delle
quotazioni del metallo prezioso». Che le banche centrali avranno in
futuro sempre più fame di oro lo sostiene poi anche Morgan Stanley: «il cumulo
delle riserve valutarie negli istituti governativi in Asia - sostiene Stephen
Jen, analista della banca d’affari americana - è ormai al limite della
sostenibilità. In Cina, per esempio, fra non molto si arriverà a mille miliardi
di dollari.
Diversificare diventa un imperativo. E l’oro è la
scelta più sensata». Da inizio 2001 le quotazioni dell’oro al Fixing di Londra
sono raddoppiate passando da 275 a 545 dollari per oncia. Attenzione però al
peso della valuta: calcolata in euro la performance si riduce del 50 per
cento.

Fonte -
Borsa &
Finanza
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Martedì
7 marzo
2006 |
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Venerdì 17
marzo 2006 |
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Giovedì 30
marzo
2006 |
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La Magiste
di Ricucci sull'orlo del crack
30 Marzo 2006 5:37 Milano - (di Walter
Galbiati)
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Un gruppo sull´orlo
del fallimento. In pieno «disequilibrio patrimoniale e finanziario», causato da
almeno quattro motivi. Una perdita sui cambi con la Popolare Italiana da
62 milioni di euro. La riduzione del valore delle azioni Rcs. Il sequestro dei
titoli (e quindi delle plusvalenze) Antonveneta. E la scarsa capitalizzazione
del gruppo, il cui patrimonio netto è pari a soli 1,2 milioni di euro. Sono
queste le premesse con le quali si apre il fascicolo riservato di 43 pagine sul
gruppo Magiste preparato dagli advisor della Vitale & Associati che oggi sarà
sul tavolo dell´incontro con i vertici della Popolare Italiana.
È una prima fotografia, scattata lo scorso 31 ottobre, del castello di società
che fanno capo a Stefano Ricucci. Società che molti revisori non hanno voluto
certificare o non sono riusciti ad analizzare fino in fondo.
Del resto la stessa Vitale & Associati a
pagina 2 del documento si affretta a precisare che «non rilascia alcuna
dichiarazione e non presta alcuna garanzia circa la correttezza, l´accuratezza,
la veridicità e la completezza delle informazioni». E declina ogni
responsabilità.
La situazione patrimoniale di fine ottobre presenta, a fronte di un passivo di
1,592 miliardi di euro, costituito per lo più da debiti bancari (1,418
miliardi), un attivo di pari valore e principalmente composto da immobili (366,8
milioni), crediti vari (60,7 milioni), titoli Rcs (621,8 milioni), altre azioni
(Antonveneta, Capitalia, Mps e Bpi per 500 milioni) e liquidità per 34,4 milioni
di euro.
Da allora, però, qualcosa è cambiato. Sono state vendute un
po´ di azioni in portafoglio (Mps e Capitalia) per diminuire l´esposizione verso
le banche, la Procura di Milano ha provveduto a cedere la quota Antonveneta
all´Abn Amro confiscando tutti gli introiti e la Popolare Italiana ha avviato le
procedure per escutere i pegni sui titoli Rcs. E saranno proprio i risvolti di
queste due ultime operazioni a decretare il futuro di Ricucci e della sua
galassia di società. Secondo una simulazione della Vitale & Associati, a fine
marzo il patrimonio netto del gruppo Magiste nella peggiore delle ipotesi sarà
in negativo per quasi 180 milioni di euro. E nella migliore in rosso per 75,6
milioni di euro.
A decretare le dimensioni reali del
"buco" sarà ovviamente l´esito della partita Rcs. Ovvero il prezzo a cui saranno
venduti i titoli in pegno alla Popolare Italiana. Se si riuscirà a piazzarli a
4,1 euro, si avrà lo scenario peggiore, mentre quello migliore ipotizza una
cessione a 5 euro. I contatti con i possibili compratori, come il patto
di sindacato tra i grandi soci o la stessa Rcs nell´ambito di un buy back,
proseguono serrati, ma sul tavolo rimane sempre aperta la possibilità di creare
un prodotto strutturato, come una obbligazione convertibile o convertenda
(tradizionale o con vendita differita) per la quale hanno proposto alcune
soluzioni la Lehman Brothers, la Goldman Sachs e la Dresdner.
