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INDICE ARTICOLI

 

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Crack finanziari - Argentina

Bond argentini: investitori rapinati del 95%

Macro USA - Situazione e previsioni

Merril Lynch: deficit di bilancio a 600 mld dlr nel 2004

Valute - USD

Dollaro debole fine di un era

Macro USA - Mercato creditizio

BOLLA BUSH

Borse e mercati - Sentiment

Borsa, il lungo rialzo deve fermarsi

Borse e mercati - Sentiment

Warren Buffett alla finestra

 

+++  Risparmio: consumatori, in 20 anni persi 8000 mld per crac   +++  Bond argentini: investitori rapinati del 95%  +++  Banche: Altroconsumo, non aumenta trasparenza bancaria   +++

giovedì  16  ottobre  2003   venerdì  17  ottobre  2003   domenica  19  ottobre  2003
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Risparmio: consumatori, in 20 anni persi 8000 mld per crac

30 Ottobre 2003 17:57  Roma (Ansa)

Più che la giornata del risparmio, domani "si dovrebbe onorare la giornata del debito", perché il risparmio italiano "é di fatto morto e non resta che celebrarne il funerale". A lanciare la provocazione è l'Intesa dei consumatori, secondo cui i crac finanziari hanno coinvolto negli ultimi 20 anni 235.000 risparmiatori, con perdite complessive di oltre 8.000 miliardi di euro. 

Alla vigilia della giornata mondiale del risparmio, le associazioni dell'Intesa denunciano gli ultimi casi eclatanti, quelli di Cirio e dei bond argentini, collocati complessivamente presso 485 mila risparmiatori. Le obbligazioni argentine, ricordano i consumatori, sono state collocate per un valore di 14,5 miliardi di euro presso 450 mila utenti. 

In due anni, i mancati introiti per la scadenza dei bond sono ammontati a 2,6 miliardi di euro. Da qui le accuse rivolte ai grandi istituti di credito e la decisione di celebrare domani "il funerale del risparmio". Molte responsabilità ricadono, secondo l'Intesa, soprattutto sulla Banca d'Italia che "non ha vigilato sull'operato delle banche". 

L'Italia, afferma il presidente dell'Adusbef Elio Lannutti, "é l'unico paese in cui l'autorità di vigilanza è in mano alle banche, e, insieme alla Danimarca, è anche l'unico Stato europeo in cui la carica di governatore è vitalizia". I consumatori tornano quindi a denunciare anche l'impennata dei costi dei conti correnti, cresciuti del 13,1% rispetto al 2002, con un costo medio di circa 412 euro. (ANSA).

 

30 Ottobre 2003 17:57  Roma (Ansa)

 

 

 

 

 

  Bond argentini: investitori rapinati del 95%

24 Ottobre 2003   13,30   Roma  (ANSA)

Il valore nominale del debito sarà decurtato del 75% ma, secondo le stime della Tfa, la task force italiana per l'Argentina la riduzione potrebbe arrivare anche al 90-95%, con un conseguente rimborso agli obbligazionisti italiani solo del 5-10%.

Lo ha detto Nicola Stock, capo della Tfa nel corso di una conferenza stampa. Stock ha precisato che nell'incontro avvenuto con il sottosegretario argentino all'Economia Gustavo Nielsen non gli é stato riferito nulla su questo taglio del 90%, ma che Nielsen "ha confermato quanto mi avevano detto nei giorni scorsi i miei omologhi tedeschi e giapponesi. Se prima il taglio del 75% era inaccettabile, questa nuova soluzione che mi è stata confermata lo è ancora di più.

La presentazione effettuata da Nielsen a Roma era basata sulle slide presentate a Dubai - ha detto Stock - quindi per noi non c'era nessuna novità. Dalla Germania e dal Giappone ho però saputo il taglio avrebbe raggiunto il 90%. Ho chiesto a Nielsen al riguardo e lui me lo ha confermato".

Alla decurtazione del 90-95% - ha spiegato Stock - si arriva, con l'allungamento dei termini ("i nuovi bond sarebbero a 43 anni con uno spread dell'1%"), con taglio del valore nominale del 75% e con il mancato pagamento degli interessi. "Questo 90-95%% - ha messo in evidenza Stock - sembrerebbe anche includere gli interessi non pagati negli ultimi due anni".

La task force italiana, alla luce della rigidità argentina, che non intende toccare il limite del 75% annunciato a Dubai e che anzi potrebbe presentare una proposta addirittura peggiorativa, intende adottare delle misure altrettanto rigide.

"Se l'Argentina non intende spostarsi dai propri dogmi - ha detto Stock - non ci può essere più alcun dialogo. Stiamo valutando le opzioni da portare avanti ed in particolare studiamo se e come bloccare la ristrutturazione del debito. Abbiamo infatti avviato una due diligence sulle 98 emissioni di bond argentini che interessano gli obbligazionisti italiani: in base alla legislazione di ciascuna emissione stiamo valutando gli appigli legali per bloccare la ristrutturazione".

Per gli obbligazionisti italiani che hanno investito in Argentina l'ipotesi di un'azione legale diventa reale anche se si sta cercando di evitarlo: alla fine di novembre sarà infatti ultimata la due diligence sulle 98 emissioni argentine che coinvolgono i risparmiatori italiani, poi "sapremo come muoverci, come andare avanti con azioni vere".

