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Mercoledì
02 Settembre
2009 |
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Domenica 06
Settembre
2009 |
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Martedì
08 Settembre
2009 |
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Cina,
banche e speculazione. A
settembre cadono le Borse?
01 Settembre 2009 07:57
MILANO - di Vittorio Carlini
________________________________________
Settembre è arrivato. Il mese in cui, di solito,
cadono le Borse è iniziato. E, in molti si domandano: anche
quest'anno la regola sarà confermata? Oppure, vivremo
un'altra eccezione? Al di là delle dichiarazioni e dei
commenti di molti esperti, i motivi per procedere con molta
cautela sono numerosi. Il Sole24Ore.com ne ha analizzati,
senza pretesa di completezza, alcuni.
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Grafico - BUND
Tedesco |
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Grafico - TREASURY
USA |
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Non fate ciò che dico, fate ciò che faccio. Potrebbe
riassumersi così l'analisi del comportamento di molte
banche e investitori istituzionali. Per rendersene conto
basta ritornare con la mente al 26 agosto scorso. In
quella data si è svolta un'asta di titoli di Stato, con
la domanda che ha superato l'offerta. I BoT semestrali
sono stati collocati con un rendimento medio ponderato
dello 0,550%. Secondo Assiom, vuole dire un yield
semplice al netto di tassazione e commissioni dello 0,08
per cento. Ebbene - si chiederà - cosa mostra questo
fatto? La risposta è semplice: visto che gli acquirenti
sono stati in maggior parte banche e istituzionali, ciò
vuole dire che questi soggetti, spesso impegnati a
distribuire ottimismo (pur con le debite riserve) sui
rally dei mercati, preferiscono parcheggiare la loro
liquidità a breve in investimenti con rendimenti vicino
allo zero.
«In effetti - dice Alberto Drusiani, esperto
obbligazionario di Albertini Syz - il messaggio di
ottimismo sui mercati è arrivato con chiarezza. Però,
tutta questa sicurezza sull'equity evidentemente non
c'è. Gli istituzionali, che ovviamente sono già esposti
sull'azionario, preferiscono diversificare». Si potrebbe
obiettare che l'attuale forte inclinazione della curva
dei tassi, sia negli Usa sia in Europa, segnala i timori
della ripresa dell'inflazione e quindi, indirettamente,
presuppone la ripresa dell'economia. Insomma, le
condizioni per proseguire nella salita dei mercati ci
sarebbero. Anche in questo caso, però, bisogna fare
attenzione. Le obbligazioni a lunga durata scontano sì
il surriscaldamento dei prezzi che, tuttavia, sembra
essere più conseguenza dell'enorme liquidità immessa
dalla banche centrali, piuttosto che di una vera ripresa
dell'economia reale. Come dire, insomma, che passato
l'effetto "ondata di liquidità" sul mercato, se
l'economia non riparte i corsi azionari potrebbero
risentirne.
Il rally di banche e istituzioni finanziarie
Un altro aspetto interessante da valutare, peraltro già
indicato da questo questo foglio elettronico, è il balzo
di molti istituti finanziari dai minimi di marzo. Basta
ricordare il caso Aig che è cresciuta più del 614% negli
ultimi 6 mesi, raggiungendo quota 50 dollari (dai 7
dollari toccati in marzo). È ben vero che si tratta di
una quotazione sempre molto al di sotto di quelle prima
del crollo: l'8 settembre 2008 Aig viaggiava sui 455
dollari. Tuttavia il carburante che ha spinto il titolo
di recente non è stato poco. Proprio nello scorso agosto
c'è stata un'accelerazione dell'innamoramento degli
investitori per Aig: il 3 dello scorso mese il titolo è
salito del 3,5% sulla notizia della nomina del nuovo ceo
Robert Benmosche, al posto di Ed Liddy. Poi, è balzato
del 63% sui rumors che il colosso assicurativo sarebbe
tornato all'utile (5 agosto); una notizia confermata
(per la felicità dei soliti insider) il 7 agosto, quando
Aig ha pubblicato i conti del secondo trimestre:
profitti netti a 1,8 miliardi e titolo che guadagna un
altro 20,5%. Cui si aggiunge un altro salto in alto: il
20 agosto, dopo le parole di Benmoshe sulle buone
possibilità di restituire gli 80 miliardi di dollari
ricevuti dal governo, le azioni crescono del 21 per
cento. Si tratta di un rally "sensato"? Indubbiamente,
la trimestrale è l'indizio di una ripresa del business;
cui deve aggiungersi il fatto che, con lo stato come
azionista, il futuro di Aig è meno a rischio. Tuttavia,
molti a Wall Street sottolineano che l'azienda ha ancora
problemi. Solo due giorni fa Benmosche, tramite il Wall
Street Journal, ha inviato un ramoscello di ulivo al
grande vecchio della compagnia: Hank Greenberg. Quello
stesso Greenberg con cui il gruppo assicurativo ha in
piedi due cause per avere ricevuto compensi troppo
elevati. E che si è sempre detto contrario alla cessione
di asset del gruppo per fare cassa. Una strategia,
quest'ultima, che invece Benmosche dice di voler
perseguire con forza. Il tentativo di "riconciliazione"
con Greenberg è un segnale che, i maligni, hanno
interpretato come debolezza, soprattutto rispetto al
piano di dismissioni.
Rotazione settoriale o fuga dalla Borsa?
L'idea che ha preso piede, e non solo nei confronti di
Aig, è che i titoli finanziari siano stati colpiti da
un'ondata speculativa. Un massa ingente di liquidità che
cercava un qualche ritorno. Ora che l'ha trovato, è
naturale che il fiume di soldi si indirizzi verso altri
lidi. Dove? «Il comparto farmaceutico, l'energia e i
consumi di base - risponde Mike O'Rourke, di Btig -
hanno sottoperformato». Questi settori entreranno nel
mirino degli investitori «dando vita non a una
correzione - dice O'Rourke - bensì a un movimento
laterale». L'idea, tuttavia, non convince tutti. «Se gli
operatori vanno long sui comparti difensivi - sottolinea
John Kosar, di Asbury Research - significa che non sono
così sicuri della tanto decantata ripresa economica.
Molti money manager hanno investito per cogliere il
momento e non perché credono nella Borsa. Il rischio è
che, ad un certo punto, gran parte di loro scelga di
uscire, contemporaneamente».
Corsi e ricorsi storici
Le statitische, si sa, sono fatte per essere smentite.
La recessione che stiamo vivendo ne è la prova lampante:
i sistemi stocastici, basati su serie storiche, non
hanno previsto alcunché. Tuttavia, vale la pena di
ricordare che solo nel 1982 il buon andamento dei
listini in agosto è proseguito in settembre. E soltanto
in un altro anno, «nel 1972 - dice Nick Kalivas, di Mf
Global Research-, dopo un rimbalzo del 4%, l'S&P500 è
salito anche nel mese successivo». Un dato, insomma, che
invita alla riflessione. Ed Yardeni la pensa
diversamente. Secondo l'esperto, infatti, al di là dei
dati storici ci sono alcuni elementi che danno forza al
rally iniziato a marzo. Quali? In primis la Federal
reserve che, mantenendo i tassi sullo zero, sostiene di
fatto la liquidità; poi, l'iniezione di liquidità della
Fed e delle altre banche centrali che hanno
"monetizzato" più di metà del deficit federale Usa solo
in questo anno; infine la Cina che, preoccupata di
sostenere la domanda interna a fronte del calo di quella
proveniente dall'America, proseguirà nella sua politica
monetaria e fiscale espansiva.
La Cina vera locomotiva?
Già, la Cina. Non tutti gli esperti sono daccordo con la
tesi di Yardeni rispetto al paese del Dragone. Lo
scoppio della bolla di Shangai, infatti, ha convinto il
governo di Pechino a preparare delle misure restrittive
sull'emissione del credito facile, in particolare
rispetto ai bond subordinati e a quelli ibridi. Il
motivo? Nonostante, nel primo semestre dell'anno, la
liquidità immessa nel sistema sia aumentata (e di molto)
il loan deposit ratio (rapporto tra prestiti e depositi)
è rimasto pressoché stabile al 66%. Un chiaro segno che
il "denaro frusciante" è stato usato, più che per
finanziare le imprese, per realizzare rischiosi
investimenti a leva nel mercato azionario e nella
speculazione immobiliare. Così Pechino ha voluto correre
ai ripari. La stretta , però, rischia di rallentare la
crescita economica del Paese. Se così fosse, anche solo
in parte, la tanto decantata spinta del Far East
all'economia mondiale potrebbe rivelarsi una chimera.
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
Report
riservato ai gestori:
come posizionarsi in autunno
01 Settembre 2009 22:11
SIENA - di *Antonio Cesarano
*Questo
documento e' stato preparato da Antonio Cesarano, Head of Market
Strategy di MPS Capital Services
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Proviamo a sintetizzare le principali "anomalie"
che vengono riscontrate:
- perché mai i tassi governativi (soprattutto in area Euro)
scendono ed i corporate spread si assestano e non continuano
a restringersi pur in un contesto di borse che nel frattempo
sono salite;
- perché mai le principali materie prime (in modo
particolare il petrolio) continuano a rimanere elevate anche
se nel frattempo l’indice dei noli ha registrato un marcato
calo (-30% circa nel solo mese di agosto).
L’interrogativo è diventato sempre più frequente fino a che
lo stesso FT ha pubblicato un articolo dal titolo "Questions
over strength of recovery" in cui è contenuta una rapida
carrellata delle principali argomentazioni addotte:
- il mercato azionario sconta una ripresa a V mentre invece
quello obbligazionario teme che il miglioramento segnalato
da diversi indicatori sia temporaneo, essendo troppo legato
ad incentivi statali;
- il mercato azionario è risalito in buona misura su
ricoperture di posizioni speculative corte: non a caso tra i
titoli con performance migliori nel listino Usa furano
quelli (ad es. AIG, Fannie Mae, Freddie Mac, Citigroup) sui
quali erano aumentate in modo rilevanti le posizioni corte;
- il mercato obbligazionario starebbe anticipando la
stagionalità settembre-ottobre, storicamente sfavorevole al
mercato azionario;
- il mercato dei corporate bond avrebbe già corso molto e
pertanto gli investitori starebbero preferendo spostarsi
nuovamente sui bond governativi;
l’elevata liquidità in circolazione in cerca di investimenti
profittevoli sta portando paradossalmente in rialzo i prezzi
sia dei bond sia del mercato azionario.
Questa rapida sintesi contenuta in modo più esteso
nell’articolo citato recante diverse citazioni di trader e
gestori, aiuta ad avere un quadro più articolato e completo
di come gli operatori cercano di interpretare gli andamenti
che essi stessi in aggregato producono.
Proviamo allora a fornire una ricostruzione del quadro
attuale. Procediamo in questo modo:
1) innanzitutto una breve analisi delle informazioni dai
fondamentali,
2) una rapida carrellata di come sono posizionati i gestori
mondiali;
3) infine il tentativo di proiezione in avanti.
Indichiamo i singoli punti in modo che, chi non fosse
interessato può andare direttamente al punto di maggior
interesse. La parte macro e quella inerente il
posizionamento degli operatori è descritta in corsivo.
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1) Quadro macro
Il quadro macro è indubbiamente migliorato, complici
soprattutto gli effetti dei piani governativi implementati
un pò in tutte le aree del mondo.
Cronologicamente è partita per prima la Cina con un piano da
circa 600Mld$ approvato a novembre 2008 ed implementato già
nel primo semestre con l’appoggio rilevante anche del
fortissimo incremento dei prestiti delle banche domestiche.
Le autorità cinesi però, nel corso dell’estate hanno
progressivamente irrigidito i toni delle dichiarazioni e dei
provvedimenti per evitare un surriscaldamento eccessivo
degli investimenti, richiamando le banche al rispetto di
requisiti patrimoniali più stringenti fino a porre in essere
manovre per ridurre l’eccesso di capacità produttiva in
alcuni settori chiave come quello dell’acciaio e del
cemento.
La sintesi è stata l’emblematico linvito del premier Wen
Jabao a non essere ciecamente ottimisti. L’effetto sulle
borse locali (quelle cioè cui possono avere accesso solo gli
investitori cinesi) è stato immediato: nel mese di agosto i
listini sono scesi di circa il 25%. Inoltre dalla fine del
2008 e per tutto il primo semestre 2009 le autorità cinesi
hanno deciso di porre in essere una corposa politica di
incremento delle scorte di importanti materie prime, tra cui
il petrolio ed il rame, approfittando dei prezzi da saldo
che la crisi aveva prodotto. In questo senso spingono a
pensare i dati relativi alle scorte sul solo mercato di
Shangai che recentemente hanno evidenziato una ripresa della
politica di riaccumulo, con le scorte di alluminio sul
mercato di Shangai addirittura ai massimi storici.
Può sembrare paradossale che le stesse autorità governative
promotrici del piano di stimolo, siano poi le stesse a
gettare acqua sul fuoco per frenare gli effetti delle loro
stesse manovre. In realtà i timori cinesi sono meglio
comprensibili se si pensa che:
1) una parte della liquidità immessa nel sistema è
verosimilmente stata investita in asset immobiliari e
finanziari gonfiandoli in modo eccessivo rispetto alla reale
domanda. Uno dei principali esponenti dell’agenzia di
ricerca del paese (Development and Research Center) ha
stimato che nei primi 5 mesi del 2009 circa 170Mld$ sono
finiti sul mercato azionario. Le autorità cinesi pertanto
stanno cercando probabilmente di contenere i rischi di una
bolla;
2) il prossimo 1 ottobre saranno tenuti i festeggiamenti per
il 60° anniversario della fondazione della Repubblica
popolare cinese e probabilmente le autorità del paese
cercano di contenere il rischio di brusche correzioni dei
mercati. In altri termini, meglio prevenire che essere
costretti ad intervenire proprio quando si accendono i
riflettori mondiali in occasione della citata ricorrenza.
Gli Usa hanno approvato a febbraio il piano di supporto
all’economia da 787Mld$. Il piano originariamente prevedeva
pagamenti una tantum ai consumatori. In altri termini si
lasciava ai consumatori libertà di scelta su come spendere i
fondi ricevuti. Il risultato è stato un marcato aumento del
tasso di risparmio. I consumatori Usa infatti, hanno
preferito risparmiare quasi tutti i fondi ricevuti
verosimilmente per far fronte all’enorme mole di debiti. Nel
secondo semestre l’amministrazione Obama ha provato allora a
cambiare strategia, decidendo di incentivare singole voci di
spesa. 3 Mld$ del piano sono stati così dirottati verso il
piano di rottamazione auto ed il successo è stato
formidabile: in poche settimane i fondi sono andati
esauriti.
E’ probabile che al rientro dalle vacanze il Congresso
decida di rimodulare ulteriormente il piano: meno fondi
concessi con discrezionalità sulla spesa e più incentivi
specifici. Così ad esempio potrebbe accadere per il settore
immobiliare. Al momento vi sono incentivi per l’acquisto
della prima casa pari a 8000$ sotto forma di credito di
imposta. L’importo potrebbe essere portato a 15.000$
estendendo i potenziali beneficiari anche agli acquirenti di
seconda casa.
L’area Euro in parte si è agganciata al piano cinese.
L’economia tedesca è quella che ne ha tratto maggior
beneficio attraverso le esportazioni soprattutto di beni
durevoli. L’elevato contenuto tecnologico di impianti e
macchinari tedeschi rappresenta infatti un elemento di
elevato vantaggio competitivo sui mercati asiatici. Nel
secondo semestre potrebbero essere più evidenti gli effetti
del piano tedesco da 80Mld€ approvato in due tranche tra la
fine del 2008 e gli inizi del 2009.
In prospettiva emergono due opposti atteggiamenti da parte
dei diversi paesi europei: chi (si veda il caso di Spagna e
Francia) non è in periodo elettorale sta cominciando a far
emergere l’intenzione di rialzo delle tasse. E’ quanto si
sta discutendo in questi giorni in Spagna, in vista della
definizione della manovra finanziaria d’autunno: le ipotesi
contemplano un aumento dell’Irpef sui redditi più elevati
oltre che un incremento dell’Iva.
Chi invece è prossime alle scadenze elettorali come nel caso
tedesco (elezioni il prossimo 27 settembre) potrebbe invece
indirizzarsi in senso opposto. In Germania ad esempio i
5Mld€ di dotazione del fondo per la rottamazione auto
potrebbe esaurirsi nel giro di 15 giorni, con possibilità di
proroga almeno parziale. Inoltre c’è chi ipotizza un taglio
dell’Iva, annullando in parte o in toto l’incremento entrato
in vigore ad inizio 2007.
Con riferimento al Giappone, la recente schiacciante
vittoria dei democratici nelle elezioni per i rappresentanti
della Camera Bassa, porterebbe a pensare (stando almeno alle
intenzioni dichiarate in campagna elettorale) a manovre
finalizzate al rilancio della domanda interna tra cui: circa
2500€ annui per ogni figlio, scuole superiori gratis,
azzeramento pedaggi autostradali, meno tasse sulla benzina e
per le piccole imprese, divieto di lavoro temporaneo nel
settore manifatturiero.
In sintesi: i piani dei governi rimangono ancora
indispensabili per supportare l’economia globale. Entro fine
anno alcuni piani potrebbero essere rimodulati (caso Usa)
per accelerarne l’efficacia, qualche altro potrebbe essere
frenato nei suoi effetti eccessivi (caso Cina). Altri paesi
infine (vedi Giappone e Germania) potrebbero implementarne
altri nuovi.
2) Posizionamento gestori
mondiali
Osservando i dati forniti dai sondaggi di alcune banche Usa (nel
nostro caso abbiamo preso in esame quello di BofA-Merrill Lynch)
su un campione ampio di gestori mondiali, si può osservare come
i gestori non credessero nel recupero di marzo che li ha colti
in contropiede. In quel momento infatti erano fortemente
sottopesati di azionario. Il movimento al rialzo li ha pertanto
costretti ad una ricorsa violenta nel secondo trimestre con
effetti notevoli sulle performance dei mercati azionari. Nel
secondo semestre e fino ad oggi le posizioni sono state
completamente ribaltate al punto che ad agosto i gestori
dichiaravano posizioni in sovrappeso di azionario ai massimi
dall’ottobre del 2007.
Nel primo semestre è stato fatto molto "uso" dei corporate bond
in portafoglio, verosimilmente perché lo scetticismo di fondo
sull’effettiva efficacia dei piani governativi spingeva verso
asset sì più rischiosi (come i corporate appunto) ma non ancora
verso quelli a massimo grado di rischio (le azioni). Nel mese di
agosto la continuazione del rally azionario ha poco alla volta
convinto a spingersi più decisamente verso le azioni. Il
ragionamento alla base potrebbe essere così sintetizzato: i
corporate bond sono stati utili nel momento in cui la fiducia
sul recupero del’encomia era ancora tiepida.
I dati consuntivi hanno certificato però una fase di
stabilizzazione che agli occhi degli operatori è apparsa come
un’imminente ripresa a V, ed allora meglio rivolgersi
direttamente al più performante mercato azionario. Di
conseguenza si è assistito ad una fase di arresto del forte
restringimento degli spread corporate dei mesi scorsi.
Un breve flash sul fronte della politica monetaria: al momento
la discussione riguarda solo il se, come e quando verranno poste
in essere manovre di fuoriuscita dalle forti immissioni di
liquidità ma sul fronte tassi di riferimento la percezione è che
almeno nei prossimi 6/9 mesi le acque dovrebbero rimanere
tranquille. Ed anche se vi fossero manovre di rialzo tassi si
tratterebbe di qualche timida schermaglia, dal momento che il
sistema finanziario ed economico necessita ancora del forte
supporto delle banche centrali e dei governi. Piuttosto
potrebbero emergere manovre innovative ulteriori per stimolare
l’immissione della liquidità nel circuito del credito.
La banca centrale svedese (Riksbank) a luglio ha aperto le danze
su questo fronte, chiedendo alle banche del paese una
remunerazione per i depositi che le banche detengono presso la
Riksbank (tasso negativo pari a -0,25%) per disincentivare la
pratica di mantenimento di fondi presso l’istituto centrale. Si
tratta di una pratica ancora molto diffusa invece in area Euro e
negli Usa. I depositi overnight presso la Bce (attualmente
remunerati allo 0,25%) che erano scesi verso i 15Mld€ a metà
luglio, sono ritornati in media pari a circa 180Mld€ dopo la
storica immissione di liquidità ad un anno (la prima nella
storia della Bce) da oltre 400Mld€ a fine giugno. Con
riferimento alla Fed, la riserva in eccesso rispetto a quella
obbligatoria detenuta dalle banche presso la Fed a fine agosto
era pari a circa 800Mld$, un valore molto elevato se si pensa
che tale variabile era pari a circa 2Mld$ prima del fallimento
di Lehman.
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3) e quindi…?
Facendo un po’ una sintesi delle indicazioni fornite in
precedenza su quadro macro e posizionamento degli operatori si
arriva alle seguenti conclusioni:
- i programmi governativi e delle banche centrali hanno prodotto
un effetto stabilizzatore dando l’impressione di un’imminente
ripresa veloce dell’economia;
- gli operatori inizialmente scettici hanno seguito i segnali di
miglioramento prima rivolgendosi al mercato dei corporate bond e
poi spostandosi sulle più rischiose azioni, fino a presentare ad
agosto un sovrappeso di azionario ai massimi da circa 2 anni;
- nel frattempo la liquidità parcheggiata presso le banche
centrali, in particolare Fed e Bce, rimane su livelli molto
elevati;
Una volta ricostruito lo status quo proviamo a spingerci ad
immaginare il futuro prossimo venturo.
Uno sguardo rapido alla storia:
il bimestre settembre-ottobre presenta una stagionalità
storicamente sfavorevole al mercato azionario mentre invece il
terzo trimestre è tipicamente più favorevole ai bond. Le ragioni
di questo andamento piuttosto frequente risiedono nel fatto che
i gestori tendono ad essere più propensi al rischio nella prima
parte dell’anno quando un eventuale errore di posizionamento di
portafoglio può essere ancora corretto in tempo. Inoltre diverse
banche Usa hanno un bilancio fiscale terminante a novembre.
Pertanto eventuali operazioni di presa di profitto sugli asset
più rischiosi vengono effettuati proprio nei due mesi prima
della chiusura.
A favore dei bond governativi nel terzo trimestre giocano da un
lato la citata minore propensione al rischio ed anche la
consueta minore pressione dal lato dell’offerta. Quest’anno i
tassi governativi stanno seguendo un percorso in linea con gli
ultimi anni: fase di rialzo nel primo semestre (soprattutto
secondo trimestre) con picco a giugno e successiva fase di
discesa nella seconda parte dell’anno. Il tutto si è verificato
malgrado un miglioramento notevole della percezione del quadro
macro e soprattutto nonostante il contestuale recupero del
mercato azionario. Il mondo corporate invece ad agosto, come già
segnalato, ha segnato una battuta di arresto in termini di
spread. Ad inizio commento abbiamo segnalato le principali
spiegazioni addotte a questo fenomeno.
L’impressione è che gli operatori cerchino da un lato di
approfittare del forte rally azionario e dal’altro di bilanciare
il rischio con i più sicuri bond governativi. Tutto ciò che sta
nel mezzo (i corporate bond appunto) veine temporaneamente
trascurato, senza arrivare per ora a vere e proprie vendite
nette dal momento che la percezione sullo stato di salute
dell’economia sta comunque migliorando.
