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Sabato
03
Gennaio 2009 |
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Martedì
06
Gennaio 2009 |
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Mercoledì
07
Gennaio 2009 |
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Borsa:
il minimo è già stato toccato
06 Gennaio 2009 14:21 NEW
YORK - di David Kotok
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Il rally dei listini di fine 2008 potrebbe continuare anche
nel 2009. Le dinamiche del mercato sono cambiate dopo il 20
novembre. Per poterle comprendere è importante analizzare tre
date-chiave. La prima è il 10 ottobre, quando il mercato mostrava i
segni di un sentiment ribassista. In seguito, il mercato ha
attraversato altri momenti come quello. La seconda è il 20 novembre,
in cui il mercato ha toccato i minimi da inizio anno.
La terza è il 15 dicembre, quando la Fed ha tagliato i tassi sui Fed
Funds avvicinandoli allo zero. Lo stesso giorno, la Fed ha
articolato i propri impegni per fornire di liquidità il mercato,
evitando deflazione e recessione. La rincorsa alla vendite culminata
il 10 ottobre è apparsa come la conseguenza del fallimento di Lehman
Brothers. La correlazione tra i diversi listini mondiali è cresciuta
a partire da metà luglio. Dopo il crollo di Lehman e fino al 10
ottobre ha acquisito l'aspetto di un contagio a catena.
Dopo il 10 ottobre, i mercati si sono divisi tra quelli convinti di
un futuro di recessione e quelli ottimisti circa gli interventi dei
governi e delle banche centrali volti a evitare tale destino. Il
mercato ha toccato i minimi nell'autunno 2008, in particolare il 20
novembre. Osservando le correlazioni tra le vendite sui listini
globali, possiamo concludere che il panic selling ha raggiunto i
suoi massimi tra il fallimento di Lehman, a metà settembre, e il 10
ottobre, che è continuato fino al 20 novembre, ma in misura minore.
L'outperformance dei titoli a grossa capitalizzazione (percepiti
come più sicuri) è un segno di panic selling. Tra il 10 ottobre e il
20 novembre, la capitalizzazione dell'S&P500 è scesa del 16 per
cento. Considerando l'Etf Spyder (Spy), costruito a partire
dall'indice strutturato in funzione della capitalizzazione dei
diversi titoli, risulta che il total return di questo fondo (che
include i dividendi) è stato negativo del 14,75%: durante lo stesso
periodo, il Rydex equal-weighted S&P500 Etf (Rsp), il fondo
costruito a partire dall'indice equipesato, è sceso invece del 22,5.
Lo stesso indice, in sostanza, è sceso meno se considerato in base
alla capitalizzazione dei titoli. Questo dimostra che durante il
periodo considerato le large caps sono state meno colpite dalle
vendite rispetto alle small e mid cap. Tra il 20 novembre e il 15
dicembre, Spy è salito del 16,3%, l'Rsp è salito del 18,2: l'indice
equipesato ha sovraperformato l'indice pesato sulle
capitalizzazioni.
Questo significa che il recupero iniziato il 20 novembre riguarda in
primo luogo small e mid caps. Il trend positivo iniziato il 20
novembre è ulteriormente migliorato dopo il 15 dicembre. Negli Usa,
i mercati hanno interpretato la politica della Fed con una risposta
positiva.
Dall'inizio del 2009, vediamo ulteriori conferme sul fatto che il 20
novembre è stato toccato ilminimo dai mercati. Vediamo il rapporto
debito-Pil diminuire, vediamo acquisti e vediamo il Vix Volatility
Index scendere.
Il nostro outlook è positivo. Ci attendiamo uno stimolo fiscale e
monetario aggressivo da parte delle banche centrali e dei governi.
Crediamo che i mercati del credito miglioreranno nel 2009. Gli
spread si restringeranno. I corporate bond aumenteranno di prezzo.
Evitiamo di acquistare Us Treasury. Col miglioramento dei mercati,
ci aspettiamo un aumento in portafoglio dei titoli azionari a
scapito di quelli obbligazionari.
In tempi normali, un normale portafoglio è costituito da un 70%
azionario e da un 30 obbligazionario. Malgrado i miglioramenti, sono
tempi incerti. Perciò la nostra attuale allocazione prevede una
percentuale più alta di bond rispetto a quella normale.
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Fonte
- Finanza&Mercati
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Borsa:
partenza sprint poi prudenza
07 Gennaio 2009 00:39 MILANO - di Fabrizio Guidoni
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Ecco cosa dicono sul 2009
dei mercati 5 bravi analisti tecnici: Davide Benyaich
(indipendente), Wlademir Biasia (Wb Advisors), Francesco Caruso
(Gestioni Lombarda Suisse), Gaetano Evangelista (Age Italia) e
Maurizio Milano (Banca Sella).
Cosa riserverà il nuovo anno ai listini azionari? Arriverà
finalmente il riscatto del Toro sull’Orso? Nessuno può dirlo senza
rischiare di essere poi smentito dai fatti. O meglio, dagli indici
di Borsa. Quel che sembra certo è che non esiste un unico livello
chiave per determinare un’inversione del trend ribassista. O,
almeno, non è identificabile per ora. Mancano ancora segnali di
accumulazione o di ritorno dei compratori.
Da un rapido sguardo ai grafici si intuisce che i massimi segnati
sui listini, tra ottobre e novembre 2008, possono limitare i primi
possibili tentativi di recupero durante il trimestre d’apertura del
nuovo anno. Ma poi? Per capire a fondo dove stanno andando le Borse,
appena entrate nel 2009, e quali tipi di investimenti e di scelte
risulteranno vincenti per i prossimi mesi, Borsa&Finanza ha
richiamato all’appello cinque analisti tecnici tra i più attenti
studiosi dei grafici dei mercati finanziari: Davide Benyaich
(indipendente), Wlademir Biasia (Wb Advisors), Francesco Caruso
(responsabile portfolio management Gestioni Lombarda Suisse),
Gaetano Evangelista (Age Italia) e Maurizio Milano (responsabile
analisi tecnica di Banca Sella).
1 Cosa ci si deve aspettare dalle Borse per la prima parte 2009?
Altri rimbalzi o esiste ancora il rischio di nuovi minimi?
Caruso: Siamo in una situazione di difficilissima lettura, con un
contrasto tra la situazione tecnico-statistica, che è tra le più
tirate di sempre e quindi invoglierebbe a un ingresso graduale sulle
Borse, e lo scenario macro, che è di negatività assoluta. Questi due
fattori si controbilanciano, ben rappresentati da indicatori di
medio periodo che segnalano un rimbalzo all’interno di un downtrend
e da indicatori di lungo che invece nella migliore delle ipotesi si
stanno stabilizzando. Lo scenario preferito in questo momento
potrebbe essere quello di un rimbalzo a inizio anno, non ampio e
molto nervoso, seguito da altre scosse negative di stabilizzazione
fino alla fine del primo trimestre e forse del secondo. La seconda
parte dell’anno sarà però un’altra storia. Che andrà letta alla luce
degli eventi dei prossimi mesi.
Milano: Esaurita la fase emozionale della crisi nel mese di ottobre,
ci sono le condizioni per l’avvio di una fase di rimbalzo tecnico
che, visti i livelli raggiunti e l’elevata volatilità, potrebbe
sfiorare il 30%. Ciò riporterebbe gli indici sui livelli di fine
settembre: rialzi più ambiziosi al momento non sono prevedibili. Si
tratterebbe quindi di un bear-market rally, da sfruttare per
provvedere a un alleggerimento delle posizioni. Una volta completato
il rimbalzo, se ci sarà , si avranno le idee più chiare per fare
ipotesi sui mesi successivi. Al momento, infatti, vista l’elevata
volatilità, non sono attendibili previsioni più lunghe. La rottura
dei minimi toccati il 21 novembre farebbe invece riprendere le
vendite, ma tale scenario al momento è meno probabile.
Benyaich: È importante osservare che gli obiettivi tecnici al
ribasso creati dalle attuali fasi distributive sugli indici sono già
stati abbondantemente colti. La stessa considerazione si riscontra
sulla maggior parte dei titoli. Questo non garantisce l’assenza di
nuovi cali, ma per avere un rapporto rischio-guadagno decente, ormai
si può puntare al ribasso solo dopo rialzi e non sulla violazione
dei bottom.
Evangelista: La buona notizia è che sostanzialmente abbiamo
raggiunto dei target di lungo periodo: a Piazza Affari, il ribasso
iniziato a maggio 2007 è uguale come ampiezza al bear market
2000-2003, così come il ribasso iniziato a maggio di quest’anno è
uguale come lunghezza al primo troncone del bear market in corso,
terminato a marzo. Parliamo di area 14.500-15.000 punti di Mibtel.
L’esaurimento di un trend discendente però non necessariamente
coincide con l’inizio di un bull market. Ci sarà un primo importante
tentativo in tal senso, ma credo che ad un certo punto sarà
profondamente ritracciato.
La chiave di lettura più valida mi sembra rappresentata
dall’esaurimento del violento trend rialzista della volatilità, con
il Vix che ormai completato la fase dei massimi e che inizierà
lentamente a girarsi verso il basso. Prima però che possa scendere
in maniera definitiva, dovremmo attendere la primavera del prossimo
anno. I livelli d’ipervenduto raggiunti dagli indicatori mensili
sono tali che le Borse potrebbero prendersi alcuni mesi di vacanza
dal ribasso, senza che si possa trarne alcuna conclusione positiva.
Certo, è possibile che nel primo trimestre saranno raggiunti nuovi
minimi su alcuni indici, ma non dovranno essere molto più bassi dei
precedenti.Dei set-up rialzisti, tecnicamente fondati, non
dovrebbero comparire prima della fine del primo semestre. Il fatto
che alcune borse asiatiche non abbiano colto i rispettivi obiettivi
negativi, suggerisce come la lettera non abbia fatto interamente il
suo corso, a livello globale. Un bel livello di controllo lo
fornisce la difesa a 7.100 sul Dow la cui perforazione con una
chiusura mensile dovrebbe garantire un’altra gamba di ribasso.
Biasia: L’S&P500 oscilla in uno stretto trading range definito tra
920 e 850. Ciò ha consentito all’indice di volatilità di contrarre
il proprio andamento. Ma molta parte della contrazione va
accreditata al periodo. Valuto ancora elevato il rischio di una
caduta dei valori al di sotto del range e la ripresa del down trend.
In particolare sotto 815 si concretizza il rischio per una
regressione sino a quota 600.
2 Quali saranno i segnali che faranno scattare l’ipotesi di
un’inversione del trend ribassista di fondo? Insomma, quando si
potrà o dovrà diventare compratori?
Caruso: Non esiste un «livello x» per determinare un’inversione,
almeno non è identificabile ora. In questo momento manca qualunque
vero segnale di accumulazione o di divergenza della pressione di
vendita. È ancora assente un processo che abbia come cardine tecnico
una sequenza di zig-zag crescenti, che quindi generi la volontà di
acquistare sulla lettera con punti di controllo chiari. Inoltre, la
propensione al rischio a qualunque livello è bassissima e la fiducia
è il propellente necessario per qualunque rialzo strutturale. La
conclusione è la stessa di prima: nei primi mesi dell’anno qualunque
rimbalzo, anche violento, non può che essere considerato effimero.
Milano: Per avere un segnale di miglioramento del quadro tecnico in
ottica strategica è necessario un assestamento del Vix sotto 44-50 e
il parallelo superamento di livelli chiave di resistenza come 1.200
di S&P500, 11.000 di Dow Jones, 3.000 di Dj Eurostoxx50, 30.000 di
S&P/Mib e 12.000 di Nikkei225. Tutti livelli che al momento sono
decisamente lontani.
