Bilderberg 2005:
il mondo nelle loro mani
Altro che il
logoro G8 che comincia oggi. Al meeting segreto che si tiene in Germania
partecipano gli uomini piu' potenti del globo. Ma stavolta l'omerta' e'
stata violata. Tra i temi trattati: petrolio, Medio Oriente, Cina,
Europa, armi nucleari...
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5 Luglio 2005
23:20 NEW YORK (di
Daniel Estulin)
Dell'incontro segreto che si tiene ogni
anno a Rottach-Egern, in Germania, tra i potenti del mondo non c'e'
traccia negli organi d'informazione di massa.
Ma le decisioni del Bilderberg
Group (questo il nome dell'associazione) sono tali da influenzare i
destini dell’intero pianeta.
Il meeting è sempre rimasto avvolto nel
massimo riserbo, con tutti i partecipanti vincolati alla più stretta
omertà. Ma ora, grazie all’intraprendenza del giornalista Daniel Estulin,
l'incontro del 2005 ha avuto un esito imprevisto.
Le discussioni tenutesi tra il 5 e l’8
maggio scorso da politici, uomini d'affari, finanzieri, professori
universitari e giornalisti (pochi 'eletti') sono, infatti, divenute di
dominio pubblico. I principali temi dibattuti sono stati: Europa, Iraq,
Iran, proliferazione nucleare, Asia, Russia, relazioni internazionali e
governo mondiale.
Nel seguente articolo vengono riportate
le principali considerazioni emerse da questo forum “parallelo” e
segreto rispetto a quello tanto pubblicizzato del G-8 che comincia oggi.
- TASSA ONU
Dopo tre anni di tensioni tra i membri
europei da una parte, statunitensi e britannici dall’altra sulla
questione irachena, il clima del meeting questa volta e’ stato
decisamente piu’ sereno. Tanto sereno che
tutti sono stati d’accordo sulla
necessita’ di incrementare il ruolo dell’ONU nella risoluzione dei
conflitti internazionali.
Anzi, si e’ andati oltre, arrivando a prospettare l’imposizione di una
tassa ONU da raccogliere in tutto il mondo. La tassa dovrebbe consistere
in un’accisa applicata a livello mondiale sui quantitivi di greggio
estratti.
Le probabili reazioni negative dellle
popolazioni mondiali all’introduzione di un nuovo “dazio” sarebbero
anche facili da superare. Applicando l’accisa direttamente alla fonte
(ovvero all’estrazione), il consumatore finale quasi non se ne
accorgerebbe. La nuova tassa ONU costituirebbe, poi, anche il primo
passo di quell’“armonizzazione fiscale” tanto vagheggiata in questo
genere di incontri. Si vorrebbe spingere al rialzo la pressione fiscale
di quei paesi (come gli Usa) che applicano agevolazioni fiscali per
attrarre investimenti stranieri, in modo da restringere il divario con
nazioni come la Svezia (58% di prelievo fiscale), attualmente non
competitive.
- ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE
Altro argomento dibattuto e’
stato quello della sempre maggiore importanza delle ONG
(organizzazioni non governative). In particolare, i partecipanti hanno
dibattuto sulla possibilita’ di inserire all’interno degli organi
governativi che si occupano di tematiche ambientali (inquinamento
atmosferico, oceani, biodiversita’) attivisti provenienti da tali
organizzazioni.
Si tratterebbe della prima volta che
nell’occidente contemporaneo individui non eletti si auto-nominerebbero
a responsabilita’ di governo. Questo invito alla societa’ civile a
partecipare direttamente al governo di interessi ambientali mondiali
sarebbe “spacciato” come un allargamento dell’esperienza democratica. Ma
lo scopo vagheggiato e’ esattamente l’opposto.
Attraverso
l’incremento del potere delle ONG, i membri del Bilderberg Group
fantasticano sulla possibilta’ di utilizzare tali organizzazioni come
elementi di pressione (a livello locale, nazionale, mondiale) per
giustificare l’ipotesi di tassazione sopra descritta. Il risultato
finale? Si verrebbe a creare un Organo Sovranazionale dell’Onu per
l’applicazione dei trattati aventi ad oggetto materie ambientali.
Tale organo sarebbe in mano ad un corpo
di ambientalisti, scelti, all’interno delle “ONG fedeli”, dai delegati
dell’assemblea generale a loro volta nominati dal presidente degli Stati
Uniti. Ovviamente, quest’ultimo sarebbe controllato dai membri
dell’oscura comunita’ Rockefeller-CFR-Bilderberg.
