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Recessione?
Ma dove? Ma quando?
05 Maggio 2008 00:40 MILANO -
di *Alessandro Fugnoli
*Questo documento e'
stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank
________________________________________
La differenza rispetto a febbraio e marzo è che tutto il negativo
che c’è oggi nel mondo e quello che si profila per il resto del 2008
e per la prima parte del 2009 lo conoscevamo già. Quello che è
invece positivo, o almeno tranquillizzante, appariva allora non solo
irraggiungibile, ma addirittura inconcepibile. Vediamolo.
La crisi finanziaria, ovvero il montare di ondate limacciose e
minacciose di paura, la fuga dalle banche, l’allargarsi improvviso
dell’area del sospetto, la possibile implosione del sistema è alle
spalle. Osiamo dire che, per questo ciclo, è definitivamente alle
spalle. Avremo naturalmente ancora crisi di singole istituzioni
finanziarie, ma rimarranno circoscritte. Il messaggio della Fed (e
quello più in ritardo e pasticciato della Bank of England) è giunto
forte, chiaro e autorevole.
Il primo trimestre si è chiuso ufficialmente con i dati sul Pil
americano. Niente recessione, e questo si sapeva. Quello che è forse
più interessante, in un periodo in cui si parla moltissimo di
inflazione, è che non c’è neanche l’ombra di inflazione salariale
(che, a ben guardare, sta dando qualche segno di sé solo in
Germania).
I rimborsi fiscali ai contribuenti americani sono già partiti, con
un mese di anticipo rispetto ai programmi. Per indurre i consumatori
a spendere subito il Tesoro accredita direttamente i conti correnti,
per cui non c’è nemmeno da portare l’assegno in banca. Chi vuole
vedere sempre e solo il lato negativo delle cose sta già dicendo che
se gli incentivi sono partiti un mese prima allora anche il loro
effetto positivo terminerà un mese prima. E’ vero, ovviamente, ma è
anche vero che il timing anticipato è calcolato perfettamente per
coincidere con il momento più buio del ciclo economico americano,
che è esattamente in questo momento.
L’effetto netto è che forse si riuscirà a evitare la recessione
anche per questo secondo trimestre. Poiché per il terzo e per il
quarto la crescita sarà positiva, il risultato è che è possibile che
tutto il discorso sulla recessione sia da rinviare (eventualmente)
al 2009. Qui parliamo della recessione mediatica, quella che fa i
titoli sui giornali e che richiede il segno negativo nel Pil per
almeno un trimestre. La recessione degli economisti, invece, verrà
probabilmente proclamata ufficialmente da Feldstein se i prossimi
dati confermeranno il calo nel numero degli occupati.
In ogni caso risulta sempre più evidente la natura smussata del
ciclo. Rallentamento dolce fino a giugno e poi riaccelerazione
dolce. Un altro elemento di attenuazione della volatilità macro è
che l’America riaccelererà nella seconda parte dell’anno proprio
mentre Europa e Asia rallenteranno. Accadrà quindi il contrario di
quello che abbiamo visto in questo primo semestre, ovvero America
debole e resto del mondo ancora vivace.
Smussare il ciclo è in sé positivo, perché toglie combustibile all’undershooting
dei mercati. Un ciclo smussato appare avere una maggiore solidità di
fondo e viene prezzato con un minore premio per il rischio. A sua
volta il migliore tono di fondo dei mercati viene sfruttato
immediatamente dalle banche che si devono ricapitalizzare per
collocare debito e soprattutto equity, come stiamo vedendo in questi
giorni. Portarsi avanti nei processi di ricapitalizzazione significa
d’altra parte ridurre la portata del credit crunch e anticipare la
fine della crisi. E’ un circolo virtuoso.
Detto questo, non dobbiamo perdere di vista gli elementi critici. Il
prezzo delle case continua a scendere negli Stati Uniti (anche più
velocemente del previsto) e non arresterà la sua corsa nei prossimi
mesi, allargando anzi la debolezza al resto del mondo.
L’occupazione americana continuerà a scendere, sia pure lentamente,
e il tasso di disoccupazione salirà per tutto il 2008 e nella prima
parte del 2009. Europa e Asia, come abbiamo detto, rallenteranno. Il
fatto è però che tutto questo è già noto e metabolizzato da un
mercato che (e qui sta l’elemento più importante) è diventato
ottimista ma è comunque ampiamente sottopesato di rischio. Chi è
sottopesato è più sensibile alle sorprese positive che a quelle
negative e, quando diventa ottimista, non teme ma anzi auspica un
ribasso dei corsi per potere comprare. Questo significa che i
ribassi sono brevi e superficiali.
Il treno in partenza non è certo ad alta velocità. Assomiglia
piuttosto ai vecchi accelerati che andavano piano e si fermavano
spesso. Per qualche settimana le soste nelle stazioni saranno
lunghe, perché i dati macro relativi ad aprile e maggio
raffredderanno gli entusiasmi. Poi il trenino prenderà un po’ di
velocità quando i dati relativi a maggio, giugno e luglio
confermeranno la ripresa dei consumi.
