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Borsa:
obiettivi raggiunti,
l'analisi tecnica getta la spugna
01 Ottobre 2009 15:31
BIELLA - di *Maurizio Milano
*Analisi
Tecnica Gruppo Banca Sella
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Nuovi massimi, seguiti da prese di beneficio. Il
Nasdaq Composite ha praticamente raggiunto la resistenza
chiave a 2200 (nuovo massimo 2009 il 23.09 a 2167,70; +71,2%
dai minimi di marzo), obiettivo finale del bear market
rally. È in atto un ripiegamento verso il supporto a 2035,
la cui rottura segnalerebbe perdita di spinta. Nuovo picco
anche per il Dow Jones Industrial, che supera di poco i
massimi dell’ottobre 2008 in area 9650/800 e sfiora quota
10000 (nuovo massimo 2009 il 23.09 a 9917,99; +53,2% dai
minimi di marzo), per poi indietreggiare. L’indice è
arrivato molto vicino all’obiettivo finale a 10350 (anche se
non si possono escludere estensioni verso la resistenza
chiave ad 11000). Perdita di spinta al di sotto di 9500.
Nuovi massimi anche per lo S&P500, che raggiunge
sostanzialmente l’obiettivo indicato, la resistenza critica
a 1100 (nuovo massimo 2009 il 23.09 a 1080,15; +62% dai
minimi di marzo). È in atto un ripiegamento verso 1015, la
cui rottura darebbe un segnale di perdita di spinta;
debolezza sotto 995, con obiettivo il forte supporto a 975.
Su tutt’e tre gli indici, vista la prossimità degli
obiettivi, il focus deve spostarsi sulla protezione degli
utili accumulati nel passato semestre più che sul
conseguimento di nuovi profitti. Si nota infatti un certo
"affaticamento" dei listini che, pur continuando a salire,
stanno perdendo grinta. Il bear market rally dura da oltre 6
mesi, senza correzioni degne di nota, ed anche la rotazione
settoriale, con spostamenti sempre più veloci tra i vari
comparti, non può fare miracoli. Il continuo flusso di
notizie positive sul fronte dell’economia reale è
insufficiente ad attirare nuovo denaro per spingere con
decisione i listini. Anzi, paradossalmente, questo rinnovato
ottimismo – un po’ forzato, forse – si accompagna proprio
alla perdita di spinta dei mercati, cosa che non ci stupisce
per nulla, anzi.
Il fortissimo recupero delle Borse dell’ultimo semestre è la
risultante del venir meno dei rischi di implosione
finanziaria a livello mondiale innescati dal fallimento di
Lehman nel settembre dello scorso anno. Fu questa paura, più
che le previsioni di recessione, a fare sprofondare
l’azionario, nelle due ondate dell’ottobre-novembre 2008 e
del gennaio-febbraio 2009. L’abbondante liquidità riversata
sui mercati, gli ingenti stimoli fiscali e straordinari
salvataggi pubblici hanno scongiurato il peggio, consentendo
ai mercati azionari di risalire verso i livelli pre-Lehman.
Al raggiungimento di questi obiettivi (qualche punto
percentuale prima o dopo, difficile essere più precisi), non
ci sono ragioni valide perché la salita delle Borse debba
continuare. Una ripresa a "V" dell’economia reale sembra
davvero un po’ ottimistica, ed in ogni caso le dinamiche
dell’azionario richiedono per lo meno una lunga fase di
riaccumulazione – meglio ancora uno storno significativo
(tra il 10 ed il 20 per cento, per intenderci) – prima che
possa iniziare un mercato Toro vero e proprio.
Per le prossime sedute scatterebbe un campanello d’allarme
qualora l’indicatore di volatilità implicita "Vix" (al
momento a ridosso di 25-26) dovesse superare la resistenza
in area 29,00/60; una conferma di rinnovate tensioni si
avrebbe poi al di sopra della resistenza critica in area
33-34,60. Al momento non ci sono segnali in tal senso. È
tuttavia opportuno tenere d’occhio costantemente questi
livelli, perché se dovessero venire superati al rialzo
scatterebbero molte vendite sui mercati azionari.
Siamo giunti al punto in cui l’analisi tecnica deve cedere
il passo al money management: nessuna sa con certezza cosa
potrà capitare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Motivazioni di sana prudenza nella gestione del rischio,
tuttavia, impongono di proteggere i forti utili accumulati
per chi ha "cavalcato" il più bel rally da molti anni a
questa parte. Poi si vedrà.
 |
Fonte -
xxx |
Investire
in una borsa che è partita
come un missile
01 Ottobre 2009 00:18
LUGANO - di Alfonso Tuor
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Mai nella storia la Borsa americana ha corso così
tanto in un lasso di tempo così breve (circa sei mesi):
infatti dall’inizio dello scorso mese di marzo l’indice
azionario S&P 500 è salito di circa il 60%. Il rialzo è
stato nettamente superiore e più rapido rispetto a quelli
verificatisi dopo il crollo di Wall Street del 1932 e dopo
lo scoppio della bolla dei titoli tecnologici avvenuta
all’inizio di questo decennio.
All’inizio il rimbalzo delle borse era facilmente
comprensibile: la paura di una seconda Grande Depressione
aveva fatto cadere i mercati azionari. Le borse avevano
quindi tirato un grande sospiro di sollievo quando alla fine
dello scorso mese di febbraio la nuova amministrazione Obama
aveva salvato Citigroup, la maggiore banca del mondo, dalla
bancarotta e quando all’inizio del mese di aprile il G20
aveva ufficialmente confermato che si sarebbe fatto il
possibile e anche l’impossibile per evitare il fallimente di
un grande gruppo bancario e una crisi valutaria di qualsiasi
Paese. Queste rassicurazioni hanno ridato fiducia alle
borse, trainate al rialzo proprio dai titoli del settore
finanziario che erano stati falcidiati nei mesi precedenti.
Ma il rimbalzo dei mercati azionari si è via via trasformato
in un rally senza precedenti che pone numerosi
interrogativi.
Gli attuali corsi azionari sono compatibili solo con una
forte ripresa dell’economia mondiale. Ad esempio, è stato
calcolato che i prezzi delle azioni americane anticipano e
sono sostenibili solo se l’anno prossimo vi sarà una
crescita del 4% dell’economia statunitense. Se si escludono
alcuni Paesi emergenti, non vi sono segnali di una forte
ripresa economica. Addirittura alcuni dati sulla crescita
del PIL devono essere presi con le pinze. Infatti, come
sostiene Anantha Nageswaran della Julius Bäer, queste cifre
sono positive solo perché vengono corrette tenendo conto del
fatto che l’inflazione è negativa. In questo modo si oscura
la realtà di una domanda ancora in forte contrazione.
Ad esempio, l’economia australiana è cresciuta nel secondo
trimestre dell’anno dello 0,6% rispetto al primo solo grazie
al fatto che i dati in termini reali del PIL sono stati
aumentati per tener conto di una diminuzione dei prezzi che
ha raggiunto il 2,2%. Inoltre, ed è ciò che più conta, la
stabilizzazione dell’economia è in gran parte dovuta solo a
misure di politica economica di carattere eccezionale che
non possono essere continuate ancora per molto tempo.
Analogo discorso può essere fatto per valutare lo stato di
salute del sistema bancario, risorto a nuova giovinezza
grazie al cambiamento delle regole contabili che non
obbligano più a iscrivere a bilancio i titoli tossici a
prezzi di mercato.
Ma c’è di più: se si vanno ad analizzare i bilanci delle
banche americane, come ha fatto l’economista della Julius
Bäer, si scopre che le sofferenze (il volume dei crediti per
i quali i debitori sono in forte ritardo nel pagamento degli
interessi) stanno crescendo molto più rapidamente degli
accantonamenti. La conclusione è che il volume delle perdite
nascoste nei bilanci delle banche continua ad aumentare. Ciò
dovrebbe creare non poca apprensione, dato che secondo il
Fondo monetario internazionale il sistema bancario dovrà nei
prossimi mesi raccogliere circa 1.700 miliardi di dollari
per rispettare i requisiti minimi sui fondi propri.
Le borse non sembrano però curarsi di questi dati di fatto e
continuano a salire spinte da un costo del denaro ai minimi
storici e dalla grande quantità di liquidità immessa dalle
banche centrali nel sistema bancario. Questi soldi, come
mettono in evidenza le statistiche delle banche centrali,
non vengono usati per elargire nuovi crediti e per far
ripartire l’economia, ma circolano nei mercati finanziari e
stanno producendo una nuova pericolosa bolla, destinata
prima o poi a scoppiare.
Questa tesi è confortata dal comportamento prevalente oggi
tra gli investitori. Sono pochi quelli che investono in
azioni, poiché ritengono che i mercati debbano ancora
salire. Sono invece in molti a ritenere che questo rally non
durerà. Questi ultimi sostengono che bisogna cavalcare
questa fase di rialzo, poiché gli altri strumenti di
investimento non offrono rendimenti adeguati ed aggiungono
subito che si sono protetti o che sono pronti a vendere
immediatamente le loro azioni quando il mercato comincerà a
scendere.
Si tratta di un comportamento caratteristico di ogni bolla
finanziaria, che si scontra sempre con lo spiacevole dato di
fatto che non è facile vendere azioni quando tutti vogliono
vendere, se non accettando perdite elevate. Il momento della
resa dei conti per le borse non sembra comunque vicino, ma
più il mercato salirà più lo scoppio di questa nuova bolla
costerà molto non solo agli investitori, ma all’intera
economia.
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Fonte -
Corriere del Ticino |
Siamo davvero usciti
dalla depressione dei titoli bancari?
Monday, 01 October, 2009 at 9:41 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
La tabella sottostante potrebbe servire a chi pensa che le
azioni bancarie siano di nuovo un investimento tranquillo,
dopo il rally di Marzo. Secondo alcuni, l’intervento
governativo dell’ultimo anno avrebbe riportato il sistema
bancario ad un minimo di equilibrio, e quindi alleviato i
sintomi, se non risolto il problema alla radice della crisi
bancaria.
Come si può notare, una sola regione ha raccolto più
capitale di quanto ne servisse per pareggiare le perdite del
2008-2009: l’Asia. Praticamente ovunque, invece, i governi e
le imprese stanno ancora cercando di recuperare le perdite
annunciate. Tutto ciò che non possono essere finanziate
attraverso i mercati obbligazionari o tramite finanziamento
pubblico già scricchiolante dovrà venire da aumenti di
capitale, creando pressioni sui mercati azionari.
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Global write-downs
and credit losses versus capital raised, to date |
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Una lettura ottimistica della tabella di cui sopra
presuppone inoltre che le svalutaizoni sui crediti siano
finite e che non vi saranno ulteriori perdite di venire da,
diciamo, mutui residenziali, prestiti agli studenti,
prestiti auto, prestiti sulle carte di credito. Si presume
anche che le banche banche non stiano diciamo così
stiracchiando la realtà sul reale stato del proprio
bilancio, come è invece avvenuto negli ultimi anni. Per
quanto riguarda l’economia mondiale, gli investitori in
tutto il mondo vedono il rally dei mercati azionari , se
misurato dai minimi di Marzo – e deducono che la battaglia è
finita. In un certo senso, la battaglia è finita: Lehman è
stata sacrificata ma sotto tutti gli altri aspetti, le
banche hanno vinto, e tutti gli altri hanno perso.
Fonte
- Macromonitor
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Banche:
se agiscono come Hedge Funds, colpevoli
02 Ottobre 2009 03:39
MILANO - di Mauro Bottarelli
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«Se alcune banche hanno deciso di non utilizzare le
obbligazioni governative è una loro libera scelta ma non
fanno bene il loro mestiere. Il mestiere delle banche è fare
soldi con la finanza o fare la banca e dare i soldi alle
imprese? È sicuramente un mestiere difficile soprattutto in
una fase di crisi più che nella normalità. Ma se continuano
a far soldi con la finanza, stanno solo preparando la
prossima crisi». Parole e musica di Giulio Tremonti,
ministro dell'Economia, all'indomani della decisione di
Unicredit e Intesa-San Paolo di non avvalersi dei Tremonti-bond.
Il nodo della crisi e della fase recessiva che essa ci ha
regalato e che ora stiamo vivendo, cari lettori, è tutta
qui. Il problema, infatti, è posto male fin dal principio:
non bisogna impegnarsi nel rendere la vita impossibile agli
hedge funds, ma fare in modo che le banche non agiscano come
loro, ovvero come fondi speculativi invece che come
erogatrici di credito e gestrici del risparmio. Anche perché
ciò che attende le banche dietro l'angolo dell'autunno è
tutt'altro che chiaro.
L'altro giorno, infatti, il Fondo monetario internazionale
ha abbassato le proprie stime rispetto le svalutazioni
globali degli istituti di credito, scendendo da 4 a 3,4
trilioni di dollari, ma questo non significa che stia
arrivando il sereno: primo, perché all'orizzonte è ora
ufficialmente confermato che siano in avvicinamento altri
1,3 trilioni di svalutazioni e secondo perché la crisi reale
sarà, con l'aumento della disoccupazione a livello globale,
basata sui mutui e i prestiti.