Un´ulteriore
riduzione dello sbilanciamento patrimoniale della Magiste potrebbe arrivare
dalla sorte dei soldi incassati con il pacchetto Antonveneta. La cessione
agli olandesi ha procurato 381,2 milioni di euro, 231 milioni dei quali hanno
permesso di sistemare i crediti verso Deutsche Bank, Meliorbanca, Banca
Intermobiliare, SocGen e parte di quelli verso la Popolare Italiana. La
plusvalenza (56 milioni di euro), invece, è stata confiscata dalla Procura,
mentre i restanti 94 milioni sono finiti su un conto sorvegliato dal custode
giudiziale Emanuele Rimini per garantire eventuali altri creditori.
Dimenticata la plusvalenza, che non tornerà mai nelle
disponibilità di Ricucci, nei piani della Vitale & Associati quei 94 milioni di
euro restano un tassello fondamentale per salvare il gruppo. Secondo le stime
degli advisor, ne avanzeranno solo 16,4 milioni, perché ben 77 milioni
serviranno per coprire i fabbisogni che si presenteranno da qui a giugno. Nel
dettaglio, quei soldi aiuteranno a rimpolpare il patrimonio netto se andranno a
coprire 3,2 milioni di euro per oneri finanziari su mutui maturati al 31 marzo,
12,7 milioni per retribuire consulenti e amministratori e 13 milioni di euro per
ristrutturare l´immobile di Via Lima in base agli accordi presi con la
Confcommercio. Altri 47,9 milioni di euro, invece, se ne andranno per imposte da
pagare entro giugno 2006.
La situazione in ogni caso appare difficile, perché per risolversi
definitivamente ha comunque bisogno dello stralcio dei crediti della Popolare
Italiana non coperti da garanzie. L´incontro di oggi è la prima tappa di una
trattativa che non può prolungarsi più di tanto.
I legali consigliano alla Popolare Italiana di andare per la loro strada, perché
non si sa quali altre sorprese possa riservare il gruppo Magiste, mai
certificato. Perché Magiste ormai cammina sull´orlo del burrone.

Fonte - La
Repubblica
Il trader
di
Fiorani
02 Marzo 2006 16:04 New
York - (di Claudio Gatti)
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Nel panorama
dei personaggi emersi nella vicenda Lodi-AntonVeneta, Gaudenzio Roveda è un
unicum. Non è mai stato un funzionario della Lodi, eppure ha operato per anni a
stretto contatto con il direttore finanziario Gianfranco Boni. Non è mai stato
considerato un «furbetto del quartierino», eppure ha partecipato al concerto su
AntonVeneta. Non ha mai avuto rapporti con i politici amici della Popolare,
eppure ha aiutato Boni e Fiorani a generare plusvalenze in parte poi girate a
quei politici.
Ma soprattutto Gaudenzio Roveda è riuscito a
rimanere relativamente lontano dai riflettori mediatici, nonostante il volume di
operazioni e di denaro da lui gestito e generato sia stato enorme. Basti sapere
che la Procura di Milano ha chiesto alle autorità svizzere di congelare oltre 70
milioni di euro trovati su un suo conto presso la Bipielle Suisse a Lugano. E
che a Lodi sono stati individuati altri 35 milioni di euro. Si tratta in
entrambi i casi di plusvalenze fatte operando per lo più su un unico titolo:
Autostrade.
Al secondo piano della
palazzina centrale del quartier generale della Banca popolare italiana, poco
oltre la porta a vetri dell'ufficio occupato fino all'autunno scorso dal
direttore finanziario Gianfranco Boni, c'è la Sala Mercati. Dietro una porta
chiusa. Era lì che Gaudenzio Roveda si sistemava due o tre volte alla settimana.
Di solito nel pomeriggio. Arrivava, posava il suo zainetto e si piazzava al
computer. Come fosse nel salotto di casa. Invece non era neppure un dipendente
della banca. Figlio di un noto commercialista di Lodi che fino al 1999 era stato
revisore dei conti del gruppo di Fiorani, Roveda è sempre stato un ragazzo fuori
dagli schemi. Col suo codino, i suoi stivali e i suoi jeans con il cavallo alle
ginocchia. Ma il suo look a metà tra il cowboy e l'amante dello skateboard non
gli ha impedito di farsi la reputazione del genio della finanza. O meglio, della
speculazione finanziaria.
