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Derivati:
trilioni di dollari, crescita esplosiva
23
Settembre 2003
17:22 New
York (WSI)
Cresce
a livelli paurosi l'ammontare di strumenti derivati sul mercato finanziario
americano. Secondo l'ufficio del
Comptroller of the Currency Usa “l'incertezza sui mercati finanziari continua
a indurre le banche (e i loro clienti) a cercare opportunita' per mitigare i
rischi attraverso l'uso dei derivati".
Secondo
alcuni osservatori l'esplosione di questi strumenti e' una peculiarita' della
finanza contemporanea, secondo altri e' l'ennesima conferma di un'enorme bolla
non ancora scoppiata sul mercato bancario-finanziario (ricordiamo
che Warren Buffett, il guru di Omaha, ha definito i derivati "armi di
distruzioni di massa puntate sul mercato finanziario").
Wall
Street Italia pubblica l'elenco
aggiornato al
12 settembre 2003
delle posizioni in "derivatives"
delle principali banche commerciali degli Stati Uniti.
Per
l'ultimo trimestre preso in considerazione, il totale delle posizioni in
derivati detenute dalle maggiori banche Usa e' salito di $4.4 trilioni (+27%
annualizzato) a $65.8 trilioni.
Suddividendo
i derivati per categorie, quelli sugli Interest Rates sono aumentati del
24% annualizzato a $56.9 trilioni; i derivati in Foreign Exchange sono
cresciuti del 48% a $7.1 trilioni; i Credit derivatives sono saliti del
46% a $802 miliardi, mentre altri tipi di derivati sono calati del 4% a $1
trilione.
In
termini di prodotti specifici, i Futures & Forwards sono saliti nella
posizione totale delle banche del 24% annualizzato a $12.7 trilioni, gli Swaps
sono aumentati del 25% annualizzato a $38.1 trilioni e infine le Options
hanno registrato un aumento del 34% a $14.3 trilioni.
Per quanto riguarda le tre maggiori banche
commerciali degli Stati Uniti player del settore, e cioe' attualmente con le
posizioni piu' forti e piu' attive sul mercato dei "derivatives", al
primo posto troviamo:
Per
quanto riguarda le tre maggiori banche commerciali degli Stati Uniti player del
settore, e cioe' attualmente con le posizioni piu' forti e piu' attive sul
mercato dei "derivatives", J.P.
Morgan Chase ha visto aumentare la posizione a un totale di $32.7 trilioni
(tasso di crescita: +25%), Bank of America sale a $13.8 (+23%); infine Citibank
vede crescere la sua posizione in questi strumenti finanziari a $11.0 trilioni,
equivalente a un tasso di incremento del 33%.

23
Settembre 2003
17:22 New
York (WSI)
fonte
Wall Street Italia.com
Denaro di carta e
tirannia
14
Settembre 2003
22:51 New
York di
US Equitiy & Macro Lab per WSI
Durante
le testimonianze tenute da Alan Greenspan al Congresso Usa e di fronte alla
Commissione Economica, Ron Paul si rivela sempre uno dei pochi in grado di
capire a fondo le cause dei recenti problemi economici. I suoi interventi e le
sue domande al Presidente della Fed hanno costantemente a cuore la questione
monetaria. A tal proposito egli non esita a richiamare esplicitamente la teoria
economica austriaca e i suoi principali economisti: Von Mises, Rothbard e il
premio Nobel Hayek.
Il
cinque settembre scorso, Ron Paul ha tenuto un lungo discorso davanti al
Congresso esponendo in maniera organica la questione monetaria. Dal titolo Paper
Money and Tyranny, esso rappresenta a nostro avviso uno dei testi migliori per
riuscire a comprendere a fondo la questione monetaria, le sue implicazioni sugli
odierni problemi dell'economia americana e, più in generale, sull’economia e
lo sviluppo economico.
Il
discorso parte riprendendo quel Gold and Economic Freedom scritto nel 1966 da
Alan Greenspan. Lo approfondisce e lo sviluppa nel contesto economico attuale.
La critica alla Fed è feroce.
