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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 
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Macroeconomia & mercati - mondo

La crisi Usa può contagiare il mondo

Macroeconomia & mercati monetari - mondo

Il mercato interbancario è già chiuso

Macroeconomia & mercati - Edilizia USA

Un'altra mattonata sul mattone americano

Market Credit - USA

Molto peggio oggi rispetto ai tempi di LTCM

Market Credit - Mondo

Il vascello fantasma e il mercato volante

Macroeconomia & mercati - mondo

Recessione o inflazione ?

Tassi USA

Bernanke, il tuo taglio di mezzo punto non basta

   

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+++  NEWS MONDO   +++  L'OCSE taglia le stime sulla crescita, Borse giù  +++  Muore Luciamo Pavarotti, l'italiano più famoso del mondo   +++   Dopo tre  anni ricompare Bin Laden con nuove minacce  agli USA   +++   Bush in visita ai soldati in Iraq promette il ritiro nel 2008   +++   NEWS  MONDO   +++

Giovedì 06 settembre 2007   Venerdì 07 settembre 2007   Sabato 08 settembre 2007
   
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   La crisi Usa può contagiare il mondo

10 Settembre 2007 - di Nouriel Roubini
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Le preoccupazioni e domande degli investitori, degli economisti e degli uomini politici sono in questo momento: riusciranno gli Stati Uniti a compiere un atterraggio morbido o subiranno un atterraggio brusco? L’attuale crisi dei mercati finanziari rappresenta un problema serio e persistente o una temporanea impennata della volatilità? La Fed ritoccherà i tassi di interesse e queste politiche monetarie contribuiranno a prevenire l’hard landing dell’economia? Il resto del mondo riuscirà a sganciarsi dal rallentamento economico degli Usa? Le probabilità per un atterraggio brusco dell’economia statunitense (una recessione economica) erano già alte prima della crisi e dell’impennata della volatilità nei mercati finanziari dell’estate. La crisi, però, manifestatasi sotto forma di una seria stretta creditizia e della liquidità, aumenta le probabilità di un hard landing. Siamo di fronte a un circolo vizioso, dove un’economia Usa che continua a indebolirsi aggrava ancor di più la stretta nei mercati finanziari e dove la stretta delle condizioni creditizie e della liquidità nei mercati finanziari indebolirà l’economia con un ulteriore crollo degli investimenti immobiliari e un rallentamento dei consumi e della spesa in conto capitale delle aziende.

Il rallentamento dell’economia statunitense peggiorerà nei prossimi trimestri per diversi motivi. Gli Stati Uniti stanno attraversando la più grave recessione nel settore immobiliare degli ultimi 30 anni: la domanda e l’offerta di case di nuova costruzione scende drasticamente da un anno e per la prima volta dalla Grande Depressione i prezzi delle case sono scesi su base annua. Prezzi che scenderanno molto di più nei prossimi due anni – di circa un 15% – per via di cinque fattori che gonfieranno ancor più il già enorme eccesso di case di nuova e vecchia costruzione disponibili, già alto a livelli storici. La stretta creditizia nei mutui ridurrà ulteriormente la domanda di case di nuova costruzione; milioni di famiglie che non onoreranno i mutui perderanno la casa e una volta rientrate in possesso di queste case le banche le riverseranno sul mercato incrementando un’offerta già eccessiva; nei prossimi 12 mesi sarà rinegoziato l’equivalente di mille miliardi in mutui a tasso variabile a tassi di interesse molto più alti e le famiglie che non saranno in grado di rinegoziarli o permettersi questi interessi più alti saranno costrette a vendere le case a prezzi stracciati; coloro che in condizioni patrimoniali non particolarmente agiate hanno comprato immobili a fini speculativi ora tenteranno di venderli anche se i prezzi scendono. Aspettatevi nei prossimi due anni una caduta dei prezzi degli immobili residenziali veloce e drastica. Una crisi immobiliare non può comportare una recessione perché il settore rappresenta solo il 5% del pil, ma la valanga si sta riversando su altri settori: l’industria auto è in recessione, il manifatturiero rallenta, la domanda di beni durevoli legati alla casa (mobili, elettrodomestici) scende e l’occupazione e la creazione di posti di lavoro decresce.

Inoltre il consumo delle famiglie americane (70% della domanda aggregata) è in sofferenza. I consumatori non hanno risparmi, sono oberati dai debiti e in balia di forze negative. Finché i prezzi delle case crescevano (fino al 2006) era naturale per le famiglie usare il valore della casa come un Bancomat, accendendo crediti sulla base di immobili il cui valore aumentava. Ora che i prezzi scendono, si assiste ad una contrazione del consumo, la cui crescita è rallentata da una media del 4% fino al primo trimestre 2007 a un debole 1,3 nel secondo trimestre, e ciò prima dalla crisi estiva. I consumatori sono messi alle strette dal decremento del valore degli immobili che porta a un effetto di ricchezza negativa, dall’impossibilità di attingere al patrimonio immobiliare che spinge le famiglie a non spendere, dalla stretta creditizia che implica costi più alti per il servizio del debito; dall’indebolimento del mercato del lavoro (il numero degli occupati è sceso in agosto per la prima volta in 4 anni) che riduce le possibilità di generare reddito.
Ci si attende un ulteriore rallentamento del tasso di crescita. Se il consumo si contrae, lo stock di merci invendute spinge le aziende a rallentare la produzione, le assunzioni e le spese. Il flusso degli investimenti delle aziende si è già indebolito malgrado gli alti profitti. Vista l’aspettativa di una minore domanda dei consumatori, di un più elevato spread nel credito, dell’incertezza sul futuro, ci si aspetta un’ulteriore contrazione degli investimenti. La rivalutazione del rischio implica un costo più alto del credito per consumatori, acquirenti di case, aziende, istituti finanziari. Oltre all’indebolimento dell’economia reale, nei prossimi mesi la confusione nei mercati finanziari peggiorerà. Il problema non è circoscritto ai mutui subprime: le stesse spericolate e intossicanti pratiche utilizzate per concedere credito a clienti ad alto rischio– nessun anticipo, nessuna verifica del reddito e del patrimonio, mutui che contemplavano il solo tasso di interesse, ammortamenti negativi, rate iniziali ridicolmente basse per attirare i clienti – sono state applicate a chi accendeva mutui ed era a rischio quasi nullo.

La stretta creditizia nel mercato dei mutui a rischio ha tracimato in quello a rischio nullo e in una varietà di mercati del credito: conti liquidità, prestiti interbancari, prestiti concessi a fronte di vari tipi di asset, strumenti strutturati delle banche, cartolarizzazione, mercati degli Lbo. Tutti sono bloccati. Questa stretta della liquidità e del credito peggiorerà man mano che la crisi dei mercati finanziari si rivelerà più grave di quella del 1998, che vide crollare l’Ltcm, il maggior hedge fund. Allora si pose solo il problema della liquidità, perché l’economia era in forte crescita (più del 4%), l’incremento della produttività era alto e gli Usa erano nel boom di Internet. Oggi, oltre ai problemi di liquidità dobbiamo affrontare problemi di credito e di insolvenza derivanti dal boom del credito che ha comportato un indebitamento eccessivo. Il problema di insolvenza riguarda milioni di famiglie americane; decine di istituti dei mutui subprime già falliti; decine di società di costruzioni messe alle strette; una serie di hedge fund e altri istituti ad alto leverage finiti gambe all’aria. L’aumento degli spread del credito porterà a un numero maggiore di fallimenti di imprese tenute artificialmente a galla grazie a condizioni del credito troppo favorevoli. I problemi di liquidità che si possono risolvere con iniezioni di moneta, per i problemi del credito non vale questa soluzione. L’allentamento della politica monetaria da parte della Fed non salverà l’economia e i mercati finanziari da un atterraggio duro perché sarà già troppo tardi. La Fed ha sottostimato la gravità della recessione immobiliare e il suo effetto tracimazione su altri settori.

I problemi del credito e le insolvenze non possono essere risolti solo con la politica monetaria. Le iniezioni di liquidità della Fed vengono trattenute dalle banche che accumulano riserve invece di riconcederle sotto forma di credito a quei settori dove la stretta creditizia peggiora. La globalizzazione , la cartolarizzazione e l’insorgere incontrollato di strumenti di credito complessi hanno portato a una maggior opacità nei mercati finanziari. Questa mancanza di trasparenza produce una incertezza incommensurabile invece di un rischio valutabile. Il rischio può essere valutato quando si ha una serie di probabilità per una serie di eventi. Ma l’incertezza incommensurabile crea in condizioni di stress dei mercati una maggior avversione al rischio. L’incertezza proviene da due fonti: non conosciamo le dimensione delle perdite complessive dei mercati del credito (quello dei subprime potrebbe ammontare a 100 miliardi o più a seconda di quanto scenderanno i prezzi delle case); le perdite degli altri strumenti poco liquidi non sono misurabili in un mondo dove le istituzioni si sono misurate con i modelli piuttosto che con il mercato e le agenzie di rating, condizionate da conflitti di interesse, hanno accordato ai nuovi strumenti rating non corretti. La cartolarizzazione implica che i rischi si sono diffusi dalle banche fino agli angoli del sistema finanziario, e non sappiamo quali istituti detengano rifiuti tossici e falliranno per primi.

