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Invadere
l'Arabia Saudita ?
Bush non
va ai funerali di Fahd: e' in corso un ridimensionamento dei legami tra Usa e
Ryad, come chiedono i «neo con»? La loro proposta: smembrare il paese arabo in
due o più stati e occupare militarmente i giacimenti di petrolio.
2 Agosto 2005
12:02 -
Lugano (di Giorgio S. Frankel)
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Il nuovo sovrano dell’Arabia
Saudita, Abdallah, è solo di un paio d’anni più giovane di re Fahd, suo
fratellastro, morto lunedì a 84 anni. Dunque, per forza di cose, il suo regno
non sarà molto lungo. Però, Abdallah ha governato il paese negli ultimi dieci
anni, durante la lunga malattia di Fahd. E così c’è da pensare che l’Arabia
Saudita manterrà la rotta sin qui seguita, e cioè: una politica petrolifera
orientata alla stabilità del mercato, una politica estera basata sull’alleanza
con gli Stati Uniti (nonostante i segni di crescente erosione), e una politica
interna di lentissima evoluzione riformista.
A livello regionale, l’Arabia
Saudita mostrerà, forse, un maggiore impegno contro l’estremismo islamico (ma la
legittimità della monarchia saudita deriva dall’alleanza storica col
fondamentalismo wahhabita) e un rinnovato interesse ad una pace tra Israele e
Palestina. Tuttavia, le incognite per il
prossimo futuro sono assai più numerose delle possibili, ragionevoli certezze.
La principali sfide dell’ottuagenario re Abdallah, e dell’estesa dinastia dei
Saud (ottomila principi maschi con le rispettive famiglie), riguardano
la capacità di gestire il cambiamento interno, la modernizzazione, e i crescenti
problemi sociali e culturali, mantenendo una sostanziale stabilità.
La seconda sfida, connessa alla prima,
riguarda la riforma della monarchia (possibilmente in chiave costituzionale), la
coesione della famiglia reale, e il passaggio del potere monarchico alle nuove
generazioni di principi, visto che il possibile successore di Abdallah,
principe Sultan, suo fratellastro, ha 81 anni. La terza sfida, anch’essa mortale per i Saud,
e per il paese, è quella di sconfiggere la minaccia sovversiva degli estremisti
islamici e dei gruppi terroristici che si ispirano ad al Qaida o ne sono una
parte integrante. E
poi c’è la grande incognita del petrolio. L’Arabia Saudita detiene il 25% delle
riserve petrolifere mondiali. Il che vuol dire la garanzia di redditi quasi
astronomici nei decenni a venire, ma anche il rischio di minacce militari
esterne se ci sarà una crisi petrolifera mondiale.
Il problema è se davvero l’Arabia Saudita
potrà continuare a produrre crescenti quantità di greggio. Infatti, secondo
alcuni esperti, i suoi giacimenti sarebbero ormai prossimi al declino
produttivo. A queste, si aggiungono numerose e gravi incognite esterne che
possono tutte ricondursi alla nuova conflittualità globale «post 11 settembre» e
alla guerra strisciante per il controllo e il dominio del Medio Oriente iniziata
con l’invasione ed occupazione dell’Iraq nel 2003. A partire dagli
attentati dell’11 settembre si è scatenata, negli Usa, una durissima campagna
anti-saudita, condotta dagli ambienti vicini ai «neo-con», in contrasto con la
linea ufficiale del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca.
Secondo i «neo con», l’Arabia Saudita – e,
forse, la stessa famiglia reale – sarebbe la principale fonte dell’estremismo
islamico globale e del terrorismo anti-occidentale. Ma la propaganda
contro l’Arabia Saudita è molte volte in disaccordo nell’identificare chi sono,
a Riad, i nemici e gli amici dell’Occidente e, in particolare, degli Usa. D’altra parte, lo stesso Abdallah, al quale si
riconosce ora un orientamento filo-americano, ha dovuto allentare non poco i
legami con gli Usa per evitare gravi ripercussioni interne, perché è
proprio a causa della stretta alleanza con gli Stati Uniti che al Qaida e gli
estremisti islamici hanno dichiarato guerra ai Saud.
Bisogna vedere se l’assenza del presidente
americano George W. Bush ai funerali di Fahd (che pure fu fortemente
filo-americano) significa forse che è in corso, a Washington, un
ridimensionamento dei legami tra Usa e Arabia Saudita come da tempo chiedono i
«neo con». Alcuni di essi, tra cui Max Singer, uno studioso del celebre
Hudson Institute (e della Bar-Ilan University di Gerusalemme), hanno proposto,
negli anni scorsi, di invadere l’Arabia Saudita, smembrarla in due o più stati e
occupare militarmente i suoi giacimenti di petrolio.