Benyaich: Non credo nella possibilità che emergano segnali efficaci
d’inversione del ribasso prima della fine del secondo trimestre. Non
si esclude che si debba attendere fino all’inizio del 2010 per
vederli. La maggior parte degli indici è ancora molto distante dalle
medie a 40 settimane, la cui rottura è una condizione necessaria per
il cambio di trend. La pendenza negativa dovrà essere quasi
azzerata, perché il segnale acquisti in validità.
Evangelista: Occorre un segnale di tipo qualitativo, sotto forma di
miglioramento del raffronto fra Up e Down Volume, cioè tra forza
rialzista presente negli scambi e quella ribassista. Il mercato
insomma deve salire non per il temporaneo disimpegno dei venditori
ma per la ritrovata vitalità dei compratori. Dal minimo di un mese
fa il profilo volumetrico è molto migliorato, ma non c’è ancora
stato un ribaltamento tra Orsi e Tori.
Biasia: Di sicuro ci vuole un’effettiva diminuzione dei livelli di
volatilità, necessaria per predisporre i mercati ad una ripresa. In
concreto, per lo S&P 500 il Vix deve scendere stabilmente dagli
attuali 43,90 sotto area 30. Però molti sono i fattori necessari che
debbono concorrere alla formazione di un set up rialzista. E al
momento non sono presenti e il recupero delle ultime settimane
rappresenta più un movimento privo di inerzia.
3 Quali sono i temi da cavalcare per il 2009? E quelli invece da
evitare?
Caruso: A livello di settori la situazione attuale la vedono tutti:
sono premiati i settori difensivi, ma non è detto, anzi è
improbabile, che lo siano anche nelle fasi positive. Probabilmente i
veri beneficiari di un recupero saranno i titoli ingiustamente
penalizzati, quelli di società sane che sono stati venduti perché
non c’era altro in portafoglio da scaricare. A livello tecnico,
vanno guardate le azioni che nell’ultima ondata di ribasso non hanno
fatto nuovi minimi e che quindi hanno dimostrato una forza
superiore. Per fare un esempio Eni.
I bond governativi americani non rendono praticamente più nulla e
anzi hanno un rendimento reale negativo e quelli europei sono sulla
stessa strada: probabilmente resteranno alti, come beneficiari
dell’incertezza generale, per la prima parte dell’anno ma non è da
escludere che quella sui governativi sia l’ultima di una lunghissima
serie di bolle. Sui corporate e sulle convertibili ci sono evidenti
opportunità, anche se bisogna essere selettivi e prudenti specie nei
prossimi mesi. Sono scettico sugli hedge, che pagano non solo errori
evidenti, ma anche la stessa struttura di illiquidità che ne ha
provocato il semi-collasso e una certa incapacità del mondo della
finanza alternativa di adeguarsi intellettualmente per tempo al
nuovo scenario: sopravviveranno i migliori e i più disciplinati.
Milano: Se parte l’atteso rimbalzo dovrebbero essere privilegiati i
settori e i titoli più volatili, quelli ciò più penalizzati durante
il selloff di ottobre-novembre, quindi finanziari, auto, energia e
simili, facendo ovviamente molto attenzione agli stop loss. Non sono
ancora possibili, tuttavia, acquisti in ottica strategica.
Benyaich: Fino a quando non ci sarà l’inversione al rialzo del trend
di lungo, è impossibile anticipare quali saranno i settori più
validi. In teoria, un pensierino andrà fatto a chi ha fatto due bear
market pesanti consecutivi, intervallati da un bull mediocre come
tlc, tech, media. Al momento vincono le logiche di trading dal corto
respiro. Nello scenario costruttivo, durante il primo semestre del
2009 sarà vincente ridurre l’esposizione ai bond lunghi,
parallelamente al reingresso nell’azionario, manovra che potrebbe
slittare di qualche mese.
Evangelista: Storicamente i bull market negli Stati Uniti sono
sempre stati trainati nell’ordine da finanziari, tecnologia e beni
di consumo discrezionali. Quindi se si ritiene che a un certo punto
del 2009 il mercato abbandoni definitivamente il sentiero
ribassista, è qui che si annideranno le opportunità. In Europa il
farma si è mosso molto bene, relativamente parlando, durante questa
crisi, ma vedo che sta cedendo il passo a favore delle tlc, un
comparto che per forza relativa brilla anche negli Usa.
Biasia: Nonostante il recupero dei valori azionari il mercato ha
preferito ancora una volta dirigere l’attenzione sui bond
governativi. Ma attenzione: il movimento rischia di gonfiare la
bolla della paura. Se non altro, per il breve il Bund future
continua ad evidenziare segnali positivi: dopo i target 122 e 125 il
mercato potrebbe tentare di avvicinare area 129.
4 Sulle Borse nel 2008 hanno pesato molto i fattori intermarket come
tassi, valute, credit crunch e variabili macro. Com’è la situazione
per il nuovo anno?
Caruso: Le grandi incognite 2009 sono valute e commodity.
Soprattutto l’oro, se la situazione non si dovesse schiarire,
potrebbe essere un clamoroso beneficiario come alternativa alle
valute di carta. Inoltre, invito a seguire un grafico che ne vale
mille: il parallelismo tra l’attuale bear market della Borsa
americana, espressa in euro, e quello del listino giapponese dal
’90.
Milano: Interessante la dinamica del comparto obbligazionario, in
specie negli Usa, col Treasury decennale che ha toccato nuovi
massimi storici. Il fly to quality ha spinto le quotazioni in modo
davvero sorprendente, facendo scendere i tassi di interesse
sottostanti a livelli coerenti con uno scenario non solo recessivo
ma anche deflazionistico. C’è il rischio che si formi una bolla
speculativa: le manovre della Fed per aumentare la liquidità del
sistema, in funzione anti-deflazionistica, creeranno scenari
inflazionistici in futuro. Per le prossime settimane attenzione se
il decennale Usa dovesse scendere sotto 120.
Benyaich: Sull’euro/dollaro, mi aspetto che il 2009 venga trascorso
in un trading range compreso tra 1,20 e 1,60. È invece molto critica
la situazione tecnica del dollaro/yen. La rottura di quota 102,
avvenuta già da molti mesi, ha completato un modello negativo,
durato dieci anni, che propone un target minimo a 69, mentre quello
grafico vale 55. Per carità, trattandosi di divise non si possono
applicare gli obiettivi grafici con la disinvoltura accettabile per
l’azionario, a causa delle implicazioni macroeconomiche correlate.
Pertanto, tali obiettivi sono da prendere con prudenza. La loro
praticabilità aumenterà a mano a mano che il cambio perderà i
supporti intermedi, posti a 88, 84,50 e 80-79. A ogni modo, fino a
quando il dollaro/yen non troverà un fondo il bull market azionario
resterà fuori dal radar.
Evangelista: Sono rimasto sconcertato dalla battaglia sbagliata
combattuta dalle banche centrali fino ad alcuni mesi fa. Come
all’inizio del 2000, si metteva in guardia dall’inflazione «dietro
l’orizzonte», mentre la crisi del credito e lo sboom del settore
immobiliare recavano con loro tremende pressioni deflazionistiche.
Per questo, si è ritardato il taglio dei tassi ufficiali,
contribuendo ad aggravare ulteriormente la crisi. Se c’è una cosa
che ci insegnano le esperienze della Grande Depressione degli anni
Trenta e del cosiddetto «Decennio Perso» in Giappone negli anni
Novanta, è che la recessione si trasforma in depressione per la
superficialità e gli errori della politica economica.
Oltretutto a inizio autunno era ben chiaro che l’inflazione sarebbe
crollata: quando a metà ottobre è stato reso noto l’indice dei
prezzi al consumo di settembre, praticamente al 5%, il petrolio era
già in caduta libera, e preannunciava il raffreddamento dei prezzi a
cui abbiamo assistito negli ultimi due mesi. A fronte di una
variazione dei prezzi al consumo nulla rispetto a un anno fa, e di
una crescita economica negativa, è naturale che il tasso di
riferimento della politica monetaria dell’intero G7 debba adeguarsi
ad una situazione eccezionale e mai vissuta dal Dopoguerra ad oggi,
convergendo in tempi brevi verso livelli pressoché nulli. A
situazione eccezionale devono corrispondere misure eccezionali.
Biasia: Le commodity rappresentano ancora un elemento critico per le
Borse. Ci sono volute nuove tensioni in Medio Oriente per
risollevare le sorti del petrolio. Ma il rischio rimane sempre
quello di una regressione del Wti verso area 25, dopo aver già
centrato l’atteso obiettivo 35.
 |
Fonte
- Borsa & Finanza
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MADOFF,
OVVERO LA CATENA DI SAN'ANTONIO
04 Gennaio 2009 21:13 LUGANO
-
di Tito Tettamanti ______________________________________________
La recente clamorosa truffa di un broker di New York
(Bernard Madoff) ed i successivi commenti inducono a qualche
riflessione:
• È storicamente incontestabile che la Catena di Sant’Antonio
(nota dal 1920 negli USA come «Ponzi scheme» è di molto
antecedente ai vituperati hedge funds. Pur con tutta l’antipatia
per quest’ultimi, le due cose non vanno confuse.
• Per la Catena di Sant’Antonio che consiste nel raccogliere
fondi promettendo mirabolanti inesistenti utili che vengono
pagati con i soldi raccolti successivamente e così via è
necessaria la compartecipazione di tre (tra le numerosissime)
categorie del genere umano. Quella dei truffatori, quella dei
venali e quella degli stolti. Talvolta la venalità fa diventar
stolti.
• Il serpente di Adamo ed Eva può rappresentare (a fianco a
tante altre possibili interpretazioni) il primo dei truffatori.
Si dice che, visto il successo, abbia ricevuto dal diavolo un
ricco bonus. Da qui l’origine luciferina dei bonus dei manager.
• Ai tempi dei romani non consta ci fossero forme di «alterna
pecunia», cioè di hedge funds. Ciononostante Catone il Censore
aveva ampia materia per criticare con la sua possente arte
retorica truffatori, corruttori e corrotti, autori di brogli
elettorali. Uguali riflessioni ci suggeriscono le invettive di
Bossuet alla Corte di Francia contro i cattivi ricchi. Che il
mondo non sia poi cambiato così tanto?
• Sorprende l’emozione espressa per le perdite dei facoltosi
partecipanti alla Catena. Chiariamo subito un concetto. Chi
partecipa ai giochi della finanza, per parafrasare Braudel, si
presume abbia i soldi per farlo e sappia che assume dei rischi.
Proprio questa assunzione di rischi unitamente alla competenza,
creatività, capacità negoziale e intelligenza negli affari
legittimano il perseguimento e la realizzazione di profitti. Ma
tale legittimazione a realizzare profitti, che contribuiscono
anche al benessere generale, è parimenti data dalla eventualità
di incorrere in perdite sino al limite del fallimento. Queste
debbono rimanere le regole del gioco, che se osservate non
lasciano spazio per particolari emozioni per le perdite dei
facoltosi giocatori.
• La chiamata in causa dei controllori – stavolta la SEC –
invocandone la responsabilità, ci suggerisce due commenti. Il
primo è che il controllo totale con tantissime leggi ed
altrettanti controllori è un’illusione. Non dimentichiamolo, in
un momento in cui si crede di risolvere tutto chiedendo più
controlli. Il secondo è che non i controllori ma la propria
competenza e prudenza salva dai Madoff, cioè dagli imbroglioni.