La questione di una moneta sana è trattata
brillantemente nei suoi tre aspetti principali: morale, politico ed economico.
La chiarezza con cui vengono esposte le minacce correnti alle libertà
economiche è sbalorditiva.
Le accuse di manipolazione del prezzo dell’oro da
parte delle banche centrali sono nette e sorprendenti. La minaccia
deflazionistica avanzata negli ultimi tempi dalla Fed è rivelata nella sua
infondatezza. L’intero discorso è decisamente elettrizzante.
Essendo
anche estramente vicino e coerente con i temi trattati in questa sede, offriamo
con grande piacere la traduzione della prima parte del testo-saggio di Ron Paul,
a cui gradualmente faremo seguire la traduzione integrale.
Ogni
passaggio merita estrema attenzione e si pone come un riferimento fondamentale
per riflettere sull’evoluzione economica del recente passato, di quella che ci
attende nei prossimi anni.
________________________________________________
Paper
Money and Tyranny
HON.
RON PAUL OF TEXAS IN THE HOUSE OF REPRESENTATIVES
September
5, 2003
http://www.house.gov/paul/congrec/congrec2003/cr090503.htm
Traduzione
di Roberta Panizzoli
Nel
corso della storia tutte le grandi repubbliche hanno avuto cura di una moneta
sana, una unità monetaria, cioè, costituita da una merce-materia prima con
caratteristiche di purezza e giusto peso. Laddove ciò si è realizzato, le
civiltà hanno raggiunto livelli di maggiore benessere e le libertà si sono
affermate con maggior vigore.
Più una società tende verso condizioni di minore
libertà, più è probabile che la moneta stia venendo svalutata e che il
benessere economico dei suoi cittadini stia diminuendo.
Diversi
anni prima di diventare responsabile della scandalosa diluizione del dollaro
americano, in qualità di Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan
scrisse del legame tra moneta sana, prosperità e libertà. Nel suo saggio
“Gold and Economic Freedom” (The Objectivist, luglio 1966),
Greenspan
comincia con le seguenti parole: “L’avversione quasi isterica nei confronti
del gold standard è un atteggiamento che unisce tutti gli uomini di governo.
Essi sembrano percepire… che l’oro e le libertà economiche siano
inseparabili.”
E più avanti dichiara che: “sotto il regime del gold
standard, un sistema bancario si impone come il protettore della stabilità
economica e di una crescita equilibrata.”
In modo sbalorditivo, l’analisi di
Greenspan sul crash del 1929, e sul modo con cui la Fed accelerò la crisi,
ripercorre parallelamente la situazione attuale che stiamo vivendo sotto la sua
direzione. Sempre in quel saggio, Greenspan spiega: “L’eccessivo credito
pompato dalla Fed si riversò sul mercato azionario dando avvio a un incredibile
boom speculativo.” E ancora: “nel 1929 gli squilibri dovuti alla
speculazione erano diventati dirompenti e ingovernabili dalla FED”. Infine
conclude scrivendo: “ In assenza del gold standard è impossibile proteggere i
risparmi dalla confisca realizzata attraverso l’inflazione”. Egli spiega il
“segreto meschino” che accomuna i fautori dei governi forti e della carta
moneta non convertibile, identificando nel disavanzo della spesa pubblica uno
“schema per attuare una invisibile confisca della ricchezza.” Tuttavia
oggi
ci ritroviamo con un sistema monetario puramente cartaceo, gestito quasi
esclusivamente dallo stesso Alan Greenspan che così correttamente era riuscito
sia a denunciare il ruolo della Fed durante la Depressione che a riconoscere la
necessità di una moneta sana.