Sono falliti istituti di aree lontane come l’Australia, l’Asia, la Francia, la Germania e il Canada per la loro esposizione a derivati del credito legati ai mutui subprime. È come girare ciechi in un campo minato quando non si ha la più pallida idea di dove siano le mine. Quest’incertezza suscita paura e mancanza di fiducia verso le controparti finanziarie: tutti vogliono accumulare liquidità e tenersi gli asset più sicuri, gli istituti finanziari non si fidano l’uno dell’altro e sono restii a concedere prestiti. La rivalutazione del rischio è un fenomeno permanente. L’impennata del costo del credito rende più fragile un’economia già indebolita. E’ la prima crisi del mondo della globalizzazione e della cartolarizzazione. Può il resto del mondo sganciarsi da un rallentamento degli Usa? Il contagio finanziario ha colpito i mercati europei con la stessa forza. Per il contagio reale, se gli Usa riescono a compiere un atterraggio morbido, la spinta della crescita in Europa, Giappone, Asia, America Latina sarà sufficiente per consentire lo sganciamento. Ma se l’America affronta l’atterraggio duro, possibilità sempre maggiore, l’idea che il resto del mondo possa sganciarsi dalla recessione è azzardata. Gli Stati Uniti rappresentano il 25% del pil mondiale: i vincoli commerciali, quelli dei tassi di cambio dettati da un dollaro debole, i canali di contagio finanziari, gli effetti sul consumatore, porteranno a un rallentamento. In un mondo globalizzato e in mercati finanziari integrati gli shock al centro del sistema hanno effetti dolorosi sul resto del mondo per i mercati finanziari e le economie reali.

 

Fonte - La traduzione di Guiomar Parada – AFFARI e FINANZA – La Repubblica

 

 

 

 

 

LA RECESSIONE ? BUSSERA' IN EUROPA 

10 Settembre 2007, Milano
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Stare alla finestra a Wall Street. Uscire dalle Borse europee. Scommettere su quelle emergenti di Cina e India. Sono le mosse raccomandate da uno dei pochi economisti che hanno previsto l’ultima recessione, quella del 2001: Lakshman Achuthan dell'Ecri (Economic cycle research institute, www.businesscycle.com), istituto indipendente di ricerca fondato da Geoffrey Moore, il creatore nel 1950 dei primi indici «anticipatori» delle recessioni e delle riprese. Uno degli studenti di Moore è stato l'ex governatore della Federal reserve Alan Greenspan e fra i clienti di Ecri ci sono autorità monetarie, grandi aziende, gestori di patrimoni. Achuthan ha anche scritto (con il collega Anirvan Banerji) il libro «Battere il ciclo del business: come prevedere le svolte dell'economia e approfittarne». Dal suo ufficio newyorkese ci spiega come vede oggi i mercati.
Molti temono che la crisi immobiliare e dei mutui scateni la recessione. È così? «Sulla base delle informazioni disponibili, non vedo una recessione negli Usa. È molto eccitante prevedere una recessione quando arriva, ma è ugualmente importante non prevederla se non c'è. Noi non abbiamo annunciato recessioni dopo il 2001. Invece dal 2002 a oggi innumerevoli esperti hanno previsto crisi che non si sono poi verificate. Molti economisti oggi parlano di recessione per far pressione sulle banche centrali perché ribassino i tassi. Il mio scopo personale è mantenere un buon record di previsioni azzeccate».
Che cosa ha di speciale il metodo di analisi dell'Ecri? «Non guardiamo a dati diversi dagli altri economisti, ma li guardiamo in un altro modo. Non proiettiamo le tendenze attuali. Distinguiamo gli indicatori che coincidono con il ciclo economico, come i dati sulla disoccupazione, da quelli che lo anticipano, come l'andamento della produttività. E poi cerchiamo di individuare i dati chiave, che sono diversi a seconda del momento. Nel 2001 la recessione è stata scatenata dal calo di investimenti delle aziende. Quindi quella volta il dato della spesa delle imprese era cruciale».
E oggi? «La produzione industriale è ancora forte, il mercato del lavoro e i servizi non finanziari sono in buona salute, stesso discorso per le costruzioni non residenziali. Per questo non vediamo una recessione imminente. Ma il mercato del credito ha seri problemi, i servizi finanziari sono deboli, come pure gli indicatori che guardano al 2008. Per questo prevediamo un rallentamento della crescita, che significa anche una maggior vulnerabilità a choc negativi».
La crisi del mercato immobiliare non è così grave? «Il 2001 ha visto una recessione senza un calo dei prezzi delle case. Nel 2005-2006 sono scese le quotazioni del mattone, senza una recessione generale. Non so se i prezzi immobiliari hanno smesso di scendere, comunque ci sono alcuni segnali positivi: i dati sui permessi per costruire nuove case e sull'inizio delle costruzioni hanno cominciato a risalire da fine 2006; inoltre non c'è stato un crollo dei prezzi. Ecco perché i consumi delle famiglie continuano ad essere migliori delle aspettative. La gran parte dei problemi riguarda i creditori sub-prime. Non è abbastanza per cambiare la direzione dell'economia».
Le paure di un contagio sono esagerate? «È vero che, grazie alle alchimie di Wall Street, i mutui sub-prime sono stati mischiati con altri ingredienti e venduti come fossero obbligazioni ad alto rating a fondi pensione, banche, privati. Ora investitori in tutto il mondo scoprono di avere in portafoglio questi prodotti di cui nessuno sa il valore reale e piuttosto che venderli, perdendo il 90 per cento, se li tengono. Così si è fermato il trading sul mercato creditizio. Le banche centrali cercano di immettere liquidità. Ma se il mercato creditizio resta congelato ancora per qualche settimana è probabile che anche i buoni creditori abbiano difficoltà a prendere denaro in prestito e questo potrebbe segnare una svolta negativa per l'economia».
Qual è la relazione fra cicli economici e Borse? «I mercati Orso, le fasi di ribasso, sono quasi sempre legati alle recessioni. Tipicamente se c'è una recessione, vicino c'è l'Orso. Ma qualche volta le Borse sono troppo sensibili: come diceva l'economista Samuelson, hanno previsto nove delle ultime cinque recessioni. Resta vero però che le Borse reagiscono ai cicli economici in generale e qualche volta la fiducia degli investitori è un fattore importante da considerare. Ripeto, non c'è una formula magica per anticipare le svolte dell'economia: bisogna saper leggere diversi indicatori per poter prendere decisioni migliori, anche per il proprio portafoglio».
Che cosa fare allora? «Prendo come esempio l'Europa: da sei mesi l'Ecri prevede un rallentamento della sua economia , mentre la maggioranza degli esperti ha continuato a parlare di boom. Quando c'è una divergenza fra il parere degli esperti e la realtà degli indicatori, per l'investitore è tempo di rischi e opportunità. Sul mercato europeo un investitore dovrebbe diminuire la sua quota di azioni e avere più cash. In generale, se si prevede una recessione o un rallentamento dell’economia, bisogna aspettarsi delusioni dai profitti aziendali e un calo delle quotazioni di Borsa. Viceversa se si anticipa una ripresa».
E Wall Street? «Non direi ancora di uscirne. Se il mercato del credito si riprende, può anzi essere opportuno comprare più azioni, in vista di un miglioramento dell'economia Usa verso fine 2008. Se il credito resta congelato, è un problema che non danneggia Paesi emergenti come Cina, India o Taiwan, che godono di ottima salute economica: si può allora investire su quelle Borse. Anche se la globalizzazione fa sì che i Paesi si influenzino reciprocamente, non è vero che tutte le economie seguano lo stesso ciclo».

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

   Il mercato interbancario è già chiuso

10 Settembre 2007 - di Alfonso Tuor*

*Alfonso Tuor e' direttore del Corriere del Ticino
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Le banche centrali hanno perso la prima battaglia di quella che si prospetta una guerra lunga e difficile per superare questa crisi determinata dallo scoppio di un’enorme bolla creditizia, di cui i mutui ipotecari subprime sono solo la punta dell’iceberg.
La incontestabile ammissione di questa prima sconfitta è rappresentata dalle nuove immissioni di liquidità nel mercato monetario operate giovedì scorso dalla Banca centrale europea (42 miliardi di euro) e dalla Federal Reserve (31 miliardi di dollari). Le banche centrali sono state costrette ad intervenire nuovamente, poiché le decine e decine di miliardi già immesse in agosto nel sistema e la «promessa» del taglio dei tassi americani non sono bastate a riportare la calma sul mercato monetario. Infatti il mercato interbancario è pressoché chiuso.

Questo fenomeno, che dà la misura della gravità dell’attuale crisi, è dovuto a due fattori: da un canto, le banche non hanno più fiducia l’una nell’altra e quindi non si prestano i soldi, dall’altro, stanno accumulando prudenzialmente capitali liquidi, perché sanno che presto saranno chiamate ad onorare impegni finanziari già presi e perché sanno che oggi non è solo costoso ma è anche molto difficile raccogliere capitali sul mercato. Infatti le stesse banche e gli altri operatori devono oggi pagare tassi nettamente superiori a quelli guida definiti dalle banche centrali e a quelli che pagavano prima dello scoppio di questa crisi.
Ed è proprio la persistente chiusura del mercato interbancario e il premio che il mercato monetario continua a chiedere sia per i prestiti giorno per giorno sia per quelli fino a tre mesi il segno inequivocabile del fallimento delle operazioni finora attuate dalle banche centrali.

E un’implicita ammissione dell’inadeguatezza di questi interventi è stata fatta dallo stesso Jean-Claude Trichet, il quale ha dichiarato che gli interventi delle banche centrali non possono da soli ricreare un clima di fiducia. Ad essi si deve affiancare - ha continuato Trichet - un impegno di trasparenza delle banche che devono rendere nota la loro esposizione complessiva nei confronti dei vari veicoli fuori bilancio (conduit, SIV e SIV-lites) e nei confronti delle varie operazione bancarie e dei nuovi strumenti finanziari (dai crediti ponte alle operazioni di private equity, alle linee di credito agli hedge funds, agli strumenti derivati, ecc.).
Come è facile capire, non si parla più dei crediti ipotecari subprime, che sono stati il detonatore della crisi, ma che rappresentano solo una piccola parte dell’enorme bolla creditizia creata dal sistema finanziario negli ultimi anni. Di questa fanno parte i veicoli fuori bilancio creati dalle banche per sottrarsi alle regolamentazioni bancarie e per evadere le tasse basati sul principio di finanziare crediti a lunga con una raccolta di capitale a breve (ossia con una formula che qualsiasi studente di economia sa che porta al disastro). Ebbene venendo meno la possibilità di finanziarsi a breve, questi veicoli entrano in crisi e i crediti da loro finanziati stanno ritornando nei bilanci bancari e quindi stanno richiedendo nuovi capitali freschi alle banche.