Adesso ha quasi quarant'anni, è sposato e vive in
una cascina ristrutturata fuori Crema. Ha ancora il codino, seppure siano già
spuntati i primi capelli grigi. Ma ha smesso di frequentare la Sala Mercati
della banca che fu di Fiorani. «Non
esiste che un cliente si serva della Sala Mercati come faceva lui», spiega un
dirigente della Bpi. «Tra l'altro faceva operazioni con derivati così grosse e
complesse che lo stesso sistema informativo della banca non riusciva a
seguirle».
Con la nuova gestione Gronchi-Giarda la banca ha
cambiato stile. E ha detto basta a tutto ciò. La Popolare italiana è tornata a
essere una banca normale, e lui è tornato a essere un cliente come tutti gli
altri. Ma, all'epoca di Fiorani, era tutto fuorché un cliente normale. In
Procura a Milano si sta indagando per accertare se Roveda abbia affiancato in
molte operazioni il direttore finanziario, Boni, con cui aveva un rapporto molto
stretto, in una serie di operazioni speculative molto complesse. In particolare
quelle che produssero plusvalenze milionarie di cui poi hanno beneficiato
politici e amici vari.
«Roveda aveva un rapporto molto stretto con Boni.
Tant'è che andò con lui e Fiorani a Londra per fare un corso di inglese», rivela
una persona che partecipa alle indagini ma chiede l'anonimato. Insomma è chiaro
che il suo ruolo andasse ben oltre le normali attività di trading. La dimostrazione più evidente è venuta tra il
dicembre 2004 e il gennaio 2005, quando Roveda ricevette dalla banca 80 milioni
di euro per acquistare 2,8 milioni di titoli Antonveneta, titoli che poi
rivendette allo schieramento guidato da Fiorani con una plusvalenza di 10
milioni di euro.
Boni stesso ha inoltre confessato agli inquirenti
che Roveda avrebbe partecipato ad almeno una delle tante operazioni di creazione
artificiale di plusvalenze. Riguardava
il titolo Telecom. Secondo Boni, Gnutti gli chiese di comprare quei titoli a
prezzi di mercato, cosa che lui fece servendosi sia dei conti gestiti dei soliti
clienti privilegiati che della collaborazione di Roveda. Dopodiché Gnutti comprò
quei titoli a prezzi maggiorati generando plusvalenze di 4,5 milioni di euro. Un
terzo di quei profitti andò allo stesso Gnutti, mentre il resto fu diviso tra i
clienti della Lodi e Roveda.
Ma quella fu solo la prima di una lunga serie di
operazioni in Borsa che Roveda risulta aver fatto a partire dal 1999 con
affidamenti o per conto di Fiorani e Boni. In un'inchiesta durata alcuni mesi,
«Il Sole-24 Ore» ha appurato che il
rapporto tra il trader e la banca di Lodi ha riguardato conti diversi e oltre
400 operazioni producendo plusvalenze per oltre cento milioni di euro. La prima
operazione significativa venne fatta nel 1999 sul titolo Telecom.
All'epoca della scalata di Gnutti e Colaninno. Fu in quell'occasione che Roveda
ottenne il primo grosso affidamento. «Il sodalizio iniziò allora, con un forte
supporto in fidi fatto alla vigilia dell'Opa su Telecom», conferma al Sole-24
Ore un ex dipendente della banca di Lodi.
Un anno dopo, nel 2000, Roveda concluse attraverso
la banca di Fiorani una fortunatissima operazione speculativa che, con un
investimento di appena 2,3 milioni di euro, nel giro di una sola settimana gli
fruttò oltre mezzo milione di euro. L'operazione fu fatta su Consodata, un
titolo quotato al Nuovo Mercato di Parigi alla vigilia di un'Opa condotta dalla
italiana Seat e fu così "fortunata" da destare l'attenzione dell'autorità
borsistica e della Procura francese. Anche in questa operazione c'entrava la
Telecom di Gnutti e Colaninno. La Seat era infatti controllata da Telecom
Italia.