I
Padri fondatori di questa Nazione, e fino agli anni trenta anche la gran parte
dei cittadini americani, disdegnavano la carta moneta, rispettavano la moneta
merce-materia prima e disapprovavano il controllo monopolistico di una banca
centrale sulla produzione di moneta e sui tassi di interesse. Ironia della
sorte, l’abuso del gold standard, le abitudini della FED di generare credito
negli anni venti e i danni che provocò negli anni trenta, non solo ci portarono
alla Grande Depressione ma ebbero come effetto quello di prolungarla. Tuttavia,
la colpa di quelle sofferenze fini con l’essere scaricata sulla moneta sana
che avevamo allora. Questa é la ragione per cui la gente non sollevò obiezioni
quando Roosevelt e i suoi amici statalisti confiscarono l’oro e svalutarono il
dollaro, facendoci entrare nell’età delle valute cartacee non convertibili
con le quali oggi si dibatte l’economia internazionale.
Se
come afferma Greenspan una moneta sana e le libertà sono inseparabili, e la
carta moneta porta alla tirannia, ci si dovrebbe chiedere per quale motivo essa
sia così ben gradita dagli economisti, dalla comunità economica, dai banchieri
e dagli uomini di governo. La spiegazione più semplice é che l’uomo tende
sempre a cercare il conforto della ricchezza con il minor sforzo possibile.
Questo desiderio é alquanto positivo quando in una società capitalista esso
induce al duro lavoro e all’innovazione. La produttività aumenta e il livello
di vita migliora per tutti. Questo processo ha permesso oggi, alle classi meno
abbienti dei paesi capitalisti, di usufruire di lussi neanche disponibili alle
famiglie reali del passato.
Tuttavia
questa tendenza a ricercare il benessere e le comodità con il minor sforzo
possibile viene spesso abusata. Essa spinge qualcuno a credere che attraverso
certe manipolazioni della moneta, il benessere possa diventare più facilmente
accessibile per tutti.
Coloro che credono nella moneta cartacea non convertibile
ritengono spesso che il benessere possa essere aumentato facendo a meno del
dovuto lavoro e dell’innovazione. Essi arrivano anche a credere che i risparmi
e il controllo dei tassi di interesse da parte del mercato non solo siano
inutili, ma che rappresentino anche un ostacolo alla crescita economica.
L’interesse per la libertà è rimpiazzato dall’illusione che i benefici
materiali possano essere raggiunti attraverso la moneta cartacea non
convertibile, piuttosto che con il duro lavoro e l’ingegnosità. I benefici
percepiti diventano sempre più motivo di preoccupazione rispetto al
mantenimento delle libertà. Ciò non significa che i sostenitori della moneta
cartacea si siano imbarcati in una crociata per promuovere la tirannia. Sebbene
il risultato tenda ad essere proprio questo, il fatto è che essi credono di
aver trovato la pietra filosofale e un’alternativa moderna alla sfida per
trasformare il piombo in oro.
I
nostri Padri Fondatori avevano capito a fondo la questione e ci misero in
guardia contro la tentazione di ricercare il benessere e la fortuna senza il
lavoro e i risparmi su cui invece si fonda una reale prosperità. James Madison,
ad esempio, ci mise in guarda dagli “effetti pestilenziali della carta
moneta”. I Fondatori, infatti, ben si ricordavano dei danni causati dal
Dollaro Continentale. George Mason della Virginia affermò di provare un “odio
mortale nei confronti della carta moneta.” Il delegato della Convenzione
Costituzionale Oliver Ellsworth del Connecticut pensò che la convenzione
potesse rappresentare “una occasione favorevole per chiudere e sprangare la
porta davanti alla carta moneta”. Pressoché tutti i delegati della
Convenzione consideravano pericolosa la carta moneta, e questa fu la ragione per
cui la Costituzione limitò l’autorità del Congresso in materia dichiarando
come unici mezzi legali di pagamento l’oro e l’argento. La carta moneta fu
vietata e non venne autorizzata alcuna banca centrale. Oltre alle ragioni
economiche in favore dell’utilizzo di una moneta onesta, Madison argomentò
anche ragioni morali. Spiegò che la carta moneta distruggeva “la necessaria
fiducia tra gli esseri umani, la necessaria fiducia nei consigli pubblici,
nell’industria, nei costumi della gente e nel buon nome del governo
repubblicano”.