L’altra fonte di preccupazione sono i crediti ponte forniti dalle banche di investimento per le grandi acquisizioni societarie dei fondi private equity. Si stima che siano più di 300 i miliardi di dollari che le banche non riescono più a piazzare sul mercato. Ed infine vi è la grande nebulosa delle linee di credito agli hedge funds e dell’esposizione delle banche nei confronti dei derivati e degli strumenti nuovi creati negli ultimi anni dalla finanza globale.
Dunque, oggi si è confrontati con una crisi del sistema bancario, di cui i mutui subprime sono solo una voce e nemmeno la più importante. In pratica si ha a che fare con un’esponenziale crescita del volume dei crediti, di cui il sistema bancario pensava di essersi sbarazzato, avendolo venduto sul mercato attraverso i processi di cartolarizzazione, che invece si sta riconcentrando nel sistema bancario (e sta rientrando nei bilanci delle singole banche) proprio per i meccanismi perversi creati dalla stessa finanza globale.
Paradossalmente in queste condizioni la richiesta di trasparenza di Trichet non può essere soddisfatta. Le banche non vogliono fornire questi dati, poiché, da un canto, temono di creare panico e, dall’altro, poiché non sono in grado di calcolare questa esposizione. Vi sarebbe inoltre un problema enorme di omogeneizzazione dei criteri di valutazione di strumenti che non hanno prezzi di mercato.

Ma c’è di più: il fattore tempo aggrava la crisi. La settima prossima verranno a scadenza circa 130 miliardi di euro di strumenti di finanziamento a breve che dovranno essere rifinanziati. E questa operazione nelle attuali condizioni di mercato è proibitiva. Quindi questi crediti dovranno essere erogati dal sistema bancario. Questo è un altro motivo della corsa ad accumulare liquidità da parte delle banche di tutto il mondo. Quindi, quali sono le possibili prospettive? La Bce ha già preannunciato che dalla settimana prossima comincerà a finanziare il sistema bancario anche con prestiti a tre mesi, come già fa la Federal Reserve. Ed è anche probabile che, come già fa la Fed, accetterà nelle operazioni repo come garanzia qualsiasi tipo di titoli (anche quelli dei mutui subprime). Inoltre sia la Bce sia la Fed, come anche altre banche centrali (ad esempio quella inglese e quella australiana) continueranno ad immettere miliardi e miliardi di liquidità nel mercato monetario. E se tutto ciò non basterà, le banche centrali apriranno linee di credito a favore delle banche in difficoltà.
Nel frattempo la Federal Reserve abbasserà i tassi. La manovra della Fed non si limiterà al previsto taglio di 50 punti base che il mercato dà già per scontato. Infatti la decisione del prossimo 18 settembre sarà solo l’inizio di una serie di riduzioni del costo del denaro che saranno motivate non solo dall’attuale crisi finanziaria, ma anche dal fatto che essa sta cominciando a «colpire» l’economia reale in modo più rapido e più forte di ogni aspettativa, come dimostrano i dati sul mercato immobiliare e come soprattutto hanno confermato ieri i dati negativi sul mercato del lavoro statunitense. Quindi la crisi non è finita. Anzi, siamo solo alle sue battute iniziali.

 

Fonte - Corriere del Ticino


 

 

Sabato 01 settembre 2007   Giovedì 06 settembre 2007   Giovedì 06 settembre 2007
   
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GR1 RAI - 04 SET ore 23:00

   

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GR1 RAI - 05 SET ore 23:00

   

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GR1 RAI - 06 SET ore 23:00

   

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   Un'altra mattonata sul mattone americano

13 Settembre 2007 New York - di *Gary Shilling

*Gary Shilling è presidente della società di ricerca A. Gary Shilling & Co. Sui maggiori temi economici e sulle strategie d'investimento pubblica previsioni sul suo sito (www.agaryshilling. com), sulla rivista americana "Forbes" e sulla stampa finanziaria giapponese.
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L’orizzonte del mercato immobiliare si colora di tinte sempre più fosche. I lavori edili appena avviati sono in caduta verticale. In un ciclo economico normale, i cantieri di nuova apertura scendono da circa 2 milioni di unità a meno di 1 milione di unità. Ma questa volta siamo in un superciclo, dai tratti amplificati. Perciò il calo da 2,3 milioni di unità toccato nel gennaio 2006 a 1,4 milioni di unità nel mese di luglio è probabilmente insufficiente a ristabilire le condizioni d’equilibrio.
La debolezza dell’edilizia si riflette poi nelle vendite di abitazioni. Persino in una città come Houston, nella quale l’economia è in pieno boom e i prezzi delle case sono abbordabili, la flessione degli ordinativi oscilla tra il 20% e il 25% rispetto al 2006. E nel caso di Houston il costo degli appartamenti non è spropositato. Ad esempio, una prima casa la puoi pagare 75 mila dollari. Ciononostante, le compravendite si concludono solo a fronte di uno sconto del 5-10% sulle richieste di un anno fa. La ragione va ricercata nel crollo del mercato subprime, che a Houston rende conto per il 32% dei mutui ipotecari e a livello nazionale rappresenta una quota del 22 per cento.

SPIRALE AL RIBASSO. Le traversie dei finanziamenti subprime non costituiscono l’unica palla al piede del comparto residenziale. A peggiorare la prospettiva vi è l’imminente rivalutazione delle rate sui mutui a tasso variabile, che raggiungeranno l’apice a cavallo fra il 2007 e il 2008. Insomma, le famiglie dovranno sborsare ogni mese più quattrini con le banche. Senonché, mentre in passato il valore del mattone saliva compensando il rincaro delle rate, adesso la curva dei prezzi ha virato verso il basso, gettando un’ombra cupa sui bilanci delle famiglie. È appena il caso di ricordare che molte di esse spendono circa il 40% del reddito disponibile soltanto per sostenere il servizio del debito inerente l’abitazione.
I prestiti ipotecari di rischio alto e medio-alto (subprime e Alt-A mortgages) equivalgono al 36% di quelli cartolarizzati nel 2006. Con una porzione così ampia del credito ormai bloccata, il mare di liquidità sul quale galleggiava la bolla dell’edilizia si sta rapidamente essiccando. Ma non finisce qui. Anche le famiglie solide sul piano patrimoniale e reddituale hanno difficoltà. Mi spiego meglio.
Supponiamo che i signori Smith desiderino acquistare una casa più bella e più lussuosa del modesto appartamento nel quale hanno vissuto finora. Ebbene, prima di tutto devono vendere le loro quattro mura, una cosa praticamente impossibile al momento. Chi le comprerà? In altri tempi l’offerta sarebbe arrivata da una famiglia a basso reddito, grazie ai mutui subprime. Oggi questa ipotesi è fuori discussione, inceppando con ciò l’intero meccanismo verticale del real estate.

DOMANDA IN CRISI. Si arriva così all’enorme volume di case invendute, autentica spada di Damocle sul futuro dei valori immobiliari. Secondo i dati ufficiali, il mercato avrebbe bisogno di 9,6 mesi per assorbire lo stock di edifici (condomini e dimore singole) già costruiti e in attesa di un acquirente. Ma questo numero non contempla i contratti siglati e poi cancellati, perciò la cifra reale è di gran lunga superiore, e almeno doppia rispetto alla norma. Quando la domanda tentenna e gli affari languono, l’unica via per sedurre i potenziali compratori è tagliare con decisione il prezzo.
All’inizio, però, i proprietari mostrano una grande ritrosia ad accettare offerte al ribasso, e preferiscono ritirare l’immobile dal mercato. Solo in seguito, dopo un periodo di almeno 18-24 mesi, accettano l’inevitabile, ossia si fanno una ragione di incassare una somma inferiore. Poiché il numero di transazioni ha iniziato a flettere dal settembre 2005, direi che la fase di una più decisa «rettifica» dei valori immobiliari è arrivato: le quotazioni medie potrebbero scendere dai massimi addirittura del 25 per cento. Quando a dirlo ero soltanto io, la gente mi prendeva per matto, ora persino gli analisti di Goldman Sachs hanno messo nero su bianco che «una riduzione dei prezzi nominali dal 15% al 30% è nel novero delle possibilità». Prepariamoci.

 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza


 

 
 
 

   Molto peggio oggi rispetto ai tempi di LTCM

18 Settembre 2007 New York - di Mark Faber
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I sacerdoti dell’ottimismo paragonano la débâcle dei mutui subprime alla crisi del 1998, e da ciò traggono la conclusione che il ripiegamento in atto offre piuttosto un’occasione d’acquisto che di vendita. Al contrario, io guardo ai problemi attuali con soverchia preoccupazione, e con poca fiducia in una pronta ripresa. Ma facciamo un passo per volta, e ricordiamo i rapidi eventi di allora: il mercato azionario raggiunse l’apice nel luglio del 1998, dopodiché precipitò del 22% fino a toccare il minimo del 9 di ottobre. Lo scivolone avvenne in seguito al default del fondo Ltcm e al terremoto finanziario che mise in ginocchio la Russia e parecchie nazioni asiatiche.
In seguito, quando si capì che la Fed avrebbe inondato il sistema di liquidità, le Borse decollarono all’istante, e l’anno chiuse con un rally del 33%. Se il modello tiene - pensano gli esperti - avremo un vigoroso recupero anche questa volta, con la prospettiva di salire a nuovi massimi entro la fine dell’anno. Personalmente non nascondo il mio scetticismo, giacché il quadro economico e finanziario appare assai diverso rispetto al 1998. Per esempio, il dollaro guadagnava valore, mentre i tassi d’interesse, dopo aver invertito la rotta nel 1981, erano nel bel mezzo di una discesa generazionale. Allo stesso tempo, l’oro e le altre commodity non facevano altro che perdere terreno. Inoltre, il mercato immobiliare non mostrava alcun sintomo di esuberanza, l’industria dei prestiti subprime era allo stadio embrionale, e il fenomeno delle cartolarizzazioni muoveva appena i primi passi. Per converso, oggi il dollaro è sprofondato in una spirale deflativa di cui si fatica a intravedere la fine. Nel 1998, il deficit americano delle partite correnti era del 2%, adesso sfioriamo l’8 per cento. Aggiungo che le risorse naturali sono tutte decisamente orientate all’insù.