Ma veniamo al titolo preferito da Roveda:
Autostrade. «Calcoliamo che, a partire dal 2001, il 70-80% dei volumi da lui
trattati siano stati su Autostrade», rivela un funzionario della Popolare
italiana. «Il suo era un vero e proprio utilizzo garibaldino di quel titolo»,
conferma un collega, che aggiunge: «Dava l'impressione di andare a colpo sicuro
su quel titolo. E 8 volte su 10 ci andava». Nel 2002 Roveda cominciò a operare
su Autostrade anche dalla Svizzera. Servendosi però di una società di facciata,
la Hd 2 Investments Limited, entità registrata a Tortola, nelle Isole Vergini.
Lo dimostra una procura da lui firmata a Lugano l'11 marzo 2002, lo stesso
giorno in cui la Bipielle Suisse aprì il conto intestato a Hd 2 Investments.
L'informazione è stata peraltro confermata alla
Procura di Milano dall'ex funzionario della filiale svizzera di Bpl Egidio
Menclossi, una delle prime gole profonde di questa inchiesta. Al Sole-24 Ore
risulta che Roveda iniziò a operare grazie a un bonifico di 3 milioni di euro
arrivati attraverso la Dresdner Bank di Francoforte. Dopodiché usufruì di una
serie di affidamenti da parte della stessa Bpl Suisse garantiti da fidejussioni
di Lodi.
Tra l'11 e il 15 marzo, la società gestita da Roveda
comprò opzioni Autostrade per 7,5 milioni di euro. È interessante notare che nei
primi 20 giorni di marzo il titolo si tenne stabile tra gli 8,05 e gli 8,2 euro
ma che tra il 21 e il 25 di marzo salì del 5%, cominciando un'ascesa che lo
portò a rivalutarsi del 10% in meno di 40 giorni. Per circa un anno, Roveda
continuò poi a incrementare le sue posizioni di rischio, grazie a nuovi
affidamenti della Lodi che gli permisero di comprare una valanga di opzioni su
titoli Autostrade.
Ecco cosa scrisse
Menclossi alla Commissione Federale delle banche svizzere nel luglio del 2004:
«Per quanto riguarda la posizione della società cliente Hd 2... questa è stata
oggetto di un'operatività supportata dalla Banca Popolare di Lodi in modo
fittizio con... un'importante leva in derivati strutturata e coordinata dalla
direzione finanza della Banca popolare di Lodi che dava disposizioni dirette
alla sala operativa di Lugano... Si è permesso così di generare plusvalenze in
Ticino, nell'ordine di diverse decine di milioni di franchi svizzeri in pochi
mesi, sul titolo Autostrade Spa. Quest'ultima società è stata oggetto nel
periodo in questione di un'acquisizione tramite Opa da parte del gruppo
Benetton».
Sempre a riguardo delle anomalie di Hd 2, Menclossi
ha descritto alla Procura di Milano un'operazione contabile fatta il 15 maggio
2003, quando venne «contabilizzato, fuori dal sistema informatico della Bipielle
Suisse e con totale falsificazione dei documenti utilizzati sia nella
contabilità della banca svizzera che nella Bpl italiana, un'operazione di
trading costruita a tavolino. Tale operazione è stata definita... per agevolare
il sig. Roveda, il quale è riuscito a creare contemporaneamente una minusvalenza
di circa 9.500.000 euro in Italia e una plusvalenza dello stesso importo in
Svizzera».
Poco dopo quell'episodio, la posizione Hd 2 venne
chiusa. Ma questo non significò la fine delle speculazioni fatte da Roveda
attraverso la Bipielle Suisse. Alla Procura di Milano Menclossi ha infatti
rivelato che, immediatamente dopo aver chiuso la relazione intestata alla Hd 2,
ne aprì un'altra intestata a una seconda società, anch'essa offshore, la
Anassor. Che poi è il nome della moglie - Rossana - letto al contrario. Grazie a
30 milioni di euro in fidejussioni forniti da Lodi, Roveda continuò così a
lavorare da Lugano. Facendo cosa? Acquistando le solite opzioni su Autostrade.
La ricorrenza di questo stesso titolo nelle
operazioni condotte dal trader lodigiano - e il fatto che le operazioni si siano
concluse con enormi plusvalenze - non può non sollevare sospetti. Il segreto del
successo di Roveda sta nella bravura? O è possibile che abbia avuto accesso a
informazioni privilegiate? Opta per questo secondo scenario Egidio Menclossi.
