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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Mondo - Geo politica e finanza

Chat room segreta per i boss delle monete

Borse e Mercati

Mercati: pericolose velleità rialziste

Borse e Mercati

Azioni in gran forma, ma il risparmiatore non lo sa

FED e tassi

Tassi USA: curva piatta guai in vista

FED e Macro USA

Ancora dubbi sull'enigma di Grennspan

   

Vai alla seconda parte della Rassegna

 

ANSA  +++  Bombe nel metro a Londra, sospetti su Al Quaeda  +++  Nuovo drammatico attentato terroristico a Sharm El Sheikh  +++  ANSA

venerdì  8  luglio  2005   venerdì  22  luglio  2005   domenica  24  luglio  2005
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  Chat room segreta per i boss delle monete

Banchieri, autorità e operatori sono rimasti in contatto su un «sito sicuro» creato dopo l’11 settembre e hanno reagito al caos dopo gli attacchi terroristici di Londra, assicurando la stabilita' finanziaria e il recupero globale delle borse.

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10 Luglio 2005  13:15  MILANO  (di Federico Fubini)

Un sito segreto. Una «chat room» per banchieri, operatori e autorità di controllo. E’ grazie a una struttura creata dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle che i mercati finanziari hanno potuto reagire all’attacco terroristico che ha bloccato trasporti e comunicazioni della City londinese giovedì mattina. E’ usando la «sezione sicura» del loro Financial Sector Continuity Web che la Banca centrale d’Inghilterra, il Tesoro inglese e la Fsa (l’autorità che controlla i mercati) hanno potuto restare in contatto con le principali banche e piazze mondiali. Quelle cioè in grado di assicurare la stabilità finanziaria globale e permettere quindi alle Borse di reagire all’attacco.

Una struttura parallela di supporto a uno spirito di reazione di cui i mercati sembravano però già disporre. A un operatore di fondi speculativi con un passato da portiere di calcio, quella mattinata ha ricordato una vecchia esperienza: «Come sfidare il Real Madrid con i giovani della "primavera": loro fanno goal da tutte le parti, ti travolgono. Ma tu devi restare in campo, continuare a giocare». Per molti nelle Borse europee, il 7 luglio è andata così: niente sospensioni, nessuna ritirata. A maggior ragione se la struttura tecnologica, base ormai degli scambi, resta solida.

A un attentato, le banche nella vecchia City o nell'avveniristica Canary Wharf, i fondi speculativi nel lusso di Mayfair, la Bank of England e la Banca centrale europea (Bce) a Francoforte, si erano preparati per anni. Forse non come certi fondi Usa, dove i dipendenti per regolamento hanno maschera antigas e bicicletta pieghevole per la fuga nel cassetto. Ma anche in Europa ognuno sapeva cosa fare. E la prima cosa, era controllare che non si riaffacciasse il fantasma dell'11 settembre a Wall Street: un blocco della liquidità dopo il collasso delle linee della Federal Reserve di New York. Poi lo stop a catena dei pagamenti, la sospensione degli scambi per quattro giorni e infine una riapertura traumatica.

Stavolta i signori delle monete sapevano come muoversi sostenendo, grazie alla «chat room» parallela, i tanti Philippe Rakotovao sul mercato: francese del Madagascar, capo a Londra della piattaforma dei titoli di Stato europei Mts da cui passano 70 miliardi di euro ogni giorno (20 solo nella City), Rakotovao a metà mattina ha fatto così girare nei computer delle banche poche, chiare parole: «Keep going, business as usual» : continuare, si lavora come sempre. Sì che di coraggio per dirlo ce ne voleva. E non solo perché un banchiere, di fronte alla strage, gli ha risposto a muso duro: «Non sei certo diplomatico».

E' in queste condizioni che Mts ha optato per un compromesso: si lasciano aperti i battenti di Borsa, ma senza obbligare gli operatori a proporre valori d'acquisto o cessione. Chi voleva, poteva restare alla finestra. Ma alla fine ha vinto la determinazione (e il sito segreto) delle istituzioni finanziarie e delle grandi banche mondiali a «fare i primi prezzi», come dicono gli addetti: in fondo quel che la Regina d'Inghilterra chiama «continuare la nostra way of life».

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

venerdì  8  luglio  2005 Molte bombe esplodono nel metro a Londra, 50 morti gia' accertati. Colpita la City con almeno sei attentati. Blair dice: "Ci attaccano mentre inizia il G8". La Bbc: «Sospetti su Al Qaeda». Tutti i mercati azionari in forte calo, a picco Milano (-4%). venerdì  8  luglio  2005

 

Milano affonda con il resto delle borse europee (Francoforte perde il 3%) al susseguirsi delle notizie sulle esplosioni nella metropolitana e negli autobus a Londra. Col riemergere dell'incubo terrorismo il Mibtel cede il 2,71% a 24.342 punti, lo S&P/Mib il 2,76% a 31.828. Giu' tutti i principali titoli con Fiat che cede il 3,94%. Telecom il 3,21%.