I mesi di settembre ed ottobre si presentano al momento come
quelli in cui maggiormente si colloca la possibilità di
eventuali prese di profitto sul mercato azionario, anche in
considerazione della forte pressione esercitata dalle autorità
cinesi per scongiurare a tutti i costi un rischio bolla,
cercando di pilotare il calo dei listini azionari interni ed
indirettamente influenzando in parte anche quelli
internazionali.
Sullo sfondo per fine anno occorre tenere in considerazione la
possibilità di ulteriori piani di supporto alla crescita o la
rimodulazione di quelli attuali, contribuendo pertanto a
mantenere un clima in cui la percezione di miglioramento del
quadro potrebbe prevalere. I rischi maggiori al momento sembrano
collocarsi piuttosto verso la metà del prossimo anno quando
verrà il momento cruciale per banche centrali e governi, ossia
decidere se e come rientrare dai piani implementati cercando di
evitare mosse affrettate pena una ricaduta, ed allo stesso tempo
evitare spinte inflattive generate dall’enorme mole di
liquidità.
In ogni caso sul fronte tassi governativi nel corso del primo
semestre del prossimo anno e forse già a partire da fine 2009,
potrebbero cominciare ad aumentare le spinte al rialzo
soprattutto sulla parte a lungo termine. Se infatti le manovre
continueranno ad avere effetto, allora aumenteranno le
aspettative di inflazione. Se viceversa il clima dovesse
diventare meno ottimista aumenterebbe l’aspettativa di ulteriori
corposi piani governativi alimentati da ulteriori corpose
emissioni, tenendo anche in questo caso sotto pressione il
comparto (alias nuovamente tassi al rialzo).
Inoltre non va trascurato il rischio che le aspettative di
inflazione (e quindi l’andamento dei tassi a lungo termine
governativi) vengano ancora guidate non tanto da considerazione
inerenti la domanda, quanto piuttosto dalla variabile
energetica, dove rimane ancora elevata l’influenza della
componente finanziaria, che potrebbe temporaneamente essere
limitata laddove la commissione Usa sui mercati delle commodity
dovesse adottare provvedimenti volti a contenere le posizioni
speculative.
Il tema dell’andamento dei tassi di mercato sarà ancora molto
importante per i governi dei principali paesi che verosimilmente
dovranno ancora sostenere per diversi mesi l’economia a fronte
di un sensibile incremento della spesa pubblica e quindi delle
emissioni.
Le prime indicazioni in questa direzione le avremo dopo l’esito
delle elezioni tedesche del 27 settembre, quando il nuovo
governo sarà probabilmente chiamato ad implementare un secondo
round di manovre con eventuali ripercussioni in termini di
politiche di emissioni in ottica 2010.
Infine un breve riferimento al tema andamento dicotomico tra
indice dei noli ed andamento delle materie prime. Il calo dei
noli testimonia il fatto che globalmente il commercio mondiale
si sta contraendo. Il rialzo delle materie prime a ben vedere si
concentra su quelle più rappresentative per ogni comparto.
Questo è il caso del petrolio per gli energetici, il rame per
gli industriali, lo zucchero per le c.d. soft e l'oro per i
preziosi.
Si tratta probabilmente del riflesso di una crescente presenza
della componente finanziaria sui mercati delle commodity, in
particolare dei c.d. index funds (soprattutto fondi pensione,
fondi sovrani ed Etf, questi ultimi acquistati da tutti i
principli gestori mondiali) il cui obiettivo è quello di
replicare indici di commodity per beneficiare dell'eventuale
rialzo in chiave di performance di portafoglio, difesa dal
rischio inflazione (soprattutto fondi pensione) e dal rischio
deprezzamento dollaro (soprattutto fondi sovrani).
I "replicanti" tendono pertanto ad acquistare solo le commodity
principali. La conseguenza è evidente in alcuni casi come quello
del gas naturale in forte calo malgrado il rialzo del gregggio,
o ancora se si osserva la netta sottoperformance dell'alluminio
rispetto al rame.
In estrema sintesi la dicotomia tra le indicazioni del Baltic
Dry Index (prezzo noli navi) e andamento materie prime potrebbe
avere come spiegazione il maggior peso della componente
finanziaria come fulcro dell'andamento dei prezzi nel mercato
delle materie prime rispetto alla percezione dello stato della
domanda.
 |
Fonte -
Market Strategy MPS Capital Services
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Utili aziendali:
le attese col trucco
Tuesday, 1 September, 2009 at
17:50 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Anche l’ultima “earning season”
americana ha riportato un trionfo di risultati nettamente
superiori alle attese. La situazione sembra meno rosea
quando si considera quali fossero i livelli delle attese.
I grafici seguenti tracciano l’andamento delle stime sugli
utili nel tempo. Si osservi che il livelli di utili
operativi sull’indice S&P è risultato inferiore del 30%
persino alle attese di Marzo, quindi dopo le pubblicazioni
dei risultati aziendali del primo trimestre.
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Istogramma
trimestrali USA - S&P500 |
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Il “successo” avviene soltanto
grazie al drastico abbassamento dell’asticella. Lo stesso
processo si può ammirare nel grafico più a destra: le attese per
il terzo trimestre continuano ad essere riviste al ribasso.
clipped from pragcap.com
Fonte
- Macromonitor
Warren Buffet torna a
comprare! Due nuove società a sconto
Martedì 1 Settembre 2009, 11:25 -
di Paolo Crociato ______________________________________________
Gli ultimi mesi sono stati
particolarmente positivi per i mercati azionari e per i
nostri portafogli, che hanno tutti evidenziato sensibili
rialzi in un'ottica di un ritrovato ottimismo degli
investitori sul futuro dell'economia globale. Sono riprese
anche le grandi acquisizioni: proprio ieri Walt Disney,
quotata al Nyse con simbolo DIS, ha annunciato l'acquisto
per 4 miliardi di dollari della casa cinematografica Marvel
Entertainment (MVL), che detiene oltre 5000 film a catalogo.
Pubblicità
Dopo l'annuncio, Marvel ha fatto segnare un rialzo record,
pari a +25,15% in una sola seduta. Walt Disney, secondo gli
analisti mantiene un rating BUY, con un target medio pari a
+27%. Sempre nella seduta di ieri, il colosso petrolifero
Baker Huges (BHI (A083650.KQ - notizie) ) ha comunicato
l'intenzione di acquistare la rivale BJ Service (BJS) per
5,5 miliardi di dollari. Anche in questo caso, la società
acquisita ha reagito con un rialzo di +4,08%, mentre Baker
Huges ha fatto segnare un ribasso di –9,56%. Baker Huges
rimane un BUY, con un target medio a +65%. Entrambi i titoli
non fanno parte dei nostri portafogli. Ora, dopo i forti
progressi delle borse in tempi abbastanza ristretti, le
occasioni di acquisto a sconto cominciano lentamente a
diminuire e si rende necessario un maggiore sforzo di
selezione ed analisi. Morningstar (NASDAQ: MORN - notizie)
ad esempio, la società di analisi che assegna i rating alle
azioni di molte delle maggiori aziende mondiali, ha
drasticamente diminuito la percentuale di titoli a cinque
stelle, il rating massimo assegnato alle società. Nel corso
degli ultimi giorni di agosto la percentuale di titoli con
il massimo giudizio ammontava a poche decine, su quasi 2000
titoli monitorati. Anche tra le società che compongono il
portafoglio di Warren Buffet, siamo passati da 31 titoli a
cinque stelle di qualche mese fa agli attuali 9 titoli. Come
sostiene proprio il Guru di Omaha, le occasioni comunque in
borsa non mancano mai, con qualsiasi tipo di mercato.
Possiamo sicuramente condividere le affermazioni di Buffet:
nel report di oggi abbiamo identificato due nuove società
scambiate ancora a forte sconto che inseriremo subito nei
nostri modelli. Raccomandiamo pertanto ai nostri lettori di
seguire con attenzione anche i prossimi report per rimanere
informati sulle nuove selezioni degli analisti in questo
mercato effervescente.
36 anni consecutivi di aumento del dividendo – Target
+70.95%
Su questa prima società, saremo soci in buona compagnia. Lo
stesso Warren Buffet, ha inserito nel suo portafoglio il
titolo nel corso degli ultimi mesi, con un investimento
iniziale di 1.200.000 titoli per un controvalore di circa 80
milioni di dollari, mentre altri tre analisti tra quelli da
noi monitorati mantengono un rating STRONG BUY su questa
azienda. Si tratta sicuramente di una scelta ragionata: la
società vanta un primato da record: ogni anno, per 36 anni
consecutivi ha aumentato il suo dividendo agli azionisti,
entrando nella ristretta lista delle società più generose
del mercato americano. L'azienda opera nel settore
farmaceutico, da sempre considerato particolarmente
difensivo e meno soggetto ai cicli economici. E' una azienda
leader di prodotti medicali che sviluppa, produce e
commercializza dispositivi, strumenti e reagenti. L'azienda
è dedicata al miglioramento della salute delle persone nel
mondo, ed è orientata al miglioramento della distribuzione
di farmaci elevandone la qualità e accelerando la diagnosi
di malattie infettive e del cancro, al progresso della
ricerca ed alla scoperta di nuovi farmaci e vaccini. Le
capacità aziendali sono concentrate a combattere le più
pressanti malattie nel mondo. Fondata nel 1897 e con il suo
quartier generale nel New Jersey, ha circa 28,000 impiegati
in oltre 50 nazioni nel mondo. L'azienda fornisce servizi a
istituzioni della salute, ricercatori scientifici,
laboratori clinici, industrie farmaceutiche e al settore
pubblico. Da tempo la società è presente anche in Italia,
con una sua filiale in provincia di Milano.
I ricavi del 2008 sono stati pari a 7,1 miliardi di dollari.
Per il 2009 i fatturati dovrebbero rimanere sugli stessi
valori, per poi balzare ancora in avanti nel 2010 a 7,4
miliardi. Il consenso degli analisti prevede una crescita
degli utili pari a +12% per ciascuno dei prossimi 3-5 anni.
Come accennato in precedenza, i target assegnati dagli
esperti sono sensibilmente più elevati rispetto alle attuali
quotazioni. Tre dei 25 analisti da noi monitorati seguono il
titolo e assegnano obiettivi potenziali da un minimo di 93
dollari, intermedio a 101 dollari e massimo a 165 dollari,
contro i 70 dollari della chiusura di ieri, e target medio a
+70,95%. Non abbiamo dubbi che con Buffet nella compagine
azionaria, la società raggiungerà con determinazione i
traguardi assegnati. Il titolo mantiene un rating di STRONG
BUY e va acquistato oggi in apertura di mercato Usa.
Dedichiamo a questo nuovo investimento un importo pari
all'1% del totale del portafoglio, utilizzando parte del
10,80% di cash ancora disponibile. Comprare quindi in data
di oggi il titolo.
A caccia di grandi occasioni in Cina – Target +161%
La borsa cinese ha evidenziato ieri una flessione più
sensibile, con un ribasso giornaliero del 6,7%, che si
aggiunge al ribasso del 3% di venerdì scorso, confermando
l'elevata volatilità di questo mercato. Il ribasso, ci
permette di guardare nuovamente con interesse alla Cina che,
nonostante la fase di debolezza di questo ultimo periodo,
resta uno dei mercati più performanti del 2009, con un
rialzo di oltre il 70% dall'inizio anno. Ciò che rende
particolarmente appetibile questo mercato sono i suoi
multipli, che in alcuni casi presentano sconti significativi
in valore assoluto, specialmente se confrontati con tutti i
principali mercati internazionali. Nonostante i rialzi, in
alcuni casi i price earning di alcune aziende quotate,
mostrano livelli di soli 3-4 volte gli utili attesi per
l'anno in corso che, abbinati a stime di crescita superiori
a qualsiasi altro grande mercato internazionale, rendono
l'investimento in queste società particolarmente attraente.
Acquistare una azienda avviata, pagandola quattro volte gli
utili dopo le imposte, significa ottenere un rendimento
netto del 25% annuo. Qualora gli utili dovessero
incrementarsi ulteriormente nei 3-5 anni successivi, la
rendita dell'investimento potrebbe raggiungere livelli
difficilmente replicabili. Pur con la sua volatilità, il
mercato cinese spesso ci regala queste occasioni e secondo
gli analisti rimane uno dei mercati più importanti su cui
investire in una prospettiva di medio termine e si conferma
come una delle aree geografiche su cui diversificare un
portafoglio di crescita. Il nostro modello denominato Top
Analisti, che raggruppa in un unico portafoglio le
raccomandazioni di un pannello di oltre 25 analisti e guru
internazionali, investe attualmente in Asia circa il 12% del
totale, concentrando prevalentemente gli investimenti su
Cina e India, i due mercati leader dell'area. Nel report di
oggi concentriamo la nostra attenzione su una nuova società
cinese, di media grandezza, ben posizionata per sfruttare
appieno le potenzialità di questo mercato. Si tratta di una
realtà ancora poco trattata dagli analisti, e per questo
particolarmente sottovalutata. Quando i grandi broker si
avvicineranno a questo titolo, è possibile immaginare
crescite consistenti in tempi rapidi. In particolare, oggi
ci concentriamo su uno dei settori considerato tra i più
sicuri e prevedibili per quanto riguarda le potenziali
crescite future. Stiamo parlando del settore dei sistemi di
sicurezza e sorveglianza. La rapida crescita del prodotto
interno lordo cinese degli ultimi anni, ha portato in breve
tempo il paese a standard di vita di tipo occidentale. Al
migliorato tenore di vita della popolazione, corrisponde in
parallelo un maggiore bisogno di sicurezza, ad ogni livello.
Questo specifico business crescerà sicuramente in Cina a
ritmi molto sostenuti, coprendo una vasta gamma di prodotti,
che vanno dalla protezione della propria casa e dei propri
beni con un sistema d'allarme, alla protezione delle
aziende, al controllo e monitoraggio di luoghi pubblici e ai
sistemi di sicurezza antiterrorismo. Secondo The China
Public Security Guide, pubblicata dall'Associazione Cinese
Per La Sicurezza e La Protezione, il mercato della sicurezza
e sorveglianza aumenterà di oltre il 20% all'anno per
parecchi anni consecutivi raggiungendo già 43,1 miliardi
entro il 2010.
Il leader della sicurezza in Cina
La società di cui stiamo parlando è attualmente il leader
assoluto del settore. Con sede principale a Shenzen, la
società fabbrica, distribuisce e installa servizi e prodotti
di sicurezza e sorveglianza, sviluppando contemporaneamente
in proprio i relativi software per l'utilizzo. I suoi
principali clienti sono attualmente piccole e grandi imprese
commerciali in Cina, entità governative e organizzazioni no
profit. La società ha sviluppato una clientela molto
diversificata attraverso una potente struttura di vendita,
con un network che include oltre 150 filiali e punti
distributivi in tutta la Cina.
Il mercato cinese dei sistemi di sicurezza è uno dei più
frammentati, con oltre 15.000 tra fabbricanti e
distributori, che complessivamente fatturano attualmente in
media meno di 4 milioni di dollari annui ciascuno. La
società di cui stiamo parlando è attualmente leader assoluta
del settore con fatturati annuali attesi per oltre 600
milioni di dollari nel solo 2009. Per pilotare la crescita,
la società ha saputo sfruttare i vantaggi di un costo del
lavoro ridotto, stabilendo canali distributivi in tutta la
Cina, con un team di agenti di più di 950 unità, diventando
estremamente competitiva anche con i rivali internazionali.
La società è perfettamente integrata, e fornisce ai suoi
clienti le soluzioni per la sicurezza complete, con oltre il
60% delle apparecchiature usate nei progetti, prodotte
direttamente in azienda.
L'azienda vanta un'offerta molto diversificata di prodotti,
incluso hardware, software, design, implementazione e
supporto tecnico, con un target mirato verso il governo,
società private ed enti governativi. La maggior parte dei
fatturati della società sono generati attualmente da
aziende, mentre la parte rimanente dei ricavi è generata da
progetti governativi o finanziati dal governo. Con il rapido
sviluppo dell'industria della sicurezza in Cina, e la sua
forte struttura commerciale e distributiva, la società è
perfettamente posizionata per catturare la crescente domanda
con la sua gamma completa e diversificata di prodotti e
servizi, guadagnando crescenti quote di mercato.
A rafforzamento di queste tesi, vale la pena di evidenziare
che il governo cinese ha appena approvato nuove importanti
norme che richiedono l'installazione di numerosi nuovi
prodotti di sicurezza e sorveglianza in tutto il paese. In
particolare si rendono necessarie:
- migliaia di telecamere da montare in 660 città cinesi per
il controllo di strade e autostrade
- nuovi sistemi di sicurezza avanzati per tutti i centri
pubblici di divertimento e intrattenimento
- nuovi sistemi di sicurezza per tutti i dipartimenti di
giustizia e tribunali
In aggiunta a questi progetti il governo stima di spendere
tra 6 e 12 miliardi di dollari per l' Expo internazionale di
Shanghai del 2010, per il quale si prevedono milioni di
visitatori. Inoltre, il boom del settore immobiliare in Cina
fornirà a sua volta grandi opportunità per la crescita
dell'industria della sorveglianza domestica, con migliaia di
nuove installazioni di sistemi di allarme e antifurti, per
le quali la società ha già creato due specifiche divisioni
che coprono l'intero territorio cinese.
Complessivamente, dal 2002 al 2008 le vendite sono aumentate
a tassi esponenziali, con crescite che nell'ultimo anno sono
salite a 427 milioni, con un aumento di +78% rispetto
all'anno precedente. Se consideriamo che solamente quattro
anni fa la società fatturava appena 32,7 milioni, ci si
rende conto delle potenzialità di questo business. Gli
analisti ritengono che nel 2009, nonostante il rallentamento
globale, la società dovrebbe generare ricavi per 638 milioni
e per il 2010 i fatturati potrebbero raggiungere 734
milioni, con un ulteriore incremento di +71,8% in due anni.
Per una realtà sicuramente di tipo growth come questa, ci si
aspetterebbe di trovare sul mercato quotazioni a multipli
rilevanti. Sorprende invece notare che il titolo quota a
sole 3,75 volte gli utili stimati per il 2009 e a 3,3 volte
gli utili attesi per il 2010, uno dei valori più bassi
riscontrati non solo su valori cinesi, ma anche su qualsiasi
altro importante mercato emergente o principale. Con una
stima di crescita degli utili pari a +26,73% per ciascuno
dei prossimi 3-5 anni, si ottiene un PEG pari a 0,15 volte.
Ricordiamo che quando questo indicatore segna livelli
inferiori ad 1, si evidenzia una sottovalutazione. A livello
di comparazione, il PEG calcolato sull'indice S&P500
americano è attualmente pari a 1,42 volte, ben 9,5 volte più
elevato.
Tre analisti sui quattro che seguono il titolo assegnano un
rating di STRONG BUY, mentre uno solo attribuisce un
giudizio più conservativo, pari a HOLD. Il target a medio
lungo termine è fissato a 17,5 dollari, con un potenziale
pari a +161% dai livelli attuali, obiettivo considerato
molto conservativo, dal momento che il titolo segnava già
questi livelli di prezzo appena un anno fa. La debolezza del
mercato cinese di questi ultimi giorni ci permette di
sfruttare questa nuova ed interessante opportunità a prezzi
fortemente scontati. Dedichiamo a questo nuovo investimento
un importo pari all'1% del totale del portafoglio,
utilizzando parte del 10,80% di cash ancora disponibile.
Comprare quindi in data di oggi il titolo.
Fonte
-
http://www.strategyinvestor.com
|
Il
mercato azionario è troppo
ottimista?
September 1st, 2009 - di
WP Greet Box
________________________________________
Pare ormai acquisito che la Grande Recessione
stia volgendo al termine, almeno sul piano delle variazioni
del Pil, mentre l’andamento dell’occupazione sembra
destinato a restare depresso almeno fino alla seconda metà
del 2010. Circostanza che solleva perplessità riguardo la
sostenibilità della ripresa nella perdurante assenza del
consumatore americano, che deve prioritariamente
preoccuparsi di ridurre il proprio indebitamento e non
perdere il lavoro, o trovarne uno nuovo, in caso sia
disoccupato. Tra gli analisti restano tuttavia significative
divergenze riguardo il vigore della ripresa in atto e la sua
auto-sostenibilità, al netto dell’impulso fiscale.
Si discute della conformazione della ripresa: a forma di L,
cioè stabilizzata su livelli di attività depressi? Oppure di
W, cioè un tentativo di ripresa a cui fa seguito una vera e
propria ricaduta, ad esempio per effetto dell’attuazione
troppo anticipata di “strategie di uscita” dal sostegno
fiscale e monetario all’economia? Sembra ormai
definitivamente accantonata l’ipotesi di una ripresa a forma
di V, cioè di un rimbalzo violento dell’attività, fino a
recuperare più o meno rapidamente le condizioni precedenti
l’inizio della crisi.
Negl Stati Uniti, epicentro della crisi e punto di
riferimento per l’evoluzione della congiuntura, l’adozione
di misure di stimolo ai consumi, come il programma di
rottamazione dei veicoli più vecchi ed inquinanti, con
erogazione di un importo a fondo perduto a favore degli
acquirenti, appare destinato soprattutto a drenare domanda
dal futuro, anticipando decisioni di spesa, come sembra
evidenziarsi anche dai primi deboli dati di acquisti di
autoveicoli in questo mese, dopo la scadenza del programma
pubblico. Peraltro questo stimolo ha beneficiato in misura
determinante i costruttori non statunitensi.
Per l’autunno già si prospettano programmi analoghi per gli
elettrodomestici, mentre il Congresso potrebbe prorogare ed
estendere il contributo a fondo perduto di 8000 dollari a
favore degli acquirenti di prima casa, destinato a scadere
il prossimo 30 novembre, e che sta determinando robusti
flussi di domanda, che contribuiranno a determinare un
rimbalzo del Pil nel terzo trimestre e forse nel quarto.
La domanda che tutti si pongono è relativa alla capacità
dell’economia statunitense di sostenersi autonomamente
quando la spesa pubblica e le agevolazioni fiscali verranno
meno. La seconda stima del Pil del secondo trimestre,
negativo per l’1 per cento annualizzato, mostra un
contributo determinante dei consumi governativi, a fronte di
marcata contrazione dell’investimento e di consumi privati
ancora in flessione, sia pur attenuata rispetto al primo
trimestre.
A differenza di quanto accade nell’economia reale, in quella
finanziaria è per contro in atto da ormai un semestre un
movimento di ripresa a V, testimoniato da un recupero degli
indici dell’ordine del 50 per cento dai minimi. E’ quindi
interessante confrontare l’andamento storico dell’economia
reale nel momento di un recupero degli indici azionari di
questa entità. Lo ha fatto, riguardo gli Stati Uniti,
l’economista David Rosenberg, ex Merrill Lynch ed oggi
strategist dell’asset manager canadese Gluskin Sheff, ed il
risultato è sorprendente.
Ad esempio, storicamente un recupero delle borse del 50 per
cento si è verificato in presenza di un’espansione media del
Pil del 4,5 per cento, con una occupazione in crescita di
850.000 unità, un indice ISM manifatturiero in confortante
espansione al livello di 56,2, profitti aziendali in ripresa
del 12 per cento, credito bancario in ascesa del 5 per
cento. Oggi, a fronte di un aumento degli indici azionari
del 50 per cento, abbiamo Pil, occupazione, e profitti
aziendali che stanno tentando di trovare un minimo di ciclo;
un indice ISM a malapena tornato al livello di 50, che
indica stazionarietà dei livelli di attività; ed il credito
bancario ancora in condizioni restrittive.