«La situazione sta migliorando ma i rischi di un altro
cambio repentino della situazione sono alti», rendeva noto
l'Fmi. Inoltre, se le riserve paiono generalmente in grado
di garantire la sopravvivenza delle banche anche in caso di
forte picco di crisi, i mancati introiti o comunque la
capacità limitata di creare profitto a fronte delle
svalutazioni certe peserà ancora per un anno e mezzo, scrive
sempre l'Fmi. A questo, poi, va unito il dato che vede quasi
tutti gli analisti Usa ed europei concordi nel prevedere una
contrazione del 17% nel mercato borsistico a ottobre: non
certo uno shock ma questo rally "liquidity driven" è durato
un po' troppo e ha quasi certamente creato una bolla che
lascerà molti con il cerino in mano.
Per quanto infatti i soldi pompati da governi e organismi
internazionali abbiano creato entusiasmo negli investitori,
c'è il forte rischio che molti soggetti si siano esposti
eccessivamente e rotto le cautele dell'hedging a fronte di
una leva di leverage spropositata posta in essere di nuovo
per fare profitti in fretta e sfruttare il momento. Guarda
caso, i soggetti maggiormente indiziati di aver dato vita a
questa seconda fase di costruzione della crisi, come
accennava giustamente il ministro Tremonti, sono proprio le
banche: qui come altrove.
Che dire delle sdegnose scelte di Barclays di accettare il
sistema di protezione o quelle di Lloyds di volerne uscire?
E questo vale anche per Commerzbank, seduta su 101 miliardi
di euro di titoli tossici eppure pronta a ridare parte dei
fondi ottenuti dal governo tedesco. Strana velocità di
ripresa in periodo di crisi dell'economia reale, davvero
strana.
Siamo alla "bolla di crisi", ovvero un eccesso di denaro
statale che ha fatto la gioia di banche e fondi speculativi,
gettatisi a capofitto sui mercati - nonostante gli scarsi
volumi e i book non liquidissimi - per sfruttare a più non
posso il rally e con questa scelta, perpetuata anche grazie
alle decisioni assistenzialiste di molti governi e alle
scelte della Fed, lo hanno prolungato artificialmente.
Attenzione, la correzione dei corsi potrebbe fare vittime,
anche eccellenti, non solo feriti. Non è un caso che Goldman
Sachs parli di questo periodo come di un nuovo ottobre 1999,
ovvero un periodo in cui lanciarsi nell'investimento
sfrenato di titoli sottostimati grazie proprio all'eccesso
di liquidità che sta spingendo il sistema.
E infatti, stando a una tabella contenuta nell'ultimo report
di Goldman Sachs, vediamo che dal 9 marzo di quest'anno -
inizio del mercato del toro - a guadagnare maggiormente
sulle piazze europee sono stati i titoli di settore a
fortissimo rischio, ovvero assicurativi e bancari, cresciuti
rispettivamente del 66% e del 62%; al terzo posto, ma con
una crescita "solo" del 30%, i titoli del settore minerario.
Questa crisi, stando ai numeri, non ha proprio insegnato
nulla alle banche. Anzi, le ha rese ancora più avide perché
timorose di venire rimesse in carreggiata e costrette a fare
il loro lavoro. Quando quindi Tremonti parla di gestazione
di una nuova crisi dovuta a decisioni come quelle prese dai
board di Intesa-San Paolo e Unicredit non sbaglia. Anzi, ci
vede lungo e temo sia molto preoccupato.
Anche perché al di là delle nuove svalutazioni
all'orizzonte, l'inverno porterà con sé il rischio di
default nell'Est Europa, mercato dove moltissimi banche
europee sono pesantemente esposte: un domino che parta, ad
esempio, dall'Austria potrebbe risultare un grattacapo non
da poco non solo per i governi ma soprattutto per Bce ed
Ecofin.
Speriamo di eccedere con le cautele e con i timori, ma i
dati che giungono dai mercati parlano chiaro e nonostante
possa non piacere la logica degli aiuti di Stato -
personalmente non mi piace - le decisioni delle principali
banche Ue di smarcarsi dai piani di protezione governativi
per poter sguazzare ancora sulle strade della speculazione
sono quantomeno criminogene: ne va, infatti, non solo del
bene comune ma della tenuta stessa del sistema. Tenuta che
questo autunno caldo di recessione e disoccupazione
galoppante metterà di per sé già parecchio a rischio.
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Fonte -
IlSussidiario.net |
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Martedì
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2009 |
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07
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Giovedì
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I
listini hanno corso più
dell'economia
03 Ottobre 2009 12:44
MILANO - di Walter Riolfi
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Con un ribasso finale di un modesto 0,46%, ieri Wall Street
ha mostrato di sentirsi paga da una correzione del 4% dai
massimi di due settimane fa. Come se i 263mila posti di
lavoro persi a settembre, 62mila più di agosto e 83mila più
delle attese, fossero un incidente già scontato dal mercato;
come se il calo del 2,6% degli ordini di beni durevoli (dato
rivisto al ribasso rispetto alla scorsa settimana) fosse già
nei prezzi di borsa. Una correzione del 4% sarebbe più che
sufficiente a pareggiare le delusioni provocate nelle ultime
due settimane dall'attività manifatturiera che cresce meno
del previsto, da un mercato immobiliare che non riprende,
per quanto abbia smesso di peggiorare, da vendite di auto
ben sotto le previsioni e da una disoccupazione destinata ad
crescere nei prossimi mesi. Può darsi che il comportamento
di Wall Street sia giustificato dalla prospettiva di una
rapida e vigorosa ripresa (a forma di "V"), come scommette
il mercato e come suggerisce l'Ecri, l'istituto Usa che
studia il ciclo economico e il cui indicatore ha dato buone
prove nel segnalare l'attuala e le precedenti recessioni. «È
estremamente improbabile che si dissolva nei prossimi mesi
il recupero dell'economia Usa», ha scritto ieri l'Ecri,
ribadendo un concetto espresso la scorsa settimana: ossia
che la ripresa statunitense «è ben lungi dall'essere
fragile».
Dopo il 9 marzo, quando le borse smisero di precipitare,
c'era la sensazione che si fosse toccato il fondo: perché i
i titoli finanziari erano diventati carta straccia, oltre
ogni ragionevole considerazione, e perché ci si immaginava
la possibile fine della recessione nei successivi sei-nove
mesi. Come succede in questi casi, il risveglio dei mercati
finanziari e prezzi un po' più alti hanno finito per
migliorare l'umore di investitori e consumatori e,
apprezzandosi un poco anche le attività delle banche, i loro
bilanci sono apparsi meno disastrosi. La scommessa di Wall
Street s'è rivelata giusta e i livelli del 9 marzo scorso
rappresentano probabilmente un minimo che non dovrebbe
essere più rivisto. Ma salendo l'S&P del 58% in poco più di
sei mesi (e trascinando del 56% anche lo Stoxx europeo), i
listini hanno pure scommesso su una rapida e forte ripresa
economica, come quelle viste dopo le recessioni degli ultimi
30 anni. Anzi su un recupero ancor maggiore, poiché un tale
rimbalzo degli indici non era mai avvenuto in passato: non
dopo le crisi del 1974 e del 1982 e nemmeno dopo i disastri
del 1932.
C'è una forte probabilità che questa volta l'economia
mondiale, e soprattutto quella statunitense ed europea, non
ripartano ai ritmi visti nell'ultimo trentennio e che il
futuro ci riservi una crescita ridotta. Non la depressione
seguita al 1930, ma un Pil Usa che aumenta del 2-3%
all'anno, la metà di quanto visto nel recente passato.
Suggeriscono questo scenario l'elevato livello
d'indebitamento delle famiglie, l'esplosione del debito
pubblico (che impedirà ai governi di stimolare l'economia),
minori investimenti privati, una leva finanziaria che non
dovrebbe più ripetere le follie di due o tre anni fa e, alla
fine, una minore crescita degli utili societari. È lo
scenario dipinto a inizio estate (e ribadito recentemente)
da Bill Gross, il numero uno di Pimco: «La nuova normalità
per i prossimi 10 anni e forse anche per i prossimi 20».
È interesse di Gross, si dirà, essere pessimista, visto che
Pimco è il maggior gestore obbligazionario del mondo. Ma uno
scenario di crescita lenta e sotto la media è tracciato
anche dagli esponenti della Fed e tra i più ottimisti si
parla di «percorso accidentato», come ha detto ieri Sandra
Pinalto. Mentre Eric Rosengren dichiara apertamente che «la
ripresa rimane fragile e suscettibile di deludere le
aspettative». E, infine, anche l'amministratore delegato di
General Electric (una delle maggiori multinazionali con
300mila dipendenti sparsi nel mondo) sposa la tesi di Gross:
«Ci sono ragioni per credere che questa ripresa potrebbe
rivelarsi diversa da quelle passate», e potrebbe
prospettarsi la «più lenta tra quelle succedute dopo gli
anni '70».
Quanto al mercato immobiliare, in pochi si fanno illusioni.
Robert Shiller (Yale University) sostiene che probabilmente
s'è toccato il fondo, ma che resterà stagnante per altri
cinque anni. E Goldman Sachs stima addirittura la
possibilità di un peggioramento per gli immobili
commerciali. Infine sono gli stessi costruttori a segnalare
un nuovo rallentamento degli ordini a settembre. E cosa
succederà, si chiedono gli economisti, quando verranno meno
gli incentivi del governo all'acquisto della prima casa e
quando la Fed finirà di comperare cartolarizzazioni sui
mutui per sostenere il mercato? E l'economia in generale
riuscirà a procedere da sola una volta che la Fed e le altre
banche centrali smetteranno di pompare liquidità a costo
quasi zero?
Dopo sei mesi di rialzi, Wall Street non è affatto a buon
mercato. Il «Financial Times» sospetta una nuova bolla
speculativa, visto che l'S&P tratta a un multiplo di 18,7
volte la media degli utili degli ultimi 10 anni. In ogni
caso l'indice è valutato 17,6 volte gli utili attesi nel
2009 (dati Thomson Reuters) e 13,9 quelli 2010: in entrambi
i casi è tutt'altro che sottovalutato. E se le stime degli
analisti dovessero peccare ancora per eccesso di ottimismo?
Va notato che il consenso sugli utili stimati per il terzo
trimestre indicava un calo del 20-21% tra luglio e agosto;
ma il dato era sceso a -22% a metà settembre ed è caduto a
-24,7% nell'ultima rilevazione. In settimana l'S&P ha perso
l'1,84% (-2,05% il Nasdaq) e lo Stoxx il 2% (-2%
Francoforte, -2,4% Parigi, -1,6% Londra, -1,9% Milano).
 |
Fonte -
Il Sole 24 Ore |
ROUBINI:
CORREZIONE IN BORSA TRA POCHE SETTIMANE
05 Ottobre 2009 13:04 NEW YORK -
WSI ______________________________________________
L'economista Nouriel Roubini ritiene probabile una
"correzione" delle piazze borsistiche nell'ultimo trimestre
dell'anno o a inizio 2010. In un'intervista all'edizione
online di The Wall Street Journal, l'economista della New
York University afferma che una parte dei rialzi messi a
segno di recente dalle Borse è dovuta a dati economici
concreti.
Tuttavia, aggiunge, che "è successo tutto così presto e così
in fretta da farmi pensare che si discosti dai fondamentali
economici sottostanti". I mercati, ha continuato Roubini,
"stanno scontando una ripresa a forma di V ed è necessario,
invece, che inizino a prendere in considerazione piuttosto
una ripresa a U, quindi, per questa ragione ci potrebbe
essere una correzione nel quarto trimestre di quest'anno o
all'inizio dell'anno prossimo".
E' comunque un dato di fatto che l'economia Usa è migliorata
significativamente dal panico finanziario di fine 2008, ha
ammesso Lawrence Summers, consulente economico del
Presidente, Barack Obama, che però preferisce ancora essere
cauto perché il continuo deterioramento del mercato del
lavoro appanna la prospettiva. "Abbiamo fatto molta strada
rispetto a dove eravamo l'inverno scorso" ha sottolineato
ma, ha aggiunto, "non siamo nella posizione di dichiarare
vittoria".
Il tasso di disoccupazione negli Usa, balzato al massimo
degli ultimi 26 anni (9,8% della popolazione attiva),
secondo gli esperti continuerà ad aumentare ancora prima che
le cose comincino a migliorare di nuovo. "Avrei molta
difficoltà, "ha detto ancora Summers, "ad accettare l'idea
che l'economia statunitense non ritrovi il potenziale per
svilupparsi molto velocemente".
Fonte
- WallStreetItalia
Gestori, per i
mercati è tempo di una pausa
05-10-09 -
Sara Silano ______________________________________________
Il rally delle Borse perde forza. Secondo i gestori,
interpellati da Morningstar nel consueto sondaggio sulle
previsioni di mercato per i prossimi sei mesi, nel breve
potrebbe esserci una pausa, prima che i mercati ritrovino le
energie per ripartire. Le valutazioni dei titoli azionari
non destano particolari preoccupazioni e la liquidità nel
sistema finanziario è abbondante, ma il quadro economico
deve ancora consolidarsi.
L’Europa tenta il salto del guado
A settembre, alcuni indicatori macro, come il Pmi (Purchase
manager index) che è considerato un barometro dell’andamento
congiunturale, hanno superato il livello considerato come
spartiacque tra recessione e ripresa. Tra gli imprenditori
la fiducia è tornata a crescere, grazie anche al risveglio
del commercio internazionale. E’ convinzione diffusa,
comunque, che il quadro macro rimanga modesto. Sul fronte
degli utili, un’azienda su due ha riportato dati superiori
alle attese nell’ultimo trimestre e i gestori sono convinti
che il momento favorevole possa continuare. Gli ottimisti
sulle Borse del Vecchio continente sono stabili rispetto a
settembre (50%), mentre sono aumentati sensibilmente i fund
manager che prevedono che i mercati non si discosteranno
dagli attuali livelli (40% contro il 23% del mese scorso).