Fonte - Il Corriere del Ticino per Wall Street Italia.com
RE FAHD, L' AUTOCRATE FILO-AMERICANO
2 Agosto 2005 12:52 -
Roma
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Un uomo di contraddizioni
pazzesche che guidava un paese dalle pazzesche contraddizioni: il
Washington Post concentra in una brillante quanto efficace espressione
il ritratto di Fahd ibn Abdluaziz re dell’Arabia saudita, il favorito
tra i 37 figli di Abdulaziz ibn Saud, fondatore della dinastia, favorito
anche tra i sette figli della sua moglie favorita, Hassa Bind Ahmad
Sudeiri che godevano a corte della posizione di maggior rilievo. Gran
bevitore di scotch e mangiatore di caviale nei night club del Libano e
della Costa Azzurra, mentre veniva istruito fin da giovanissimo all’arte
del comando.
Ammiratore dell’America dal momento in
cui nel 1945 si recò a San Francisco per firmare la carta dell’Onu fino
a quando nel 1991 concedette le basi per la guerra del Golfo contro
Saddam Hussein. Modernizzatore da quando nel 1975, come principe
della corona (quindi erede designato) decise di investire i petrodollari
in autostrade, aeroporti, grandi alberghi e alloggi per i pellegrini
(favorendo la crescita di una ricca classe capitalista, compresa la
famiglia di Osama bin Laden). E nello stesso tempo feroce difensore del
diritto della famiglia reale di considerare le ricchezze del petrolio
come proprio patrimonio. Moderato liberalizzatore perché nel 1992
promulgò la prima legge scritta, eppure accentratore autocratico. Meno
devoto del principe Abdullah che gli succede, ha sempre applicato
rigidamente i comandamenti del Corano, fino alle esecuzioni in piazza e
alla mutilazioni.
Le prigioni sono piene di
moderati dissidenti che invocano una monarchia costituzionale. E’ del
tutto probabile che ci resteranno anche con il nuovo sovrano, troppo
vecchio (sembra che abbia 80 anni, ma la sua età non è nota
pubblicamente) e malato per affrontare qualsiasi traumatico cambiamento.
Nemmeno il principe Sultan, che avrebbe 77 anni e soffre di numerosi
acciacchi, appare l’uomo delle riforme.Anzi la nuova coppia che comanda
il più arcaico regime del mondo arabo e musulmano, sembra ancor meno
incline al cambiamento del defunto re Fahd. Sarà la convenienza
geopolitica a guidare le loro mosse più che le intime convinzioni.
E questa spinge a concedere qualcosa
agli americani i quali sono convinti che Abdullah e Sultan abbiano
quanto meno chiuso un occhio sul fondamentalismo religioso (e questo è
vero per Abdullah) e sul diffondersi del radicalismo (Sultan era il capo
dei servizi segreti). Osama bin Laden li odia entrambi e il suo progetto
è far saltare la famiglia reale che si proclama «custode delle sacre
moschee di Mecca e Medina». Le riforme, dunque, sono da
maneggiare con cura nella penisola araba. Tuttavia qui più che mai la
realpolitik non è stata una buona consigliera. La mancata
liberalizzazione politica, la mancata redistribuzione delle immense
risorse petrolifere, la mancata promozione di nuove élite, tutto ciò ha
trasformato l’Arabia saudita in una pericolosa polveriera. E in un
ostacolo insormontabile per l’ambizioso progetto di democratizzare il
Medio Oriente.
Fonte - Il Riformista per Wall Street Italia.com
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Non prendete
sottogamba il caro-greggio
Ricordate
che il prezzo del barile era attorno ai $30 nell’estate del 2003. In termini
reali comunque il petrolio non ha ancora raggiunto le vette del secondo choc
petrolifero del 1979, che oggi corrisponderebbero a una quotazione tra i $90 e i
$120.
18 Agosto 2005 14:47
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Lugano (di *Alfonso Tuor)
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Il caro-petrolio comincia a preoccupare le
autorità politiche e monetarie. La Banca centrale europea ha sottolineato nel
suo ultimo bollettino mensile che l’impennata del prezzo del greggio costituisce
una minaccia per la ripresa dell’economia europea; l’Agenzia
internazionale per l’energia (AIE) sostiene che il caro-petrolio taglia la
crescita dell’economia mondiale di 0,8 punti; il Kof del Politecnico di Zurigo
stima che un aumento del prezzo del petrolio del 10%, che si protrae per due
anni, costa all’economia elvetica 0,2 punti di crescita e si potrebbe
continuare.
Ebbene, il prezzo del greggio, che veleggia
ora al di sopra dei 65 dollari il barile si aggirava attorno ai 45 dollari
durante l’estate dell’anno scorso e attorno ai 30 dollari nell’estate del 2003.
Quindi, il trend ascendente è di lungo periodo. Infatti il prezzo, che era
caduto all’indomani della «crisi asiatica» al di sotto dei 10 dollari il barile,
si è poi ripreso e soprattutto a partire dal 2003 ha cominciato a correre al
rialzo. La domanda sulla bocca di tutti è se si tratta di un eccesso oppure di
un fenomeno di lungo termine.
Fino a poche settimane
orsono, i più ritenevano che l’aumento fosse esagerato dalle tensioni
geopolitiche e dalla speculazione e che quindi prima poi sarebbe tornato a
muoversi in una fascia tra i 30 e i 40 dollari il barile. Negli ultimi mesi si è
però infoltita di molto la schiera di coloro che ritengono che il caro-petrolio
sia un fenomeno di lungo periodo, con ulteriori aumenti all’orizzonte.