A livello di mercato azionario, inoltre, occorre segnalare
che il rally di Wall Street è avvenuto con un andamento
decrescente dei volumi scambiati, che cinque società in
condizioni precarie e presenza pubblica determinante nel
capitale (AIG, Freddie Mac, Fannie Mae, Citigroup e Bank of
America) rappresentano circa un terzo del volume di scambi
giornalieri e che, secondo alcune stime, il 70 per cento
degli scambi azionari implica un ordine di acquisto o
vendita generato da società attive negli ordini elettronici
ad alta frequenza, da tempo sotto i riflettori dei
regolatori per ipotizzate violazioni delle condizioni di
parità di trattamento tra investitori nell’accesso alle
negoziazioni.
I forti recuperi dei corsi azionari si sono inoltre
verificati non in presenza di una ritrovata redditività,
bensì di risultati “meno peggiori” delle attese, e multipli
quali il rapporto prezzo/utili appaiono costosi secondo
qualsiasi standard, oltre che significativamente superiori
ai livelli tipici delle fasi di ripresa. Caratteristica
degli annunci sui conti trimestrali aziendali è il forte
taglio dei costi di struttura (spese amministrative,
commerciali, per il personale) come determinante della
tenuta o del miglioramento degli utili, a fronte di
andamenti ancora negativi del fatturato.
Come si nota, vi sono sufficienti elementi di cautela
rispetto all’investimento azionario, anche se il pervasivo
supporto pubblico, l’abbondante liquidità e l’apparente
miglioramento dei livelli di attività potrebbero permettere
al mercato di proseguire nel breve termine il movimento di
recupero o di non subire correzioni violente. L’incognita
maggiore è quella relativa al mercato azionario cinese, che
si trova in condizioni di sopravvalutazione molto marcata, e
che ha iniziato un ribasso piuttosto accentuato sui timori
di strette monetarie ed amministrative al credito ed ai
flussi finanziari speculativi, elementi che potrebbero far
venire meno la trazione sulla crescita globale finora
esercitata dalla Cina.
 |
Fonte -
Epistemes.org |
Banche:
continuano a imbottirci di dati falsi, ma nessuno gli crede
più
03 Settembre 2009 02:32
LUGANO - di Alfonso Tuor
________________________________________
Sta entrando nel vivo la discussione sulle nuove
regole del sistema finanziario che devono essere disegnate
in vista del vertice del G20 in programma questo mese negli
Stati Uniti. In vista della riunione preparatoria dei
ministri delle Finanze che si e' tenuta a Londra i leader di
Germania, Francia e Gran Bretagna hanno reso pubblica una
dichiarazione congiunta in cui si chiede l’adozione di
regole coattive sui bonus pagati nel settore bancario.
Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Gordon Brown chiedono
l’adozione di misure valide a livello internazionale,
affinché «le banche non possano approfittare della diversità
delle norme per giocare un Paese contro un altro».
La chiara presa di posizione dei tre leader europei si
propone di dare una risposta ad un’opinione pubblica
irritata per il comportamento di un settore bancario che ha
immediatamente riadottato le pratiche precedenti la crisi,
nonostante abbia potuto evitare il collasso solo grazie agli
aiuti miliardari devoluti dagli Stati. Questa dichiarazione
congiunta si propone anche di presentare un fronte comune
europeo in grado di esercitare una forte pressione sugli
Stati Uniti che sono riluttanti a definire regole precise
sul sistema di retribuzione delle banche.
Le proposte europee rischiano comunque di essere in realtà
un «diversivo populista», come ha dichiarato Lord Adair
Turner, responsabile britannico dell’autorità di
sorveglianza sui mercati finanziari. I motivi sono presto
spiegati. Innanzitutto le proposte sono solo apparentemente
innovative e non sono sufficientemente incisive. Infatti la
soluzione di versare una parte dei bonus solo dopo un certo
lasso di tempo in base ai risultati conseguiti dalla banca
nell’arco di più anni è già stata adottata da numerosi
istituti. Quindi, si tratterebbe di codificare una prassi
non ancora universale, ma sempre più diffusa.
Ma, ed è il punto più importante, la proposta non centra il
cuore del problema, che è rappresentato da un settore
bancario diventato sempre più sovradimensionato e sempre più
propenso ad assumere maggiori rischi. Questo fenomeno è
riconducibile principalmente a due cause: in primo luogo
requisiti di capitale insufficienti per le attività
tradizionali (è il famoso rapporto tra mezzi propri e somma
di bilancio - il «leverage ratio» - che in Svizzera
ammontava al 2%) e quelli praticamente inesistenti sulla
enorme leva con cui vengono condotte le operazioni con i
mezzi propri, per cui le grandi banche internazionali sono
in realtà dei grandi Hedge Fund.
La seconda causa è l’implicita garanzia statale di cui
godono le grandi banche, poiché non possono essere lasciate
fallire perché questo metterebbe a rischio l’intera
economia. Tale garanzia, che è diventata esplicita in questa
crisi, permette alle banche di finanziarsi a costi inferiori
rispetto a quelli di altre aziende. L’eccessivo livello di
rischio che gli istituti di credito si assumono anche grazie
a questo salvagente statale è all’origine della redditività
straordinaria del settore (negli Stati Uniti gli utili delle
banche prima dello scoppio della crisi ammontavano al 36%
dell’intera corporate America).
Occorre dunque rimettere mano alle regole per ovviare a ciò
che il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner ha
sintetizzato con queste parole: «Le maggiori istituzioni
finanziarie hanno mezzi propri troppo bassi, dipendono
troppo da finanziamenti a breve termine per loro natura
instabili e il loro sistema di retribuzione premia
eccessivamente l’assunzione di maggiori rischi. Dunque
occorre disegnare delle regole che richiedano requisiti di
capitale maggiori, che garantiscano non solo la stabilità
della singola istituzione ma dell’intero sistema».
È chiaro che l’aumento dei requisiti di capitale ha
l’immediato effetto di ridurre la redditività del settore.
Ed è anche per questo motivo che le due grandi banche
svizzere si oppongono alla proposta della nostra Banca
nazionale di aumentare al 5% (quindi, in modo sostanziale)
il rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio.
L’esperienza dimostra però che anche le migliori regole
vengono spesso aggirate. Per questo motivo occorre incidere
sull’implicita garanzia statale di cui godono le banche. La
nostra Banca nazionale ha proposto che le banche siano
organizzate in modo che sia possibile salvare le attività
redditizie e necessarie all’economia e liquidare quelle
fallimentari. Questa proposta è stata ripresa tra gli altri
anche da Lord Adair Turner. Questo punto è fondamentale: gli
azionisti, i detentori delle obbligazioni e le controparti
di una banca vengono in questo modo incitati a controllare
attentamente il livello di rischio che assume un istituto,
poiché potrebbero vedere azzerati i loro investimenti.
Occorre metter mano anche ai prodotti creati dalla nuova
ingegneria finanziaria, valutandone i costi e i benefici non
per il solo settore finanziario, ma per l’intera economia.
Dovrebbero essere vietati alcuni strumenti, come i Credit
Default Swap, definiti giustamente dal finanziere americano
George Soros «armi di distruzione economica». Altri (come i
derivati) dovrebbero sottostare a specifici controlli ed
essere scambiati in mercati regolamentati e non come avviene
oggi tra le banche, con la conseguenza, da una parte, che
spesso non hanno un prezzo o un prezzo certo, e dall’altra,
che garantiscono alle grandi banche di investimento una
redditività eccezionale a danno degli investitori.
Il dibattito su questi temi è in pieno corso. Vi è motivo
però di dubitare che le decisioni dei Grandi saranno
all’altezza delle sfide che la crisi finanziaria ha
impietosamente messo sotto gli occhi di tutti. Il potere di
influenza politica delle banche, soprattutto negli Stati
Uniti e in Gran Bretagna, è ancora tale da rendere
improbabile una vera e profonda riforma delle regole del
sistema finanziario.
 |
Fonte -
Corriere del Ticino |
BORSA E TASSI:
GUARDATE CHE SUCCEDE IN ISRAELE
03 Settembre 2009 01:29 MILANO -
di Claudia Segre ______________________________________________
Innovare, innovare e ancora
innovare. Sembra proprio questa la parola d’ordine che fa di
Israele, in guerra da decenni, una delle economie più
avanzate del mondo. Del resto, quando si vuole prendere a
modello l’impegno di un governo nell’attività di R&S o di
ricerca applicata, il pensiero non può che andare da quelle
parti. Non a caso, proprio Israele guida la classifica
mondiale dell’impegno pubblico nell’innovazione, destinando
a questa il 4,5% del Pil. Soldi messi a disposizione di chi
è capace di avere buone idee e realizzarle. Come dimostra
anche il secondo posto nella classifica mondiale nella
registrazione di nuovi brevetti e nella produzione di Cd-rom
dopo gli Stati Uniti.
Il Paese, tra l’altro, è interamente cablato sin dalla metà
degli anni Settanta, grazie alla presenza storica di Intel e
allo sviluppo di una «Silicon valley» sullo stretto
territorio desertico tra Tel Aviv e Haifa, a qualche decina
di chilometri dalla capitale Gerusalemme.
Proprio il primato sulla tecnologia e sulle energie
rinnovabili, giocoforza per un’economia senza risorse
energetiche da esportare (ma dove l’export di beni e servizi
conta per il 40% del Pil), ha permesso a molte società
israeliane di quotarsi sulla Borsa americana del Nasdaq,
superate per numero solo da quelle canadesi.
Ora l’economia della stella di David si sta risollevando,
dopo l’ondata recessiva che ha colpito a livello globale,
con un Pil che già in primavera è tornato a crescere
dell’1%. Ed è questo il motivo principale per cui la Banca
centrale ha deciso un rialzo dei tassi che riflette le
preoccupazioni per un inflazione più elevata di altri Paese
emergenti, che per ora resistono alla tentazione, nonostante
una crescita economica ben più alta dei Paesi del G7.
In effetti il problema dell’inflazione in Israele esiste,
soprattutto dopo che al netto di beni energetici e
alimentari, è balzata in luglio al 5,5%. E il contesto
politico non aiuta, sebbene il leader del Likud, Binyamin
Netanyahu, abbia recentemente presentato alla Knesset, il
Parlamento, il suo piano economico anti-crisi. Tuttavia la
politica monetaria resta solidamente nelle mani di un
governatore di eccezionale fama internazionale. Stanley
Fischer infatti, il padre dell’inflation targeting, è stato
anche il «padre putativo» di Ben Bernanke nonché di Mario
Draghi. E Fischer è uno strenuo sostenitore
dell’indipendenza delle Banche centrali, opinione
globalmente condivisa in tutti i Paesi G20.
Il rialzo preventivo dei tassi di 25 punti base, allo 0,75%,
rappresenta così un caso di scuola, perfettamente ritagliato
sulla «personalità» di un’economia molto aperta ma al tempo
stesso vulnerabile per la sua dipendenza rispetto alla
domanda estera e le sorti economiche del suo principale
partner commerciale, gli Usa. Una dipendenza che ha pesato,
insieme alla rincorsa dell’inflazione, anche sul settore
bancario in termini di esposizione creditizia delle
corporates e di profittabilità delle stesse banche.
Nonostante un quadro in bianco e nero, la Borsa israeliana
ha però seguito l’andamento delle altre Borse emergenti, con
una performance del 40% mentre la sua divisa , lo shekel, ha
chiuso in modo leggermente negativo il suo bilancio estivo,
con una pausa temporanea della fase di apprezzamento.
Anche i consumi sono tornati in positivo, così come vanno
bene i beni durevoli e il mercato immobiliare continua a
tirare. Ma molto c’è ancora da fare per Netanyahu, ad
esempio, per cogliere i frutti dei tagli fiscali a favore
delle società e dei redditi privati che sono al centro del
piano di stimolo, insieme alla lotta alla disoccupazione che
ha superato a fine giugno il 7%.
Sul fronte del conflitto israelo-palestinese dopo 20 anni un
piccolo spiraglio di luce arriva dai risultati dell’ultimo
Congresso palestinese di Fatah che ha visto la netta
vittoria della linea di Abu Abbas che a Ramallah ha raccolto
il consenso intorno alla sua leadership e al suo programma
consolidando il potere politico.
Le nuove forze di sicurezza addestrate dagli Usa, paiono
essergli più fedeli di quanto non siano quelle istruite in
Iraq e Afghanistan. E con la ripresa dei contatti con
Israele le aree più «rivoluzionarie» sembrano ora più
isolate. Così come appare isolata Hamas che a Gaza lotta,
ironia della sorte, con gli ultraestremisti di Al Qaeda.
Così, ora, la maggiore preoccupazione non sembra essere il
conflitto locale. E anche se Abbas non recede dalla
dichiarazione di guerra a Israele, forse potrebbe accettare
un piano di pace legato al congelamento degli insediamenti.
Perché il vero nemico temuto ora è l’Iran, con le sue
milizie rivoluzionarie. Un pericolo condiviso da Abbas, da
Israele e dalla maggior parte dei leader arabi.
Fonte
-
Borsa&Finanza
Royal Bank of Scotland
o Royal Bank of Sòla?
Friday, 4 September, 2009 at
16:46 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Il colosso bancario Royal Bank of
Scotland (RBS) è stato nazionalizzato, ma le conseguenze non
sono state positive per molti dei suoi creditori. Oggi
l’ultima tegola: l’autorità di vigilanza inglese, la
Financial Services Authority, di concerto con la UE, ha
bloccato il rimborso anticipato di due obbligazioni
subordinate, strumenti di debito che tuttavia vengono
conteggiate come capitale ai fini di vigilanza. Le
obbligazioni in questione hanno rapidamente perso il 20% del
proprio valore facciale e l’intero settore è sotto estrema
pressione, per timore che si tratti del primo caso di una
politica che potrebbe divenire generale in Europa e nel
Regno Unito. Cosa è accaduto?
Sgombriamo immediatamente il campo dai dubbi: non si tratta
di un default. Gli strumenti da rimborsare sono bond
cosiddetti “callable”, dove l’emittente (RBS, in questo
caso) aveva diritto, ma non l’obbligo, di rimborsare
l’obbligazione. La struttura delle obbligazioni è tuttavia
tale che l’emittente avrebbe tutto l’incentivo a farlo;
stessa RBS ha confermato che la scelta era proprio quella di
procedere al rimborso. Anche Santander ( banca totalmente
privata) non ha rimborsato ieri un bond subordinato, ma ha
sostenuto che si fosse trattato di un disguido formale: la
Banca di Spagna non avrebbe negato la propria autorizzazione
per motivi sostanziali, ma a causa di un ritardo nell’iter
burocratico tale autorizzazione sarebbe arrivata in ritardo.
Questo potere di blocco è sempre esistito, ma negli anni
passati, quando le cose andavano bene, l’autorizzazione al
riacquisto è sempre stata concessa in maniera virtualmente
automatica.
Così è, se a loro pare - Lo stop imposto dalla FSA viene
giustificato come una conseguenza del salvataggio
governativo. I bond che avrebbero dovuto essere rimborsati
sono di una categoria che rientra, in una certa misura,
nella misura di capitale impiegata dalle autorità di
vigilanza. Avendo il governo inglese ricapitalizzato la
banca, si sostiene che il rimborso di tali obbligazioni
costituirebbe di fatto un trasferimento di risorse
governative a favore degli obbligazionisti privati. La
decisione è stata completamente discrezionale: altre banche,
sia nell’Eurozone che nel Regno Unito, hanno intascato aiuti
e richiamato i propri bond senza problemi. L’argomento è
quindi discutibile dal punto di vista teorico, oltre a porre
un problema di coerenza con gli obbiettivi ufficiali di
ricostruire la fiducia nel mercato finanziario e di
privatizzare le banche il più rapidamente possibile. Il
cosiddetto rischio di estensione è sempre presente in una
obbligazione subordinata callable: l’opzione è pur sempre
un’opzione e non un obbligo. Tale rischio, tuttavia, non
dovrebbe includere le decisioni arbitrarie di un’entità
governativa, ma soltanto le ragioni di convenienza
economica, che possono essere calcolate razionalmente.
L’ingresso di un rischio politico tanto rilevante impone un
ulteriore sconto sui prezzi per compensare il rischio – e
quindi maggiori costi di finanziamento per le banche e
minori probabilità di emettere capitale ibrido in futuro.
Questo renderà ancora più difficile la ricapitalizzazione
delle banche tramite normali operazioni di mercato, invece
che tramite l’intervento governativo, andando contro il fine
ufficiale di privatizzare le banche quanto prima possibile.
Si sta insomma riscoprendo in Europa il rischio di dover
fare i conti da vicino con le ubbie e le incertezze della
politica e della burocrazia: il governo non è soltanto il
Babbo Natale che salva le Banche (coi soldi dei
contribuenti), ma anche una entità ben poco razionale. I
danneggiati dalla confusione attuale e dall’incertezza non
sono certo i banchieri, che anzi rischiano oggi ancor meno
di ieri, essendo di fatto impiegati statali estremamente ben
pagati. A pagare il conto, anche questa volta, sono stati i
risparmiatori che detengono le obbligazioni subordinate,
direttamente o tramite fondi pensione e fondi comuni.
Crossposted to Giornalettismo Fonte
- Macromonitor
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Come
investono Paperino e
Gastone in tempi di crisi
07 Settembre 2009 04:22
MILANO - di *Alessandro Fugnoli
Alessandro
Fugnoli, strategist di Abaxbank
________________________________________
Dal 9 marzo a oggi (da 666 di indice a 999)
Gastone ha guadagnato 30 punti base al giorno (in media,
naturalmente). In tutto ne ha guadagnati 5000 (ovvero il 50
per cento). Paperino, dal canto suo, ha guadagnato in tutto
6 punti base e mezzo (lo 0.065 per cento) e non osiamo
immaginare quale sia il rendimento effettivo dopo avere
pagato commissioni e spese per i due rinnovi dei
trimestrali.
Ai tassi attuali Paperino raggiungerà la performance di
Gastone nel 2393. I trimestrali rendono infatti 13 punti
base all’anno e occorrono quindi 384 anni per produrre 5000
punti base (non abbiamo conteggiato gli interessi composti,
che saranno comunque meno delle spese e commissioni per i
1536 rinnovi, quattro all’anno).
E’ comunque difficile prevedere con precisione dove sarà
l’S&P 500 nel 2393. Del resto, 384 anni sono tanti, sono il
tempo passato dal 1625 ad oggi. Significativamente, fu
esattamente nel 1625 che nella punta sud di Manhattan fu
fondata Nieuw Amsterdam. Per difenderla da Irochesi e Lenope
28 anni più tardi fu edificata una palizzata nell’attuale
Wall Street. Paperino sa fare di conto. E’ imbarazzato,
preoccupato, un po’ invidioso e teme il giudizio dei nipoti.
Ragazzi, dice loro, non può andare avanti così.
Fare il 50 per cento quando ci sono ancora 300mila nuovi
disoccupati al mese, quando centinaia di banche devono
ancora fallire (stime del Fdic) e con consumi e investimenti
stagnanti (vanno bene solo scorte ed esportazioni) è quasi
immorale.
Paperino legge molto, ritaglia articoli e interviste e
riporta ai nipoti che il programma che incentiva gli
acquisti di case scade il primo dicembre e che in generale
l’effetto di stimolo del pacchetto fiscale di febbraio sta
toccando il punto più alto e che, insomma, da qui in avanti
stimolerà sempre di meno fino ad avere addirittura un
effetto negativo dalla fine dell’anno prossimo.
Non bisogna poi parlare a Paperino del Cash for Clunkers. E’
finito, è finito, basta, influenzerà le statistiche ancora
per un mese o due, ma la domanda è già tornata ai livelli
che hanno preceduto questa follia. Paperino è
particolarmente infuriato con il Cash for Clunkers perché il
suo catorcio non è stato ammesso al programma perché risale
agli anni Trenta ed è quindi considerata auto storica. Il
Cash for Clunkers si è fermato infatti alle auto prodotte
nel 1984. Anche in Germania, del resto, gli incentivi alla
rottamazione, che vanno avanti da molti mesi e hanno fatto
miracoli, stanno per finire.
Questa mattina Paperino ha trovato grande conforto nella
nota giornaliera di Goldman Sachs. L’ha stampata subito,
l’ha ingrandita e l’ha appesa alla bacheca all’ingresso. C’è
un paragone con la ripresa da scorte del 2002. Il mercato
dette vita a un bear market rally che però finì addirittura
prima del picco della produzione. In altre parole, i dati
positivi a un certo punto cessarono di avere effetto
sull’azionario, che anzi prese a scendere fino alla grande
svolta della primavera 2003.
Gastone, dal canto suo, non è molto preoccupato, ma ha
cominciato a seguire con più attenzione il quadro macro. Non
è iperottimista come Bruce Kasman e tutti quelli di JP
Morgan e sa che i paesi che hanno accelerato di più negli
ultimi quattro-cinque mesi, Cina e Asia in generale, ora
stanno crescendo più lentamente. Pensa però che in Europa e
in America ci sia ancora parecchia spinta propulsiva da
ricostituzione di scorte. Non bastano certo un paio di mesi
di produzione più forte per compensare lo svuotamento dei
magazzini da ottobre a giugno.
Gastone, che ha cambiato la sua seconda macchina a
condizioni favolose grazie agli incentivi, è rimasto colpito
dalle stime dei concessionari sulla domanda strutturale,
salita secondo loro dai 9 milioni annui dell’inverno e
primavera scorsi ai 10.5 attuali (cui vanno aggiunti una
tantum i 700mila veicoli del Cash for Clunkers) e destinata
a portarsi a 11 l’anno prossimo e a risalire gradualmente a
13-14 entro il 2013. Stime, si dirà, e per di più con
l’autorevolezza dei venditori di auto. Intanto, però, i loro
piazzali sono vuoti, mentre i compratori, anche dopo la fine
degli incentivi, non sono calati.
Paperino ha girato a Gastone la nota di Goldman Sachs con
qualche confusa annotazione, tipo per voi è finita, ora
scende tutto, vedrai. Gastone l’ha letta fino in fondo, ha
apprezzato l’osservazione che le valutazioni azionarie, pur
non essendo particolarmente basse, non sono elevate come
erano ancora all’inizio del 2002 e ancora di più quella che
la crescita della produzione, a livello globale, resterà
molto buona almeno per due tre mesi ancora e che comunque
manterrà segno positivo anche più avanti.
Per scrupolo Gastone ha anche preso la carta di credito e ha
speso 5 dollari per farsi mandare dal NBER l’ultimo paper di
Martin Feldstein. Gastone lo considera il più autorevole tra
i pessimisti, più dei nuovonormalisti di Pimco (sempre
interessanti, ma un po’ concettuali), più di Roubini (negli
ultimi tempi erratico) e più dell’orsismo oltranzista di un
Rosenberg (che comunque indica in 800 e non più in 600 un
livello corretto per l’S&P 500) o di un Albert Edwards.
Ebbene Feldstein, pur senza mai cadere nell’ottimismo,
esclude con decisione uno scenario da Grande Depressione, la
possibilità cioè che dopo la ripresa in corso si riprecipiti
in un drammatico circolo vizioso. Feldstein si mantiene
molto critico su un’exit strategy fiscale basata su un
aumento delle tasse, ma si tratta di un ragionamento a medio
termine.