Usa, ripresa duratura?
Wall Street ha saltato il muro dello scetticismo legato alla
crisi finanziaria, ma ha bisogno di convincersi che la
ripresa è solida. L’uscita dalla recessione dipende
soprattutto dalla domanda domestica, che resta debole a
causa dell’elevato tasso di disoccupazione. Sul fronte degli
utili, tre aziende su quattro hanno sorpreso in positivo, ma
il forte rally degli ultimi mesi rende il mercato
vulnerabile a possibili dati macro deludenti. Per questa
ragione, la percentuale di gestori che si attende un
apprezzamento della Borsa americana è scesa dal 47 al 35%,
mentre è aumentata quella dei manager che prevedono
un’oscillazione attorno agli attuali livelli.
Tokyo a fine corsa
La Borsa nipponica ha guadagnato circa il 50% dai minimi di
marzo e i gestori non credono ci siano motivi per un
ulteriore apprezzamento. Le trimestrali del periodo
aprile-giugno sono state migliori delle attese, ma
difficilmente riusciranno ancora a sorprendere in positivo.
Dal punto di vista macro, il cambio di governo dovrebbe
favorire i consumi privati rispetto alla spesa pubblica e
alla difesa a beneficio della crescita economica. In attesa
di vedere i risultati del nuovo corso politico, i gestori
preferiscono puntare su altre aree geografiche. A ottobre,
il Giappone è il mercato con il più alto numero di
pessimisti (30%) contro il 35% che si dice ottimista.
All’Asia manca l’Occidente
Nell’area del Pacifico, i Governi continuano a sostenere
l’economia in attesa che riparta la domanda Occidentale di
beni di importazione. I tempi potrebbero essere lunghi,
soprattutto negli Stati Uniti dove i consumatori sono poco
propensi a spendere e preferiscono risparmiare. Esistono
dubbi sulla capacità di ripresa basata sugli stimoli
statali, tuttavia i Paesi asiatici hanno una situazione di
bilancio migliore dell’Europa e degli Usa per cui possono
protrarre queste misure più a lungo. Sul fronte degli utili,
la discesa è stata minore rispetto a quella delle imprese
occidentali e la redditività superiore. Inoltre, il sistema
finanziario è più solido. Per queste ragioni l’area è
favorita dai gestori: il 65% prevede un apprezzamento dei
listini nei prossimi sei mesi contro il 5% che si attende un
calo.
Non si spegne la domanda di bond
Le ultime emissioni di titoli di Stato e societari sono
state collocate senza problemi, nonostante l’abbondanza di
offerta sul mercato primario. I gestori non prevedono
variazioni dei tassi di interesse fino alla seconda metà del
prossimo anno, sia in Europa sia negli Stati Uniti. In
questo contesto, la maggior parte degli intervistati è
convinta che i prezzi rimarranno stabili attorno agli
attuali livelli.
Euro, la corsa continua
Il consensus sul dollaro rimane negativo. Per il 45% dei
gestori, l’euro continuerà ad avere la meglio sul biglietto
verde e difficilmente la tendenza si invertirà, dal momento
che una divisa debole sostiene la bilancia commerciale e la
ripresa americana. Inoltre, i flussi di capitale tra Stati
Uniti e resto del mondo tenderanno a tornare alla normalità
dopo che molti americani hanno rimpatriato i capitali in
seguito alla crisi finanziaria. Il rapporto di cambio
potrebbe mantenersi intorno a 1,46 almeno fino a fine anno.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 6 e il 13
ottobre, 20 delle principali società di diritto italiano ed
estero operanti sul territorio, che contano per circa l’80%
degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aletti Gestielle,
Allianz Global Investors Italia, Banca Finnat-New Millenium
sicav, Banca Profilo, Euromobiliare AM Sgr, Bipiemme
Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Fideuram Investimenti,
Henderson Global Investors, Ing IM Asset Management, JC&Associati
Sim, M&G Investments, Pictet, Pioneer Im, Prima Sgr, Sgam,
Swiss&Global AM Sgr, Threadneedle, Total Return, Vontobel.
Fonte
-
MorningStar
|
Mercati,
nei prossimi tre mesi il Toro tirerà il fiato
05 Ottobre 2009 15:17
MILANO - di Maria Adelaide Marchesoni
e Valeria Novellini
________________________________________
I mercati azionari nelle ultime sedute hanno mostrato un
andamento tendenzialmente negativo. Sono prevalse le vendite
sulla scia di dati macro, ma in realtà le ragioni sono state
prevalentemente tecniche: questi storni erano attesi dagli
operatori.
Nell'ultimo trimestre i mercati azionari hanno infatti
registrato variazioni positive comprese tra il 15 e il 20%
con il mercato italiano in pole position. In particolare l'Ftse
Mib ha evidenziato un rialzo del 23 per cento. Nonostante
questi recuperi però il mercato italiano nell'ultimo anno
presenta ancora una variazione negativa compresa tra il 7 e
l'8 per cento. In tale ambito l'andamento migliore, negli
ultimi dodici mesi, è stato quello delle società a media
capitalizzazione, che presentano un saldo in sostanziale
pareggio.
Cosa si aspettano gli operatori per l'ultima parte
dell'anno?
Per i prossimi tre mesi l'intonazione rimane
complessivamente positiva, ma con elevate probabilità di
alcuni storni di breve periodo, considerando che le attese
sul fronte macro evidenziano un trend per lo meno non
peggiorativo. Sul mercato continua a non mancare la
liquidità, ma gran parte di questa sta gradualmente
indirizzandosi verso il mercato dei corporate bond nel quale
si attendono a breve anche consistenti (nell'ammontare)
emissioni destinate al mercato retail (vedi il caso Enel)
dopo il positivo test dei numerosi titoli rivolti agli
investitori istituzionali.
In proposito vi sono molte attese verso le caratteristiche
del bond unrated annunciato in questi giorni da Campari per
osservare se in questo caso sarà riconosciuto un tasso
superiore a quello dei bond con rating emessi nei mesi
scorsi da altre società di primario standing.
Tornando ai mercati azionari, a livello settoriale in Europa
particolare attenzione sarà ancora riservata al settore
automotive in previsione degli incentivi che probabilmente
saranno rinnovati anche nel 2010 (sebbene con modulazioni
diverse da quelli ora in vigore). Tuttavia l'appeal per il
settore auto dovrà confrontarsi con il progressivo
adeguamento della capacità produttiva alle nuove richieste
del mercato, che non potranno essere sostenute
indefinitamente dagli incentivi.
Interessante sarà osservare anche il settore bancario, in
via di guarigione, ma ancora con la necessità di effettuare
rafforzamenti patrimoniali e comunque penalizzato da una
tuttora debole qualità del credito. Al momento la reazione
dei mercati agli annunci delle operazioni sul capitale è
positiva. Tuttavia questa dinamica sarà da verificare al
momento dell'effettiva richiesta di nuovi mezzi al mercato,
quando potrebbe anche verificarsi uno storno dei corsi.
Nell'ambito del settore bancario Intesa Sanpaolo si è
contraddistinta per non aver scelto un rafforzamento
patrimoniale diretto, bensì un'emissione obbligazionaria
ibrida. Questa in realtà potrebbe anche essere considerata
una "soluzione ponte" in attesa di verificare l'entità e la
tempistica delle attese cessioni delle attività non
strategiche. Queste operazioni saranno poste in essere,
sebbene di entità meno rilevanti, anche dalla "rivale"
UniCredit che ha invece scelto la strada dell'aumento di
capitale in partenza a gennaio 2010.
Sul fronte energetico, le quotazioni del petrolio sembrano
essersi stabilizzate attorno ai 70 dollari, a un livello
sufficiente per consentire gli investimenti ma non tale da
sostenere la speculazione. Pertanto i titoli del comparto
presentano elementi di interesse solo nel medio lungo
periodo.
In sintesi, il clima in Europa rimane di moderato ottimismo
in attesa di una ripartenza che potrebbe essere
definitivamente confermata dal ritorno delle operazioni di
collocamento, negli ultimi mesi pressoché assenti e
nettamente surclassate dai molto più numerosi delisting;
indice, questo, di perdurante diffidenza nei confronti dei
mercati azionari. (Analisi Mercati Finanziari)
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
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Sabato
10
Ottobre
2009 |
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Lunedì
12
Ottobre
2009 |
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Martedì
13
Ottobre
2009 |
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Corporate
Bond: dopo il grande rally
Friday, 16 October,
2009 at 9:30 - by phastidio
________________________________________
Nel corso del 2009 negli Stati Uniti le società hanno
collocato oltre 1000 miliardi di dollari di corporate bond
contro gli 873,2 miliardi del 2008 ed il record di 1170
miliardi del 2007, sfruttando i bassi tassi ed il sostegno
governativo per rafforzare le posizioni di liquidità
aziendale dopo la “gelata” del credito dello scorso anno.
Citigroup e General Electric sono stati i maggiori emittenti
dell’anno, secondo le statistiche dell’agenzia Bloomberg.
Secondo molti osservatori, le politiche fiscali e monetarie
accomodanti costituiscono un ambiente propizio per l’asset
class. Gli investitori obbligazionari che hanno convertito i
propri portafogli verso il credito sono stati premiati per
il rischio assunto.
Secondo l’indice Merrill Lynch US Corporate & High Yield
Master Index, gli spread sui corporate in senso lato (Investment
Grade ed High Yield) quest’anno si sono finora stretti di
4,5 punti percentuali. Usando questo indice i corporate
bond, incluso il reinvestimento dell’interesse, hanno reso
quest’anno il 23 per cento, miglior risultato dal 1997.
Andamenti analoghi si sono verificati in Europa.
Lo scorso anno, come noto, la Federal Reserve ha tagliato il
proprio tasso di riferimento sui Fed Funds ad un corridoio
compreso tra zero e 0,25 per cento, dopo che il governo ha
creato programmi per liberare credito nel corso della
peggiore crisi dalla Grande Depressione. Le società
finanziarie hanno collocato 192 miliardi di dollari nel
corso del 2009, nell’ambito del Temporary Liquidity
Guarantee Program (TLGP), che ha aperto un nuovo canale di
finanziamento per le banche che da settembre 2007 avevano
visto chiudersi i mercati del debito. Il TLGP implica la
garanzia del Tesoro degli Stati Uniti sulle emissioni
obbligazionarie da esso coperte, assicurando alle stesse il
rating sovrano, cioè la tripla A.
Le condizioni di tassi in precipitoso ribasso e di garanzie
pubbliche hanno determinato mutamenti qualitativi e
quantitativi della domanda degli investitori, che si sono
progressivamente spostati da emissioni di elevata qualità e
a breve scadenza, ad altre di minore qualità e scadenza
media e lunga, capitalizzando sull’effetto congiunto della
riduzione dei tassi e degli spread. Il differenziale tra i
rendimenti delle obbligazioni investment grade e le
emissioni del Tesoro statunitense è sostanzialmente tornato
ai livelli medi del 2007. Gli spread per le emissioni high
yield, invece, sono tuttora di circa 2 punti percentuali più
ampi rispetto ai livelli medi di quell’anno.
L’effetto congiunto del forte restringimento degli spread ed
il livello storicamente basso dei rendimenti dei titoli di
stato significa che in questo momento le aziende non
finanziarie sono in grado di indebitarsi sul mercato del
debito a livelli prossimi ai minimi storici assoluti. E’
molto importante evidenziare, infatti, che avere rendimenti
dei corporate bond intorno ai minimi storici non significa
necessariamente che i medesimi siano divenuti costosi. Il
rendimento di un’obbligazione corporate può essere
considerato infatti come la somma del rendimento di un
titolo privo di rischio e di un credit spread. I credit
spreads, cioè il differenziale di rendimento tra
un’obbligazione societaria ed il corrispondente titolo di
stato di pari scadenza, sono oggi a livelli che normalmente
si associano ad una recessione severa.
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Corporate bond
and dividend yield gap |
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Investire in un titolo obbligazionario corporate investment
grade presenta due tipologie di rischi, quello di tasso
d’interesse e quello di credito, rappresentato dal credit
spread. La persistenza di incertezze su momento ed intensità
della ripresa, i rischi deflazionistici e le politiche
accomodanti delle banche centrali dovrebbero impedire una
rapida risalita dei rendimenti di mercato nel breve-medio
termine (rischio di tasso), anche se in questo periodo è in
corso un dibattito piuttosto vivace sulle cosiddette exit
strategies, le misure da intraprendere per rimuovere lo
stimolo fiscale e monetario utilizzato per fronteggiare la
crisi, mentre l’ipotesi di ripresa, la forte liquidità
presente nel sistema finanziario globale e la ripresa della
propensione al rischio mantengono sufficientemente
protettivo il livello raggiunto dai credit spreads.