 

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  Mercati: pericolose velleità rialziste

I miglioramenti transitori dei dati economici non cancellano i seri problemi strutturali dell’economia americana. Il caro petrolio e l’aumento dei tassi presto peseranno sui consumi. E l’effetto sulle borse...

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15 Luglio 2005  16:36  MILANO (di *Michele Pezzinga)

*Michele Pezzinga e' lo strategist di CentroSim.

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Superato, con una pronta reazione, l'impatto emotivo legato alla nuova ondata di attacchi terroristici, i mercati finanziari sembrano ora sposare scenari persino migliori rispetto a quelli che avevamo lasciato a fine giugno. Paradossalmente, proprio le capacità di tenuta dell'azionario di fronte ai drammatici eventi di Londra hanno rafforzato tra gli investitori le velleità rialziste, diffondendo la convinzione che i rischi di caduta in questa fase siano molto contenuti e, per gli hedge funds, che i tentativi di forzatura all'ingiù, almeno per ora, non paghino.

Ne sanno qualcosa coloro che avevano venduto, anche solo per motivi precauzionali, durante la convulsa seduta del 7 luglio. Ma è davvero cambiato il quadro di riferimento? Sotto questo profilo, non ci sembra di cogliere novità sostanziali rispetto ad un mese fa: i problemi strutturali, sostanzialmente riconducibili all'economia USA e che ci facevano dubitare della sostenibilità degli attuali trend, rimangono infatti sempre vivi. Continuiamo inoltre a credere che tra altri tre-sei mesi l'aumento dei tassi e il caro energia finiranno per frenare davvero i consumi delle famiglie americane, vero motore della crescita globale.

Tuttavia, nelle ultime settimane proprio da questi fronti sono giunti segnali più incoraggianti, a nostro avviso solo interlocutori, ma comunque tali da spostare un po' più avanti nel tempo le temute verifiche di tenuta. Il disavanzo federale USA del 2005, per esempio, viene ora visto in calo verso quota 330 mld di dollari circa, 100 in meno rispetto a quello 2004 e alle proiezioni che circolavano ad inizio anno. La notizia è confortante, anche se finora il merito è stato del boom di entrate fiscali, più che di un taglio delle spese, il che lascia dubitare dell'auspicato innesco di un circuito davvero virtuoso.

Anche il deficit della bilancia commerciale USA ha registrato un'altra contrazione in maggio, ma siamo pur sempre a quota 55,4 mld di dollari, in progresso rispetto alla punta record di quasi 60 mld a inizio anno, ma molto oltre rispetto ai 48,7 mld registrati dodici mesi prima. Le proiezioni per giugno, a causa del rafforzamento del cambio e del balzo dei prezzi dell'energia importata, puntano inoltre verso un netto peggioramento (di nuovo verso quota 60 mld), che non sembra destinato a rientrare in maniera significativa nella seconda metà dell'anno.

Se il disavanzo record (che ormai viaggia su ritmi del 5,6% rispetto al PIL) era il sintomo di un problema strutturale - l'eccesso di consumi delle famiglie americane finanziato con il risparmio d'oltreoceano - questo non appare affare in via di risoluzione; e anche il dollaro, ora contagiato da un diffuso consenso rialzista, quanto prima dovrà tornare a renderne conto. Al tempo stesso, però, la maggiore e forse unica sorpresa negativa di questa fase, il rinnovato balzo in avanti nelle quotazioni del greggio, oltre la soglia finora inviolata dei 60 dollari il barile, non sembra aver generato allarmi dal lato nè dell'inflazione, nè della crescita economica.

Dal punto di vista degli investitori azionari, una simile reazione rappresenta un altro segnale decisamente rassicurante: se l'effetto di un'ascesa da 50 a 60 dollari il barile non è tale da far deragliare crescita e performance di Borsa, perchè mai le cose dovrebbero andare diversamente qualora il greggio salisse ancora a 65 o a 70 dollari? L'esperienza passata ci direbbe che l'impatto sulla congiuntura di incrementi annui del 30-40% è tutt'altro che marginale e che si registra con la maggiore intensità solo 6 mesi-1 anno dopo gli aumenti sottostanti; ma nel clima attuale di compiacente ottimismo sulle capacità di reazione delle economie, inclusa quella di assorbire gli aumenti dei costi energetici, il rischio viene quasi ignorato.

