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16
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settembre 2007 |
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23
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Se gli zombie si comprano
l'America
05 Settembre 2007
Torino - di Giulietto Chiesa
________________________________________
In tempi di crisi come questi, i
mostri si moltiplicano. Ecco avanzare nuovi zombie della finanza
mondiale: i «fondi sovrani d'investimento». Il nome è nuovo, la
sostanza è nota: sono i trilioni di dollari (migliaia di
miliardi) che gli Stati Uniti devono a Cina, Giappone, Arabia
Saudita, Dubai, Oman, Singapore ecc. Indebitamento vagante sotto il
pelo dell'acqua, ma che ha già superato - secondo le valutazioni
della banca d'investimento Morgan Stanley - l'astronomica cifra di
2500 miliardi di dollari. Chi c'è «dietro» è dunque chiaro: Stati
creditori. Ecco perché gli esperti chiamano questi iceberg «fondi
sovrani». Ora succede
che Washington comincia a essere preoccupata. Chi controlla questi
fondi, cioè certi Stati? Fino a ieri gli Stati Uniti avevano
costretto tutto il resto del mondo occidentale, tigri asiatiche
incluse, Europa inclusa, a privatizzare tutto, a vendere gli assetti
statali per metterli nelle mani delle corporation private. Solo che
Russia, Cina e altri hanno accumulato gran parte del debito estero
americano, prima in Certificati di Credito del Tesoro, e adesso
muovono all'offensiva comprandosi pezzi di America. Quindi gli
Stati, cacciati dalla porta, ritornano dalla finestra. Ed è solo
l'inizio. Perché è con
queste armi che potrebbero giocarsi gigantesche partite
geopolitiche, prezzi di materie prime potrebbero schizzare fuori
controllo, interi comparti industriali potrebbero essere messi in
ginocchio da operazioni gestite e controllate nell'ombra in nome di
interessi «stranieri». Con i ricatti politici corrispettivi.
Quello che gli Usa hanno fatto per costruire la «loro
globalizzazione» potrebbe ora ritorcersi a loro danno. Sempre
globalizzazione sarebbe, ma non più a stelle e strisce. Da qui la richiesta americana al
Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale di obbligare
questi zombie a rendere noti i loro piani e i loro portafogli, per
impedire che possano agire di sorpresa e sparigliare le carte. Prima
che sia tardi. Perché, sempre secondo Morgan Stanley, la legge della
crescita esponenziale, in cui ci troviamo invischiati tutti, farà
crescere il volume di questi debiti fino a 17.500 miliardi di
dollari nei prossimi dieci anni. E siccome nessuno, in questo
Occidente spensierato e suicida, osa parlare di riduzione dei
consumi (e dell'indebitamento), anche i rischi cresceranno
esponenzialmente. Certo che la Russia, e ancor più la Cina, per non
parlare di Singapore e di Dubai, sono a tal punto interconnesse con
l'economia americana e i suoi pazzeschi consumi, che nessuno vorrà
nuocere alla grande mucca che tutti mungono. Ma solo fino a un certo
punto. Per esempio i
rapporti tra Mosca e Washington non sono più così meravigliosi come
prima. E chi tratta con Pechino sa ormai a memoria che i cinesi non
si fanno dare lezioni da nessuno, cioè agiscono di testa propria e
tenendo conto dei loro interessi, immediati e strategici.
Cioè non sono ricattabili. Chi ha dunque il coltello dalla parte del
manico è sempre meno chiaro. E si potrebbe assistere al verificarsi
del paradosso, del tutto inedito, di fondi zombie che controllano
non solo pezzi del mercato mondiale, cioè delle intoccabili sfere
private delle corporation, ma anche dei santuari politici più
esclusivi. Si citano i casi, per ora relativamente piccoli:
della Cina, che ha cercato di comprarsi la britannica Barclays Bank;
di Singapore, che è partita all'offensiva per prendere il controllo
della catena di supermarket J. Salisbury, sempre britannica. Il
Dubai ha messo gli occhi sulla catena americana Barney's. E non è un
mistero che la Russia (il fatto che Gazprom sia formalmente una
società per azioni non inganna nessuno) è alla caccia di assetti
europei in tutti i settori dell'energia, e non solo nelle squadre di
calcio. Poi gli appetiti diventeranno più grossi.
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Fonte - La
Stampa |
Il
denaro
non
gira più
06 Settembre 2007
Roma - di Maurizio
Ricci ________________________________________
«Il marasma è ben lungi da essere
finito» ha dichiarato ieri al Congresso Robert Steel, il
responsabile per la finanza nazionale del Tesoro americano. In altre
parole, l´impressione è che la cura da cavallo che le banche
centrali hanno adottato, ormai da quasi un mese, attraverso quasi
quotidiane iniezioni di liquidità, come quelle di ieri, nel mercato
finanziario, non ha funzionato. Pompare soldi nella speranza di
rimettere in moto gli ingranaggi del credito è servito solo ad
evitare un collasso, come aspirine che trattano il sintomo,
ma non curano la malattia: gli ingranaggi restano bloccati. Oggi
potrebbero passare agli antibiotici, tagliando direttamente i tassi
di interesse, per rendere il credito di nuovo facile e appetibile.
Ma non è detto che basti. La crisi finanziaria esplosa ad
agosto, infatti, sta già oscurando le prospettive dell´economia
reale, costringendo - come è avvenuto ieri per l´Ocse - ad una
revisione delle previsioni di crescita, di investimenti di
occupazione che, ancora a giugno, sembravano brillanti. Per vedere
questo meccanismo concretamente al lavoro, basta guardare
all´andamento del Libor, il tasso interbancario sul mercato di
Londra. Nonostante le iniezioni di liquidità delle banche
centrali, ieri il Libor a 3 mesi per il dollaro era al 5,72 per
cento, il livello più alto dal gennaio 2001, contro il 5,36 per
cento ancora di luglio. E´ la prova che il credito è sempre più
caro, perché, nonostante gli sforzi di Bce e Fed, è sempre più
difficile trovare chi voglia prestare soldi a qualcun altro. Ma il
Libor è un tasso cardine, perché vi sono agganciati migliaia di
prestiti alle aziende e milioni di mutui immobiliari in tutto il
mondo, Italia compresa. Il rincaro del denaro espresso dal Libor si
ripercuote, dunque, direttamente sui bilanci delle imprese e sui
portafogli delle persone. Un taglio dei tassi d´interesse da
parte delle banche centrali, del resto, può fermare l´ascesa del
Libor, ma la crisi esplosa ad agosto ha radici più profonde. Secondo
Bill Gross che, attraverso la Pimco, gestisce il più grande
operatore in obbligazioni al mondo, la crisi è il risultato dei miracoli della nuova
finanza, quella del boom dei derivati. Sul Financial Times, Martin Wolf
sostiene che dalla crisi si esce rivedendo la normativa che ha
sottratto la finanza derivata ad ogni forma di trasparenza e di
controllo. Il motivo per cui il credito è, oggi, paralizzato
è, infatti, che nessun potenziale prestatore di denaro sa se e
quanto è affidabile chi glielo sta chiedendo, quanti derivati, a
cominciare dai famigerati Cdo, abbia in cassa e cosa ci sia dentro
questi Cdo. Il boom della finanza derivata, osservava un anno fa il
presidente della Fed di New York, Tim Geithner, ha reso più fluidi e
liquidi i mercati, «ma le novità non sono mai state testate da una
crisi». La crisi di agosto ne ha fatto emergere le debolezze.
La prima debolezza è che
nessuno è in grado, oggi, di valutare le perdite insite nella
situazione attuale. La stima prevalente è fra i 100 e i 200 miliardi
di dollari. Ma il problema non riguarda solo i mutui immobiliari,
che il mutuatario non salda. Impacchettati nei titoli-salsiccia come
i Cdo, ci sono anche i debiti delle carte di credito, le rate delle
automobili, i prestiti alle aziende. Ancora più importante, secondo
Gross, sarà capire «dove sono nascoste queste perdite».
Quali sono i "cadaveri", secondo la cruda definizione che
circola fra gli analisti, non ancora riconosciuti? Man mano che il
velo dell´opacità si solleva, si scopre che anche insospettabili
fondi monetari, sulla carta l´investimento più sicuro, sono
coinvolti nella crisi dei subprime, i mutui immobiliari senza
garanzia. Bloomberg riferisce, ad esempio, che fondi monetari
gestiti da Bank of America, Credit Suisse, Fidelity e Morgan Stanley
(al top della finanza mondiale) avevano in cassa, a giugno, Cdo per
un valore nominale di 6 miliardi di dollari. Inoltre, il meccanismo
di formazione dei Cdo prevede che una banca crei un´apposita entità,
fuori dal suo bilancio, (il nome in gergo è "conduit") per emetterli
e gestirli. La Sec, la
Consob americana, ha cominciato ad indagare su questi "conduit". Di
fronte a perdite montanti, la banca può, infatti, essere costretta a
reinserirli nel bilancio, perdite comprese. In realtà, nota
l´economista Nouriel Roubini, è difficile gestire con gli strumenti
tradizionali la crisi di un mondo del credito che tradizionale non è
più. Non sono più
le banche a creare credito, facendo leva sui loro depositi. Ma il
credito è creato da una moltitudine di attori, attraverso la
moltiplicazione dei derivati, collocati a garanzia del
credito. Una crisi creditizia non si esprime in una corsa
allo sportello, perché lo sportello in un hedge fund non c´è. E, a
differenza di tutte le crisi bancarie dopo il 1929, non c´è un
sistema di assicurazione dei depositi che freni il panico. La
conseguenza è che è difficile curare la paura, anche tagliando i
tassi. Lo verificheremo presto: il 14 settembre arriva a scadenza
quasi la metà del miliardo di dollari di "commercial paper", sorta
di cambiali a nove mesi, che sono la linfa del lavoro quotidiano del
sistema creditizio. Sarà cruciale capire quante verranno
rinnovate.
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Fonte - La
Repubblica |
Hedge
Funds
alla
sbarra
14 Settembre 2007
Milano - di Vincenzo
Sciarretta ________________________________________
Anche gli addetti ai lavori
restano impressionati di fronte all’enorme proliferazione degli
hedge fund, divenuti nel giro di pochi anni gli incontrastati attori
primi della finanza moderna. Ad essi, infatti, fa capo circa la metà
delle transazioni al New York Stock Exchange, il 30% delle
compravendite nel mercato del debito. E la percentuale sale al 55%
per le obbligazioni legate ai Paesi emergenti, per poi salire
addirittura all’80% nei cosiddetti titoli spazzatura.