Lo ha detto Nicola Stock, capo della task force italiana per l'Argentina, sottolineando però che "l'azione legale è l'ultima ratio, anche perché l'Argentina non è il Burkina Faso e quindi se vede che blocchiamo la ristrutturazione del debito non vorrà far fronte anche a spese legali".

L'azione legale, se ci sarà, coinvolgerà risparmiatori italiani, francesi, tedeschi e giapponesi e sarà finanziata, per l'Italia, dalle banche, sponsor finanziario della Tfa. "Al termine della due diligence, prevista a fine novembre, sapremo come andare avanti ed informeremo i vari governi ed il Fondo Monetario Internazionale su come intendiamo muoverci. Informeremo anche l'Argentina al riguardo, ma solo se ci chiamerà: la loro posizione è rigida. Sono loro che ci hanno detto il piano è questo e non si tocca. Il dialogo quindi per ora si è chiuso. Non siamo stati noi a dire prendere o lasciare".

Al contrario, spiega Stock, "noi abbiamo cercato il dialogo mentre loro hanno imposto dei dogmi. Se si toglie il dogma tutto è discutibile". Il capo della task force si è poi soffermato sull'altro dogma imposto dall'Argentina, oltre a quello del 75% di riduzione del valore nominale (anche se ora, come ha ammesso il sottosegretario argentino all'Economia, Gustavo Nielsen, la decurtazione reale potrebbe raggiungere il 90%), e cioé "sull'uguaglianza di trattamento per tutti".

"Così almeno avevano detto - ha affermato Stock - anche se dalle voci che mi giungono dall'Argentina i fondi pensione locali sembrerebbero fare pressione per ottenere un taglio diverso. Ho dubbi sulla vere volontà dell'Argentina". Dubbi, quelli di Stock, che riguardano anche le cifre fornite dal Governo di Buenos Aires, ed in particolare il 3% di avanzo primario. "E' difficile che un creditore prenda per veri dati forniti da un debitore insolvente. Un debitore che se fosse stato un privato vedrebbe ora il sole a scacchi, starebbe cioé già in prigione", ha aggiunto Stock, sottolineando che la Tfa ha assunto una società internazionale per elaborare stime e scenari relativi all'Argentina, e quindi fornire all'associazione uno strumento in più per cercare soluzioni alternative al taglio proposto.

"Nielsen mi ha detto che con il 3% di avanzo primario che il Paese registrerà è difficile pagare i creditori privati. Noi abbiamo stimato che con un surplus sul pil del 6% potrebbero essere rimborsato quasi l'80% dei debiti. Fra queste due ipotesi ce ne sono delle altre - ha detto Stock - La società alla quale ci siamo affidati elaborerà degli scenari, come ad esempio cosa potrebbe fare l'Argentina con un surplus del 3%".

Il capo della Task Force italiana, che rappresenta 450.000 risparmiatori per un'esposizione complessiva di 13,5 miliardi di euro, ha poi velatamente sollecitato un intervento dei vari governi interessati ed anche del Fondo Monetario Internazionale, "il cui accordo con l'Argentina di basa anche sul raggiungimento di un'intesa equa fra Argentina e creditori esteri: su questo punto - ha precisato - c'é stato però un fallimento completo.

L'Argentina è nella watch list dell'Fmi. Io mi sono sentito con il Fondo, che si è detto preoccupato per la situazione creatasi, che rappresenta uno dei punti base della ristrutturazione argentina con lo stesso Fmi". Stock, in una precedente riunione, aveva sollecitato il Governo italiano a sollevare il tema dei bond argentini in qualità di presidente dell'Unione europea: "credo che la nostra richiesta sia stata recepita, si stanno muovendo. Il Governo italiano, però, ha detto delle cose che non condivido". Interpellato sulla proposta del vice segretario agli Esteri Baccini, che ha avanzato l'ipotesi di un'azione Governo-banche per arginare le perdite dei bondholder, Stock ha risposto: "E' una soluzione inefficace, inutile a farsi".

24 Ottobre 2003   13,30   Roma  (ANSA)

 

 

 

 

 

 

Banche: Altroconsumo, non aumenta trasparenza bancaria 

21 Ottobre 2003 17:20  Roma (Ansa)

Non aumenta la trasparenza bancaria. Un test condotto da Altroconsumo su alcuni istituti di credito rivela infatti che le nuove norme sulla trasparenza in vigore dal primo ottobre sono poco applicate. In 4 banche su 7 non era affisso in bacheca l' avviso sulle nuove norme a tutela dei consumatori, mentre in 3 banche su 7 non è stato consegnato al cliente alcun contratto come invece prevede la normativa.

  "E' sconfortante constatare che a ridosso dell' attuazione delle nuove norme la trasparenza bancaria non sia ancora di casa", ha commentato Vincenzo Somma, responsabile dell' ufficio studi di Altroconsumo. L' associazione di consumatori ricorda gli obblighi di trasparenza delle banche: i contratti devono essere sempre scritti e riportare tutti i costi a carico del cliente. Inoltre, la banca deve fornire un' informativa in 5 tempi: 3 prima ella firma del contratto e 2 in corso di rapporto.(ANSA).

 

21 Ottobre 2003 17:20  Roma (Ansa)

 

 

 

 

 

  domenica  12  ottobre  2003   mercoledì  29  ottobre  2003  
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  Merril Lynch: deficit di bilancio a 600 mld dlr nel 2004

14 Ottobre 2003   15:33  Roma  (ANSA-BLOOMBERG)

Il deficit di bilancio Usa raggiungerà la cifra record di 600 miliardi di dollari nel 2004, a causa dell'aumento delle spese per l'Iraq e la proposta caldeggiata da ambo gli schieramenti per le imminenti presidenziali di maggiori sgravi alle spese sanitarie. 