Alla fine Gastone decide che finché i dati macro si
manterranno buoni come sono adesso non cambierà molto della
sua strategia. Certo, è settembre, il mercato ha le sue
tradizioni e superstizioni e per qualche settimana spirerà
un leggero vento contrario. Gastone venderà qualche call e
si ripromette di utilizzare il ricavato per comprare call su
prezzi d’esercizio più bassi nel caso il mercato voglia
scendere sul serio. Continua infatti a pensare che sia
possibile entro fine anno vedere nuovi massimi, anche se non
spettacolari. Su quei massimi si ripromette di alleggerire
con più impegno.
Al momento il 2010 non si prospetta in nessun modo come un
anno funesto. Ci sarà crescita, anche se più lenta di quella
che vediamo in questo momento. Se ci si riavvicinerà
pericolosamente alla crescita zero si rimetterà mano agli
stimoli, più monetari che fiscali. Non saranno stimoli
enormi, ma saranno comunque preziosi e molto probabilmente
sufficienti a evitare ricadute.
I mercati penseranno però al peggio, almeno per qualche
momento, e per questo sarà bene avere a disposizione una
riserva di liquidità (da creare a fine anno) per rientrare a
livelli più bassi.
Quanto a Paperino, Gastone gli dà un consiglio. Comprati
almeno dei bond bancari (garantiti ufficialmente o
implicitamente) e dei corporate di buona qualità. Certo, i
tassi dei tuoi T-Bill saliranno, ma resteranno comunque
estremamente bassi ancora a lungo. Oggi tutti parlano di
exit strategy, ma lo fanno soprattutto per rassicurare i
mercati e potere in realtà mantenere i tassi bassi. Non
aspettare il 2393.
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Fonte -
Il Rosso e il Nero |
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Mercoledì
09 Settembre
2009 |
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Sabato
12 Settembre
2009 |
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Martedì
15 Settembre
2009 |
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Si
riparte: chi ha soldi
può fare buoni affari, gli altri no
07 Settembre 2009 23:19
MILANO - di Giuseppe Turani
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Per chi avesse in mente di fare acquisti
(acquisti importanti, case e aziende) si apre una sorta di
finestra-opportunità di circa quindici mesi: da adesso fino
alla fine del 2010. A questa conclusione si arriva leggendo
gli ultimi report congiunturali. Il punto di svolta è
rappresentato dal terzo trimestre in America (luglio-agosto-settembre).
Secondo le previsioni più aggiornate questi 90 giorni (che
stanno per finire) dovrebbero rappresentare il punto di
svolta nella Grande Crisi che abbiamo attraversato.
Il Pil americano, infatti, in questo trimestre dovrebbe
aumentare per la prima volta dall’inizio della recessione:
si pensa addirittura del 3,4 per cento (dato trimestrale
annualizzato). E questo fatto dovrebbe chiudere agli occhi
di tutti la fase negativa dell’e¬conomia. Poiché gli Stati
Uniti sono la maggior economia del mondo, è evidente che un
risultato del genere (che sembra abbastanza certo) avrà un
effetto importante sul clima generale.
E’ impressionante notare la sequenza degli eventi. Il primo
trimestre 2009 si era chiuso in America con una caduta del
Pil del 6,4 per cento (dato trimestrale annualizzato), il
secondo aveva fatto segnare una diminuzione dell’1 per
cento. Il terzo dovrebbe vedere l’America ritornare a una
specie di boom, con una crescita del 3,4 per cento.
Naturalmente, non è tutto oro quello che luccica. Dietro
questo risultato (se sarà proprio di queste clamorose
dimensioni) ci sono tutti gli incentivi fiscali e di altra
natura messi in campo dall’amministrazione Obama. Incentivi
che andranno via esaurendosi. E infatti si prevede che già
nel quarto trimestre la crescita si dimezzi. Poi nel 2010 si
proseguirà con valori positivi del Pil, ma ovviamente di
dimensioni più ridotte (intorno al 2 per cento). Poi, a
partire dal 2011 non si parlerà più di crisi e di
recessione.
Tutto questo, però, autorizzerà autorità e pubblico degli
investitori e degli operatori a dichiarare ufficialmente
chiusa la recessione. E il mondo degli affari potrà tornare
a tessere la sua tela.
Come sempre, i primi a muoversi saranno i mercati
finanziari. Nelle Borse l’emergenza può essere considerata
finita e quindi potrà partire la riconquista delle posizioni
(di prezzo) perse durante la recessione. Ma va anche detto
che questo, per almeno quindici mesi, sarà il momento buono
per chi vuole comprarsi qualche azienda. Dal 2011 in avanti
i prezzi potrebbero tornare a essere molto elevati perché a
quel punto il mondo dovrebbe essere tornato davvero
"normale". Insomma, chi ha i soldi e intende muoversi, è
meglio che lo faccia ora. Non si può escludere, quindi, di
vedere molti passaggi di mano nei prossimi mesi. La
geografia delle aziende e del potere economico, a livello
internazionale, potrebbe anche cambiare significativamente.
Su questo punto occorre fare però una precisazione. La
finestra-opportunità è aperta solo per chi è stato bravo e
ha messo i soldi da parte. Non si potranno comprare aziende
con i soldi delle banche, come si faceva prima della crisi.
La mappa del potere economico, insomma, verrà ridisegnata
nei prossimi quindici mesi, ma a ridisegnarla saranno quelli
che hanno i soldi. Gli altri saranno invece ridisegnati.
Ragionamenti non molto dissimili riguardano il mercato
immobiliare. Se è vero (è sempre stato così) che circa un
anno dopo l’avvio di un boom di Borsa, arriva anche un boom
immobiliare (perché la gente va a mettere lì parte dei
guadagni fatti intorno ai listini), è abbastanza facile
concludere che anche in questo caso i prossimi mesi saranno
quelli buoni per chi ha i soldi e vuole comprare casa (o
vuole semplicemente investire in immobili). Poi, dalla fine
del 2010 in avanti i prezzi potrebbero tornare a salire, e
anche molto in fretta.
Insomma, si riparte. Chi ha i soldi può fare buoni affari,
gli altri no.
 |
Fonte -
La Repubblica |
Oro sopra i mille
dollari l'oncia È record degli ultimi sei mesi
08 Settembre 2009 08:52 MILANO -
Il Sole 24 Ore ______________________________________________
L'oro supera, per la prima volta
in sei mesi, quota 1.000 dollari. Il metallo prezioso a
consegna immediata, spinto dalla debolezza del dollaro e dai
timori per il riaccendersi dell'inflazione, ha raggiunto
quota 1.002,73 dollari l'oncia. L'oro non superava i 1.000
dollari dal 20 febbraio scorso.
Che il mese di settembre sia un periodo positivo per l'oro
lo dice, curiosamente, anche la statitistica. Negli ultimi
20 anni per ben 16 volte il prezzo del metallo giallo è, in
questi trenta giorni dell'anno, risultato positivo.
Analizzando il fixing al mercato di Londra, l'oro ha
guadagnato in media il 3,4% dalla fine di agosto, mentre per
cinque volte è riuscito a mettere a segno un balzo superiore
al 5 per cento. Va anche detto, però, che se è pur vero che
nell'ultimo ventennio il mese di settembre è stato un mese
d'oro, nei 16 mesi sucessivi all'abolizione della
convertibilità del dollaro (avvenuta nel 1971 con il famaso
discorso dell'allora presidente degli Usa Richard Nixon) per
ben 8 volte il prezzo del metallo prezioso è sceso. Come
dire, insomma, che le statitische possono dare
un'indicazione di massima ma non sono infallibili.
Al di là delle serie storiche, quali le motivazioni che
possono indurre un simile balzo in avanti? Da un lato, c'è
chi sottolinea l'incremento della domanda reale. I
produttori di gioielli accumulano scorte in previsione di
alcuni importanti periodi dell'anno. In India, per esempio,
in Ottobre si tiene il Diwai, uno dei più importanti
festival religiosi dell'area durante il quale la domanda di
gioielli subisce un balzo in avanti. Peraltro anche in Cina,
il secondo consumatore di oro al mondo, la richiesta del
metallo tende ad alzarsi per vari mesi, dopo il primo
ottobre, in previsione dei festeggiamenti del capodanno
cinese. Su questo fronte, quello della richiesta del metallo
pregiato, va inoltre ricordato che nel secondo trimestre del
2009 il volume mondiale di oro riconducibile alla domanda è
sceso del 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Un calo che equivale, a livello di valore complessivo della
domanda, ad una discesa del 6% a 21,3 miliardi di dollari.
La contrazione, secondo il report di Gold Demand Trends, è
da attribuirsi alla debolezza del settore "jewellery" e di
quello industriale, controbilanciato da un aumento da quella
che viene definita "investment" demand.
Proprio in tal senso, c'è chi sottolinea la funzione di
copertura del metallo in caso di inflazione. La domanda di
lingotti di "carta" aumenta quando vengono precepiti indizi
di un possibile surriscaldamento dell'economia. Ora, visti i
segnali che sono arrivati dall'economia reale, pensare ad
una effettiva e forte ripartenza del livello dei prezzi al
consumo è abbastanza azzardato. Tuttavia, come diceva Keynes,
non è tanto importante ciò che realmente può accadere ma
quello che gli operatori pensano possa accadere. In questo
caso, non sono pochi sul mercato a vedere spinte inflattive
e quindi l'attività di hedging aumenta.
Di più, non va dimenticata l'enorme liquidità in
circolazione che è in cerca di un luogo dove potersi
accasare e realizzare anche un ritorno sull'investimento.
Con le Borse che, si dice, potrebbero ritracciare; con i
titoli di stato che, in alcuni casi, hanno mostrato dei
tassi, al netto di tasse e commissioni, pari allo zero il
lingotto diventa evidentemente un rifugio interessante.
Soprattutto per quegli investitori non americani che posso
sfruttare la debolezza della divisa Usa. «Il mercato toro
dell'oro di questi giorni - conferma Mark Pervan, analista
di commodity di Anz Bank - è statao spinto dalla sfiducia
sulla possibilità che il rally dell'azionario possa ancora
continuare. Il rischio che i corsi azionari scendano ha
invogliato gli investitori a coprirsi con il lingotto»
Alla luce di questi movimenti, diventano interessanti alcuni
titoli di società che operano nel settore. Recentemente, sul
mercato delle opzioni, è stato notato un incremento dei
volumi su questi diritti. Rispetto, per esempio, a Gold
Fields il Wall Street Journal ha rilevato l'incremento delle
opzioni call (cioè che scommettono su un rialzo del titolo)
di nove volte. Un fenomeno che è stato notato anche su
un'altra società legata al business dell'oro: Yamaha Gold.
Ciò detto, la domanda sorge spontanea: questo livello verrà
mantenuto? Le risposte degli operatori sono scettiche. «I
movimento dell'oro - dice Marcello Esposito, direttore
servizi investimenti Banca Patrimoni - sono caratterizzati
essenzialmente dalla finalità di copertura del rischio
inflazione e dall'idea di bene rifugio a fronte del rischio
sistemico». Ebbene? «Io non vedo la possibilità di
concretizzarsi del rischio sistemico, così come non è
concretizzato con forza il pericolo inflattivo. Quindi credo
che il range di riferimento rimanga l'aera compresa tra 900
e 1.000 dollari l'oncia». «Non so se l'oro rimarrà su questi
livelli - fa da eco David Moor, commodity strategist di
Commonwealth Bank of Australia -. Credo che, alla fine
dell'anno, il prezzo dei lingotto sarà al di sotto
dell'attuale, probabilmente attorno a 950 dollari l'oncia».
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
Quattro scenari per
il pharma
09-09-09 -
Marco Caprotti ______________________________________________
Il dibattito sulla riforma
sanitaria in America mantiene pimpante il comparto
farmaceutico. L’indice Msci di categoria nell’ultimo mese
(fino al 9 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato più
dell’1,7%. “Gli investitori stanno posizionando i portafogli
in attesa di quello che succederà negli Usa”, spiega Damien
Conover, analista di Morningstar. “Non pensiamo che il
governo imporrà regole eccessivamente rigide per quanto
riguarda il controllo dei prezzi dei medicinali sui quali,
comunque, vorrà dire la sua. In ogni caso, bisogna ricordare
che i giganti americani del pharma realizzano le metà del
loro fatturato all’estero”.
I costi delle preparazioni, inoltre, saranno coperti dalle
assicurazioni. Un’opportunità che, nei prossimi due anni,
dovrebbe essere estesa ai 46 milioni di cittadini che
attualmente non hanno una polizza. L’analista di Morningstar
ha ipotizzato quattro scenari sul possibile esito della
riforma con conseguenti diversi effetti sul mercato
farmaceutico (incluso quello borsistico).
Primo scenario Il progetto attuale di riforma, nella sezione
D prevede la possibilità di scegliere fra un gran numero di
polizze di diverse società. “A causa della quantità di
offerte disponibili il governo ha minore capacità di
esercitare il controllo sul costo delle polizze”, spiega lo
studio di Conover. Probabilmente, quindi, nella nuova
versione della riforma sarà diminuito il numero delle
polizze per dare all’amministrazione Obama maggiore capacità
di controllo. Allo stesso modo il presidente potrebbe
decidere di esercitare la sua tutela sul prezzo dei
medicinali che potrebbero scendere anche del 15%. Questo si
tradurrebbe in uno sconto del 5% sul titolo delle società
del settore”.
Secondo scenario L’estensione dell’assicurazione agli
individui che ancora non ne hanno una potrebbe aumentare del
15% l’utilizzo dei farmaci. Se questo scenario si
verificasse, la crescita delle vendite di prodotti potrebbe
compensare un’eventuale diminuzione dei prezzi. “Inoltre il
governo potrebbe dare un contributo alle case farmaceutiche
che è stato quantificato in 80 miliardi di dollari”,
continua il report. Circa 30 miliardi potrebbero essere
destinati alle prescrizioni per i più anziani”. In questo
caso non ci sarebbero impatti significativi sul fair value
dei titoli del pharma.
Terzo scenario La Casa bianca potrebbe decidere di fare una
riforma profonda per avvicinarsi a modelli sanitari come, ad
esempio quello italiano. In questo caso, potrebbe essere
lasciata mano libera alle aziende per quanto riguarda il
prezzo dei medicinali. “Prevediamo un aumento medio dei
prezzi del 15%”, scrive Conover. “Va precisato, tuttavia,
che si tratta di un caso improbabile per le pressioni che
verranno esercitate dai lobbisti, dalle aziende
farmaceutiche e dai repubblicani in parlamento”. Se si
arrivasse a questo esito, comunque, il prezzo delle azioni
quotate in Borsa scenderebbe del 10% circa.
Quarto scenario L’ultimo scenario prevede un controllo
rigido da parte del governo per quanto riguarda i prezzi
delle prescrizioni. “In questo caso il valore dei titoli del
comparto potrebbe anche scendere del 30%”, dice l’analista.
“Le società, tuttavia, potrebbero compensare i mancati
guadagni con minori spese per la commercializzazione dei
loro prodotti. Oppure potrebbero aumentare i prezzi in altri
mercati. Magari quelli di Paesi che in passato hanno
ottenuto finanziamenti dagli Stati Uniti. Riteniamo comunque
questo scenario il meno probabile di tutti”.
L'hi tech continua a
sorprendere
09-09-09
-
di Marco Caprotti ______________________________________________
Il comparto tecnologico continua
a comportarsi in maniera brillante. L’indice Msci del
settore nell’ultimo mese (fino all’8 settembre e calcolato
in euro) ha guadagnato il 2,44%, portando a +35% la
performance da inizio anno. La tirata ha fatto bene anche ai
fondi del comparto che, a livello mondiale (secondo i dati
Morningstar) da gennaio fino al 31 agosto hanno guadagnato
mediamente il 34,7%.
“I risultati delle aziende tecnologiche sono stati migliori
delle aspettative”, spiega un report firmato da Courtney
Goethals Dobrow, analista di Morningstar. “Inoltre, queste
società sanno difendersi meglio dagli effetti della
recessione. La maggior parte, infatti, è riuscita a passare
indenne dallo scoppio della bolla Internet del 2000”.
A spingere il settore tecnologico sono anche alcune
operazioni straordinarie. La spagnola Telefonica, ad
esempio, ha deciso di aumentare la propria quota nella
cinese China Unicom (portandola dal 5,4% all’8,1%) sborsando
un miliardo di dollari tondo e diventando in questo modo il
maggior azionista occidentale della società asiatica. Non è
il primo accordo che il gruppo orientale sigla con l’ovest.
Il mese scorso, ad esempio ha siglato un contratto con la
Apple per vendere gli apparecchi iPhone.
In Europa, invece, Deutsche Telekom e France Telecom hanno
stretto una joint-venture per quanto riguarda il mercato
inglese. L’operazione, che secondo le stime porterà il
fatturato delle due società a quasi 9,5 miliardi di euro,
consentirà ai due colossi di diventare il primo operatore di
telefonia mobile del Regno Unito.
Dal punto di visto operativo, in ogni caso, gli analisti
consigliano la massima attenzione. “Il comparto tecnologico
è molto particolare, non solo per la tipologia delle società
ma anche per quanto riguarda le scelte che fanno i gestori”,
continua il report di Morningstar. “Prima di acquistare uno
strumento di questo tipo, è bene sapere cosa contiene il
portafoglio”.
Fonte
-
MorningStar
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Corporate
America: tanto cash,
occhio a fusioni ed acquisizioni
09 Settembre 2009 16:45
NEW YORK - di WSI
________________________________________
Anche dopo il rally poderoso visto di recente,
con $335 miliardi in contanti a disposizione, le principali
aziende degli Stati Uniti potrebbero senza ombra di dubbio
continuare a fare molta strada. Tra queste figurano...
Ora che la possibilita' di un crollo dei mercati e' divenuta
piu' remota, gli investitori vorranno probabilmente sapere
quali delle maggiori societa' inizieranno ad utilizzare i
miliardi di dollari a disposizione per acquisizioni
strategiche e maxi-fusioni.
Nei calcoli dei bilanci di tutte le blue chip, non sono
stati presi in considerazione gli obblighi sul fronte del
debito sia nel breve periodo che non. Si tratta di un
calcolo basato solamente sui contanti e sugli investimenti a
lungo termine.
Siccome si parla delle maggiori societa' al mondo, con
quello che dovrebbe essere un bilancio credibile in tutti i
casi, sono comprese anche le cifre che uniscono i crediti da
riscuotere e le scorte, in modo da stabilire quali aziende
potrebbero servirsi di risorse di capitale addizionali.
Tali cifre non tengono invece conto delle linee di credito
inutilizzate e dei prodotti che potrebbero portare nelle
casse ulteriori miliardi di dollari. Considerato il metodo
di calcolo sopra citato, i numeri potrebbero discostarsi
leggermente da quelli forniti dalle stesse aziende per
quanto riguarda le disponibilita' di contanti ed
equivalenti.
La domanda successiva da porsi e': tutti questi soldi a
disposizione si potranno effettivamente tradurre
immediatamente in operazioni di M&A? Difficile. Vanno ad
esempio tenuti in considerazione i dividendi. Gran parte del
denaro potrebbe essere dunque utilizzato per acquisti e
fusioni solo in determinate circostanze.
Per questo motivo non fanno parte della lista le societa'
che sono perennemente o anche solo temporaneamente fuori dai
giochi di M&A. Delle quattordici "extra" large-cap (ovvero
con una capitalizzazione superiore ai $100 miliardi)
sorprende tuttavia la grande disponibilita' di liquidita' su
cui possono contare, senza nemmeno considerare gli effetti
complessivi positivi delle linee di credito, dei crediti da
riscuotere e delle scorte. Il totale ammonta ad una cifra
soprendente di $335 miliardi, un numero che sarebbe di gran
lunga superiore se tenesse conto anche delle societa' che
invece rappresentano delle eccezioni.
Tra le aziende che possono puntare ad espandersi figurano
Exxon Mobil (XOM), Microsoft (MSFT), Johnson & Johnson (JNJ),
Procter & Gamble (PG), Berkshire Hathaway (BRK-A),
International Business Machines (IBM), AT&T (T), Apple (AAPL),
Google (GOOG), Chevron (CVX), Cisco Systems (CSCO), Intel (INTC)
e Oracle (ORCL). Anche dopo il rally poderoso visto di
recente, con $335 miliardi si puo' senza dubbio fare molta
strada.
Exxon Mobil ha una
capitalizzazione di mercato di $329 miliardi e sta spendendo
circa $8 miliardi l'anno in dividendi. Puo' contare su utili
abbastanza alti da coprire la cedola. I profitti dovrebbero
infatti attestarsi a $3.94 per azione nel 2009 e il suo
dividendo annuale e' di $1.68 per titolo. A meno di
un'acquisizione diversificata, l'idea e' che Exxon e' cosi'
grande che se fara' un'acquisizione questa avverra' fuori
dai confini statunitensi. Forse potrebbe decidere di
lanciare una sfida alle ambizioni di crescita della Cina.
Microsoft ha una
capitalizzazione di mercato di $213 miliardi e puo' contare
su una liquidita' di $36 miliardi. Nonostante le
preoccupazioni in materia di antitrust, l'esempio
dell'accordo nella ricerca con Yahoo! dimostra che sinora
l'azienda non ha avuto problemi di questo tipo. I target
piu' sensati potrebbero essere nel settore dei software, dei
media, della ricerca, della pubblicita' online e della
comunicazione, sempre che tutto il denaro a disposizione non
finisca in operazioni di buyback o nel versamento di altri
dividendi elevati.
Johnson & Johnson ha
una lunga storia di acquisti alle spalle. La sua
capitalizzazione di mercato di $165 miliardi si confronta
con quella di circa $15 miliardi di liquidita' pura. In
questo caso i settori dove l'operazione di takeover
potrebbero essere i prodotti al consumo e l'assistenza
sanitaria.
Procter & Gamble puo'
invece contare su una capitalizzazione di mercato di $153
miliardi, ma vista la liquidita' relativamente bassa, appena
sotto i $5 miliardi e' difficile che l'acquisto avvenga in
cash. Va tuttavia segnalato che l'accordo annunciato
ultimamente per la vendita della sua divisione di farmaci
portera' nelle casse altri $3 miliardi e nuovi contanti.
Berkshire Hathaway:
nonostante una capitalizzazione di mercato da $153 miliardi
non si puo' parlare di tanto denaro a disposizione. E'
risaputo che Warren Buffett e' solito buttarsi in enormi
investimenti e che da tempo cerca di mettere a segno un
colpo grosso. Il bilancio e' di oltre $24.5 miliardi in
contanti ed equivalenti, ma il portafoglio investimenti sul
lungo termine e' pari a circa $125 miliardi, che potrebbero
essere utilizzati per nuovi accordi. Se a 20% del
portafoglio investimenti si aggiungono $25 miliardi, ecco
che si raggiunge una cifra di $50 miliardi che Buffett e
soci potrebbero facilmente utilizzare per fare piu' di un
affare nei prossimi anni.
International Business
Machines ha una capitalizzazione di mercato di $152
miliardi e cash di $12.5 miliardi dopo aver speso $2.4
miliardi nel solo trimestre scorso in dividendi e operazioni
di buyback. Negli ultimi tempi si sono aperte diverse
possbilita' nei sistemi di archiviazione di memoria e
nell'hardware.
AT&T puo' contare su
una capitalizzazione di mercato di $150 miliardi, ma i
contanti sono solo $10 miliardi. L'appetito verso operazioni
di M&A potrebbe smorzarsi a causa della dimensione troppo
grande nel settore tlc, che comporta problemi in materia di
antitrust. Tuttavia ci sono areee che potrebbero finire nel
radar dell'azienda, come i servizi di telecomunicazione
senza contrati e carte prepagate, ma questa e' un'idea che
si basa solo sulle mosse fatte di recente dalle concorrenti.