Tra le fonti di domanda per le obbligazioni corporate
possiamo quindi citare da un lato gli investitori privati ed
istituzionali, alla ricerca di un rendimento più sostanzioso
di quello dei titoli di stato, mentre dal versante
dell’offerta è utile segnalare, oltre alla provvista di
fondi a costo contenuto (sostitutiva del credito bancario e,
negli Stati Uniti, delle emissioni di carta commerciale),
anche la possibilità di una ripresa dell’attività di fusioni
ed acquisizioni tra imprese industriali. Oggi, un emittente
industriale di rating A può indebitarsi a rendimenti intorno
al 3,3-3,6 per cento sulla scadenza quinquennale. Con
rapporti prezzo-utile (P/E) intorno a 12, ciò significa che
il rendimento degli utili, cioè l’inverso del P/E, è intorno
all’8 per cento. Da questo ampio differenziale di rendimento
(3,5 per cento per il costo del debito contro l’8 per cento
del capitale azionario) deriva la “convenienza” ad
indebitarsi, emettendo corporate bond ed utilizzare i
ricavati dell’emissione per riacquisto di azioni proprie,
pagamento di dividendi straordinari od operazioni finanza
straordinaria quali fusioni ed acquisizioni.
Tra gli elementi che inducono alla cautela sull’asset class,
segnatamente in Europa, vi è il differenziale tra il
rendimento a scadenza delle obbligazioni non finanziarie
investment grade ed il dividend yield sull’indice Eurostoxx
50. Tale differenziale è passato da un massimo di 2 punti
percentuali a meno di mezzo punto percentuale. Il
restringimento di tale differenziale potrebbe indurre gli
investitori a riconsiderare l’investimento in crediti
rispetto a quello azionario, anche alla luce della liquidità
relativa dei due mercati (maggiore nell’azionario).
 |
Fonte -
Macromonitor |
Bank of America,
prima delusione dalla earning season
Friday, 16 October, 2009 at 13:43 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Dopo gli ottimi risultati di JPMorgan e Goldman Sachs, i
risultati deludenti di Bank of America ci ricordano che i
problemi del settore finanziario americano sono tutt’altro
che finiti.
La banca ha perso 1 miliardo nel terzo trimestre del 2009,
equivalenti ad una perdita di 0.26 dollari per azione, su
ricavi di 26 miliardi di dollari. Le attese degli analisti
erano di 27.7 miliardi di dollari di ricavi e di una perdita
di soli 7 centesimi per azione.
Al contrario delle altre due grandi banche che hanno già
riportato, Bank of America non ha un’attività di trading
tanto imponente da poter compensare con la speculazione sui
mercati le perdite sui crediti concessi ad aziende e
consumatori americani. Insomma, se a Wall Street il diluvio
di moneta stampato dalla Fed e i maxi-aiuti di Obama hanno
fornito ampie opportunità di profitto, poco ha giovato
all’attività economica sul territorio.
Il panorama bancario americano si sta segmentando sempre
più: da un lato esiste una netta cesura fra le banche troppo
grandi per fallire, generosamente sostenute e sussidiate dal
governo anche a spese di istituzioni più piccole, ma più
sane, e le piccole banche regionali, che continuano a
fallire e ad essere commissariate dall’FDIC. Dall’altro,
anche fra i giganti esistono i vincenti, ossia JPMorgan e
Goldman Sachs, ed i perdenti come Citigroup e Bank of
America. I perdenti sono banche che si sono espanse a tutti
i costi, anche con acquisizioni discutibili ed hanno
prestato poca attenzione ai livelli di capitale proprio
durante gli anni del boom. Fra i vincenti, abbiamo due
istituzioni con profili alquanto differenti, anche se
entrambe ben collegate al potere politico ed in rapporti fin
troppo stretti con le autorità di vigilanza. JPMorgan sta
emergendo vittoriosa grazie alla propria prudenza, alla
diversificazione fra banca d’affari e banca commerciale e ad
una discreta efficienza nel controllo dei costi. Goldman
Sachs è ancora la regina, grazie soprattutto a risultati da
trading che hanno quasi dell’incredibile, oltre che ad una
reputazione poco edificante di commistione con il potere
politico al limite dell’insider trading macroeconomico: è
vero che la banca non aveva bisogno dei fondi del TARP, ma è
altresì vero che il livello di connivenza con il Tesoro
americano e la Fed è andato oltre il livello di guardia in
più di un’occasione.
Fonte
-
Macromonitor
BANCHE: OCCHIO
ALLA NUOVA ONDATA DI SVALUTAZIONI
19 Ottobre 2009 13:48 SIENA -
Mirko Porciatti ______________________________________________
Tassi di interesse: in area Euro i tassi di mercato
hanno chiuso la sessione contrastati, in rialzo sul tratto a
breve ed in calo sul lungo termine a fronte di un calo dei
listini azionari. Il differenziale 2-10 anni si è portato a
187pb, mentre quello sul decennale Italia-Germania a 88pb
da90. Bini Smaghi, membro della Bce, in un suo intervento ha
dichiarato che potrebbe essere imminente un’altra ondata di
svalutazioni bancarie. Malgrado i recenti segnali di
miglioramento del mercato finanziario, restano ancora
numerosi i rischi e l’incertezza e per questo le banche
dovrebbero rafforzare il loro patrimonio di base onde
evitare che il recupero dell’economia possa essere
danneggiato.
Tumpel-Gugerell si è invece focalizzata sulla strategia di
uscita della Bce, dichiarando che l’istituto sarebbe pronto
a ritirare le proprie misure di stimolo quando necessario
(ma non è ancora il momento) e che i tempi di
implementazione potrebbero essere diversi tra Europa ed Usa.
Il presidente di Barclays ha dichiarato che le banche UK
saranno danneggiate se i regolatori implementeranno
rigidamente le misure di riduzione dei bonus e dei requisiti
di capitale.
Questo poiché se gli Usa restano negligenti in tal senso, si
potrebbe creare una sorta di "arbitraggio legislativo" che
favorirebbe le banche di paesi meno rigidi
nell’implementazione di tali misure. Oggi non sono attesi
dati di rilievo, gli operatori resteranno in attesa
dell’apertura dei mercati statunitensi. Sul decennale
governativo la resistenza si colloca in area 3,32-3,35%.
Negli Usa i tassi di mercato sono saliti sulla parte a breve
e calati sul lungo in un contesto caratterizzato da dati
macro contrastanti e borse in calo. Lo spread 2-10 anni si è
attestato a 246pb da 251. Sul fronte macro la produzione
industriale di settembre ha evidenziato un aumento maggiore
delle attese (+0,7% m/m dal +1,2% di agosto, rivisto al
rialzo dallo 0,8%) mentre il dato relativo alla fiducia dei
consumatori calcolata dall’università del Michigan è calato
in modo inatteso in ottobre (69,4 da 73,5).
Questa notte il governatore della Fed Bernanke ha evitato di
commentare circa i tassi e l’andamento dell’economia in un
discorso di apertura alla conferenza della Fed di San
Francisco. Il governatore terrà un altro discorso nel
pomeriggio ed il prossimo venerdì. Durante la settimana sono
attesi numerosi interventi da parte di vari membri della Fed
aventi ad oggetto l’outlook economico. A Wall Street i
pubblici ministeri stanno investigando su un giro di
operazioni di insider trading che coinvolgerebbero gestori
di hedge fund, avvocati ed altre figure del settore. Venerdì
è stato arrestato Rajaratnam, fondatore di Galleon Group, in
quello che i pubblici ministeri hanno definito il maggiore
caso di insider trading che coinvolge un gestore
alternativo. Per oggi sul decennale la resistenza si colloca
al 3,50%.
Fonte
- MPS
Capital Services
PETROLIO: BARILE
SFONDA $80 MA ANALISTI SCETTICI
20 Ottobre 2009 15:39 NEW YORK -
APCOM ______________________________________________
Il rally dei prezzi non sembra trovare giustificazioni nei
fondamentali del mercato. Numerosi i fattori dietro la corsa
ma il livello di scorte diesel e' troppo alto per credere in
un proseguimento del rialzo.
Il barile di petrolio prosegue la sua corsa, fino a superare
brevemente la soglia psicologica degli 80 dollari sul
mercato di New York, anche gli analisti continuano a mettere
in guardia da questo rally dei prezzi, che non trova
giustificazioni nei fondamentali di mercato. Le ultime
spinte al rialzo sono state innescate dai dati trimestrali
giunti dalle grandi società quotate, ieri sera Apple ha
riferito di utili superiori alle attese, così come Texas
instruments. Allo stesso tempo anche la perdurante debolezza
del dollaro - la valuta co cui si scambiano tutte le materie
prime - sostiene i prezzi, oggi l'euro ha sfiorato quota
1,5.
Ma appunto questi sviluppi non hanno implicazioni dirette
sugli aggregati di produzione e domanda di petrolio, si
limitano a sostenere il clima di euforia generale dei
mercati. "Questo rally non è basato sui fondamentali. Deriva
unicamente da rinnovati appetiti sulle prese di rischio",
afferma Jonathan Kornafel, direttore per l'Asia della Hudson
Capital Energy. "I capitali cercano qualche canale di
rendimento".
Stamattina, durante gli scambi elettronici sul New York
Mercantile Exchange, il barile di West Texas Intermediate ha
toccato un picco a 80,05 dollari, nuovo massimo da inizio
anno. Successivamente queste spinte al rialzo si smorzano, e
a metà mattina in Europa i futures in prima consegna calano
di 47 cents rispetto alla chiusura di ieri, con il barile a
79,14 dollari. Nel frattempo a Londra il barile di Brent, il
petrolio del mare del Nord cala di 36 cents a 77,41 dollari.
Sempre oggi anche il Financial Times mette in guardia dai
rischi che gravano su queste inattese impennate dei prezzi.
Le scorte dei paesi consumatori sui prodotti distillati sono
a livelli massicci e "potrebbero deragliare l'impennata del
greggio - dice il quotidiano -: i prezzi sono aumentati ma
il nascente rally potrebbe naufragare tra fiumi di diesel".
A sostenere i prezzi è una combinazione di fattori, si
legge, tra la speranza che il peggio della crisi sia
passato, dati trimestrali migliori delle attese dalle grandi
società Usa; l'arrivo della stagione invernale nell'emisfero
nord - in cui si assiste a un aumento ciclico della domanda
di prodotti petroliferi - e infine la debolezza del dollaro.
Tuttavia, in una pagina di analisi, il quotidiano
finanziario esamina l'andamento delle scorte e dei consumi
di diesel, il carburante che è una sorta di cartina di
tornasole sulla dinamica dell'attività economica. I consumi
dovrebbero aumentare, ma allo stesso tempo l'elevata
consistenza delle scorte potrebbe contenere gli aumenti dei
prezzi. Negli Usa le scorte di distillati 'medi', che
includono il diesel per autotrazione e il gasolio da
riscaldamento, sono ai massimi da decenni.
"Possiamo giustificare il rally del petrolio, ma non
possiamo crederci", avverte in un rapporto JP Morgan.
Secondo l'Agenzia Internazionale dell'energia, le scorte
offshore euroepee di prodotti raffinati sono aumentate del
25 per cento a settembre. E livelli ai massimi storici si
registrano anche in Asia, come a Singapore.
Fonte
- APCOM
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Il
boom delle borse
22 Ottobre 2009 15:40
MILANO - di Giuseppe Turani
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Fino a qualche mese fa chi aveva investito soldi in
Borsa era convinto di averli gettati in un cratere fumante e
di averli definitivamente persi. Le cose, poi, si sono
girate, come si sa. E ci sono stati rialzi importanti, anche
del 30-50 per cento. In realtà, tutto ciò non è servito a
recuperare il terreno perso, ma insomma, il cratere fumante,
se non altro, si è spento. E le quotazioni sono tornate a
muoversi, lasciando intravedere la possibilità di recuperare
quei soldi che si davano ormai per bruciati, svaniti, persi
dentro il grande fuoco della crisi.
Adesso sui mercati circola una voce secondo cui il tempo del
recupero potrebbe essere ancora più vicino di quello che si
pensa. Si dice, in sostanza, che prima della fine dell’anno
c’è da attendersi un boom di Borsa, forse anche più
consistente dei rialzi visti fin qui. L’unica avvertenza che
conviene ripetere è che con le Borse non si sa mai quello
che può davvero succedere e che anche i ragionamenti in
apparenza più logici alla fine vengono smentiti. Infine, i
primi dati sui bilanci del terzo trimestre mostrano che il
recupero degli utili è molto selettivo (non tutte le aziende
ci riescono in uguali misura). E questo lascia immaginare
che anche il boom di Borsa, se ci sarà davvero, sarà molto
selettivo. Non basterà, insomma, comprare a caso, ma
bisognerà sapere esattamente quello che si fa.
Ma ecco le ragioni dei fan del prossimo boom. Sono tre in
tutto:
1- Al primo posto vengono messi gestori dei fondi di
investimento e delle fortune private. Negli ultimi due anni
tutta questa gente ha profondamente deluso i propri clienti
(ai quali hanno fatto perdere montagne di soldi). E’ del
tutto evidente che adesso abbiano voglia di chiudere
un’annata (il 2009) in grande bellezza, con performance
all’altezza dei vecchi tempi. Denaro e amicizie non mancano,
e quindi si ritiene che faranno un tentativo molto serio per
dare una spinta ai listini, anche al di là di quello che
sarebbe giusto. Dal loro punto di vista quello che conta è
fare bella figura con i clienti in modo da non perderli. In
molti sono convinti che il loro tentativo alla fine avrà
successo: bene o male, queste sono le "mani forti" dei
mercati finanziari. Perché non dovrebbero farcela?