Lo scenario di un buco delle finanze pubbliche che supera di 125 miliardi le attuali previsioni dell'amministrazione Bush viene da Merrill Lynch e altre banche d'affari cui compete la vendita dei titoli di stato. Il grido d'allarme sulla voragine del deficit già è stato levato al Congresso da esponenti di entrambi gli schieramenti: si punta il dito sull'allentamento della disciplina fiscale e sull'aumento della spesa. "Quando si devono affrontare gli argomenti del budget e della spesa, il Congresso pensa più o meno in questa maniera: non metterò mai il bikini, così posso mangiare un altro pezzo di torta" - osserva Christopher Cox, presidente della Republican House Policy Committee. 

Le stime degli economisti delle 22 banche d'affari che trattano i titoli di stato non sono mai riuscite quest'anno a risultare in sintonia con quelle del governo: a maggio avevano previsto un deficit di 373 miliardi di dollari per il 2003 contro i 304 miliardi stimati dalla Casa Bianca. A luglio, invece, gli economisti avevano osservato che le stime di un disavanzo 2003 di 455 miliardi di dollari da parte dell'amministrazione Bush erano eccessive, almeno di 20 miliardi di dollari. "Un maggiore costo del capitale significa meno investimenti, minor produzione e minore produttività, l'economia è destinata a soffrire nel lungo termine se questo genere di deficit (anche quello commerciale) persiste", osserva Ian Morris, capoeconomista di Hsbc che arriva da parte sua a stimare un deficit di 630 miliardi di dollari nel 2004. Per Morris, lo scenario prossimo è inoltre quello di un rialzo dei tassi di intesse. Il rosso che affligge le casse Usa potrebbe migliorare attraverso una sostanziale riduzione della spesa, "ma sembra una cosa molto difficile da raggiungere", osserva l'economista di Merrill Lynch, David Rosenberg.

Un deficit di 600 miliardi di dollari, che come cifra rappresenterebbe un record, equivarrebbe a circa il 5,3% del pil, sotto comunque il record del 6% raggiunto nel 1983. "I deficit generalmente sono un ostacolo all'economia quando persistono oltre il limite del 3% del pil", osserva Morris Giusto un anno fa, l'amministrazione Bush aveva detto che gli Usa sarebbero tornati al surplus per il 2005. Ora, invece, il governo pensa a tagliare metà del deficit entro il 2008. Nel settembre 2002, nessun economista riteneva che ciò sarebbe stato possibile e alcuni dissero che le casse non sarebbero tornare in nero prima del 2010. E c'é chi sostiene, ora, che un ritorno al surplus è un'impresa impossibile. Per le banche che vendono titoli di stato, la previsione media relativa al prossimo anno è ora di un deficit di 524 miliardi di dollari, il che rappresenta una crescita dell'11% rispetto alla stima di 471 miliardi di luglio. Solo Banc of America Securities non ha rialzato la sua stima, tenendola ferma a 510 miliardi di dollari, ritenendo che la ripresa economica darà slancio al gettito fiscale.

14 Ottobre 2003   15:33  Roma  (ANSA-BLOOMBERG)

 

 

 

 

mercoledì  01  ottobre 2003  --- IL DOLLARO SPINGE IN ALTO L'EURO --- Il Sole 24 ore 01/10/2003 --- DOLLARO GIU' WALL ST. VOLA --- Il Sole 24 ore 02/10 2003 --- giovedì  02  ottobre 2003  
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Il commento dello Studio C.F.A.

A nostro avviso la valuta USA è entrata in una crisi strutturale in parte voluta dall'amministrazione Bush e in parte indesiderata. Siamo convinti che alterare in questo modo artificioso il valore di una moneta sia un'azione scellerata che in futuro presenterà un conto salato.

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Rimini 01 Ottobre 2003...

 

 

 

 

  Dollaro debole fine di un era

11 Ottobre 2003   17:12   Lugano  (di Alfonso Tuor)

 

Molti ritengono che la debolezza del dollaro sia unicamente un fenomeno temporaneo proprio di ogni moneta che alterna sui mercati dei cambi, per svariati motivi, periodi di forza a periodi di debolezza. Questa chiave di interpretazione, oggi sicuramente predominante, addebita l’attuale calo del valore del dollaro ad una politica deliberatamente voluta da Washington con l’obiettivo, da un canto, di rafforzare la ripresa statunitense e, dall’altro, di ridurre il preoccupante disavanzo commerciale che ormai supera il 5% dell’intero Pil statunitense.

Quindi, la caduta del dollaro, per quanto dolorosa possa essere, non è che un sintomo di una fase congiunturale dell’economia mondiale, durante la quale gli Stati Uniti fanno pagare al resto del mondo il costo di aver vissuto negli ultimi anni al di sopra dei loro mezzi in base al principio, caro a Washington, secondo cui «il dollaro è la nostra valuta, ma è il vostro problema». E in effetti il calo del valore del dollaro si traduce in un deprezzamento del valore dei crediti concessi dagli stranieri a Washington e, quindi, in un trasferimento dei costi a carico di coloro che comprando obbligazioni, azioni americane o investendo negli Stati Uniti hanno di fatto finanziato il disavanzo americano.