I
Padri Fondatori erano ben consapevoli delle ammonizioni della Bibbia verso pesi
e misure disonesti, verso l’argento alterato e il vino annacquato. Nel corso
della storia la questione della moneta é stata una questione tanto morale
quanto economica o politica.
Persino
con questa storia alle spalle e con la seria perplessità espressa dai Padri
Fondatori, le barriere alla carta moneta sono state fatte a pezzi. La
Costituzione é rimasta la stessa, ma non viene più applicata alla questione
della moneta. Una volta, durante il dibattito sull’entrata in guerra in Iraq,
mi spiegarono che non c’era bisogno di una dichiarazione di guerra poiché
essa sarebbe stata “futile” e che la parte della Costituzione che trattava
delle facoltà decisionali del Congresso sulla guerra era “anacronistica”.
In maniera simile, pare che sia “anacronistico” anche il potere
costituzionale del Congresso sulla moneta limitato dalla stessa Costituzione
alla coniatura e ai giusti pesi.
Se
davvero la nostra generazione è in grado di sostenere le ragioni a favore della
carta moneta, emessa da una banca centrale non autorizzata, sarebbe d’uopo
perlomeno rispettare la Costituzione ed emendarla in modo corretto. Ignorare la
Costituzione per compiere un atto pernicioso é nocivo sotto due punti di vista.
In primo luogo, svalutare la moneta comporta danni smisurati a livello
economico. In secondo luogo, attuare tale svalutazione senza rispettare la legge
mina l’intero edificio della nostra repubblica costituzionale.
Sebbene
al momento la necessità di una moneta sana non sia una questione urgente per il
Congresso, essa è qualcosa che non può essere ignorata poiché il nostro
sistema basato sulla carta moneta sta causando dei seri problemi economici. In
realtà, pur scontrandoci quotidianamente con le conseguenze arrecate da questo
sistema, non riusciamo a vedere la connessione tra i nostri problemi economici e
i danni orchestrati dalla Federal Reserve.
Tutte
le grandi religioni insegnano l’onestà in materia di moneta, e i difetti
economici della carta moneta erano ben conosciuti quando venne scritta la
Costituzione, dobbiamo quindi cercare di capire per quale motivo un’intera
generazione di americani ha accettato la carta moneta senza esitare, senza porsi
delle domande. La maggior parte degli americani é ignara della natura e
dell’importanza della moneta. Per quanto riguarda coloro che detengono il
potere, invece, o essi sono stati tratti in inganno da false nozioni oppure si
rendono ben conto che il potere di creare moneta è un potere di cui in effetti
godono mentre mettono all’ordine del giorno il welfare nel proprio paese e
l’impero all’estero.
La
moneta é una questione morale, economica e politica. Poiché l’unità
monetaria stabilisce qualsiasi transazione economica, dai salari ai prezzi,
dalle tasse ai tassi di interesse, é estremamente importante che il suo valore
venga stabilito in modo onesto dal mercato senza che banchieri, governi,
politici o la Federal Reserve manipolino il suo valore al fine di servire
interessi particolari.
La
questione morale dovrebbe essere la più facile da comprendere, tuttavia a
Washington, quasi nessuno pensa alla moneta in questi termini. Sebbene ci sia
una crescente e meritata sfiducia nel governo, la fiducia nella moneta e nelle
capacità di gestione della Federal Reserve rimane molto forte.
Nessuno
accoglierebbe un falsario in città, eppure la nostra banca centrale é
autorizzata a falsificare senza che ci sia alcuna seria supervisione da parte
del Congresso.
Quando
il governo può riprodurre l’unità monetaria, sia essa carta moneta o
registrazione elettronica, a suo piacimento e senza considerarne i costi, esso
si mette sullo stesso piano morale del falsario che stampa valuta illegale. In
tutti e due i casi si tratta di frode.
Un
sistema fondato sulla moneta cartacea non convertibile dà potere e autorità a
coloro che controllano la produzione di nuova moneta e a coloro che per primi
hanno accesso ai soldi o al credito appena originati. Il costo insidioso e
finale si riversa invece su vittime non identificate, spesso ignare delle cause
della loro sfavorevole condizione.