Finora, queste sono state solo parole
al vento, ma se si materializzassero il mondo si troverebbe sotto il
controllo di una “burocrazia mondiale”, sotto la diretta autorita’ di un
manipolo di individui che tiranneggierebbero per mezzo di migliaia di
membri di ONG che credono ciecamente nel sistema. Oltre a questi scenari
di fantapolitica, si sono trattate materie di piu’ stretta attualita’.
- ELEZIONI IN GRAN BRETAGNA E
FUTURO DELL’UE.
I partecipanti al forum hanno celebrato
il risultato che desideravano. Il ritorno di Tony Blair al numero 10 di
Downing Street, con una ridotta maggioranza parlamentare, dopo aver
pagato lo scotto del suo supporto agli Usa nella guerra in Iraq. Stando
ai membri del forum, una volta appianate definitivamente le divergenze
irachene con Chirac, Blair appare il leader ideale per continuare il
sentiero della liberalizzazione dell’economia europea e sulla sua
integrazione politica.
L’ostacolo maggiore e’ rappresentato
dai suoi concittadini, che sara’ difficile convincere ad unirsi alla
locomotiva franco-tedesca che perde sempre piu’ colpi, mentre la Gran
Bretagna continua ad evidenziare una robusta crescita economica
(l'incontro e' avvenuto prima della crisi innescata dal no di Olanda e
Francia alla Costituzione Europea).
-
ENERGIA
Il settore petrolifero era anche ben
rappresentato al meeting. Si sono infatti ritrovati John Browne e D.
Sutherland, rispettivamente direttore generale e presidente di BP, John
Kerr, direttore di Royal Dutch Shell, e Jeroen van der Veer, presidente
del Committee of Managing Directors of Royal Dutch Shell, Peter.
Durante le discussioni, un
partecipante statunitense ha espresso tutta la sua preoccupazione per la
continua ascesa dei prezzi del greggio.
Un operatore (insider) del
settore petrolifero ha ricordato come non vi puo’ essere crescita senza
energia e che, stando a tutti gli indicatori, le risorse mondiali di
greggio si stanno esaurendo molto piu’ rapidamente di quanto i leader
mondiali avevano previsto.
Gli esperti presenti all’incontro hanno stimato che,
all’attuale tasso di sviluppo economico e di crescita della popolazione
mondiale, le quantita’ di greggio disponibili saranno al massimo
sufficienti per i prossimi 35 anni. Addirittura, se si considera che i
tassi di crescita dei due giganti asiatici potrebbero ulteriormente
aumentare, le previsioni non superano i 20 anni. E senza petrolio (o
un’altra fonte di energia) sarebbe la fine del nostro sistema economico.
Al meeting ci si attende per i
prossimi due anni una forte contrazione dell’economia mondiale. In una
situazione di recessione, o addirittura di depressione, la popolazione
sarebbe costretta a ridurre drasticamente le proprie abitudini di
consumo. Si verrebbe, cosi’, a prolungare le disponibilita’ di
petrolio per i potenti della terra che nel frattempo dovranno trovare
una soluzione.
A rendere
ancora piu’ grave la situazione, la constatazione, da parte di un membro
del governo statunitense, che l’idrogeno al momento attuale non e’ in
grado di salvare il mondo da questa imminente carenza energetica.
Al meeting si e’
anche discusso delle conseguenze di due possibili ed opposti scenari nel
breve periodo: prezzo di $25 o di $120 al barile. Nel
primo caso, Allan E. Hubbard, segretario del presidente del Dipartimento
statunitense di Politica Economica, ha sottolineato come il grande
pubblico non si renda conto di come
un livello cosi’ basso del
greggio potrebbe determinare l’esplosione della bolla sul debito. Un
prezzo eccessivamente economico del petrolio, sostiene, rallenta la
crescita in quanto deprime i prezzi delle commodities e riduce la
liquidita’ presente sui mercati mondiali.
Nel caso di
un’accelerazione a quota $120, si e’ evidenziato come la Cina sarebbe il
paese a trarre i maggiori vantaggi. I maggiori costi energetici del
paese sarebbero facilmente scaricabili sui prezzi export. Il conto, in
sostanza, sarebbe pagato dai consumatori occidentali.