Potrei citare due banche private ed un broker di Lugano e di
Ginevra che, sicuramente come molti altri, hanno rifiutato di
investire in questa Catena di Sant’Antonio.
• La truffa di Madoff è di quelle che si possono definire
relazionali, vale a dire le vittime vengono scelte e
appartengono ad una cerchia di relazioni sociali (club, classi,
comunità etniche o religiose). L’appartenenza rende più
difficile porre domande ed interrogativi che possano parere
quale scortese mancanza di fiducia e solidarietà.
Conseguentemente si abbassa, grosso errore, il livello di
guardia e si dimentica che il rigore è la premessa
indispensabile per gli affari.
Conclusione di queste riflessioni? Ci dicevano i nostri vecchi:
«A pensare male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca».
Fonte
-
Corriere del Ticino
|
La
storia insegna che non bisogna imparare
troppo dalla storia
Venerdì 9 Gennaio 2009, 12:01 - di Alessandro Fugnoli
________________________________________
I primi giorni dell'anno sui mercati, lungi dall'essere indicativi
della tendenza del nuovo anno come vuole la leggenda, sono silly
season, stagione sciocca. Si riparte da zero e se in dicembre è
andata bene si è portati a pensare a un naturale prolungamento della
tendenza positiva, mentre se è andata male si ha gran voglia di
voltare pagina. I soldi ci sono, perché i libri degli operatori sono
puliti o, quanto meno, sfoltiti dalle pulizie di fine anno.
Viene in mente il 2001, anno secondo della crisi iniziata nel marzo
2000 e terminata tre anni esatti più tardi. Dopo un dicembre
negativo si partì di gran carriera e l'SP 500 salì da 1280 il 2
gennaio a 1380 a fine mese, complice un taglio dei tassi da parte
della Fed che, si pensava, avrebbe posto le basi per la ripresa. In
realtà il 2001 si chiuse male, a 1148, dopo avere toccato in
settembre 970.
Anche quest'anno si è partiti con l'idea che il peggio è alle
spalle, che i minimi li abbiamo già visti, che la discesa del Pil
globale sta rallentando, che la pozione magica del grande piano di
Obama garantirà una seconda metà dell'anno in riaccelerazione e che
dopo un anno in cui le borse si sono dimezzate di valore non può
essercene un altro con segno negativo.
Al clima di entusiasmo ha contribuito perfino la crisi del gas tra
Russia e Ucraina. E' salito il prezzo del gas europeo, che ha fatto
salire quello del gas americano, che ha fatto salire il greggio, che
ha fatto salire petroliferi e minerari (alcuni grandi nomi anche del
40 per cento), che hanno contribuito a fare salire i bond russi e
l'SP 500. Bene bene, avrebbe detto Bastiat il paradossale, facciamo
saltare tutti i pozzi sauditi, così le borse andranno alle stelle e
ci garantiamo un anno di prosperità.
L'economia, però, come dice Feldstein, “è in uno stato terribile e
sta peggiorando”. Non solo, continuerà a contrarsi per tutto il 2009
e saremo fortunati, fra un anno, se ci saranno segni di ripresa.
Feldstein, repubblicano fiscalmente conservatore, arriva a proporre,
oltre a tutte le misure annunciate da Obama, anche un aumento
massiccio delle spese militari.
Sul 2009, dunque, è imprudente farsi troppe illusioni, anche se il
fronte degli ottimisti annovera nomi molto autorevoli come Steve
Leuthold, Laszlo Birinyi e Ned Davis tra i quantitativi e Warren
Buffett tra i fondamentalisti. Gli ottimisti, quale che sia il loro
approccio, sono accomunati dal tema del ritorno alla media. In
effetti, se si escludono errori clamorosi di policy o complicazioni
esogene come guerre o shock da offerta, guardando alle serie
storiche la recessione in corso sarebbe già a buon punto e i premi
per il rischio sui vari mercati sono già così alti da incorporare
scenari apocalittici. I bond di bassa qualità, ad esempio, sono
arrivati in dicembre a scontare una probabilità di default maggiore
di quella che prezzarono nei momenti più bui degli anni Trenta.
Il problema delle serie storiche, come abbiamo ben visto nei due
anni scorsi con tutte le modellizzazioni di rischio e di prezzo
basate sul passato, è che ogni tanto traggono in inganno. Ogni tanto
la storia fa un salto, ogni tanto si incontra un cigno nero, ogni
tanto è vera la più bersagliata e irrisa delle tesi pronunciabili da
un economista o da uno strategist, quella per cui “questa volta è
diverso”.
Nel 1999-2000 “questa volta era diverso” per via dell'accelerazione
che Internet avrebbe impresso per sempre alla storia umana.
All'inizio del 2007 “questa volta era diverso” per il motivo
opposto, ovvero la Grande Moderazione delle politiche economiche
che, dando stabilità strutturale al sistema, ne avrebbe garantito lo
sviluppo per molto tempo a venire.
Si è visto come è andata a finire. C'è del resto tutta una scuola di
pensiero che teorizza che quando si sente ripetere troppo spesso che
“questa volta è diverso” è vicino il momento del rientro nella
norma. Bisogna dunque essere molto cauti prima di parlare di rottura
storica e non solo quando le cose vanno apparentemente benissimo
(come nel 1999 e all'inizio del 2007), ma anche quando vanno
apparentemente malissimo, come ora.
Ci limiteremo quindi a dire, usando molta cautela, che la crisi in
corso è già adesso più grave della media delle recessioni del
dopoguerra. Non solo, è anche più grave della media delle recessioni
degli ultimi due secoli, così come ricostruite da Christina Romer
nel suo studio del 1999 “Changes in Business Cycles: Evidence and
Explanation”.
Questa volta, quindi, è “già” diverso. L'allineamento infausto di
recessione ordinaria da scorte più crisi bancaria-immobiliare più
crisi della finanza personale più crisi petrolifera (fino a luglio)
non capita spesso. Non possedendo doni profetici non sappiamo dire
se questa volta sarà diverso come nel caso della Grande Depressione.
Quasi sicuramente non sarà così, se anche i pessimisti autorevoli
alla Rogoff dicono che tra un paio d'anni ne saremo fuori.
Raccomandiamo però di prendere con le pinze tutti i ragionamenti
confortanti costruiti su serie storiche troppo brevi.
Detto questo, proviamo a dire qualcosa di positivo. E' evidente che
la pressione delle vendite forzate, quelle di chi era a leva
elevata, è molto rallentata, così come stanno rallentando i riscatti
dai fondi di tutti i tipi. La riduzione della leva e i riscatti non
si ripeteranno più, anche nella peggiore delle ipotesi, nelle
modalità distruttive di questi ultimi mesi. Anche la volatilità,
quindi, pur rimanendo elevata sarà meno devastante. Un secondo dato
positivo è che le banche centrali, in particolare la Fed, proseguono
a testa bassa nella loro politica di tassi di policy tendenti a zero
e di riduzione degli spread temporali (quelli tra tassi a breve e
tassi a lungo) e degli spread di credito (in particolare per i
titoli legati ai mutui e per i corporate di qualità medio-alta). Si
registrano già successi significativi sulla carta commerciale,
sull'interbancario, sul Crossover. Alcuni successi sono reversibili,
ma in alcuni casi si può parlare di normalizzazione già a buon
punto. Il riavvio del mercato del credito può non fare notizia, ma è
una condizione necessaria, anche se purtroppo non sufficiente, per
l'uscita dalla crisi.
Un terzo dato positivo di cui si parla invece molto è quello delle
misure fiscali. L'amministrazione Obama sta muovendosi su una linea
generale di fermezza nell'affrontare la crisi ma anche di attenzione
a non apparire iperaggressiva, per non spaventare troppo i mercati
valutari e i compratori di debito pubblico. Dollaro e bond
governativi lunghi sono già soggetti, e lo saranno ancora di più nei
prossimi mesi, a ondate di paura non da crisi, ma da eccesso di
risposta alla crisi. Sono paure largamente immotivate e però
profondamente radicate in ampi segmenti dei mercati. Nella nostra
esperienza personale ci Dan Tague. Money Print. 2008
Capita di sentire tutti i giorni quasi più preoccupazione per i
rischi di inflazione, di crollo del dollaro e di esplosione futura
dei tassi che non sull'andamento peraltro disastroso dell'economia
reale. Queste ondate di preoccupazione poco fondata offriranno
ottime occasioni di trading. Alla stabilità dei tassi di policy a
zero o vicino a zero per molto tempo a venire corrisponderà infatti
un grande nervosismo sui governativi lunghi. Che andranno acquistati
ogni volta che il mercato si metterà a venderli.
L'esperienza giapponese mostra con chiarezza che l'ammontare
crescente del debito pubblico e, conseguentemente, delle emissioni
non hanno influenza negativa sulla domanda finale di titoli in
situazioni di deflazione endemica e quando non ci sono alternative
d'investimento (in particolare immobiliari e azionarie) con
particolari prospettive di apprezzamento. Se ci fosse tutta questa
relazione tra debito pubblico e tassi, i titoli lunghi giapponesi
(ma anche italiani) dovrebbero rendere molto di più.
Quanto all'inflazione, è paradossale che mentre il mercato si
preoccupa per il suo futuro ritorno la Fed (come risulta dai verbali
dell'ultimo Fomc) considera l'ipotesi di indicarne un livello
obiettivo (che sarebbe implicitamente tra l'uno e il due per cento)
non perché teme che venga superato, ma perché teme al contrario che
non venga raggiunto.
E' anche paradossale il fatto che la Fed, nelle circostanze attuali,
potrebbe perfino essere ben lieta che queste paure continuino a
circolare, prevenendo almeno in parte il temuto radicarsi di una
psicologia deflazionistica.
In generale ci sembra che l'elemento decisivo per valutare le
probabilità di inflazione sia l'output gap, ovvero la differenza tra
quello che l'economia globale è in grado di produrre e quello che
effettivamente produce. Il Pil potenziale cresce anche in questi
mesi di crisi profonda, perché cresce la popolazione del mondo e
cresce la produttività. Il Pil effettivo, invece, scende in assoluto
e continuerà a contrarsi per quasi tutto quest'anno. L'output gap,
quindi, è già elevato e continuerà a crescere per molti mesi.
Anche nell'ipotesi che denaro fresco di stampa venga gettato giorno
dopo giorno dagli elicotteri, prima di vedere inflazione bisognerà
aspettare che venga speso fino a fare risalire la domanda aggregata
fino al livello dell'offerta potenziale. A quel punto,
presumibilmente, qualsiasi banchiere centrale che non abbia studiato
in Zimbabwe ordinerà agli elicotteri di tornare a terra e sarà
colmato di onorificenze.
Come strategie d'investimento continuiamo a pensare che per
quest'anno sia meglio concentrarsi sui rischi moderati (governativi
lunghi, corporate di qualità medio-alta, bond bancari più o meno
garantiti e ben diversificati). Questo non toglie che anche per
l'azionario ci possano essere fasi di recupero più significative di
quelle poche offerte dal 2008. Gennaio e febbraio potrebbero dare
qualche (limitata) soddisfazione. In caso di entusiasmi esagerati
sarà bene vendere.
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Fonte
- Il Rosso e Il Nero
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Giovedì
08
Gennaio 2009 |
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Venerdì
09
Gennaio 2009 |
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Martedì 13
Gennaio 2009 |
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PURTROPPO,
IL PEGGIO DEVE ANCORA ARRIVARE
13 Gennaio 2009 02:30 NEW YORK
-
di *Gleen Neely
*Gleen Neely e` un trader e analista esperto della teoria
NEoWave con un`esperienza di 25 anni alle spalle. ______________________________________________
Presto un nuovo presidente si insidiera` alla Casa
Bianca, i mercati stanno lentamente recuperando terreno e nelle
sale operative si respira un crescente ottimismo che porta a
credere che il peggio sia ormai alle spalle. Sarei molto felice
se tutto questo fosse vero, ma sfortunatamente la teoria NEoWave
mi suggerisce che il peggio deve ancora arrivare.