Nel prossimo periodo il trenino avrà qualche aiuto dal
ridimensionamento del petrolio e del dollaro (che per di più si
alimentano tra loro). La correzione del petrolio sarà dovuta alla
ricostituzione delle scorte americane. Nei mesi scorsi i raffinatori
avevano ridotto al minimo le scorte in previsione di una diminuzione
della domanda che si è poi puntualmente verificata anche al di là
delle previsioni. I mercati, vedendo scorte sempre più piccole,
hanno fatto salire i prezzi in generale e in America in particolare.
Ora inizia invece una fase in cui il prezzo alto americano attira le
petroliere che stanno in mezzo all’Atlantico e decidono all’ultimo
momento se scaricare in America o in Europa. Le scorte tornano a
salire e il prezzo flette.
Il dollaro, dal canto suo, è entrato in una fase laterale,
probabilmente compresa tra 1.50 e 1.60, che riflette l’imminente
riaccelerazione americana e il rallentamento europeo già iniziato. A
medio termine il petrolio tornerà a salire, mentre il dollaro
rimarrà debole almeno sino a quando il disavanzo delle partite
correnti americane non si sarà riportato intorno al 3 per cento del
Pil, cioè non prima del 2010.
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Fonte
- Il Rosso e il Nero |
LA
CINA E' DAVVERO VICINA
05 Aprile 2008 13:01
MODENA - di Giovanni Zibordi ______________________________________________
Il costo del lavoro
cinese è inferiore a quello bulgaro (il piu' basso in
Europa) di 2 euro l'ora. Sono dai 100 ai 300 dollari massimo
al mese. E in Cina tuttora di ore ne lavorano 50-60 la
settimana e non 40. Senza parlare dei trasporti su
container.
Il fondo hedge di cui mi fiderei per mettere dei soldi è
quello di Pieter Thiel (un milione di dollari però come
quota) il genio degli scacchi e precoce matematico che ha
fondato Paypal l'ha venduta a Ebay e poi ha messo su un
fondo che in 5 anni ha guadagnato il 400%.
Ogni trimestre a Clarium pubblicano un documento strategico
da leggere e lo consiglio. C'è questo grafico che mostra il
costo del trasporto di un container di merce da una città
cinese agli Stati Uniti confrontato con quello di un
trasporto per camion in America.
Mi hanno detto che un container dalla Cina all'Italia costa
sui 2.200 dollari ora, dalla Cina alla California anche meno
ed equivale al costo di un container per camion che fa 1.475
miglia. Cioè le merci cinesi arrivano qui come se fossero ad
esempio camion che partono dalla Turchia e arrivano in
Inghilterra cioè LA CINA E' VICINA ORA!
Cioè siamo fregati. Il costo del lavoro italiano è 24.5 euro
l'ora, da Santoro sembra che esistano solo precari a 700
euro il mese, ma il COSTO medio è 24.5 euro l'ora in Italia
ed è appena sotto la media UE (solo che lo stato se ne
mangia metà, per cui quello che ti arriva in tasca sembra
niente). Il costo del lavoro cinese è inferiore a quello
bulgaro di 2 euro l'ora, parliamo dai 100 ai 300 dollari al
massimo al mese in Cina tuttora e di ore ne lavorano 50-60
la settimana non 40 e per abbassare i costi ora costruiscono
autostrade centinaia di km nell'interno per raggiungere zone
della Cina dove si paga ancora 100 dollari il mese.
Fonte - ANSA
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E
se avessimo
esagerato con questa crisi ?
05 Maggio 2008 23:35 MILANO - di Giuseppe Turani
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E se avessimo esagerato un po´ tutti, con la storia della crisi (la
più grande degli ultimi decenni, si era detto) e della recessione?
Se, alla fine, tutto fosse meno tragico di come l´avevamo immaginato
ancora due mesi fa? Non è detto, ma potrebbe anche accadere. D´altra
parte, proprio in questi giorni non sta venendo fuori che il
Pianeta, invece di correre verso un progressivo surriscaldamento,
sta andando verso un raffreddamento? Con le previsioni è facile
sbagliarsi.
Per tornare al caso specifico, va detto, come annota uno strategist
di livello (Alessandro Fugnoli), che la novità è data dal fatto che
tutto il «male» (crisi del credito e delle Borse) che c´è ancora in
giro è noto da tempo. Poi ci sono delle novità, e queste sono buone.
Vediamole. In America (che rimane il centro della crisi) il primo
trimestre si è chiuso con un aumento del Pil dello 0,6 per cento.
Per carità, è presto per mettersi a ballare la rumba. Il dato è per
ora provvisorio e può essere soggetto nelle prossime settimane a
revisioni anche pesanti. Ma se resiste, e se rimane in territorio
positivo, questo significa che fino a oggi gli Stati Uniti non sono
in recessione.
E la stessa cosa potrebbe accadere nel secondo trimestre (quello in
corso). Gli aiuti governativi stanno già affluendo sui conti
correnti dei cittadini americani e ci sono buone probabilità che
anche nel secondo trimestre l´America eviti di presentarsi con un
Pil negativo.