Secondo alcuni, il problema non esiste neppure, poiché se la ripresa americana si confermerà forte, riprenderanno ad affluire negli Stati Uniti enormi quantità di capitali stranieri, che permetteranno di continuare a finanziare il disavanzo commerciale statunitense producendo addirittura il risultato di far salire il valore del biglietto verde. Insomma in soldoni, nulla di nuovo sotto il sole.

Questa chiave di lettura rischia di trascurare alcuni fenomeni strutturali che fanno ritenere che, al di là degli aspetti congiunturali, stiamo molto probabilmente assistendo al progressivo sgretolamento di un sistema monetario internazionale fondato sul dollaro. Molti fattori inducono a ritenere che non stiamo solo assistendo al calo del valore del dollaro, ma al declino dell’egemonia della valuta statunitense. Innanzitutto, il calo del dollaro non è un fenomeno degli ultimi mesi, ma degli ultimi trent’anni.

Infatti, dall’inizio degli anni Settanta, quando la dichiarazione di Nixon di inconvertibilità del dollaro in oro ci ha fatto entrare nell’era dei cambi flessibili, il dollaro si è mosso in un’unica direzione, ossia al ribasso, all’interno di un canale discendente, in cui ha stabilito massimi e minimi sempre decrescenti. La debolezza del dollaro è dunque un fenomeno strutturale che periodicamente viene oscurato da rimbalzi del biglietto verde, che comunque non hanno mai avuto la forza di far salire il valore della moneta americana al di sopra del livello massimo raggiunto nella precedente fase di ascesa.

In secondo luogo, il declino dell’egemonia del dollaro è dovuto alla perdita di peso relativo dell’economia statunitense a causa della crescita dell’economia europea e al crescente peso di quelle asiatiche. Quindi, il dollaro è passato da una situazione di incontrastata egemonia ad una realtà in cui deve fare i conti con la concorrenza di almeno un’altra moneta (l’euro) e mezzo (ossia lo yuan cinese). E questo cambiamento comincia a pesare, poiché molti paesi arabi si sono messi ad usare l’euro quale strumento di pagamento e perché ora anche la Russia di Putin sembra intenzionata a definire in euro il prezzo del petrolio, ossia della principale materia prima del mondo.

Il terzo motivo è che è andato in frantumi il paradigma economico e politico su cui gli Stati Uniti hanno cercato nell’era dei cambi flessibili di ridefinire la loro leadership economica e finanziaria. Esso consisteva nel fare degli Stati Uniti, e in particolare di Wall Street, il centro nevralgico del sistema finanziario internazionale capace di attrarre i capitali di tutto il mondo e, quindi, in grado di finanziare il disavanzo americano e nel contempo di dirigere i flussi internazionali dei capitali. In contropartita dell’afflusso di una buona parte dei risparmi del resto del mondo, gli Stati Uniti si erano assunti il ruolo del «consumatore di ultima istanza dell’economia mondiale» con il risultato di diventare l’unica vera locomotiva dell’economia mondiale (secondo l’FMI, il contributo americano alla crescita mondiale è stato negli ultimi anni superiore al 75%).

Il crollo delle borse ha inferto un duro colpo a questo modello di sviluppo «americanocentrico» e ha riportato all’ordine del giorno la questione del dollaro. Infatti, l’inaridirsi degli afflussi di capitali stranieri non si è tradotto in una rovinosa caduta del valore del dollaro, poiché è stato per il momento parzialmente compensato dagli acquisti di dollari da parte delle banche centrali dei paesi asiatici, ma questi interventi non sono bastati per far diminuire le preoccupazioni sulla sostenibilità del deficit commerciale americano e del suo crescente debito estero.

Sui mercati dei cambi si stanno giocando contemporaneamente due partite tra loro strettamente intrecciate. La prima consiste nello stabilire quali paesi e in che misura dovranno pagare il risanamento degli squilibri americani. La seconda partita è se il riassorbimento di questi squilibri potrà essere concordato oppure, come sembra, sarà il frutto di forti strappi e, quindi, se la crisi del modello su cui si è fondata l’economia negli ultimi anni sarà superata attraverso uno sforzo congiunto dei Grandi del mondo oppure se sfocerà, come sembra oggi molto probabile, in una nuova forma di protezionismo attraverso la formazione di grandi blocchi economici e commerciali regionali.

Per questi motivi le convulsioni attuali del dollaro devono essere viste come l’espressione di una crisi del paradigma economico e politico dominante negli anni Novanta e anche come la dimostrazione che non è ancora finita l’opera di pulizia dei mercati finanziari iniziata nel marzo del 2000. All’appello manca ancora lo scoppio della bolla del dollaro, che era parte integrante e fondamentale di quell’euforia.

 Corriere del Ticino

 

 

 

PIL USA FORTISSIMO QUASI ASIATICO --- 30 OTTOBRE 2003 New York (WSI) --- PIL USA FORTISSIMO QUASI ASIATICO

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PIL USA FORTISSIMO QUASI  ASIATICO

America cresce a tassi di sviluppo cinesi. E il mercato finanziario tira un sospiro di sollievo. Il Prodotto Interno Lordo Usa - un dato che rappresenta il valore totale di tutti i beni e servizi prodotti nella nazione - relativo al terzo trimestre del 2003 ha registrato un aumento del 7,2%. Si tratta della piu' forte crescita dell'economia americana dal primo trimestre 1984, ed e' di gran lunga superiore alle aspettative del consensus.