Nella lettera da lui inviata alla Commissione federale delle banche svizzere
scrisse infatti di ritenere che «il beneficiario economico del conto (Hd 2) era
in possesso di importanti notizie confidenziali, in maniera tale da permettergli
di effettuare un'operazione che per dimensioni e strumenti utilizzati (derivati)
è risultata molto significativa».
«Il Sole-24 Ore» intendeva chiedere spiegazioni allo
stesso trader. Abbiamo insistentemente domandato al suo avvocato un incontro in
cui potesse tra l'altro illustrarci la natura dei suoi rapporti con la banca di
Lodi. Ma Roveda ha rifiutato. Da parte sua la Procura di Milano è convinta che
la questioni meriti attenzione. Anche perché conta di stabilire se qualcuno
possa effettivamente aver fornito informazioni privilegiate a Roveda o Fiorani
sul titolo Autostrade.

Fonte -
Il Sole 24
Ore
Mutui:
è ancora
boom
01 Marzo
2006 - Milano
Gli italiani si indebitano sempre
di più per comprare la casa: questa la conclusione cui è giunto il Centro
Studi Sintesi di Mestre che in un'indagine analizza, accanto alle tendenze
dei prezzi degli immobili, l’andamento dei mutui.
Secondo il centro studi, che ha
condotto l’analisi su dati della Banca d’Italia, la corsa dei prezzi degli
immobili residenziali non accenna a rallentare. Corsa che del resto non si
è mai arrestata, salvo brevi ed effimere inversioni di marcia verificatesi
in alcuni periodi. Se è vero che il numero delle compravendite nel 2005 si
è stabilizzato, è altrettanto vero che i prezzi degli immobili continuano
a crescere, molto più degli stipendi.
Negli ultimi anni il prezzo degli
immobili è salito in media del 6,7% annuo, mentre le retribuzioni sono
aumentate del 2,7%.
E l’aumento dei prezzi continua
ad alimentare l’allarme per una possibile “bolla” immobiliare.
Timori che si sono tradotti,
negli ultimi anni, in un aumento a pieno ritmo delle richieste di mutui.
Negli ultimi sei anni queste ultime sono più che triplicate, proprio alla
vigilia di un rischioso riaccendersi delle dinamiche sui tassi di
interesse. Nei primi nove mesi del 2005, si legge nello studio, sono stati
erogati trenta miliardi di euro di mutui, con un incremento rispetto
all’anno precedente del 19,6%. Stime che, seppur preliminari, inducono gli
esperti a ritenere che la tendenza alla crescita è consolidata e non
accenna a rallentare.
Il dato che più salta agli occhi
è quello che riguarda le province del sud: negli ultimi sei anni
l’indebitamento per l’acquisto di casa delle famiglie è più che
triplicato, aumentando in media del 256% (Vibo-Valentia +814%, Crotone
+673,2%, Cosenza +493%, Catanzaro +457%). Un aumento certamente favorito
dal livello estremamente favorevole dei tassi di interesse, successivo
all’entrata in vigore dell’ euro.
E se fino a oggi la congiuntura
dal punto di vista del livello dei tassi è stata favorevole -accendere un
mutuo costa oggi in media il 3,6% di tasso d’interesse annuo- a
breve si potrebbe arrivare a una situazione insostenibile per le famiglie,
avverte l'istituto. Secondo il Centro Studi Sintesi, infatti, il
rischio è che i tassi comincino a salire, visto che la Bce vorrebbe
nuovamente aumentare il tasso di riferimento. Il Centro Studi Sintesi ha
così simulato una serie di modifiche sulle rate del mutuo qualora dovesse
aumentare ancora il tasso di interesse.
Ipotizzando un aumento di un
quarto di punto del costo del denaro, una famiglia che abbia stipulato un
mutuo per l’acquisto e la ristrutturazione della propria casa, avrebbe un
rincaro di circa 200 euro della spesa media annua.