Con meno di due mesi (potrebbero volerci poche settimane o
persino meno), l`S&P dovrebbe subire uno dei piu` violenti e
paurosi cali nella storia dei mercati finanziari. Al momento il
grafico Wave suggerisce che e` possibile un calo del 50% (dai
livelli attuali) nei prossimi 1-2 mesi. I mercati non sono
preparati a un calo di tale entita`, il mondo non e` preparato,
ma dovremo affrontarlo. L`unica possibilita` perche` questo non
avvenga e` che l`S&P sia in grado di superare quota 1006 prima
di rompere i minimi dell`anno scorso. Se questo avviene, allora
il futuro non e` ben definito e non posso fare previsioni sul
breve termine. Fino a quando 1006 non viene oltrepassato, ci
aspetta un futuro cupo.
Come la maggior parte di voi sa, sono diventato ribassista sul
mercato Usa da meta` gennaio 2008. Da quel momento in avanti,
l`indice S&P si e` mosso quasi esattamente come previsto per
tutto l`anno. Al contrario degli ultimi dodici mesi, i prossimi
dodici saranno i piu` brutti che io abbia mai visto. L`unica
notizia positiva che devo segnalare e` che dopo il devastante
crollo i ribassi si arresteranno, ma fino ad allora nessuno mi
credera` e la maggioranza non sara` piu` interessata al mercato
azionario. I fondi comuni di investimento raggiungeranno livelli
storici - in 1-2 anni le trasmissioni di business finanziario
smetteranno di essere mandate in onda e il rigetto generale per
Wall Street tocchera` un picco cosi` alto che inneschera` una
ondata pandemica di cause legali.
Non mi piace essere portatore di cattive notizie, ma la teoria
wave mi dice che il 2008 e` stato solo un assaggio di quello che
sta per arrivare. Per favore fate tutto il possibile per
prepararvi a questa gigantesca tempesta finanziaria.
Copyright © NEo Wave Institute. All rights reserved
*Gleen Neely e` un trader e analista esperto della teoria
NEoWave con un`esperienza di 25 anni alle spalle. Carriera
iniziata nel 1981 in una societa` di brokeraggio e proseguita
tra corsi di trading online, trasmissioni televisive e
radiofoniche, newsletter finanziarie e pubblicazioni di libri.
E` autore della prima previsione dei mercati finanziari su un
arco di 80 anni. Nel 1993 e` diventato un Futures Magazines
ALL-STAR traders e nel 1999 e` stato votato tra i migliori nel
suo campo da TIMER DIGEST per le sue note su mercato dell`oro e
S&P negli ultimi sette anni. Nel 2000 ha previsto l`inizio di un
crollo dei mercati finanziari, il piu` rapido dal 1929.
Fonte
- Borsa & Finanza
STRATEGIE PER IL 2009:
ECCO COME TI INVESTO $10000
13 Gennaio 2009 15:28 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Il mercato fatica a trovare una direzione, l'incertezza
regna sovrana sull'azionario. Ecco i consigli di un gruppo di
esperti su come investire nel nuovo anno.
Secondo Richard E. Cripps, chief investment officer di
EquityCompass StrategieS, a Baltimore, "la vera opportunita` di
guadagno e' nelle azioni che valgono meno di $10, pertanto la
mia scelta cade su ProShares Ultra Dow 30 (DDM), che e` un Etf.
Ha un portafoglio diversificato e di alta qualita`, che
raddoppiera` quello che dovrebbe essere un upset market".
Per Paul Nolte, investment director di Hinsdale Associates,
Hinsdale III, titoli che a questi livelli possono rappresentare
un affare sono Microsoft, Intel, 3M, Kimberly-Clark, General
electric e Diebold. "Ha senso averli tutti in portafoglio
comprando l`S&P 500 (tramite un fondo comune o un Etf)".
Preferisce raccomandare cautela invece Richard Yamarone, chief
economist di Argus Research, a Manhattan: "Non investire soldi
se non in beni rifugio, almeno finche` non passera` la paura. Ho
il sospetto che i rendimenti dei Treasury a 10 anni si
spingeranno notevolmente piu` in alto".
Il presidente eletto di Financial Plannig Association e
professore alla Baylor University, Tom Potts, dal canto suo, ha
le idee molto chiare: "Investite $2,000 in un`azione a grande
capitalizzazione dell`indice S&P 500; $2,000 in una small cap;
$2,500 sui mercati internazionali; $1,000 in materie prime,
$1,000 in cash. Infine investite $1,000 in titoli del Tesoro "inflation-protected",
in modo da proteggervi dai rischi inflativi".
Fonte
- WallStreetItalia
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Borse
da paura,
salvate il capitale
21 Gennaio 2009 01:45 MILANO - di Massimiliano Malandra
________________________________________
Louise Yamada è perentoria: «Manca la convinzione - dice -
il mercato è fragile e i piccoli rally vengono riassorbiti
velocemente». Per molti anni vicepresidente e responsabile
dell’analisi tecnica a Citigroup oggi è una degli analisti tecnici
più esperti in circolazione. Nel 2005 ha fondato la propria società
di consulenza Louise Yamada Advisors.
Signora Yamada, la crisi delle Borsae non sembra avere fine ma quali
sono, se ci sono, i supporti importanti da monitorare?
I minimi del 2002 senza dubbio: rappresentano i livelli critici e la
loro rottura darebbe il via a una nuova ondata di vendite, sia negli
Stati Uniti sia in Europa. Comunque, se vogliamo inquadrare il
ribasso degli ultimi 15 mesi in un contesto storico di lungo termine
ci può venire in aiuto la matematica.
Vale a dire?
Il nostro senior analyst, Jonathan Lin, ha condotto uno studio
approfondito sui rendimenti di lungo termine: a partire dal 1920 la
Borsa statunitense ha messo a segno un guadagno annuale del 5,7% per
il Dow Jones e del 6,6% per l’S&P500. Sono risultati ben al di sotto
del 10-12% in media che abbiamo visto negli anni Novanta. In genere
gli indici si sono sempre mantenuti intorno alla cosiddetta «retta
di regressione». Solo in rare occasioni si sono testati i livelli di
guardia, posti alla distanza di due deviazioni standard dalla media.
In particolare è accaduto in due «bear market secolari», quello del
1929-42 e del 1966-72.
Ci faccia capire cosa significa?
In base a questo schema il Dow Jones potrebbe scendere fino 6.000, o
addirittura 4.000 punti, mentre l’S&P500 cadere a 600 punti. Certo,
un campione storico del genere non è molto significativo per una
statistica. Ma si tratta di crolli che capitano molto raramente. In
ogni caso questi livelli rappresentano dei punti pivot importanti.
Per quale motivo?
Innanzitutto non è detto che gli indici scendano fino a quei
livelli. Diciamo che funzionano come precedenti storici; poi va
considerato che se questi obiettivi fossero davvero raggiunti, a
quel punto ci si potrebbe aspettare una crescita media annua del
6-10% per 8-10 anni. E in tal modo saremmo di fronte a un bull
market.
Dal punto di vista settoriale c’è qualcosa che regge l’urto? Oppure
è una disfatta su tutti i fronti?
Questo è un punto delicato: non c’è una leadership in grado di
trainare il mercato. Mancando i comparti guida, è abbastanza
impossibile che l’intero mercato possa proseguire la crescita in
modo credibile. Poi certo, dal punto di vista tecnico, non tutti si
stanno comportando nello stesso modo, in particolare in termini di
forza relativa verso l’indice.
Per esempio?
Le mid-cap e le small-cap Usa hanno rallentato la discesa, ma si
tratta di una pausa che avrà vita breve. L’indice dei consumi
discrezionali è in una fase di rally di breve, ma lo considero utile
solo per vendere sulla forza, mentre quello dei consumi di base è al
test di un supporto pluriennale. Anche l’healthcare rischia di
rompere un sostegno decennale, mentre sugli industriali un rimbalzo
dei titoli guida potrebbe ridare un po’ di fiato al paniere, ma lo
scenario tecnico rimane sempre molto difficile.
Insomma non c’è nemmeno un settore attraente?
Direi tlc e utility. Le prime hanno migliorato nettamente la propria
forza relativa grazie al rimbalzo recente e l’outperformance
potrebbe proseguire, permettendo anche di alzare gli stop di
protezione, mentre le utility impressionano ancora per la propria
forza.
E i finanziari? Potrebbero essere un’idea di investimento, anche se
molto speculativa?
Starei ancora alla larga dal comparto, che continua a far segnare
nuovi minimi, sia in termini di prezzo sia di forza relativa. Mi
sembra che sia ancora troppo presto per cercare di individuare il
bottom fishing. Utilizzerei eventuali rally del settore soltanto per
vendere un po’ meglio.
Parliamo di commodity: cosa pensa di petrolio e oro?
Il greggio rimane debole e solo mantenendosi stabilmente sopra 40
dollari può iniziare a costruire una base. Stesso discorso per
l’oro: deve stabilizzarsi sopra il supporto di 750-800. È un
discorso che vale un po’ per tutte le commodity. Devono cominciare a
«riparare» i trend dal punto di vista tecnico. Questo sperando che i
minimi li abbiamo già visti.
Insomma, c’è almeno un’idea di investimento?
Il cash, rimanere liquidi Il primo comandamento per noi è preservare
il capitale.
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Fonte
- Borsa & Finanza
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E
per difendere le banche
gli USA perdono credito
21 Gennaio 2009 01:52 MILANO - di *Claudia Segre
Clauida Segre e'
responsabile fixed income di Abaxbank.
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RATING NEL MIRINO. Il 2009 si è aperto all’insegna
dell’iperattività delle agenzie di rating, particolarmente
concentrate sul «rischio sovrano» che, per alcuni Paesi, ha visto
gli spread ampliarsi oltremisura sin dal mese di settembre scorso,
con l’intensificarsi degli interventi statali a sostegno del sistema
bancario. Più in particolare, dopo il default del colosso bancario Lehman, si sono ampliati i pacchetti di stimolo all’economia che,
uniti alla forte azione monetaria delle Banche centrali di quasi
tutto il mondo, hanno saputo ripristinare un processo di rapida
normalizzazione (o quasi) sul comparto interbancario.
RICETTA DI BASE. Al di la dei singoli programmi, la ricetta base
delle misure di sostegno pubblico dovrebbe essere rivolta
soprattutto alla produzione e all’occupazione che escono a pezzi
dall’inevitabile contrazione dei consumi, tipica delle fasi
recessive. Ma per i Paesi che hanno un elevato debito pubblico (vedi
per esempio l’Italia), tutto diventa più difficile. Ed è questa
difficoltà intrinseca che si riscontra nell’esplosione del deficit
che non permette un ridimensionamento dell’avversione al rischio tra
gli investitori e finisce per condiziona le scelte di allocazione
degli investitori internazionali.
Su questo nodo fondamentale Standard & Poor’s ha così focalizzato
l’attenzione sulle dinamiche negative del debito pubblico e si è
attivata in una serie di revisioni al ribasso dell’outlook di alcuni
Paesi europei, cosiddetti periferici, come il Portogallo, l’Irlanda
e la Spagna. Proprio su quest’ultima, peraltro, grava un’eccessiva
dipendenza del Pil dal comparto immobiliare che sta vivendo un
momento di gravissima crisi. Nel caso invece della Grecia è arrivato
direttamente il taglio del rating ad A-, il penultimo gradino dell’«investment
grade», a significare quando grandi siano i dubbi sulla
sostenibilità dei conti del Paese.