Di qui un vortice di
quattrini da far venire il capogiro: nel solo secondo trimestre del
2007, ben 58,7 miliardi di dollari hanno trovato la loro strada in
queste linee di gestione. Persino in Italia, Paese di
risparmiatori «conservatori », si è assistito a una vera e propria
hedge-mania, con 5,4 miliardi di euro consegnati da inizio 2007, e
il patrimonio amministrato in ascesa del 36% in un anno. Di
fronte a questa espansione, è mancata un’azione dei regolatori.
Certo, il tema è stato preso
in considerazione in più meeting ad alto livello, tra Basilea,
Jackson Hole e Davos. Ma la discussione non è approdata a risultati
significativi, o quantomeno adeguati alle dimensioni del
fenomeno. Ciò che è mancato, almeno a livello pubblico, è una
riflessione sistemica sul peso che tale arsenale di fuoco nel suo
assieme esercita sui mercati finanziari. Ed è proprio questo il
fatto nuovo: Nove anni fa, Alan Greenspan poteva isolare con
successo la crisi di un solo hedge, Ltcm. Nel 2006, la crisi di
Amaranth, un default da 6 miliardi per il crollo dei futues suo gas,
non ha provocato conseguenze sui mercati. Ma né Ben Bernanke, né la Bce
hanno finora affrontato un incendiio che si sviluppa da più focolai.
Per far questo, sarebbe necessario disporre quantomeno di una mappa
del bosco hedge, oggi oscuro ai più. In particolare, vi sono
due punti inesplorati: 1) la struttura delle commissioni, che spesso
spinge i gestori verso una linea d’azione temeraria, con grave
pericolo per investitori e mercati. 2) L’elefantiasi raggiunta dalle
masse amministrate, a danno delle strategie operative. Partiamo
dal problema delle commissioni. Mettiamo che un gestore hedge abbia
chiuso il 2006, anno eccellente, con un risultato superlativo, il
50% in più (la quota del fondo passa cioè da 100 a 150). Su questo
guadagno il cliente retrocede al gestore il 20%, sicché il profitto
netto è di 40, non 50. Poi si arriva al 2007, il fondo inciampa nei
prestiti subprime, lasciando sul terreno il 40% del suo valore. Di
conseguenza, il patrimonio crolla da 140 a 84. Ovviamente, il
gestore non restituisce nulla al cliente, che registra ora una
perdita secca. Ma non basta. Visto che il contratto-tipo prevede
che non vengano pagate altre commissioni finché la quota non torni a
140, il gestore è tentato di chiudere il fondo, scusandosi con i
sottoscrittori e adducendo «eventi unici che hanno messo a soqquadro
i listini». Nel frattempo, però, il suo conto in banca trabocca come
la cassaforte di Zio Paperone. Ad esempio, se aveva iniziato il 2006
con 500 milioni di euro, il 2006 gli ha regalato 50 milioni in
compensi da performance. A questo punto il nostro gestore può
ritirarsi felicemente dal business alle Bahamas, oppure riaprire un
nuovo fondo, oppure impiegarsi in una banca d’affari. La
struttura delle commissioni, insomma, è fatta in modo da spingere i
gestori ad assumersi rischi eccessivi con lo scopo di massimizzare
gli onorari di breve termine. Certo, ci sono nomi al di sopra di
ogni sospetto, come Tudor, Citadel, Bridgewater, Pequot, Renaissance
ecc. ecc, nei quali i fondatori hanno spesso investita una fetta
notevole delle loro ricchezze personali e guidano l’azienda con
grande etica e professionalità. Ma con il big bang e la
moltiplicazione dei fondi, il mercato ha cambiato pelle. e le
insidie sono cresciute. L’altro problema dipende invece
dalla massa raggiunta. In origine, gli hedge fund potevano
essere paragonati a rapide navi corsare, al cui timone sedevano
bucanieri solitari, ruvidi, e intelligenti. Ma un conto è quando ci
sono poche navi corsare e molti galeoni da depredare, un altro è
quando il numero dei corsari supera quello dei galeoni. E poco ci
manca: nel 1996, gli hedge
fund avevano in cassa 150 miliardi di dollari, nel 2006 2.700, poi
moltiplicati per 5 o per 6 grazie alla leva. Ecco allora che enormi
correnti di denaro si inseguono sulle medesime operazioni, portando
in ottovolante valute, azioni e commodity. Quanta volte, nelle
settimane estive, abbiamo ascoltato manager che ripetevano frasi
come queste: «la nostra strategia è talmente di successo da
calamitare troppi investitori». Oppure, «altri soggetti hanno
venduto titoli identici a quelli che noi avevamo in portafoglio».
Insomma ai vari Dick, Harry e Tom è capitato di dare gli
stessi ordini allo stesso momento e con la stessa immensa leva
finanziaria, e i risultati sono sotto gl’occhi di tutti. Con ciò,
non è il caso di demonizzare gli hedge fund, che hanno garantito
efficienza e dinamismo ai mercati e una via d’investimento
appropriata ed efficace per una fetta rilevante di clientela. Ma è
un dato di fatto che l’incessante aumento della stazza degli hedge e
del loro numero tende ad esasperare le fluttuazioni di mercato e
rende più problematico centrare performances che giustifichino
commissioni ricche, anche nell’ordine del 20%. Di qui alla
tentazione del rischio temerario, il passo è breve.
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Fonte - Bloomberg -
Borsa&Finanza |
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Giovedì
06
settembre 2007 |
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Sabato
08
settembre 2007 |
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Sabato
08
settembre 2007 |
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Cambi:
Dollaro Giu' Con Dati Usa,Attesa Per Beige Book e
Bce
05 Settembre 2007
Milano 18:27 - di ANSA
(ANSA) - ROMA, 5 SET -
Il dollaro va giù dopo i segnali preoccupanti
sull'andamento dell'occupazione e del mercato immobiliare
negli Usa, mentre c'é attesa per il Beige Book della Fed
(stasera) e per la riunione di politica monetaria della
Bce. Il mercato spera infatti di avere maggiori indizi
sullo stato di salute dell'economia Usa e di quella di
Eurolandia, ma soprattutto sull'evoluzione dei tassi di
interesse alla luce della crisi del credito e del terremoto
dei mutui subprime. Proprio oggi, l'Ocse ha tagliato le
stime di crescita dell'Unione Europea e degli Usa e il capo
economista dell'organizzazione parigina, Jean-Philippe Cotis,
ha auspicato un taglio dei tassi d'interesse da parte della
Federal Reserve, mentre ritiene probabile che la Bce decida di
rinviare una stretta monetaria, aspettando che siano passate
le attuali turbolenze sui mercati. Sul valutario, il
biglietto verde si è indebolito nei confronti delle principali
valute, con l'euro che viaggia sui massimi di seduta di 1,3656
(contro 1,3605 della chiusura di ieri a New York). In
rialzo lo yen a 115,1 per dollaro (da 116,3), grazie
soprattutto al rientro posizioni speculative 'carry trade' in
una giornata che vede le borse in deciso ribasso. La moneta
americana sta pagando notizie peggiori del previsto sul
mercato del lavoro dove si iniziano ad avvertire con più
incisività gli effetti della crisi del mercato del credito e
della recessione del comparto immobiliare. Il rapporto di
agosto del Challenger, Gray & Christmas mostra che il
numero dei licenziamenti programmati ha segnato un rialzo del
22% rispetto ad agosto 2006. Parallelamente all'aumento dei
tagli occupazionali si registra una brusca frenata delle
assunzioni. Sempre oggi l'indice ADP Employer Services -
considerato uno degli indicatori più seguiti dalla Federal
Reserve - ha rivelato che ad agosto le aziende statunitensi
hanno fatto il più basso numero di assunzioni da giugno 2003
(38.000 unità contro le 80.000 previste). Continua a
peggiorare, poi, il mercato della casa: i contratti di
compravendita di abitazioni negli Stati Uniti, a luglio, sono
risultato in calo del 12,2% contro previsioni per una
flessione ben più contenuta, del
2,2%.(ANSA).
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Fonte - Bloomberg -
Finanza&Mercati |
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Borse:
Mercati In Deciso Calo Sulla Scia Di Wall
Street/Ansa
05 Settembre 2007
Milano 19:44 - di ANSA
(ANSA) - MILANO, 5 SET
- Seduta in forte calo per le piazze finanziarie europee che
hanno registrato perdite superiori a due punti percentuali a
Milano, la peggiore, Madrid e Parigi. Le borse, che hanno
avviato la giornata all'inizio in lieve flessione, hanno
peggiorato la loro performance in linea con l'apertura
negativa Wall Street che ha poi ampliato le perdite a metà
seduta, su cui pesa la flessione dei contratti di
compravendita delle case a luglio (-12,2%), registrando il
peggior risultato dal 2001. Un dato in netto calo rispetto
anche alle aspettative degli analisti che ha, così, riproposto
la preoccupazione legata al crollo dei mutui subprime, dopo le
turbolenze dello scorso agosto. Tra i settori che hanno
risentito maggiormente di questa tensione si è evidenziato
quello bancario (-2,21% sull'indice Dj Stoxx di settore)
perché si temono utili inferiori alle aspettative a causa dei
costi dei prestiti. Nel corso della seduta, sui mercati del
Vecchio Continente hanno pesato anche le previsioni negative
dell'Ocse che ha tagliato le stime di crescita dell'Unione
europea per quest'anno al 2,6%, contro il 2,7% del periodo
precedente, a causa della crisi dei subprime. Ma da Bruxelles
il commissario Ue agli affari economici e monetari, Joaquin
Almunia ha gettato acqua sul fuoco ricordando come, nonostante
si profili un rischio al ribasso, "l'economia europea continua
a essere un'economia che si basa su fondamenta solide" e che
non dovrebbe perciò "subire conseguenze particolari dalla
crisi dei mutui statunitensi". In calo i maggiori indici
europei con il Dow Jones Stoxx 600 sotto dell'1,7%, lo Stoxx
50 sceso dell'1,6% e l'Euro Stoxx 50 in flessione del 2%. Tra
i titoli bancari, a Londra Bradford e Bingley ha perso il 5,2%
dopo il taglio del giudizio da parte di Lehman Brothers. Male
anche Societe Generale (-3,3%), Northern Rock (-5,1%),
Deutsche Bank (-2%) e Credit Suisse (-1,2%). In calo anche il
settore real estate con Meinl European Land che è sceso di 11
punti percentuali dopo il taglio del rating da parte di
Standard & Poor's. In rosso, poi, Michelin (-2,8%) a causa
dei rialzi del prezzo della gomma. Il ribasso del prezzo del
greggio fa tornare in negativo i petroliferi con Statoil
(-2%), Total (-1,76%) e Shell (-0,96%). Tra i pochi titoli in
nero, Vedanta Rosources (+2,8%) dopo che Merrill Lynch ha
inserito il titolo nella lista 'Europe 1'. Di seguito, gli
indici dei titoli guida delle principali borse europee. -
Londra -1,66% - Parigi -2,14% - Francoforte -1,73% - Madrid
-2,40% - Milano -2,42% - Amsterdam -1,50% - Stoccolma -2,32% -
Zurigo -1,37% - Wall Street (in corso)
-0,87%.(ANSA).