Questo sistema di saccheggio legalizzato
(sebbene non costituzionale) permette a un gruppo di persone di trarre profitti
a scapito di un altro. Si realizza un vero e proprio trasferimento di ricchezza
dai poveri e dal ceto medio alle classi finanziariamente privilegiate.
In
molte società il ceto medio é stato letteralmente spazzato via
dall’inflazione che accompagna la carta moneta non convertibile. Nelle prime
fasi del ciclo inflazionistico, l’aumento del costo della vita e la perdita di
posti di lavoro colpiscono un segmento della società, laddove invece la classe
imprenditoriale trae beneficio ricorrendo con facilità all’indebitamento. Uno
scaltro operatore di borsa o un costruttore edilizio possono guadagnare milioni
nella fase di boom del ciclo economico, mentre i poveri e coloro che
percepiscono uno stipendio fisso non riescono a stare al passo con l’aumento
del costo della vita.
La
moneta non convertibile é immorale anche perché permette al governo di
finanziare una legislazione a favore di interessi speciali che altrimenti
dovrebbe essere pagata con le imposte dirette o tassando le imprese produttive.
Questo trasferimento di ricchezza si attua senza prendere direttamente i soldi
dalle tasche dei cittadini. Ciascun dollaro creato diminuisce il valore dei
dollari in circolazione.
Coloro che hanno lavorato sodo, pagato le tasse e
risparmiato per i tempi difficili vengono maggiormente colpiti poiché quei
dollari perdono valore e fruttano bassi interessi a causa dalla politica
accomodante della Federal Reserve. L’accesso facile al credito aiuta gli
investitori e i consumatori che non si fanno scrupoli nell’indebitarsi e
magari nel dichiarare bancarotta.
Se
uno considera lo stato assistenziale e il militarismo come sbagliati e immorali,
dovrebbe anche capire che l’autorizzazione a stampare moneta permette di
realizzare queste politiche molto più facilmente di quanto avverrebbe se le
stesse dovessero essere finanziate immediatamente con le imposte dirette.
Stampare moneta, che letteralmente significare inflazionare, non
é altro che un sinistro e perverso sistema di tassazione occulta. E’ ingiusto
e ingannevole e perciò fortemente osteggiato dagli autori della Costituzione.
Questa é la ragione per cui né al Congresso, né alla Federal Reserve, né al
potere esecutivo, è concessa alcuna autorità di amministrare il sistema
monetario corrente.

23
Settembre 2003
22:51 New
York di
US Equitiy & Macro Lab
Il rosso e il nero
25
Settembre 2003
12:47
Milano
(*Alessandro
Fugnoli)
IL
CONTESTO
Dopo
sette mesi di rialzi le borse si inventano pretesti per consolidare. Il contesto
reale rimane però molto favorevole e nulla è cambiato se non in meglio.
Negare
sempre. Negare l’evidenza. Colti in fallo, definire ectoplasmatica o
fantasmatica la figura individuata nell’armadio o sotto il letto. Proiezione
olografica, illusione dei sensi, ombra, sogno. Il dollaro è riuscito a
scivolare da
0.98 in
ottobre a
1.19 in
giugno, ma
il segretario al Tesoro Snow ha
continuato per tutto il tempo a dire, sereno e imperturbabile come un giocatore
di poker, che non stava cambiando niente, che si continuava a volere un dollaro
forte come prima. Incantati dalla nenia, i mercati azionari e obbligazionari
hanno vissuto una discesa del dollaro del 20 per cento con molta tranquillità,
vedendone anzi gli aspetti positivi di riequilibrio e di rilancio
dell’economia americana.
Mentre
il dollaro è sceso, il Dax è passato da
2600 a
3300, alla faccia della diminuita
competitività tedesca. Arriva invece il piccolo Plaza del G7 di Dubai. Tra
squilli di trombe e rullare di tamburi si annuncia che l’Asia deve rivalutare.