EFFETTO SPREAD. In attesa che anche le altre due case di rating si
pronuncino a loro volta, sul mercato si è creata una situazione
complessa sui livelli di spread delle numerose emissioni sovrane con
il massimo merito di credito, la fatidica AAA (tripla A). Sulla
stessa scadenza a 5 anni la BEI ha offerto 28 punti base di
rendimento sopra il mid swap, l’Austria soltanto 15 e l’Irlanda 90
punti. Per non parlare delle emissioni garantite dal Governo
irlandese emesse fino a ora da Aib Angiri e Bank of Ireland che
ammontano a 10 miliardi di euro.
Il «Guarantee scheme» governativo prevede emissioni per 300
miliardi, ma visti i recenti downgrade delle banche principali da
parte di Fitch, li si può considerare abbastanza improbabili. Resta
poi difficile valutare questa distonia dei livelli di spread alla
luce della nazionalizzazione della Allied Irish Banks e di un
livello di spread del Cds, che misura il rischio di default,
peggiorato a 240 punti rispetto ai 125 della Spagna e ai 130
dell’Austria. Occorre inoltre precisare che le AAA più solide come
Francia e Germania mostrano costi di default di un terzo, a quota 50
punti base. Ed è quindi logico attendersi un imminente peggioramento
del rating per i Paesi periferici nel breve.
SPIRALE NEGATIVA. Il risultato di questa situazione è una spirale
negativa dove il costo delle emissioni garantite, necessario per
permettere alle banche di non dovere pagare spread eccessivi al
mercato, si somma alle misure di intervento pubblico gravando sul
debito e quindi innescando la revisione del merito di credito del
Paese.
In questo modo per salvaguardare la credibilità e sostenibilità del
sistema bancario gli Stati vedono il loro rischio sovrano
commisurato in spread lievitare e similarmente peggiorare anche
quello delle banche. Non c’è quindi da stupirsi del grande successo
delle emissioni societarie dove gli spread a premio già incorporano
rischi di default ai massimi degli ultimi 30 anni e vi sono
opportunità per chi è maggiormente interessato ad investimenti più
speculativi ed alternativi al comparto azionario, dove ormai anche i
dividendi sono un pallido miraggio.
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Fonte
- Borsa & Finanza
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AVETE MAI SENTITO PARLARE
DI EQUITY PROTECTION? ALERT, AGUZZATE LA VISTA!
21 Gennaio 2009 22:29 MILANO
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di Pierpaolo Scandurra ______________________________________________
Quando si decide di investire su un Equity Protection e' sempre
bene dedicare qualche minuto alla lettura attenta dei prospetti
di quotazione, in particolare se il certificato e' quotato in
Borsa italiana. Questo perche' a volte...
*Pierpaolo Scandurra è Managing Director di
www.certificatiederivati.it. I suoi commenti non implicano
responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente
non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali
indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a
questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
(WSI) – Se si chiede ad un investitore se ha mai sentito parlare
di Equity Protection si ottiene nella maggior parte dei casi una
risposta affermativa. Il segmento dei certificati a capitale
protetto, nel momento di maggior calo del mercato, ha goduto di
molte attenzioni da parte degli investitori così come della
stampa specializzata o più generalista. Il successo di questa
tipologia di prodotto è cresciuto tanto quanto più accentuato è
stato il ribasso del mercato azionario e quindi oggi in molti
sanno come funziona un Equity Protection. Se ne conoscono i
vantaggi, come ad esempio la possibilità di godere di una
protezione del capitale anche in caso di tracollo del
sottostante, come è peraltro avvenuto nell’ultimo anno, o di
sfruttare una quotazione sotto 100 per garantirsi una
plusvalenza netta grazie alla natura di reddito diverso generato
dal certificato. Ma se ne conoscono ormai anche i rischi, legati
alla solvibilità dell’emittente così come alla bassa
partecipazione all’eventuale ripresa del mercato per via degli
strike ormai distanti più del 50% dagli attuali valori di
mercato. Proprio perché è sempre maggiore l’interesse suscitato
da questa tipologia di prodotto che dovrebbe essere fatta un po’
più di chiarezza sui concetti di strike e livello protetto
descritti sulle schede sintetiche dei prodotti ricavabili dal
sito web del più autorevole ed importante organo di
regolamentazione dei prodotti derivati quotati sul mercato
italiano, ossia di Borsa Italiana.
Si prenda ad esempio la scheda prodotto pubblicata sul sito web
di Borsa Italiana di un Equity Protection di Banca Imi sul
titolo Telecom Italia. Leggendo la scheda l’investitore ottiene
le seguenti informazioni: il certificato ha un prezzo di
riferimento pari a 88,44 euro , ha come sottostante Telecom
Italia ed è inserito nella categoria dei certificati a capitale
protetto. Il multiplo di questo certificato è pari a 48,192771 e
lo strike è di 1,8675 euro. Non è presente alcuna barriera,
trattandosi di un certificato con protezione del capitale non
condizionata, e la scadenza è il 16 luglio 2009. Dopo le
indicazioni relative ai codici ISIN ( IT0004239791) e
alfanumerico ( I23979), indispensabili per la corretta
identificazione del prodotto, si legge che la facoltà del
certificato è Inv , ossia investment e che la modalità di
esercizio è europea, ovvero che il rimborso sarà automatico alla
scadenza. Infine la partecipazione al rialzo è +100,00, ovvero
del 100%. Sul lato destro della pagina viene poi messo a
disposizione un documento in formato pdf, riguardante l’avviso
di quotazione del certificato: anche in questo caso si può
leggere che il certificato in oggetto ha strike pari a 1,8675
euro e una parità ( o multiplo) di 48,192771.
Arrivato a questo punto l’investitore penserà di aver
individuato un certificato che alla scadenza del 16 luglio 2009
rimborserà il 100% del capitale iniziale, pari a 100 euro, se
Telecom Italia si troverà al di sotto dello strike di 1,8675
euro o in alternativa il 100% del nominale maggiorato del 100%
della performance positiva se Telecom Italia finirà al di sopra
dell’unico valore reso disponibile sulla scheda prodotto e sul
documento pdf, ossia 1,8675 euro. Vista la breve durata residua
del prodotto e la quotazione corrente del titolo, scambiato
nelle ultime sedute a circa 1,10 euro, viene quindi da sé che il
rimborso a scadenza sarà quasi certamente del solo capitale
nominale, ossia di 100 euro. Poco male si dirà: dal momento che
è possibile acquistare il certificato a circa 88,50 euro, si
potrebbe incassare una plusvalenza di 11,50 euro per
certificato, ovvero del 13%, in soli sei mesi!
Ma è qui che come si suol dire, casca l’asino. L’investitore più
accorto e più meticoloso infatti dopo aver appreso dalla scheda
prodotto e dalle prime pagine dell’avviso di quotazione che lo
strike è 1,8675 euro e che, data la mancata indicazione di
percentuali differenti, la protezione è totale, , scorrendo il
documento in pdf si accorgerebbe che nella tabella B fornita
dall’emittente il certificato ha un livello di riferimento
iniziale di 2,075 euro e che quegli 1,8675 euro sono il livello
di protezione corrispondente al 90% del livello iniziale. La
conferma di questa asimmetria di informazione si sarebbe potuta
ottenere anche prima, facendo riferimento alla parità o
multiplo: moltiplicando infatti il livello strike di 1,8675 euro
per i 48,192771 si sarebbe ottenuto l’importo di rimborso del
certificato, ossia 90 euro. Ma quanti leggendo quella scheda
prodotto si sono preoccupati di effettuare questo calcolo prima
di pensare di aver individuato un certificato a capitale
interamente protetto? Ma soprattutto quanti di coloro che si
avvicinano per le prime volte a questi strumenti fanno
riferimento a quella cifra con sei numeri dopo la virgola per
capire cosa ci si potrebbe attendere alla scadenza?
C’è peraltro da osservare che la differenza in termini economici
tra le due interpretazioni è sostanziale. Tecnicamente la
lettura dello strike di Borsa Italiana non è errata, dato che la
protezione del capitale si ottiene inserendo nella struttura in
opzioni una put con strike pari al livello di protezione, e
quindi pari a 1,8675 euro. L’altra opzione , la call che
garantisce la partecipazione ai rialzi, è invece senza strike.
Pertanto l’interpretazione in questo senso sarebbe ineccepibile.
Tuttavia nel linguaggio comune degli investitori, degli addetti
ai lavori e degli emittenti stessi , allo strike del certificato
si fa corrispondere il livello di riferimento iniziale del
sottostante e quindi il prezzo di emissione del prodotto. In
buona sostanza allo strike corrisponde quasi sempre un valore di
100 euro. Viene quindi da sé che se si legge che lo strike è
1,8675 euro e che il livello protetto è 1,8675 euro si deduce
che questo livello corrisponde ai 100 euro nominali. Il problema
di incorretta interpretazione da parte dell’investitore più
comune, ovvero quello che non legge volentieri le 70 pagine di
un prospetto di quotazione, si potrebbe risolvere mettendo a
disposizione sia il livello protetto ( o strike) che il livello
di riferimento iniziale. Anche perché come si diceva, le
differenze sono sostanziali.
Per maggiori dettagli o informazioni vi invitiamo a visitare il
nostro sito specializzato
Fonte
-
www.certificatiederivati.it
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Borsa
USA:
l'Indice S&P500 deve scendere a 650-700
25 Gennaio 2009 22:25 NEW
YORK - di Charlie Minter
________________________________________
A prescindere dal proprio
livello di sofisticazione finanziaria, quasi tutti noi riconoscono
di essere all'interno di un processo di aggiustamento economico e
finanziario. La sensazione è che la storia confermerà che il periodo
di undici anni compreso fra il 1997 e il 2007 sarà ricordato come
una anomalia per la borsa e per l'economia.
Un "incidente storico"
culminato in una accelerazione delle quotazioni azionarie ed
immobiliari indotta dal credito. Il drastico calo del
2000-2002 e dell'anno scorso, per quanto riguarda il mercato, è un
tentativo di porre in essere un riequilibrio.
I governi di tutto il mondo stanno facendo ciò che ritengono essere
il possibile per ridurre gli effetti collaterali di tale
aggiustamento. Si può discutere se sia meglio lasciare che sia il
libero mercato a risolvere tutto, o se sia preferibile che
intervengano massicciamente i governi.
Anche noi siamo perplessi al riguardo;
ciò che non si discute è il
fatto che il processo di riaggiustamento si rivelerà molto doloroso
per l'economia, e non terminerà fino a quando il settore immobiliare
sarà tornato alla norma; e questo richiederà presumibilmente un
ulteriore calo del 25% dai livelli correnti. Non vediamo
niente di male nel calo ulteriore delle quotazioni immobiliari fino
a i livelli che rendano le case acquistabili dalla massa.
Ci vorrebbe meno tempo se
questo calo dei prezzi non fosse accompagnato dall'ingerenza dei
governi, ma ciò si rivelerebbe più doloroso per il paese.
Quello che non vogliamo
vedere è un intervento che ricordi quanto fatto in Giappone durante
gli anni '90.