Qui dal nostro punto di vista potrebbe però esserci qualche sorpresa positiva: condividiamo infatti l'idea che nelle ultime settimane i prezzi del greggio abbiano mostrato eccessi di natura speculativa e che il rallentamento della domanda reale di energia, in atto anche da parte dei Paesi asiatici, Cina inclusa (-1,3% su base annua il suo import di greggio in giugno e -21% quello di prodotti raffinati), possa produrre uno sgonfiamento delle quotazioni, magari solo temporaneo, ma comunque significativo. A neutralizzare i timori sul petrolio forse hanno provvidenzialmente contribuito anche alcuni segnali di riaccelerazione dell'economia USA, in grado di cancellare quei pericolosi indizi di frenata congiunturale che avevamo segnalato ad inizio primavera.

Tenuto conto della forza dei consumi - confermata ieri dal +1,7% delle vendite al dettaglio di giugno, di nuovo trainate dal balzo del comparto auto (+4,8%) - e dalla tenuta degli investimenti, il PIL americano sembrerebbe in grado di confermarsi in crescita di circa il 3% anche nel 3° trimestre, un ritmo analogo a quello stimato per il 2°, non eccezionale (era pari al 3,8% nel 1° trimestre 2005 e al 4,4% per l'intero 2004) ma comunque soddisfacente, soprattutto rispetto ai depressi standard europei. I dilemmi di fondo riguardano però le modalità con cui si muoverà la congiuntura più avanti, diciamo nella parte finale dell'anno: in altri termini se davvero l'economia USA riuscirà a viaggiare ancora alla velocità attuale, se l'area euro riuscirà finalmente ad uscire dalla stagnazione corrente e quanto sarà pronunciata la frenata della Cina, e con essa dell'intero blocco asiatico, che ancora una volta si sta iniziando a profilare. Tutti elementi ancora molto dibattuti tra gli addetti ai lavori.

Rimane invece diffuso il consenso sul fatto che l'inflazione continuerà a non rappresentare una minaccia concreta: a conferma di ciò proprio ieri sono stati resi noti i prezzi al consumo USA di giugno, rimasti invariati sul mese precedente e cresciuti solo di uno 0,1% esclusi alimentari ed energia, un rassicurante +2% su base annua, ma soprattutto un +1,2% annualizzato nell'ultimo trimestre, in netto calo da quel +3,3% che si era minacciosamente profilato nel 1° trimestre 2005. Ha comunque ripreso quota l'idea che la FED, dopo aver alzato i tassi di un altro quarto di punto anche ad agosto, possa spingersi fin verso la soglia del 4% entro l'inizio del 2006, un'ipotesi che a inizio giugno, con i bond ai massimi, sembrava fin troppo aggressiva. Il focus della Banca Centrale non è infatti sull'inflazione, ma sul persistente boom immobiliare da cui traggono sostegno, indebitandosi a ritmi crescenti, i redditi (e i consumi) delle famiglie: anche a costo di frenare ulteriormente la crescita del 2006 Greenspan dovrà quindi intervenire ancora su questa spirale, in modo da scongiurare la formazione di una pericolosa bolla speculativa.

Per quanto riguarda invece la BCE, l'idea di un taglio dei tassi entro fine anno, richiesto dalle difficoltà economiche e politiche dell'area, ha perso quota; la Banca Centrale potrebbe quindi rimanere ferma su questi livelli ancora a lungo, un cambiamento di prospettiva che ha contribuito da un lato a rafforzare l'euro, riportandolo nelle ultime sedute sopra quota 1.20 contro dollaro, e dall'altro a frenare l'euforia sull'obbligazionario, dove la parte lunga della curva sembra aver esaurito, almeno in questa fase, tutto il suo potenziale. In ogni caso, i rendimenti obbligazionari, pur lievemente risaliti dai minimi di giugno, non ci sembrano destinati a risalire molto dagli ancora contenuti livelli correnti (un 4,16% sul decennale USA e un 3,29% su quello tedesco); i tempi per una decisiva inversione di trend a nostro avviso non sono ancora maturi e anzi dopo l'estate, se la ripresa non si farà strada, il tema del taglio potrebbe tornare d'attualità.

Si tratta di livelli tali comunque da mantenere in vita un significativo effetto liquidità, di cui continuano a beneficiare i mercati finanziari e l'immobiliare. Gli spread sui bond dei mercati emergenti segnano continuamente nuovi minimi (siamo ormai intorno ai 300 punti base, rispetto ai 1000 di tre anni fa e agli oltre 500 toccati ancora l'anno scorso), analoga euforia traspare dai junk bond, mentre le Borse continuano a registrare progressi, sia pure modesti, che hanno comunque portato molti dei listini europei sui record degli ultimi quattro anni. In assenza di particolari traumi esterni, si tratta di uno situazione che potrebbe auto-alimentarsi, favorita dalla mancanza di sbocchi concreti per gli investimenti nell'economia reale e dalla ricerca di rendimenti competitivi rispetto a quelli, risibili in termini reali, offerti dalle attività prive di rischio.