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Mutui: Bce Ferma Su Tassi, Domani Riduce Stima
Crescita/Ansa
05 Settembre 2007
Milano 19:30 - di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - FRANCOFORTE, 5
Set - Il costo del denaro rimarrà invariato in Eurolandia: la
Bce nel corso del consiglio direttivo in programma domani
deciderà - secondo gli analisti e in linea con quanto
'consigliato' oggi dall'Ocse - di lasciare il tasso di
riferimento fermo al 4% e di valutare se fare o meno ulteriori
aumenti alla luce dell'andamento dei mercati, che continuano a
mantenersi volatili a causa della crisi dei mutui subprime.
L'attenzione - spiegano gli analisti - è sulla conferenza
stampa che domani terrà il presidente dell'Eurotower,
Jean-Claude Trichet, durante la quale saranno diffuse anche le
stime di crescita aggiornate, che dovrebbero essere riviste al
ribasso proprio per la crisi dei mutui facili statunitensi.
L'Ocse oggi ha abbassato le proprie previsioni per Ue e Usa,
rispettivamente dal 2,7% al 2,6% e dal 2,1% all'1,9%. Ma il
commissario europeo agli affari economici, Joaquin Almunia, ha
osservato che pur essendoci rischi al ribasso per la crescita,
l'economia europea è solida. La Bce, se i mercati
continueranno a mostrarsi volatili, si é detta oggi pronta a
nuovi interventi, cioé a nuove immissioni di liquidità, come
già avvenuto in agosto. Già ieri, l'Eurotower tramite un'asta
ordinaria aveva immesso 46 miliardi (con l'asta sono stati
assegnati 256 miliardi di euro, ieri veniva a scadenza una
precedente operazione da 210 miliardi). Il tasso overnight in
euro è vicini ai massimi degli ultimi sei anni. Ma
l'istituto di Francoforte non è il solo a monitorare con
crescente attenzione l'andamento dei mercati: la Fed ha
sostenuto i listini assegnando all'asta oggi 8,5 miliardi di
dollari. Oggi è scesa in campo anche la Banca d'Inghilterra
annunciando che il prossimo 13 settembre offrirà 4,4 miliardi
di sterline (8,9 miliardi di dollari) a un tasso del 5,75%,
inferiore cioé a quello solitamente applicato nello sportello
speciale di credito (le operazioni condotte attraverso questo
strumento hanno un tasso di un punto percentuale superiore).
Il tasso overnight in sterline a tre mesi è ai massimi dal
dicembre 1998, attestandosi al 6,8%. Sempre per domani è
attesa la decisione della Bank of England sui tassi di
interesse, che dovrebbero restare fermi al 5,75%. Oggi la
Banca centrale australiana ha lasciato, proprio a causa delle
difficoltà legate ai mutui subprime, i tassi invariati. E
un'analoga decisione dovrebbe prendere in serata la Banca del
Canada. L'attesa è tutta per la parole che Trichet
pronuncerà domani, dalle quali gli economisti si attendono una
valutazione concreta degli effetti della crisi mutui subprime.
Anche dalle stime aggiornate di crescita arriveranno le prime
indicazioni sull'impatto che i mutui facili statunitensi
avranno sull'andamento dell'economia. Proprio oggi l'Ocse ha
annunciato di aver rivisto al ribasso, a causa dei subprime,
le stime di crescita Ue e Usa. Almunia, ha comunque osservato
oggi che pur essendoci dei rischi al ribasso per la crescita,
l'economia europea "é solida. Il fattore più importante sarà
l'impatto che la crisi" dei mutui subprime "avrà sulla
fiducia, che è il motore fondamentale sia per gli investimenti
sia per i consumi". Il Fondo monetario internazionale, da
parte sua, ha annunciato nei giorni scorsi una revisione a
ribasso delle previsioni.(ANSA).
.gif) |
Fonte -
ANSA |
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Borsa: Wall Street Cede Titoli Finanziari, Delude
Beige Book
06 Settembre 2007 New
York 00:00 - di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 5
SET - Wall Street chiude in pesante calo la seduta, sotto il
peso delle vendite dei titoli finanziari e della delusine
legata al Beige Book nel quale la Federal Reserve ribadisce
che la crisi dei mutui subprime è limitata, spegnendo gli
entusiasmi per un taglio dei tassi d'interesse a breve. Il
Dow Jones perde l'1,07% (a 13.305,47 punti), il Nasdaq cede lo
0,92% (a quota 2.605,95), mentre lo Standard & Poor's 500
si attesta a 1.472,29 punti (-1,15%). A soffrire di più
sono i finanziari in un mercato dove si fanno più pressanti i
timori che la crisi del credito possa ridurre i profitti
societari e frenare, di conseguenza, la crescita economica. La
Fed è nuovamente intervenuta immettendo ulteriore liquidità
nel sistema per 8,5 miliardi di dollari, ma le sue manovre
possono essere vanificate dal forte aumento del tasso Libor
salito fino a 6,80%, un livello che secondo la British Bankers
Association è il più alto dal 1998. Intanto, cresce la
preoccupazione per la portata della crisi sull'economia in una
giornata condizionata dai segnali di netto peggioramento del
mercato della casa e del lavoro. Proprio oggi, l'Ocse ha
tagliato le previsioni di crescita per l'Europa e gli Usa,
spiegando che è difficile valutare se per gli Usa ci sia un
rischio di recessione. Il capo economista dell'organizzazione
parigina, Jean-Philippe Cotis, ha auspicato un taglio dei
tassi d'interesse da parte della Federal Reserve, ma dal Beige
Book, il rapporto sullo stato di salute dell'economia
americana aggiornato dalla Banca centrale Usa al 27 agosto,
delinea una crescita moderata, con alcuni segnali di
rallentamento, senza conseguenze pesanti per le turbolenze dei
mutui subprime. Dal settore immobiliare arrivano segnali
sempre più allarmanti: i contratti di compravendita di
abitazioni negli Stati Uniti, a luglio, sono crollati del
12,2% contro previsioni per una flessione ben più modesta del
2,2%. Sull'occupazione, inoltre, si iniziano ad avvertire con
più incisività gli effetti della recessione del comparto
immobiliare e della crisi del mercato del credito rendendo più
palpabile il rischio di una frenata dei consumi, che
rappresentano i due terzi del Pil Usa. Il rapporto di agosto
del Challenger, Gray & Christmas mostra che il numero dei
licenziamenti programmati ha segnato un rialzo del 22%
rispetto ad agosto 2006. Parallelamente all'aumento dei
tagli occupazionali si registra una brusca frenata delle
assunzioni. Sempre oggi l'indice ADP Employer Services -
considerato uno degli indicatori più seguiti dalla Federal
Reserve - ha rivelato che ad agosto le aziende statunitensi
hanno fatto il più basso numero di assunzioni da giugno 2003
(38.000 unità contro le 80.000 previste). Tra i singoli
titoli, spiccano i ribassi dei finanziari con Lehman Brothers
(-3,74% a 54,35 dollari), Morgan Stanley (-2,14% a 62,56
dollari), Citigroup (-2,56% a 46 dollari), JP Morgan (-2,49% a
44,17 dollari). Pesante il discount Costco Wholesale (-4,24% a
59 dollari) dopo aver riportato ad agosto vendite inferiori
alle previsioni. Mattel recupera nel finale, fino al rialzo
frazionale dello 0,05% (a 21,98 dollari): per la terza volta
in poche settimane, il leader mondiale dei giocattoli ritira
dal mercato alcuni prodotti fabbricati in Cina, a causa delle
vernici con alto contenuto di piombo e di altre sostanze
dannose. (ANSA).
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WALL
STREET: PERDITE PESANTI, LA CRISI
CONTINUA
07 Settembre 2007 New
York 22:30 - di ANSA ______________________________________________
Giornata pesante a Wall
Street, colpita da forti vendite innescate dal pessimo
rapporto sull’occupazione e dall’allarme lanciato dal grande
Vecchio della finanza, Alan Greenspan. Il Dow Jones ha chiuso
poco lontano dai minimi giornalieri con una perdita dell’1.87%
a 13113, l’S&P500 ha ceduto l’1.69% a 1453, il Nasdaq e'
arretrato dell’1.86% a 2565. A dare la stura alle vendite
gia’ nel preborsa era stato l'orribile rapporto occupazionale
che ha decisamente spiazzato gli operatori di Wall Street. Nel
mese di agosto l’occupazione ha subito una contrazione di 4
mila posti di lavoro, segnando il primo calo degli ultimi 4
anni. Le attese degli economisti erano per la creazione di 110
mila nuovi posti nel settore non agricolo. E’ evidente
dunque l’impatto che la crisi dei mutui e le turbolenze nel
settore finanziario hanno avuto negli ultimi mesi sul mercato
del lavoro. Senza trascurare le conseguenze che potrebbero
subire la spesa dei consumatori e i profitti aziendali.