Tra questi vi è, ad esempio, il
primo ministro francese Dominique de Villepin, il quale martedì scorso ha
dichiarato che il petrolio rimarrà caro anche nei prossimi anni. E vi sono
soprattutto i mercati, come sottolinea l’economista di UBS George Magnus.
Infatti il prezzo del petrolio a un anno sul mercato dei derivati si è
continuato ad aggirare dal 2000 fino al 2004 attorno ai 25 dollari, nonostante
l’anno scorso il prezzo alla consegna avesse già raggiunto i 50 dollari.
Quest’anno la differenza tra il
prezzo alla consegna e il prezzo tra un anno si è notevolmente ridotto. Ciò vuol
dire, come sostiene Magnus, che i mercati ritengono che non si ridurrà di molto
rispetto ai livelli attuali, ma anche che per il momento non credono in
un’ulteriore forte e duratura ascesa. È impossibile sapere chi ha ragione sul
lungo termine. È però possibile azzardare alcune ipotesi sul breve e medio
termine.
Il rialzo del greggio è il frutto di una
domanda che sta crescendo ad un ritmo nettamente superiore a quello degli anni
Novanta. I motivi sono noti: la fame di energia di Cina ed India e di molti
altri paesi emergenti e la forte crescita di un’economia «energivora» come
quella statunitense. Rispetto a questo aumento della domanda non vi è
stato un corrispondente aumento dell’offerta, per cui la capacità di estrazione
dei paesi produttori è pressoché completamente utilizzata. Inoltre vi sono stati
scarsissimi investimenti negli impianti di raffinazione. Ciò ha per effetto che
i prezzi di riferimento delle migliori qualità di greggio, che sono il Brent e
il West Texas, sono esplosi ancor più.
Le strozzature dell’offerta non possono
certamente essere risolte in breve tempo. Quindi è probabile che il prezzo
continui a salire sul medio termine (pur facendo anche ampie correzioni).
L’inversione di tendenza potrebbe
avvenire grazie ad un calo del consumo. La domanda potrà però diminuire solo se
l’economia mondiale rallenterà fortemente. Finora ciò non è avvenuto: in
altri termini, finora l’impennata del petrolio non ha prodotto significative
conseguenze economiche. Questo fenomeno è sicuramente il frutto della maggiore
efficienza energetica dei paesi industrializzati (rispetto agli anni Settanta
consumiamo la metà di energia per produrre un’unità di Pil), per cui il rialzo
del greggio ha pesato meno sulla crescita economica.
E’ anche dovuto al fatto che
l’attuale situazione economica ha fatto sì che l’aumento del prezzo del petrolio
agisse come una tassa che decurta il reddito disponibile delle famiglie, senza
innescare una spirale al rialzo generale dei prezzi. L’entità e la rapidità del
recente movimento al rialzo stanno però mettendo in forse queste certezze. Si cominciano cioé a manifestare tensioni
inflazionistiche che moltiplicherebbero gli effetti economici negativi del
caro-petrolio. In buona sostanza, si confermerebbe la regola secondo cui
l’ascesa del prezzo del petrolio finisce con una recessione che produce poi il
declino del suo prezzo.
Insomma, ci stiamo rapidamente avvicinando
alla «soglia del dolore». Basti pensare che oggi il prezzo del petrolio è ai
massimi in termini nominali, ma che in termini reali non ha ancora raggiunto le
vette del secondo choc petrolifero del 1979, che secondo i diversi
calcoli corrisponderebbero ad un prezzo odierno tra i 90 e i 120 dollari il
barile. Oggi questa soglia appare purtroppo non molto lontana.
*Alfonso Tuor e' il direttore del Corriere del Ticino, il piu'
importante quotidiano svizzero in lingua italiana.

Fonte - Il Corriere del Ticino per Wall Street Italia.com
PETROLIO: INDIA, PIU' IMPORTAZIONI
(ANSA) - ROMA, 11 ago 2005
Nel periodo aprile-giugno
sono ammontate a 9.598 mln dlr le importazioni di greggio in India nel
periodo aprile-giugno 2005 sono ammontate a 9.598 milioni di dollari.
L'incremento e' stato del 33,16% sullo stesso periodo del 2004, secondo
l'ultimo rapporto della Camera di Commercio Italiana in India. A
spingere l'import di greggio e' il forte aumento della produzione
industriale. Le esportazioni tra aprile e giugno sono cresciute del
19,54 % rispetto a un anno fa, e le importazioni hanno fatto registrare
un +38,02 %.
Fonte - ANSA
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CINA: IMPORT PETROLIO LUGLIO +15%
(ANSA)
- ROMA, 11 AGO 2005
Incremento dovuto
all'espansione economica del Paese le importazioni di petrolio in Cina
sono aumentate in luglio del 15% rispetto al mese precedente.
L'incremento dell'import petrolifero e' spinto dalla crescita della
domanda energetica, causata dall'espansione economica. Il consumo
energetico in Cina, il secondo maggior utilizzatore di petrolio al
mondo, dopo gli Stati Uniti, ha contribuito alla crescita record dei
prezzi energetici.