Vi è poi un’ulteriore ragione che rende il 2007 molto eterogeneo rispetto al 1998, vale a dire l’enorme moltiplicazione della carta finanziaria: nel 1998 il livello del debito era il 250% del Pil, nel 2007 siamo giunti al 330%. Se guardiamo alle famiglie, vediamo che il rapporto è cresciuto dal 65% al 100%. Il tasso di espansione delle passività segue una curva altrettanto inquietante, essendo balzato dal 4% annuo negli anni ’90 al 10% annuo dopo il 2002. Sicché per reflazionare l’economia occorrerebbe un’eccezionale marea di liquidità accompagnata a una seconda moltiplicazione del debito; è però appena il caso di menzionare che ciò creerebbe le premesse per maggiori e rinnovati problemi in seguito.
A peggiorare la prospettiva noto infine questa differenza non da poco: nel 1998, la Federal Reserve dovette intervenire in favore di un solo hedge fund, il celebre Ltcm. Oggi chi dovrebbe salvare? Gli istituti specializzati nei mutui subprime? I proprietari di case indebitati fino al collo? Il mercato dei debiti collaterali? Oppure le banche troppo esposte nei leveraged buy-out? Insomma, mentre era relativamente semplice lanciare una ciambella salvagente al fondo Ltcm nel 1998, oggi la matassa è assai più ingarbugliata e difficile da districare. Ovviamente, la Fed potrebbe reagire tagliando drasticamente il costo del denaro e ricorrendo a misure straordinarie, come l’acquisto su larga scala dei titoli debitori meno solidi. Tutto può essere, per l’amor di Dio. Ma tali iniziative solleverebbero un gigantesco polverone, finanche sul piano politico. Ad esempio, perché la Fed dovrebbe tenere a galla gli speculatori, mentre le famiglie affogano nei debiti e finiscono in mezzo a una strada sotto l’ondata dei pignoramenti?
Voglio chiudere quest’articolo con un’ultima osservazione. Dal giugno 2004 all’agosto 2006, la Fed alzò il saggio base dall’1% al 5,25% in 17 mini-strette consecutive. Ma durante quell’arco di tempo non ci fu alcun innalzamento reale degli standard creditizi poiché la mossa dell’istituto centrale fu vanificata dalle banche, le quali allargarono i cordoni della borsa in modo sfacciato, ansiose di concedere mutui facili e prestiti al consumo. Adesso le medesime banche tornano sui loro passi e stringono i cordoni della borsa. Perciò ogni tentativo della Federal Reserve volto a immettere liquidità nel sistema rischia di essere frustrato dalla postura più rigorosa che hanno assunto le banche. Insomma il 2007 non è proprio come il 1998.

 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza

 

 

 

 

 

ALERT: «L’ECONOMIA AMERICANA SI FERMERA' 

20 Settembre 2007, New York - di Vincenzo Sciarretta
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L’evento principale della settimana è l’ennesima caduta verticale del dollaro. Sospinto da rinnovati timori circa la tenuta dell’economia e l’affidabilità del credito ipotecario Usa, il biglietto verde ha rotto gli ormeggi, infrangendo il muro di 1,40 contro euro e raggiungendo la parità contro il dollaro canadese. A questo punto urge rispondere a parecchie domande: vedremo il dollaro a 1,50? L’oro salirà a quota 900? Che cosa alimenta la corsa del petrolio nonostante il brusco indebolimento della congiuntura americana? È possibile capirci qualcosa? B&F ne ha parlato con Paul Horne, che non solo è un grande cultore delle discipline economiche, ma è anche una persona assai fortunata. Inizia la carriera come corrispondente del Times da Roma, in seguito passa a lavorare per la Smith Barney, ramo banche d’affari. Si trasferisce a Parigi nel 1975, poi a Londra, poi di nuovo a Parigi. Diventa il capo economista per l’Europa quando la Smith Barney viene assorbita dalla Citigroup. Oggi, consulente privato, vive sei mesi l’anno a Parigi in un bell’appartamento affacciato sulla Senna in Quai de Montebello, a pochi metri da Notre Dame. Gli altri sei mesi li spende negli Stati Uniti fra Washington e New York. Insomma, un uomo che «pendola» fra le due sponde dell’Atlantico: il candidato ideale per decifrare i movimenti di capitale che muovono dall’America verso l’Europa.

Mr. Horne, lei vive un po’ al di là e un po’ al di qua dell’Oceano. Direbbe che il Vecchio Continente è diventato caro, ora che la moneta unica ha superato la soglia di 1,40? Direi carissimo. Voglio raccontarle qualche aneddoto. Ho un appartamento a Parigi, che di tanto in tanto affitto ad amici americani. Ebbene, proprio ieri arriva un nuovo inquilino. Mi telefona perché ha qualche problema con la caldaia. Si parla del più e del meno, e mi confessa di essere rimasto di sasso di fronte al livello dei prezzi nella capitale francese. E ne vuole sapere un’altra?Dica pure. A dicembre deve arrivarne un altro. Sottolineo a dicembre, non a ottobre. Ciononostante, ieri trovo nella casella postale il suo assegno accompagnato da un bigliettino che recitava grossomodo così: Paul, eccoti i tuoi soldi; te li do adesso perché tra un paio di mesi chissà dove finirà il dollaro... Non male. Io credo che questo piccolo esempio fornisca il paradigma di quanto sta avvenendo a livello aggregato.
Ossia? Si anticipano i pagamenti in dollari; viceversa le filiali estere delle multinazionali americane scelgono di non convertire i guadagni derivanti dal loro business (cioè euro, yen, franchi svizzeri, ecc. ecc.) in moneta statunitense.
Questo perché si è consolidata l’idea secondo cui nelle prossime settimane sarà molto difficile erigere un argine di contenimento ai capitali speculativi, giusto? Sì, la Federal Reserve ha allentato il rigore della politica monetaria e i tassi d’interesse stanno scendendo rapidamente. Qualche mese fa, i titoli federali a 10 anni rendevano il 5,2%, mentre adesso galleggiano intorno al 4,5 per cento. Se diamo il giusto peso all’inflazione, ci accorgiamo che le obbligazioni governative tedesche offrono cedole più sostanziose delle loro controparti a stelle e strisce, e ciò ha innescato forti correnti d’investimento verso l’Europa. La divisa comunitaria ha alte probabilità di toccare 1,45.
Stando all’opinione prevalente, si deve mettere in conto almeno un altro taglio del costo del denaro entro la fine del 2007. Lei concorda? Assolutamente sì. La crisi del mercato immobiliare raggiungerà lo zenit nell’inverno del 2008, quando un gran numero di prestiti ipotecari subirà il rincaro delle rate. Questa è la vera spada di Damocle che pende sulla testa dell’economia americana. Perciò la strategia di soccorso della Fed prevede due o tre tagli aggiuntivi, con la prospettiva di portare il saggio base dal 4,75% attuale al 4% entro l’estate.
Sente odore di recessione? È possibile che i primi due trimestri del 2008 siano a crescita zero.

Come dovrebbero comportarsi gli investitori? Personalmente, desidero mantenere una posizione liquida e attendere che la malattia faccia il suo corso. A mio giudizio, diversi asset americani stanno acquistando un grande valore, se espressi in euro, yen o sterline. A un certo punto, gli europei, gli asiatici, i mediorientali si accorgeranno che una Citigroup o una Ford rappresenteranno una ghiotta occasione in moneta estera. Quello sarà il momento in cui vorrò comprare a piene mani. Del resto, anche grandi investitori come Warren Buffett siedono su enormi quantità di denaro contante, e fanno esercizio di pazienza.
E l’oro? L’oro disegna la traiettoria opposta al biglietto verde, e garantisce qualcosa in più delle divise cartacee. In effetti, i travagli della Bnp Paribas, della Northern Rock e della Bear Stearns provocano riflessioni e inquietudini negli operatori, sicché il denaro affluisce naturalmente verso i beni rifugio. Il lingotto potrebbe toccare 770-800 dollari l’oncia.
C’è poi il petrolio. Qualcuno nota una contraddizione nel fatto che i corsi del greggio puntano verso l’alto mentre si discorre di recessione negli Stati Uniti. Non c’è alcuna contraddizione. L’attività produttiva è forte in Cina, India, Medio Oriente, Sud America, parte dell’Europa. Ma, soprattutto, l’industria estrattiva è prossima al limite, e anzi inizia a declinare in Iran, Iraq, Norvegia, Regno Unito, Venezuela, Arabia Saudita, Russia. Se si verificasse un uragano di forte entità, le quotazioni potrebbero schizzare a 90 dollari al barile.
Una domanda finale. In passato, quando gli Usa rallentavano, anche l’Europa e l’Asia moderavano il loro passo, allo stesso modo in cui le carrozze di un treno seguono la velocità del locomotore. Ora, però, non pochi esperti sostengono il contrario, ossia che l’Europa sarebbe in grado di camminare sola sulle sue gambe. Lei ci crede?> Fino a un certo punto. Il consumatore americano è ancora il consumatore di ultima istanza, basta guardare all’ammontare del nostro deficit commerciale, che corrisponde all’avanzo del resto del mondo. L’America, inoltre, sta esportando i suoi problemi attraverso la svalutazione della moneta. Perciò se fossi in Trichet (il governatore della Banca centrale europea) starei con gli occhi bene aperti, pronto ad attivare politiche di soccorso se ve ne fosse la necessità.
 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza

 

 

 

 

 

 

   Il vascello fantasma e il mercato volante

20 Settembre 2007 - di Andrea Mazzalai
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Secondo una delle leggende più misteriose ed affascinanti del mare, "L'OLANDESE VOLANTE" e il suo vascello fantasma furono investiti da un leggendario uragano tropicale durante la loro attraversata destinata a solcare i mari infiniti, in eterno, senza conoscere la propria meta.
Una scommessa impossibile: doppiare il Capo di Buona Speranza a costo di navigare in eterno senza ritorno, un patto con il Diavolo, una sensazione di onnipotenza.
I Conduits & Siv, vascelli fantasma dei mari finanziari, avvolti nella nebbia dell'opacità, avvistati per caso in un mare in bonaccia, traditi dalla mancanza del vento della liquidità.
Vascelli fantasma che solcano parallelamente le rotte delle ammiraglie finanziarie, istituti di credito che comunicano alla terra ferma i propri bilanci trimestrali.