Per quanto
riguarda la Russia, un banchiere europeo ha osservato come il paese
potrebbe giocare un ruolo importante in un’ulteriore svalutazione del
dollaro se iniziasse a vendere petrolio in euro, anziche’ in dollari. Se
cio’ si verificasse, le banche centrali europee si troverebbero
costrette a detenere maggiori quantita’ di riserve denominate in euro,
determinando cosi’ un deprezzamento del biglietto verde.
- AUNA TELECOMUNICACIONES
All’incontro si e’ anche parlato di
affari ed la protagonista assoluta e’ stata la societa’ di
telecomunicazione spagnola Auna. Un grande quantita’ di credito a
condizioni molto favorevoli e bassi tassi di interesse hanno reso il
gigante telecom un attraente target per le societa’ di private equity.
Le valutazioni oscillano in un range compreso tra i 2.6 ed i 10 miliardi
di euro (col debito).
Alcuni dei possibili protagonosti
dell’operazione si trovavano ovviamente al meeting. Kohlberg Kravis
Roberts & Co, rappresentata dal suo fondatore Henry Kravis, appare in
pole position per la conquista della societa’ spagnola. Se non riuscesse
comunque a formare una cordata adeguata, il bid vincente potrebbe
lanciarlo Goldman Sachs.
- INDONESIA-MALAYSIA
Durante un cocktail pomeridiano,
si e’ accesa una vivace discussione tra i partecipanti americani ed
europei riguardo al confronto politico/militare tra Indonesia e Malaysia
per il controllo della regione petrolifera dello Sulawesi Sea.
Nel caso di un conflitto, tutti si sono trovati d’accordo nel sostenere
di dover porre un presidio di "Peacekeepers" dell’Onu nella zona su cui
entrambi i paesi rivendicano diritti territoriali. In questo modo, il
controllo ultimo sulle risorse petrolifere del territorio passerebbero
in mano a molti dei membri del meeting.
- SVILUPPO DEL COMMERCIO
INTERNAZIONALE
I partecipanti europei ed
americani si sono trovati d’accordo che la priorita’ principale per le
economie dei paesi sviluppati sia quello di “aggredire” i mercati dei
paesi piu’ poveri. Questo implica dare nuovo impulso al sistema
di scambi commerciali promosso dalla World Trade Organization. Ed in
quest’ottica va inquadrata la nomina del francese Pascal Lamy come nuovo
presidente del WTO.
Lamy, grande sostenitore della
creazione di un super stato europeo, appare la persona giusta per
mediare tra le ventate protezionistiche che interessano paesi come la
Francia e la Germania, ed i paesi del Terzo Mondo, che chiedono la fine
dei sussidi all’agricoltura in Europa e Stati Uniti.
Il progetto
di liberalizzazione commerciale portato avanti dal WTO si fonda sulla
necessita’ di spingere i paesi poveri ad entrare nel mercato globale con
un duplice ruolo: produttori di beni di basso costo per i mercati delle
nazioni ricche e contemporanei consumatori di prodotti che richiedono il
superiore know-how tecnologico dei paesi occidentali.
- CINA, SCENARI FUTURI
Legata ai temi degli sviluppi
del commercio globale, non poteva mancare la discussione sull’argomento
del momento: ovvero la Cina. Le domande sono state quelle che si
ascoltano di solito: la Cina sta realmente abusando del suo vantaggio
competitivo sui prezzi o e’ il capro espiatorio degli Stati Uniti e
dell’Europa? Una guerra commerciale e’ all’orizzonte? Dovrebbe la Cina
rivalutare lo yuan e, se si, in che misura?
Tutti sono stati concordi
nell’affermare che ormai il gigante asiatico e’ una delle principali
potenze economiche del mondo, le cui azioni hanno ripercussioni
sull’intera economia mondiale.
Michael A. Ledeen, dell’American
Enterprise Institute, ha sostenuto che se la Cina non rivalutera’ lo
yuan, l’intero sistema del commercio mondiale subirebbe un colpo
mortale. Alcuni dei partecipanti hanno sottolineato che
l’attuale situazione puo’ essere pericolosa anche per l’economia cinese
stessa, a seguito dell’immissione di un’eccessiva liquidita’.
Elena Nemirovskaya, membro
fondatore della Moscow School of Political Studies, ha chiesto che cosa
potrebbe accadere se lo yuan fosse libero di fluttuare liberamente.