Continuiamo a credere che sui mercati azionari i rischi al ribasso rimangano abbastanza contenuti, visto che nessuno dei due elementi chiave su cui si fondano, la crescita degli utili, che prosegue persino nel caso di un'Europa in completo stallo congiunturale, e i bassi rendimenti obbligazionari sembra mostrare pericolosi segni di cedimento. Finora semmai era il potenziale al rialzo delle Borse a non convincerci: nemmeno ora vediamo grandi cose, ma visto che nell'immediato i bond ci sembrano ormai arrivati, un temporaneo cambiamento di peso a favore delle azioni potrebbe risultare opportuno. Con l'idea però di fare nuovamente retromarcia tra qualche mese e riscoprire le obbligazioni, se, come continuiamo a credere, la crescita globale per allora segnalerà un più significativo rallentamento.

Fonte - CentroSim per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

  sabato  02  luglio  2005   sabato  09  luglio  2005   sabato  23  luglio  2005  
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  Azioni in gran forma, ma il risparmiatore non lo sa

Le Borse europee (e certamente Piazza Affari) salgono da oltre due anni, ma il pubblico non ne ha approfittato. Anzi, gli investitori si sono presi in pieno la batosta 2001-2002 senza partecipare al bel rialzo 2003-2005.

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24 Luglio 2005  17:45  MILANO (di Vincenzo Sciarretta)

IL PARADOSSO DELLA LIQUIDITÀ Le Borse europee salgono da oltre due anni, ma il pubblico non ne ha approfittato. Anzi, si è preso in pieno la batosta del 2001-2002 senza partecipare al rialzo vigoroso del 2003-2005. Forse al punto da legittimare l’espressione un po’ cattiva di «parco buoi», in voga qualche tempo addietro. Il quadro emerge dai dati di raccolta dei fondi azionari europei. Ci sono naturalmente differenze da Paese a Paese, ma la fotografia d’insieme è piuttosto uniforme: i risparmiatori si sono imbottiti di titoli fra il 1999 e il 2000. Dopo aver subito forti minusvalenze con il crollo della new economy, non hanno più trovato il coraggio di rientrare in Borsa per beneficiare del rimbalzo del 2003-2005.

Un caso rappresentativo delle tendenze continentali è quello tedesco, dove la raccolta netta dei fondi azionari è stata negativa sia nel 2004 sia nel 2005, mentre l’attività era risultata febbrile in coincidenza del massimo storico del Dax (1999-2000). Persino peggiore il trend in Italia, dove l’emorragia dei fondi azionari prosegue dal 2001. E nel 2005 la fuoriuscita ha toccato i 4,2 miliardi di euro.

TANTI SOLDI, POCA BORSA. Di positivo c’è che la composizione dei portafogli medi assomiglia alla situazione del 1996-97, quando iniziò uno dei più forti mercati Toro della storia recente. In particolare, gli europei hanno un’esposizione modesta verso la Borsa e sono invece ricchi di liquidità. Gli analisti si augurano perciò che abbia luogo un travaso di risorse a favore delle piazze azionarie, capace di innescare un secondo flusso di acquisti, alimentando così il rialzo.

Ma vediamo i dati: i fondi azionari rappresentano solo il 34% del totale amministrato in Europa. Nel 2000 la quota era oltre il 45 per cento. Nel 1997, invece, era più o meno sui valori attuali, cioè 30-35 per cento. Insomma, la ricchezza investita in azioni non è eccessiva. E c’è spazio per crescere. Anche perché i quattrini parcheggiati nei fondi di liquidità sono al contrario tantissimi: oggi valgono il 70% di quello che è impiegato nei fondi azionari. Una cifra davvero elevata. Basti dire che fra il 1998 e l’inizio del 2002, il rapporto era sempre stato sotto il 50 per cento. Per ritrovare una situazione analoga occorre tornare di nuovo al 1997, cioè all’inizio dell’ultimo grande rialzo. Ma con una differenza capitale. Allora, nel 1996-1997, gli strumenti monetari rendevano qualcosa ai risparmiatori e avevano di conseguenza una loro attrattiva. Nel 2005 non sono in grado neppure di coprire l’inflazione tanto sono anemici i rendimenti. Perciò una fuga dalla liquidità potrebbe coincidere con una rinnovata corsa delle piazze europee.