Al tempo stesso, non crediamo che la borsa sperimenterà
un'inversione di tendenza prima che le valutazioni raggiungano i
livelli sperimentati in occasione dei minimi passati. Nel tentativo
di essere accomodanti nei confronti dei rialzisti, diciamo che ci
aspetteremmo che lo S&P500 cessi di scendere fra 650 e 700 punti,
sulla base di un multiplo di dieci volte gli utili riportati di 70
dollari per l'intero mercato.
Che ci crediate o no, quasi tutti gli analisti di Wall Street invece
fanno utilizzo degli utili operativi che più volte abbiamo
ridicolizzato negli anni passati. La stima degli utili operativi del
2009 era di 112 dollari all'inizio dell'anno scorso; è calata ora a
80 dollari. Anche se si è abbastanza folli da usare questi utili, il
multiplo citato ci porterebbe a 800 punti di S&P: un obiettivo che
sembra eccessivamente generoso.
Il terzo elemento prescritto
affinché il mercato azionario raggiunga un minimo è un massiccia
liquidazione da parte del pubblico di azioni e quote di fondi di
investimento. Il modo migliore per misurare questo flusso è
monitorare i riscatti dei fondi azionari rispetto al patrimonio
complessivo. La capitolazione finora sperimentata su questo fronte è
notevole, ma non ancora sufficiente per essere considerata
definitiva.
In conclusione, ci
aspettiamo che le quotazioni delle case cali ancora del 25% dai
livelli correnti, che la valutazione del mercato scenda in
prossimità di livelli più consoni ad un minimo definitivo, e che il
pubblico molli definitivamente le azioni: soltanto allora potremo
parlare di un minimo finale.
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Fonte
- SmartTrading.it. |
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Giovedì 15
Gennaio 2009 |
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Martedì 20
Gennaio 2009 |
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Gennaio 2009 |
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Con
le borse in agonia
siamo
tutti più poveri
25 Gennaio 2009 21:54 MILANO - di *Giuseppe Turani
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Il maggiore shock della settimana appena finita non è stata
l´ennesima forte perdita degli indici borsistici, i 25mila
licenziamenti in Bmw o anche in aziende simbolo come Google o
Microsoft oppure i mega bonus pagati alla chetichella il 30 dicembre
da Merrill Lynch, ma uno studio di Jp Morgan sulla perdita di valore
dei colossi bancari nel mondo. Pensare che il valore di Citicorp
possa essere passato in pochi mesi da 255 miliardi di dollari a 19 o
Royal Bank of Scotland da 120 miliardi a meno di 5 fa veramente
molto effetto.
E fa pensare al fatto che non solo gli azionisti di tali banche sono
diventati immensamente più poveri, ma probabilmente tutti noi. I
vari fondi sovrani e sceicchi, che nei mesi scorsi sono entrati nel
capitale delle maggiori banche mondiali pensando di fare dei buoni
affari e di essere un po´ i salvatori di questo scassato mondo
occidentale, onestamente non fanno molta pena. Il fatto che quelli
che per decenni erano stati i santuari della ricchezza siano ridotti
a così poco non può non generare un grande shock. Se si avessero
ancora dei dubbi basterebbe pensare a Ubs, che da numero uno del
private banking mondiale, cioè da banca dei super ricchi, oggi al
netto degli aiuti del governo elvetico ha un valore irrisorio.
Ma perché dovremmo essere tutti più poveri? Perché una minor
capitalizzazione delle banche può significare cosi tanto? È
semplice: le banche sono i maggiori propulsori del circuito del
denaro, se funzionano peggio o se loro stesse hanno meno soldi
(quindi ne prestano meno) si inceppa tutto: aziende, consumi,
investimenti, tutto quello che dall´epoca del baratto in poi ha
fatto girare il mondo. Abbiamo detto e scritto tante volte che
l´esplosione del credito al consumo, delle cartolarizzazioni, dei
derivati, dello operazioni a leva, delle stesse carte di credito
intese come modo di rinviare i pagamenti, era uno degli eccessi che
ci avrebbe portati al disastro; ora con le banche senza soldi siamo
passati all´eccesso opposto.
E infatti non passa giorno che non si legga di interventi di
governi, di stati nel capitale degli istituti, proprio per dare
quell´ossigeno che non c´è più. E purtroppo proprio di ossigeno si
tratta, perché par di capire che, se si facessero bene i conti,
sarebbero fallite tutte, ed ecco che se non ci fosse la mano
pubblica tante porterebbero i libri in tribunale. Un vero disastro,
di dimensioni planetarie.
Chi avrebbe mai pensato che il signor Abramovic avrebbe dovuto
mettere in vendita la squadra del Chelsea e i suoi panfili solo
perché le banche gli hanno chiesto di rientrare dai fidi che loro
stesse – chissà perché e chissà come – avevano concesso? E come lui
tutti quegli oligarchi che fino a poche settimane fa – fino
all´estate scorsa – giravano per la Costa Smeralda cercando di
comprare ville a dieci volte il loro valore solo per il gusto di far
vedere che l´assegno più grosso in giro era il loro. Se da Abramovic
a chi non compra più il televisore a rate tutto si sta fermando è
proprio vero che siamo tutti più poveri.
Un vicino di casa in più che perde il lavoro, milioni di persone in
tutti gli angoli del mondo che sperano almeno nei sussidi di
disoccupazione o in meccanismi come la cassa integrazione per avere
almeno qualcosa ogni mese, questo è il quadro che abbiamo davanti
con sempre maggiore chiarezza. Ed il fatto che tutti i principali
uffici studi dicano che la crisi sarà lunga e difficile certo non
conforta.
Anzi. La cosa sempre più evidente è che siamo vissuti per anni al di
sopra delle nostre possibilità e ora si paga pegno. Qualcuno
addirittura preconizza anni e anni di vera e propria miseria con
disoccupazione a livelli record, con ridimensionamenti notevoli di
status a tutti i livelli e con un crollo dei prezzi di quasi tutti i
beni. Probabilmente però non sarà così perché da Obama alla Merkel,
dal governo cinese a quello dell´Islanda tutti stanno capendo che i
governi, coperti i buchi delle banche, dovranno cominciare a
spendere e il loro spending sarà la vera grande stampella delle
economie di tutto il mondo nei prossimi anni.
Già mesi fa – con l´idea del mega fondo di Paulson – si temeva la
nascita di un grande Iri mondiale, oggi ci siamo in pieno e quasi
quasi arriviamo a invocarlo. E infatti i valori pur irrisori delle
banche che abbiamo citato prima sarebbero azzerati del tutto se non
ci fossero state l´assicurazione verbale e in molti casi
l´intervento finanziario dei governi o delle banche centrali. Non
hanno alternative gli stati, devono evitare che tutto questo
significhi crisi sociale ancor più grave e in fondo hanno, assieme
alle banche centrali, la prerogativa di stampare moneta e la
stamperanno, immetteranno quel denaro che sembra essere scomparso da
ogni angolo del mondo e metteranno olio in tutti i meccanismi
inceppati.
In un certo senso si tratta di ricostruire (sia pure con molte
correzioni) proprio quel mondo che fino a ieri in tanti avevano
criticato. E poiché i governi sembrano molto decisi a intervenire,
forse ci si riuscirà. Non a caso la Casa Bianca prevede un 2009
problematico ma un 2010 con una crescita del 5 per cento. C´è solo
da sperare che ci riesca davvero. Se si muove l´America, alla fine
ci muoviamo tutti.
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Fonte
- La Repubblica
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CRISI USA:
MUTUI, SPREAD E "SABBIE MOBILI"
26 Gennaio 2009 20:22 NEW YORK
-
di
Bloomberg ______________________________________________
Shannon Luhrsen, casalinga della
North Carolina, non riesce a capacitarsi del perche' debba
pagare un tasso del 5.8% sul mutuo, quando la sua banca puo'
avere dalla Federal Reseve soldi in prestito ad un tasso poco
piu' alto dello 0%. La soluzione...
Shannon Luhrsen, casalinga della North Carolina, non riesce a
capacitarsi del perche' debba pagare un tasso del 5.8% per il
suo mutuo, quando la sua banca puo' avere dalla Federal Reseve
soldi in prestito ad un tasso poco piu' alto dello 0% e quando
il governo statunitense puo' ottenere prestiti per 10 anni al
2.6%.
"Vorrei arrivare intorno al 4%", dice Luhrsen - sarebbe
fantastico. Non voglio che la banca abbia i miei soldi. Voglio
avere io i miei soldi". L'ultima volta che la differenza tra i
tassi sui mutui a 30 anni e i rendimenti dei Treasury a 10 anni
era a questi livelli era nel 1982, quando Timothy Geithner era
ancora studente al Dartmouth College e Ben Bernanke era un
assistente professore alla Stanford University.
Fino a che Geithner, la persona nominata dal neoeletto
presidente Barack Obama per ricoprire l'incarico di Segretario
del Tesoro, e il presidente della Fed Bernanke non troveranno un
modo per ridurre lo spread, che potrebbe aiutare a sostenere i
prezzi delle case, l'economia restera' inguaiata nelle "sabbie
mobili", commenta Clyde V. Prestowitz Jr., presidente dell'Economic
Strategy Institute a Washington e consulente del Segreterio del
Commercio durante l'amministrazione Reagan.
"Non possiamo stabilizzare l'economia fino a che non risolviamo
il problema dei prezzi delle case - ha aggiunto Prestowitz - e i
tassi sui mutui sono un enorme, per non dire la parte piu'
grossa, di quel problema".
Sottoscrive anche Maxine Waters, un rappresentante della
California e numero tre tra i Democratici nel House Banking
Committee, secondo cui le banche dovrebbero abbassare le spese a
carico dei cittadini legate ai mutui.
""Il governo sta facendo di tutto per abbassare i costi delle
banche, che dovrebbero ridursi nello stesso modo anche per i
consumatori, ma cio’ non e’ ancora accaduto"", ha dichiarato
Waters in un'intervista rilasciata la settimana scorsa.
"Le banche dovrebbero offrire prestiti al 4.5% o persino a tassi
piu' bassi, e comunque rimarrebbe un business redditizio per
loro". Mentre la media sui mutui a tasso fisso a 30 anni e'
scesa sotto il 5% questo mese, per la prima volta da quando
Freddie Mac ha iniziato a registrare gli archivi nel 1971, i
margini di profitto degli istituti bancari stanno continuando ad
aumentare.
Questo avviene perche' il differenziale di rendimento tra il
mutuo a 30 anni e il Treasury a 10 anni e' del 2.5%, paragonato
invece ad una media di 1.7 punti nell'arco degli ultimi venti
anni, secondo i dati raccolti da Freddie Mac e Bloomberg. La
differenza era al 3.3% il 3 dicembre scorso, il livello piu'
alto da 1986, quando il Tax Reform Act introdusse una
semplificazione che elimino' di fatto ogni rifugio fiscale
legato al real estate, costringendo gli investitori a vendere
proprieta' immobiliari e ridurre il valore di mercato.
La Federal Reserve ha tagliato i tassi guida sei volte l'anno
scorso. Nel tentativo di combattere la recessione, la piu' lunga
da quella del 1982, e di ravvivare il mercato del credito, la
banca centrale ha deciso di ridurre i tassi di interesse a un
livello vicino allo zero. Il nuovo incontro del FOMC e' atteso
per il prossimo 28 gennaio.