Sull’Europa si tace, ma il messaggio è comunque solo uno. Dollaro debole per
tutti. Apriti cielo. Per un movimento dell’euro da
1.12 a
1.14 (un decimo di quello intercorso tra
ottobre e giugno) il Dax si schianta da
3650 a
3300, il Nikkei perde il 5 per cento, i bond
pensano per un attimo che nessuna banca centrale asiatica avrà più i soldi per
comprarli e si deprimono assai, salvo ricredersi e consolarsi con
l’occupazione americana che non sale.
A
volte i policymaker fanno dei miracoli nel calmare i mercati e portarli nella
direzione desiderata. A volte combinano dei pasticci. Volendo comunque guardare
il lato positivo, l’enfasi del comunicato di Dubai toglierà un po’ di vento
alle vele di quei senatori repubblicani e democratici (il buon senso, diceva
Cartesio, è ben distribuito tra tutte le categorie umane, ma lo è anche la
stupidità, come ha scritto Carlo M. Cipolla) che hanno presentato una proposta
di legge per tassare del 27.5 per cento le importazioni dalla Cina. Tutto
questo, in ogni caso, è rumore, colore, folklore. Difficilmente assisteremo a
una svalutazione significativa del dollaro nel breve termine al di là del 5 per
cento che si è già realizzato sullo yen. Fra qualche settimana vedremo
la Cina
uniformarsi, ma anche lì non vedremo,
inizialmente, grandi numeri.
Come
ha detto il governatore Zhou,
la Cina
continuerà a privilegiare la stabilità. Il
vero, grande e prezioso risultato del vertice di Dubai non sarà dunque quello
di mettere in moto la seconda fase della Grande Caduta del dollaro (che ci sarà
e come, ma sarà augurabilmente lenta) quanto di avere sventato una volta per
tutte le velleità rialziste che circolavano nei mercati fino a 10 giorni fa.
Oggi sembra incredibile, ma agli inizi di settembre, con il dollaro a 1.08,
c’era tutta una fioritura di studi che vedevano imminente il ritorno alla
parità e oltre.
Il
mercato dei cambi stava infatti iniziando a intonare il canto “Forte è la
ripresa americana e forte sarà il dollaro”. Lo stesso canto delle sirene
aveva ammaliato i naviganti all’indomani della fine della guerra in Irak,
allorchè il dollaro recuperò in pochi giorni da
1.11 a
1.05. Dovremmo essere tutti molto contenti (a
parte gli incauti possessori di dollari non coperti) che il coro degli
irresponsabili sia stato zittito anche questa volta. Fare risalire il dollaro
adesso, con il ciclo globale che volge al meglio, significherebbe solo
allungarne la caduta alla prima recessione e produrre sconquassi di cui proprio
non avremo bisogno nel 2005 o 2006. Con il dollaro che non si rafforzerà mai più
per molti anni a venire toglieremo all’Europa l’illusione che, sulle
riforme, si possa guadagnare tempo parlandone e non facendole, in stile
Schroeder. Le riforme, dunque, si faranno, in stile Raffarin.
Quanto
al Giappone, il chief economist del Fondo Monetario Rogoff l’ha messa giù
semplice e chiara. Se vuole evitare la rivalutazione non ha che da stampare yen
giorno e notte. Così gli risalirà finalmente l’inflazione sopra zero. Per i
bond il piccolo Plaza di Dubai è solo marginalmente negativo. Le banche
centrali non smetteranno certo di comprare bond americani. Probabilmente, dopo
avere aggiustato il cambio dello yen,
la Banca
del Giappone ha già ripreso a comprare
T-Bill e T-Bond. Nel prossimo periodo l’andamento dell’occupazione americana
sarà molto più importante, per i mercati obbligazionari, del cambio del
dollaro. La nostra previsione essendo che di occupazione ne vedremo poca per
qualche mese ancora, i bond non corrono gravi pericoli.