Lehman Brothers (NYSE: LEH - notizie) e Morgan Stanley (NYSE: MS - notizie) ambedue comunicano svalutazioni imponenti, rispettivamente di 700 e 940 milioni di dollari.
Lehman comunica risultati migliori delle attese ma ha la stiva stracolma di mutui residenziali e ABS mentre la seconda corazzata americana per capitalizzazione, Morgan Stanley accusa il colpo del credit crunch, la svalutazione dei mutui residenziali, degli ABS e delle obbligazioni collegate alle operazioni di LBO ovvero i CLO.
Ora se Lehman Brothers secondo questa tabella apparsa su Economist della Sanford Bernstein detiene in percentuale nel secondo trimestre del 2007 (Q2), ABS in percentuali rispetto all'equity superiori tre volte tanto quanto quelle di Morgan Stanley secondo un ragionamento semplicistico vi pare giusta la percentuale di svalutazione comunicata dalla stessa Lehman, rispetto alla Morgan?
Ogni Vostra valutazione è ben accetta, può aiutarci a comprendere
I ricavi da trading, asse portante dei profitti di questi anni d'oro, virano al ribasso!
Svalutazioni principalmente destinate a coprire gli effetti della tempesta subprime e dello tsunami leveraged by out, svalutazioni che in sostanza recepiscono le nuove direttive internazionali sul "FAIR VALUE". Per comprendere il significato di "FAIR VALUE" o anche conosciuto come "valore equo" prenderemo questo schema che lo differenzia nelle sue caratteristiche principali dalla valutazione delle poste di bilancio al prezzo di costo: "In tale contesto, per lo Iasb la competenza prevale sovente sulla prudenza (anche in funzione dei destinatari e della funzione dei bilanci), mentre per la prassi comunitaria la prudenza prevale sulla competenza, essendo un aspetto fondamentale nella redazione del bilancio, con importanti conseguenze circa i criteri valutativi da adottare; questo aspetto aiuta a comprendere come il bilancio redatto utilizzando i principi Iasb, si utilizza per una valutazione prospettica dell'impresa, rispetto al medesimo bilancio redatto secondo la prassi contabile comunitaria e, ovviamente, nazionale.
I valori correnti, rispetto ai costi storici, hanno il pregio di costituire un migliore riferimento ai fini della capacità previsionale (come detto, una sorta di budget)."
Lasciando per un attimo da parte i concetti su vasta scala quello che mi interessa farvi notare è che la differenza tra la valutazione a costo storico e quella a "fair value" stà nel valore di mercato che una posta di bilancio ha in un dato momento.
Quindi si tratta di un valore corrente, effettivamente più corrispondente alla realtà del momento.

L'articolo 2426 del codice civile, numeri 1 e 9, prevede la valutazione del costo come criterio base per le valutazioni delle poste in bilancio. Tale criterio in teoria dovrebbe mettere al sicuro da valutazioni soggettive rispetto al valore di una posta di bilancio secondo un probabile valore di mercato.
Il costo originario della posta dovrebbe a sua volta essere riesaminato costantemente per non " nascondere " il valore reale o le perdite eventuali.
Cosi scrissi nell'ultimo post: "Allarmi utili potenziali di cui Merrill Lynch (NYSE: MER - notizie) è il precursore, allarmi utili che potrebbero essere annacquati dalla possibilità offerta di non dichiarare completamente il nuovo "fair value" e quindi prendere tempo e rimandare il tutto a tempi migliori.
"Nessun tecnico è in grado di determinare il grado di potabilità di queste sorgenti, tranne determinarne ipotetici valori di mercato ad opera di valutazioni interne al sistema stesso, lo stesso sistema che ne ha inquinato le falde principali."
Ciò non significa falsare i bilanci, pratica per altro tutt'altro che sconosciuta in circolazione, ma che esiste in un mercato assolutamente non in grado di determinare il valore reale di alcuni asset per mancanza di fiducia, di domanda, la possibilità di valutazioni e di conseguenza svalutazioni soggettive di portafogli che nel caso di un CDO o ABS possono essere valutati ad esempio 80 anziché 70 o forse 60 rispetto al costo originario 100 che diventerebbe irreale. Che poi si dica che i miei CDO o simili sono sicuri o tripla A, questo ad oggi è un'altra valutazione di tipo soggettivo.
Spero di essermi spiegato in semplicità, ma ripeto ogni valutazione contraria è ben accetta, ulteriori informazioni potrete trovarle a questo indirizzo sul FINANCIAL TIMES

Tornando per un attimo alla nostra " nave fantasma " vediamo quella che è stata la dichiarazione finale del FOMC ovvero le motivazioni della FED al taglio di 50bp
"La crescita economica e' stata moderata nel corso del 1* semestre dell'anno, ma il restringimento delle condizioni del credito ha il potenziale di intensificare la correzione del mercato immobiliare e di assorbire la crescita economica in generale".

"La decisione di oggi e' intesa ad aiutare a stabilizzare alcuni degli effetti negativi sull'economia che altrimenti potrebbero sorgere dalle turbolenze dei mercati finanziari e per promuovere una crescita moderata nel tempo".
"Il Comitato giudica che rimangono alcuni rischi inflativi e continuera' a monitorare attentamente gli sviluppi sull'inflazione".
"Gli sviluppi dei mercati finanziari dall'ultimo meeting del Comitato hanno aumentato le incertezze sull'outlook economico. Il Comitato continuera' a misurare gli effetti di questi e altri sviluppi sulle prospettive economiche e agira' come necessario per assicurare la stabilita' dei prezzi e sostenere la crescita economica"
Prosegue la navigazione nell'Oceano dell' Incertezza, navigazione a vista sperimentando rotte ormai conosciute e consolidate nell'immaginario collettivo.
Tempesta o Uragano che sia all'orizzonte, giro di vele ed indietro tutta!
Il comandante sà sempre qualcosa che il suo equipaggio non conosce e badate bene che non mi sto riferendo al sottoscritto, ma al governatore della FED, Bernanke che dopo avere SOTTOVALUTATO per mesi la RECESSIONE immobiliare e il suo possibile contagio, oggi improvvisamente, dopo aver dipinto cieli e mari tranquillamente “ moderati “ testimonia la sua consapevolezza con una manovra di politica monetaria aggressiva, seguita da una contestuale ulteriore apertura dei boccaporti del tasso di sconto, boccaporti o oblo che si voglia che faranno imbarcare acqua al veliero delle Banche Centrali.
Raccogliere e stivare qualsiasi tipo di prodotto strutturato da accettare come garanzia, permettendo un diluzione progressiva degli impegni comporta un assoluto rischio sistemico e non solo morale. Da ieri la BOE, Banca Centrale Inglese, accetta mutui come collaterali, costruisce porti di approdo di PCT a tre mesi, per le navi in difficoltà.
In fondo una delle patrie del "libero mercato" l'Inghilterra ha subito uno tsunami statale con la “garanzia” offerta dal Governo , dallo Stato.
Chissà che ne pensano all'Unione Europea degli interventi statali per salvare le IKB (Xetra: 806330 - notizie) o le Northern Bank di turno!

Il problema come detto più volte è perchè gli “ Dei del Mare “ finanziario, Banche Centrali, Autorità di Controllo, Organismi di Sorveglianza hanno permesso alla navigazione di avventurarsi tra Scilla e Carridi, dove gorghi e mulinelli, CDO & CLO, Conduits & SIV, Hedge & Private hanno minato la stabilità della nave.
Navi fantasma, i Conduits & SIV, SIV lites, che solcano rotte lontane dai bilanci delle istituzioni finanziarie.

Il comandante può agire sul timone, ritirare o dispiegare le vele, cambiare rotta ma non può controllare l'evoluzione del tempo, può solo cercare di assecondarlo per portare in salvo l'equipaggio secondo il suo intuito, ma se sbaglia la nave affonda o si schianta sugli scogli.
I differenziali tra i tassi monetari e i future evidenziano la diffidenza del mondo sommerso degli investitori verso i possibili affondamenti e la tempesta della liquidità e la banche centrali non controllano più i tassi a lungo termine.
Ogni buon comandante insegna nelle "Università Marine" che la massa monetaria M3 e le politiche monetarie espansive unitamente alle pressioni energetiche portano venti inflazionistici, prospettive di cambiamenti climatici.
Ma in fondo il riferimento continuo della FED è chiaro, le aspettative d'inflazione crescono e sono reali.
Poi possiamo discutere se questo è un taglio unatantum, segnale forte ai mercati o se è l'inizio di una fuga dalla realtà ad opera di una incombente recessione prima americana e successivamente mondiale, ma non vi è dubbio che si dimostrerà una "cura palliativa".
Di sicuro è una pioggia benefica per la speculazione, per i possessori di mutui chissà!
Non è mia intenzione discutere ora della bontà o meno di questo notevole cambiamento di rotta, ma esprimere le mie perplessità attraverso alcuni ragionamenti su quanto stà avvenendo nell'economia reale e l'efficacia di una nuova stagione di politiche monetarie espansive.
Sia ben chiaro che accademicamente parlando la manovra di riduzione dei tassi operata dalla FED risulta come una mossa obbligata, ancor di più di questa portata, se le informazioni in loro possesso dipingono un quadro a tinte fosche dell'economia reale ma cosi facendo si apre la discussione su la scelta tra la via della recessione o la possibile esplosione dell'inflazione. Non stiamo ora a discutere con coloro che non vedono nessun pericolo all'orizzonte inflattivo o che ridono di una possibile stagflazione, ma ricordo che se il dollaro crolla, l'inflazione gli americani la importano alla grande.