2- La seconda ragione per un eventuale recupero rapido delle
quotazioni sta nel fatto che gli utili delle aziende (sia
pure in misura difforme) stanno tornando. Non tutto è andato
a fuoco dentro il cratere fumante e c’è chi sta tornando a
fare utili apprezzabili e, soprattutto, in crescita
trimestre dopo trimestre. Quindi perché non sperare in un
rialzo dei listini che anticipi il recupero dei profitti,
ormai giudicato inevitabile?
3- Infine, c’è il terzo e ultimo motivo: il basso rendimento
dei titoli di Stato e delle obbligazioni in genere. Il mondo
(proprio a causa della crisi) è pieno di liquidità (cioè di
soldi), ma nel reddito fisso tutto questo denaro ha
rendimenti assolutamente ridicoli. Perché allora non puntare
qualche gettone sull’azionario? E’ vero che negli ultimi due
anni si sono prese bastonate orribili. Ma quelli, ormai,
erano altri tempi. Adesso si può tornare a rischiare.
Questi ragionamenti convincono anche operatori di solito
molto prudenti e molto attenti, a riprova del fatto che sui
mercati finanziari il vento è davvero cambiato. Ciò che
ancora sei mesi fa era assolutamente proibito (investire
sulle azioni), adesso viene invece consigliato. La grande
macchina si è rimessa in moto e quindi investire sul
capitale delle corporations non è più un errore, ma anzi una
scelta consigliata. Solo che, si avverte, i recuperi
aziendali (e quindi i rialzi di Borsa) saranno molto, ma
molto selettivi.
E quindi bisogna stare molto attenti a quello che si fa.
Anzi, i più prudenti consigliano di non lasciare del tutto
il reddito fisso, ma di mediare con le azioni. Insomma, è
meglio avanzare con una piattaforma larga piuttosto che
mettere tutte le mele nello stesso cesto.
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Fonte -
La Repubblica |
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Giovedì
15
Ottobre
2009 |
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Sabato
17
Ottobre
2009 |
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Martedì
20
Ottobre
2009 |
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Tagli
agli stipendi: Wall Street
in rivolta
22 Ottobre 2009 23:30
NEW YORK - di WSI
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Privilegi difesi coi denti. I top manager delle piu’
importanti societa’ Usa, come Citi, BofA e AIG, non ci
stanno. Rabbia furiosa ("e' una stupidata") per la decisione
presa da Obama di tagliare del 50% gli stipendi dei grandi
ricchi.
La decisione dell’amministrazione Obama di porre un freno
agli stipendi dei dirigenti delle aziende americane si e’
attirata le critiche di Wall Street, con un gruppo di
istituti finanziari tra cui Bank of America che si ribella,
giudicando le misure un duro colpo per le stesse societa’
che gli Stati Uniti stanno cercando di salvare.
"La gente vuole lavorare per noi ma vuole anche essere
pagata quanto si merita", ha commentato in un'intervista
rilasciata a Bloomberg Scott Silvestri, un portavoce di Bank
of America, banca che ha ottenuto $45 miliardi di fondi
governativi. "Le concorrenti hanno identificato i nostri
migliori elementi e stanno approfittando dei timori sul
fronte degli stipendi per tentare di assumerli offrendo loro
retributi adeguati al mercato".
Kenneth Feinberg, il membro del Dipartimento del Tesoro
incaricato di prendere decisioni in questioni riguardanti
gli stipendi, ha annunciato di aver ordinato tagli in busta
paga in media del 50% ai manager di societa’ tra cui Bank of
America, Citigroup e AIG.
La Federal Reserve, agendo in tandem con il governo, ha
stabilito linee guida che hanno lo scopo di rendere le
compensazioni delle banche piu’ legate alla gestione del
rischio.
Inoltre le misure messe a punto hanno l’obiettivo di
strozzare le pratiche che vengono definite
dall’amministrazione Obama rischi eccessivi fuori controllo,
alimentati da stipendi esageratamente elevati.
Il collasso del mercato creditizio che ne e’ scaturuito ha
provocato la crisi finanziaria che tutti conosciamo, che a
sua volta ha portato a oltre $1.600 miliardi di perdite, a
innumerevoli svalutazioni in tutto il mondo e 7.2 milioni di
licenziamenti.
In un intervento tenuto venerdi' a Washington Feinberg ha
spiegato che il vero obiettivo era quello di "trovare un
equilibrio ideale tra l'insoddiffazione della gente con le
decisioni di principio sulle compensazioni che placheranno
le proteste, attireranno talento e faranno si che le
societa' prosperino in modo da poter pagare il
contribuente".
Stuart Grant, investitore e managing director di Grant &
Eisenhofer PA non ha dubbi. "Quello che avrebbe dovuto
accadere e' semplice: il CdA di queste societa' avrebbe
dovuto fissare compensazioni appropriate sia a livello di
dimensioni, che di bonus che di rischi intrapresi. "E'
orribile, ma era inevitabile e la dannata colpa e' tutta
loro" e di nessun altro.
Il settore finanziario resta uno di quelli piu’ lucrativi
per i top manager. Anche dopo l'ordine di ridurre gli
stipendi, 66 dei dirigenti delle sette societa' le cui
compensazioni sono finite sotto la lente di Freinberg
potranno contare su una compensazione a lungo termine di
almeno $1 mlione. BofA, ad esempio, paghera' i suoi top
manager una media di $6.04 milioni quest'anno.
Tali cifre sono ritenute esagerate da una schiera di
parlamentari, primo fra tutti il senatore Democratico
Christopher Dodd, presidente del comitato bancario: "Per la
gente di Wall Street concedere pacchetti di compensazione
oltraggiosi, nel bel mezzo di una recessione, con soldi che
sono stati prelevati dai contribuenti, e' semplicemente
osceno".
Intanto l'amministratore delegato di AIG, il colosso
assicurartivo di New York salavato dal governo con aiuti
complessivi pari a $182 miliardi, Robert Benmosche ha
provveduto a rassicurare i propri dipendenti, rendendo loro
noto che non saranno costretti dall'amministrazione Obama a
restituire i soldi che hanno gia' ricevuto.
"Il Signor Feinberg non ha giurisdizione sulla gran parte
dei dipendenti di AIG", ha sottolineato in settimana
Benmosche in un memo ai lavoratori della compagnia di
assicurazione. C'e' da dire che Feinberg aveva gia'
approvato il pacchetto di compensazioni di Benmosche da
$10.5 milioni.
Alcune banche, come Goldman Sachs, stanno gia' cambiando le
politiche salariali. Le riduzioni decise da Feinberg nella
porzione di contanti degli stipendi dei dirigenti si applica
solo alle compensazioni guadagnate dai dipendenti nel
periodo compreso tra novembre e dicembre e verranno comunque
riviste all'inizio dell'anno prossimo.
Feinberg ha aggiunto che il suo obiettivo non e' quello di
ottenere indietro gli stipendi o i bonus che sono gia' stati
pagati. I taglim anche se riguarderanno solo due mesi, sono
importanti perche' sono il punto di partenza da cui avviare
le trattative sugli stipendi dell'anno prossimo.
Tra le proteste alla decisione di ridurre gli stipendi, una
delle piu' pesanti arriva da Kenneth Langone, confondatore
di Home Depot ed ex membro del board della Borsa di New
York, il New York Stock Exchange. "I tagli agli stipendi
sono una stupidita' bella e buona", dice Langone, precisando
che "i contribuenti hanno un rischio finanziario enorme in
queste societa' e, per dirla semplice, io voglio sempra la
persona migliore. Se avessi bisogno di un neurochirurgo,
vorrei il miglior dottore che riesco a trovare, non importa
quanto poi lo dovro' pagare".
 |
Fonte -
WallStreetItalia.com |
BOND IN YUAN,
BOOM CON PRIMA EMISSIONE ESTERO
22 Ottobre 2009 20:01 NEW YORK -
WSI ______________________________________________
La prima emissione di bond governativi in yuan emesso dalla
Cina fuori dalle frontiere ha fatto subito il pieno:
richieste per 18 miliardi a fronte dei 6 mld disponibili. E
le autorita' lanciano un nuovo avvertimento alle banche
per...
La prima emissione di bond governativi in yuan emesso dalla
Cina fuori dalle frontiere è stata un successo. Lo ha reso
noto il ministero delle Finanze di Pechino, spiegando che
molti investitori sono corsi a Hong Kong (ex colonia
britannica divenuta regione amministrativa speciale nel
settembre 1997) contribuendo ad alimentare la domanda per
tre volte il volume disponibile. Le richieste hanno
raggiunto quota 18 miliardi di yuan mentre Pechino ha emesso
effetti per 6 miliardi (circa 590 milioni di euro). Solo gli
istituzionali sono stati autorizzati a sottoscrivere buoni a
cinque anni (tasso del 3,3%). Sul mercato sono stati
piazzati anche titoli biennali (2,25%) e triennali (2,70%),
rivolti anche dagli investitori privati.
Ma per le banche arriva una stretta. Le autorità cinesi,
intanto, lanciano un nuovo deciso avvertimento alle banche
del Paese affinché si preparino a un possibile cambiamento
dell'attuale politica monetaria ultra-accomodante (che è
alla base del rally borsistico: +64% l'indice Msci Cina
contro il +35% del Msci Asia Pacifico) ponendo grande
attenzione alla gestione dei prestiti sofferenti presenti
nei loro libri contabili. L'ultimo avviso in ordine di tempo
è giunto oggi da Liu Mingkang, presidente della China
Banking Regulatory Commission, cioé la principale agenzia
statale di controllo sul sistema bancario del paese. Le
banche, ha detto Liu in un comunicato pubblicato sul sito,
devono essere «ragionevoli» nelle loro attività di prestito
e devono proteggersi da un aumento dei prestiti sofferenti.
Proprio il sistema bancario è protagonista l'attuale fase di
forte crescita dell'economia. Accogliendo l'invito di
Pechino a sostenere la ripresa, le banche hanno aperto
drasticamente i loro forzieri e nei primi nove mesi del 2009
hanno già erogato nuovi prestiti per 1,27 miliardi di
dollari, cioé il 75% in più di tutto il 2008. «I rischi sono
accresciuti di pari passo con l'aumento del credito - ha
detto Liu - e ora dobbiamo assicurarci che venga posta
effettiva attenzione alla gestione di questi rischi». La
scorsa settimana un primo avviso era giunto direttamente dal
presidente della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan. In
un discorso, il governatore aveva spiegato che la politica
monetaria accomodante abbracciata dalla Cina era stata una
risposta necessaria alla crisi finanziaria globale ma che
non poteva continuare indefinitamente. E lo stesso Zhou,
aveva invitato le banche ad accantonare almeno il 150% del
valore dei propri prestiti sofferenti.
A causa della grande quantità di nuovo credito concesso, la
percentuale di prestiti sofferenti è in realtà scesa, stando
alle statistiche ufficiali, all'1,66% dal 2,42% della fine
del 2008. Un eventuale deterioramento del nuovo credito
concesso diventerà dunque evidente solo nel corso dei
prossimi anni quando i finanziamenti giungeranno a maturità.
Ma la lezione degli ultimi due anni insegna che occorre
agire per tempo per evitare che il dubbio su alcuni asset a
rischio coinvolga anche le altre classi di attivi. «Occorre
stabilire rapidamente e perfezionare sistemi di gestione del
rischio - ha detto Liu - e occorre porre grande attenzione
ai possibili impatti sulla liquidità dei flussi di capitali
internazionali, dei trend macroeconomici e delle variazioni
di politica monetaria». Domani la Cina pubblicherà la sua
prima stima sull'andamento del Pil nel terzo trimestre e gli
economisti si attendono una crescita dell'8,9% su base
tendenziale.
Fonte
- WallStreetItalia
«Le banche si dividano»
Il piano di King e Volcker
22 Ottobre 2009 09:02 MILANO -
Mario Platero ______________________________________________
NEW YORK - Banche al servizio del pubblico o pubblico al
servizio delle banche? Il dibattito infuria con toni
polemici accesi e ieri è giunto a un punto di rottura: due
giganti del "servizio pubblico", Paul Volcker consigliere di
Obama in materia di riforma e Mervyn King, il governatore
della Banca d'Inghilterra hanno chiesto di tornare alla
vecchia separazione delle attività di banca d'investimento
da quelle della banca commerciale, un'anatema sia per Wall
Street che per Canary Wharf. «Il salvataggio di molte
istituzioni ha prodotto il più grande caso di azzardo morale
nella storia - ha detto King - di fatto oggi la situazione
resta invariata ed è nel nostro interesse collettivo ridurre
la dipendenza di così tante famiglie e aziende da così poche
istituzioni che si lanciano in operazioni altamente
rischiose. Il caso per una revisione della struttura delle
banche è molto forte». E ha aggiunto: «È difficile
conciliare il fatto che vi sono istituzioni troppo grandi
per poter fallire (e che dunque godono dell'appoggio
incondizionato dello stato, ndr) con il fatto che operano
nel settore privato».