LA MONETA. Naturalmente, anche a livello macroeconomico le condizioni risultano buone, e più accomodanti che sull’altra sponda dell’Atlantico, tanto che un flusso rilevante di ordini in acquisto arriva dagli Stati Uniti. Il rapido accrescimento dell’offerta di moneta è pure un carburante abituale delle Borse. Infatti, ogniqualvolta c’è abbondanza di contante, almeno una parte finisce negli asset finanziari. E i dati recenti forniti dalla Banca centrale europea parlano di una crescita dell’offerta di moneta al 7,3%, ben superiore a quella dell’economia.

PREZZI ANCORA BASSI. Alcuni esperti hanno però lanciato l’allarme: le piazze europee sarebbero salite troppo e troppo in fretta, rendendole vulnerabili a un capovolgimento. Ma è avvenuta anche una cosa curiosa: le valutazioni delle azioni europee sono ancora quelle del 2003, o persino più allettanti. La ragione? Gli utili hanno ricalcato la parabola ascendente delle quotazioni cosicché i multipli delle compagnie restano su livelli interessanti. Francoforte offre un ottimo esempio: il multiplo sugli utili è oggi il più basso degli ultimi due decenni e oscilla intorno a 12,4 volte i profitti del 2006.

Tra il 1985 e il 2000, le richieste erano maggiori del 15-65%, anche senza considerare gli eccessi della bolla di fine millennio. E inoltre, quelli erano anni in cui i tassi d’interesse offerti dalle obbligazioni viaggiavano ben al di sopra delle cedole correnti. Come se non bastasse, di recente anche l’euro ha smesso di correre, favorendo i profitti degli esportatori. Essi hanno tirato la cinghia per diverso tempo e ora si trovano nella migliore condizione per beneficiare della robusta congiuntura internazionale. Insomma, il mercato azionario sembra aver sposato una chiara tesi rialzista in cui i prezzi bassi, i tassi d’interesse minimi e il ciclo positivo degli utili hanno un peso maggiore rispetto al rincaro del petrolio e alle tensioni internazionali. La ciliegina sulla torta potrebbe venire proprio dal ritorno in Borsa dei piccoli risparmiatori.

Fonte - Bloomberg - Borsa & Finanza

 

 

 

  venerdì  01  luglio  2005   martedì  05  luglio  2005   martedì  05  luglio  2005  
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Greenspan non cambia rotta

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01 Luglio 2005  20:40  MILANO (ANSA)

Nessuna sorpresa, il presidente della Fed rispetta le previsioni e alza per la nona volta di fila i tassi d'interesse dello 0,25% portandoli al 3,5%. "La crescita - dice la Fed - resta inoltre solida, nonostante il caro-petrolio, e le condizioni del mercato del lavoro continuano a migliorare gradualmente".

Si prosegue quindi sulla strada del stretta monetaria, certo in maniera graduale, ma senza ripensamenti, tanto che si ipotizza che ci sarà un ulteriore ritocco già nelle prossima riunione, in programma il 9 di agosto.
La Fed sottolinea che le pressioni congiunturali della dinamica dei prezzi sono presenti, ma dovrebbero rientrare sul lungo termine."Le preoccupazioni sull'andamento dell'inflazione negli Stati Uniti - scrive il board della banca centrale - sono ancora presenti, ma le aspettative sulla dinamica dei prezzi al consumo nel lungo termine restano contenute".

Come prassi, il board ribadisce che "risponderà se necessario ai cambiamenti delle prospettive economiche per rispettare l'impegno di mantenere la stabilità dei prezzi".

Sulla base degli ultimi dati, gli Stati Uniti sembrano comunque crescere bene come conferma la stima definitiva sul Pil del primo trimestre, rivista al rialzo al 3,8% rispetto al 3,5% della seconda rilevazione, grazie al calo del deficit commerciale e al settore immobiliare, con l'aumento delle costruzioni abitative, anche i prezzi segnano una dinamica moderata, con l'apposito indicatore compreso nel computo del Pil rivisto al ribasso, al tasso annualizzato del 2,9% dal +3,2% della precedente rilevazione.
 

Fonte - ANSA

 

 

Tassi USA: curva piatta guai in vista 

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01 Luglio 2005  21:16  NEW YORK  (ANSA)