Apple ha una
capitalizzazione di mercato di $148 miliardi e una montagna
di contanti, pari a $31 miliardi. Comprare le proprie azioni
sarebbe troppo caro, ma anche integrare una societa' esterna
si potrebbe dimostrare un'operazione complicata. Con 909.16
milioni di titoli, Apple potrebbe permettersi di pagare
circa $34.00 per azione di dividendo se volesse portare la
liquidita' a disposizione a zero e ripartire da capo.
Google ha una
capitalizzazione di mercato di circa $146 miliardi, ma al
momento ha un bilancio di circa $19.3 miliardi. Un acquisto
importante sarebbe difficile. Piu' probabile che la societa'
dichiari un dividendo di $60 dollari e riparta da zero con
le attivita' di crescita della liquidita'.
Chevron ha una
capitalizzazione di mercato di circa $137 miliardi e puo'
contare su oltre $31 miliardi cash. Cosi' come per Exxon,
anche in questo caso sara' difficile che Chevron decida di
comprare un'azienda energetica grande negli Stati Uniti,
proprio per i problemi in materia di antitrust che si
verrebbero a incontrare. E' dunque un'operazione di
espansione in Cina la soluzione piu' probabile.
Cisco Systems puo'
contare su quasi $122 miliardi di capitalizzazione di
mercato e nonostante le tante operazioni di takeover e di
buyback, il trimestre precedente si e' chiuso con $35
miliardi di contanti. La societa' di router e' in espansione
da tempo e su molti fronti, pertanto dove potrebbe
concludere un affare dipendera' dalle condizioni generali,
con l'azienda che guardera' alle prospettive di crescita
future maggiori.
Coca-Cola conta su una
capitalizzazione di mercato di circa $116 miliardi e su $14
miliardi di liquidita'. Non ha mai manifestato interesse
nell'acquisto di imbottigliatori, preferendo non accettare
la sfida lanciata dalla rivale Pepsi. Sembra invece
maggiormente interessata ai brand di qualita' ma piu'
piccoli. Tuttavia con lo Zio Sam che sta valutando l'ipotesi
di tassare le bevande analcoliche, Coca Cola potrebbe per il
momento accontentarsi di accumulare denaro.
Prima della chiusura dell'accordo per l'acquisto di Wind
River, Intel aveva una
capitalizzazione di mercato di circa $110 miliardi e $19
miliardi di contanti, oltre a $6 miliardi di crediti residui
e scorte. La societa' e' da tempo molto attiva, attraverso
le sue joint venture e dovrebbe tiene i sotto osservazione
qualunque accordo nel mercato dei processori, perche' se e'
vero che sta gia' dominando il settore, ci sono
probabilmente talmente tante tecnologie core parallele
nell'informatica e nella comunicazione (almeno una decina)
che non sara' probabilmente sottoposta a controlli
antitrust.
Oracle puo' contare su
una capitalizzazione di mercato di circa $110 miliardi e su
oltre $12.5 miliardi di contanti alla fine del trimestre.
L'azienda hi-tech sta per completare gli ultimi dettagli
dell'acquisto di Sun Microsystems per $7.4 billion, ovvero
circa $5.6 miliardi netti di cash e debito e ha emesso
titoli per $5 miliardi il trimestre passato. Considerando
che Oracle ha fatto in passato decine e decine di
acquisizione, non dovrebbe stupire se la societa' manterra'
ancora lo stesso tipo di strategia aggressiva, almeno fino a
quanto le sara' permesso.
 |
Fonte -
WallStreetItalia.com |
Gestori,
la svolta … è qui
10-09-09 - di
Sara Silano
________________________________________
L’economia ha svoltato pagina. La maggior parte
dei gestori si è lasciato alle spalle i dubbi che aveva
prima dell’estate ed è più ottimista sui mercati finanziari,
anche se la ripresa sarà lenta. In sintesi, è quanto emerge
dall’ultimo sondaggio, condotto da Morningstar tra le
principali case di investimento che operano in Italia, nel
quale è stata introdotta una domanda sulle Borse dell’Asia-Pacifico,
accanto alle consuete previsioni su Europa, Stati Uniti e
Giappone. La liquidità, dicono anche i fund manager, rimarrà
abbondante fino al 2010, per cui le azioni e le altre classi
di investimento più rischiose potrebbero crescere ancora,
seppur in un contesto volatile.
Europa in recupero
A settembre i gestori ottimisti sui mercati azionari del
Vecchio continente sono balzati al 53% (dal 27,8% di
luglio). Dai minimi di marzo, i listini sono saliti di oltre
il 30%, ma restano lontani dai massimi del 2007. Il rialzo è
stato favorito dai risultati del secondo trimestre, che sono
stati migliori delle previsioni, grazie al controllo dei
costi. Sul fronte macroeconomico, è aumentato il flusso di
notizie positive, anche se rimane il problema della
disoccupazione.
Usa in chiaroscuro
Gli Stati Uniti raccolgono meno consensi dell’Europa.
Tuttavia la percentuale di ottimisti è passata dal 38,9% di
luglio al 47,1%. Molti gestori sono convinti che sia
prematuro parlare di ripresa, per cui i prossimi mesi
saranno caratterizzati da volatilità. Infatti, i dati macro
hanno mostrato un miglioramento del quadro generale, anche
se i consumi rimangono deboli. Intanto, il governo e la
banca centrale proseguono nelle politiche di sostegno
all’economia.
Giappone, attesa sul nuovo corso
Sono molto le aspettative legate al cambio della guardia
alla guida del Giappone, dopo le elezioni di fine agosto. La
vittoria del partito democratico, che ha ottenuto la
maggioranza sia nella Camera bassa sia in quella alta,
dovrebbe favorire un miglioramento del processo decisionale.
I gestori non nascondono l’ottimismo: il 53% è convinto che
la Borsa di Tokyo salirà nei prossimi sei mesi, anche se c’è
preoccupazione per l’elevato livello di disoccupazione e la
debolezza economica.
La crescita passa dall’Asia
Da settembre, Morningstar ha introdotto una domanda sui
mercati asiatici, che stanno assumendo sempre più importanza
a livello globale. I gestori sono concordi nel dire che la
crescita economica futura passerà dall’area del Pacifico e
che quindi sia un tema di investimento di lungo periodo. Nel
breve, invece, c’è maggior cautela, dopo il forte rally dei
mesi scorsi. Il 47,1% dei fund manager prevede un
apprezzamento dei listini nei prossimi sei mesi contro il
23,5% che si attende una discesa.
Tassi ancora bassi
La ripresa economica è agli inizi per cui i gestori si
aspettano che i tassi rimangano bassi o comunque che non ci
saranno interventi in grado di mutare sostanzialmente la
curva dei rendimenti. Oltre il 50% non prevede significative
variazioni dei prezzi delle obbligazioni negli Stati Uniti,
percentuale che sale al 76,5% in Europa. La possibilità di
una bolla speculativa è considerata remota, perché
difficilmente i rendimenti si impenneranno in un contesto di
bassa inflazione e sotto-utilizzazione delle risorse
economiche.
Dollaro giù
Più di un gestore su due prevede che il dollaro continuerà a
indebolirsi nei confronti dell’euro. Il processo è in corso
da tempo ed è causato principalmente dai forti interventi
governativi a favore dell’economia e dei mercati. Nei primi
mesi del 2009, il biglietto verde si era apprezzato nei
confronti della divisa comunitaria per il peggioramento
della situazione economica. Oggi, questo fattore a vantaggio
del dollaro è venuto meno.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra l’1 e l’8
settembre, 17 delle principali società di diritto italiano
ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il
70% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen AM,
Aletti Gestielle, Allianz Global Investors Italia, Axa Im,
Bipiemme Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Fideuram
Investimenti, Henderson Global Investors, Ing IM, Julius
Baer, Mc Gestioni, Pioneer Im, Prima Sgr, Sella Gestioni,
Threadneedle, Total Return, Vontobel.
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Fonte -
MorningStar |
IL DOLLARO E'
CONDANNATO A SCENDERE ANCORA
10 Settembre 2009 02:44 NEW YORK -
WSI ______________________________________________
Il deficit enorme degli Stati
Uniti, unito alla loro propensione alla continua emissione
di nuova carta, sono fattori destinati a gravare sul
biglietto verde. Ma non abbiate paura: ci sono tanti modi
per proteggersi dall'annunciato tracollo.
Il dollaro e' condannato a perdere ancora terreno, questo
perche' il deficit degli Stati Uniti e' enorme e continua
ancora a crescere, ma non solo. Preoccupa anche la
propensione del Paese a stampare nuova carta per poter
rispettare un numero di obblighi sempre maggiore e andare in
soccorso di societa' come AIG e Bank of America.
Tra cinque mesi la massa di denaro stampato non sara' altro
che aumentata ancora. Nientedimeno che Warren Buffett,
proprietario del noto fondo di investimento Berkshire
Hathaway, ha scavato la tomba del dollaro nell'editoriale
del New York Times della scorsa settimana.
L'investitore multimilionario ha scritto che "fiscalmente,
ci troviamo in un territorio inesplorato" e che "le
emissioni di nuovi dollari provocheranno certamente il
dileguamento del potere d'acquisto della valuta",
concludendo che "il destino del dollaro e' legato alle
azioni del Congresso". Quest'ultima affermazione vuol dire
solo una cosa: che il biglietto verde e' condannato.
Cio' dovrebbe sicuramente mettere in allarme chi possiede la
valuta americana, chi viene stipendiato in dollari, chi ha
un conto bancario in dollari o chi investe in azioni e
titoli di Stato Usa prezzati in dollari. Ma la buona notizia
e' che l'indebolimento della valuta americana non avverra' a
vuoto, senza che si verifichino altre conseguenze di cui
l'investitore attento dovrebbe servirsi proprio come
cuscinetto dal tracollo annunciato del biglietto verde.
Affinche' il dollaro cali, altre valute devono ovviamente
rafforzarsi. Questo significa che per proteggersi e persino
intascare qualche guadagno, e' sufficiente comprare azioni
di quelle societa' che sono attive in business misurati in
altre valute, come ad esempio Coca-Cola (KO), Wal-Mart (WMT),
oltre ovviamente a quelle valute che si ritiene vengano
favorite dall'indebolimento del dollaro.
Tra queste, stando al team di ricerca Motley Fool Global
Gains, le monete abbastanza stabili da offrire
un'alternativa credibile agli Stati Uniti, in quei Paesi che
stanno cercando di tenere sotto controllo i surplus
commerciali e che hanno un numero notevole di asset che
diventeranno sempre piu' richiesti con il passare del tempo.
Tra i candidati papabili figurano l'euro (nonostante il
fatto che l"Europa abbia tuttora problemi economici
strutturali), il real brasiliano, la rupia indonesiana, lo
yuan cinese (dovesse diventare liberamente convertibile), il
peso cileno e il sol peruviano.
Siccome non e' possibile prevedere quali opzioni
garantiranno i ritorni maggiori, il consiglio e' quello di
riempire il portafoglio con un basket di asset che
permetteranno di esporsi a tutte le valute sopra citate.
Cosi' vi sarete garantiti una diversificazione notevole, che
vi mettera' al riparo anche nel caso, tanto per fare un
esempio, di instabilita' politica in Peru' o Indonesia.
Fonte
- WSI
Torna la voglia di
M&A
10-09-09 -
Marco Caprotti ______________________________________________
La marea delle fusioni e
acquisizioni sta montando. L’indicazione arriva dai segnali
che si registrano sui principali mercati mondiali. La
notizia più eclatante è stata l’offerta da 16,7 miliardi di
dollari fatta dal colosso alimentare americano Kraft per
acquisire l’inglese Cadbury (e per ora rispedita al
mittente). Ma le cronache finanziarie di questi giorni
registrano anche un accordo fra i giganti della telefonia
France Telecom e Deutsche Telekom per portare la loro quota
di mercato in Gran Bretagna al 37%.
Sempre restando in Europa, Vivendi ha annunciato che intende
crescere mediante un’acquisizione in Brasile. Le mire sono
cadute sull’operatore televisivo GVT per il quale il gruppo
d’oltralpe è disposto a sborsare circa un miliardo di euro.
Nuove manovre di consolidamento sono attese anche nel
settore auto, dopo che l’amministratore delegato di Renault
e Nissan Carlos Ghosn ha detto che “la crisi finanziaria è
alle spalle” e che si attende la partenza di acquisizioni
nel comparto. E’ ancora presto per dire se si sta per
assistere a un’ondata di M&A come quella che ha
caratterizzato e guidato le Borse mondiali nei quattro anni
precedenti allo scoppio della crisi. Resta il fatto che
l’indice Msci World (in euro) in cinque giorni ha guadagnato
più del 2%. Una performance di tutto rispetto, se si
considera che il paniere da inizio anno ha segnato un +14%.
“Le notizie sulle fusioni e acquisizioni stanno agitando il
mercato”, conferma Philip Gorham, analista di Morningstar.
“Prendiamo l’operazione Kraft-Cadbury: presto potremmo
vedere l’ingresso in scena di Nestlè. Per loro
l’acquisizione non sarebbe strategica. Ma se la società
americana riuscisse ad avere il controllo di quella inglese
diventerebbe un formidabile concorrente. L’unica soluzione è
cercare di mettergli i bastoni fra le ruote. L’offerta che
ora è sul tavolo è 13 volte superiore all’utile lordo di
Cadbury. Nestlè è nelle condizioni finanziarie di fare un
rilancio fino a 16 volte. Comunque vada a finire si tratta
di un segnale di fiducia per le imprese. Significa che
qualche linea di credito è stata riaperta”.
Negli Stati Uniti gli occhi degli investitori sono puntati
sul comparto medicale e su quello delle energie alternative.
“Il primo ha visto crescere il numero delle M&A da 357 nel
primo trimestre a 395 nel secondo. Si tratta di operazioni
che hanno un valore medio di 240 milioni di dollari”, dice
uno studio della società di consulenza finanziaria Research&Markets.
“Nel secondo, da inizio anno ci sono state quasi 800 fra
fusioni e acquisizioni”.
Il discorso cambia un po’ quando si parla di Italia. “Il
vostro Paese non è mai stata la Terra promessa per le
fusioni”, dice Gorham di Morningstar. “Il capitale
azionario, di norma, è controllato da pochi grandi soci.
Senza contare che alcune delle aziende più interessanti come
Eni ed Enel hanno una forte presenza statale. Un elemento
che, di solito, spaventa i possibili acquirenti”. Qualcosa,
però, potrebbe cambiare nel futuro prossimo. Almeno per le
utility. Una norma inserita nel decreto Ronchi (studiato per
risolvere alcune infrazioni comunitarie), prevede che i
comuni diminuiscano la loro partecipazione nelle società di
servizi ed energia al 30% se non vogliono perdere la
concessione idrica e quella per la raccolta dei rifiuti. Per
quanto riguarda Piazza affari il decreto interessa Acea,
Iride, Enia ed Hera, tutte società che hanno forti interessi
nei due settori. Per mettersi in regola hanno tempo fino al
2012.
Fonte
- Morningstar
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Wall
Street: attenzione che
siamo quasi al finale
14 Settembre 2009
03:47 BIELLA - di Maurizio Milano
Questo
documento e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi
Tecnica Gruppo Banca Sella
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La rotazione settoriale premia comparti rimasti
un po’ indietro, come i media, i trasporti e gli
industriali, mentre prendono fiato i finanziari. Il bear
market rally è indirizzato verso gli obiettivi "finali"
rappresentati dai livelli di fine settembre-inizio ottobre
2008. Una volta raggiunti, l’asset da privilegiare sarà la
liquidità.
Nell’ultima ottava gli indici azionari toccano nuovi massimi
per l’anno. Dal supporto a 1965 il Nasdaq Composite supera i
precedenti top in area 2060/70 e tocca un nuovo massimo 2009
a ridosso di 2090, portando a +65% il guadagno rispetto ai
minimi del 9 marzo a 1265. Per mantenere un’impostazione
tonica è importante che eventuali ritracciamenti si
mantengano al di sopra di 2000/35. Un segnale di rinnovata
debolezza si avrebbe comunque solo al di sotto di 1965 (poco
probabile), per un test del forte supporto a 1925. Un
segnale negativo si avrebbe solo sotto tale livello
(improbabile).
L’obiettivo finale del bear market rally in essere da un
semestre è confermato nella resistenza chiave a 2200. I
margini si stanno quindi riducendo. Positivo anche il Dow
Jones Industrial, che dal supporto a 9280 risale verso i
massimi in area 9650/800, toccando un nuovo picco a 9649,85,
con un rialzo del 49,1% rispetto ai minimi di marzo. Per
conservare un’impostazione tonica eventuali correzioni
devono rimanere al di sopra del supporto a 9280, anche se un
segnale di maggiore debolezza si avrebbe solo con la
perforazione di quota 9000, poco probabile.
Il superamento di 9650/800 spingerebbe poi l’indice verso
l’obiettivo ultimo del bear market rally in corso, la forte
resistenza a 10350, con estensioni verso la resistenza
chiave ad 11000, dove dovrebbe comunque esaurirsi il
rimbalzo iniziato a marzo. Rialzo anche per lo S&P500, che
dal supporto a 990 risale verso i picchi a ridosso della
resistenza a 1045, con un nuovo massimo 2009 a 1048,18;
+57,2% dai minimi di marzo. Per rimanere tonico l’indice
deve consolidare al di sopra di 995; un segnale di debolezza
si avrebbe solo su discese al di sotto del forte supporto a
975, poco probabile. Il superamento di 1045 proietterebbe
poi le quotazioni verso la resistenza critica a 1100.
L’obiettivo finale del bear market rally è confermato nella
resistenza chiave a 1200. Per mantenere un quadro sereno e
propizio alla prosecuzione del rialzo dell’azionario è
necessario che la volatilità implicita rimanga sui livelli
correnti (Vix sotto 29,00/60); una "scivolata controllata"
del dollaro Usa sarebbe un ulteriore elemento a favore.
Nonostante la perdita di spinta delle ultime settimane,
l’azionario continua a godere di buona salute ed è
indirizzato verso gli obiettivi "finali" sopra citati,
corrispondenti ai livelli di fine settembre-inizio ottobre
2008. Dopo un semestre di rialzi straordinari, le
prospettive di rischio-rendimento iniziano però a
deteriorarsi.
Il bear market rally è ormai entrato nella fase di
"maturità", ragion per cui il focus deve spostarsi non tanto
sul fare nuovi guadagni ma piuttosto sulla protezione dei
forti utili accumulati "cavalcando il torello" dell’ultimo
semestre. Vista la ben nota "asimmetria" della volatilità,
il mercato potrebbe infatti "rimangiarsi" in poche settimane
di discese gli utili di molti mesi di salite. Essere
disarcionati in corsa sarebbe particolarmente doloroso:
meglio quindi non farsi sorprendere sovrappesati quando
inizierà lo "scartellamento". Dovremo perciò trovare il
coraggio di monetizzare gli utili approfittando dell’euforia
che in genere caratterizza le ultime fasi rialziste dei
mercati.
Operativamente:
1°) è possibile ridurre fin d’ora il peso dei titoli
finanziari a vantaggio di altri comparti, come industriali,
media, telecomunicazioni, alimentare e utilities. In tal
modo – a parità di esposizione sull’azionario – abbassiamo
la volatilità del nostro portafoglio;
2°) una volta raggiunti gli obiettivi indicati sarà
opportuno ridurre drasticamente il peso dell’azionario. L’asset
class da preferire sarà la liquidità: una liquidità che
potrà certamente essere reinvestita in Borsa ma solo dopo
una correzione "seria" – un 15-20% sotto gli obiettivi sopra
citati, per intenderci – che riporti gli indici al test
dell’ampia fascia di supporto compresa tra i massimi dell’11
giugno ed i minimi dell’8 luglio.
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Fonte -
Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella
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17 Settembre
2009 |
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Sabato 19
Settembre
2009 |
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Lunedì
21 Settembre
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Il caso Enron
Lunedì 14 Settembre 2009, 7:52 -
di Davide Ferri ______________________________________________
Stamattina su Cult ho visto uno
speciale sul caso Enron.
Enron, sino all'anno scorso è stato il più grande crack
finanziario nella storia degli Stati Uniti.
La Enron, prima del crack fu eletta per 5 anni consecutive
dalla rivista Fortune la miglior azienda degli Stati Uniti.
Era considerata l'azienda più innovativa, quella dal futuro
più roseo. Tutti si strappavano di mano le azioni Enron in
borsa.
All'inizio dello scoppio della bolla speculativa Internet,
quando il Nasdaq (NASDAQ: notizie) iniziò a scendere, le
azioni Enron continuavano a salire perché si riteneva che
quello fosse il porto più sicuro in cui investire…
La Enron faceva trading di energia elettrica.
Qualche anno prima i vertici della società avevano ottenuto
una speciale deroga dalle autorità americane della borsa per
valorizzare il bilancio con principi contabili differenti
dalla norma..
In pratica i ragazzi della Enron utilizzarono questa deroga
nel modo migliore possibile. NON riportavano a bilancio i
ricavi effettivamente fatturati, ma stimavano le
potenzialità del future di ogni loro business… In pratica
attualizzavano i ricavi che prevedevano avrebbero realizzato
in futuro. Fu così che, tra le altre cose, nel 2000
riportarono a bilancio 50 milioni di dollari di utile per un
accordo con Blockbuster che non fu messo in pratica…
In pratica i bilanci Enron erano pura fantasia e dietro
utili stratosferici riportati di anno in anno, si nascondeva
un buco nero…
La Enron pagava gli analisti per avere buone valutazioni…
Tutti gli analisti di Wall Street, prima dello scandalo,
continuarono a dare valutazioni elevatissime a Enron pur non
sapendo da cosa nascessero quegli utili.
Aprile 2009. Abolizione del mark to market per le banche
americane.
Come tutti sappiamo le banche americane da Aprile non
debbono più applicare il mark to market nella valutazione
dei loro asset.
In pratica se loro hanno asset pagati 100 che adesso valgono
20 (80 di perdita) NON sono più obbligati a riportare in
bilancio il valore di mercato di 20, ma possono riportare,
in base a precisissime regole tutte ampiamente soggettive
(…), un valore ritenuto congruo dal management.
A me ricorda qualcosa…
Anche qui i bilanci sono pura fantasia. Anzi, dopo 9 anni
hanno fatto notevoli passi avanti nell'arte di truccare i
bilanci: oggi è diventato persino legale…lti
Probabilmente, alla fine, Fortune ci aveva visto giusto:
Enron è stata veramente l'azienda più innovativa degli Stati
Uniti.
Infatti oggi gran parte delle aziende possono truccare i
bilanci.
Oggi abbiamo centinaia di Enron, e, probabilmente, non solo
nel settore finanziario.
Fonte
-
tradinganalisi.blogspot.com
Un crack lungo
un anno
14/09/2009 -
MIAECONOMIA ______________________________________________
Domani è l’anniversario di un
piccolo fatto storico: nel culmine della recessione
mondiale, giudicata la peggiore dal 1929, falliva la casa
d’affari Lehman Brothers, aprendo uno scenario di una serie
di crack a catena nel settore finanziario, che in fretta si
propagava dagli Usa verso il resto del mondo.