Per
i mercati azionari il piccolo Plaza di Dubai è solo positivo. Già si vedevano
in giro espressioni di disprezzo per gli utili molto belli che ci verranno
comunicati in America nelle prossime settimane. Disprezzo per l’effetto cambio
(considerato contingente) e per l’effetto taglio dei costi (considerato
irripetibile). In realtà l’effetto cambio, con il piccolo Plaza, diventa
praticamente irreversibile e va dunque incorporato in tutti i flussi di utili
futuri. Quanto al taglio dei costi, è da otto trimestri che viene dato per
irripetibile, una tantum, siamo ormai all’osso e così via. E in realtà,
invece di fermarsi, accelera. E può arrivare a velocità di curvatura quando si
spostano i costi in Cina (e dalla Cina costiera alla Cina interna, come avverrà
non appena lo yuan inizia a rivalutarsi).
Si
dirà che i cambi sono un gioco a somma zero e che quello che guadagna Wall
Street lo devono perdere Europa e Giappone. Chiunque abbia passato un’ora
della sua vita davanti ai terminali sa che non è così. Nel complesso è meglio
per tutti che sia l’America ad andare bene. Fin qui i fatti strutturali.
Quanto ai movimenti concreti del mercato azionario è comprensibile, dopo sette
mesi di rialzo, che ci si attacchi a tutto pur di correggere. Inclusa la
decisione Opec di tagliare la produzione di petrolio, letta negativamente dalle
borse come segno che i prezzi risaliranno. Saremo patologicamente ottimisti, ma
preferiamo leggerci la consapevolezza Opec che i fondamentali del greggio si
stanno deteriorando rapidamente.
Ogni
volta che inizia un ciclo di ribasso sul prezzo del petrolio l’Opec si mostra
fredda e razionale, ma non bisogna dimenticare che tre quarti dei paesi
produttori hanno grandissimo bisogno di soldi e che la disciplina di cartello è
fragile. E poi l’Opec conta sempre meno e
la Russia
(e fra poco l’Irak) sempre di più, per cui
la nostra scommessa è che il greggio, fra sei mesi, costerà meno di oggi. Le
paure di questi giorni sono dunque, per il momento, più un mal di pancia dei
mercati che un vero problema. Tutta
la Fed
, con in testa Bernanke, continua a
sbilanciarsi su un 2004 al passo del 4 per cento, senza inflazione e senza
rialzi dei tassi. Il contesto è questo, il resto è colore.

25
Settembre 2003
12:47
Milano
(*Alessandro
Fugnoli)
fonte
Wall Street Italia.com
Alcune brutte sorprese
per i soliti ottimisti
30
Settembre 2003
14:17
Milano
Settimana
fiacca e anche un po' terremotata, con crolli del Nasdaq come non si vedevano
dai tempi della grande crisi. Gli operatori professionali, naturalmente, in
queste ore ostentano molta sicurezza. Si tratta, dicono, di un ridimensionamento
previsto e tutto sommato atteso, persino con una certa impazienza. Il mercato
doveva arretrare in agosto, ma invece è poi andato avanti. Allora abbiamo detto
che la correzione era attesa per l'inizio di settembre. Ma, di nuovo, è andato
su. Adesso, siamo alla fine di settembre e, finalmente, le cose si muovono e il
mercato fa quei passi indietro che poi gli consentiranno di ripartire con nuova
lena.
I
professionisti, pur sereni, quasi sollevati per quello che sta accadendo, sono
poi divisi. C'è chi parla di una correzione del 5-7 per cento (che dovrebbe
quindi essere quasi terminata). E c'è chi parla invece di un periodo turbolento
destinato a durare per tutto ottobre, con il risultato finale di vedere i
listini giù del 10-15 per cento.
In
realtà, dietro lo sfoggio di nervi saldi da parte degli operatori
professionisti, si avvertono paure in parte nuove e in parte vecchie, ma
consistenti.
Al
primo posto c'è certamente la questione del petrolio. Da tempo in molti si
erano dimenticati del greggio. Ma adesso si è messo a salire, non ha l'aria di
voler scendere. E in parecchi cominciano a pensare che prima o poi potrebbe
anche abbattersi con effetti devastanti sull'ambigua ripresa economica in atto.
In questo caso, oltre alle Borse verrebbero giù molte altre cose e,
probabilmente, Bush non riuscirebbe a risalire alla Casa Bianca. Insieme a Bush
però si troverebbero nei guai in parecchi altri.