New York 30/10/2003 14:30 (WSI)

venerdì  31  ottobre  2003

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Il commento dello Studio C.F.A. 

Nell'ultimo triennio la crescita USA si è attestata  intorno al 3% annuo; Come mai adesso viaggia al 7,2% ? Stando a questo sorprendente dato sembra che la cura da "cavallo" somministrata all'economia da Greenspan  e Bush stia ottenendo gli effetti sperati. Secondo noi un cavallo "dopato" prima o poi viene squalificato o collassa. Speriamo che questo non accada anche a livello economico perchè se ciò accadesse ne subiremmo tutti le conseguenze.

 

 

 

 

 

  Bolla Bush

14 Ottobre 2003   17,44   NEW YORK  (di Paolo Pontoriere)

 

Tassi calanti e Borse in ripresa stanno tonificando l´economia americana e ridando smalto alla comunità finanziaria. Il mercato delle fusioni e acquisizioni si risveglia. Gli investitori che si erano rifugiati nei Treasury bond ricominciano a dare la caccia alle buone occasioni dei listini. Gli executive delle grandi società riaprono il capitolo degli investimenti futuri.

Dopo tante false partenze, è insomma arrivato il momento della svolta? Abbiamo raccolto il parere di Felix G. Rohatyn, che fa parte del consiglio d´amministrazione del Center for Strategic and International Studies, è analista del Council on Foreign Relations e dell´American Academy of Arts and Sciences.

Soprattutto, questo viennese nato nel 1928 è famoso per aver guidato la banca Lazard a New York tra gli anni Settanta e Ottanta e aver risanato, come amministratore delegato delle municipalizzate di New York, il bilancio della metropoli. L´ex presidente Bill Clinton lo inviò come ambasciatore a Parigi. Oggi dirige la Rohatyn Associates , con la quale continua a esercitare la sua consulenza in campo internazionale.

Alcuni economisti ritengono che la ripresa è dietro l´angolo. Lei cosa ne pensa: è tempo di stappare lo champagne?

"Starei attento a farmi prendere dall´entusiasmo. Ogni mese un nuovo oracolo ci dice che l´economia si sta riprendendo dal suo collasso, ma la previsione puntualmente non si realizza. È come se l´economia stesse girando in folle, e Wall Street rischia di fare il passo più lungo della gamba. Ma se si osservano i dati relativi alla disoccupazione, non sono per niente incoraggianti. È vero che si tende ad accreditare l´idea che la ripresa dell´occupazione saltuaria preannunci quella delle assunzioni stabili. Ma in questo caso, con una disoccupazione ai massimi degli ultimi nove anni (in alcune aree raggiunge il 7 per cento), ci vuole ben altro che qualche centinaio di migliaia di posti di lavoro a termine. Poi, questa ripresa degli investimenti io non l´ho ancora vista: se c´è, è abbastanza anemica. Tutto sommato resto del parere che l´economia è in un preoccupante stato di fluidità".

Alcuni fenomeni in atto, come per esempio la decisione della Microsoft di porre fine alla pratica di distribuire stock option ai dirigenti o anche quello di rafforzare le regole di controllo per la compilazione dei bilanci, segnalano che il clima aziendale in America è cambiato. È un messaggio che il capitalismo americano è pronto a girare pagina: non crede che questo si rifletterà positivamente sull´andamento dell´economia?

"Si tratta certo di iniziative positive. Io ho sempre sostenuto che le aziende dovessero assegnare azioni agli impiegati piuttosto che stock option. Quanto alla questione della governance aziendale e della trasparenza dei conti, è bene che venga esaminata con maggiore attenzione, visto che esistono ancora problemi, basta guardare il crack delle assicurazioni HealthSouth in Alabama. L´emergenza non è finita. E come dimostra l´andamento del mercato, la gente è ancora preoccupata dagli abusi fatti compilando i bilanci. Ma non c´è solo il versante aziendale: lo stato di crisi degli enti locali, Stati e Comuni, è un altro fattore di indebolimento dell´economia. Il deficit degli enti locali quest´anno supererà i 100 miliardi di dollari. L´effetto di questo buco non si fa sentire solo sulle dinamiche economiche ma anche su quelle sociali".

E questo non rischia di annullare i benefici potenziali del taglio delle tasse deciso da Bush?

"Sì. Prenda New York: sono stati appena approvati tre aumenti delle tasse e tagliato il finanziamento dell´assistenza pubblica. E la situazione di New York non è unica. La California ha un disavanzo di oltre trenta miliardi di dollari. Questo, checché se ne dica, è un forte fattore di rallentamento dell´economia".

Ci sono però tipi d´investimento come quello degli hedge fund e delle obbligazioni a tasso fisso, come quelle del Tesoro e degli enti locali, che registrano una forte crescita. Presentano dei rischi? Dobbiamo aspettarci lo scoppio di qualche altra forma di bolla?

"Gli hedge fund vanno affrontati con cautela. Non solo per l´investitore singolo, che può guadagnare molto ma anche perdere tutto e facilmente, ma soprattutto per l´andamento dell´economia in generale. Il crollo di alcuni di questi fondi potrebbe, come è già accaduto in passato, mettere in difficoltà l´intera economia nazionale. Il mercato delle obbligazioni riflette invece la politica dei tassi di interesse della Fed. Se i tassi restano bassi i buoni del Tesoro si comportano bene. Se l´interesse sale, è ovvio che le obbligazioni ne soffrono. Per adesso la situazione sembra giocare a loro favore. Domani, chissà. La maggioranza degli economisti è così confusa che non sa se aspettarsi la crescita dell´inflazione o l´arrivo della deflazione. Siamo in presenza d´una situazione economica tra le più complesse della storia, almeno di quella che ho vissuto io".