Energia a 82 dollari che veleggia verso i cento e cereali che raddoppiano il valore in nome e per conto delle bioenergie, sono navi fantasma che nessuno osserva!
Se la memoria non mi inganna, nel gennaio del 2001, in piena debacle "NEW ECONOMY" e ancora prima di scoprire una mini recessione partita nella primavera dello stesso anno Alan Greenspan taglio i tassi di uno 0,50% provocando il volo improvviso dei mercati mondiali.
Una discesa continua dall'altezza di un 5,5 % sino a raggiungere il pavimento ad un misero 1 %. Quindi un politica espansiva che non ha evitato la recessione.
L'11 settembre è cronaca di ben rispettivamente otto e sei mesi dopo che esula dalla recessione già in atto.

Oggi abbiamo alcuni fattori che all'nizio del secolo non erano presenti:
a) credit crunch
b) mancanza di fiducia
c) recessione immobiliare con fallimenti corporativi ed individuali.


Questi sono solo alcuni dei fattori avversi contro cui dovranno dimostrare le proprie proprietà terapeutiche le riduzioni di tasso, che visto il comunicato del FOMC e il riferimento continuo all'inflazione non prevedo di lunga durata.
Inoltre non credo che i possessori di dollari siano molto contenti delle prospettive di una debolezza o di un possibile crollo, come testimonia questo articolo apparso sul TELEGRAPH.CO.UK.
La sentenza è abbastanza chiara, ogni qualvolta che la politica monetaria diventa espansiva per anticipare o seguire le recessioni queste avvengono regolarmente nonostante i tagli.
Per un doveroso omaggio alla realtà ricordo che ieri sono usciti i dati relativi al MERCATO IMMOBILIARE decisamente figli di un tendenza senza fine, con revisioni al ribasso continue, "foreclosure" che raddoppiano e indici di fiducia dei costruttori ai minimi storici sempre più storici.
Per il momento questa è la realtà, il resto sono solo fantasie o speranze.
L'oro è tornato a volare, e volerà ancora per molto, molto tempo e noi in questo blog cercheremo di restare " ancorati " alla realtà, cercando di interpretare il più fedelmente possibile i dati che verranno comunicati e di individuare in questo mare tempestoso gli innumerevoli vascelli fantasma che quotidianamente solcano l'oceano finanziario.

 

Fonte - http://icebergfinanza.splinder.com


 

 

 

Venerdì 07 settembre 2007   Sabato 08 settembre 2007   Mercoledì 12 settembre 2007
   
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GR1 RAI - 10 SET ore 23:00

   

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GR1 RAI - 13 SET ore 23:00

   

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IL RIBASSO DEI TASSI CONDONO DEI FURBI  

02 Settembre 2007, Milano - di Giuseppe Turani
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A partire da oggi si aprono due settimane di passione (e di tormenti) per i mercati finanziari e per le economie delle due principali aree del mondo, quella americana e quella europea. A parte lo stato d´animo degli operatori e degli investitori, grandi e piccoli, tutti scossi dalle recenti vicende innescate dalla crisi dei presti subprime (fatti a gente che pochi mezzi), sono in calendario appuntamenti cruciali.
Mercoledì, ad esempio, verrà pubblicato il Beige Book della Federal Reserve, cioè l´autorevole rapporto della banca centrale americana sull´economia degli Stati Uniti. E sarà curioso leggerlo. La Fed, infatti, si trova al centro del tornado, ma anche in una posizione paradossale. Con una sola mossa, il ribasso dei tassi di interesse, potrebbe gettare una grande secchiata d´acqua gelida sull´incendio che si è acceso (l´appuntamento per questo è fissato per il 18 settembre).
Ma se decidesse di abbassare i tassi in questo momento, si attirerebbe molte critiche. Perché, di fatto, andrebbe al salvataggio di quelle banche d´affari e di quei brokers che hanno messo in piedi l´enorme pasticcio dei crediti subprime e delle obbligazioni strutturate. Il ribasso dei tassi di interesse, infatti, sarebbe come una delle tante amnistie italiane. Tutti a casa, tutti salvi (più o meno) e nessuno che paga per quello che è successo. Sarebbe come un condono fiscale per gli evasori. E quindi la Fed finora ha evitato di arrivare a tanto.
Però potrebbe cambiare strategia. Potrebbe dire, ad esempio, che la situazione dell´economia americana si è molto aggravata nelle ultime settimane e che quindi serve un ribasso nel costo del denaro, non per salvare i disgraziati che hanno innescato la crisi finanziaria attuale, ma per tenere in piedi l´economia e le industrie. Molti sostengono che mercoledì sera nel Beige Book ci sarà appunto questa tesi. Le cose vanno male e quindi bisogna tagliare il costo del denaro. Insomma, molti sospettano che mercoledì la Federal Reserve farà capire che sta per fare un condono, ma solo perché serve all´interesse generale.
Il giorno dopo tocca alla Banca centrale europea. Ma qui la cosa è più facile. In teoria, la Bce avrebbe dovuto alzare il costo del denaro di 25 basis point, come è noto da mesi. In realtà sono tutti convinti che la Bce, non sapendo bene che pesci pigliare, non farà nulla e rinvierà tutto di un mese, sperando che a ottobre la situazione sia più chiara.
Di fatto così la Federal Reserve americana resterà con il cerino in mano e il 18 settembre dovrà decidere: o taglia netto il costo del denaro (e salva tutti, briganti e innocenti) oppure resiste e va in guerra con la Casa Bianca (che vuole disinnescare la bomba subprime), le grandi banche d´affari e il mercato in generale. Si capirà qualcosa, comunque, nelle giornate che vanno dal 12 al 14 settembre. In quei tre giorni, infatti, «riportano» (come si dice in gergo) le tre maggiori banche d´affari americane. Dovranno fornire al mercato, cioè, i conti del secondo trimestre e le previsioni per il terzo (il trimestre del disastro). Secondo gli esperti, già nei conti del secondo trimestre faranno la loro comparsa (a danno dei profitti) vistosi accantonamenti «per rischi vari». Le previsioni per il terzo trimestre, poi, dovrebbero essere molto al ribasso.
Insomma, dai conti di quelle tre banche si dovrebbe cominciare a capire quanto è grande questa crisi. Poiché si parla di cifre imponenti, è difficile che i mercati facciano festa. Ma proprio quattro giorni dopo tocca alla Fed riunirsi per decidere sui tassi. Avrà il cuore di tenere duro di fronte a una possibile tempesta finanziaria e borsistica? O tirerà fuori il ribasso dei tassi, cioè il condono generale?
Si potrà anche vedere se qualcuno, alla fine, pagherà per questo disastro. Finora solo la società di rating Standard and Poor´s ha spedito a casa il proprio capo. Tutti gli altri colpevoli, banchieri (centrali e d´affari), revisori, certificatori, analisti, ecc., sono al loro posto. Remunerati a colpi di milioni di dollari e, sembra, inamovibili.
Fare del moralismo spicciolo è sempre un po´ sospetto. Ma di fronte alla vastità della crisi che è esplosa servirebbero urgentemente nuove regole (che impediscano il ripetersi di cose del genere), accompagnate da sei-sette licenziamenti esemplari. Ma forse resteranno tutti al loro posto. Magari si nominerà una pigra commissione per capire che cosa è successo davvero. A meno che la crisi non cresca in misura esponenziale nei prossimi giorni, obbligando tutti i responsabili a comportarsi, finalmente, in modo davvero responsabile. A fare, insomma, un po´ di pulizia nella finanza internazionale.
 
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

LA FED TAGLIERA' ALMENO TRE VOLTE

05 Settembre 2007, New York - di *David Kotok

*Fondatore Cumberland Advisor
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I dati sull’occupazione di ieri sono tali da giustificare più di un taglio dei tassi Usa. Risulta ormai chiaro da questo e da altri segnali che il mercato del lavoro sta peggiorando con grande rapidità. E la Federal Reserve non può più illudersi che la crisi dell’immobiliare, dei mutui subprime, dei commercial papers, degli hedge e via dicendo possa essere governata senza effetti sul mercato.
Perciò mi aspetto un taglio di un quarto di punto per la riunione del 18 settembre, seguito da un altro taglio analogo a fine ottobre. E se il mercato del lavoro continuerà a peggiorare, ci vorrà un altro taglio ancora entro la fine dell’anno. Il mercato già incorpora l’attesa di tassi al 4,5% entro l’anno. Ciò sta a indicare che si prevede una frenata dell’economia, non uno stop.

Ma se è corretta la nostra diagnosi, che dà per probabile un rapido deterioramento del mercato del lavoro a cornice di un peggioramento della congiuntura, la Federal Reserve si troverà a fronteggiare un concreto rischio di recessione già all’inizio del 2008. Il tutto con l’aggravante di un mercato immobiliare in caduta e di listini azionari in piena turbolenza su cui incideranno, tra l’altro, gli squilibri dei commercial paper destinati a «drogare», al rialzo, il premio del rischio richiesto dal mercato sulle varie emissioni.