Fonte - ANSA |
PETROLIO: A NY TOCCA 67 DLR A BARILE
(ANSA)
- ROMA, 12 AGO 2005
Rialzo per timori legati a
chiusure impianti raffinazione nuovo picco del petrolio che a New York
ha toccato, sia pure brevemente i 67 dollari al barile. A provocare il
rialzo, per la quinta seduta consecutiva, i timori che la capacita' di
raffinazione non riesca a far fronte alla domanda di carburanti, dopo le
numerose chiusure di impianti di raffinazione negli Usa.
Fonte - ANSA |
Il caro-greggio
ci fa un baffo
Un danno
c’è, ma è relativo. Il petrolio non è più al centro delle economie, che
continuano a crescere da sole. Se il barile dovesse salire stabilmente oltre i
$65, non provochera' crisi mondiali. Prezzo calmierato da nuove offerte
energetiche.
13 Agosto 2005 18:39 -
Milano
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Secondo la Banca centrale
europea, l’eurozona sta crescendo in maniera graduale, ma durevole. Il basso
livello di fiducia dei consumatori e il rincaro del petrolio comportano un
rischio per la crescita, ma non c’è un problema d’inflazione. Secondo la Bce, l’alto costo del greggio (ieri
ha toccato i 67 dollari) non genera inflazione ma preoccupa. Perché,
trasferendosi in un elevato prezzo dei prodotti petroliferi, riduce la domanda
per gli altri beni, frenando lo stimolo alla crescita. Però, dato che il
livello generale dei prezzi non desta timori, la Bce non aumenterà il tasso
oltre il 2 per cento. Del resto la bilancia dei pagamenti dell’eurozona è attiva
nonostante il caro-barile.
A queste considerazioni si sommano quelle di
Greenspan. La crescita negli Usa rimane robusta, con bassi pericoli di
inflazione, nonostante il caro-petrolio, dato l’aumento della produttività.
Potranno esservi altri aumenti del tasso della Fed dall’attuale 3,5 per evitare
il surriscaldamento dell’economia. E ciò aiuterà l’afflusso di capitali,
compensando il deficit commerciale. Insomma, l’impennata del greggio non sembra
incidere molto sulle prospettive economiche dell’Europa e degli Usa. Dalla Cina vengono analoghi segnali. La
crescita del pil non è minacciata dal caro petrolio: la bilancia commerciale,
nei primi sette mesi, ha un surplus di 50 miliardi di dollari, dato
dall’aumento del 28 per cento dell’export contro il 13 dell’import. Tenendo conto che il Giappone non è più in
recessione, è facile ipotizzare che l’economia mondiale continuerà a crescere
nonostante il barile oltre 60 dollari. Nell’economia dell’ottocento, quando il
prezzo del grano rincarava per effetto di cattivi raccolti, vi erano grandi
contraccolpi e recessioni.
Nel Novecento, con la modifica del prodotto
nazionale, il ruolo primario del grano fu via via rimpiazzato dal petrolio. Così
negli anni Settanta, quando l’Opec portò il barile all’equivalente di 80 dollari
attuali, generò la crisi. Ma la composizione del pil è di nuovo mutata e il
petrolio non è più il “grano dell’economia”. Il barile potrà salire oltre
i 65 dollari senza suscitare crisi mondiali. Il suo prezzo sarà calmierato solo
da nuove offerte energetiche.

Fonte - Il Foglio
Katrina è catastrofico,
petrolio a 70$ al barile
Futures:
+$4.67. Chevron, Exxon e BP hanno chiuso gli impianti nel Golfo.
Anche Andrew, che provoco' decine di morti, era "categoria 5". I
danni potrebbero toccare i $30 miliardi. Borsa: shortare gli
assicurativi.
28 Agosto 2005
20:49 - New York (ANSA)
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Il
catastrofico uragano Katrina, un mostro di oltre 500 chilometri di
larghezza, ha gia' fatto schizzare i prezzi del petrolio ben sopra i
$70 al barile, dopo la chiusura di tutti gli impianti della zona del
Golfo del Messico dove "gira" il 25%-30% della produzione americana.
I futures sul
greggio quotati al New York Mercantile Exchange (NYMEX) sono saliti
ieri sera fino a $70.80 al barile, in rialzo di $4.67 al barile.
Katrina, che e' passato tre
giorni fa su Miami con la classificazione "categoria 1" provocando 9
vittime, si e' ora rafforzato al punto da essere diventato un
"categoria 5": secondo il National Hurricane Center Usa e' uno dei
piu' grandi uragani mai apparsi sul Nord America, il quarto
piu' catastrofico in assoluto nell'area dell'Atlantico, con una
pressione bassissima di 902 millibar.
Gli ultimi due uragani di
"categoria 5" che si sono abbattuti sugli Stati Uniti sono stati
Camille, che nel 1969 sfiorò New Orleans e fece 400 morti tra
l'Alabama e la Louisiana, e Andrew, che nel 1992 si abbattè su
Homestead, a sud di Miami, provocando decine di morti e miliardi di
dollari di danni.