Diverse banche d'affari hanno avanzato ipotesi su un possibile
taglio ai fed funds da parte della Banca Centrale nel meeting
del prossimo 18 settembre. Si tratta di numeri che
lasciano pensare all’inizio di una recessione; in molti danno
per scontato dunque un abbassamento del costo del denaro, il
dubbio resta in che misura (1/4 o 1/2 punto percentuale). I
futures sui fed funds indicano una percentuale del 75% su un
taglio di 50 punti base nel prossimo incontro; i tassi
potrebbero addirittura scendere al 4.25% (dal 5.25% attuale)
entro la fine dell'anno. Ad allarmare gli investitori sono
state anche le dichiarazioni dell’ex presidente della Banca
Centrale americana, Alan Greenspan, secondo cui la difficile
situazione creatasi nel comparto del credito e la contrazione
dei listini nelle ultime sette settimane sono “identitiche”,
sotto diversi aspetti, al crollo dei mercati verificatosi nel
1987. L'allerta del Grande Vecchio della finanza americana
(per molti operatori responsabile di tutte le bolle
finanziare, passate e presenti) ormai svincolato dagli
obblighi dell'ufficialita' da banchiere centrale, ha fatto
sensazione tra gli operatori di Wall Street. Un ulteriore
segnale di allarme relativo ad un possibile rallentamento dei
consumi e’ poi giunto dalla nota societa’ produttrice della
popolare motocicletta Harley-Davidson (HOG) che ha tagliato le
stime sulle spedizioni e ridotto del 5% le previsioni sugli
utili dell’anno fiscale in corso. Alla base della decisione,
“il difficile momento per i consumatori americani”. Il titolo
e’ arretrato di oltre 8 punti percentuali. Tutti i titoli
del Dow Jones tranne uno (Johnson & Johnson) hanno chiuso
in rosso. I maggiori ribassi (superiori al 3%) sono stati
segnati da General Motors (GM), Alcoa (AA), Caterpillar (CAT)
e Honeywell (HON). Sugli altri mercati, nel comparto
energetico, il petrolio ha continuato a spingersi al rialzo. I
futures con consegna ottobre hanno chiuso con un progresso di
40 centesimi a quota $76.70 al barile. La performance
settimanale e’ pari a +3.6%. Sul valutario, l’euro e’
schizzato rispetto al dollaro. Nel tardo pomeriggio di
venerdi’ a New York il cambio tra le due valute e’ di 1.3769.
In forte progresso l’oro, spinto dalla corsa degli investitori
verso i beni rifugio: i futures con consegna dicembre sono
avanzati di $5.10 a $709.70 all’oncia. In forte rialzo infine
i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’
sceso al 4.368%, livello che non si vedeva dal gennaio
2006.
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Fonte -
ANSA |
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E adesso giocate a tutto
campo
03
Settembre 2007 Milano - di Giuditta Marvelli
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Una doccia fredda che ha ridato
tonicità ai prezzi surriscaldati. Michele Gambera, capo economista
di Ibbotson Associates, la casa di consulenza americana oggi
controllata da Morningstar, è convinto che l’acquazzone di agosto
non sia venuto per nuocere. Il suo ufficio studi, famoso per
le analisi di lungo periodo sugli strumenti finanziari, ha fatto
qualche ragionamento in merito ai rimbalzi che seguono le grandi
crisi. E sulle possibilità di limitare i danni con un portafoglio
ben diversificato. La
storia insegna che dopo le bufere c’è sempre da guadagnare? «E’
difficile generalizzare. Ed è anche difficile dire se è davvero
finita la fase peggiore, visto che la volatilità è tornata a fare da
padrona sui mercati. Ma l’evidenza empirica del rimbalzo si è vista
in tante occasioni. Un anno dopo il disastro del 1987,
quando le Borse bruciarono il 20% nel mese di ottobre, ci fu un
recupero di oltre il 14%. E dopo la crisi del 1998, quando
crollarono i mercati asiatici e scoppiò l’hedge fund Ltcm, la
risalita fu addirittura nell’ordine del 40%». E oggi? «Al
momento l’entità delle perdite azionarie è limitata rispetto a
questi due esempi. Nelle prime due settimane di agosto l’S&P 500
ha perso "solo" il 3,19%. Esaminando le sorti dei principali asset
si può comunque vedere che prima di Ferragosto, durante quello che
per ora è stato l’apice della crisi, avrebbe perso moltissimo, oltre
l’8%, chi aveva puntato sui mercati emergenti. Mentre con i bond
governativi americani si sarebbe addirittura portato a casa un
risultato positivo dello 0,63%. L’ennesima dimostrazione che
diversificare in modo intelligente paga». Perché, a vostro giudizio, non è
il caso di diventare pessimisti? «Perché le condizioni dell’economia
mondiale non sono mutate rispetto a qualche mese fa. E i
numeri ci dicono che il motore è acceso: c’è crescita nei Paesi
Emergenti, la disoccupazione in Europa è bassa, la produttività del
settore manufatturiero è piuttosto alta. Negli Stati Uniti sono in
crisi vera solo il settore delle costruzioni e quello delle
automobili.» Quali sono le analogie tra questa crisi e quelle
viste nel più recente passato? «L’espansione dei prezzi e
l’incapacità di dare il giusto valore al rischio. Già nel 2005 Alan
Greenspan diceva che la storia non è mai benevola con i periodi in
cui sparisce la capacità di dare al rischio il giusto valore di
mercato. E’ successo anche stavolta». Il disastro viene da un settore
particolare. quello dei mutui, che però ha gravi effetti sui bilanci
delle famiglie americane... «Sì. Questa volta l’occhio del ciclone è
nei titoli obbligazionari che vengono dalla cartolarizzazione dei
mutui, sempre più esosi e sempre più alti, che le famiglie americane
hanno stipulato in questi anni. Titoli che troppo agevolmente
sono stati classificati come sicuri e che invece non lo erano
affatto. In questo senso non è accaduto nulla di diverso da quel che
si è già visto altre volte: il mercato ha riprezzato il rischio che
per un certo periodo non era più stato in grado di vedere». Le
carte si sono rimescolate per tutti gli asset? «Certo. I mercati
sono alla ricerca di nuovi equilibri. Per esempio sono tornate a
livelli ben più razionali le distanze di rendimento tra le
obbligazioni ad alto rischio e i titoli governativi americani. Tra i
rispettivi indici Lehman in dollari oggi c’è un differenziale di
oltre 4 punti percentuali, contro i 2 e un quarto che si vedevano
prima della crisi. Troppo pochi». Un consiglio per i
risparmiatori? «Diversificare. Può sembrare banale, ma non lo è. Chi
aveva un portafoglio razionale e ben distribuito non ha sofferto più
di tanto. E oggi può fare nuove scelte di fronte a prezzi più bassi
e in un contesto dove il rischio ha di nuovo valore. Ora è sempre
impossibile dire quale delle asset class contenute in un patrimonio
farà meglio delle altre nei mesi successivi. Ma essere sempre pronti
a parare i colpi del destino con un mix adatto agli obiettivi della
famiglia è una strategia che paga sempre».
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Fonte - Corriere della
Sera |
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Sabato
15
settembre 2007 |
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Giovedì
20
settembre 2007 |
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Venerdì
21
settembre 2007 |
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Il
governo inglese
garantisce i depositi bancari: fiducia o
disperazione?
17 Settembre 2007
Londra - di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Il Governo di Sua
Maestà Britannica ha annunciato oggi che garantirà i depositi
di Northern Rock e di ogni banca che si trovasse nella stessa
situazione: una crisi di liquidità, ossia di contanti, che
minaccia una istituzione finanziaria altrimenti sana. Un
portavoce del Tesoro ha definito la dichiarazione “legalmente
vincolante per il governo”. La reazione di mercato è stata,
per il momento, ridotta e per un buon motivo . Il Governo
non ha fatto altro che rendere esplicito ciò che è sempre
stato implicitamente dato per scontato, ossia che una banca ,
in cambio di una occhiuta regolamentazione delle proprie
attività, ottiene la garanzia che non fallirà nelle proprie
obbligazioni nei confronti dei correntisti. La necessità di
rendere esplicito questo impegno è tuttavia preoccupante:
nelle precedenti crisi, non si erano formate le code
chilometriche viste fuori alcune filiali di Northern Rock,
evidenziando una crisi di fiducia nel sistema bancario e nelle
parole delle autorità di vigilanza che ha portato ad una mossa
che potrebbe sembrare ai limiti della disperazione. Nulla
d’inatteso: il meccanismo di creazione di moneta fiduciaria in
eccesso ha permesso di facilitare una gestione economica
centralizzata, inerentemente inefficiente, nelle ultime due
generazioni, al prezzo della distorsione dell’evoluzione del
settore finanziario, sino a trasformarlo in un oligopolio dove
le norme naturali di mercato valgono solamente in
parte.
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Fonte - Macromonitor
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MUTUI: NUOVO
INTERVENTO DELLA BANK OF ENGLAND
29 Agosto 2007 New York
- di
ANSA ____________________________
Per far fronte alle
esigenze straordinarie di liquidita', la Banca d'Inghilterra
collochera' 10 miliardi di sterline attraverso un'asta
d'emergenza. La Banca d'Inghilterra collochera' 10 miliardi
di sterline attraverso un'asta pronti contro termine
d'emergenza con durata sei mesi. Lo ha comunicato la banca
centrale che, per far fronte alle esigenze straordinarie di
liquidita' da parte degli istituti di credito, ha anche deciso
di accettare come collaterale per le aste una maggiore
varieta' di titoli. 'Si tratta di una misura adottata per
alleviare la tensione sul mercato monetario a lunga
scadenza',ha comunicato la Banca
d'Inghilterra.
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I subprime non spaventano i
gestori
12 Settembre 2007 Milano - di Sara
Silano
Secondo il
sondaggio di Morningstar, le Borse riprenderanno la corsa nei
prossimi mesi. Preferita l’Europa a Stati Uniti e Giappone. I
mercati obbligazionari scontano un taglio dei tassi negli Usa; meno
chiare le mosse della Bce.
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La crisi dei mutui subprime,
quelli di minor qualità, non spegne l’ottimismo dei gestori sulle
Borse. Secondo il sondaggio condotto da Morningstar nella prima
settimana di settembre, i mercati torneranno a crescere, dopo aver
smaltito la tensione sui crediti, perché il quadro economico rimane
solido. In sostanza, i fund manager confermano le previsioni
espresse a luglio di una correzione di breve periodo, sempre che non
giungano cattive notizie sul fronte macro o degli utili aziendali,
in particolare quelli bancari (è grande l’attesa per le trimestrali
d’autunno).