Non crede che il governo dovrebbe prendere il timone dell´economia e dirigerla verso la ripresa con una politica di investimenti pubblici? L´amministrazione Bush preferisce invece adottare misure economiche che dirottano i fondi pubblici nelle mani della grande industria privata. È una strategia che paga?

"Questa amministrazione non fa nessun mistero di credere che la via della ripresa passa esclusivamente attraverso riduzioni fiscali che avvantaggiano solo i più ricchi del paese. Che si tratti di riduzioni del carico fiscale sui redditi o di eliminazione delle tasse sui dividendi, o di eliminare la tassa di successione sulle eredità, la ricetta è sempre la stessa: prendere il denaro pubblico e metterlo nelle tasche dei più ricchi. Personalmente non credo che si tratti di una strategia che pagherà e fino a ora i risultati sono stati molto deboli. Il governo federale farebbe meglio ad aiutare gli enti locali a risolvere i loro problemi economici lanciando casomai anche programmi di investimento pubblico per la creazione di nuove infrastrutture e partnership con le aziende private".

Dobbiamo allora desumere che lei è contrario all´idea di investire i fondi della previdenza sociale nel mercato azionario, come vuole invece fare Bush, e all´ipotesi di costringere i programmi pubblici d´assistenza medica a competere con le assicurazioni private?

"Non c´è alcun dubbio che il settore privato debba predominare nell´economia, ma questo non significa che deve diventare l´unico settore sovvenzionato dall´investimento governativo. La nostra economia sta diventando pericolosamente squilibrata e il governo sta assumendo un rischio enorme sul nostro bilancio perché può creare in prospettiva un aumento dell´inflazione che sarà difficile gestire. E che può ripercuotersi negativamente anche sulla libertà degli scambi".

In che senso?

"Si parla sempre più spesso di deflazione, negli Stati Uniti e in Europa. Se questa è la strada su cui si avvia l´economia, bisogna domandarsi come reagiranno i vari governi alla crescente quantità di prodotti cinesi e indiani che si riversano sul nostro mercato e su quello europeo. Dal momento che la disoccupazione continua a crescere, la questione aperta dall´arrivo di prodotti da questi paesi diventa più pressante".

Intende dire che qualcuno invocherà presto politiche protezioniste?

"Intendo dire che diventerà una questione politica alle prossime presidenziali. L´altro giorno la Walmart ha realizzato una svendita di apparecchi televisivi: in un giorno solo ha venduto un miliardo di dollari di televisori cinesi. I costruttori statunitensi ovviamente sono andati su tutte le furie, si domandano come sia possibile che si perdano tanti posti di lavoro in favore dei cinesi".

Ma non è questo lo spirito della libera impresa capitalistica?

"C´è concorrenza e concorrenza. Nel caso cinese bisogna prendere in esame la politica monetaria di quel paese. Mantenere lo yuan forzatamente basso rispetto al dollaro è nei fatti una forma di sovvenzione che il governo cinese dà ai propri prodotti nazionali. E visto che le sovvenzioni per gli stessi prodotti in America è stata eliminata, mi pare alquanto scorretto. Mi pare di capire che il cancelliere tedesco Gerhard Schröder stia spingendo la Banca centrale europea a riesaminare i tassi di cambio euro-dollaro".

Lei vede all´orizzonte guerre monetarie?

"L´amministrazione Bush sull´andamento del dollaro parla con lingua biforcuta. Il presidente dice di volere un dollaro forte e il ministro del Tesoro fa di tutto per tenerlo debole. Nel breve periodo può anche sembrare una strategia produttiva, perché i prodotti americani diventano più competitivi. Io penso che sia una scelta miope. Non è possibile essere un paese forte e avere una moneta debole, soprattutto alla luce del fatto che gli Stati Uniti per finanziare la loro bilancia dei pagamenti hanno bisogno ogni giorno di un afflusso dall´estero di un miliardo e mezzo di dollari".

Crede che la decisione della Microsoft di di-stribuire dividendi segnali la fine della politica del rafforzamento dell'azienda e l'inizio d'una stagione di spesa?

" La Microsoft ha una tale liquidità che dieci miliardi di dollari spesi in dividendi non fanno nessuna differenza. Quello che mi pare importante è invece la decisione di politica aziendale presa dalla Microsoft: un segnale chiaro che la distribuzione dei dividendi diventerà abituale e che questo non impedirà di promuovere acquisti futuri che siano basati sull'emissione di nuove azioni o sullo scambio di pacchetti azionari".

Crede che altri seguiranno l'esempio di Bill Gates?

"Visto lo sgravio fiscale dei dividendi, mi pare che la cosa diventi più attraente sia per la società, perché il suo titolo aumenta di valore, che per il beneficiario".

Quanto all'affidabilità dei bilanci aziendali: è cambiato qualcosa?

"Mi pare che i consigli di amministrazione prestino adesso più attenzione agli affari dell'impresa. Hanno tutti insediato un comitato di controllori dei conti, si preoccupano della loro indipendenza e dei rapporti con gli analisti delle banche di investimento. Dei cambiamenti sono in corso. Se questo non avvenisse, la stessa sopravvivenza del capitalismo verrebbe messa in discussione. Non si tratta di buona volontà aziendale ma di una inevitabile necessità".