Con il nono rialzo consecutivo dei tassi a breve (+0,25%) deciso dal Federal Open Market Committee della Fed, al 3,25% (la stretta comincio' esattamente un anno fa, il 30 giugno 2004, con i feds fund all'1%) la curva dei rendimenti dei Treasury americani fara' un altro passo avanti verso la cosiddetta "inversione". E questo, stando alle ricerche statistiche, e' un fenomeno che in passato ha sempre provocato conseguenze funeste, si dice in ambienti finanziari di New York.
La curva dei rendimenti - la differenza tra i tassi a breve e lungo termine - si e' notevolmente appiattita in quest'ultimo anno nel corso del quale la Federal Reserve guidata da Alan Greenspan ha alzato i fed funds. Dodici mesi fa, la differenza del rendimento tra il Treasury a 2 anni e il Treasury a 10 anni era di 1.92 punti percentuali, mentre all'inizio di questa settimana lo "spread" (differenza) si era ristretto a 0.31%, il minimo dagli inizi del 2001.
La sostanza e' questa: se i tassi a lungo termine, quelli del T-Bond a 10 anni, nei prossimi mesi non si muoveranno un poco verso l'alto, lo spread potrebbe addirittura diventare negativo. E cio' avrebbe - per money manager e investitori istituzionali - un significato ben preciso. Infatti l'ultima volta che la curva dei rendimenti ha cominciato a "invertirsi" fu nei primi mesi del 2000 (il Nasdaq inizio' il suo catastrofico crollo da oltre quota 5000 il 14 marzo) cioe' un anno prima che l'economia degli Stati Uniti entrasse in recessione. E prima ancora, lo stesso fenomeno funesto accadde nel 1989, e in quel caso l'inversione della curva anticipo' la recessione del 1990.
Date queste premesse, le domande sono: perche' mai, allora, la Fed non smette di alzare i tassi americani e non si ferma? Vuole forse prima far scoppiare la bolla immobiliare che essa stessa ha creato? O forse Alan Greenspan - mago dei mercati per la maggioranza degli operatori, vero avventuriero per pochi estremisti della finanza - non e' piu' in grado di risolvere quell'enigma sui tassi ("conundrum") di cui parlo' misteriosamente qualche settimana fa?
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

  Ancora dubbi sull'enigma di Grennspan

Tassi e bolla immobiliare. L'ampia liquidità come effetto della lunga fase di politica monetaria espansiva. Nuove tipologie di investitori e di gestione di portafoglio tali da aumentare la domanda di bond. A scapito dell' azionario?

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5 Luglio 2005  20:57  Siena  (di *Antonio Cesarano)

*Antonio Cesarano e' il responsabile dell'ufficio ricerca MPS Finance. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

E' da poco iniziato il secondo semestre che concretamente si inaugura oggi dopo il ponte lungo Usa e con la presenza di tutti i principali players sui mercati internazionali.

Proviamo a ricostruire ex post quanto accaduto nel semestre appena conclusosi, la cui dinamica a sua volta in gran parte è la prosecuzione di un complesso di fattori che hanno cominciato a manifestarsi già nel corso del 2004 e che sono divenuti più evidenti nel momento in cui, pur essendo iniziata la fase di rialzo dei tassi della Fed, è continuato il trend calante dei tassi di mercato dando luogo all'ormai celebre "conundrum" evocato da Greenspan a febbraio.

Schematicamente la sequenza logica della interazione dei fattori prima menzionati può essere così sintetizzata:

1) la lunga fase di politica monetaria espansiva inaugurata dalla Fed e dalla Bce a partire dalla metà del 2001 fino a toccare l'apice a metà del 2003, ha prodotto come conseguenza un’enorme massa di liquidità alla ricerca di rendimenti addizionali rispetto a quanto offerto dai titoli governativi che nel frattempo hanno continuato a seguire un trend calante;

2) contemporaneamente sono divenuti sempre più rilevanti nel quadro finanziario internazionale investitori come le banche centrali asiatiche che hanno dimostrato di seguire logiche diverse da quelle tipiche dei gestori del risparmio gestito, essendo ispirate a considerazioni politco/strategiche nella gestione delle enormi masse di riserve accumulate dalla fine degli anni '90, piuttosto che a criteri più strettamente inerenti le performance di portafoglio. La lunga fase di deprezzamento del Dollaro pertanto non ha intaccato in modo rilevante la preferenza verso i Treasuries Usa che hanno beneficiato di un flusso costante e copioso di domanda estera fino ad arrivare alla situazione attuale in cui circa la metà del debito pubblico Usa è in mano a investitori esteri;

3) altra novità di rilevo è stata rappresentata dall'affermarsi di nuovi criteri di gestione del portafoglio da parte soprattutto dei fondi pensione Usa che gradualmente hanno cominciato a ribilanciare i proprio portafogli spostando la preferenza verso gli asset obbligazionari rispetto a quelli azionari. Questa nuova filosofia di gestione è figlia probabilmente di due fattori principali:

a) le cocenti perdite subite dopo lo sgonfiamento della bolla azionaria a partire dal 2000; b) la presa d'atto di una profonda mutazione della dinamica demografica tale da comportare l'esigenza di gestire flussi di risparmio con finalità prettamente previdenziali. In sostanza si prende atto del fatto che la popolazione nei principali paesi sta invecchiando (finisce ad es. negli Usa il periodo dei baby-boomers che ora sono in prossimità del pensionamento) e che quindi in futuro sarà maggiore la quota di reddito destinata a scopo ad esempio sanitario vs. quella destinata in precedenza a beni di consumo di massa.