Fonte -
Miaeconomia.it
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Otto italiani su dieci
non risparmiano
20 Marzo
2006 - Milano
Solo due italiani su dieci
riescono a mettere qualcosa da parte. Lo dice il sondaggio mensile di
Cierre-Tuttosoldi, sottolineando come quella ristretta parte del Paese che
risparmia si tiene sempre più lontana da polizze, assicurazioni e fondi
pensione puntando invece sulla casa quando non ritiene opportuno mantenere
i propri soldi sul conto corrente per non rischiare
nulla.
E’ una fotografia a tinte fosche
quella tratteggiata dal sondaggio. Evidenzia le paure e i timori per il
futuro: solo poco più del 6% dei risparmiatori è convinto di guadagnare di
più per il prossimo anno, mentre il 50% pensa di poter mettere da parte la
stessa cifra.
Colpisce anche la crisi di
fiducia di una categoria storicamente trainante per l’Italia come quella
degli agricoltori (quasi il 70% si dice pessimista per il futuro) a cui fa
da contraltare l’ottimismo degli artigiani.
Tornando agli investimenti, balza
agli occhi la tendenza verso gli strumenti meno speculativi. Resta
inalterata, infatti, la fetta della popolazione che punta sui fondi comuni
di investimento, circa il 5%. Migliora addirittura la propensione verso
l’investimento obbligazionario: passa dal 2,2% al 3,9%.
Mentre nonostante le ottime
performance negli ultimi due anni di Piazza Affari gli investimenti in
azioni subiscono un brusco calo: dal 6,7% al 4,9%. Complici i rendimenti
ancora bassi (seppure in netto miglioramento negli ultimi mesi) anche i
titoli di Stato sono meno gettonati: dal 5,6% al 3,8%.
Preoccupa
inoltre un altro dato. E’ aumentata la percentuale degli intervistati che
rispetto a un anno e mezzo fa dichiarava di decidere da solo senza far
ricorso a un consulente: dal 57,8% arriva fino al 63,2%. Segnale forse di
mancanza di fiducia o eccesso di approssimazione
finanziaria
Fonte -
Miaeconomia.it
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Volete battere la borsa? fate l'opposto dei
gestori
07 Marzo 2006 00:35
Milano - (di Maria Teresa Cometto)
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Se è difficile trovare la formula «sicura» per fare
soldi, almeno è certa e facile da seguire la regola per non perderne troppi:
stare fermi, una volta che si è fissata la propria diversificazione di
portafoglio. È l'accorato appello ai risparmiatori che investono in fondi,
lanciato da due professori di Finanza, l'italiano Andrea Frazzini della
University of Chicago e Owen Lamont di Yale.
Che invitano chi volesse far meglio della Borsa ad
andare nella direzione opposta a quella dei fondisti: cioè comprare le azioni
che i gestori devono vendere a causa delle richieste di rimborso dei clienti, e
vendere allo scoperto (scommettere sul ribasso) quelle che i gestori sono
costretti a comprare perché inondati da nuove sottoscrizioni.
«Denaro stupido», così i due professori chiamano i
flussi di sottoscrizioni e rimborsi dei fondi nella ricerca
(www.econ.yale.edu/~af227/pdf/dumb_money.pdf), dove analizzano i movimenti dei
risparmiatori americani e il loro rapporto con i saliscendi della Borsa dal 1980
al 2003.
«Gli investitori individuali hanno un'impressionante
abilità di fare la cosa sbagliata - spiega Frazzini da Chicago -. Spostano i
loro soldi verso i fondi che avranno cattive performance negli anni successivi e
viceversa li tolgono da quelli che poi faranno bene. Corrono verso i fondi che
hanno un rendimento passato positivo, perché nei loro portafogli ci sono azioni
"calde", di moda, che sono già salite in Borsa e che, a causa dei nuovi flussi
di sottoscrizioni, diventano ancora più sopravvalutate e quindi destinate poi a
sgonfiarsi».
Per verificare la loro ipotesi, Frazzini e Lamont
confrontano l'andamento in Borsa dei titoli che sono comprati dai fondi «in modo
eccessivo» (rispetto al loro peso sul mercato) e quelli che sono iper-venduti. E
scoprono che un portafoglio «lungo» (positivo) sulle azioni più gettonate e
«corto» (negativo) sulle azioni meno favorite perde lo 0,8% al mese, in media,
dopo tre anni di questa strategia ovvero quasi il 30% in 36 mesi.