Lei ha detto che gli operatori di Borsa stanno mettendo il carro davanti ai buoi e che i titoli azionari sono sopravvalutati. Ma a guardare la biotecnologia, la farmaceutica e in generale i titoli quotati al Nasdaq, bisogna riconoscere che ci sono settori che vivono una situazione euforica. Si sta preparando un´altra bolla o si tratta di valori reali?

"Sebbene abbiano perso un sacco di soldi nell´ultima bolla, gli investitori sono convinti che ci sarà un nuovo boom e non vogliono perdere l´occasione, soprattutto in settori ad alto rendimento come la tecnologia. È a questo che si deve l´entusiasmo borsistico delle ultime settimane. Consideri che una quantità enorme di denaro è rimasta bloccata in veicoli finanziari che producono poco più dell´un per cento annuo. Gli investitori stanno mordendo il freno da un annetto e non vedono l´ora di far fruttare queste risorse. Penso però che abbiano anticipato i tempi".

Si dice che in periodo elettorale se l´economia si comporta bene, il presidente in carica viene rieletto, se va male perde le elezioni. Alla luce di quello che sta accadendo all´economia americana, come se la caverà Bush nel 2004?

"Nel caso di Bush credo che sarà più importante quello che succederà in Iraq. Ciò detto, il denaro che il governo ha pompato nelle tasche dei privati finirà col produrre un´impressione di crescita economica e i suoi segni più evidenti si manifesteranno proprio a ridosso delle elezioni. In quella fase i tagli delle tasse, la svalutazione del dollaro e la riduzione dei tassi di interesse determineranno una situazione di liquidità diffusa nel paese. Non durerà a lungo però, perché quello che manca sono le iniziative strutturali, quelle che nel lungo periodo producono occupazione e crescita economica duratura. Si tratterà di un fuoco di paglia. A cui seguirà un´ulteriore contrazione della crescita del paese".

L'Espresso

 

          

  sabato  04  ottobre  2003   venerdì  10  ottobre  2003  
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  Borsa, il lungo rialzo deve fermarsi

21 Ottobre 2003 14:19 MILANO (di Giuseppe Turani)

Spiace per quei lettori che scrivono e che vorrebbero buone notizie. Nel senso che vorrebbero che qui gli si spiegasse come e perché i listini possono salire ancora del 20-30 per cento o anche di più. Ma la situazione di questi ultimi giorni sembra andare nella direzione opposta. Anche i più ottimisti, ormai, si riferiscono a questo mercato con l'espressione che "il meglio del meglio del meglio lo abbiamo già visto". Insomma, abbiamo visto innescarsi una potente ripresa economica americana, abbiamo visto aziende che ci eravamo abituati a considerare in crisi da anni rialzare finalmente la testa e annunciare nuovi utili e, in qualche caso, anche aumenti di fatturato. Abbiamo visto, soprattutto, un aumento impressionante dei listini (il Nasdaq dai minimi ha fatto intorno al 60 per cento in più in un paio di trimestri). Che cosa altro si può volere? Una ripetizione della stagione 1999-2000 ? Magari anche con relativo crack finale?

E infatti anche gli operatori più ottimisti, a questo punto, si augurano che i mercati facciano quello che ogni tanto mostrano di voler fare: e cioè calmarsi e retrocedere. D'altra parte, questa retrocessione, questa correzione, limatura o arretramento, era atteso già ai primi di agosto. Ma il Toro, nonostante il caldo, decise di correre comunque e di sorprendere tutti. Allora, al ritorno dalle vacanze, tutti dissero: ci siamo, adesso si va in correzione, insomma si arretra. Ma anche settembre mandò delusi quelli che ritenevano saggia e utile una pausa, una fase di stop, un momento di riflessione. Adesso siamo a metà ottobre e la pausa di ripensamento non l'ha ancora vista nessuno. Deve dicono analisi grafici e broker con la testa sulle spalle deve assolutamente arrivare nella seconda metà di ottobre, cioè a partire da oggi. Ma, mentre lo dicono, sanno anche che la probabilità di essere smentiti è molto elevata. D'altra parte, se il Toro ha continuato a correre in agosto, in settembre e in ottobre contro il parere di tutti, perché dovrebbe fermarsi nella seconda metà di ottobre? Dove sta scritto?

Eppure le ragioni per questa frenata, a partire da oggi, da subito, non mancherebbero. 

1- La prima è di carattere psico-fisico. Dopo una corsa molto sostenuta che è cominciata a marzo, uno stop per farsi una birretta o una tavola di cioccolata verrebbe in mente a chiunque. Perché non dovrebbe decidere in questo senso anche questo Toro? 

2- Le altre due sono molto più serie. La prima è di carattere molto congiunturale. Nel terzo trimestre di quest'anno l'economia americana ha fatto una gran corsa (ha avuto anche lei il suo Toro), grazie a una concentrazione di fattori forse irripetibili. E' andata su di quasi il 6 per cento, ma nessuno si illude che l'evento possa ripetersi. Il potenziale di crescita dell'economia americana è intorno al 4 per cento. E è lì che nei prossimi mesi si assesterà, dicono tutti. Quindi tanto i consumatori quanto le imprese dovranno darsi una calmata. 