In un quadro del genere è probabile che la Federal Reserve possa esser costretta a tagliare il costo del denaro di 2 o 3 punti percentuali nell’arco di un anno o forse più. Secondo le nostre stime, una previsione del genere ha oggi un buon 40% di probabilità, che sale ameno al 60% se si parla di un significativo rallentamento della crescita.

Non riesco, al contrario, a vedere una sola ragione all’orizzonte per ipotizzare un miglioramento della congiuntura nel breve termine. Ancor meno per ipotizzare un rialzo dei tassi dei Fed Funds nel futuro.

Quali conseguenze si possono trarre da questa emergenza? Il dollaro è destinato a indebolirsi, anche se è presto per sapere di quanto. Non da oggi abbiamo scommesso su una svalutazione fino a un range compreso tra 1,50 e 1,60 sull’euro e di 2,20 rispetto alla sterlina.

Entrambe le previsioni poggiano su elementi concreti. Più difficile, al contrario, è individuare il percorso dello yen: in questo caso, infatti, molto dipende dalle scelte che farà la banca centrale giapponese. La scelta delle autorità monetarie potrebbe essere quella di rinviare la ripresa del rialzo dei tassi per evitare una rivalutazione troppo marcata della moneta.

Insomma, non si vede alcuna ragione che possa spingere la Fed alzare i tassi. Ma, al contrario, incombe un serio rischio recessione. Perciò ci aspettiamo un taglio il 18 settembre, più altri 1-2 entro l’anno. Di qui un probabile rialzo per i bond ad alto rating e una prospettiva «bullish» per le azioni nel medio termine: complice la crisi, la Fed è passata dall’essere «nemica» di Wall Street a sua alleata.

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 

 

 

 

 

   Recessione o inflazione ?

02 Settembre 2007, Lugano - di *G. Barone-Adesi

*Giovanni Barone-Adesi e' professore di economia all’USI
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La crisi dei mercati monetari rischia di complicare notevolmente il lavoro delle banche centrali. Nei mesi passati le autorità monetarie, preoccupate dall’evidente tensione sul mercato dell’energia, che ha iniziato a diffondersi ai prezzi delle derrate alimentari e delle altre materie prime, avevano iniziato ad alzare i tassi per raffreddare l’economia ed assicurare così la stabilità dei prezzi. È un esercizio difficile anche nelle migliori condizioni, perché richiede continue revisioni, tempestive e accurate, delle prospettive di crescita della domanda.
La crisi di liquidità che attanaglia i mercati finanziari ha un impatto ancora difficilmente quantificabile sull’economia. L’incertezza che introduce nella valutazione delle prospettive di crescita rende improbabile che le banche centrali centreranno il loro obiettivo.
L’aumento della volatilità dei mercati finanziari indica lo scetticismo sul futuro che li pervade. Purtroppo le banche centrali non possono far molto di più in questa fase. Avendo assicurato, con un’ampia offerta di liquidità, che attività sane non debbano essere vendute a prezzi stracciati, sono tuttavia reticenti a modificare i tassi d’interesse in un quadro così confuso. Abbassare i tassi rischia di rinfocolare le tensioni dei prezzi delle materie prime, aumentarli rischia di trasformare il desiderato atterraggio morbido in un crash.

D’altra parte a questo punto il grosso della crisi sembra limitato a parti dell’industria finanziaria, anche se il suo perdurare avrebbe conseguenze disastrose sull’economia reale. Infatti un trilione di dollari in commercial paper deve essere rifinanziato nei prossimi due mesi, per garantire alle aziende la liquidità necessaria. Questo mercato funzionava grazie ai titoli che ne assicuravano l’approvvigionamento e ne ripartivano i modesti rischi. Il fatto che operatori poco trasparenti abbiano introdotto in esso surrettiziamente rischi più elevati ne ha bloccato gli ingranaggi. Il mercato, infatti, deve poter valutare il rischio per prezzarlo. Se scopre che le informazioni sono manipolate smette di funzionare.
Le poche aziende di alta qualità che riescono ad approvvigionarsi oggi devono pagare un premio del due per cento. Le aziende più piccole sono tagliate fuori. Sembrerebbe che il problema potrebbe essere ovviato temporaneamente dal credito bancario, data l’ampia liquidità disponibile, ma non è così. La regolamentazione internazionale, imposta da compromessi politici nonostante l’opposizione di molti studiosi, richiede che le banche abbiano riserve di capitale molto maggiori a fronte di prestiti diretti piuttosto che di titoli. Pertanto una piccola banca può svolgere un volume d’attività maggiore investendo in oscuri titoli piuttosto che finanziando aziende che conosce.

Quest’approccio, giustificabile in termini di diversificazione, diviene perverso se i rischi dei titoli non sono trasparenti. Ancora più preoccupante è il fatto che il capitale delle banche, dimensionato per i portafogli di titoli che finanziavano il credito, può non risultare adeguato se occorre tornare al finanziamento diretto, con l’applicazione dei coefficienti relativi. In qualsiasi caso è comprensibile la riluttanza delle banche ad estendere nuove linee di credito in un quadro così incerto. L’assenza di soluzioni evidenti suggerisce che questa crisi è molto più strutturale di quanto le limitate perdite lascino supporre. Se è così la riduzione dei tassi sembra l’unico percorso sensato per non far frenare l’economia troppo bruscamente. Naturalmente se l’economia riparte occorre essere pronti a cambiare marcia.

 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 

 

 

 

LA FED TAGLIA I TASSI DELLO 0.50%  

18/09/2007, 20:15 New York - di WSI
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Clamoroso: passa la linea dura, con decisione unanime del Federal Open Market Committee, per evitare il credit crunch i fed funds sono stati tagliati di 50 punti base, al 4.75%. Ben Bernanke e gli altri nove governatori riuniti hanno anche abbassato il tasso di sconto di 50 punti base, al 5.25%. Immediata la reazione dei mercati azionari, con il Dow Jones in rialzo nei primi secondi di 200 punti, e lo S&P500 in crescita +1.9%. L'euforia e' dovuta anche all'effetto volano delle ricoperture affrettate dei ribassisti.
Per evitare che l'economia americana precipiti in una pericolosa recessione, dovuta alla crisi dei mutui e al calo dei prezzi immobiliari, la banca centrale degli Stati Uniti ha deciso che il target sui fed funds scenda al 4.75%, il primo ribasso degli ultimi 4 anni. Il tasso interbancario era fermo al 5.25% dal 29 giugno dello scorso anno, lasciato poi invariato negli 8 incontri successivi.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee ha deciso oggi di abbassare il target sui fed funds di 50 punti base al 4.75%.
La crescita economica e’ stata moderata nell’arco del primo semestre, ma le condizioni del comparto del credito hanno il potenziale di intensificare la correzione del mercato immobiliare e contenere la crescita economica piu’ in generale. L’azione di oggi e’ mirata a fronteggiare alcuni degli effetti negativi sull’economia, che potrebbero altrimenti originarsi per via delle turbolenze sui mercati finanziari, e a promuovere una crescita moderata nel tempo.
Le letture sull’inflazione "core" hanno mostrato modesti miglioramenti quest’anno. Tuttavia, il Comitato ritiene che rimangano alcuni rischi, e continuera’ a monitorare attentamente gli sviluppi inflazionistici.
L’evolversi della situazione nei mercati finanziari dall’ultimo meeting del FOMC ha aumentato l’incertezza circa l’outlook economico. Il Comitato continuera’ a monitorarne gli effetti sulle prospettive economiche ed agira’ come necessario per garantire la stabilita’ dei prezzi e una crescita economica sostenibile.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati (all'unanimita'): Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Charles L. Evans; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Frederic S. Mishkin; William Poole; Eric Rosengren; e Kevin M. Warsh.
In un'operazione collegata, il Comitato dei Governatori (Board of Governors) ha approvato all'unanimita' un abbassamento di 50 punti base del tasso di sconto al 5.25%. Nel prendere questa decisione, il comitato ha approvato le richieste formulate dai Comitati dei Direttori (Boards of Directors) della Federal Reserve Bank di Boston, New York, Cleveland, St. Louis, Minneapolis, Kansas City e San Francisco.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di tagliare il tasso interbancario al 4.75%:
The Federal Open Market Committee decided today to lower its target for the federal funds rate 50 basis points to 4-3/4 percent.
Economic growth was moderate during the first half of the year, but the tightening of credit conditions has the potential to intensify the housing correction and to restrain economic growth more generally. Today’s action is intended to help forestall some of the adverse effects on the broader economy that might otherwise arise from the disruptions in financial markets and to promote moderate growth over time.
Readings on core inflation have improved modestly this year. However, the Committee judges that some inflation risks remain, and it will continue to monitor inflation developments carefully.
Developments in financial markets since the Committee’s last regular meeting have increased the uncertainty surrounding the economic outlook. The Committee will continue to assess the effects of these and other developments on economic prospects and will act as needed to foster price stability and sustainable economic growth.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Charles L. Evans; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Frederic S. Mishkin; William Poole; Eric Rosengren; and Kevin M. Warsh.
In a related action, the Board of Governors unanimously approved a 50-basis-point decrease in the discount rate to 5-1/4 percent. In taking this action, the Board approved the requests submitted by the Boards of Directors of the Federal Reserve Banks of Boston, New York, Cleveland, St. Louis, Minneapolis, Kansas City, and San Francisco.
 