La buona notizia è che si può guadagnare altrettanto
facendo esattamente il contrario. «I flussi dei fondi comuni possono essere
letti come segnale "contrario" da un investitore che vuole ottenere alti
rendimenti - dice Frazzini -. E sono usati dagli stessi gestori americani per
decidere che fare con i loro fondi quando ricevono troppi soldi rispetto alle
occasioni di investimento che offre la Borsa: a volte decidono di chiuderli a
nuove sottoscrizioni, altre volte tengono i soldi in liquidità, deviando dal
mandato di gestione. Ma quest'ultima è una mossa non frequente, perché di fatto
i money-manager sono costretti a seguire passivamente le preferenze dei
sottoscrittori ed è difficile per loro essere più "intelligenti"dei loro
clienti».
L'esempio più eclatante della «stupidità» dei flussi
nei fondi viene dalla seconda metà degli anni Novanta: «A posteriori, era chiaro
che la strategia giusta era stare investiti nelle azioni value (sottovalutate) -
osserva Frazzini -. Ma era l'epoca dell'euforia Internet e i risparmiatori nel
solo 1999 versarono 37 miliardi di dollari nei fondi Janus, carichi di titoli
tecnologici, mettendo solo 16 miliardi nei fondi Fidelity, molto più
diversificati e più grandi (tre volte il patrimonio di Janus). Salvo poi
pentirsi poco dopo, liquidando nel 2001 ben 12 miliardi da Janus e investendo 31
miliardi in Fidelity, una riallocazione che è costata loro cara, contribuendo al
crac delle azioni high-tech come Cisco».
La lezione? «Evitare frequenti riaggiustamenti del
proprio portafoglio di fondi per inseguire rendimenti passati - risponde Frazzini -. È vero che a volte nel breve periodo, per esempio a un mese,
cavalcare un fondo brillante può andare bene, ma nel medio-lungo è una strategia
che provoca distruzione di ricchezza».

Fonte -
Corriere della
Sera
Se il risparmio
si
stacca dalle banche
16 Marzo
2006 - Milano
Banche e fondi vanno staccati. E’
il modello israeliano rilanciato con forza dal Governatore della banca
centrale israeliana Stanley Fisher nella scorsa estate. Fisher di Mario
Draghi, il neo governatore della Banca centrale italiana, è stato il
maestro per quattro anni al Mit di Boston.
E così basta fare uno più uno per
capire che le esternazioni del numero uno di via Nazionale nel corso della
sua prima apparizione pubblica al Forex di Cagliari sono tutt’altro che
delle dichiarazioni di facciata. La banche tuttofare e la gestione del
risparmio, insomma, sono un problema. E Draghi un paio settimane fa ha
parlato della necessità dell’indipendenza per una crescita sana e virtuosa
nella gestione del risparmio.
Nel corso dell’assemblea annuale
di Assogestioni, la tavola rotonda che ha visto come protagonisti alcuni
dei maggiori esponenti dell’asset management italiano ha affrontato questa
come altre tematiche legate al mondo del risparmio. Il titolo del Convegno
si presentava come un interrogativo: “L’Italia può rinunciare al risparmio
gestito? Perché la politica non deve trascurare la finanza”.
Ma nel corso della discussione
moderata da Bruno Vespa non sono mancati i commenti sulla questione posta
da Draghi. Per il mondo politico erano presenti due degli elementi più
moderati delle due parti: Enrico Letta, responsabile economico della
Margherita e Bruno Tabacci, presidente commissione Attività Produttive
dell’Udc.
Per il mondo del risparmio
invece: Mario Greco, amministratore delegato di Eurizon Financial Group,
Pietro Giuliani, presidente del gruppo Azimut, e Dario Frigerio,
vicepresidente di Unicredit.
Diverse le posizioni in campo. Si
parte da un discorso più generale, ma un po’ tutti sono d’accordo
nell’ammettere che nel sistema ci sia un innegabile problema di conflitto
di interessi. “Il problema vero – dice Pietro Giuliani presidente
dell’indipendente Azimut -, è quando vendo un titolo e so che la mia banca
ha prestato dei soldi a quella società”. Giuliani, quindi, parla di una
sorta di conflitto intrinseco, a prescindere dalla buona fede di chi mette
quel titolo nel portafoglio di un cliente.