King non ha voluto fare proposte specifiche né ha chiesto un
immediato smembramento delle quattro grandi banche
britanniche, ma il suo messaggio è chiaramente in quella
direzione. Gordon Brown ha subito preso le distanze dal suo
governatore mentre George Osborne, che diventerà il ministro
delle finanze se i conservatori vinceranno le elezioni ha
detto di essere d'accordo con il Governatore. Entrambi, in
sintonia quasi "coordinata", chiedono che in futuro nessuna
istituzione sia «troppo grande per poter fallire» e
suggeriscono un ridimensionamento delle attività di molte
delle più grandi istituzioni nazionali. Un appello accorato
e razionale sotto molti punti di vista visto che l'ultima
crisi è esplosa per la sottoscrizione di rischi eccessivi e
ha poi messo in ginocchio le economie mondiali.
«Le banche esistono per servire il pubblico ed è quello su
cui si dovrebbero concentrare. Le altre attività provocano
conflitti di interessi e rischi. E se si cerca di
controllare questi rischi con una supervisione più mirata si
creano frizioni e difficoltà e alla fine si fallisce», ha
detto Volcker in uno sfogo pubblico inusuale per lui, "civil
servant", ex governatore della Fed fra il 1979 e il 1987,
sempre molto discreto. «Non batto il pugno sul tavolo, ma
esprimo il mio punto di vista». Il suo appello per avere
banche al servizio del pubblico richiama la posizione di
molti economisti, politici e di buona parte dell'opinione
pubblica, secondo cui istituzioni come Goldman Sachs
ritengono invece che il "pubblico" sia al loro servizio.
Proprio Goldman è riuscita ad ottenere garanzie federali
simili a quelle delle banche commerciali, ricade ormai sotto
l'ombrello della Fed, ha ottenuto fondi dello stato
attraverso la Aig per il rimborso dei Cds e oggi sfrutta al
massimo il carry forward grazie a bassi tassi di interesse
che dovrebbero sostenere la crescita economica. Secondo le
stime avrebbe già stanziato 23 miliardi di dollari da
distribuire in bonus ai propri dipendenti. Secondo Volcker,
che resta tuttavia non ascoltato alla Casa Bianca su questo
punto, Jp Morgan Chase dovrà rinunciare alle attività di
trading che hanno ottenuto con l'acquisto di Bear Stearns.
Bank of America e Merrill Lynch dovrebbero tornare ad essere
separate e Goldman Sachs dovrà rinunciare allo status
recente di Bank Holding Company.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
BORSA IPERCOMPRATA?
SI, MA NESSUN CALO IN VISTA
23 Ottobre 2009 01:30 NEW YORK -
WSI ______________________________________________
Assisteremo ad una correzione ma non ad una seconda fase
ribassista. Gli utili societari stanno mostrando segnali di
miglioramento, ma gli investitori non si accontentano.
Fondamentale vedere una crescita della domanda nel quarto
trimestre.
Negli ultimi giorni si e' assistito ad un'elevata
volatilita' in Borsa, dopo che gli investori hanno digerito
una serie di risultati societari contrastanti, e le notizie
giunte dal comparto finanziario relative alle perdite sui
prestiti.
Bob Doll, vice presidente e CIO globale dell'azionario per
BlackRock, e' convinto che "i mercati hanno reagito bene
[alle notizie trimestrali] fino a lunedi'" e che "le linee
guida di alcune societa' dicono che le attivita' stanno
migliorando, ma che non e' sufficiente, la gente ha bisogno
di qualcosa di piu'". In un'intervista concessa
all'emittente americana CNBC, Doll spiega che proprio per
questo motivo i mercati stanno dando qualche segnale di
stanchezza.
Se da un lato gli utili societari stanno mostrando evidenti
segnali di miglioramento, in particolare grazie alla
crescita del fatturato, Doll sottolinea pero' che la maggior
parte del merito va all'offerta, e non tanto alla domanda,
che invece "e' quello che abbiamo bisogno di vedere
migliorare. Speriamo questo avvenga nel quarto trimestre".
Nel frattempo - sottolinea sempre Doll - nonostante il
mercato sia leggermente ipercomprato, "assisteremo ad una
correzione senza che si apra necessariamente un fase
ribassista. Finche' la ripresa e' cosi' timida, le autorita'
faranno di tutto perche' l'economia torni a crescere con
decisione".
Ma gli investitori possono dormire sonni tranquilli, almeno
stando alle previsioni di Doll: una seconda recessione non
e' nell'aria. "Ci saranno momenti in cui il mercato fara'
fatica, ma ritengo che ci troviamo in un punto di
miglioramento, lento ma evidente".
Fonte
- WallStreetItalia
Timori di bolla
creditizia, stress test per le banche cinesi
23 Ottobre 2009 13:23 PECHINO -
Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Mutui subprime in salsa cinese? Forse non siamo proprio a
questo punto. Ma di certo le autorità di vigilanza sul
settore creditizio del paese asiatico sono allertate. Non si
spiegherebbe altrimenti la decisione, di cui ha dato notizia
il China Securities Journal, di ordinare degli stress test
per le banche commerciali. Il timore infatti è che queste
ultime si siano fatte prendere troppo la mano negli ultimi
mesi, approfittando delle politiche di stimolo varate in
questi mesi.
I bassi tassi d'interesse hanno contribuito, come riportato
dalla Banca centrale cinese, a far crescere il credito del
34,16% rispetto all'anno scorso. Nei primi nove mesi
dell'anno i nuovi crediti erogati hanno raggiunto la quota
record di 8,67 mila miliardi di yuan (circa 1,27 miliardi di
dollari). Questo ha contribuito a far crescere il Pil più
del previsto (+8,9%). Soprattutto il settore dell'edilizia,
trainato da mutui immobiliari che hanno toccato la
stratosferica cifra di 1,84 mila miliardi di yuan.
L'altra faccia della medaglia riguarda però i timori sulle
possibili conseguenze del «credito facile» (che nel caso
americano hanno dato il via alla recessione più pesante dal
secondo dopoguerra). I rischio più temuto è quello di una
bolla immobiliare (e la crescita consistente dei prestiti
per l'acquisto di case è il campanello d'allarme). Ma c'è
anche da considerare il rally della Borsa cinese. Lo
Shanghai composite index è salito di oltre il 70% in un anno
e sono diversi i commentatori a valutare questa performance
come frutto della speculazione. C'è infine l'incognita
inflazione. Un problema che in realtà hanno tutte le banche
centrali che in questi mesi hanno adottato una politica
monetaria espansiva per far fronte alla stretta creditizia.
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Offerta di moneta,
variazione percentuale annua |
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... |
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... |
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Tutti guardano alla Cina come alla locomotiva che trainerà
l'economia mondiale fuori dalla crisi. Lo scoppio di
un'altra crisi finanziaria con epicentro Pechino pero'
rischia di vanificare queste speranze. Non è escluso quindi
che la Banca centrale cinese rialzi i tassi d'interesse nel
2010. Sono in molti a scommetterci.
E poi ci sono gli stress test a cui la China Banking
Regulatory commission vuole sottoporre gli istituti di
credito. Un po' come aveva fatto la Federal Reserve
americana, che nei mesi scorsi infatti aveva messo sotto la
lente di ingrandimento i libri contabili dei maggiori
istituti di credito. Il dato che allarma è la crescita delle
sofferenze sui prestiti. La percentuale è salita dallo 0,76%
dall'anno scorso, all'1,66%. Il dato di per se non è così
allarmante. Ma potrebbe diventarlo, specie se si scoprisse
che le banche non sono state così trasparenti nel
registrarle. In una nota ufficiale del 16 di ottobre poi, la
China Banking Regulatory commission si è raccomandata
maggiore rigore nel segnalare, alla voce svalutazioni, i
crediti in sofferenza e gli scoperti da conto corrente. È di
pochi giorni fa un'altro invito alle banche a prestare il
loro soldi «con ragionevolezza», e a mantenere stabile il
loro coefficiente di patrimonializzazione.
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
Crisi: 106
banche Usa fallite in 2009, record dal 1992
24 Ottobre 2009 09:31 NEW YORK -
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 24 OTT - Il bilancio delle banche Usa
vittime della crisi si allunga, nonostante i segnali di
stabilizzazione e ripresa dell'economia. Nel 2009 sono 106
gli istituti di credito falliti negli Usa, di cui sette solo
nelle ultime ore. Mai dal 1992 si era superata quota 100
fallimenti in un solo anno. Anche se si tratta per lo piu'
di istituti regionali di piccole dimensioni, il crescente
numero di fallimenti continua a testimoniare le difficolta'
ancora presenti. Dopo la chiusura di venerdi' di Wall Street
le autorita' americane hanno annunciato ora dopo ora la
chiusura di ben sette banche, di cui tre in Florida, uno
degli Stati maggiormente colpiti dalla crisi e dove il
mercato immobiliare, in lieve ripresa in piu' aree degli
Usa, continua a soffrire. Poco dopo la fine degli scambi la
Fdic ha comunicato di aver chiuso Partners Bank, la banca
numero 100 dall'inizio dell'anno a gettare la spugna: i suoi
64 milioni di dollari di depositi e i 65,5 milioni di
dollari di asset sono stati ceduti a Stonegate Bank, che ha
rilevato anche i depositi di Hillcrest Bank Florida, altro
istituto crollato nelle ultime ore. Il titolo di maggiore
fallimento delle ultime ore va a Bank of Elmwood, istituto
con 327,4 milioni di dollari di asset e 273,2 milioni di
dollari di depositi. (ANSA). Fonte
- ANSA
|
Wall
Street: futuro tra
liquidità e trimestrali
26 Ottobre 2009 15:13
MILANO - di Vittorio Carlini
________________________________________
L'S&P500? «Non dovrebbe crollare - risponde Laurea Solei,
responsabile team azionari gestioni patrimoniali di Banca
Sella- . Possibile, comunque, l'avvio di una fase
consolidamento». «Il momento resta positivo - fa da eco
Giovanni Vietti, responsabile equity di Allianz Gi Italia
Sgr -. Il paniere potrebbe salire del 5-10% entro fine
anno». Christian Blaabjerg, chief equity strategist di
SaxoBank specifica: «Nel breve periodo dovrebbe andare anche
oltre quota 1.121. Poi però, chiusa la stagione delle
trimestrali, ritraccerà: discesa verso 1.050 punti».
Insomma, da qui a fine anno gli esperti consultati dal
Sole24Ore.com rimangono in generale «ottimisti sulle
prospettive della Borsa Usa», come sottolinea Carla Scarano,
portfolio manager azionario di Bipiemme gestioni sgr. Forse,
«più incerta è la situazione nel 2010, anno in cui il meglio
degli stimoli di politica economica sarà alle spalle», dice
Marco Piersimoni, Investment advisors di Pictet Fund.
Tuttavia, «l'enorme massa di liquidità immessa nei mercati -
aggiunge Giorgio Giovannini, country manager Italia di
Henderson Global Investors - è il pilastro fondamentale del
rialzo delle Borse fino a fine anno». Tutti d'accordo,
quindi? Manco per ridere. Quando, infatti, si discute se
l'S&p500 sia più o meno caro, le posizioni divergono. Così
come non c'è unanimità sull'affidabilità di fondamentali e
multipli aziendali.
Il ritorno ai fondamentali
Dimenticato in fondo ai bilanci e sostituito nelle analisi
dal più "favorevole" profitto operativo (le società
chiudevano spesso in rosso), l'utile netto è di nuovo al
centro dell'attenzione degli esperti. Thomson Reuters ha
alzato le stime di consensus sull'Eps del paniere di Wall
Street: nel terzo trimestre 2009, il calo rispetto allo
stesso periodo del 2008 sarà del 22,6% è non più del 24,6
per cento. In termini assoluti vuol dire un profitto
aggregato di 137,7 miliardi di dollari, contro i 177,8 dello
scorso anno. «La spinta al rialzo - scrive Thomson Reuters
-è dovuta essenzialmente all'ottima profittabilità del
settore finanziario». E qui il dubbio sorge spontaneo: come
attribuire rilevanza a un simile dato, visto che le banche
fanno gran parte dei profitti grazie al trading e ai
derivati, cioè le attività messe sotto accusa nella crisi?
«La critica è valida - risponde Scarano -. Tuttavia, anche
epurando i dati del settore finanziario le stime rimangono
buone». «Nel quarto trimestre - fa da eco Solei - potremmo
rivedere la crescita positiva degli earning, seppure attorno
all'1 per cento. Un eventuale punto di svolta che, dopo nove
quarter negativi, sarebbe molto rilevante».
Già rilevante. Diversi esperti, però, sollevano un'altra
obiezione. Le aziende hanno posto in essere drastiche
politiche di taglio dei costi, cercando sinergie ovunque:
gli utili, spesso, mostrano più la capacità di
razionalizzare che una ripresa dell'industria. Guardare solo
ai profitti è fuorviante. «È vero - ribadisce Vietti - Il
principale fattore positivo è stato il taglio dei costi, cui
si aggiunge il calo delle materie prime nell'ultima parte
del 2008. Senza, peraltro, dimenticare gli aiuti statali
che», per esempio nel settore automobilistico, «sono stati
essenziali. Ciò detto, le aziende hanno mostrato una grande
capacità di reagire alla crisi: la ripresa dei profitti
sembra strutturale». «E, in qualche caso- dice Scarano -,
stiamo vedendo buoni fatturati: gli stimoli alla domanda
incominciano a incrementare gli ordini. Tanto che, se fino
ad ora, le società quotate sono salite un po' tutte
inidistintamente, di qui in avanti assisteremo alla
selezione. Come mostra, peraltro, il crollo del tasso di
correlazione».
Insomma, non sarebbe solo razionalizzazione aziendale.