Europa favorita
Secondo il 70,6% dei
gestori, le Borse europee saliranno nei prossimi sei mesi, una
percentuale inferiore rispetto a luglio (83%) e giugno (78%), ma
superiore a quella delle altre aree. I fund manager sono convinti
che le tensioni sul mercato del credito si allenteranno e l’impatto
sull’economia sarà limitato. Considerano possibile un calo delle
esportazioni causato dal rallentamento statunitense e dalla forza
dell’euro, ma confidano nella tenuta della domanda interna. Per
quanto riguarda le valutazioni dei titoli, sono giudicate dalla
maggior parte degli intervistati “attrattive” dopo la correzione
estiva. Non si discostano molto le previsioni per Piazza Affari,
salvo una maggior preoccupazione dovuta al peso delle banche sul
listino milanese.
Wall Street attende il taglio dei tassi
La prospettiva di un taglio dei tassi di interesse da parte
della Federal Reserve rende i gestori abbastanza ottimisti sulla
Borsa statunitense. Quasi il 60% dei fund manager stima una crescita
nei prossimi sei mesi, contro il 6% di pessimisti, pur mettendo in
conto una volatilità elevata. Lo scenario macro considerato più
probabile è il soft landing, ossia un rallentamento moderato, ma
sono ancora da valutare gli effetti della crisi immobiliare
sull’economia. Sul fronte degli utili, il tasso di crescita si
conferma sopra le aspettative (+8,2% per le società dell’S&P500
in agosto).
Enigma giapponese
Per il 58,8% dei
gestori la Borsa di Tokyo salirà nei prossimi sei mesi, percentuale
in forte calo rispetto a luglio. Il listino nipponico è stato il più
colpito dalla correzione estiva; tuttavia meno del 6% dei fund
manager è convinto che continuerà a scendere, mentre il 35% prevede
una stabilizzazione attorno agli attuali livelli. Il mercato
azionario non è supportato dal quadro macro: gli ultimi dati hanno
mostrato un calo del Prodotto interno lordo (Pil) dello 0,3% nel
secondo trimestre, più di quanto si attendevano gli analisti. Gli
esperti sono divisi su quale sarà l’andamento degli utili e sulle
valutazioni dei titoli, mentre sono convinti che i tassi rimarranno
bassi e lo yen debole.
Meno scontate le mosse delle Banche
centrali
Nel sondaggio di luglio, la maggior parte dei
gestori prevedeva un rialzo dei tassi da parte della Banca centrale
europea (Bce) a settembre. L’istituto guidato da Jean-Claude Trichet
ha invece mantenuto fermo il tasso di riferimento per aiutare i
listini a superare la crisi dei subprime. Ora i fund manager sono
più cauti sulle future mosse. Se l’economia continuerà a crescere in
modo sostenuto, un ulteriore rialzo appare probabile; se al
contrario la Fed interverrà in modo massiccio per sostenere
l’economia, la Bce non potrà non tenerne conto. Negli Stati Uniti è
stimato un taglio di 50 punti base entro fine anno, che, però, è già
scontato dai mercati e quindi non dovrebbe dare vita a un rally dei
prezzi. Un gestore su due prevede una stabilizzazione dei corsi
oltreoceano, mentre il 58% è convinto di un calo in Europa.
Leggero vantaggio dell’euro sul dollaro
La divisa
comunitaria è da mesi considerata sopravvalutata nei confronti del
biglietto verde, ma potrebbe continuare la sua corsa per il 37,6%
dei gestori, sostenuta dall’economia che appare più solida rispetto
a quella americana e giapponese. L’euro potrebbe essere favorito
anche dalle differenti politiche monetarie di Fed e Bce.
Hanno partecipato al
sondaggio, condotto tra il 31 agosto e il 7 settembre, 17 delle
principali società di diritto italiano ed estero operanti sul
territorio, che contano per circa il 75% degli asset gestiti in
Italia. Si tratta di Aberdeen AM, Aletti Gestielle, American
Express, Anima Sgr, Banca Profilo, Dws Investments Italy, Eurizon
Capital Sgr, Henderson, Ing Im, Invesco, Julius Baer Sgr, Mps Am,
Pictet & Cie, Pioneer Im, Sella Gestioni Sgr, Union investment,
Vontobel.
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Fonte -
MorningStar.it |
WALL
STREET: OTTIMISMO IN
ATTESA DELLA FED
18 Settembre 2007 New
York 15:32 - di
ANSA
(ANSA) Apertura
positiva grazie alla trimestrale di Lehman e al dato macro
sull'inflazione. Occhi puntati sulla Federal Reserve: atteso
un taglio dei tassi di almeno 25 bp Avvio di seduta in
rialzo per gli indici americani, spinti dalla buona
trimestrale di Lehman Brothers e dal dato macro
sull’inflazione. Il Dow Jones guadagna lo 0.29% a 13442,
l’S&P500 lo 0.35% a 1481, il Nasdaq segna +0.49% a 2594.
Ad offrire la spinta iniziale agli indici e’ stato
l’aggiornamento sulle pressioni inflazionistiche, risultato
nettamente migliore delle attese. Ad agosto i prezzi alla
produzione hanno registrato un calo dell’1.4%, trascinati al
ribasso dall’abbassamento dei generi alimentari e del
petrolio. Le attese degli analisti erano per una contrazione
dell’indice pari a -0.3%. L'attenuarsi delle
preoccupazioni su un possibile risorgere dell'inflazione offre
il fianco alla Federal Reserve nella manovra di ribasso dei
tassi, che potrebbe essere quindi meno indolore. Il Federal
Open Market Committee presieduto da Ben Bernanke e' entrato in
questi minuti nella sala dove, a porte chiuse, si decidera'
sui tassi d'interesse, nel palazzo della Fed a Washington.
Notizie positive anche dal fronte societario, ed in
particolare dal comparto finanziario. La trimestrale di Lehman
Brothers (LEH) (la prima di quattro grosse banche a riportare
gli utili in settimana) risultata migliore del consensus, ha
evidenziato un contenuto impatto della crisi dei mutui sui
risultati fiscali. Il titolo e’ in crescita del 2.40% nei
minuti iniziali. L’evento della giornata riguarda comunque
la decisione della Federal Reserve sui tassi d’interesse. E’
ampiamente atteso un taglio al costo del denaro di almeno 25
punti base. Si tratterebbe del primo da oltre 4 anni (giugno
2003). In molti ritengono possibile che la Banca Centrale
americana possa addirittura operare un abbassamento dei fed
funds dello 0.50% nel tentativo di assorbire gli effetti della
crisi del mercato immobiliare e delle turbolenze createsi di
recente nel comparto del credito. In tal caso, Bernanke &
Co. dovranno anche essere in grado di prevenire una reazione
da panico tra gli investitori, allarmati sul possibile
ingresso dell’economia Usa in una fase di recessione. Molto
importante sara’ dunque il documento ufficiale che
accompagnera’ la decisione. A rendere piu’ arduo il
compito della Fed sono anche le attuali condizioni economiche
del mercato. Il dollaro continua ad essere scambiato sui
minimi assoluti rispetto alle principali valute
internazionali, l’oro e il greggio sono ai massimi storici; il
tasso d’inflazione sembra dover rallentare ma e’ ancora
elevato rispetto agli standard di sicurezza fissati dalla
Banca Centrale. Sugli altri mercati, nel comparto
energetico ha ripreso a salire il petrolio. I futures con
consegna ottobre sono ora in rialzo di 30 centesimi a quota
$80.83 al barile. Sul valutario, l’euro e’ in leggero
progresso rispetto al dollaro a 1.3874. In rialzo l’oro: i
futures con consegna dicembre vengono scambiati a $727.60
all’oncia, in progresso di $3.80, ai massimi assoluti di 16
mesi. In lieve calo infine i Titoli di Stato. Il rendimento
sul Treasury a 10 anni e’ salito al 4.5030%.
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EUFORIA A
WALL STREET, TASSI GIU'
DELLO 0.50%
18 Settembre 2007 New
York 22:04 - di ANSA
(ANSA) Gli indici
schizzano al rialzo dopo la decisione della Fed di portare il
costo del denaro al 4.75%. Il Dow avanza di 335 punti: si
tratta della migliore performance giornaliera dall'ottobre del
2002. Grande euforia sulla borsa di New York dopo che la
Federal Reserve ha deciso di abbassare il costo del denaro
di 50 punti base al 4.75%, nel tentativo di contenere gli
effetti negativi creati negli ultimi mesi dalla crisi del
comparto immobiliare e dalle turbolenze nei mercati
finanziari. Il Dow Jones ha archiviato la seduta con un rialzo
del 2.51% a 13739, l’S&P500 ha guadagnato il 2.92% a 1519,
il Nasdaq il 2.71% a 2651. Il FOMC (Federal Open Market
Committee) ha preferito adottare un atteggiamento aggressivo
in risposta agli ultimi sviluppi economici ed ha operato un
taglio di 50 punti base anche sul tasso di sconto. Divisi
gli analisti: per alcuni si e’ trattato di una mossa
azzeccatissima nell’attuale contesto economico, per altri
l’operazione della Fed e’ stata esagerata, con il rischio di
creare tra gli investitori una reazione da panico, allarmati
sul possibile ingresso dell’economia americana in una fase di
recessione. Gran parte del mercato si aspettava un taglio dei
tassi d’interesse a breve dello 0.25%. Le chance di un taglio
di 25 punti base erano infatti del 51.4%, quelle di un
abbassamento di 50 punti base erano inferiori, pari al 41.1%.