Un economista ha risposto che potrebbe indurre serie conseguenze sugli
interi mercati finanziari mondiali.
Gran parte delle
riserve monetarie della Cina sono costituite da US Treasury bills
(titoli di stato americani a breve scadenza). Un apprezzamento dello
yuan dovrebbe portare ad un deprezzamento delle riserve cinesi
denominate in dollari.
Secondo
quanto affermato da uno dei presenti , questa eventualita’ spingerebbe
la Federal Reserve ad alzare i tassi d’interesse, rischiando di far
esplodere la bolla immobiliare sul mercato statunitense. Per prevenire
questo rischio, al meeting si e’ rimarcata la necessita’ che il Fondo
Monetario Internazionale giochi un ruolo attivo in questa transizione
della valuta cinese da cambio fisso ad uno libero.
Alla domanda di un italiano se vi sia
davvero il rischio di una guerra commerciale, un economista svedese ha
risposto che le probabilita’ sono bassissime. La Cina e’ ormai
completamente incorporata all’interno del sistema dell’economia di
mercato e le tanto decantate battaglie commerciali non solo altro che
stratagemmi per mandare a casa, nei paesi occidentali, gli elettori con
un bel sorriso.
Alla conferenza non potevano non
costituire motivo di dibattito i movimenti cinesi nella zona del Mekong.
Negli ultimi anni, la Cina ha investito in maniera decisa in
infrastrutture che hanno sensibilmente migliorato i collegamenti tra la
provincia cinese dello Yunan ed i vari paesi del golfo del Mekong
(Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam).
La mossa di Pechino mostra come il
governo cinese sia attento alla sua sempre maggiore dipendenza
energetica dall’estero. Ormai il 40% dell’energia utilizzata
dall’economia cinese viene importata. Di questa, il 32%, passa
attraverso lo Stretto di Malacca. Un braccio di mare troppo importante,
perche’ la Cina non ne voglia detenere un controllo esclusivo.
- IRAN
Un
partecipante francese ha sollevato la questione se il governo
statunitense stia effettivamente preparando per un’invasione dell’Iran.
Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations (CFR),
considera una guerra contro l’Iran un’eventualita’ completamente
irrealistica. Molteplici sono le ragioni contrarie a questa decisione.
Dal lato pratico, gli Stati Uniti sono
attualmente gia’ impegnati sul fronte afgano e su quello iracheno (dove
150mila soldati sono duramente impegnati dalla guerriglia).
Oggi l’America non sembra in
grado di possedere le risorse umane e materiali (miliardi di dollari)
che sarebbero necessarie ad attaccare un nemico organizzato come l’Iran.
Anche dal
punto di vista politico, la mossa risulterebbe controproducente. Sul
fronte interno al paese, non si farebbe altro che coalizzare tutti gli
iraniani attorno al proprio governo, stroncando cosi’ la voce
all’opposizione interna. A livello internazionale, si accrescerebbero
gli attacchi terroristici in Iraq, Afghanistan, Arabia Saudita e si
verrebbe ad alienare ulteriore consenso internazionale nei confronti
degli Usa.
Pertanto, Haass si attende che se l’Iran non sospendera’
la costruzione del suo impianto nucleare, agli Stati Uniti non resta
altro che accettarlo come un dato di fatto (cosa peraltro gia’ avvenuta
a suo tempo con Pakistan ed India). Eppure vi sono molti elementi che
fanno temere che gli Stati Uniti stiano seriamente ponderando l’opzione
militare.
In primo luogo la presenza al
Bilderberg meeting di James L. Jones, generale a capo del Supreme Allied
Commander Europe, e di John M. Keane, generale in pensione dell’US Army,
fa sospettare che vi siano discussioni e preparativi in corso. Alcuni
voci dall’interno dell’incontro parlano di possibili attacchi in
collaborazione con le forze isarealiane e c’e’ chi parla addirittura di
un’operazione condotta con gli alleati della NATO. Si e’ anche scommesso
sulle possibili date dell’operazione militare: agosto o nel tardo
autunno di quest’anno.
- RISULTATI DELLA POLITICA
ANTI-TERRORISMO.
Partendo proprio dalla possibile
invasione dell’Iran , si e’ infiammata la discussione intorno al fatto
se il mondo sia più sicuro a distanza di quattro anni dagli attacchi
dell’11 settembre. Un
olandese, in particolare, ha rimarcato come vi siano pochi dubbi che la
politica perseguita dal presidente Bush, in particolare nel Medio
Oriente, non abbia fatto altro che rafforzare il terrorismo
internazionale.