Ma in verità la crisi era iniziata prima, quando nel luglio
2007 scoppiava la bolla speculativa dei cosiddetti mutui
sub-prime (mutui ad alto rischio) figlia di una politica
economica senza controlli che generava denaro virtuale da
carte senza nessun supporto concreto, come appunto nel caso
dei sub prime.
Una girandola di prodotti finanziari speculativi che hanno
nel totale accumulato un valore fittizio per 700mila
miliardi di dollari, in prativa oltre 12 volte il Prodotto
interno lordo di tutto il mondo, che si ferma ad appena
55mila miliardi di dollari. E nel giro di poco l’economia
virtuale, come accaduto in passato, nel suo crollo è finita
con il travolgere anche l’economia reale, fatta di posti di
lavoro che danno da mangiare a intere famiglie, a prestiti
per lavorare diventati di colpo difficili da ottenere.
Mentre le autorità di controllo finanziario hanno mostrato
tutti i loro limiti, non percependo fino in fondo che strada
era stata imboccata. Ma le cose non sembrano andare molto
meglio, adesso che arrivano i primi segnali di una faticosa
uscita dalla recessione, come segnalano Elio Lannutti di
Adusbef e Rosario Trefiletti di Federconsumatori.
I presidenti delle due associazioni, infatti, fanno notare
che gli artefici della gravissima crisi finanziaria, salvo
rare eccezioni, sono ancora tutti a piede libero “intenti a
studiare nuove truffe legalizzate e nuove alchimie
finanziarie da parte di ingegneri strutturatori assoldati
dai banchieri per studiare attività e strumenti ancor più
sofisticati e fraudolenti quali polizze sanitarie
cartolarizzate,futures,collateral, swap su
petrolio,soia,grano ed altre materie prime”.
Che non a caso ricordano come il 15 settembre 2008 falliva
la Lehman Brothers, una delle più grandi banche di affari
del mondo "le cui obbligazioni venivano reclamizzate con il
massimo dell’affidabilità dal sito dell’Associazione
bancaria italiana Patti Chiari". E ancora, il 17 settembre
la Fed – la banca centrale Usa - prestava 85 miliardi di
dollari al colosso assicurativo americano Aig e il 18
l'Amministrazione varava il Piano Paulson contro l'emergenza
finanziaria che rischiava di travolgere tutto.
“Grave la responsabilità di vigilanti ed autorità monetarie
– dicono Federconsumatori e Adusbef -, gravissima quella
delle agenzie di rating, che hanno sfornato giudizi e
rapporti lusinghieri, spesso da tripla 'A' su prodotti
finanziari rischiosissimi connessi a quei prestiti che
continuano ancora oggi a viaggiare alla deriva ed al di
fuori di qualsiasi controllo nei portafogli di banche
speculatrici, investitori e risparmiatori”.
Il guaio è che dopo la catastrofe, dopo i miliardi pubblici
spesi in Europa e Usa per salvare gli istituti finanziari,
ben poco sembra nel concreto essere cambiato, tanto che
Lannutti e Trefiletti si chiedono: “Come si può pensare di
offrire l’immunità alle agenzie di rating,che sono state tra
le maggiori artefici della crisi economica globale,che ha
arricchito pochi per impoverire moltitudini ? E come si può
tollerare che queste agenzie di rating non abbiano alcuna
responsabilità di ordine civile e penale sulle pagelle di
massima affidabilità sfornate a gettone ?”.
Fonte
-
MIAECONOMIA
Nuove regole:
l'innovazione finanziaria è un'opportunità
Lunedì 14 Settembre 2009, 12:59 -
Di Pierpaolo Molinengo ______________________________________________
È possibile stabilire nuove
regole per il mondo della finanza senza che il processo si
trasformi in una 'Controriforma', con la conseguente messa
all'indice dell'innovazione finanziaria? Anche se ha
contribuito a creare l'instabilità che agita i mercati
dall'estate 2007, l'innovazione non è necessariamente
'nemica' dell'investitore/consumatore. Questa la tesi che
viene presentata dalle pagine del prossimo numero di
«Bancaria», il mensile dell'Abi che verrà diffuso in
occasione del Comitato esecutivo Abi del 15 settembre, da
Mario Sarcinelli. Nel suo intervento, intitolato
«Innovazione finanziaria, opportunità e criticità»,
Sarcinelli contribuisce dunque al dibattito sulle azioni da
adottare per impedire nuove crisi future con una posizione
in controtendenza. La sua tesi è che le tanto (da alcuni)
vituperate innovazioni sono invece importanti, perché
perfezionano mercati strutturalmente incompleti, risolvono
asimmetrie informative in sede contrattuale, contribuiscono
ad abbassare i costi per gli utenti, rispondono a modifiche
nella tassazione e nella regolamentazione e, infine,
reagiscono al processo di globalizzazione e all'aumentata
volatilità.
Ovviamente, il quadro è complesso. Sarcinelli non sostiene
che l'innovazione finanziaria «è sempre socialmente utile»,
ma si rimette al giudizio del mercato: «Se l'innovazione
attecchisce è buona, se abortisce – scrive - vuol dire che…
non era vitale!». Senza negare, allo stesso tempo, che i
segnali inviati dal mercato non sono sempre correttamente
interpretati. In caso di fraintendimenti, come appunto
avvenuto negli ultimi anni, ecco che «il disastro è
assicurato», mette in guardia Sarcinelli. C'è tuttavia una
soluzione in grado di minimizzare i rischi: la segmentazione
degli intermediari, delle operazioni e della clientela. Sul
prossimo numero del mensile dell'Abi anche due studiosi
dell'Università romana di Tor Vergata, Michele Bagella e
Paolo Paesani, si cimentano nella non semplice difesa
dell'innovazione finanziaria. E nell'analizzare le «Nuove
regole per un sistema finanziario globale» mettono in
guardia dalla tentazione di introdurre troppe norme, che
rallenterebbero quell'innovazione necessaria per ampliare il
processo di scelta degli investitori e garantire un più
ampio accesso al credito.
Il tema sulle conseguenze dell'innovazione finanziaria
ritorna anche nell'approfondimento di Elisabetta Gualandri,
Andrea Landi e Valeria Venturelli dell'Università di Modena
e Reggio Emilia. In questo caso, però, il punto di vista è
differente: si parte dall'analisi del rischio di liquidità.
Un elemento decisivo ai fini della stabilità del sistema, a
maggior ragione negli ultimi anni, quando alla crescente
finanziarizzazione delle economie non si è accompagnato un
parallelo sviluppo di un sistema di regole. L'esistenza di
sistemi «frammentati a livello nazionale» impone, queste le
conclusioni dei tre ricercatori, una nuova gestione del
rischio di liquidità, da considerare secondo un «approccio
pan-europeo, che veda la convergenza dei regimi di
liquidità, delle prassi di vigilanza al riguardo, con uno
scambio informativo continuo». Interessante anche l'articolo
di Maria Cristina Arcuri e Gino Gandolfi, in cui si fa il
punto sulla nascita di Blackrock (NYSE: BLK - notizie)
-Barclays (Londra: BARC.L - notizie) , il maggior player
mondiale nella gestione del risparmio, ragionando sulle
domande cruciali che questo merger colossale pone
all'industria dei servizi finanziari.
La sezione «Contributi», infine, offre documenti 'unici' per
operatori dell'informazione finanziaria, professionisti del
settore e ricercatori: le trascrizioni, rielaborate, delle
relazioni o degli interventi pronunciati a braccio dal
ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, dal
Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e dal
Presidente dell'Abi Corrado Faissola in occasione
dell'assemblea annuale Abi dello scorso 8 luglio. In
particolare, la relazione di Draghi pubblicata su Bancaria è
stata integrata con gli interventi fatti a braccio dal
Governatore, mentre le parole di Tremonti - che non aveva un
testo scritto - sono state trascritte.
Fonte
- Il Sole 24 Ore
|
Che
farà il mercato prima
di salire ancora?
14 Settembre 2009
00:16 NEW YORK - di Martin J. Pring
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I modelli che seguo continuano a indicare
un’impostazione positiva per i tre principali mercati:
obbligazionario, azionario e materie prime. Una conferma
dell’intonazione già assunta in agosto.
UPTREND PRIMARIO.
Sulle Borse statunitensi aumentano gli indizi di presenza di
un trend primario rialzista. Il nostro modello, che
confronta il momentum del rendimento del mercato azionario
con quello delle commercial paper a tre mesi (mercato
monetario Usa), è tornato bullish per la prima volta dal
settembre 2007. Di conseguenza il nostro «barometro»
generale sul mercato azionario potrebbe generare un segnale
rialzista nel corso del mese di settembre.
D’altronde, se è pur vero che il rally partito a settembre è
stato molto intenso, tuttavia non registriamo divergenze tra
le principali medie e gli indicatori di ampiezza che
misurano quanti titoli stanno contribuendo al rialzo, come
l’A/D line del New York Stock Exchange. Anzi, a ben vedere
la grande ampiezza del movimento delle azioni sembra aprire
spazio a nuovi massimi in settembre e, dunque, ad uno
sviluppo incoraggiante del trend in corso. Ma non sono tutte
rose e fiori. La struttura tecnica positiva del mercato
risulta «tirata» sia nel breve sia nel medio periodo: dunque
una correzione appare fisiologica, e a dire il vero anche
benvenuta, all’interno della tendenza rialzista che sta
prendendo consistenza in ottica di lungo periodo. Che è poi
quello che interessa di più.
PIÙ PESO ALL’EUROPA. Più in
generale, abbiamo osservato a fine agosto una leggera
disaffezione da asset come le materie prime e titoli delle
società collegate, le valute ritenute difensive e gli Etf
legati ai mercati emergenti. In particolare il fondo quotato
Fxi che replica il listino azionario cinese è stato uno dei
più penalizzati dopo essere stato protagonista nel rally dei
mercati azionari nei mesi precedenti. Sta infatti
sottoperfomando le principali Borse. E non è tutto.
L’indice di Shanghai ha violato la trendline rialzista che
lo sosteneva dai minimi, ma anche la linea di tendenza
ascendente del rapporto tra lo stesso inidice e l’S&P
Composite. E chi sta prendendo il suo posto a condurre le
danze delle Borse? L’Europa. Infatti il ruolo di leader in
termini di forza relativa sembra essere ormai assunto dai
mercati azionari del Vecchio Continente. Già a inizio agosto
abbiamo aggiunto alla nostra asset allocation l’Etf legato
alla Borsa svedese. Ora tocca al mercato azionario francese
a entrare in portafoglio.
Cosa fare poi con le materie prime? Dipende dall’orizzonte
temporale. Benché i prezzi rimangano inseriti in un trend
primario rialzista, stiamo osservando alcuni fenomeni
particolari. Innanzi tutto un picco a livello di trend di
medio periodo nel ratio tra azioni favorite in situazioni di
deflazione e quelle favorite da uno scenario inflattivo.
Poi, i nostri indicatori Kst, sia di breve sia di medio
periodo, applicati alle quotazioni del mercato
obbligazionario Usa hanno iniziato a girare verso l’alto. Di
conseguenza, una combinazione di questi fattori suggerisce
che il mercato potrebbe attendersi una temporanea fiammata
dello sviluppo di uno scenario deflattivo.
Se questa lettura di fenomeno temporaneo dovesse essere
corretta, avremmo buone possibilità che il rally del mercato
azionario continui in salute, gettando basi più solide per
il recupero delle Borse.
ATTENTI AL DOLLARO. Il Dollar
index resta sotto la media mobile di lungo periodo,
registrando una serie di massimi decrescenti. Non si scappa:
il trend deve essere classificato come ribassista. In ogni
caso, prudenza: alcune rotture potrebbero rivelarsi
momentanee, se non addirittura falsi segnali. Non si può
escludere che prima o poi si sviluppi una forte reazione. In
quest’ottica monitoriamo quota 81,5. Fino a che questa
soglia non sarà superata non si avranno dubbi
sull’impostazione ribassista.
ASSET ALLOCATION. Per la nostra
asset allocation continuiamo a suggerire la presenza di un
5% di obbligazionario corporate, tramite l’iShare iBox
Corporate Bond Etf. Manteniamo un 10% sull’Inflation
Protected Etf (Wip). Si tratta di un fondo quotato che punta
su bond governativi internazionali e offre una copertura
contro l’inflazione e contro un declino del dollaro. Ma non
è l’unica scommessa sul ritorno del carovita. Infatti in
vista di un possibile rally di medio periodo nel mercato del
credito, raccomandiamo anche un 10% allocato sull’Inflation
Protected Us Etf (Tip).
Una scommessa di lungo periodo, che però nel breve periodo
potrebbe soffrire. Come collocare invece la parte azionaria?
Per prima cosa notiamo che pur essendo in trend rialzista,
Wall Street sta sottoperformando il resto del mondo. Quindi
fino a che non avremo segnali contrari a questa lettura, non
andremo oltre il 30% di asset azionari Usa in portafoglio.
Aumentiamo invece, come accennato, il peso dei mercati
azionari europei, mentre alleggeriamo i mercati asiatici ed
emergenti dopo le buone performance fino a metà agosto. Nel
complesso, alle Borse non-Usa riserviamo il 25% del
portafoglio.
La scelta dei singoli mercati (Cina, India, Sud Corea,
Francia, Svezia, Australia e Messico) è stata fatta
privilegiando i listini con l’impostazione rialzista del
nostro indicatore Kst di lungo periodo come forza relativa
rispetto al World index.
Spazio anche all’oro. Poiché tutti i grafici del metallo
giallo espresso nel varie principali valute mondiali (euro,
dollaro, yen) sono orientati al rialzo restando sopra la
media a 12 mesi, continuiamo a consigliare un 10%
posizionato sulla commodity. Pronti però ad alzare il peso
al 15% se l’oro confermerà il superamento di 1.010 dollari
all’oncia su base settimanale.
 |
Fonte -
Borsa&Finanza |
Un mare agitato
attende le Borse
17-09-09 -
Marco Caprotti ______________________________________________
Se il peggio della tempesta è
passato, non è detto che adesso nel mare dei mercati
finanziari si possa navigare tranquilli. Il 15 settembre,
operatori e commentatori di tutto il mondo hanno ricordato
il primo anniversario della caduta di Lehman Brothers. Un
avvenimento che, secondo molti, avrebbe potuto cambiare per
sempre la storia del capitalismo.
I segnali c’erano tutti. La bufera del settore finanziario
(già provato dalla crisi dei subprime) che ha mandato a
picco la storica merchant bank si era spostata con rinnovato
vigore sull’economia reale costringendo le famiglie a
chiudere ancora più stretti i portafogli e le aziende a
presentarsi col cappello in mano davanti alle banche per
avere linee di credito ricevendo, nella maggior parte dei
casi, un secco no.
Dodici lunghi e pesanti mesi dopo, le Borse sono ancora in
piedi. E dimostrano ottima salute. Se nelle ultime 52
settimane (fino al 15 settembre) l’indice Msci World ha
perso il 12%, da inizio 2009 ha guadagnato quasi il 16%. Il
discorso è simile se si guarda ai sotto-panieri regionali.
Il benchmark relativo al nord America in un anno ha lasciato
per strada il 13,5% mentre, da gennaio, è salito del 14%. Lo
Europe (che da metà settembre del 2008 è arretrato
dell’11,2%), da inizio anno è salito del 21% circa. Il
listino dell’Asia in un anno ha perso il 3%, mentre da
inizio 2009 ha registrato + 20%.
A questo punto è utile capire se, dopo quello che i mercati
si sono lasciati alle spalle, la corsa può continuare.
“L’economia a livello globale sembra dare segni di
stabilizzazione e qualche movimento di crescita è ancora
possibile prima della fine dell’anno”, spiega Jeremy Glaser,
Market editor di Morningstar. “Le previsioni a lungo termine
di molti operatori, tuttavia, parlano di una situazione più
complessa. Secondo i nostri analisti i mercati azionari, sia
a livello regionale che settoriale, hanno raggiunto
valutazioni adeguate. Ci sono tuttavia ancora delle
incertezze sulla solidità del recupero a cui abbiamo
assistito da inizio anno. Per questo non possiamo escludere
nuovi forti movimenti della volatilità. Insomma: se proprio
non possiamo navigare in un mare più calmo nei prossimi 12
mesi, almeno speriamo che l’anno passato ci abbia insegnato
a costruire imbarcazioni più solide”.
Gli analisti, nel dubbio, preferiscono muoversi con
prudenza. “Il rally estivo dell’azionario ha aumentato la
fiducia degli investitori. Molti, tuttavia, hanno delle
perplessità sulla tenuta di questa corsa”, recita l’ultimo
Global Snapshot di Henderson Global Investors. “I grafici di
lungo termine, segnalano che siamo sulla rotta giusta per
una tendenza al rialzo. In passato, però gli indicatori
hanno anche cambiato direzione, soprattutto nei momenti di
forte volatilità. Se ci trovassimo in uno di quei periodi,
le indicazioni di una ripresa potrebbero non essere
completamente attendibili e dovremmo parlare soltanto di una
fase di consolidamento”.
Sulla stessa linea di prudenza sono anche Andrea Delitala e
Marco Piersimoni, investment advisor di Pictet Funds. “ Il
recupero dai minimi di inizio marzo rappresenta un’eccezione
per la velocità con cui è avvenuto. Il rialzo, comunque, ci
lascia ben lontani dai livelli precedenti al fallimento di
Lehman”, scrivono nella Nota strategica datata 10 settembre.
“Un fattore determinante di questo recupero, è stata la
celerità nella ricapitalizzazione delle banche: a fronte di
perdite di 1.600 miliardi di dollari a livello mondiale,
sono stati apportati 1.300 miliardi di nuovi capitali, di
cui poco meno della metà dai governi. Questo ha contribuito
ad eliminare uno dei maggiori ostacoli al corretto
funzionamento dei mercati finanziari. Fugato oramai
definitivamente il rischio di collasso del sistema, si è
tornati a ragionare sui fondamentali che, a marzo 2009,
offrivano valutazioni stracciate”.
Pensando al futuro, un elemento determinante saranno gli
utili. “Per i mercati azionari il passaggio cruciale avverrà
nel 2010, quando bisognerà tornare ad analizzare
investimenti e fatturato e non solo la riduzione dei costi”,
continua Pictet. “Gli investitori premiano le soluzioni
radicali come licenziamenti e dismissioni in tempi di crisi.
Ma all’uscita dalla turbolenza, cercano anche la crescita”.
Fonte
- Morningstar.it
Il mistero
s’infittisce
Friday, 18 September, 2009 at
19:09 -
by phastidio ______________________________________________
Interessante commento di David
Rosenberg quest’oggi, sui compratori statunitensi di questo
furioso rialzo azionario. Non sono i fondi comuni azionari,
che anzi ancora di recente hanno visto riscatti netti a
favore dei fondi obbligazionari. Non si tratta neppure di
insider buying, visto che i dirigenti di imprese quotate
sono pesantemente venditori netti di azioni. Né si tratta di
riacquisto di azioni proprie da parte delle imprese, un
canale di domanda che si trova ai minimi dal 1998. Chiunque
sia il compratore (Rosenberg ipotizza soprattutto
ricoperture e program trading) resta la realtà di un mercato
che ormai si trova al 60 per cento sopra i minimi, e
soprattutto in modo del tutto scorrelato dalla fase del
ciclo in cui ci troviamo. Anche sul piano dell’analisi
tecnica, il mercato si trova il 20 per cento sopra la
propria media mobile a 200 giorni. L’ultima volta è accaduto
27 anni fa. Ma tutto è eccezionale, in questo ciclo di
mercato.
Fonte
- Macromonitor
Le banche nel
mirino dell’Ue
18/09/2009 -
MIAECONOMIA ______________________________________________
I conti correnti italiani sono
cari, carissimi. E non è una sensazione: lo ha messo nero su
bianco l’Antitrust al termine dell’indagine conoscitiva sul
costo dei servizi bancari avviata un anno fa. L’importo
medio di tenuta e movimentazione di un c/c ammonta a 182
euro, ma per l’Authority è presente “un’enorme variabilità
dei prezzi: per la stessa tipologia di conto si può pagare
anche 10 volte di più”.
E, nonostante, l’Associazione bancaria italiana rispedisca
sempre al mittente queste accuse, spiegando che i prezzi dei
c/c italiani possono essere cari, perché offrono pacchetti
di servizi, come la possibilità di pagare le utenze (gas,
luce, acqua, telefono), di effettuare bonifici e comprendono
anche i costi del Bancomat, poi nella realtà quando ci si
rivolge ad uno sportello bancario per richiedere l’apertura
del c/c bisogna prestare sempre molta attenzione.
Un campanello d’allarme anche per l’Unione Europea. Le
banche italiane, insieme a quelle di Francia, Spagna e
Austria, sono finite nel mirino della commissaria ai
Consumatori, Meglena Kuneva, che martedì prossimo presenterà
un rapporto ad hoc.
E da quello che si apprende da fonti vicine a Bruxelles il
resoconto è tutt’altro che roseo: l’Ue punterà, infatti, il
dito contro la poca trasparenza e i costi più alti d’Europa
applicati dagli istituti di credito dei quattro Paesi.
In particolare, Italia, Austria, Francia e Spagna si
distinguono per scarsa trasparenza e servizi bancari cari.
Al contrario dell’Olanda dove, invece, il sistema bancario
si distingue per i minori costi.
La commissaria Kuneva ha individuato diverse forme in cui si
manifesta la mancanza di trasparenza: i problemi riguardano
le informazioni contrattuali, il trasferimento del conto
corrente da una banca a un’altra, il livello e la
trasparenza delle tariffe praticate, il conflitto di
interessi di impiegati o intermediari nel momento in cui
forniscono indicazioni ai clienti.
Secondo Bruxelles, sono questi i motivi per cui solo meno
del 10% dei consumatori europei ha trasferito il proprio
conto da una banca a un’altra negli ultimi due anni.
Capitolo a parte per l’Italia dove il capo d’imputazione
principale riguarda la struttura dei prezzi dei conti
correnti, giudicata dalla Commissione “molto opaca” e tale
da impedire ai consumatori di sapere quanto stanno pagando e
di comparare le diverse offerte.
Una restrizione alla trasparenza bancaria che si sta
comunque cercando di arginare. Va, infatti, ricordato che a
decorrere dal prossimo 1° novembre 2009 scatteranno i nuovi
termini massimi per la data di valuta a favore del
beneficiario di bonifici (un giorno), di assegni circolari
(sempre un giorno) e di assegni bancari (tre giorni). Più
chiare e rigorose anche le disposizioni a favore dei clienti
delle banche per ciò che riguarda la commissione di massimo
scoperto e la surrogazione dei mutui.
Mentre dal 25 settembre entreranno in vigore le nuove norme
sulla correttezza della informazioni con la clientela
scritte dalla Banca d’Italia che vieteranno clausole in
caratteri minuscoli e pagine di contratti incomprensibili.
Fonte
-
MIAECONOMIA
Per i promotori
finanziari la sfida più difficile
18 Settembre 2009 10:42 MILANO -
di Lucilla Incorvati e Marco lo Conte ______________________________________________
Provateci voi a dare il consiglio
giusto su come impiegare i soldi degli altri. Magari in
piena crisi finanziaria, peraltro, quando le banche
fallivano al ritmo di una al giorno, quando buona parte
delle certezze costruite in 150 anni di storia dei mercati
finanziari venivano spazzate via da una valanga di ordini di
vendita, quando migliaia di bancari lasciavano con gli
scatoloni in mano la loro sede di lavoro. Oppure dopo,
quando le Borse si sono riprese e hanno iniziato a correre,
come accaduto negli ultimi mesi, e tentare di far recuperare
più di qualcosa ai propri clienti.