La Fed ha preferito accantonare temporaneamente il
pericolo dell’inflazione (comunque in graduale rallentamento),
concentrandosi sull’impatto che avrebbe potuto avere un
deterioramento delle attuali condizioni finanziarie
sull’economia generale. I listini, schizzati al rialzo
nelle due ore finali di contrattazioni, avevano gia’ ricevuto
una spinta iniziale dall’aggiornamento macro, risultato
nettamente migliore delle attese. Ad agosto i prezzi alla
produzione hanno registrato un calo dell’1.4%, trascinati al
ribasso dall’abbassamento dei generi alimentari e del
petrolio. Le attese degli analisti erano per una contrazione
dell’indice pari a -0.3%. Sempre prima dell’apertura,
notizie positive erano giunte anche dal fronte societario, ed
in particolare dal comparto finanziario. La trimestrale di
Lehman Brothers (LEH) (la prima di quattro grosse banche a
riportare gli utili in settimana) risultata migliore del
consensus, ha evidenziato un contenuto impatto della crisi dei
mutui sui risultati fiscali. I profitti sono risultati in
crescita del 3% a $887 milioni, i ricavi si sono attestati a
$4.31 miliardi. Il titolo e’ salito del 9%. Sono risultati in
rialzo anche i titoli delle altre grosse banche d’affari,
Citigroup (C) e JP Morgan (JPM) (componenti del Dow Jones)
hanno chiuso con rialzi superiori al 5%. Bene il comparto
retail, supportato dai buoni numeri fiscali della catena di
grandi magazzini dell’elettronica Best Buy (BBY): il gruppo ha
inaspettatamente riportato profitti in crescita e migliorato
le stime sui prossimi mesi. Tra i titoli hi-tech, bene Adobe
Systems (ADBE) forte del balzo del 41% dei ricavi nell’ultimo
trimestre. Sugli altri mercati, nel comparto energetico
nuovo record del petrolio. I futures con consegna ottobre sono
avanzati di 94 centesimi a quota $81.51 al barile. Sul
valutario, l’euro e’ schizzato ad un nuovo record nei
confronti del dollaro a 1.3981. Ai massimi di 27 anni
l’oro: i futures con consegna dicembre sono schizzati a
$735.30 all’oncia nelle contrattazioni elettroniche successive
alla decisione sui tassi; avevano chiuso la sessione regolare
in rialzo di soli 20 centesimi a quota $724.00. In lieve calo
infine i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni
e’ salito al 4.48% dal 4.47% di lunedi’.
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WALL
STREET PRENDE FIATO DOPO
IL RALLY
20 Settembre 2007 New
York 22:01 - di
ANSA
(ANSA) La seduta di
borsa a Wall Street si e’ chiusa con gli indici in leggero
calo. Il Dow Jones ha perso lo 0.35% a 13766, l’S&P500 lo
0.67% a 1518, il Nasdaq ha ceduto lo 0.46% a 2654. I dati
macro e le trimestrali societarie in chiaroscuro hanno
contribuito alla volatilita’ del mercato, alla fine hanno
prevalso alcune prese di beneficio dopo il forte rally degli
ultimi due giorni. Il dato sui sussidi di disoccupazione
ha mostrato una condizione del mercato del lavoro in leggero
miglioramento, sicuramente migliore di quanto dipinto dal
pessimo rapporto occupazionale di agosto. Il Superindice e’
invece sceso dello 0.6% (le attese degli analisti non
prevedevano alcuna variazione); meglio il Philadelphia Fed a
settembre salito a quota 10.9 contro le stime di un rialzo di
appena 2.5 punti. Gli interventi del presidente della
Federal Reserve, Ben Bernanke, e del Segretario del Tesoro
Usa, Paulson, non hanno avuto un forte impatto sulle
contrattazioni, ma hanno relativamente rassicurato gli
investitori sugli sviluppi della crisi dei mutui immobiliari.
"Nei prossimi mesi si assistera' ad un aumento dei
pignoramenti ma il mercato tendera' ad un’auto-correzione" ha
affermato il capo della Banca Centrale. Bernake e Paulson
hanno testimoniato di fronte al Comitato dei Servizi
Finanziari del Congresso per proporre alcune soluzioni su come
“mitigare e minimizzare i pignoramenti delle case” dopo le
recenti turbolenze. Subito dopo il taglio dei tassi al
4.75% da parte della Fed i listini americani si sono spinti al
rialzo realizzando, solo in due sedute, un guadagno di oltre 3
punti percentuali. Non hanno stupito dunque le contenute prese
di beneficio scattate in giornata, soprattutto dopo i segnali
a luci ed ombre giunti dal fronte societario. La trimestrale
di Goldman Sachs (GS) si e’ rivelata migliore delle attese
degli analisti, mentre ha decisamente deluso quella di Bear
Stearns (con utili per azione di 64 centesimi inferiori
rispetto al consensus). Nei giorni scorsi, Lehman Brothers
(LEH) aveva battuto le stime, male invece Morgan Stanley (MS).
Alcune preoccupazioni sono state sollevate dal corriere
internazionale Fedex (FDX), considerato il barometro
dell’economia statunitense: l'azienda ha riportato risultati
fiscali in crescita oltre le attese degli analisti, ma ha
emesso un profit warning sui risultati dell'intero anno
fiscale. Il titolo ha ceduto il 2% circa. A muoversi in
buon rialzo e’ stato il Nasdaq Stock Market (NDAQ) dopo aver
raggiunto un accordo con la Borsa del Dubai per rilevare
l’operatore nordico OMX, mettendo cosi’ fine ad una lunga
battaglia di takeover. Sugli altri mercati, nuovo record
del petrolio. I futures con consegna ottobre sono avanzati di
$1.39 a $83.32 in seguito alla chiusura delle raffinerie
situate nella regione del Golfo del Messico. Sul
valutario, l’euro ha aggiornato il massimo storico nei
confronti del dollaro portandosi sopra la soglia di 1.40. Nel
tardo pomeriggio di giovedi’ a New York il cambio tra le due
valute e’ di 1.4065. Ancora in progresso l’oro: i futures con
consegna dicembre sono saliti di $10.40 a $739.90 all’oncia.
In calo infine i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a
10 anni e’ salito al 4.6720% dal 4.5240% di mercoledi’.
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WALL
STREET: SETTIMANA IN
FORTE RIALZO
21 Settembre 2007 New
York 22:05 - di ANSA
(ANSA) Il rally
innescato dal taglio dei tassi permette ai listini di mettere
a segno un balzo settimanale di poco inferiore al 3%. Bene le
trimestrali. I listini azionari americani hanno archiviato
la seduta in rialzo supportati dalle buone trimestrali
societarie. Il Dow Jones e’ avanzato dello 0.39% a 13820,
l’S&P500 dello 0.45% a 1525, il Nasdaq ha guadagnato lo
0.64% a 2671. Le performance settimanali sono rispettivamente
di +2.8%, +2.8%, +2.6%. Alcune prese di beneficio hanno
interessato il comparto delle commodities, mentre sul
valutario il dollaro ha continuato a perdere quota.
Nonostante la ricorrenza ebraica dello “Yom Kippur” che ha
tenuto lontano dal floor del Nyse molti operatori, il volume
di scambio e’ risultato in netto rialzo rispetto alla media.
Cio’ a causa del “quadruple witching” (il giorno delle
quanttro streghe) che segna la scadenza simultanea di vari
tipi di opzioni sui titoli e sugli indici e dei contratti
futures sugli indici e sulle singole azioni.
In
assenza di dati macroeconomici di rilievo, particolare
attenzione e’ stata rivolta al comparto societario. A
diffondere ottimismo tra gli operatori, orientati ancora gli
acquisti nonostante il forte rally dei giorni scorsi, sono
state le trimestrali di Nike (NKE) e di Oracle (ORCL). Il
colosso dell’abbigliamento sportivo, supportato dalla
debolezza del dollaro e da una tassazione favorevole, ha
riportato numeri fiscali migliori delle attese degli analisti,
con profitti in rialzo del 51%. Il titolo e' arrivato a
segnare un progresso di oltre il 4%; non e’ pero’ riuscito a
trattenere i guadagni sul finale ed ha chiuso con una perdita
dello 0.90%. Anche il gigante del software ha registrato
utili e ricavi superiori al consensus. A spingere l’azione in
rialzo (+5.0%) e’ stato anche il ritocco del target price da
parte di UBS. "Considerati la robusta esecuzione, la strategia
ben focalizzata e l'ampio parco prodotti, riteniamo Oracle una
top buy idea" hanno commentato gli analisti. Restando nel
comparto hi-tech, bene il colosso dei chip per cellulari Texas
Instrumests (TXN) dopo aver annunciato un piano di riacquisto
di azioni proprie del valore di $5 miliardi. Nuovo massimo
storico per Google (GOOG), spintosi oltre la soglia dei $560.
Tra i titoli energetici, bene Exxon Mobil (XOM) che non ha
accusato affatto la notizia dell'evacuazione degli impianti
situati nel Golfo del Messico dovuta ad una tempesta
tropicale. Il petrolio ha lievemente ritracciato dai recenti
massimi. I futures con consegna novembre sono arretrati di 16
centesimi a $81.62 al barile. Positiva la performance
settimanale, pari ad un rialzo del 4.75%. Sul valutario,
l’euro ha continuato a guadagnare nei confronti del dollaro.
Nel tardo pomeriggio di venerdi’ a New York il cambio tra le
due valute e’ di 1.4090. In leggero calo l’oro: i futures con
consegna dicembre sono scesi di $1.00 a $738.90 all’oncia. In
rialzo infine i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a
10 anni e’ sceso al 4.6320% dal 4.6720% di
giovedi’.
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Ora Wall Street ha il
toro in pancia
20 Settembre
2007 New York - di David
Kotok*
*David Kotok
e' il gestore di Cumberland Advisor ________________________________________
Ora lo posso confessare: nei
giorni scorsi, prima delle decisioni del Fomc, ho comprato azioni a
testa bassa. Le motivazioni? Di fronte ai dati in arrivo
sull’occupazione e i consumi, oltre che naturalmente all’emergenza
sul fronte del credito, mi ero convinto, come ho scritto, che la Fed
sarebbe intervenuta con grande decisione. È andata proprio
così. E adesso? La scelta operata dalla Federal Reserve di ridurre
il saggio sui fondi federali di 50 punti base regala ai listini
azionari di tutto il mondo l’afflusso di copiose correnti
d’acquisto, mentre getta un’ombra cupa sul futuro del dollaro.