«L'impostazione non convince - ribatte Blaabjerg - Gli utili
delle società», oltre ai fatturati, «non corrispondono alla
realtà economica. In particolare, le banche dovranno
affrontare svalutazioni legate ai mutui immobiliari e al
credito al consumo». «E poi - si chiede retoricamente
Giovannini - quale valore possono avere delle stime sugli
utili depurate da quelle del sistema bancario? Abbastanza
scarso: il comparto finanziario ha un peso fondamentale
sulle borse». Se i meccanismi legati al trading e ai
derivati viene meno «l'effetto sui listini sarebbe pesante».
L'indice è sottovalutato (anzi no)
La diversa visione sulla "qualità" degli utili e sulla loro
reale consistenza si riflette, anche, rispetto alla
valutazione dell'indice. L'S&P500 che, secondo Bloomberg ha
un P/e 2009 di 18 (in euro ha guadagnato da aprile il 36%),
è caro oppure no? «Non ritengo sia sottovalutato - risponde
Scarano - Ma non vedo grossi rischi di un indice che diventa
caro. Il multiplo sugli utili operativi dell'anno prossimo,
consensus di 75 dollari per azione, è di 14,6, cioè in linea
con la media storica che è 16,5». «Il nostro fair value -
specifica Vietti - è pari a 1100. Quindi, a questi livelli,
il paniere è correttamente valutato». C'è chi non la pensa
così: «Bisogna tenere conto - ribatte Blaabjerg - del punto
di partenza. Guardiamo alla crescita del Pil Usa;
analizziamo bene la dinamica degli utili: come non sostenere
che non sia sopravvalutato!» Insomma, le valutazioni sono
discordi.
Liquidità, basta la parola
Il che porta a domandarsi: come mai, alla fine, gli analisti
rimangono comunque positivi sull'indice da qui a fine anno?
La risposta è nella parola magica: liquidità. La massa di
denaro immessa nel sistema, attraverso la politica di tassi
zero della Fed e il quantitative easing, è in cerca di
rendimenti. Con il Treasury decennale che rende il 3,3%
lordo «mentre - spiega Scarano - il free cash flow yield
dell'indice è pari al 5%», il mercato azionario è
appetibile. «L'easy money - conferma Blaabjerg - è il vero
motore del rally. E lo sarà fino alla fine dell'anno».
Semmai, il problema è quando le banche centrali inizieranno
l'exit strategy: «Se lo si fa troppo in fretta - dice
Giovannini - il rischio è di togliere ossigeno al sistema;
se lo si fa tardi si "droga" eccesivamente la Borsa con il
rischio di un'altra bolla». Che, peraltro, sarà difficile
affrontare perché le armi a disposizione degli istituti
centrali e degli stati (già schiacciati dal maggiore debito
pubblico dopo gli interventi anti-crisi) rischiano di
esaurirsi.
«Trend is you friend»
Al di là della cause del rally, seppure gli esperti non lo
dicono espressamente, l'impressione è che in questo momento
vada di moda l'adagio: "Trend is your friend", segui il
trend. Come dire, insomma: fondamentali, o non fondamentali,
gli ordini d'acquisto ci sono e io mi accodo. Già, ma su
quali settori? ««Tra i comparti preferiti -risponde
Piersimoni- ci potrebbero essere discrete possibilità per le
tecnologie. Le valutazioni attuali sono ragionevoli e lo
stato di salute delle società è piuttosto buono, come
dimostrato dai recenti dati di alcuni giganti
dell'informatica. Peraltro, il crollo degli investimenti in
strutture e macchinari vedrà la rispresa del settore hi-tech
in anticipo rispetto a quello di altri comparti». Una tesi
sui cui sembra concordare Cormac Weldom, head of Us equity
di Threadneedle: «Vediamo bene la tecnologia dove la
valutazioni sono basse e alcune aziende hanno ottime
prospettive».
 |
Fonte -
Il Sole 24 Ore |
|
Sabato
24
Ottobre
2009 |
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Venerdì
27
Ottobre
2009 |
|
Sabato
31
Ottobre
2009 |
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Nyse
e Nasdaq all'esame di chi
investe per lavoro
26 Ottobre 2009 15:13
MILANO - di Vittorio Carlini
________________________________________
L'S&P500? «Non dovrebbe crollare - risponde Laurea Solei,
responsabile team azionari gestioni patrimoniali di Banca
Sella- . Possibile, comunque, l'avvio di una fase
consolidamento». «Il momento resta positivo - fa da eco
Giovanni Vietti, responsabile equity di Allianz Gi Italia
Sgr -. Il paniere potrebbe salire del 5-10% entro fine
anno». Christian Blaabjerg, chief equity strategist di
SaxoBank specifica: «Nel breve periodo dovrebbe andare anche
oltre quota 1.121. Poi però, chiusa la stagione delle
trimestrali, ritraccerà: discesa verso 1.050 punti».
Insomma, da qui a fine anno gli esperti consultati dal
Sole24Ore.com rimangono in generale «ottimisti sulle
prospettive della Borsa Usa», come sottolinea Carla Scarano,
portfolio manager azionario di Bipiemme gestioni sgr. Forse,
«più incerta è la situazione nel 2010, anno in cui il meglio
degli stimoli di politica economica sarà alle spalle», dice
Marco Piersimoni, Investment advisors di Pictet Fund.
Tuttavia, «l'enorme massa di liquidità immessa nei mercati -
aggiunge Giorgio Giovannini, country manager Italia di
Henderson Global Investors - è il pilastro fondamentale del
rialzo delle Borse fino a fine anno». Tutti d'accordo,
quindi? Manco per ridere. Quando, infatti, si discute se
l'S&p500 sia più o meno caro, le posizioni divergono. Così
come non c'è unanimità sull'affidabilità di fondamentali e
multipli aziendali.
Il ritorno ai fondamentali
Dimenticato in fondo ai bilanci e sostituito nelle analisi
dal più "favorevole" profitto operativo (le società
chiudevano spesso in rosso), l'utile netto è di nuovo al
centro dell'attenzione degli esperti. Thomson Reuters ha
alzato le stime di consensus sull'Eps del paniere di Wall
Street: nel terzo trimestre 2009, il calo rispetto allo
stesso periodo del 2008 sarà del 22,6% è non più del 24,6
per cento. In termini assoluti vuol dire un profitto
aggregato di 137,7 miliardi di dollari, contro i 177,8 dello
scorso anno.
«La spinta al rialzo - scrive Thomson Reuters -è dovuta
essenzialmente all'ottima profittabilità del settore
finanziario». E qui il dubbio sorge spontaneo: come
attribuire rilevanza a un simile dato, visto che le banche
fanno gran parte dei profitti grazie al trading e ai
derivati, cioè le attività messe sotto accusa nella crisi?
«La critica è valida - risponde Scarano -. Tuttavia, anche
epurando i dati del settore finanziario le stime rimangono
buone». «Nel quarto trimestre - fa da eco Solei - potremmo
rivedere la crescita positiva degli earning, seppure attorno
all'1 per cento. Un eventuale punto di svolta che, dopo nove
quarter negativi, sarebbe molto rilevante».
Già rilevante. Diversi esperti, però, sollevano un'altra
obiezione. Le aziende hanno posto in essere drastiche
politiche di taglio dei costi, cercando sinergie ovunque:
gli utili, spesso, mostrano più la capacità di
razionalizzare che una ripresa dell'industria. Guardare solo
ai profitti è fuorviante. «È vero - ribadisce Vietti - Il
principale fattore positivo è stato il taglio dei costi, cui
si aggiunge il calo delle materie prime nell'ultima parte
del 2008. Senza, peraltro, dimenticare gli aiuti statali
che», per esempio nel settore automobilistico, «sono stati
essenziali. Ciò detto, le aziende hanno mostrato una grande
capacità di reagire alla crisi: la ripresa dei profitti
sembra strutturale».
«E, in qualche caso- dice Scarano -, stiamo vedendo buoni
fatturati: gli stimoli alla domanda incominciano a
incrementare gli ordini. Tanto che, se fino ad ora, le
società quotate sono salite un po' tutte inidistintamente,
di qui in avanti assisteremo alla selezione. Come mostra,
peraltro, il crollo del tasso di correlazione».
Insomma, non sarebbe solo razionalizzazione aziendale.
«L'impostazione non convince - ribatte Blaabjerg - Gli utili
delle società», oltre ai fatturati, «non corrispondono alla
realtà economica. In particolare, le banche dovranno
affrontare svalutazioni legate ai mutui immobiliari e al
credito al consumo». «E poi - si chiede retoricamente
Giovannini - quale valore possono avere delle stime sugli
utili depurate da quelle del sistema bancario? Abbastanza
scarso: il comparto finanziario ha un peso fondamentale
sulle borse». Se i meccanismi legati al trading e ai
derivati viene meno «l'effetto sui listini sarebbe pesante».
L'indice è sottovalutato (anzi no)
La diversa visione sulla "qualità" degli utili e sulla loro
reale consistenza si riflette, anche, rispetto alla
valutazione dell'indice. L'S&P500 che, secondo Bloomberg ha
un P/e 2009 di 18 (in euro ha guadagnato da aprile il 36%),
è caro oppure no? «Non ritengo sia sottovalutato - risponde
Scarano - Ma non vedo grossi rischi di un indice che diventa
caro. Il multiplo sugli utili operativi dell'anno prossimo,
consensus di 75 dollari per azione, è di 14,6, cioè in linea
con la media storica che è 16,5». «Il nostro fair value -
specifica Vietti - è pari a 1100. Quindi, a questi livelli,
il paniere è correttamente valutato». C'è chi non la pensa
così: «Bisogna tenere conto - ribatte Blaabjerg - del punto
di partenza. Guardiamo alla crescita del Pil Usa;
analizziamo bene la dinamica degli utili: come non sostenere
che non sia sopravvalutato!» Insomma, le valutazioni sono
discordi.
Liquidità, basta la parola
Il che porta a domandarsi: come mai, alla fine, gli analisti
rimangono comunque positivi sull'indice da qui a fine anno?
La risposta è nella parola magica: liquidità. La massa di
denaro immessa nel sistema, attraverso la politica di tassi
zero della Fed e il quantitative easing, è in cerca di
rendimenti. Con il Treasury decennale che rende il 3,3%
lordo «mentre - spiega Scarano - il free cash flow yield
dell'indice è pari al 5%», il mercato azionario è
appetibile. «L'easy money - conferma Blaabjerg - è il vero
motore del rally. E lo sarà fino alla fine dell'anno».
Semmai, il problema è quando le banche centrali inizieranno
l'exit strategy: «Se lo si fa troppo in fretta - dice
Giovannini - il rischio è di togliere ossigeno al sistema;
se lo si fa tardi si "droga" eccesivamente la Borsa con il
rischio di un'altra bolla». Che, peraltro, sarà difficile
affrontare perché le armi a disposizione degli istituti
centrali e degli stati (già schiacciati dal maggiore debito
pubblico dopo gli interventi anti-crisi) rischiano di
esaurirsi.
«Trend is you friend»
Al di là della cause del rally, seppure gli esperti non lo
dicono espressamente, l'impressione è che in questo momento
vada di moda l'adagio: "Trend is your friend", segui il
trend. Come dire, insomma: fondamentali, o non fondamentali,
gli ordini d'acquisto ci sono e io mi accodo. Già, ma su
quali settori? ««Tra i comparti preferiti -risponde
Piersimoni- ci potrebbero essere discrete possibilità per le
tecnologie.
Le valutazioni attuali sono ragionevoli e lo stato di salute
delle società è piuttosto buono, come dimostrato dai recenti
dati di alcuni giganti dell'informatica. Peraltro, il crollo
degli investimenti in strutture e macchinari vedrà la
rispresa del settore hi-tech in anticipo rispetto a quello
di altri comparti». Una tesi sui cui sembra concordare
Cormac Weldom, head of Us equity di Threadneedle: «Vediamo
bene la tecnologia dove la valutazioni sono basse e alcune
aziende hanno ottime prospettive».
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
La Fed controllera'
i bonus Usa?
26/10/2009 -
MIECONOMIA ______________________________________________
Affidare alla Federal reserve, la
banca centrale Usa, il controllo delle politiche salariali
delle banche statunitensi, per evitare quei rischi eccessivi
che hanno portato alla crisi.
E' questa una delle ultime idee lanciate la scorsa settimana
dall'amministrazione di Barack Obama per tenere sotto
controllo gli eccessi di Wall Street, idea accolta in modi
diversi dagli ambienti finanziari. Se alcuni esperti ci
vedono un buon inizio, altri considerano già la sua
applicazione impossibile.
Per gli scettici si tratta di un mezzo provvedimento, che
evita la sostanza del problema: fino a quando lo Stato sara'
presente per rigonfiare i bilanci delle grandi banche in
caso di pericolo, nulla potra' scoraggiare sul serio i
trader dal puntare su titoli o su prodotti finanziari
potenzialmente devastanti. Perche' davanti a enormi guadagni
diventa spontaneo il prendersi dei grossi rischi, senza
dimenticare che, alla resa dei conti, il sistema comunque
perda fara‘ sempre pagare il conto al contribuente Usa, che
alla fine della storia e' un ostaggio.