Gli abitanti di New Orleans
sono in fuga dalla città, migliaia di auto secondo le Tv
locali sono bloccate in colonna sulla I-95, l'autostrada che va
verso Ovest, mentre Katrina si avvicina velocemente dal Golfo del
Messico con i suoi venti di poco meno di 300 chilometri orari (oltre
175 miglia l'ora) promettendo una scia di morte e distruzione. Il
sindaco di New Orleans, Ray Nagin, ha disposto l'evacuazione
obbligatoria di tutti i 485.000 abitanti, anche perche' la citta' si
trova letteralmente sotto il livello del mare.
Per via di Katrina "la
produzione offshore per almeno 1 milione di barili al giorno e'
stata fermata, mentre adesso sono minacciate le raffinerie e le
operazioni di importazione del greggio intorno alla zona di New
Orleans", ha detto alla Associated Press Peter Beutel, un
analista petrolifero di New Canaan, in Connecticut. Per questo -
avevano predetto alcuni analisti - il petrolio potrebbe gia' passare
la soglia psicologica e il nuovo record assoluto dei $70 al barile
gia' lunedi', il giorno in cui Katrina tocchera' la costa (il prezzo
del greggio al Nymex di New York e' sulla Prima Pagina di Wall
Street Italia).
Circa il 25% dell'intera
produzione di petrolio e gas degli Stati Uniti ha sede nel Golfo del
Messico. Le aziende del settore energetico hanno cominciato a
chiudere gli impianti e a mandare a casa gli operai gia' sabato.
La Chevron ha evacuato tutte le sue fabbriche sulla costa del Golfo,
mentre Exxon, BP e Royal Dutch terminerano la chiusura e
l'evacuazione entro domenica sera. La Louisiana Offshore Oil Port ha
cancellato tutte le operazioni di consegna del greggio.
Infine la Mississippi Gaming
Commission ha ordinato la chiusura di tutti i casino' della Costa
del Golfo del Messico.
Secondo una stima dell'agenzia di
stampa Bloomberg Katrina potrebbe costare fino a $30 miliardi, il
che ne farebbe il disastro naturale piu' costoso della storia
americana. Eqecat Inc., che utilizza modelli computerizzati per
stimare i danni, ritiene che ci saranno da un minimo di $15 miliardi
a un massimo di $30 miliardi in richieste di risarcimento alle
societa' di assicurazione locali; le stime piu' alte sono legate al
modello che vede la citta' di New Orleans direttamente colpita
dall'uragano.
Alcuni operatori di Wall Street
sostengono apertamente che Katrina avra' comunque effetti devastanti
e provochera' una forte caduta dei titoli assicurativi quotati sui
listini Usa.
Fonte - ANSA
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Tassi USA
al 5% se il barile non frena
Parla Bill Ford (ex "numero 1" della Federal Reserve di Atlanta): «I consumi
tengono. Ma per la stabilità dei prezzi il caro-greggio è una minaccia seria.
Come evitare gli errori degli anni ’70? Bisogna alzare senza timori il costo del
denaro».
21 Agosto 2005 17:21
- Milano (di Vincenzo Sciarretta)
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«Se
avessi ancora una poltrona alla Banca Centrale - spiega senza giri di parole
Bill Ford, ex presidente della Federal Reserve di Atlanta - suggerirei ai miei
colleghi di non esitare: i tassi d’interesse devono salire. Bisogna
evitare che il rincaro dei prodotti petroliferi si diffonda come un virus
attraverso l’intero corpo economico nazionale, innescando una spirale inflativa.
Occorre tenere alta la guardia. So per
certo che diversi membri della Fed sono seriamente preoccupati a causa della
bolletta energetica».
Mister Ford, per fortuna l’aumento degli oli
combustibili non ha scoraggiato il consumatore americano, che al contrario si
dimostra la trave portante di sempre. Lei come spiega la tenuta dei consumi?
Me la spiego notando che il prezzo delle
benzine è in verità meno opprimente di quanto sembri.
In che senso?
Facciamo un confronto con gli anni ’70. Due
sono gli elementi cruciali. Primo, nel 1973 in media un’automobile percorreva 13
miglia con un gallone di benzina. Oggi, includendo i grossi Suv, di miglia ne
percorre 20. Un bel risparmio, no?
E il secondo punto?
Aggiungiamo che i redditi sono cresciuti più
rapidamente del carovita. Sicché, oggi il tipico consumatore americano deve
lavorare meno della metà di allora per acquistare un gallone di carburante.
Insomma, quando si fa il pieno, certo che ci scoccia pagare di più, ma alla fine
chi se ne importa. È ancora una cosa ragionevole.
Nelle
sue decisioni di politica monetaria, la Federal Reserve fa riferimento
all’inflazione tendenziale, cioè esclude proprio l’energia e gli alimentari. La
giustificazione addotta è che si tratta di componenti volatili. Altri la
ritengono però una scelta superata in quanto energia e alimentari sono orientati
stabilmente al rialzo. Sono la fonte dei rischi. E non si può far finta di
nulla. Qual è la sua opinione?