Fonte
-
Bloomberg
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T-bond
oltre ogni logica. Ma la bolla andrà avanti
27 Gennaio 2009 00:28 MILANO - di Camilla Gaiaschi
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Recessione fino ad almeno il termine del primo semestre e possibile
deflazione. Per Marco Annunziata, capo economista di Unicredit, il
2009 «sarà un anno da dimenticare». Le previsioni dell’ufficio studi
di Piazza Cordusio sull’Eurozona vanno oltre le stime peggiori: nel
2009 il Pil europeo si ridurrà del 2% (-1,8% secondo le previsioni
di Eurostat), quello italiano del 2,5% (mentre Bankitalia prevede
una contrazione del 2%). Il Pil statunitense rallenterà all’1,3%,
mentre la disoccupazione toccherà il 10%. La ripresa è attesa solo
nel 2010, «e comunque - precisa Annunziata - sarà lenta». La
prossima estate, inoltre, il tasso di inflazione sarà «molto vicino
allo zero» (se non negativo), il che comporterà un «serio» rischio
di deflazione.
Le conseguenze saranno un’inflazione negativa sui beni alimentari
per il secondo semestre e una stabilizzazione del prezzo del
petrolio a 40 dollari al barile per l’intero anno. A più breve
termine, Unicredit stima una caduta dei prezzi, per il mese di
gennaio, dello 0,7%. Meno care benzina e bollette: la flessione dei
prezzi sarà dello 0,5%-1%.
Il 2009 sarà poi l’anno dei titoli di Stato, in particolare dei
T-bond: «è una bolla che non ha senso - spiega Annunziata - il
debito Usa sta crescendo eppure il Treasury continua a essere
percepito come un investimento sicuro».
La corsa ai bond governativi
continuerà fino al primo semestre 2009, con conseguente caduta dei
rendimenti, anche per i titoli di medio-lungo periodo. Solo con il
secondo semestre «assisteremo a un rimbalzo degli yields sulla parte
lunga della curva». Sul fronte del differenziale fra Btp e Bund,
l’allargamento degli spread (che sul decennale ha toccato la quota
record di 170 punti base) è ritenuto «eccessivo», ed è destinato a
restringersi nel corso dell’anno. «Questo perché - spiega Annunziata
- il mercato ha già prezzato il rischio dell’Italia».
Sulla ripresa dell’economia reale, Annunziata punta la fiche del
piano Obama: «Ottocento miliardi di dollari sono la risposta più
concreta che si possa dare per uscire dalla recessione».
Nell’attesa, lo strumento da utilizzare continua ad essere quello
dell’espansione monetaria, con i tassi sui Fed Funds a quota zero
«per tutto l’anno e buona parte del 2010» e quelli europei che
scenderanno fino all’1%. Il problema, però, sarà quello della tenuta
dei conti delle banche centrali: «Una volta iniettata la liquidità,
gli istituti centrali dovranno rientrare nella normalità, riducendo
i propri bilanci. Per la Federal Reserve sarà meno facile che non
per la Bce, nella misura in cui ha agito comprando gli asset tossici
delle banche, per i quali si pone ora il problema di doverli
rimettere sul mercato».
Per quanto riguarda l’Italia, la ripresa ha stretti margini di
manovra: «L’Italia non può che avere un piano di stimolo ridotto -
spiega - perché non può permettersi di allargare ulteriormente il
suo debito pubblico. Gli strumenti che il governo potrà utilizzare
sono quelli di una riforma del mercato del lavoro e una politica
fiscale volta a rilanciare i consumi». Annunziata considera inoltre
la proposta di «ripulire» gli istituti bancari facendo confluire i
titoli illiquidi in una «bad bank» come «plausibile»: «È una
soluzione già sperimentata con successo in Svezia e durante la crisi
asiatica».
L’idea di un taglio del giudizio dell’agenzia di rating sul debito
sovrano del nostro Paese resta tuttavia improbabile. Questo perché
«l’indebitamento italiano delle famiglie, che si riflette nel conto
delle partite correnti, è relativamente basso rispetto ad altri
Paesi». Infine, il possibile default di Portogallo e Grecia
(recentemente downgradati) «è un’eventualità da escludere - conclude
Annunziata - dalle conseguenze politiche molto pesanti».
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Fonte
- Borsa & Finanza
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Piazza
Affari?
Rischia di tornare agli anni '80
27 Gennaio 2009 03:22 MILANO - di Adriano Barri'
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Il buon giorno questa volta non si è visto dal mattino. Dopo un 2009
iniziato in maniera positiva, gli indici mondiali hanno ripreso
decisamente la strada del ribasso. I timidi guadagni dei primi
giorni di gennaio si sono velocemente annullati e le perdite delle
principali borse internazionali hanno raggiunto il 10%. E così gli
indici si sono portati di nuovo ai minimi del 2008 e, in alcuni
casi, li hanno anche superati. Ma il ribasso non sembra essere
destinato ad esaurirsi almeno sino a quando non saranno raggiunte
soglie psicologiche importanti poste tra il 7% e il 10% al di sotto
dei livelli attuali.
Ai minimi
Una linea Maginot che passa dai massimi degli anni '90 e che oggi
invece potrebbe fare da base per un recupero, o almeno un rimbalzo,
delle Borse. Troppo poco per parlate di inversione di tendenza, ma
abbastanza per mantenere un briciolo di fiducia: i titoli di Stato a
lunga scadenza sono rimasti piatti, come il petrolio e molte materie
prime. E, a parte l'euro che ha perso oltre il 5 per cento sul
dollaro, anche le principali divise si sono mantenute in relativo
equilibrio.
«Graficamente — spiega Enrico Nicoloso responsabile dell'analisi
tecnica di Websim. it — i principali indici internazionali sono
ormai ad un passo dai minimi della banda di oscillazione descritta
negli ultimi 4 mesi. La Borsa italiana, in cui pesano molto i
finanziari, è scesa addirittura sotto tale soglia. Ora, l'elevato
ipervenduto di breve potrebbe far scattare in qualsiasi momento
violente ricoperture. Tuttavia, la continua e reiterata
vulnerabilità non sembra destinata ad essere riassorbita in tempi
brevi». Tra gli indici settoriali europei spiccano le perdite dei
bancari (-20%), degli assicurativi (-15%) e delle auto e degli
industriali (-10%). Mentre si sono salvati per ora i classici
«difensivi» (alimentari, farmaceutici).
Una situazione che desta preoccupazioni anche per Lorenzo Marconi,
consulente di Intra Private Banking: «Ci sono livelli tecnici che
vanno monitorati con grande attenzione: 16 mila punti per l'S&P Mib,
oggi poco sopra i 17 mila; 730 punti per l'S&P 500, oggi a 820 e
7.350 per il Dow Jones oggi 8.120. Se queste soglie dovessero essere
violate, e nel caso di Piazza Affari siamo davvero molto vicini,
allora si aprirebbero spazi di ribasso che potrebbero estendersi
sino al 30 per cento».
La crisi attuale, che ormai in molti mettono sullo stesso piano del
crac degli anni Trenta, impone quindi un'analisi storica che per la
Borsa di Milano parte dall'indice Mibtel. «In questo scenario —
continua Nicoloso — è tecnicamente plausibile per il Mibtel la
ricerca di una nuova base intorno ai 13.000/12.500 punti, ovvero in
corrispondenza dei massimi raggiunti nel periodo 1987-1997.
Eventuali rally, assumerebbero consistenza e sostenibilità soltanto
sopra area 16 mila. Se invece l'area 13 mila non dovesse tenere il
target per un mercato Orso sarebbe posto a 9 mila punti, il 45 per
cento sotto i prezzi attuali».
Anni Trenta
Solo con un balzo all'indietro di 20 anni gli indici possono dunque
ripartire? «Sono scenari impressionanti — prosegue Marconi — ma se
guardiamo il sottostante degli indici, ovvero le società, allora la
situazione appare meno preoccupante. Se da un lato continuiamo a
consigliare di stare fuori dai finanziari, non vanno invece
trascurate aziende che vantano un forte posizionamento competitivo:
Buzzi Unicem, Bulgari, Prysmian, Enel». Marconi segnala anche Fiat,
che a un prezzo di 3,4 euro, ovvero sotto i valori toccati nell'era
pre-Marchionne, si presenta molto sottovalutata: «La notizia
dell'alleanza con Chrysler che, a costo zero, aprirà il mercato Usa,
non ha cambiato di una virgola l'umore del mercato. Si tratta di una
situazione molto simile a quella della bolla del 2000 quanto tutti
rincorrevano i prezzi. Ieri al rialzo e oggi al ribasso».
I livelli da monitorare sono i 13mila punti del Mibtel e i 16.000
dell'S&P Mib. Se vengono sfondati allora suonerà l'allarme rosso.
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Fonte
- Corriere della Sera
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Sabato 24
Gennaio 2009 |
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Martedì 27
Gennaio 2009 |
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Mercoledì 28
Gennaio 2009 |
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E se il mercato
immobiliare non riparte
27 Gennaio 2009 16:25 NEW YORK
-
di Douglas McIntyre*
*Douglas A.
McIntyre e' un membro di 24/7 Wall St., LLC. E' stato redattore
capo ed editore del Financial World Magazine e anche il promo
presidente di Switchboard.com ai tempi in cui era il decimo sito
Internet piu' visitato nel mondo. Laureato con il massimo dei
voti ad Harvard, e' stato amministratore delegato di
FutureSource e On2 Technologies. ______________________________________________
Molti economisti, forse la
maggior parte di essi, ritiene che il mercato immobiliare
tocchera' il fondo verso la seconda meta' dell'anno e che i
prezzi torneranno a salire nel 2010. I motivi di tanto ottimismo
sono logici e si basano su ragionamenti convincenti. Le case
diventeranno un bene cosi' economico che sara' irresistibile la
tentazione di ottenere guadagni elevati. Il governo iniettera'
soldi nel sistema creditizio in modo da spingere i tassi di
interesse sui mutui sempre piu' in basso, sotto alla soglia del
5%.
Secondo Associated Press "un gruppo di esperti del settore
immobiliare prevede che i problemi dei costruttori si
intensificheranno quest'anno, rimandando un eventuale recupero
al 2010". Ma cosa accadrebbe invece se gli esperti si stessero
sbagliando?
Per i principianti ci sono solo due numeri economici degni di
essere osservati per sapere se la recessione sta peggiorando o
migliorando. Gli esperti direbbero che il Pil e' l'indicatore
migliore. Altri diranno che la fiducia dei consumatori o gli
utili o le spese di capitale sono i fattori chiave per avere una
lettura piu' corretta.
Ma le uniche cifre veramente importanti sono i posti di lavoro e
i prezzi delle case. Sono collegati come gemelli siamesi e sono
alla base della salute dell'economia. I prezzi delle case sono
fondamentali per il recupero degli utili delle banche. Le
svalutazioni legate ai mutui e i casi di insolvenza stanno
massacrando gli utili degli istituti finanziari. Le attivita'
immobiliari come costruzione e home supply sono decimate. Il
valore dei terreni dove le case potrebbero essere costruite sta
cadendo a pezzi.
I prezzi delle case sono direttamente correlati all'occupazione,
al credito al consumo e alla fiducia dei consumatori. Persone
senza lavoro o che credono che il proprio lavoro sia a rischio
non compreranno mai una casa. Le persone senza credito non sono
in grado di comprare una casa. Le persone senza fiducia non
faranno altro che lavorare e andare a letto.
Se quest'anno non dovesse esserci almeno una minima inversione
di tendenza in positivo nella costruzione di nuove case e nei
prezzi, allora la recessione durerebbe fino al 2010 compreso. Se
i prezzi delle case dovessero perdere un altro 10% o 20%,
l'economia si troverebbe in guai cosi' grossi che nessuna
persona con un'eta' inferiore ai 80 anni possa immaginare.
E' molto semplice: case e lavoro, la chiave e' tutta qua.