Provateci voi ad avere la
responsabilità del benessere o semplicemente dei risparmi di
un cliente, nel bel mezzo di una crisi sistemica. Metterci
la faccia, ottenere in cambio fiducia.
Sotto pressione sono finiti in particolare i promotori
finanziari. Una categoria che, regolata sin dal 1991 con un
apposito albo, dopo una fase di espansione (1999-2004) è
stata recentemente costretta a ripensare al proprio modello.
Negli ultimi anni si è imposto il cosiddetto multibrand, con
reti che distribuiscono prodotti di più case: un fenomeno
che ha spinto i professionisti ad affinare le proprie
conoscenze, dedicando più tempo alla preparazione e
focalizzando l'attività non solo sulla pura vendita ma anche
sulla consulenza. La selezione di mercato ha fatto prevalere
i migliori, quelli con i portafogli più consistenti.
«Si, è un momento difficile», dice Dino Cardone, 78 anni,
pescarese, da 37 nel mondo della consulenza finanziaria,
prima in Fideuram e poi in Azimut. «I clienti sono diventati
molto diffidenti, restii perfino a sottoscrivere un titolo
di stato. È fondamentale quindi proporre soluzioni semplici,
chiare, anche perché qualche scelta non azzeccata c'è stata
da parte di tutti. In più di trent'anni di lavoro, però, la
crisi peggiore è stata forse quella del 2001: a livello
psicologico il crollo delle Torri gemelle e quello che ne è
conseguito è stato più forte del fallimento di Lehman
Brothers. Si era innescato il timore di perdere qualcosa non
solo a livello patrimoniale ma soprattutto a livello
personale, la famiglia, i propri cari. Che cosa insegnano
questi momenti? Che nel nostro lavoro la parte più
importante sta nello stare vicino al cliente in ogni fase,
in particolare nei momenti di maggiore difficoltà».
Cosa che fanno anche i consulenti indipendenti. Sono proprio
loro la novità del settore. Un po' evoluzione e un po'
alternativa alla figura del promotore finanziario, questa
professione ha trovato una definizione normativa con la
Direttiva Mifid (è oggi un'attività soggetta alla vigilanza
Consob così come la promozione finanziaria). Prima i
consulenti "fee only" (pagati a parcella e non in ragione
dei prodotti collocati) operavano liberamente, ma la loro
attività non era riconosciuta giuridicamente. Il percorso
normativo non ancora concluso porterà a fine 2009 alla
nascita dell'Organismo incaricato di gestire l'albo
professionale. Per potersi iscrivere - come nel caso dei
promotori finanziari - sarà necessario fare un esame.
«Telefonate preoccupate ne abbiamo ricevute, però non
abbiamo avuto alcun freno nella nostra attività», racconta
Claudio Botteghi, 28 anni di Rimini, da due attivo presso
Skema come consulente indipendente. «Anzi abbiamo avuto un
vero e proprio boom di clienti, venuti da noi spinti da una
crisi che ha messo a nudo un certo modo di fare finanza. Li
abbiamo conquistati grazie a un approccio sereno: non
dipendiamo dai budget delle reti e per questo siamo liberi
di organizzare una strategia d'investimento centrata sulle
esigenze del cliente. Non guardiamo alle previsioni e per
evitare brutte sorprese usiamo indicatori come i take profit
(prese di profitto) o gli stop loss (limite massimo alle
perdite). Ma una cosa diciamo con chiarezza ai nostri
clienti: nessun metodo garantisce di comprare ai minimi e di
realizzare ai massimi».
E che cosa avete consigliato in questi ultimi due anni?
«Penso che il risparmio gestito sia la soluzione
d'investimento migliore; i fondi sono prodotti semplici e
trasparenti. Certo, non tutti: abbiamo elaborato uno studio
che ci permette di selezionare quelli in grado di battere
con costanza gli indici».
Su come si rassicura la clientela ne sa qualcosa anche Dino
Cardone, che si porta dietro clienti da quasi quarant'anni.
«È importante saper trasferire un senso di sicurezza al
cliente – aggiunge – quando s'instaura una relazione. È
fondamentale essere sereni e tranquilli quando si danno
chiarimenti e spiegazioni. Oggi più di ieri serve un
carattere forte, autorevole e soprattutto positivo. La gente
non affida il suo denaro a una persona triste e demotivata.
Ottimismo, onestà e serietà, ovviamente: sono la base per
instaurare un rapporto di fiducia con la clientela e
salvaguardare la propria credibilità sul mercato. Certe
relazioni non s'interrompono così facilmente e dopo tanti
anni i clienti diventano amici e si diventa intimi».
Non è un lavoro per giovani? Certo, l'esperienza rappresenta
agli occhi del cliente un valore aggiunto e per Botteghi
avere meno di trent'anni non è esattamente un vantaggio,
quando in gioco ci sono i milioni di euro dei clienti che
vogliono sapere come investire il proprio patrimonio
privato. Anche per questo agli incontri è importante la
presenza del suo diretto superiore (Franco Bulgarini,
fondatore di Skema). «Ma non chiamatelo accompagnamento -
precisa Botteghi - lo chiamano così a Mediolanum, dove ho
lavorato per due anni». Perché ha lasciato quella struttura?
«Il promotore finanziario a mio avviso è 80% commerciale e
20% consulenza. E l'ordine delle priorità vede al primo
posto la rete, poi il promotore e infine il cliente. Io sin
da studente avevo in mente un approccio diverso,
molto più
vicino a quello del commercialista, che aiuta la clientela a
compiere le scelte più razionali in relazione alle sue
esigenze. E questo secondo me il promotore finanziario ha
difficoltà a farlo, condizionato com'è da altro. E la crisi
finanziaria, questo, l'ha messo in luce». Cosa vi dite
quando v'incontrate con gli ex colleghi della rete? «Il mio
ex capo mi dice sempre che in ufficio da lui è pronto a
riprendermi con lui e io gli rispondo sempre che preferisco
questo tipo di professione».
Eppure, prima che nel 1991 nascesse l'albo dei promotori
finanziari, questi operatori si chiamavano proprio
consulenti finanziari.
Cosa è cambiato rispetto ad allora?
«Trent'anni fa collocavamo un unico prodotto (Fonditalia,
fondo comune di diritto lussemburghese, collocato da
Fideuram) semplice ma completamente sconosciuto al mercato.
Non servivano competenze tecniche quanto le capacità
relazionali del professionista, impegnato a fare percepire
alla clientela la nuova opportunità di guadagno. La
clientela aveva esigenze semplici: salvaguardare i propri
risparmi e migliorare il proprio tenore di vita, costruito
spesso con sacrificio. Si telefonava a casa alla gente,
chiedendo un incontro, anche se contava molto anche essere
presentati. Oggi prevale il canale diretto e la segnalazione
da parte di "referall" e soprattutto prevale la parte
consulenziale rispetto al collocamento puro e semplice. I
clienti hanno bisogni più complessi: spesso si lavora in
collaborazione con altri professionisti, come avvocati,
notai, commercialisti».
Proprio come il nuovo consulente indipendente. Che punta
però molto su una preparazione specifica. Botteghi ha due
lauree, una in Economia aziendale, l'altra in Statistica,
oltre a una specializzazione in Intermediari finanziari. Nel
suo bagaglio professionale, un foglio excel per elaborare
calcoli e verificare ipotesi applicate ai portafogli dei
clienti. E sulla scrivania un libro di Warren Buffett.
«Molti lo citano, ma pochi lo conoscono - dice Botteghi -
leggo molto di suo e su di lui e cerco di imparare.»
C'è chi ha modelli e chi è un modello: «In questi mesi sto
trasferendo il portafoglio ai miei figli, Rita e Giuseppe -
dice Cardone -, anche se intendo continuare a seguire come
andranno. A loro sto trasmettendo anche un valore
importante, l'apertura al cambiamento: in tutti questi anni
mi ha portato da una rete gerarchizzata come la prima
Fideuram, poi a una rete che supportava l'espansione di una
grande banca sul territorio (UniCredit); quindi ho sposato
il progetto di una rete indipendente in cui i promotori sono
anche azionisti (Azimut)».
Ma quanto si guadagna facendo questo lavoro? Claudio
Botteghi è agli inizi: ma può già contare su livelli di
retribuzione che i suoi coetanei difficilmente riescono a
conseguire: «In media circa 2.500 euro al mese. Mi sento
molto fortunato se mi paragono con quanto fanno alcuni
giovani professionisti, come i commercialisti, che investono
anni dell'inizio della loro carriera percependo compensi
qualche volta inferiori». Un promotore finanziario invece
incassa ogni anno come minimo l'1% rispetto al suo
portafoglio, se colloca prodotti della casa. Guadagni che
salgono per chi ha incarichi di gestione della rete. «Al top
del mio percorso professionale avevo un portafoglio di 50
milioni di euro. Ma come diceva un mio vecchio capo a
Fideuram, "io credo nella fortuna, ma trovo che più lavoro
più ne ho". Insomma, l'impegno tenace e costante nel lavoro
sono premianti».
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
|
«Moneta-merce
e liquidità» I complici
della crisi finanziaria
22 Settembre 2009
08:19 MILANO - di Vittorio Carlini
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Maggiori regole per mercati e istituti
finanziari; meno bonus ai banchieri e più patrimonio alle
banche. Il tutto avvolto dal richiamo a ritrovare l'etica
perduta. Sono alcune delle impostazioni che dovrebbero
guidare i lavori del G20 di Pittsburgh. Il rischio,
tuttavia, è che il "Congresso di Vienna" della finanza
partorisca il più classico dei topolini. Non solo per le
divergenze tra i vari grandi (Europa e Inghilterra in
testa). Ma anche, sostengono in molti, perché le diverse
impostazioni non colgono la profondità della crisi: «Spesso
- dice Marco Vitale, economista d'impresa -, sono il frutto
di una mancanza di pensiero in grado di "sviscerare" i
perché strutturali del grande crack». Un tentativo, al
contrario, che Massimo Amato e Luca Fantacci , entrambi
esperti di storia della moneta e docenti alla Bocconi di
Milano, fanno nel loro «Fine della finanza» (Donzelli
Editore). Certo, si potrà obiettare la validità del loro
pensiero; come si potrà e dovrà discutere sulla validità
delle soluzioni prospettate. Ma è indubbio che, di fronte
«ai menestrelli del tutto come prima - per dirla sempre alla
Vitale - e ai tanti talebani del mercato» il porre dei dubbi
di sistema è comunque esercizio utile. Il Sole24Ore.com ha
in contrato i due economisti per capire meglio il loro
pensiero.
«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare
la funzione stessa della finanza. Quest'ultima, in senso
lato, riguarda l'apertura di un credito a favore di un
soggetto cui viene anticipato del denaro per sviluppare, ad
esempio, un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia
reale che presuppone, prima o poi, la chiusura del credito
stesso». Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo
impero "Finantia" significasse «definizione amichevole di
una controversia».
«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che,
tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un
"pagherò mai"». Addirittura! Non è un po'
un'esagerazione...«Al contrario, a livello di sistema è
proprio così. Grazie a tecniche come la cartolarizzazione,
il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è
più una relazione personale tra loro. È stato volutamente
interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo
modo il debitore ha potuto non solo posticipare il
pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato,
di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione
non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come
è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da
capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è
stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle
cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile,
appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto
"gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa
natura, ha la necessità di trovare una remunerazione,
possibilmente sempre maggiore».
Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei
problemi alla base della crisi...«Sì. La liquidità, intesa
come continua convertibilità di un titolo in moneta e
viceversa, è la base strutturale di questo sistema. Che,
peraltro, per funzionare richiede un ulteriore elemento».
Vale a dire? «La moneta intesa come riserva di valore
-risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è:
unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva
di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è
imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere
una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci
fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né
potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per
l'appunto. E, di conseguenza, tutta l'impalcalcatura della
liquidità che genera ricchezza grazie alla
moneta-scambiata-con-titoli-di-credito-sempre-trasformabili-in-moneta
non potrebbe funzionare».
Una visione un po' radicale. Attribuire tutto
questo peso alla riserva di valore non è un arteficio
teorico a sostegno della tesi esposta? «Assolutamente no -
ribatte Amato - La prova si è avuta quando le banche
centrali hanno inondato il mercato con "denaro frusciante".
Ebbene, se fossero prevalse le caratteristiche di unità di
conto e mezzo di scambio, la moneta sarebbe circolata tra
gli istituti finanziari. Invece, le banche hanno
tesaurizzato la liquidità. L'hanno considerata una merce,
l'hanno messa "in magazzino", tenendo a mente essenzialmente
la funzione di riserva di valore». Quindi, l'errore è nella
gestione degli istituti di credito? «Non si tratta di
volontà o meno: se rimaniamo a questo livello la discussione
è superficiale. È il mercato finanziario che induce tali
comportamenti: da un lato si vuole che la banca presti
denaro dall'altra la si invoglia a tesaurizzare. La vera
questione è un'altra: bisogna eliminare la moneta-merce, in
modo che gli istituti di credito tornino a focalizzarsi su
quello che dovrebbe essere il loro reale core business, cioè
svolgere l'attività d'intermediazione per garantire prestiti
al mondo dell'economia reale».
Un bel discorso teorico, ma realizzabile in che modo?
«Bisogna avere il coraggio di pensare a una riforma del
sistema monetario - risponde Fantacci - La strada da
seguire, un po' sulla falsariga di quanto era nell'idea di
Keynes a Bretton Woods, è quella di una moneta
internazionale nella forma di clearing union. Il meccanismo
della stanza di compensazione necessita solo della moneta
come unità di conto e delle anticipazioni contabili. In
questo modo l'elemento di riserva di valore viene meno e si
elimina alla radice il meccanismo della rendita monetaria. A
livello locale poi, anche per ridefinire in maniera corretta
un reale rapporto tra debitori e creditori, bisognerebbe
pensare alla creazione di divise territoriali». Ritorniamo
al bel libro dei sogni: una moneta internazionale richiede
un organismo sovranazionale in grado d'imporla. Difficile
solo pensarlo, viste le divisioni perfino sui semplici bonus
dei banchieri...«Il fatto che la strada sia in salita -
replica Amato - non vuol dire la via sia sbagliata. Bisogna
provarci. Solo in questo modo potremo uscire dal circolo
vizioso in cui ci siamo infilati. Altrimenti, spingendo
sempre e soltanto sulla soluzione della liquidità non faremo
altro che preparare le basi delle nuova crisi. Con una
aggravante». Quale? «Il vincolo dei debiti pubblici statali
impedirà di attuare nuovamente quegli interventi a carico
dei tax payer che sono stati messi in opera in questi due
anni. Non avremo cioè un'arma per contrastare il problema».
E rispetto, invece, al finanziamento delle imprese,
eliminata la moneta-merce quali i contenuti della finanza?
«È l'anticipazione del credito, sotto le sue molteplici
forme. Dalla forma del venture capital fino al clearing come
strumento per finanziare il capitale circolante».

«Moneta-merce
e crisi»
Parlano lettori e economisti
25 Settembre 2009
14:18 MILANO - di Vittorio Carlini
________________________________________
Maggiori regole per mercati e istituti
finanziari; meno bonus ai banchieri e più patrimonio alle
banche. Il tutto avvolto dal richiamo a ritrovare l'etica
perduta. Sono alcune delle impostazioni che dovrebbero
guidare i lavori del G20 di Pittsburgh. Il rischio,
tuttavia, è che il "Congresso di Vienna" della finanza
partorisca il più classico dei topolini. Non solo per le
divergenze tra i vari grandi (Europa e Inghilterra in
testa). Ma anche, sostengono in molti, perché le diverse
impostazioni non colgono la profondità della crisi: «Spesso
- dice Marco Vitale, economista d'impresa -, sono il frutto
di una mancanza di pensiero in grado di "sviscerare" i
perché strutturali del grande crack». Un tentativo, al
contrario, che Massimo Amato e Luca Fantacci , entrambi
esperti di storia della moneta e docenti alla Bocconi di
Milano, fanno nel loro «Fine della finanza» (Donzelli
Editore). Certo, si potrà obiettare la validità del loro
pensiero; come si potrà e dovrà discutere sulla validità
delle soluzioni prospettate. Ma è indubbio che, di fronte
«ai menestrelli del tutto come prima - per dirla sempre alla
Vitale - e ai tanti talebani del mercato» il porre dei dubbi
di sistema è comunque esercizio utile. Il Sole24Ore.com ha
in contrato i due economisti per capire meglio il loro
pensiero.
«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare la funzione
stessa della finanza. Quest'ultima, in senso lato, riguarda
l'apertura di un credito a favore di un soggetto cui viene
anticipato del denaro per sviluppare, ad esempio,
un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia reale che
presuppone, prima o poi, la chiusura del credito stesso».
Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo impero "Finantia"
significasse «definizione amichevole di una controversia».
«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che,
tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un
"pagherò mai"». Addirittura! Non è un po'
un'esagerazione...«Al contrario, a livello di sistema è
proprio così. Grazie a tecniche come la cartolarizzazione,
il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è
più una relazione personale tra loro. È stato volutamente
interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo
modo il debitore ha potuto non solo posticipare il
pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato,
di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione
non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come
è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da
capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è
stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle
cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile,
appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto
"gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa
natura, ha la necessità di trovare una remunerazione,
possibilmente sempre maggiore».
Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei
problemi alla base della crisi...«Sì. La liquidità, intesa
come continua convertibilità di un titolo in moneta e
viceversa, è la base strutturale di questo sistema. Che,
peraltro, per funzionare richiede un ulteriore elemento».
Vale a dire? «La moneta intesa come riserva di valore
-risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è:
unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva
di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è
imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere
una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci
fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né
potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per
l'appunto. E, di conseguenza, tutta l'impalcalcatura della
liquidità che genera ricchezza grazie alla
moneta-scambiata-con-titoli-di-credito-sempre-trasformabili-in-moneta
non potrebbe funzionare».
Una visione un po' radicale. Attribuire tutto questo peso
alla riserva di valore non è un arteficio teorico a sostegno
della tesi esposta? «Assolutamente no - ribatte Amato - La
prova si è avuta quando le banche centrali hanno inondato il
mercato con "denaro frusciante". Ebbene, se fossero prevalse
le caratteristiche di unità di conto e mezzo di scambio, la
moneta sarebbe circolata tra gli istituti finanziari.
Invece, le banche hanno tesaurizzato la liquidità. L'hanno
considerata una merce, l'hanno messa "in magazzino", tenendo
a mente essenzialmente la funzione di riserva di valore».
Quindi, l'errore è nella gestione degli istituti di credito?
«Non si tratta di volontà o meno: se rimaniamo a questo
livello la discussione è superficiale. È il mercato
finanziario che induce tali comportamenti: da un lato si
vuole che la banca presti denaro dall'altra la si invoglia a
tesaurizzare. La vera questione è un'altra: bisogna
eliminare la moneta-merce, in modo che gli istituti di
credito tornino a focalizzarsi su quello che dovrebbe essere
il loro reale core business, cioè svolgere l'attività
d'intermediazione per garantire prestiti al mondo
dell'economia reale».
Un bel discorso teorico, ma realizzabile in che modo?
«Bisogna avere il coraggio di pensare a una riforma del
sistema monetario - risponde Fantacci - La strada da
seguire, un po' sulla falsariga di quanto era nell'idea di
Keynes a Bretton Woods, è quella di una moneta
internazionale nella forma di clearing union. Il meccanismo
della stanza di compensazione necessita solo della moneta
come unità di conto e delle anticipazioni contabili. In
questo modo l'elemento di riserva di valore viene meno e si
elimina alla radice il meccanismo della rendita monetaria. A
livello locale poi, anche per ridefinire in maniera corretta
un reale rapporto tra debitori e creditori, bisognerebbe
pensare alla creazione di divise territoriali». Ritorniamo
al bel libro dei sogni: una moneta internazionale richiede
un organismo sovranazionale in grado d'imporla. Difficile
solo pensarlo, viste le divisioni perfino sui semplici bonus
dei banchieri...«Il fatto che la strada sia in salita -
replica Amato - non vuol dire la via sia sbagliata. Bisogna
provarci. Solo in questo modo potremo uscire dal circolo
vizioso in cui ci siamo infilati. Altrimenti, spingendo
sempre e soltanto sulla soluzione della liquidità non faremo
altro che preparare le basi delle nuova crisi. Con una
aggravante». Quale? «Il vincolo dei debiti pubblici statali
impedirà di attuare nuovamente quegli interventi a carico
dei tax payer che sono stati messi in opera in questi due
anni. Non avremo cioè un'arma per contrastare il problema».
E rispetto, invece, al finanziamento delle imprese,
eliminata la moneta-merce quali i contenuti della finanza?
«È l'anticipazione del credito, sotto le sue molteplici
forme. Dalla forma del venture capital fino al clearing come
strumento per finanziare il capitale circolante».
 |
Fonte -
Il Sole 24 Ore |
Stati Uniti –
Migrazione dai fondi monetari
Monday, 21 September, 2009 at
11:48 -
by phastidio ______________________________________________
Stati Uniti – Migrazione dai
fondi monetari
leave a comment »
Il Tesoro statunitense ha lasciato scadere lo scorso 18
settembre la garanzia pubblica sui fondi comuni che
investono sul mercato monetario. Uno strumento che da
settimane sta comunque vedendo imponenti deflussi, a causa
dei tassi a zero.
Lo scenario che si apre ora, per effetto di questa
situazione, vedrà con tutta probabilità un aumento delle
sottoscrizioni di obbligazioni e fondi comuni obbligazionari
(inclusi titoli di stato), e ciò consentirà di creare una
fonte di domanda a supporto delle imponenti emissioni di
Treasuries, giusto in tempo per la conclusione del programma
di easing quantitativo sui titoli di stato, che scadrà alla
fine di ottobre. Questo nuovo flusso di domanda sul reddito
fisso è verosimilmente alla base della tenuta dei rendimenti
obbligazionari a fronte del forte rally azionario.
Tra gli effetti collaterali di questa migrazione biblica in
uscita dai money market funds, il cui modello di business è
entrato in crisi in un ambiente di mercato a “tasso zero”,
vi sarà anche la prossima contrazione degli aggregati
monetari: i fondi monetari, infatti, fanno parte di M2 ed
M3.
Fonte
- Macromonitor
Mercati del credito
– 22 Settembre 2009. Rally fra le preoccupazioni
Tuesday, 22 September, 2009 at
12:15 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Dopo la calma seguita alla
scadenza tecnica di ieri, il mercato del credito continua il
suo rally “a due facce”. L’indice continua a migliorare,
ignorando la debolezza di ASIA e USA, mentre i singoli
emittenti mostrano andamenti discordanti e il settore delle
obbligazioni societarie è nel suo complesso ancora poco
stabile, nonostante le buone performance dei nomi più
sicuri. Se è vero che i mercati toro nascono scalando “un
muro di preoccupazioni”, allora questo mercato è pronto ad
esplodere.
Per quanto riguarda i nomi italiani, ENI SpA sembra rimanere
stabile, nonostante i report negativi negli ultimi tempi.
Anche Telecom Italia prosegue il trend negativo sui timori
di nuove emissioni, mentre ENEL sta beneficiando del
riposizionamento degli investitori su nomi più difensivi e
meno volatili.