Le potrei rispondere con una battuta: Alan
Greenspan trascura il costo della benzina perché ha l’autista e a queste
faccende ci pensa lui. Scherzi a parte,
credo che da adesso in avanti si dovrà guardare all’inflazione complessiva e non
più a quella tendenziale. Forse già nella riunione di settembre il comitato
direttivo introdurrà qualche riferimento in tal senso.
I grafici di lungo
termine mostrano una marcata correlazione storica tra andamento delle materie
prime e inflazione. Perciò, diversi esperti si avventurano in previsioni fosche.
Profetizzano un’ascesa eccessiva dei prezzi, guidata dalle risorse di base. È
plausibile?
È una
minaccia realistica, chi può negarlo? La terapia consiste nello stringere le
briglie della politica monetaria ed evitare la tracimazione del fenomeno.
Insomma, occorre evitare gli errori degli anni ’70.
Nello specifico?
Allora le quotazioni del greggio passarono da 3 a 30 dollari al
barile. Arthur Burn, che era al timone della Federal Reserve, si mise a stampare
moneta su larga scala per controbilanciare gli effetti negativi sulla
congiuntura. E fu il disastro.
Cioè partì la
spirale inflativa?
Esatto.
E poi la recessione. Nei primi anni ’80, quando fui nominato presidente
della Fed di Atlanta, gli sforzi della banca centrale si indirizzarono tutti al
contenimento del carovita. Una specie di emergenza nazionale.
In poco più di un anno, il tasso d’interesse
controllato dalla Fed è salito dall’1 al 3,5 per cento. Si dice tuttavia che
debba salire ancora. Secondo lei, di quanti punti base?
Da qui a fine anno ci sono altre tre riunioni a
Washington presiedute da Alan Greenspan. È facile ipotizzare 3 strette da 25
punti base. Quindi il saggio-base approderà al 4,25 per cento.
E per quanto riguarda il 2006?
Beh, tutto dipende
dagli avvenimenti, è ovvio. Ma se la produzione si mantiene tonica, il costo del
denaro dovrebbe toccare almeno il 5 per cento entro la prossima Pasqua.

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Fonte -
Bloomberg - Borsa & Finanza |
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Previsto rialzo
aumenta divario con eurozona a 1,5 punti.
La
Federal Reserve ha deciso di alzare il costo del denaro di un altro
quarto di punto, al livello del 3,5%Viene confermata cosi' la
politica di graduale rialzo del costo del denaro fin qui seguita
gia' annunciata dalla stessa Fed. Con la decisione odierna e' salito
a 1,5 punti percentuali il divario fra tassi Usa e tassi Bce. Questi
ultimi sono fermi al 2,0% che a sua volta rappresenta il livello
piu' basso dalla fine della Seconda Guerra.
(ANSA) - Roma,
9 ago 2005
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Fazio vale
lo 0,00000001% di Alan Greenspan
La
disinvoltura greenspaniana ha alimentato correnti di critiche da parte di fior
di economisti, non solo liberal democratici e clintoniani, sostenitori di una
gestione più rigorosa. Ma pensando all’Italia "stile Alvito", viene da piangere.
27 Agosto 2005 16:09
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Roma (Il Riformista)
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L’Italia piegata in due sotto i colpi
martellanti che la stampa internazionale arreca alla Banca d'Italia e alla
credibilità dell’intero sistema banco-industriale italiano.
La crema dell’America - cento sole
persone in tutto - che si stringe ieri nel resort sulle montagne del Wyoming, in
cui la Fed di Kansas City ogni fine agosto chiama a raccolta intorno al guru dei
mercati da ben 18 anni, quell’Alan Greenspan che da presidente della Fed ha
rivoluzionato il mestiere stesso di banchiere, riuscendo come nessun
altri mai a domare le forze della recessione a costo anche di un uso
spregiudicato della politica monetaria “lasca”, in maniera che i prezzi degli
asset mobiliari e immobiliari riuscissero a pareggiare il minor potere
d’acquisto da salari nei momenti di bassa.
E’
grazie a lui e a metodi tanto disinvolti che l’America del post 11 settembre ha
saputo evitare quella che avrebbe potuto essere una frenata economica
pericolosissima. l’Amministrazione Bush gli deve tutto a cominciare dalla
rielezione, avvenuta sulle ali dell’economia prima ancora che dei valori e non
certo per la lotta al terrorismo e la guerra in Iraq. Ieri,
per il rivoluzionario banchiere centrale
che dal monetarismo spinto di Volcker è riuscito a traghettare all’economia
immateriale, è stata la sua ultima volta a Jackson Hole. L’anno prossimo, sarà
il suo sostituto a parlare ai mercato mondiali dall’alto di una delle
poche cime che ancora ospitano l’aquila calva che campeggia nel simbolo degli
States. E infatti la Fed di Kansas City non ha avuto dubbi. Ha intitolato
l’incontro a lui: «The Greenspan Era: Lesson for The Future». Viene da piangere,
pensando all’Italia.