Se non paga - con aiuti di emergenza attraverso il sistema
pubblico - vedra' i suoi risparmi e la sua pensione andare
in frantumi. Insomma, a un anno dallo scoppio della crisi
finanziaria, la situazione sembra essere tornata alla
normalita' a Wall Street, con le grandi banche che sono
tornate ad annunciare enormi profitti.
Forse troppi profitti, come sottolineano alcuni osservatori
al punto che che Barack Obama deve intervenire per impedire
che gli istituti tornino a impegnarsi su titoli a rischio (o
almeno ridurne l'esposizione). E questo per non ricadere in
una grossa minaccia per tutto il sistema.
Da qui la necessita', per il presidente Usa, di mettere mano
alle retribuzioni e ai mega bonus dei dirigenti, spesso
ingolositi da grandi premi e pronti a tutto per
raggiungerli. Allora l'amministrazione di Obama e la Federal
Reserve stanno optando per un'altra soluzione: affidare
proprio alla banca centrale i controlli sulle banche e sulle
loro retribuzioni, evitando eccessive prese di rischio.
Secondo questo progetto, tutte le 28 maggiori banche Usa -
come Goldman Sachs, Citigroup o Bank of America - dovranno
sviluppare un proprio sistema di remunerazione che non
incoraggi l'assunzione di rischi eccessivi. Ogni piano
dovra' essere convalidato dalla Fed, che potra' dire la sua
anche sulle banche che hanno beneficiato del piano di
salvataggio da 700 miliardi di dollari.
Fonte
- MIECONOMIA
Picco o baratro?
Wednesday, 28 October, 2009 at
9:34 -
by John Christian Falkenberg ______________________________________________
Bill Gross, gestore del maggior
fondo di reddito fisso del pianeta, sostiene che il rally
sarebbe arrivato “al picco” . E non è il solo: Jeremy
Grantham, guru del value investing e noto per aver
pronosticato correttamente sia il grande crollo del 2008 che
la ripresa di Marzo, è tornato “bearish” .
Bill Gross è probabilmente l’uomo più potente del mercato
obbligazionario mondiale: è il fondatore e presidente di
PIMCO, il numero uno globale nel settore. E’ anche l’uomo
che, con Mohamed El Erian, ha reso popolare il concetto di
“new normal”, ossia di una modifica permanente nei tassi di
crescita nei prossimi anni. Recentemente, il suo consiglio è
stato di scommettere tatticamente sulla riuscita, nel breve
termine, dell’intervento governativo: la quantità di
liquidità gettata in pasto alla crisi era semplicemente
troppa, per non produrre almeno un rimbalzo, anche perché il
mercato era talmente pessimista da essere pronto per
un’inversione di tendenza.
La prospettiva è ora drasticamente cambiata. Nella sua più
recente lettera mensile al mercato, Gross sostiene che,
nonostante il mercato dei titoli governativi renda il 3.5%
al massimo, il rendimento atteso da una strategia di
esposizione a mercati più speculativi non è sufficiente a
compensare i rischi: i mercato azionario sta già scontando
ogni realistica speranza di ripresa economica. Gli spread
sul mercato del credito, inoltre, sono mantenuti
artificialmente bassi dalle continue iniezioni di liquidità
da parte della Fed, una politica che non potrà essere
mantenuta all’infinito. E’ giunto, quindi, il momento della
prudenza.
Jeremy Grantham è un investitore di lungo corso, noto per le
sue capacità di analisi e previsione. Normalmente, il suo
unico difetto è quello di prevedere con troppo anticipo i
punti di svolta, ma in Marzo il suo tempismo è stato
impeccabile: a pochi giorni dall’inizio del rally, aveva
rovesciato le proprie raccomandazioni e sostenuto la
necessità di scommettere il tutto per tutto su di una
ripresa. Il motivo, ancora, erano l’inevitabilità di un
rimbalzo tecnico e le prospettive di un rally di Borsa
causato dall’eccesso di liquidità generato dalle azioni
della Banca Centrale; la previsione si è sinora dimostrata
assolutamente corretta, sino ai livelli assoluti per
l’indice S&P. Grantham aveva pronosticato un ritorno delll’indice
ad un livello fra 1000 e 1100, seguito da circa sette anni
di movimenti laterali fra questo nuovo picco ed i minimi del
2008. Grantham è ora tornato pessimista: il rally è ormai
vicino all’esaurimento e ritiene probabile una discesa di
almeno il 20 per cento, per eliminare la sopravvalutazione
del mercato azionario.
Fonte
-
Macromonitor
MICHELI: SIAMO
ALLE SOGLIE DELL' ESPLOSIONE DI UNA NUOVA BOLLA FINANZIARIA
28 Ottobre 2009 23:41
MILANO - di Francesco Micheli ______________________________________________
Il peggio non è ancora alle
spalle e sta per arrivare una nuova crisi dovuta allo
scoppio di un'altra bolla finanziaria. Ad annunciarlo è il
finanziere milanese, Francesco Micheli, che in occasione
della presentazione a Milano dell'ultimo libro di Francesco
Rutelli, "La svolta. Lettera a un partito mai nato", dà una
nuova interpretazione delle cause della recessione che ha
travolto il mondo intero. Nessuna crisi, finanziaria,
assicura il manager, questa è stata in tutto e per tutto una
crisi economica.
"Il futuro a breve sarà un po' lacrime e sangue - spiega il
manager -, visto che la situazione economica ci sta per
colpire in modo pesante. In realtà le misure prese contro la
crisi non sono servite a nulla".
Non solo, per Micheli "siamo alle soglie dell'esplosione di
una nuova bolla finanziaria. Perché di fatto, la crisi è
stata chiamata crisi finanziaria, ma si trattava di una
crisi economica".
Secondo il manager infatti le cause sono da cercare non nei
subprime ma ben oltre. Dove? "In un sistema legato alla Cina
o ai finanziamenti alle famiglie in America, che hanno poi
portato all'utilizzo di particolari prodotti finanziari, ma
la crisi era sostanzialmente economica e durava da 15-20
anni. C'è stato un accanimento terapeutico che ha
continuamente esasperato la situazione di malattia. C'è
stato un inquinamento dei pozzi proprio da parte delle
istituzioni: tutti hanno dimenticato le regole e si è creato
un guazzabuglio, nel quale i manager erano autoreferenziali
e le agenzie di rating dipendevano da loro. Quando si dice
trovare le regole, è ridicolo perché di regole ce ne sono
già troppe".
Per il manager quello che è mancato è stata "la capacità,
come avvenne nel New Deal dopo il 29, di mettere attorno al
tavolo fini pensatori. Oggi c'è una crisi della sinistra, e
una crisi c'è nel momento in cui c'è una crisi di
ideologia".
E adesso ne siamo tutt'altro che fuori. "Le stesse persone -
continua Micheli - si sono trasferite in altri posti a fare
esattamente quello che facevano prima. Questo ha creato una
nuova bolla finanziaria. Si è creato lo stesso gonfiamento,
perché l'economia reale non è andata di pari passo. Siamo
sulla soglia di qualcosa che aggraverà il nostro sistema".
In Italia poi "uno dei grossi problemi che dovrà essere
affrontato è lo 'scandalo delle perizie immobiliari'. E' un
Paese il nostro in cui le vigilanze si sono distratte e si
sono diffuse delle forme che fanno pensare al comandamento
che dice di non rubare. Quando si dice svolta, non bisogna
distrarsi", conclude il manager.
Fonte
-
Affaritaliani.it.
Obbligazionario
governativo: commento mensile
Friday, 30 October, 2009 at 11:39 -
by phastidio ______________________________________________
Nel mese di ottobre il mercato
obbligazionario governativo dell’Area Euro (a livello di
indice JPM EMU) ha fatto segnare un lieve rialzo dei
rendimenti, dell’ordine massimo di 10 punti-base, che hanno
prodotto ritorni nulli o frazionalmente negativi sui singoli
tratti di curva, con la sola eccezione della scadenza
trentennale, che ha segnato un ritorno negativo mensile per
circa l’1,3 per cento.
Nella prima parte del mese i rendimenti sono saliti in
parallelo al rally dei mercati azionari e, più in generale,
delle asset class rischiose; sul finire del periodo si è
assistito ad un recupero delle quotazioni dei titoli di
stato, in parallelo allo sviluppo della correzione dei
mercati azionari (interrotta a sua volta dal dato relativo
alla prima stima del Pil statunitense del terzo trimestre)
ed all’aumento di volatilità attesa. In conseguenza di ciò,
il ritorno sull’indice JPMorgan EMU è stato pressoché nullo. Anche il differenziale di
rendimento tra Btp e Bund, sulla scadenza decennale, dopo un
iniziale allargamento, è rientrato sui livelli di fine
settembre, in un intorno di 85 punti-base. E’ utile osservare
che tali valori restano significativamente superiori a quelli
che venivano registrati prima dello scoppio della crisi, nella
seconda metà del 2007, segnalando la cautela dei mercati verso
quei paesi che hanno i maggiori rapporti debito-Pil e che
dall’inizio dell’euro hanno evidenziato limitate capacità di
crescita.
I mercati obbligazionari globali restano caratterizzati da
elevata incertezza, e condizionati da due forze divergenti: da
un lato condizioni di persistente debolezza del mercato del
lavoro, attese proseguire fino al prossimo anno, inducono timori
di pressioni deflazionistiche, che depongono a favore
dell’investimento obbligazionario; dall’altro, l’aggravamento
delle condizioni di finanza pubblica determina un aumento delle
emissioni di titoli di stato ed il timore che le banche centrali
siano costrette a proseguire nella monetizzazione del debito
pubblico, eventualità che suggerirebbe di assumere posizioni
difensive sull’asset class. I mercati obbligazionari
governativi sono inoltre interessati, soprattutto nella parte a
lunga scadenza, da flussi di acquisto provenienti sia dallo
smobilizzo di posizioni di liquidità (ormai da tempo
infruttifera) e da progressivo allungamento delle scadenze, alla
ricerca di maggiori rendimenti. Altre correnti di acquisto sono
inoltre originate da movimenti riconducibili al cosiddetto carry
trade sul dollaro, l’indebitamento nella valuta statunitense per
finanziare l’acquisto di attivi ad alto rendimento. Tale
movimento ha finora interessato soprattutto le valute
maggiormente esposte alle materie prime quali il dollaro
australiano e la corona norvegese, espressione di economie ove
la ripresa pare aver posto solide basi. Queste condizioni di
mercato rendono anche l’obbligazionario particolarmente esposto
al rischio di movimenti di rafforzamento del dollaro,
aumentandone la volatilità potenziale. Di tutto questo, oltre
che della futura attuazione di strategie di rimozione
dell’eccezionale stimolo monetario offerto al sistema negli
ultimi due anni, occorre quindi tener conto, nella formulazione
di un portafoglio d’investimento sul reddito fisso governativo
per l’Area Euro, anche se eventuali movimenti di irripidimento
delle curve, nell’attuale contesto di assenza di pressioni
inflazionistiche, si tradurrebbero in rendimenti piuttosto
allettanti, espressi in termini reali, alimentando nuove
correnti di acquisti.
Fonte
- Macromonitor
La crisi falcidia
gli utili delle oil company
30/10/2009 -
MIAECONOMIA ______________________________________________
C’era un tempo in cui il petrolio
viaggiava oltre i 100 dollari al barile e le compagnie
petrolifere facevano soldi a palate. Poi e’ arrivata la
recessione economica e la domanda di greggio ha subito un
ridimensionamento, portando il prezzo del petrolio verso i
40 dollari al barile, quasi un quarto del massimo storico di
147 dollari al barile.
Il brusco calo della domanda seguito dal calo del prezzo del
petrolio sono all’origine delle deludenti trimestrali dei
colossi delle oil company. Eni nel terzo trimestre dell’anno
vede ridurre del 57% gli utili aziendali rispetto allo
stesso periodo dell’anno scorso, arrivando a un risultato di
1,24 miliardi di euro. Anche se Banca Akros individua in 18
euro il valore corretto ad azione e consiglia ai suoi
clienti di mantenere il titolo in portafoglio.
Ancora peggiori di Eni sono i conti di Royal Dutch Shell che
chiude il terzo trimestre con un utile in flessione del 62%,
pari a 3,25 miliardi di dollari, contro gli 8,45 dello
stesso periodo del 2008. Eppure se si escludono le voci
straordinarie di entrate e le modifiche al valore delle
riserve, l'utile, sarebbe di 2,62 miliardi, oltre le attese
degli analisti, di 2,5 miliardi.
I conti peggiori pero’ gli presenta il colosso americano e
mondiale Exxon Mobile che ha visto l’utile netto scendere a
4,37 miliardi di dollari, segnando una flessione del 68%
rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, deludendo le
aspettative del mercato. Scende anche il fatturato da 137,74
a 82,26 miliardi di dollari, malgrado nel terzo trimestre la
produzione del gruppo sia aumentata del 3%.E in questi dati
e' chiaro come la domanda in calo abbia pesanto sul bilancio
trimestrale.
Le prospettive per il prossimo trimestre non sembrano tanto
migliori anche se il prezzo del greggio da qualche settimana
e’ tornato a viaggiare verso gli 80 dollari al barile. Il
prezzo dell’oro nero puo' aiutare a ridare smalto ai conti,
ma servira’ anche la ripresa della domanda e questa ci sara’
solo con la ripresa dell’economia. Che potrebbe tardare o
frenare con un costo del greggio troppo alto. Il famoso cane
che si morde la coda.
Fonte
- MIAECONOMIA
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