Gli esempi passati vanno
tutti in questa direzione. Negli ultimi 28 anni, dai tempi della
crisi iraniana letale per la presidenza di Jimmy Carter, la Federal
Reserve si è impegnata in cinque occasioni in operazioni di stimolo
monetario. E in quattro occasioni su cinque (un lusinghiero 80%) il
listino statunitense ha spiccato il volo. Ecco, in ordine
cronologico inverso, la cronaca di quei tagli: 1) La Banca
Centrale tagliò i tassi nel settembre 1998 in risposta al collasso
del rublo e all’implosione del celebre fondo Ltcm. Sei mesi dopo,
Wall Street era salita del 25 per cento. 2) Il mercato reagì
positivamente anche nel 1995. Il taglio ebbe luogo a giugno, e in 6
mesi l’indice S&P 500 guadagnò l’11 per cento. 3) Ancora. Nel
1989, Greenspan allentò la presa a giugno, e nel giro di un semestre
la Borsa crebbe del 9 per cento. 4) Era il 1984, il Governatore
Volcker concesse lo sgravio monetario a settembre; in 6 mesi il
valore del listino aumentò del 5 per cento. L’unica eccezione negativa è
legata alla tragica cronaca del 2001. Allora, nonostante il soccorso
della Federal Reserve, Wall Street registrò in 6 mesi una flessione
dell’8 per cento. Però, anche in quell’occasione, il
bicchiere fu a mio avviso mezzo pieno, non mezzo vuoto. In cifre,
insomma, abbiamo una statistica assai favorevole al Toro; quattro
episodi su cinque e l’eccezione negativa, nonostante il cumulo di
circostanze contrarie, ha registrato un rischio limitato all’8 per
cento. A me sembra un record lusinghiero, che ogni investitore di
medio termine dovrebbe tenere nella giusta considerazione. Non sarei stupito, dati i
precedenti, se la piazza americana salisse del 5-10% entro marzo o
aprile. Del resto basta guardare all’andamento dei profitti:
facciamo finta che l’indice S&P 500 sia un unico titolo
azionario. Ebbene questo maxi titolo azionario dovrebbe restituire
agli azionisti 90 dollari di utili nel 2007 e 100 dollari nel 2008.
Si tratta di numeri che già includono le revisioni causate dalla
crisi dei mutui ipotecari e dalla recessione nel settore edile.
Insomma, non penso di indulgere in fantasie se dico che l’S&P
500 porterà a casa 90 dollari nel 2007 e 100 dollari nel 2008.
Soprattutto le multinazionali, grazie alla debolezza del biglietto
verde, mostreranno risultati più soddisfacenti delle imprese rivolte
al perimetro domestico. E con i tassi d’interesse decennali scesi al
4,5% e quelli fissati dall’autorità monetaria al 4,75%, io ritengo
che un multiplo sugli utili di 16 sia abbastanza conservativo e
prudenziale. Moltiplicando 100 dollari di utili per 16 volte, si
ha un prezzo di 1.600 per l’S&P 500. Ripeto, ho adottato ipotesi
prudenziali, sicché non mi stupirei se l’indice oltrepassasse il mio
target di un altro 5 per cento. Ovviamente, la premessa sulla quale
baso le mie congetture è che l’economia americana subisca sì un
forte rallentamento, ma senza scivolare in recessione. E che non vi
siano shock esterni gravi, come attacchi terroristici, uragani o
guerre. Altrimenti, bisognerà rivedere i conti. In negativo, of
course.
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Fonte - Bloomberg -
Borsa&Finanza |
Martedì
25
settembre 2007 |
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Giovedì
27
settembre 2007 |
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Domenica
30
settembre 2007 |
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Riparte la
grande corsa
all'oro
18 Settembre 2007
Milano - di VS
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L’oro ha rotto al rialzo il muro
psicologico di 700 dollari l’oncia e si candida come uno dei cavalli
vincenti per un gran finale 2007. Tra luglio e ad agosto, i manager
di hedge fund, costretti far cassa per soddisfare le richieste dei
sottoscrittori, hanno messo sul mercato i gioielli di
famiglia. Poi, esaurita la pressione delle vendite, il prezzo
dell’oro è decollato. Borsa & Finanza ne parla con David
Abramson, che cura una lettera finanziaria dedicata alle materie
prime per la Bca Research. Mr. Abramson: recessione sì o
recessione no? Recessione no, sebbene in questo momento si debba
essere cauti. Per ora privilegio il fatto che l’economia globale
mostra un buon dinamismo al di fuori degli Stati Uniti. Per esempio,
le esportazioni cinesi e giapponesi verso l’America sono piatte, ma
in accelerazione verso l’Europa e il resto del mondo. Le stesse
multinazionali USA registrano ottimi affari nei mercati stranieri.
E la Fed sta per
tagliare… Esatto. E ciò darà il via a forti correnti d’acquisto
sull’oro. Ce ne
vuole spiegare il motivo? Volentieri. Le Banche Centrali
fronteggiano la crisi dei mutui ipotecari attivando politiche di
immissione di liquidità che sono sotto gli occhi di tutti. A loro
volta, i detentori di disponibilità finanziarie dovrebbero
approfittare dell’aumento della liquidità per investire in beni
rifugio, oro in testa. I dati dei fondi comuni sembrano confermare
questa diagnosi. A cosa si riferisce? Mi riferisco agli
acquisti di Etf specializzati sull’oro. Com’è noto, comperare Etf
sull’oro equivale ad incrementarne la richiesta fisica perché essi
non fanno altro che accumulare lingotti. Ebbene, per tutto il 2007,
la domanda di questi fondi indice è cresciuta. Per di più, si è
verificato un fatto nuovo. Vale a dire? Mentre a cavallo fra il
2006 e il 2007 le maggiori adesioni agli Etf si traducevano in una
certa fuoriuscita di capitali dalle azioni aurifere, nelle ultime
settimane gli Etf e i titoli minerari sono saliti in tandem.
Esistono poi forti margini di miglioramento: cito l’imminente
quotazione di un nuovo Etf nella piazza finanziaria di Tokio e il
vivo interesse dei risparmiatori cinesi per quello presente nel
listino di Shanghai. (in Piazza Affari al Sedex è trattato anche un
certificato, scadenza 30/9/11 che replica l’andamento dell’indice
Amex Gold Bugs senza effetto leva, ndr). Tuttavia il rincaro dei
metalli preziosi ne ha un po’ depresso l’uso nel comparto della
gioielleria, non è così? Sì, ma adesso stanno emergendo segnali
positivi. Ad esempio le importazioni turche hanno preso il volo, e
si tratta del terzo mercato al mondo per l’oro. Lei mi pare alquanto fiducioso
Tenga a mente che il superamento della soglia di 700 dollari l’oncia
ha coinciso con una notizia proveniente dall’Australia. Il top
management della Newcrest, ossia la prima società aurifera del
Paese, ha dichiarato di voler smantellare tutte le operazioni di
copertura relative alla produzione delle sue miniere. In alte
parole, la Newcrest ritiene che 700 dollari l’oncia non sia il
massimo assoluto e di conseguenza preferisce esporsi alle
oscillazioni di mercato piuttosto che vendere ai prezzi correnti.
Può suggerire uno schema operativo per le settimane
entranti? Il grafico dell’oro è schizzato all’insù di quasi 50
dollari l’oncia nel breve volgere di 3 settimane. La rottura è
confermata indirettamente dal record del petrolio, che spesso tende
a muoversi in sincronia con le altre commodity. Adesso non ci
sarebbe nulla di strano se vi fosse qualche seduta di storno, una
semplice parentesi prima di riprendere la corsa. Cambierei idea, però, se i corsi
scendessero sotto i 660 dollari l’oncia; allora bisognerebbe
valutare i fatti con rinnovata attenzione.
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Fonte - Bloomberg -
Borsa&Finanza |
DOLLARO: SE SCENDE
TROPPO, SONO DAVVERO GUAI
14 Settembre 2007
Lugano - di
Corriere del Ticino ____________________________
E adesso ci si mette
pure il dollaro. Cresce infatti il timore che alla crisi
finanziaria scatenata dai mutui ipotecari subprime americani,
che non dà alcun cenno di essere prossima alla fine, e ai
segnali premonitori di un forte rallentamento dell’economia
statunitense, si aggiunga pure la caduta del biglietto verde.
Giovedi' 12 settembre il dollaro ha stabilito un nuovo minimo
storico nei confronti dell’euro, superando quota 1,39, e molti
prevedono che la discesa del suo tasso di cambio sia destinata
a continuare, poiché è sempre più chiaro che il previsto
taglio dei tassi di interesse che annuncerà martedì prossimo
la Federal Reserve sarà il primo di una serie tesa a riportare
la fiducia nel mercato monetario e ad attutire l’impatto della
crisi finanziaria sull’economia reale. Dunque l’andamento
del dollaro costituisce un rischio aggiuntivo di questa crisi.
Per la banca centrale americana un indebolimento del biglietto
verde può essere considerato benefico, poiché aiuta l’economia
permettendo all’export Made in USA di essere più competitivo
sui mercati mondiali, ma questo indebolimento deve essere
graduale per evitare l’insorgere di una crisi di fiducia nei
confronti del dollaro che vanificherebbe la manovra di ribasso
del costo del denaro, dato che provocherebbe un’impennata dei
tassi di mercato. Ma l’indebolimento del dollaro introduce
un rischio aggiuntivo per quelli che oggi vengono chiamati gli
speculatori e che in realtà rispondono al nome di hedge funds
e banche di investimento che si sono indebitati in yen
giapponesi per poi investire questi capitali negli Stati Uniti
o in altri paesi giocando sul differenziale dei tassi di
interesse. La chiusura di queste posizioni, resa obbligatoria
da una rapida ascesa dello yen, creerebbe ulteriori tensioni
sui mercati finanziari. Infatti il rafforzamento della valuta
giapponese, già registratosi negli scorsi giorni, non sembra
aver ancora inciso in modo significativo in questo gioco
finanziario che viene chiamato «carry trade». Ma vi è di
più. Il calo del dollaro può essere il meccanismo attraverso
cui la crisi, che ha già colpito il settore finanziario
europeo, si trasmette anche all’economia reale del Vecchio
Continente. Infatti l’indebolimento del biglietto verde
comporta anche il ribasso delle monete che fanno parte
dell’area del dollaro (che sono principalmente quelle dei
paesi asiatici). Ciò daneggerebbe l’export che è stato il
motore della ripresa europea. Il vantaggio, dato dalla
possibilità di acquistare a prezzi più convenienti le materie
prime, sarebbe praticamente nullo, poiché i prezzi del
petrolio, che ieri ha registrato un nuovo massimo storico
(sopra quota $80 al barile), e delle altre materie prime –
come è emerso negli ultimi tempi – tendono a salire e quindi a
compensare il ribasso del biglietto verde. Sarà dunque
fondamentale capire se il gioco di prestigio cui è chiamata la
Federal Reserve avrà successo. È comunque certo che questa
crisi è destinata a mettere alla prova le teorie di coloro che
sostengono che il finanziamento del deficit commerciale e
degli squilibri nei conti con l’estero degli Stati Uniti non
costituisce un problema in un mondo dove vi è la libertà di
movimento dei capitali. A ben vedere, l’attuale crisi dei
mutui ipotecari subprime non è che una manifestazione delle
conseguenze che possono capitare ad un paese che vive al di
sopra dei propri mezzi e l’attuale crisi finanziaria è la
dimostrazione che gli effetti vengono sentiti anche nei paesi
che hanno provveduto al loro finanziamento. Copyright ©
Corriere del Ticino. Riproduzione vietata. All rights reserved
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Fonte - Corriere del
Ticino |
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EURO SENZA
FRENI
A 1.40, POI SI VEDRA'
19 Settembre 2007
Milano - di Bloomberg - Borsa & Finanza
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La gran parte dei 15
esperti ascoltati da Borsa & Finanza colloca il cambio
euro/dollaro a 1,40 entro la fine dell’anno, e poi scommette
su un graduale ripiegamento verso 1,35-1,36. Anche se, vale la
pena ricordare, non mancano voci fuori dal coro. L’improvviso
scivolone della divisa americana è messo in relazione con una
serie di statistiche secondo cui la locomotiva statunitense
perde colpi rapidamente, imponendo alla Banca Centrale un
drastico taglio del costo del denaro già a partire
dall’imminente vertice di martedì 18 settembre. Spiega Bob
McKee della londinese Indipendent Strategy: «La riunione di
settimana prossima dovrebbe accompagnarsi a un calo del tasso
d’interesse sui fondi federali di 25-50 punti base; poi ne
seguiranno altri per un totale di 75 punti base entro
dicembre». Quello sarà il punto in cui gli investitori
internazionali potrebbero mostrare una certa ritrosia nel
finanziare il deficit commerciale americano, a causa del basso
rendimenti offerto dalle attività denominate in dollari.