Intendiamoci. Negli ultimi anni la disinvoltura greenspaniana - e c’è anche chi
è più disinvolto di lui, come quel Ben Bernanke cresciuto sotto al sua ala, e
che la Casa Bianca vorrebbe fargli succedere - ha alimentato correnti crescenti
di critiche da parte di fior di economisti, non solo liberal democratici e
clintoniani sostenitori di una gestione più rigorosa dei bilanci. Ieri i
giornali americani erano pieni di ammonimenti critici, perché sono in molti a
temere che non appena il suo mandato scadrà la bolla immobiliare scoppi
lasciando tutti corti nei portafogli e sprovvisti di coperture patrimoniali. Tra
i più tosti Alan Blinder, l’ex vicepresidente della Fed protagonista di scontri
all’arma bianca col “guru”.
Ma in ogni caso, si vedrà.
Il bilancio di Greenspan non ha
precedenti, in termini di successo.
E ieri, comunque, non è tirato indietro dagli ammonimenti di fine mandato. Lo
strisciante protezionismo commerciale e i deficit gemelli (cioè quello federale
e quello degli interscambi commerciali) degli Usa - ha detto - costituiscono un
rischio di lungo termine per la vitalità dell’economia americana.
«La nostra riluttanza a un maggiore rigore fiscale», ha continuato, «minaccia
quello che potrebbe essere il nostro asset di maggior valore: l’accresciuta
flessibilità della nostra economia che si è tradotta in una resistenza
straordinaria agli shock».
Mantenere l’attuale flessibilità
economica, ha aggiunto Greenspan, è particolarmente importante se si vuole
affrontare con efficacia il problema gli attuali squilibri. Primo fra tutti il
disavanzo commerciale che nel 2004 è salito alla cifra record di 668 miliardi di
dollari e il boom edilizio. Greenspan ha anche espresso preoccupazione per quel
che succederà con la fine dell’attuale lungo periodo di bassi tassi di interesse
e dunque di bassi rischi per gli investitori.
«La storia non è stata in genere tenera
alla fine di periodi prolungati di basso rischio».
Poi Greenspan è tornato a giudicare più in
grande, la sua strategia. «Mi sono sempre preparato a una vasta gamma di
possibili scenari economici, dai più ovvi a quelli più improbabili. Nel 2003 il
timore che si potesse instaurare una spirale deflazionistica, caratterizzata
cioè da un rapido calo dei prezzi che avrebbe severamente danneggiato
l’economia, aveva spinto la Fed a ridurre i tassi al valore più basso degli
ultimi quarantacinque anni a quota 1 per cento. Date le conseguenze
potenzialmente drastiche della deflazione - ha detto Greenspan - i benefici
della politica monetaria scelta, per quanto inusuale, sono stati considerati
superiori ai rischi che questa comportava ».
E’ qui il rischio
della bolla del mercato immobiliare. Grazie ai bassissimi tassi di interesse sui
mutui immobiliari, infatti, il mercato del mattone ha vissuto un triennio di
crescita eccezionale con drastici aumenti dei prezzi delle abitazioni. La banca
centrale fino a ora ha ammesso di intravedere segnali di “schiuma” in numerosi
mercati locali, ma ha sempre dichiarato di non vedere un serio problema a
livello nazionale.
In
sostanza secondo alcuni Greenspan avrebbe impedito nel 2001 una recessione
ancora più grave abbassando aggressivamente il costo del denaro. Questa
strategia tuttavia avrebbe spostato il problema solo in là nel tempo e le
conseguenze potrebbero essere pagate da chi prenderà le redini della Federal
Reserve dopo di lui. I successori giudicheranno. Ma l’America intanto,
che continua a crescere coi portafogli gonfi, ringrazia. Proprio un’altra
musica, rispetto a Bankitalia.
Fonte -
Il Riformista per Wall
Street Italia.com
Fed: Simposio A Jackson Hole, Si Cerca Successore Greenspan
(ANSA) -
26 AGO 2005, 16,02
Argomento più significativo e di
attualità era difficile da trovare a cinque mesi dal ritiro di Alan
Greenspan dalla presidenza della Federal Reserve: la Fed di Kansas City
ha organizzato il 29esimo simposio annuale su 'Era Greenspan: lezioni
per il futuro', cercando di tracciare il profilo della prossima guida
dell'istituto centrale Usa
Fonte - ANSA
|
Greenspan: "Protezionismo e deficit minano la reazione agli
shock"
(ANSA)
- 26 Agosto 2005, 16:38
Il protezionismo e il deficit rischiano
di compromettere la risposta dell'economia statunitense a eventuali
shock. Se ne è detto convinto Alan Greenspan nel simposio in svolgimento
alla Jackson Hole Fed in Wyoming. Il presidente della Fed ha spiegato
che la flessibilità dell'economia è il mezzo migliore per difendere
l'economia americana dagli shock, ma che attualmente la stessa
flessibilità è minacciata dal protezionismo e dal deficit.
Fonte - ANSA |
Greenspan: boom immobiliare squilibrio
dell'economia
(ANSA)
- 26 Agosto 2005, 16:42
Il boom del settore immobiliare
rappresenta uno squilibrio dell'economia e potrebbe rivelarsi un
elemento cattivo per la stessa. Questo in sintesi il contenuto di alcuni
stralci del discorso che il presidente della Federal Reserve, Alan
Greenspan, sta tenendo Wyoming. Greenspan, nelle sue "Reflections on
Central Banking" ha messo in guardia circa i rischi attualmente presenti
nell'immobiliare Us, chiarendo che i valori delle attività
diminuirebbero repentinamente qualora gli investitori iniziassero a
domandare tassi d'interesse maggiori.