Di conseguenza i rendimenti attesi dal mercato azionario diventano inferiori rispetto al passato vista la minore propensione marginale al consumo attesa a causa del processo di invecchiamento stesso. In questo contesto allora i gestori Usa riscoprono il mercato obbligazionario che negli anni '90 era invece divenuto un corollario nei portafogli dei fondi pensione dove la netta prevalenza era invece assegnata al comparto azionario;

Sinteticamente i fattori finora esposti possono essere sintetizzati come: 1) ampia liquidità come effetto della lunga fase di politica monetaria espansiva; 2) presenza di nuove tipologie di investitori e filosofie di gestione di portafoglio tali da aumentare in modo molto forte la domanda di bond.

Tali fattori hanno generato un perdurante trend calante dei tassi che non è stato affatto scalfito dall'inizio della fase di rimozione dell'accomodamento monetario iniziato dalla Fed nel mese di giugno 2004. Tale andamento ha finito a sua volta per supportare il settore immobiliare su cui gradualmente si è innestata una nuova potenziale bolla. Greenspan per ora ha negato di trovarsi di fronte ad una situazione di questo tipo preferendo piuttosto parlare di surriscaldamento dei prezzi immobiliari confinato solo a singole aree piuttosto che trattarsi di un fenomeno diffuso.

Anche in Europa i prezzi delle case ne hanno beneficiato. Se si osservano gli indici di settore pubblicati dall'Economist si scopre ad esempio che in Europa nell'ultimo anno, ad eccezione della Germania, i prezzi immobiliari hanno registrato incrementi spesso a due cifre (Spagna + 15,5%, Francia +15%, Italia +9,7%) paragonabili a quanto verificatosi negli Usa (+12,5%) nello stesso periodo di tempo.

A parità di rialzo dei prezzi delle case negli Usa ed in gran parte dell'Europa, gli effetti sui consumi sono stati però nettamente differenti, risultando determinanti per la crescita Usa e del tutto irrilevanti in Europa. La ragione risiede nel fatto che in Europa il mercato dei mutui immobiliari non è strutturato come quello Usa dove risulta molto più semplice estrarre valore per i consumatori anche dal rialzo del prezzo della sola prima casa. Basti pensare alle rinegoziazioni dei mutui a tasso fisso (possibili anche grazie all'esistenza delle GSE come Fannie Mae e Freddie Mac), alla possibilità di liquidare mediante mutui gli incrementi di valore dell'immobile, alla diffusione (fin troppo marcata al punto da allarmare la stessa Fed) di forme di mutui strutturati (i c.d. ARM, Adjustable Rate Mortgages) che consentono di abbattere il peso della rata nei primi anni di vita del mutuo per consentire l'acquisto di immobili a prezzi anche molto più elevati rispetto al passato.

Greenspan si è trovato così di fronte ad un fenomeno del tutto imprevisto quale appunto il rialzo dei prezzi delle case. Il fenomeno era inatteso in quanto il capo della Fed immaginava che ad un rialzo dei tassi della Fed avesse fatto seguito un comportamento analogo dei tassi di mercato. Greenspan si era anzi preoccupato di evitare che il rialzo fosse troppo brusco ribadendo esplicitamente nel comunicato successivo ad ogni riunione che l'approccio adottato sarebbe stato "misurato".

Di conseguenza, il vecchio capo della Fed si è trovato di fronte ad un'economia in cui il settore immobiliare sta rappresentando uno dei motivi di sostegno principali per i consumi al punto da sostituirsi al supporto in precedenza offerto dalla politica fiscale espansiva. Di conseguenza occorre fare molta attenzione a porre in essere provvedimenti tali da innescare un ridimensionamento brusco dei prezzi delle case stesse, pena un impatto marcato anche sui consumi. Forse anche per tale ragione Greenspan evita di parlare di bolla immobiliare, pur essendovi diversi elementi per lasciare immaginare una tale possibilità.

Diventa pertanto estremamente complesso il percorso che la Fed dovrà seguire nella gestione di politica monetaria onde evitare che il delicato equilibrio su cui l'economia al momento si regge possa essere compromesso. La scelta per ora è semplicemente quella di continuare con l'approccio graduale, sperando che poco alla volta anche i tassi di mercato seguano un sentiero rialzista altrettanto graduale.