Intanto,
l'Europa, molto dipendente dal petrolio e quindi molto sensibile al prezzo del
greggio. In uno scenario "cattivo" un forte rialzo del petrolio
potrebbe voler dire per il Vecchio Continente rinviare di due-tre anni l'avvio
della ripresa economica. Con conseguenze politiche e sociali molto gravi. Anche
nelle Borse europee ci sarebbe una specie di macello. Qui si è andati al rialzo
puntando tutto su una forte ripresa in arrivo dall'America, ma se il greggio
taglia le gambe a questa ripresa, e non c'è più niente, allora sono guai seri.
Forse le cose non andranno proprio così. Ma da qualche giorno il petrolio è
diventato un pensiero molto fastidioso.
Poi
ci sono le preoccupazioni consuete. Bush, ad esempio, fino a poco tempo fa era
dato per sicuro vincente nella corsa alla Casa Bianca e questo voleva dire
continuità nella politica economica e continuità nella politica monetaria.
Adesso, petrolio a parte, non si è più tanto sicuri che le cose andranno
proprio così. L'America già in mezzo al guado di una ripresa economica che non
si sa quanto forte e solida, rischia anche, forse, di ritrovarsi dentro una
tempesta politica di grandi proporzioni. Evento che ovviamente non piace ai
mercati.
Infine,
ci sono le cose più tecniche, più semplici, ma altrettanto preoccupanti.
Intanto c'è il fatto che i mercati hanno corso e che devono fermarsi. Solo che
un sacco di gente è saltata su proprio la settimana scorsa, o tre giorni fa,
hanno appena sentito il profumo dei soldi. Rimandarli a casa con due lire o,
peggio, con una perdita non sarà tanto semplice. Nessuno, insomma, può
escludere una reazione nervosa anche di un certo peso. Al di là di tutti gli
scenari socio-politici, cioè, la crisi delle Borse potrebbe anche nascere
dentro le Borse stesse e per questioni molto interne, tecniche.
All'ultimo
posto, ma non certo per importanza, c'è l'eterna questione della ripresa
americana. Ormai si sa che i dati del terzo trimestre segneranno una ripresa
fortissima. Di sicuro superiore al 4 per cento, forse vicina al 5 per cento. Ma
si sa anche che il quarto e ultimo trimestre non sarà più così brillante.
Segnerà un ritorno a un passo più calmo, più disteso, della congiuntura a
stelle e strisce.
Ma
si comincia anche a capire che la bestia nera dell'economia americana (e cioè
l'occupazione) continua a essere presente. Tutto si muove, si dice, ma gli
occupati invece di salire scendono, e questo significa che i consumi possono
tenere solo a fronte di un'eroica crescita dell'indebitamento di coloro che un
lavoro ce l'hanno ancora. E quindi siamo di fronte a una bolla (quella dei
debiti) che continua a crescere, aiutata in questo anche dal costo irrisorio del
denaro.
Molti,
però, cominciano a dubitare che questo gioco possa avere ancora vita molto
lunga. E le aziende, che fino a poche settimane fa emettevano bollettini
trionfali e molto ottimistici, adesso cominciano a essere più prudenti e più
misurate. Forse hanno già annusato che il Natale prossimo si farà con un
consumatore americano già pieno di debiti e quindi, forse, poco portato a
esibirsi in un'orgia di acquisti. E quindi i resoconti dell'ultimo trimestre
potrebbero essere di nuovo colorati di grigio invece che di rosa.
Se
così fosse, è chiaro che la correzione in corso sui mercati azionari potrebbe
prolungarsi, venendosi a saldare con l'affievolirsi della congiuntura.
Insomma,
se ieri di gli uomini dei mercati erano convinti che tutto andava per il meglio
e che ogni giorno sarebbe stato migliore del precedente, adesso cominciano a
pensare che potrebbe esserci qualche sorpresa. Il meglio, in un certo senso,
potrebbe essere quello che sta alle spalle.
La Repubblica
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