Un danese ha sottolineato, inoltre,
come l’atteggiamento americano in Iraq (un caso su tutti quello di
Fallujah), non abbia ottenuto altro effetto se non quello di alienarsi
il supporto di gran parte degli stati arabi moderati.
Il risultato concreto di Bush:
un aumento degli attacchi terroristici non solo in Iraq, ma in tutto il
continente asiatico ed africano.
Haass ha sottolineato come
l’amministrazione Bush abbia sopravvalutato la sua capacità di andare
per il mondo a rovesciare regimi potenzialmente ostili. Soprattutto
l’errore più grande è stato quello di voler conseguire questo risultato
non attendendo i tempi lunghi della diplomazia, ma ricorrendo alla
strada della guerra “preventiva”. Purtroppo, quest’ultima non si è
dimostrata tanto rapida come forse ci si attendeva.
- IRAN-RUSSIA-CINA
Uno dei
generali statunitensi presenti al meeting ha messo in evidenza come
l’alleanza Cina-Iran-Russia sta cambiando la situazione geopolitica
dell’area. Il riavvicinamento tra Russia e Cina è stato uno dei temi
centrali del meeting. Dalla lettura di un rapporto segreto del governo
statunitense è emerso come il governo cinese abbia speso miliardi di
dollari per acquistare le ultime più sofisticate armi di fabbricazione
russa.
Ma al meeting si è anche osservato
come, escludendo anche la vendita di armi, lo scambio di beni tra i due
ex-nemici sia cresciuto del 100% dall’inizio della presidenza Bush.
Anatoliy Sharansky , membro del servizio segreto israeliano, giudica
l’asse Mosca-Pechino-Teheran
come la risposta che rischia di scalzare dall’area mediorientale il
controllo finora detenuto dall’alleanza Usa-Israele-Turchia.
- NEOCONSERVATIVE AGENDA
All’interno del meeting hanno fatto la
loro allegra presenza anche gli esponenti della cosiddetta corrente
"neo-conservatrice". La loro politica si riassume nel fatto che la
sicurezza di Israele e’ legata a doppio filo a quella degli Stati Uniti
e che questo elemento dovrebbe essere centrale in tutte le decisioni
statunitensi di politica estera.
Tra gli invitati spiccava Richard
Perle, presunta spia israeliana, che ha giocato un ruolo chiave nello
spingere gli Usa in guerra contro l’Iraq. Si rivede dopo che il 27 marzo
2003 fu licenziato per aver fornito consigli a Goldman Sachs
International su come trarre profitti dalla guerra nel paese
mediorientale.
Dal lato economico, il pensiero
neoconservative e’ rappresentato da Michael A. Ledeen.
Ledeen lavora
all’American Enterprise Institute e nel Joint Center for Regulatory
Studies (JCRS). Entrambe queste
due associazioni spingono per un’approfondita analisi dei costi/benefici
delle politiche pubbliche ed in ultima istanza a favore di forti azioni
di deregulation.

Fonte -
Wall Street Italia.com
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venerdì 22 luglio 2005 |
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Cina: G7 soddisfatto per
rivalutazione Yuan
WASHINGTON, 22 LUG - Il gruppo
dei sette Paesi più industrializzati (G7) si è rallegrato della
decisione della Cina di rivalutare del 2% il yuan.
Lo ha reso noto in serata il
ministero del Tesoro USA.
Fonte ANSA |
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E' il dollaro
l'ultima arma cinese
Le riserve
valutarie di Pechino - che all’inizio dell’anno superavano di
poco i $500 miliardi – potrebbero arrivare nel 2006 a $1000
miliardi. Ormai la Cina e' una potenza tale che puo' tener testa
alla Fed e condizionare le scelte degli USA.
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17 Luglio 2005
18:02 MILANO (il Foglio)
Ciò che riguarda la Cina
non cessa di stupire. Emerge la possibilità che le sue riserve
valutarie – all’inizio dell’anno superavano di poco i
cinquecento miliardi di dollari – arrivino nel 2006 a mille
miliardi. Pechino può contare oggi su settecento miliardi
di riserve, grazie a un afflusso di cento miliardi nel primo
semestre 2005. Nel secondo ne potrebbe accumulare altri cento e
nel 2006, con questo ritmo, arriverebbe a mille.