In realtà però , oltre alla Fed, il vero fulcro della situazione macro attuale risiede nella continuazione del forte flusso di acquisti di fonte asiatica che consente per ora anche di porre in secondo piano il problema del deficit di partite correnti che nel frattempo non ha accennato a diminuire raggiungendo il non invidiabile livello di 6,4% del PIl.

Fin qui abbiamo provato a ricostruire lo status quo che aiuta almeno a comprendere il delicato compito che spetta alla Fed. In realtà, come spiegato anche da Greenspan in interventi successivi a quello di febbraio, stanno probabilmente cambiando soprattutto i players protagonisti della partita dei tassi. I gestori insieme agli stessi hedge funds hanno spesso orientato le proprie scelte di investimento sulla base dell'attesa di una fase di rialzo dei tassi conseguente ad un recupero dell’economia, ritrovandosi nettamente spiazzati.

Ammettiamo che in passato, trovandoci di fronte alla necessità di formulare previsioni sull'andamento dei tassi, il focus sul solo andamento macro è stato anche per noi talora fuorviante, almeno negli Usa perché nel frattempo la situazione europea lasciava invece ipotizzare la possibilità di mantenimento dei tassi fermi, visto il basso livello di crescita e le continue revisioni al ribasso delle stime per il 2005.

Veniamo all'arduo compito di provare ad ipotizzare cosa potrebbe ora accadere sul fronte tassi. Premettiamo che al momento non riteniamo che le forze in gioco prima evidenziate abbiano dispiegato in modo completo il loro effetto. Il processo di ribilanciamento dei fondi pensione, la presenza di investitori come le banche centrali, verosimilmente manterrà ancora aperto il "conundrum sui tassi".

Inoltre a ciò si aggiunga la necessità da parte della Fed di evitare che i prezzi immobiliari possano bruscamente risentire di rapide accelerazioni al rialzo dei tassi di riferimento. Di conseguenza almeno fino ad agosto la Fed rimane orientata ad un approccio graduale. Nell’ipotesi di un rallentamento dell’economia che ancora non è del tutto da escludere, rimarrebbe ancora aperta la possibilità di una fase di arresto nel processo di rialzo dei tassi che pertanto chiuderebbero l’anno al 3,5%.

In Europa inoltre la Bce probabilmente manterrà i tassi fermi al 2% per tutto l'anno. Insomma diversi fattori depongono ancora a favore di politiche monetarie che difficilmente dovrebbero determinare un rientro dell'ampia liquidità in circolazione alla ricerca forsennata di investimenti profittevoli.

Infine i gestori che da oltre un anno hanno cercato di difendersi dal temuto rialzo dei tassi mantenendo profili di duration di portafoglio piuttosto contenuti rispetto ai benchmark di riferimento, si trovano ora nella necessità di procedere a graduali allungamenti di tale parametro privilegiando pertanto i segmenti più a lungo termine della curva.

In tale contesto, laddove dovesse materializzarsi un rallentamento dell'economia Usa nel secondo trimestre, si tratterebbe di un elemento che si aggiungerebbe ad un clima sui tassi già surriscaldato per altri fattori estranei a considerazioni prettamente macro.

In ogni caso, il primo semestre dell’anno ha educato gli investitori a non immaginare gli sviluppi futuri dei tassi solo in base al quadro macro ipotizzato ma anche tenendo conto del mutato quadro dei players in azione.

Sul tratto lungo della curva pertanto l'eventuale rialzo dei tassi decennali (innescato in settimana ad esempio anche grazie a favorevoli attese sui non farm payrolls di venerdì soprattutto laddove l'indice Ism non manifatturiero supportasse tale ottimismo) potrebbe incontrare livelli di resistenza molto vicini situati tra 4,15/4,20 sui T-note e tra 3,30/3,35 sul Bund. In prossimità di tali livelli potrebbero tornare gli acquisti dei fund managers che vedrebbero così soddisfatta la necessità di riadeguare i parametri di sensitività dei propri portafogli, attualmente ancora molto scarichi di duration.

La "sete di rendimenti" in sintesi continua ad essere un fattore predominante nelle scelte degli asset allocators che sta spingendo i gestori internazionali anche a valutare l'investimento in titoli di stato nipponici, che al momento risultano essere competitivi rispetto a quelli Usa ed europei se analizzati in termini di tassi reali, come evidenziato anche da un recente articolo del WSJ in cui si segnala un incremento dell'attività su tale comparto da parte di alcune grosse case di investimento internazionali. Un dato per tutti: gli acquisti di titoli di stato nipponici da parte di investment banks straniere sono stati pari al 15,7% del totale emesso nel 2004. Quest'anno lo stesso rapporto calcolato da inizio 2005 è risultato pari al 24,3%. 

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Fonte - MPS Finance per Wall Street Italia.com