Mentre un po’ tutti sottolineano
la questione della reputazione, vero e proprio pilastro per il risparmio
gestito. Dario Frigerio, responsabile private banking e asset management
di Unicredit, lascia il compito di migliorare le regole al
mercato.
“Sarà il mercato- dice - a
indicare le esigenze più impellenti. Se l’azionista di riferimento,
quindi, ritiene necessario migliorare questo elemento in chiave
reputazionale starà a lui fare questo passo”.
Ma non solo. Perché Leonardo
Maugeri, direttore strategie dell’Eni, pone la questione della maturità
del mercato finanziario italiano. “In Italia – sottolinea - ci sono meno
società quotate in Borsa che non in Egitto, Israele o Turchia e questo
pone un problema di scelte potenziali”. Il mercato italiano, dunque,
storicamente concentrato sul “piccolo è bello”, offre un ventaglio di
offerte troppo ristretto.
Fonte -
Miaeconomia.it
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Banche,
sportelli
ingannevoli
20 Marzo
2006 - Milano
La denuncia arriva da un
comunicato dell’Aduc. Ma si tratta di una sorta di abuso da tempo sulla
bocca di molti. In pratica le banche o le società di intermediazione
mobiliare cercano di orientare i propri clienti verso alcuni prodotti a
scapito di altri.
Tra i prodotti penalizzati
sicuramente ci sono gli Etf. Exchange traded fund. Dei fondi che si
negoziano come delle azioni sul segmento Mtf di Piazza Affari. Replicano
un determinato indice (azioni, obbligazioni, titoli di Stato) e per questo
essendo a gestione passiva non prevedono commissioni di ingresso, uscita e
performance. Mentre le commissione totali annue (il cosiddetto Ter) è
molto più basso rispetto alla media dei fondi comuni di
investimento.
Ecco perché stanno sbancando.
Aumentano giorno dopo giorno sia il numero di prodotti offerti (a oggi
sono ben 46) che le contrattazioni. Ma evidentemente potrebbero essere di
più.
Secondo il comunicato dell’Aduc,
infatti, la negoziazione dei Etf, essendo in
concorrenza con la vendita dei
fondi comuni di casa, é spesso negata ai clienti con le scuse più diverse.
Tipicamente "non siamo abilitati a trattarli".
”Il che – si legge nel comunicato
- è completamente falso, dato che tutti gli intermediari che operano sul
Mercato Telematico Azionario (MTA) sono automaticamente abilitati a
negoziare su MTF senza costi ed interventi tecnici
aggiuntivi”.
La pratica abusiva non riguarda
solo gli Etf. Ma anche le obbligazioni. In questo caso (sempre secondo il
comunicato dell’Aduc) il rifiuto di acquistare un titolo avrebbe come
unico fine quello di spingere i clienti verso le obbligazioni "della
casa".
Si tratta quindi di limitazioni,
o comunque, di tentativi di influenzare la scelta di investimento
illegittimi. Lo sancisce il regolamento di Borsa Italia all'articolo
3.2.3. Riportato dalla stessa Aduc e che MiaEconomia replica
integralmente.
Articolo 3.2.3 (Regole di
condotta)
1. Gli operatori rispettano il
presente Regolamento e le Istruzioni e mantengono una condotta improntata
a principi di correttezza, diligenza e professionalità nei rapporti con le
controparti di mercato, negli adempimenti verso Borsa Italiana e
nell'utilizzo dei sistemi di negoziazione.
2. Gli operatori si astengono dal
compiere atti che possano pregiudicare l'integrità dei mercati. Essi, tra
l'altro, non possono: a) compiere atti che possano creare impressioni
false o ingannevoli negli altri partecipanti ai mercati;
b) compiere atti che possano
ostacolare gli operatori market maker, gli specialisti sull'IDEM, gli
specialisti nel segmento Star, gli specialisti sul mercato MTA, gli
specialisti nel mercato Expandi, gli specialisti sul mercato MTAX, gli
specialisti per i fondi chiusi, gli specialisti per gli OICR indicizzati,
gli specialisti del mercato TAH, gli specialisti del TAHX, gli specialisti
sul mercato SEDEX e gli specialisti nel mercato MOT nell'adempimento degli
impegni assunti.
Fonte -
Miaeconomia.it
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