 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

EUFORIA A WALL STREET, RALLY RECORD  

18/09/2007, 22:15 New York - di ANSA
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Grande euforia sulla borsa di New York dopo che la Federal Reserve ha deciso di abbassare il costo del denaro di 50 punti base al 4.75%, nel tentativo di contenere gli effetti negativi creati negli ultimi mesi dalla crisi del comparto immobiliare e dalle turbolenze nei mercati finanziari. Il Dow Jones ha archiviato la seduta con un rialzo del 2.51% a 13739, l’S&P500 ha guadagnato il 2.92% a 1519, il Nasdaq il 2.71% a 2651.
Il FOMC (Federal Open Market Committee) ha preferito adottare un atteggiamento aggressivo in risposta agli ultimi sviluppi economici ed ha operato un taglio di 50 punti base anche sul tasso di sconto. Divisi gli analisti: per alcuni si e’ trattato di una mossa azzeccatissima nell’attuale contesto economico (si allenta la pressione sui consumatori, possessori di carte di credo, mutuatari, aziende in cerca di credito, insomma si rimette ossigeno in un sistema finanziario abbastanza sfiancato); per altri l’operazione della Fed e’ stata esagerata, con il rischio di creare tra gli investitori una reazione da quasi-panico, allarmando i mercati sul possibile ingresso dell’economia americana in una fase di recessione dovuta al credit crunch. Gran parte del mercato si aspettava un taglio dei tassi d’interesse a breve dello 0.25%. Fino a pochi secondi prima dell'annuncio Fed, le chance di un taglio di 25 punti base misurate sui futurs dei fed funds erano infatti del 51.4%, quelle di un abbassamento di 50 punti base erano inferiori, pari al 41.1%.
La Fed ha preferito accantonare temporaneamente il pericolo dell’inflazione (comunque in graduale rallentamento), concentrandosi sull’impatto che avrebbe potuto avere un deterioramento delle attuali condizioni finanziarie sull’economia generale. I listini, schizzati al rialzo nelle due ore finali di contrattazioni, avevano gia’ ricevuto una spinta iniziale dall’aggiornamento macro, risultato nettamente migliore delle attese. Ad agosto i prezzi alla produzione hanno registrato un calo dell’1.4%, trascinati al ribasso dall’abbassamento dei generi alimentari e del petrolio. Le attese degli analisti erano per una contrazione dell’indice pari a -0.3%.
Sempre prima dell’apertura, notizie positive erano giunte anche dal fronte societario, ed in particolare dal comparto finanziario. La trimestrale di Lehman Brothers (LEH) (la prima di quattro grosse banche a riportare gli utili in settimana) risultata migliore del consensus, ha evidenziato un contenuto impatto della crisi dei mutui sui risultati fiscali. I profitti sono risultati in crescita del 3% a $887 milioni, i ricavi si sono attestati a $4.31 miliardi. Il titolo e’ salito del 9%. Sono risultati in rialzo anche i titoli delle altre grosse banche d’affari, Citigroup (C) e JP Morgan (JPM) (componenti del Dow Jones) hanno chiuso con rialzi superiori al 5%.
Bene il comparto retail, supportato dai buoni numeri fiscali della catena di grandi magazzini dell’elettronica Best Buy (BBY): il gruppo ha inaspettatamente riportato profitti in crescita e migliorato le stime sui prossimi mesi. Tra i titoli hi-tech, bene Adobe Systems (ADBE) forte del balzo del 41% dei ricavi nell’ultimo trimestre.
Sugli altri mercati, nel comparto energetico nuovo record del petrolio. I futures con consegna ottobre sono avanzati di 94 centesimi a quota $81.51 al barile. Sul valutario, l’euro e’ schizzato ad un nuovo record nei confronti del dollaro a 1.3981. Ovviamente con i tassi Usa piu' bassi il dollaro rende meno.
Ai massimi di 28 anni l’oro: i futures con consegna dicembre sono schizzati a $735.30 all’oncia nelle contrattazioni elettroniche successive alla decisione sui tassi; avevano chiuso la sessione regolare in rialzo di soli 20 centesimi a quota $724.00. In lieve calo infine i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ salito al 4.48% dal 4.47% di lunedi’.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

Crisi mutui, il presidente della Fed: "Le insolvenze destinate a crescere"

20 Settembre 2007, Roma - di ANSA
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«Le insolvenze sui mutui sono destinate a crescere ancora», lo ha scritto Ben Bernanke, presidente della Fed, nel testo consegnato per l’audizione odierna alla commissione servizi finanziari della camera Usa. Le insolvenze generano pignoramenti e il successivo passaggio delle proprietà degli immobili dal debitore al creditore.
«Nei primi due trimestri di quest’anno siamo a 320 mila (oltre la metà legati a mutui subprime) rispetto alla media di 250 mila dei precedenti sei anni», spiega Bernanke. Il presidente della Fed ha spiegato come le attuali turbolenze finanziarie abbiano reso più incerto il quadro macroeconomico e le prospettive di crescita. Il recente taglio dei tassi di interesse, «va inteso come un modo per contrastare certi effetti negativi» della crisi. Ma il Fomc, se necessario, è pronto ad agire sia per «garantire la stabilità dei prezzi e sia per aiutare la crescita economica», ha spiegato Bernanke.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

Martedì 18 settembre 2007   Martedì 18 settembre 2007   Mercoledì 19 settembre 2007
   
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GR1 RAI - 17 SET ore 23:00

   

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GR1 RAI - 19 SET ore 23:00

   

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   Bernanke, il tuo taglio di mezzo punto non basta

20 Settembre 2007, Lugano
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Anche ieri le borse hanno «festeggiato» il ribasso di mezzo punto dei tassi di interesse deciso martedì sera dalla Federal Reserve. I forti rialzi dei listini azionari inducono a ritenere che la crisi scoppiata ad agosto sia già stata superata o che sia prossima alla conclusione. Questo giudizio appare però, almeno per il momento, azzardato. Infatti il sospiro di sollievo dei mercati azionari non sembra ancora essersi esteso al mercato interbancario e al mercato monetario, che sono al centro delle attuali tensioni. La crisi finanziaria sarà superata quando le banche ricominceranno ad avere fiducia l’una nell’altra e quindi riprenderanno a prestarsi i soldi e quando i tassi sul mercato monetario, ossia i tassi a breve, scenderanno riavvicinandosi ai tassi guida definiti dalle banche centrali. Le continue immissioni di decine e decine di miliardi da parte delle banche centrali permettono alle banche di avere la liquidità che non possono più raccogliere sul mercato monetario o prendendola a credito dalle altre banche. Permettono inoltre di assorbire e di rifinanziare i titoli a breve che giungono a scadenza sul mercato monetario.

Così nel giro di poche settimane abbiamo assistito ad una forte contrazione del mercato monetario e ad un allargamento dell’esposizione diretta delle banche. Ora è evidente che la riduzione del costo del denaro, che si aggiunge alle continue immissioni di liquidità operate dalle banche centrali, allenta le tensioni, ma non può risolvere la crisi. Infatti l’attuale è solo apparentemente una crisi di liquidità, che si supera appunto con questo tipo di interventi. In realtà, essa è una crisi determinata dallo scoppio di un’enorme bolla del credito, che ha creato una grande sfiducia tra le stesse banche e soprattutto sugli strumenti utilizzati per finanziare questi crediti. Non a caso è partita proprio dal mercato dei mutui ipotecari più a rischio americani, si è poi estesa al mercato monetario per infine toccare la stessa «credibilità» del sistema bancario.

Il cuore del problema non è dunque che mancano i soldi (o la liquidità), per cui le iniezioni di capitali operate dalle banche centrali sono risolutive. Il problema è che i soldi ci sono, ma pochi si fidano di usarli per sottoscrivere titoli di dubbia affidabilità per paura di essere quelli che dovranno incassare delle perdite. E’ anche una crisi che tocca l’economia reale. Non è casuale che al centro dell’attuale crisi vi sia il mercato immobiliare. Infatti, i bassi tassi di interesse dell’inizio di questo decennio e la «liquidità artificiale» creata dalla nuova ingegneria finanziaria negli ultimi anni hanno prodotto ovunque (non solo negli Stati Uniti) un boom edilizio e un’impennata dei prezzi degli immobili. Negli Stati Uniti questa bolla immobiliare ha iniziato a scoppiare a causa del forte aumento delle insolvenze dei creditori più a rischio (quelli suprime) e a determinare una discesa dei prezzi dell’intero mercato immobiliare. E data l’importanza dell’edilizia e del settore immobiliare sull’intera economia americana si sono già cominciati a manifestare chiari segni di rallentamento della crescita.
Le immissioni di liquidità delle banche centrali e anche la riduzione dei tassi decisa dalla Federal Reserve servono per evitare un impressionante contrazione del credito e si propongono di ridurre il costo del denaro, che a causa della crisi è lievitato. L’obiettivo è far ripartire il mercato monetario e quello interbancario. Questi interventi non possono però risolvere il problema di chi si accollerà le perdite delle insolvenze e/o delle forti perdite di valore di molti titoli attualmente in circolazione. La faccenda viene complicata ulteriormente dal fatto che non si sa chi detiene questi titoli e soprattutto dal fatto che questi titoli sono stati impacchettati in strumenti finanziari complessi per cui è difficile anche il calcolo del loro valore odierno.

Nessuno sa quanti sforzi saranno ancora necessari e quanto tempo ci vorrà per raggiungere questo obiettivo. Ma questa è solo una tappa intermedia, poiché vi saranno da assorbire le perdite e soprattutto da evitare che il rallentamento dell’economia statunitense si trasformi in una recessione. Per questi motivi è probabile che la Federal Reserve sarà costretta a tagliare ancora i tassi (i mercati scommettono su una riduzione al 4% dei Fed funds) e ci sarà da capire quale influenza avranno questi ribassi dei tassi americani su un dollaro già oggi ai minimi storici rispetto all’euro. Le incognite sono numerose e riguardano anche l’economia europea che sicuramente risentirà le conseguenze della crisi, anche perché in alcuni paesi, come Spagna e Gran Bretagna, gli eccessi del mercato immobiliare fanno ritenere che questa enorme bolla del credito non sia solo un fenomeno americano.


 

 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 
 

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