Itraxx S12 Levels |
|
|
Nota: Gli indici di credito sono
quotati in spread (rendimento), come i tassi
d’interesse. Un segno negativo equivale ad un
miglioramento delle valutazioni del mercato,
equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un
cambiamento positivo è un segnale di peggioramento
delle condizioni, equivalente al calo di un indice
di Borsa. |
|
Livello |
Var.ne da ieri |
|
Main |
81.75 |
-3.8 |
|
HiVol |
151 |
-5.0 |
|
Crossover |
580 |
-24.5 |
|
Livelli di alcuni CDS su nomi italiani
CDS
a 5 anni |
bid |
ask |
Acea |
75 |
105 |
AEM |
90 |
110 |
Atlantia |
56 |
61 |
CIR
SpA |
425 |
450 |
Edison |
83 |
86 |
Enel |
96 |
100 |
ENI |
47 |
50 |
Fiat
SpA |
382 |
397 |
Terna |
65 |
90 |
Telecom Italia |
141 |
146 |
FIAT |
382 |
397 |
###### |
Tenor |
ATLIM |
CIRIM |
EDNIM |
|
Enel |
ENI |
FNCIM |
TITIM |
FIAT |
|
|
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
bid |
ask |
dic-09 |
3m |
-26 |
29.81 |
-44.2 |
-14.19 |
37 |
62 |
1 |
51 |
11 |
26 |
-2 |
98 |
30 |
40 |
42 |
142 |
mar-10 |
6m |
9 |
59.81 |
400.8 |
430.81 |
37 |
62 |
1 |
76 |
41 |
51 |
18 |
68 |
30 |
40 |
144 |
169 |
giu-10 |
9m |
36 |
66.81 |
-44.2 |
-14.19 |
37 |
62 |
26 |
101 |
46 |
56 |
23 |
58 |
35 |
55 |
119 |
169 |
set-10 |
1y |
22 |
42 |
370 |
420 |
44 |
54 |
55 |
75 |
25 |
35 |
23 |
43 |
50 |
65 |
169 |
179 |
set-11 |
2y |
46 |
51 |
395 |
445 |
62 |
72 |
73 |
80 |
32 |
42 |
31 |
51 |
70 |
85 |
232 |
257 |
set-12 |
3y |
47 |
57 |
410 |
460 |
71 |
81 |
90 |
95 |
34 |
44 |
41 |
51 |
98 |
108 |
307 |
337 |
set-13 |
4y |
50 |
60 |
415 |
445 |
76 |
86 |
93 |
98 |
42 |
52 |
46 |
56 |
135 |
145 |
317 |
367 |
set-14 |
5y |
56 |
61 |
425 |
450 |
83 |
86 |
96 |
100 |
47 |
50 |
55 |
60 |
141 |
146 |
382 |
397 |
set-16 |
7y |
57 |
72 |
420 |
445 |
85 |
92 |
99 |
107 |
50 |
60 |
57 |
67 |
150 |
160 |
382 |
402 |
set-19 |
10y |
57 |
72 |
425 |
455 |
88 |
97 |
98 |
108 |
52 |
62 |
57 |
67 |
160 |
170 |
387 |
412 |
set-24 |
15y |
57 |
72 |
450 |
470 |
88 |
97 |
105 |
125 |
52 |
62 |
57 |
67 |
170 |
180 |
397 |
422 |
Fonte
-
Macromonitor
Est Europa a rischio
frenata
22-09-09 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
L’est Europa va trattato con le
pinze. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al
22 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il
5,5%, portando a +51,6% la performance da inizio anno.
Una corsa che, secondo gli operatori, è esagerata.
Soprattutto se si considera la situazione macroeconomica in
cui versa l’area in questo momento. “Nel lungo periodo,
quella dell’Europa dell’est è una storia che ci convince”,
spiega una nota di Morningstar. “I dubbi riguardano, semmai,
le prospettive di breve e medio termine. I valori a cui
vengono trattati questi mercati per il momento ci paiono
elevati. Probabilmente, aspettando ancora un po’, si possono
trovare migliori opportunità di acquisto”.
Le perplessità ruotano intorno a Polonia e Russia. Il primo
è il Paese dell’est più grande dell’Unione europea, mentre
il secondo è considerato il volano della regione, la cui
velocità determina quella dell’intera area. “La Polonia
difficilmente raggiungerà l’obiettivo di ridurre il deficit
sotto il 3% entro il 2012 come richiesto dall’Ue”, ha
spiegato nei giorni scorsi Mark Allen, responsabile del
Fondo monetario internazionale (Fmi) per l’Europa centrale e
dell’est. “La situazione sta peggiorando ad ogni momento”.
Il Paese è sotto osservazione da parte dell’Unione dal
luglio scorso per il pericolo che vada in default. A
Varsavia sono stati dati tre anni di tempo per mettersi in
regola con i regolamenti finanziari richiesti dall’Ue.
Le priorità sono una graduale riduzione del debito e una
maggiore stabilità della moneta locale che, nel primo
semestre, ha perso quasi il 7% nei confronti dell’euro. In
questa situazione sembrano allungarsi i tempi per l’entrata
di Varsavia nel club di Eurolandia.
Secondo le previsioni della società di rating Fitch, l’anno
prossimo il deficit pubblico supererà il 56% del Pil. Se la
stima fosse confermata, il Parlamento polacco potrebbe
essere costretto ad introdurre pesanti misure di austerity.
La situazione è delicata anche in Russia. Il governo ha
appena annunciato un nuovo piano di privatizzazioni per
rimpolpare le casse statali, alle prese con problemi di
budget per la prima volta negli ultimi dieci anni. Secondo
il vice primo ministro Igor Shuvalov lo Stato ha circa 5.500
aziende che possono essere trasformate in società per
azioni. Senza contare quei gruppi nei quali la Russia è
azionista, anche se sono già in Borsa.
L’economia del Paese dipende dall’andamento del prezzo del
petrolio che oggi quota intorno ai 70 dollari al barile
contro i 100 dollari del secondo semestre del 2008. I
risultati sono stati una contrazione del Pil del 10,9% nel
secondo trimestre (rispetto allo stesso periodo di un anno
fa) e una crescita dei crediti incagliati.
“L’economia russa è stata una di quella maggiormente colpite
dalla crisi globale”, recita una nota firmata da Maarten-Jan
Bakkum, strategist azionario per i mercati emergenti di Ing
Investment Management. “Gli unici miglioramenti convincenti
si sono avuti sul fronte della produzione industriale,
mentre si vedono scarsi segnali per quanto riguarda la
domanda”. Le stime sul Pil elaborate dalla casa olandese
parlano di una frenata dell’8% per quest’anno e di +3% il
prossimo.
Fonte
- Morningstar.it
LA CRISI ARCHITETTATA
NEGLI UFFICI DELLE BANCHE
23 Settembre 2009 17:11 LONDRA -
di Nicol Degli Innocenti ______________________________________________
(WSI) – Un coro di fischi ha
accolto il discorso di Lord Turner al banchetto annuale del
Lord Mayor di Londra. Un comportamento davvero inusuale in
un'occasione così formale, nell'elegante cornice di Mansion
House nel cuore della City. D'altronde e' inusuale – e
decisamente poco gradito – il messaggio che Turner,
presidente della Financial Services Authority, ha lanciato
ai banchieri.
La crisi finanziaria e' stata "architettata" negli uffici
delle banche da dealer e trader avidi e privi di scrupoli,
il cui bonus annuale e' pari ai guadagni di tutta una vita
per le vittime della recessione da loro causata, ha detto
Turner. Il presidente dell'Fsa ha ribadito le criticatissime
opinioni rivelate il mese scorso e ha anzi rincarato la
dose: "So che mi considerate un eretico ma non ho intenzione
di rinnegare quello che ho detto. Il settore finanziario e'
ormai "gonfiato" e deve essere ridimensionato, mentre le
banche sono inutili alla società". I banchieri non stanno
mostrando alcuna contrizione mentre dovrebbero riflettere
sul loro ruolo in una crisi che ha causato la perdita di
centinaia di migliaia di posti di lavoro e che porterà
inevitabilmente a tagli della spesa pubblica e a un aumento
delle tasse per tutti.
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In futuro le banche devono diventare più "noiose", ha detto
Turner: "Devono di nuovo puntare le loro energie non su quei
prodotti eccessivamente complessi che non servono
all'umanità ma piuttosto sulle funzioni-chiave di fornire
servizi ai clienti per i risparmi, il credito e i pagamenti.
Non tutte le innovazioni finanziarie hanno un valore, non
tutte le attività di trading sono utili e un sistema
finanziario più grande non e' necessariamente migliore." Gli
enormi utili che le banche britanniche annunceranno
quest'anno sono in gran parte dovuti alle garanzie del
Tesoro e ai bassi tassi d'interesse e quindi i profitti
dovrebbero essere utilizzati per potenziare le riserve di
capitale e la liquidità e non per pagare ricchi bonus ai
banchieri, ha sottolineato il presidente della Consob
britannica.
Il Lord Mayor della City ha replicato criticando
implicitamente Turner: "Punire o limitare il settore
finanziario non e' la risposta, - ha detto Ian Luder. – Il
Governo e gli istituti di regolamentazione hanno il dovere
di considerare il settore come un bene prezioso e di
garantire la crescita e la competitività internazionale
della City." Inutile dire che il suo discorso ha ricevuto
più applausi di quello dell' "eretico" presidente dell'Fsa.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
Paracadute cercasi
Thursday, 24 September, 2009 at
15:50 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Come si fa ad affondare l’indice
Standard and Poors? Semplice: ci si assicura contro il
ribasso. Per sei miliardi di dollari.
Dopo i commenti della Fed di ieri, il mercato sembrava
essersi già indebolito, nonostante un inizio di di giornata
tranquillo ed un momento di euforia subito dopo la decisione
della Fed e la conferenza stampa. Ad un certo punto,
tuttavia, la ritirata è divenuta un mini-crollo. Secondo
voci di mercato, l’accelerazione del calo sarebbe dovuta ad
un’unica, gigantesca operazione: un investitore
istituzionale avrebbe acquistato opzioni put per un nominale
di 5.6 miliardi di dollari, pagando premi per circa 250
milioni. Un’opzione put è un contratto che da’ al compratore
la possibilità, ma non l’obbligo, di vendere un determinato
quantitativo di titoli ad un dato prezzo. Funziona quindi
come una sorta di assicurazione: un portafoglio composto
dall’indice e dalla put ha un valore minimo garantito. Non
sappiamo dove andrà il mercato nei prossimi giorni, ma
l’operazione di ieri di ieri chiarisce che almeno un grosso
operatore comincia ad essere preoccupato per una possibile
discesa dei corsi.
Hat tip: Across the Curve . Fonte
- Macromonitor
|
G20:
finito braccio di ferro politica vs banche
24 Settembre 2009
18:18 BERLINO - di WSI-ASCA-APCOM
________________________________________
Per il cancelliere Angela Merkel, "la cosa piu'
importante" al meeting di Pittsburgh e' quella di evitare
che "le banche divengano cosi' grandi da poter ricattare le
nazioni". Diciamo la verita', e' falso argomento: si tratta
della stessa lobby.
Per il cancelliere Angela Merkel, "la cosa piu' importante"
al meeting del G20 e' quella di evitare che le banche
divengano cosi' grandi da poter ricattare le nazioni. Il
Cancelliere ha parlato, nel corso di una intervista, alla
radio Bayerischer Rundfunk, in vista del meeting dei big del
pianeta che inizia stasera a Pittsburgh, negli Stati Uniti.
''Abbiamo bisogno di regole, per tutti i prodotti
finanziari, per tutte le piazze dove si scambiano i titoli,
per tutte le banche'', ha proseguito la Merkel. Poi la
stoccata ai banchieri, "c'e' ora la tendenza della banche a
dire lasciateci in pace, l'economia sta torndao a crescere".
Se puo' interessarti, in borsa si puo' guadagnare con titoli
aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi
in caso di volatilita' e calo degli indici, basta accedere
alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa
solo 76 centesimi al giorno, provalo ora!.
"Dobbiamo opporci a questa tendenza", ha concluso il
cancelliere. Le parole della Merkel fanno sorridere, viste
dalle sale trading di Wall Street: la politica e tutt'uno
con la lobby bancaria, i piu' grandi istituti di credito del
mondo sono stati tutti salvati dal collasso pochi mesi fa in
un'ondata di nazionalizzazioni, da Hypo Real Estate in
Germania, a Citigroup negli Stati Uniti a UBS in Svizzera.
"Il vertice dei capi di stato e di governo del G20 non
dovrebbe concentrarsi sul tema degli stimoli alla crescita
economica a scapito dei precedenti impegni per riformare i
mercati finanziari globali", ha continuato Angela Merkel,
nel suo messaggio lanciato a poche ore dall'inizio del
summit di Pittsburgh. "Non dobbiamo cercare argomenti
sostitutivi e, oltretutto, dimenticarci della
regolamentazione dei mercati finanziari", ha detto Merkel
incontrando i giornalisti a Berlino prima di prendere un
volo per gli Stati Uniti alla volta del vertice.
Il cancelliere tedesco ha sottolineato che i Paesi che
dominano l'economia mondiale devono assumere le iniziative
predisposte ai vertici di Londra e Washington, e varare
regolamentazioni e politiche che promuovano una crescita
sostenibile. "Dobbiamo assicurarci - ha aggiunto - che
possiamo trarre i giusti insegnamenti dalla crisi dei
mercati finanziari e perciò assicurarci che tale crisi non
si ripeta. I politici devono avere il coraggio di fare
qualcosa che non sarà immediatamente accolto favorevolmente
da tutte le banche".
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I leader delle principali potenze economiche mondiali si
riuniscono oggi per il summit del G20 con la promessa di
intraprendere azioni forti di controllo dei mercati
finanziari per prevenire una nuova crisi economica. Nella
citta' di Pittsburgh le misure di sicurezza sono stringenti,
con migliaia di poliziotti e agenti dei servizi segreti
schierati lungo un anello di barriere di cemento ed acciaio.
L'invito ad una ''stretta alla regolamentazione di tutti i
centri finanziari'', fatto ieri da Barack Obama nel suo
discorso davanti all'assemblea dell'Onu, e' stato raccolto
oggi dal cancelliere tedesco Angela Merkel, secondo la quale
il summit di questi giorni ''rappresentera' una pietra
miliare decisiva nel determinare se la questione della
regolamentazione dei mercati finanziari resta un punto
centrale. Per noi questo sara' il vero argomento della
riunione. Siamo sulla giusta strada ma l'impeto puo'
affievolirsi in qualunque momento e bisogna spingere ancora
piu' forte su questo tasto''.
Il summit di due giorni, che riunisce i 19 paesi piu'
sviluppati e le economie emergenti, piu' l'Unione Europea,
arriva giusto un anno dopo dal default delle banche Usa, che
ha innescato un rallentamento in tutta l'economia mondiale,
de sei mesi dopo il meeting del G20 di Londra convocato per
affrontare la crisi.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy proporra'
l'imposizione di sanzioni nei confronti dei cosiddetti
paradisi fiscali. ''Rifugi dal fisco, segreto bancario, e'
tutto finito'', ha detto Sarkozy ieri parlanto dalla tv
francese. Parigi e Berlino la scorsa settimana avevano
avanzato la proposta comune di imporre un tetto ai bonus dei
banchieri. Un'opzione avversata da Gran Bretagna e Stati
Uniti, anche se fonti ufficiali riferiscono che un
compromesso, per quanto annacquato, potrebbe essere
raggiunto.
Le economie emergenti guidate dall'India, dal canto loro,
chiedono miliardi di dollari in aiuti per convertire le
proprie tecnologie e renderle piu' rispettose dell'ambiente
in cambio della firma di un accordo al previso summit di
dicembre di Copenhagen. il primo ministro britannico, Gordon
Brown, ha stimato in 100 miliardi di dollari da qui al 2020
l'ammontare dei fondi necessari ed ha annunciato in
un'intervista al New York Times che fara' pressioni sul G20
in questo senso.
Oltre alle regole per i mercati finanziari, il summit
discutera' anche di come iniziare a ridurre il pacchetto di
aiuti stabilito dai singoli paesi per combattere la
recessione. Giappone ed Europa hanno cominciato ad
evidenziare il problema, avanzando l'ipotesi di un taglio,
sostenuti dalla Cina che teme che il defici Usa possa
destabilizzare il dollaro, ma molti pensano che si
tratterebbe di una mossa prematura.
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Fonte -
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Venerdì
25 Settembre
2009 |
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Sabato 26
Settembre
2009 |
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Mercoledì
30 Settembre
2009 |
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G20:
se lo conosci lo eviti.
I mercati ignorano le chiacchiere
24 Settembre 2009
23:18 NEW YORK - di Mauro Bottarelli
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Solitamente sono io a porre legittimi dubbi
sull’eccessivo ottimismo di alcuni politici e regolatori
riguardo i tempi della crisi e l’arrivo della sua fine.
Stavolta, invece, è stato il Monetary Policy Committee della
Bank of England a spegnere sul nascere i facili entusiasmi
parlando a chiare lettere di «false albe per l’economia» e
di un inverno che potrebbe portare in dote ulteriore aumento
della disoccupazione, contrazione del credito e della
domanda interna oltre a nuove, pesanti svalutazioni nel
comparto bancario. Insomma, una nuova ondata di crisi.
La decisione all’unanimità di mantenere pressoché a 0 i
tassi di interesse, d’altronde, parla questa lingua: il
paese europeo che più di ogni altro ha pagato il prezzo
prima allo shock finanziario e poi alle ripercussioni
sull’economia reale resta pesantemente sulla difensiva.
Insomma, i dati macro parlano chiaro e i rally borsistici di
queste ultime settimane potrebbero essere nulla più che
assalti alla diligenza della speculazione, ovvero interventi
a freddo su commodities e cross monetari che innescano sì
acquisti in grande stile, ma al primo segnale di "stop"
fanno crollare il castello di carta.
E non è un caso, in tal senso, che alla vigilia del G20 la
Federazione mondiale delle Borse si sia lanciata all'attacco
dei mercati paralleli, i sistemi "over-the-counter" od Otc,
mettendo in guardia i paesi appartenenti al consesso dei
Grandi che queste piattaforme di trading potrebbero non
funzionare in maniera appropriata e favorire la volatilità
anche sui mercati ufficiali e regolamentati. Secondo quanto
riportava ieri il Financial Times, alla vigilia del vertice
di Pittsburgh, la World Federation of Exchanges si è fatta
avanti con una lettera a Mario Draghi, che oltre ad essere
governatore della Banca d'Italia è anche il presidente del
Financial Stability Board, l'ente transazionale con sede a
Basilea che cura il coordinamento tra i vari paesi su regole
e stabilità del settore finanziario.
Tuttavia le accuse delle Borse rischiano di innescare forti
attriti con le grandi banche internazionali, i principali
operatori di questi mercati paralleli, chiamati anche "dark
pools", o "pozzi oscuri" in quanto i dettagli delle
transazioni che vi vengono effettuate sono resi noti solo
dopo la loro chiusura. Secondo le Borse «l'elevata opacità»
di queste piattaforme «inibisce la capacità di determinare i
prezzi», che deriva dall'incontro tra domanda e offerta,
riportava il Ft «e può portare a ripercussioni negative, tra
cui una maggiore volatilità dei mercati».
Le banche rivendicano che si tratti di una attività
legittima, che riguarda operazioni rilevanti su titoli
finanziari (azioni, obbligazioni o derivati), che è
difficile e costoso effettuare sui mercati ufficiali, dove
l'ammontare massimo del singolo ordine viene continuamente
assottigliato. Inoltre le stesse Borse gestiscono in certi
casi dei loro mercati Otc: secondo il Ft la mossa della
federazione delle Borse mette in rilievo un’intensificazione
delle attività di lobbying per persuadere la politica a far
confluire tutte le operazioni di trading sui titoli
finanziari nei loro circuiti.
Nei mesi scorsi i mercati Otc sono stati oggetto di critiche
da più parti e alcune di queste piattaforme sono state
accusate di aver esacerbato la volatilità dei prezzi sui
titoli derivati, riportava ancora il quotidiano della City.
Lo scontro, quindi, sta diventando non tra Robin Hood e lo
sceriffo di Nottingham come vorrebbe farci credere la bozza
preventiva del G20, tagliata su misura per il populismo di
Sarkozy, bensì tra due diversi tipi di sceriffi di
Nottingham: quello regolare, trasparente ancorché non
limpido né immune da colpe delle Borse regolamentate e
quello dei "pink sheets", dei mercati oscuri dove si fanno i
veri soldi, dove si avviano i processi speculativi - l’Ice
di Londra con il suo mercato dei futures sul petrolio Usa ne
è la conferma - che poi si ripercuotono sui mercati e
soprattutto dove le grandi banche internazionali hanno
maggiori interessi.
Siamo certi che, purtroppo, sui grandi giornali si darà poco
conto di questa contrapposizione, per il semplice fatto che
le banche hanno interessi su quei mercati e le stesse sono
spesso editori dei principali quotidiani: il fatto che il
Financial Times abbia lanciato la notizia appare un chiaro
segnale verso Basilea più che verso Pittsburgh.
Tanto più che se la logica delle nuove norme invocate da più
parti per i mercati deve essere quella della trasparenza e
della fine dell’epoca dei "derivati dei derivati", allora il
mercato Otc appare davvero il luogo deputato per la prima
mossa. In quanti, però, saranno davvero pronti a compierla
non è dato a sapere. I sistemi over-the-counter sono veri e
propri campi minati, sono il palcoscenico preferito dei
grandi player perché si può operare nell’ombra e metterci
mano potrebbe risultare da un lato controproducente -
ricordo ancora qualche giacobino che chiedeva l’eliminazione
dei contratti futures, salvo poi rendersi conto che senza
quei contratti le linee aeree ci farebbero pagare un volo
Milano-Londra 1.000 euro - e dall’altro poco salutare per
amministrazioni politiche come quella americana o britannica
che alle lobby dei mercati devono molto, anche in termini di
ricchezza del paese e posti di lavoro.
Il fatto che ieri al Congresso il segretario Usa al Tesoro,
Tim Geithner abbia parlato di necessità di uno schema di
protezione per i consumatori e del miglioramento dei
meccanismi di funzionamento dell’agenzia chiamata a vigilare
sul fatto che le banche non debbano diventare "too big to
fail" fa capire quale sia l’impostazione Usa nello scegliere
le priorità da affrontare: c’è quindi il forte rischio che
al G20 si consumi uno strappo ma anche che i troppi temi sul
tappeto facciano passare in secondo piano le reali battaglie
in atto tra i partecipanti al vertice.
È di ieri infatti la conferma che il Caspio sia il teatro
della nuova corsa alle risorse energetiche e che il
Turkmenistan potrebbe essere un paese-chiave, su cui si
addensano gli appetiti geopolitici delle più grandi potenze
del mondo: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, l'Unione
europea, l'Iran e l'India.
Gurbanguly Berdymukhamedov, il "dominus" della repubblica
centro-asiatica, ne è consapevole e sta giocando la sua
partita su diversi tavoli: ieri l’agenzia di stampa Interfax
dava infatti conto di un incontro a New York tra il
presidente turkmeno e il segretario di Stato Usa, Hillary
Clinton, durante il quale Berdymukhamedov ha ricevuto la
promessa di aiuto americano nella complessa opera di
diversificazione delle forniture di gas, risorsa di cui il
Turkmenistan è uno dei Paesi più ricchi al mondo. Mossa che,
come potete facilmente intuire, non suscita gli entusiasmi
di Russia a Cina. Ma al G20 si parlerà di bonus ai banchieri
e nuove regole. Poveri noi.
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Fonte -
IlSussidiario.net |
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