La
crescita non deriva solo dal commercio estero, difficilmente
quantificabile per l’intreccio con gli affari di Hong Kong, ma
anche dagli acquisti di renmimbi fatti da chi si aspetta che
questa moneta venga da un momento all’altro rivalutata.
C’è comunque un rischio
calcolato in questo atteggiamento della Cina.
Se la Banca centrale
avesse rivalutato il renmimbi del 20 per cento quando le sue
riserve erano pari a quattrocento miliardi di dollari, avrebbe
avuto una perdita di 80 miliardi. Allungando invece i tempi, la
perdita potenziale cresce; ma cresce pure la sua potenza
valutaria, che diventerebbe enorme nel caso in cui le sue
riserve fossero di mille miliardi.
Tanto che
gli americani ora se ne preoccupano. Washington minaccia infatti
un dazio del 27,5 per cento sulle importazioni dalla Cina se non
sarà rivalutato al più presto il cambio di almeno il dieci per
cento.
Quel 27,5 è la percentuale di cui, secondo i tecnici americani,
bisognerebbe rivalutare la moneta cinese.
Ne consegue che la
modesta rivalutazione del 10 per cento forse non basterà per
ridurre il flusso di capitali verso il renmimbi.
Al tempo stesso però nessuno dà
per scontato che i cinesi possano accettare la richiesta di un
ritocco maggiore. Ormai sono una potenza valutaria e possono
tener testa alla Federal Reserve. Fino a condizionarne le
scelte.
La globalizzazione sta
generando la crescita dei paesi poveri e, in particolare, dei
paesi ex collettivisti che comunque producono ancora a costi
bassissimi. E ciò crea situazioni non previste dagli accordi
dell’Organizzazione mondiale del commercio. La Cina non è solo
una potenza industriale. Dispone anche di una sua bomba
valutaria. Gli Usa lo sanno già e corrono ai ripari. L’Europa
non stia a guardare.

Fonte
- Il Foglio |
La Cina si sgancia dal $ e rivaluta
Con una
mossa che ha sorpreso i mercati, Pechino ha annunciato che la
propria moneta sara' agganciata a un paniere di valute e non
piu' solo al greenback.
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21
Luglio 2005 17:11 NEW YORK
(ANSA)
La Cina
ha deciso di rivalutare del 2% lo yuan e ha fissato un nuovo
cambio con la valuta Usa a 8,11. La banca centrale cinese ha
anche annunciato il nuovo legame dello yuan a un paniere di
valute ancora da definire.
Finora la parità era fissata a
8,28 yuan per un dollaro. La banca centrale ha spiegato che la
rivalutazione e
il
legame ad un paniere di valute renderà il cambio più flessibile,
ridurrà gli squilibri commerciali e permetterà di stimolare la
domanda.
Da oggi in poi
lo yuan
(chiamato anche renminbi o Rmb) avrà una stretta
fascia di oscillazione dello 0,3% rispetto alla chiusura del
giorno precedente. Lo ha spiegato la Banca Centrale di Pechino
aprendo la strada all'ipotesi di altre rivalutazioni limitate.
"La Banca Centrale del
Popolo farà gli aggiustamenti al cambio del Rmb quando si
renderanno necessari in base agli sviluppi del mercato o alla
situazione finanziaria", ha spiegato la banca centrale in
un comunicato. "Il cambio del Rmb sarà più flessibile sulla base
delle condizioni del mercato in riferimento ad un paniere di
valute", è specificato ancora nella nota.
La Casa Bianca ha
espresso il proprio apprezzamento per la decisione della Cina di
rivalutare, sia pure gradualmente, lo yuan. Lo ha detto
Scott McClellan, portavoce del presidente GeorgeW. Bush. "Siamo
incoraggiati dalla decisione annunciata oggi dalla Cina per
l'adozione di un sistema più flessibile dei cambi, agganciato al
mercato".
Anche il segretario al Tesoro
Usa, JohnSnow, ha commentato positivamente la decisione della
Cina, ma ha aggiunto che gli Stati Uniti continueranno a
monitorare come sarà gestito il delicato passaggio dalle
autorità del paese asiatico.
"Accolgo positivamente
l'annuncio fatto oggi dalla Cina sull'adozione di un regime di
fluttuazione dello yuan – ha dichiarato Snow in una nota - e
come abbiamo già detto, la riforma della valuta è importante per
la Cina e per il sistema finanziario internazionale".