3- La seconda ragione è più complessa e meno ovvia da individuare e da valutare. Si tratta, per essere chiari, della credibilità della ripresa americana. Se qualche giorno fa erano stati gli economisti della Hsbc a dire che questa ripresa è soltanto un momento particolare dentro un trend di recessione (che dovrebbe quindi ritornare nel 2004), adesso anche il capo economista del Credit Suisse First Boston, Alois Bischofberger, sostiene la stessa tesi. Nel 2003 si sono concentrati motivi particolari, ma è evidente che l'economia americana soffre ancora di troppi squilibri e di troppi problemi per andare davvero in ripresa in modo stabile e continuativo. E, se le cose dovessero stare davvero così, allora il rialzo di Borsa 2003 sarebbe stato una specie di rondine che non fa primavera. Una bellissima rondine, peraltro. Ma destinata a sparire nell'azzurro dei cieli per tornare chissà quando.

               21 Ottobre 2003 14:19 MILANO (di Giuseppe Turani)

 

 

 

  Mercati azionari: Warren Buffet preferisce restare liquido

28 Ottobre 2003   08:00  ANSA  (di Luca Spoldi)

 

Warren Buffett vede poche occasioni di investimento al momento e preferisce mantenere elevata la liquidità del fondo gestito dalla sua holding finanziaria Berkshire Hathaway. Così il celebre gestore, intervistato la scorsa settimana dal settimanale britannico Barron’s, spiega che egli non trova particolarmente attraente, al momento attuale, né il mercato azionario, né quello obbligazionario o dei debiti ad alto rischio.

“Abbiamo più liquidità che idee” ammette il gestore, dall’alto dei suoi 24 miliardi di dollari di patrimonio gestito. Il gestore, che è anche l’amministratore delegato della Berkshire Hathaway, spiega a Barron’s che non trova particolarmente attraenti i rendimenti ottenibili attualmente da investimenti in azioni, obbligazioni o titoli ad elevato rischio di credito (i cosidetti “titoli spazzatura” o “junk bond”).

Il problema, spiega il gestore, è cosa fare a medio e lungo termine: dopo aver venduto titoli a lungo termine del Tesoro americano per 9 miliardi di dollari in estate, non sarebbe infatti particolarmente interessante ricomparli a questi livelli. Tra i rimpianti del gestore, semmai, vi è quello di non aver provveduto a liquidare anche gli investimenti in titoli azionari di grandi corporation a stelle e strisce come Coca Cola o Gillette allorchè, sul finire degli anni ‘90, tali titoli erano ai loro massimi storici.

Una vendita peraltro resa difficile dal fatto che, sedendo egli all’epoca nei consigli di entrambe le società, avrebbe rischiato un “cartellino rosso” per insider trading. Un altro peccato veniale, ammette Buffet, è stato non aver acquisito, qualche anno fa, le azioni di Wal-Mart Stores , ritenendoli sopravvalutati. Un errore di valutazione che ora Buffet stima in 8 miliardi di dollari di mancati guadagni, dato che dall’epoca Wal-Mart si è ulteriormente apprezzata in Borsa.

Quanto al prossimo futuro il gestore appare ancora fiducioso nei ritorni che saranno in grado di generare le posizioni assunte in compagnie assicurative del calibro di Geico e General Re, che costituiscono attualmente la parte preponderante del portafoglio azionario della Berkshire Hathaway. Una fiducia che non lo esime da fare i suoi complimenti ai concorrenti diretti delle sue controllate, Progressive e Mercury General , per i risultati ottenuti in questi ultimi trimestri.

28 Ottobre 2003   08:00  ANSA  (di Luca Spoldi)

 

 

 

  Buffett pessimista su dollaro, compra altre valute

28 Ottobre 2003   13,35    (ANSA-BLOOMBERG)

 

Warren Buffett, il guru della finanza statunitense cui fa capo la società finanziaria Berkshire Hathaway, è pessimista sulle sorti del dollaro, al punto che da un anno e mezzo a questa parte ha investito in altre valute, preoccupato sopratutto dall' andamento del deficit commerciale Usa.

In una lettera pubblicata sul sito Fortune.com, Buffett scrive infatti che "il nostro disavanzo commerciale è fortemente peggiorato, al punto che il valore netto del nostro Paese, per così dire, si sta adesso trasferendo all' estero, in misura allarmante".

Buffett peraltro ha evitato di precisare l' ammontare degli investimenti fatti in valute diverse dal dollaro né le divise verso cui Berkshire si è indirizzato. Il guru della finanza, in ogni caso, prima della primavera dello scorso anno non aveva mai investito in monete diverse dal dollaro.

Nella stessa comunicazione al sito Fortune.com, Buffett auspica anche il varo di un piano tariffario in grado di contenere le importazioni e favorire l' export dagli Stati Uniti. Il disavanzo commerciale statunitense nei primi otto mesi del 2003 è volato alla cifra-record di 324,4 miliardi di dollari, contro i 265,3 mld del corrispondente periodo del 2002.

Buffett peraltro aggiunge: "sia come americano che come investitore, oggi come oggi mi auguro che la nostra scelta si riveli sbagliata". Infatti - spiega - qualsiasi profitto che sia possibile ottenere da un investimento in valute diverse dal dollaro, viene "controbilanciato dalle perdite della nostra azienda e dei nostri azionisti, in altri aspetti della loro vita, derivanti da un calo della quotazione" del biglietto verde.

 

28 Ottobre 2003   13,35    (ANSA-BLOOMBERG)