Fonte - ANSA
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Greenspan donna
Il
settimanale Barron's arriva alla conclusione che ci sarebbe un gruppo di
candidate degne di grande attenzione per la carica di Presidente della Federal
Reserve nel gennaio 2006. Intanto la task force della Casa Bianca al lavoro
sulla questione...
22 Agosto 2005 20:40
-
New York (ANSA)
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Svolta
alla Federal Reserve: il successore dell'attuale presidente, Alan Greenspan,
potrebbe essere una donna. Lo ipotizza Barron's, il prestigioso periodico
statunitense, notando nel numero in edicola che finora si è parlato solo
di "candidati uomini". La ragione,
secondo le fonti vicine all'Amministrazione Bush consultate dal settimanale,
sono solo di tipo psicologico, per "evitare di spaventare i mercatifinanziari",
che tradizionalmente - e Wall Street rientra sotto questo profilo a pieno titolo
- non gradiscono le sorprese.
Così in un lungo articolo intitolato 'Madame
Chairman', ('Signora Presidente'), Barron's prova a sfogliare la margherita
delle pretendenti arrivando alla conclusione che ci sarebbe un gruppo di
candidate degne di grande attenzione, con tanto di curriculum ed esperienza
accademica o professionale, maturata a Washington o a Wall Street.
Tutti nomi di prestigio: come Janet
Yellen, presidente della Fed di San Francisco ed ex consigliere economico di
Bill Clinton, Alice Rivlin, attualmente al Brooking Institute ed ex
vicepresidente dalla Banca centrale Usa sempre su indicazione di Clinton, e di
Abby Joseph Cohen, ascoltato guru delle strategie d'investimento di Goldman
Sachs con un passato al servizio della Fed.
E poi, Susan
Schmidt Bies, governatore della Fed dal dicembre 2001 su indicazione di Bush,
Susan Phillips, professore presso la George Washington University ed ex
governatore, e Kathleen Cooper, sottosegretario per gli Affari economici al
Dipartimento del Commercio.
La task force della Casa Bianca al lavoro sulla
questione Fed é guidata dal vicepresidente Dick Cheney e vede il direttore del
Consiglio nazionale economico, Allan Hubbard, e il direttore del Tesoro, Joshua
Bolten. Il mandato di Greenspan, salvo proroghe, scadrà a gennaio 2006, ma i
nomi più accreditati per la successione sono almeno quattro. Si tratta,
risultato di una figura bipartisan, di Lawrence B. Lindsey, già coordinatore del
Consiglio economico nazionale di Washington nel primo mandato di George W. Bush
(ma anche di Bush padre), governatore della Fed nel corso della presidenza
Clinton e uomo di fiducia di Reagan durante i primi anni '80.
La lista dei nomi vede poi in gara economisti
di rilievo: Martin Feldstein della Harvard University, Glenn Hubbard della
Columbia University e Ben Bernanke, presidente dei consiglieri economici della
Casa Bianca, carica affidatagli da Bush dopo essersi dimesso da governatore
dell'istituto centrale. Quest'ultimo, nonostante le smentite, sembra essere il
nome più gettonato, almeno dai media.

Fonte - ANSA
BORSA: NY SCENDE CON ALLARME GREENSPAN
E INDICE FIDUCIA/ANSA
RISCHI DA RIALZI
IMMOBILI E AZIONI.
26 Agosto 2005 23:07
NEW YORK (ANSA)
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Wall Street cede terreno e accusa
il crollo della fiducia dei consumatori stimata dall'Università del
Michigan e l'allarme del presidente della Federal Reserve,Alan
Greenspan, che hanno proiettato timori sulle prospettive
dell'economia Usa. Il Dow Jones scivola dello 0,51% a 10.397,29
punti, il Nasdaq si ferma a quota 2.120,77 (-0,64%), mentre lo
Standard & Poor's 500 perde lo 0,60% a 1.205,10 punti. Greenspan, al
convegno dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming, ha
osservato come sia sempre all'attenzione della Fed l'andamento al
rialzo dei prezzi degli asset, quali titoli azionari e beni
immobiliari, in un momento in cui i bassi tassi d'interesse
incoraggiano a correre più rischi. Il banchiere ha ammonito anche
gli investitori a "non dare per scontata" la stabilità economica
attuale, visto che la storia dimostra come "non sia stato l'ideale
risvegliarsi da protratti periodi di premi a basso rischio". Le
parole del numero uno della banca centrale Usa hanno depresso
ulteriormente gli indici già deboli per il tonfo a quota 89,1
dell'indice dell'Università del Michigan di agosto rispetto alla
prima stima di 92,5 e contro 96,5 di luglio. A pesare sul sentimento
dei consumatori, osservano gli esperti, è stata soprattutto la folle
corsa del greggio che continua a segnare record.
Fonte - ANSA
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