Gli Stati Uniti, ha
continuato Snow,"continueranno a monitorare il passaggio al
nuovo sistema che permetterà di agganciare lo yuan a un paniere
di valute invece della attuale parità fissa contro il dollaro".
Fonte -
ANSA
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Attenti all'Iran con
l'atomica
Teheran e Bagdad
si parlano dopo un quarto di secolo di odii reciproci. I negoziati
sull'uso del nucleare con gli euro-americani potrebbero andar bene
oppure male. In ogni caso, l'esito avra' conseguenze dirette sul
terrorismo di matrice islamica.
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20 Luglio 2005 11:17
MILANO
(di Franco Venturini)
Monopolizzata dal day after di Londra e
dalla guerra delle responsabilità che sovrasta talvolta la guerra al
terrorismo, nei giorni scorsi la nostra attenzione ha lasciato poco
spazio a un evento cruciale:
la visita in Iran del capo del governo
provvisorio iracheno Ibrahim al-Jafaari, la prima di tale livello da
quando, un quarto di secolo fa, l’attacco di Saddam costò ai due Paesi
otto anni di conflitto e un milione di morti.
La storia è ricca di riconciliazioni
quasi quanto lo è di guerre, ma la ripresa del dialogo politico tra
Bagdad e Teheran rientra piuttosto nella categoria delle scommesse ad
altissimo rischio: capace di contribuire alla stabilità dell’area, ma in
grado anche di accentuarne la volatilità complicando ulteriormente la
lotta al terrorismo.
Al-Jafaari ha portato con sé in Iran un
bagaglio pesante. Benché provvisorio, il suo governo è il primo
legittimato da elezioni dopo il rovesciamento di Saddam, è il primo a
rappresentare la maggioranza sciita irachena, ed è anche il primo a
gestire un difficile processo costituente. Credenziali, queste, che non
sono fatte per dispiacere agli iraniani. Ma nessuno ignora che sulla
buona disposizione di Teheran pesa l’elezione il mese scorso
dell’ultraradicale Mahmud Ahmadinejad, e pesa, soprattutto, la
determinazione del nuovo presidente a proseguire la corsa dell’Iran
verso il nucleare.
Diventano intuibili, allora, i due
possibili e opposti sbocchi di una partita appena cominciata. Nello
scenario positivo l’Iran concluderà con i negoziatori europei un’intesa
per l’uso soltanto civile dell’energia atomica, e favorirà il recupero
dei sunniti da parte degli sciiti iracheni tagliando l’erba sotto i
piedi al terrorismo locale (ne risulterebbero agevolate anche le exit strategies delle forze straniere).
Nello scenario negativo l’accordo
nucleare non andrà in porto, si farà più duro il confronto tra Teheran e
gli euro-americani, e in Iraq sarà facile gettare olio sul fuoco di una
guerra civile strisciante già in atto e già capace di portare alla
frammentazione del Paese.
E’ troppo presto per dichiarare
favorita l’una o l’altra possibilità. Ma di certo sappiamo oggi che
buona parte del mondo arabo (a maggioranza sunnita) si inquieta
dell’ipotetica nascita di un «blocco sciita» iracheno-iraniano. Di certo
sappiamo che un Iran con l’atomica potrebbe far scattare una risposta
militare e appiccare così l’incendio all’intera regione. Di certo
dovremmo sapere, senza bisogno di aspettare i rapporti di Chatham House
(o della Cia) e gli scontati dinieghi di Blair, che il terrorismo di
matrice islamica c’entra con l’Iraq: anche se è nato prima dell’attacco
a Saddam, anche se colpisce nel mucchio e ha strategie sofisticate, è la
guerra in Iraq a procuragli un’insperata capacità di reclutamento, di
addestramento e di motivazione. Di certo sappiamo che i burattinai degli
stragisti seguiranno con attenzione l’evolversi dei rapporti Iraq-Iran,
ben sapendo che dai seguiti del simbolico viaggio di al-Jafaari possono
venire buone o cattive notizie per la loro causa sciagurata.
Quanto basta per capire che anche la
lotta anti-terrorista deve fare un salto di sofisticazione, guardando
insieme a un Iraq e a un Iran da sempre sospesi tra inimicizia e
complicità.

Fonte - Corriere della Sera