«Inoltre, se la Federal Reserve taglia, la Banca Centrale
Europea non vede l’ora di alzare. Di più: mentre il terremoto
dei mutui subprime ha il suo epicentro in America, esso
colpisce il Vecchio Continente solo con le sue onde più
esterne. Infine, mentre sul dollaro grava l’ipoteca di un
immenso disavanzo delle partite correnti, l’euro trae
vantaggio dal sostanziale pareggio della bilancia
commerciale». Tanti di questi fattori, però, si riflettono già
nelle quotazioni correnti, sicché essere corti di dollaro non
è senza rischi. Dice Asmara Jamaleh di Caboto: «La turbolenza
è destinata a salire con l’avvicinarsi del meeting di martedì
18 settembre, in quanto cresceranno di pari passo l’incertezza
e l’ambiguità. Mi pare che i cambisti siano immersi in un
pessimismo troppo cupo circa l’economia americana e la sua
divisa. Perciò, non sarei sorpresa se dopo la decisione della
Fed la pressione delle vendite si stemperasse, restituendo un
po’ di pace ai rapporti di cambio». Molto dipenderà pure
dall’entità del taglio. «Il mercato si aspetta un colpo netto
da 50 punti base - ragiona Michael Woolfolk della Bank of New
York - Se Bernanke si limiterà a 25 punti base, parecchi
operatori torneranno sui loro passi, favorendo un rimbalzo del
biglietto verde». Insomma, aspettiamoci tanta volatilità, e
buoni risultati per la moneta unica almeno fino alla fine
dell’anno. Poi il quadro si complica, la sfera di cristallo
degli esperti diventa nebulosa, e si registrano due opposte
scuole di pensiero. Qualcuno punta su un ritorno del dollaro,
per esempio Gavin Friend di Commerzbank: «Assisteremo
all’atterraggio morbido dell’economia Usa e, in seguito, alla
sua riaccelerazione. Stando così le cose, la Fed si troverà
obbligata a mettere mano alla leva dei tassi e l’euro dovrebbe
calare spontaneamente». «Anche perché - aggiunge Roberto
Mialich di Unicredit - il dollaro è fortemente sottovalutato
rispetto alla parità del potere d’acquisto». Qualche
analista, però, la pensa diversamente, e giunge a indicare
1,50 come obiettivo del 2008. La tesi si basa non soltanto
sull’arcinoto deficit delle partite correnti, ma anche sul
deflusso dagli asset espressi in dollari. Vediamo di capire.
Molto si è detto sulle riserve che vanno «impilandosi» nei
forzieri delle Banche centrali asiatiche. Si sostiene che
prima o poi le istituti di quei Paesi decideranno di
diversificare, vendendo dollari e acquistando euro, sterline e
franchi svizzeri. Questa eventualità mette i brividi giacché
le Nazioni emergenti posseggono 4.700 miliardi di dollari
nelle loro casse. Tuttavia vi è una minaccia persino maggiore
e generalmente inesplorata nei dibattiti sulla stampa
internazionale: stiamo parlando dei gestori americani, che più
di ogni altro fuggono dal dollaro. In base alle stime
esistenti, amministrano 20mila miliardi di dollari (5 volte le
riserve dei Paesi emergenti) e avrebbero già scaricato oltre
mille miliardi negli ultimi 4 anni, per comperare titoli e
beni denominati in moneta estera. Infine, se i
professionisti ascoltati da Borsa & Finanza hanno ragione,
e il dollaro si manterrà debole per qualche mese, tanto Wall
Street quanto l’economia americana dovrebbero beneficiare di
una bella spinta in avanti. La prima perché il 29% dei suoi
profitti è generato all’estero. La seconda grazie all’impulso
proveniente dalla domanda estera. Infatti, l’indebolimento del
biglietto verde, unito alla tenuta della congiuntura globale,
sta dando fiato alle esportazioni, bilanciando la flessione
nel settore immobiliare. Ecco le cifre: durante il secondo
trimestre del 2007, l’export ha aggiunto al prodotto interno
lordo 1,4 punti percentuali, mentre gli investimenti
residenziali hanno sottratto appena 0,6 punti. Lo stesso
dovrebbe verificarsi pure nel terzo trimestre dell’anno perché
i dati di luglio sono in miglioramento. È quasi paradossale,
ma gli Stati Uniti forse si salveranno dalla recessione grazie
al fatto che il loro peso sull’economia planetaria è in
continua diminuzione e ciò gli permette per la prima volta di
appoggiarsi al resto del mondo invece di portarlo al
rimorchio.
Fonte - Bloomberg -
Finanza&Mercati |
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Le commodity conquistano
ancora
26 Settembre 2007
Milano - di Marco Caprotti
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Da 80 a 95 e, infine, 100 dollari
al barile. E’ questo, secondo alcuni analisti, il sentiero che nei
prossimi mesi, fra corse e rallentamenti seguirà il petrolio. Un
andamento, aggiungono, che probabilmente sarà imitato dalle altre
materie prime.
In realtà la corsa, dopo un periodo di
stallo, è già ricominciata. Negli ultimi tre mesi (fino al 26
settembre e calcolato in euro) l’indice Msci delle commodity ha
guadagnato quasi il 2%. Solo negli ultimi 30 giorni la crescita è
stata superiore al 7%.
In altre parole, gli investitori
impauriti dalla crisi dei subprime (i mutui americani di bassa
qualità) si stanno spostando su un settore tradizionalmente
sganciato dalle grandi tematiche finanziarie e che, in prospettiva,
è destinato a crescere insieme alla domanda. Soprattutto quella dei
Paesi emergenti.
Secondo le elaborazioni
dell’International Energy Agency (Iea), il consumo di oro nero,
grazie soprattutto alla richiesta che arriverà da India e Cina nel
2020 sarà del 50% più alta di adesso. Gli analisti fanno
notare inoltre che il petrolio, per definizione, è un prodotto
destinato ad esaurirsi. Non a caso, nonostante gli sforzi delle
grandi compagnie energetiche, è dai primi anni ’70 che non vengono
scoperti nuovi giacimenti.
Bisogna poi tenere in
considerazione l’atteggiamento dell’Opec. Circa 10 anni fa (il
barile veniva trattato a 20 dollari) l’Opec, vista la crescente
domanda da parte della Cina aveva deciso di aumentare la produzione
del 10%. Lo scoppio della crisi finanziaria asiatica, però frenò la
crescita economica e di conseguenza la richiesta di petrolio. I
prezzi iniziarono a crollare e nel 1999 arrivarono a 10 dollari al
barile.
La situazione odierna, sottolineano gli esperti, per
molti versi ricorda quella di allora. Non a caso i ministri dei
Paesi produttori riuniti a Vienna qualche giorno fa hanno detto
chiaramente di non vedere “la necessità di un aumento
dell’estrazione”. L’appuntamento è rimandato ai meeting di novembre
e dicembre. Per allora il prezzo del prezioso liquido potrebbe aver
già toccato i 95 dollari.
Discorsi analoghi valgono per
l’oro che, non a caso, nei giorni scorsi ha raggiunto il massimo
degli ultimi 27 anni (739, 30 dollari a oncia). In 12 mesi il suo
valore è cresciuto del 12%. Rispetto al petrolio, il metallo giallo
ha un vantaggio in più: viene considerato l’asset in cui rifugiarsi
nei periodi di crisi dei mercati e di debolezza del dollaro.
Particolarmente ricchi di questo materiale in questo momento
sono gli Exchange traded fund. Secondo uno studio recente ne
avrebbero di più della Banca del Giappone che, in base i dati del
Fondo monetario internazionale, alla fine del 2006 ne possedeva 756
tonnellate. Un’ulteriore crescita della domanda, secondo gli
analisti, dipenderà molto dall’appetito che avranno il Sol Levante e
la Cina oltre che, ma in misura minore, l’India.
Un altro
elemento da considerare quando si parla di commodity è l’influenza
di agenti esterni alle normali dinamiche di mercato. Lo sciopero dei
minatori peruviani, per esempio, sta facendo diminuire le scorte (e
di conseguenza aumentare i prezzi) del rame nel momento in cui la
domanda dalla Cina sta aumentando. Secondo alcune previsioni il
prezzo di questa materia prima, nel 2008 potrebbe crescere del 30%,
arrivando a 7.800 dollari per tonnellata metro.
Fattori
esterni stanno pompando anche la corsa dell’alluminio che, sempre
l’anno prossimo, potrebbe arrivare a 2.800 dollari per tonnellata
metro. Le stime, in questo caso, sono state alzate dell’11%. Con
queste prospettive sulle commodity, concludono gli analisti,
conviene tenere d’occhio anche i titoli delle società
minerarie.
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