Fonte
- Borsa & Finanza
MERCATO IMMOBILIARE:
E' IL MOMENTO DI RIPARTIRE
28 Gennaio 2009 20:30 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Il settore e' alle prese con la
peggiore crisi dalla Grande Depressione. I prezzi delle case
sono ai minimi di 6 anni. Ormai sono necessari 9 mesi per
venderne una. Sembra proprio sia stato toccato il fondo.
Il settore immobiliare e' alle prese con la peggiore crisi dalla
Grande Dpressione. I prezzi delle case sono ai minimi in 6 anni.
Ci vogliono 9 mesi per vendere una casa. Ciononostante sembra
che il mercato sia giunto ad un punto di svolta e il
sorprendente incremento di vendite di case esistenti ne e' la
dimostrazione.
Sinora i prezzi delle case in picchiata hanno tenuto alla larga
potenziali acquirenti perche' questi ultimi non avevano
intenzione di comprare un asset che quasi sicuramente avrebbe
perso ancora valore, o almeno inizialmente.
Ma adesso i prezzi sembrano essere calati cosi' tanto in alcune
regioni da rendere l'acquisto piu' economico dell'affitto, in
particolare nella costa occidentale. Se a questo si aggiungono
tassi sui mutui a livelli minimi record, non sorprende che la
domanda abbia iniziato una fase di recupero.
"In molte aeree adesso puoi permetterti di possedere una casa ad
un prezzo inferiore rispetto a quello che ti costerebbe
affittarla", dice Mollie Carmichael, senior vice president di
John Burns Real Estate Consulting, azienda che offre consulenza
all'industria immobiliare e con sede a Irvine, California.
Nella California del Sud le vendite di case sono cresciute del
50.5% rispetto all'anno passato dopo che la mediana dei prezzi
ha subito una flessione del 34.6% a $278000, e dopo che i
compratori hanno colto l'occasione al volo per mettere le mani
sulle proprieta' mmobiliari ipotecate.
Carmichael sostiene che nelle aeree californiane dell'Inland
Empire, Riverside e San Bernardino, particolarmente colpite
dalla crisi immobiliare, la media di affitto per un appartamento
e' di $1157, mentre la media per il pagamento di un mutuo post
tasse, preso come campione un singolo nucleo familiare con un
livello medio di risorse economiche, e' di $1154. E il prezzo e'
destinato a scendere sino a $979 entro la meta' dell'anno.
Le vendite di case esistenti negli Stati Uniti sono salite del
6.5% a 4.74 milioni dal tasso annuale di 4.45 milioni in
novembre. Nel 2008 le vendite di case esistenti sono scivolate
del 13.1% a 4.91 milioni di unita', sui minimi dal 1997.
La media nazionale dei prezzi delle case e' scesa del 15.3% da
un anno prima, a $175400. Si tratta del peggioramento piu'
marcato da quando il NAR ha iniziato a conservare i dati, nel
1968 e probabilmente il piu' pronunciato dalla Grande
Depressione, secondo quanto riferito ai giornalisti da Lawrence
Yun, chief economist di Nar.
"Il report conferma che ci avevamo visto giusto, le vendite
hanno toccato il fondo", dice Celia Chen, senior director in
housing economics per Moody's Economy.com a West Chester, in
Pennsylvania. "I prezzi attuali, che scontano le ipoteche,
stanno contribuendo ad abbassare valore, specialmente nella zona
della Costa occidentale dove i prezzi stanno attirando nuovi
compratori", ha concluso
Un altro fattore chiave potrebbe giocarlo il tasso sui mutui,
scivolato sui livelli che non vedeva da decenni. nella
setttimana conlusasi il 22 gennaio l'interesse sui mutui a tasso
fisso a 30 anni era al 5.12% in media, quasi un punto
percentuale in meno del livello in cui si trovava a fine
novembre. Una settimana prima i tassi sui mutui erano al 4.96%,
il livello piu' basso dal 1971, quando Fannie Mae ha iniziato a
registrare i dati.
Secondo il NAR il valore delle case esistenti in vendita e'
diminuito dell'11.7% a 3.68 milioni di unita' nel mese scorso,
rispetto ai 4.16 milioni di novembre, traducendosi in un'offerta
di 9.3 mesi. "Ma normalmente il tasso e' di 6 mesi, quindi e'
vero che l'offerta rimane alta", spiega ancora Chen.
"Tuttavia il fatto che il valore delle case si stia riducendo e'
una buona notizia".
Fonte: Reuters
Fonte
- Reuters
Poste, Aduc:
a rischio 400 mln di risparmi da index linked
28 Gennaio 2009 14:36
- di Reuters ______________________________________________
ROMA (Reuters) - L'Aduc chiede al
ministro dell'Economia Giulio Tremonti di intervenire sulle
perdite che i risparmiatori rischiano di accollarsi per aver
comprato da Poste italiane polizze index linked con sottostante
cdo sintetici. Secondo l'associazione dei consumatori le Poste
hanno piazzato prodotti che alla scadenza rischiano di bruciare
"400 milioni di risparmi di 70 mila investitori". I prodotti cui
l'Aduc fa riferimento sono quattro: Classe 3A Valore Reale,
collocata dal 07/01/2002 al 09/02/2002; Ideale, collocata dal
18/03/2002 al 20/04/2002; Raddoppio, collocata dal 03/06/2002 al
10/07/2002; Raddoppio Premium, collocata dal 12/08/2002 al
21/09/2002; Index Cup, collocata dal 21/10/2002 al 16/11/2002.
"Già pochi mesi dopo il collocamento di questi titoli tripla A
ad oltre 70 mila risparmiatori (secondo fonti interne delle
Poste) iniziavano in primi problemi con il fallimento della
WorldCom. Iniziavano i primi declassamenti, ma i risparmiatori
non venivano informati. Il tracollo della situazione finanziaria
ha fatto il resto", si legge nella nota. "Il titolo 'Classe 3A
Valore Reale' adesso vale circa la metà ed il titolo Ideale un
terzo del valore iniziale. Tra poco questi titoli (che avevano
una scadenza di 10 anni) andranno in scadenza e le Poste stanno
proponendo vergognose ristrutturazioni che hanno lo scopo di
cercare di soffocare sul nascere l'enorme scandalo legato a
questa vicenda", continua la nota. "Chiediamo che il ministro
Tremonti intervenga immediatamente affinché le Poste si facciano
totalmente carico delle perdite derivanti da questi prodotti",
conclude Aduc.
Fonte
- Reuters
L’oro
non smette di brillare
28/01/2009 17.12
- di Valerio Baselli ______________________________________________
Valerio Baselli | 28/01/2009
17.12 | Invia Articolo via E-mail | Copyright | Aggiungi ai
preferiti
“L'oro è la moneta pesante”, dicevano gli antichi. Nel senso che
la moneta d'oro era quella destinata ad acquistare maggior
valore nel tempo, e anche per questo chi “tosava” le monete
d'oro (operazione con cui si toglieva parte del metallo sul
bordo della moneta, diminuendone così la quantità di metallo
prezioso) poteva spesso finire sulla forca, molto peggio di un
falsario. Questo detto risulta essere vero anche oggi,
soprattutto se analizziamo l’andamento del valore aurifero nell’ulitmo
anno. La crescita senza pari dell’oro e il successo dello stesso
come bene sottostante, è dovuta alla posizione dominante
dell’oro che nelle vesti di bene di rifugio liquido non è
soggetto ad alcun rischio di credito. A ciò si aggiunge la bassa
correlazione negativa con le azioni che ha aiutato l’oro a
dominare le classifiche di performance nel 2008 e registrare una
crescita del 4% in dollari e del 44% in sterline inglesi.
L’oro, quindi, è stato il miglior performer nel 2008. Non a
caso, nell’ultimo anno, gli Etc (Exchange traded commodities)
legati al valore aureo sono letteralmente volati. Etf Securities
Limited (ETFS), leader mondiale nello sviluppo degli Etc, ha
registrato nel 2008 una crescita di 1,75 miliardi di dollari
nell’attivo gestito dei suoi physical gold Etc per un patrimonio
totale che adesso ammonta a 4,8 miliardi di dollari. Anche i
numeri del World gold council mostrano come la domanda per l’oro
fisico (inclusi gli Etc) ha raggiunto livelli da record nel
terzo trimestre del 2008.
Ma come funzionano gli Etc sull’oro fisico? Quelli offerti da
Etf Securities sono garantiti da lingotti d’oro depositati
presso i caveau di una banca incaricata dall’emittente, perciò
immuni dal rischio di credito bancario e sempre identificabili.
Lo strumento, quindi, non simula un paniere di società legate
all'oro e alla sua catena del valore, ma investe direttamente in
lingotti, in bullions come dicono in America. Differenza questa
non di poco conto dato che il metallo custodito nella banca
depositaria deve essere conforme alle regole del Good delivery
of the London bullion market association (Lbma). I titoli sono
emessi solo nel momento in cui è certo che il metallo è stato
depositato nel conto aurifero della società presso la banca
depositaria. Questo significa che nessun metallo prezioso è
preso in prestito, è dato in prestito o la banca ne ricava alcun
reddito.
Considerando l’attuale natura della congiuntura economica
globale e lo scenario di estrema incertezza (investitori
spaventati dal rischio di credito, tassi di interesse
estremamente bassi e governi indebitati), l’oro si sta
dimostrando un investimento sempre più di successo. “A partire
dagli ultimi due mesi del 2008 e continuando anche quest’anno,
gli investitori stanno cercando asset che siano liquidi, sicuri
e trasparenti”, ha commentato Nik Bienkowski, direttore
operativo di Etf Securities. “Gli investimenti alternativi
dovrebbero aiutare a proteggere i portafogli a causa della loro
bassa correlazione con azioni e bond, tuttavia il fatto che non
siano stati resi noti i dati relativi alle dismissioni
diversamente da quelli sulle emissioni, ha messo in cattiva luce
gli investimenti alternativi come gli hedge fund e il real
estate. Gli Etc hanno risolto questi problemi.”
Fonte
- MorningStar.it
CDS E DERIVATI IN PERICOLO,
RISCHIO SPARIZIONE
29 Gennaio 2009 17:03 NEW YORK
- di Bloomberg ______________________________________________
Un nuovo disegno di legge
potrebbe cambiare radicalmente la regolamentazione vigente sul
mercato dei derivati e dei titoli scambiati "over-the-counter".
In gioco asset per $29 trilioni.
Un nuovo disegno di legge potrebbe cambiare radicalmente la
regolamentazione vigente sul mercato dei derivati e dei titoli
scambiati "over-the-counter". Stando alle prime stime, si
potrebbe assistere alla sospensione delle trattative all’interno
del mercato dei CDS (Credit-Default Swap) per assets con un
valore complessivo pari a circa $29 mila miliardi.
Collin Peterson, Presidente del Comitato dell’Agricoltura della
Camera dei Rappresentanti Usa, ha diffuso una bozza di legge
nella giornata di ieri che proibirebbe le contrattazioni sui CDS
qualora gli investitori non siano in possesso dei bond di
riferimento. La proposta, di riflesso, avrebbe un forte impatto
anche sul mercato "over-the-counter" (in cui sono scambiati
titoli per ben $684 mila miliardi) che verrebbe gestito da
un'agenzia specializzata.
"Una cosa del genere eliminerebbe di fatto il mercato dei
singoli CDS" ha affermato Tim Backshall, chief strategist di
Credit Derivatives Research. "Considerata la ridotta dimensione
degli emittenti dei bond circolanti, cio’ renderebbe
praticamente impossibile l’esistenza del mercato".
Fonte: Bloomberg
Fonte
- Bloomberg
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