Ma, poiché a detta di tutti, la seconda parte del 2008 dovrebbe
essere di moderata ripresa, allora è possibile che la terribile
recessione semplicemente non ci sia. E questa è la parte buona. Il
giorno in cui dovesse essere chiaro che le cose stanno così,
l´atteggiamento dei mercati e dell´opinione pubblica cambierebbe
sostanzialmente.
Ma non è finita. In aprile ci si aspettavano 75 mila diminuzioni nei
posti di lavoro negli Stati Uniti e invece ne sono spariti solo 20
mila (che per un mercato grande come quello americano sono veramente
un´inezia). Di fronte a questo dato, qualcuno ha inventato
l´espressione «recessione dolce». Le imprese, cioè, non hanno
rinunciato alla speranza di un ritorno alla normalità, e allora
usano una mano vellutata nelle riduzioni di personale. Riduzioni che
andranno avanti (si dice), ma senza forti scosse. E questo dovrebbe
attenuare la crisi americana e rendere, eventualmente, più rapida la
ripresa. Allora l´orizzonte è sgombro di nubi, tutto va bene e non
resta che voltare pagina?
No. Problemi ce ne sono, e sono anche grossi. Ma oggi appaiono più
gestibili, meno traumatici, di due mesi fa. E la crisi, che avevamo
immaginato planetaria e quasi definitiva, oggi assume i contorni di
un maledetto incidente, ma non insuperabile.
Quali sono i problemi che rimangono? Si diceva soprattutto due:
1 - Le case (quelle dei famosi prestiti subprime) per i quali non
state pagate le rate dei mutui (e che quindi sono state sequestrate)
andranno sul mercato, in asta, a settembre. E l´arrivo di tutto
questo materiale potrebbe provocare un ulteriore crollo del mercato
immobiliare, mettendo nei guai molti altri «mutuatari» che fin qui
l´avevano scampata. In sostanza, a settembre la crisi dei subprime
potrebbe allargarsi, e fare una specie di secondo giro. Cosa che
evidentemente farebbe venire il fiatone a banche e operatori del
mercato. Insomma, una sorta di secondo infarto dopo il primo di
qualche mese fa.
2 - Il secondo fattore di possibile crisi sta negli utili aziendali.
Recessione o non recessione (o recessione dolce) quello che appare
sicuro (e ogni giorno la Borsa ce lo dimostra) è certo che sarà
difficile in questi mesi (per tutto il 2008 e parte del 2009) tenere
gli utili aziendali al livello a cui ci eravamo abituati. E questo,
tanto per cambiare, potrebbe determinare una consistenza sfiducia
sui mercati azionari (che già non vivono una stagione serena e
tranquilla). C´è solo da sperare, dicono gli ottimisti a tutti i
costi, che la frenata degli utili sia anch´essa (come la recessione)
dolce e misurata.
In questo caso, il 2008 finirebbe in archivio come un anno «non
buono», con pochi soldi da distribuire e molte crepe da sistemare.
Ma non passerebbe alla storia come l´anno in cui la finanza si è
mezza suicidata attraverso la crisi dei mutui subprime. E´ uno
scenario, questo, troppo ottimista?
Un po´ sì. E infatti non è detto che, alla fine, le cose andranno
così. Ci sono ancora, come abbiamo visto, dei problemi. Ma è certo
che oggi, sui mercati, si respira un´aria un po´ diversa.
C´è la sensazione che forse non tutto è perduto e che qualcosa di
questo disgraziato 2008 forse può essere recuperato. E che alla fine
si dovrà fare i conti con una crescita più bassa, con mercati meno
brillanti, ma con le strutture della finanza e dei mercati grosso
modo intatte. Pronti per il 2009. Anno in cui, peraltro, l´America
potrebbe avere quel crollo che forse riuscirà a evitare nel 2008.
Forse, infatti, la recessione è solo rinviata.
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Fonte -
La Repubblica |
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Sabato
10
maggio 2008 |
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Domenica
11
maggio 2008 |
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Venerdì
16
maggio 2008 |
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ORo nero bollente
07/05/2008 - di Ansa ______________________________________________
Cento, centoventi e
perché non duecento. Il petrolio dà i numeri: a questi
prezzi pare che i barili siano diventati di oro zecchino
visto che al loro interno ci sono sempre poco più di 150
litri di greggio, o 42 galloni se preferite. Sono gli stessi
che valevano 11 dollari nel 1998 e che ora ne valgono ben
più di 100. Per essere precisi il petrolio a New York ieri
ha chiuso a 121,79 dollari, sotto il record toccato in
giornata a 122,73 dollari, con un rialzo dell'1,5%. Si
tratta ovviamente di ennesimi massimi storici.
E non è finita: Arjun N. Murti, l'analista di una importante
banca d'affari che nel marzo del 2005 previde che il prezzo
del petrolio sarebbe arrivato oltre i cento dollari, ora
vede le quotazioni del greggio schizzare addirittura fino a
200 dollari al barile.
Nel giro di due anni il prezzo potrebbe arrivare fra i 150
ed i 200 dollari e le possibilità di vedere il greggio a
questi livelli "sembrano essere aumentate da qui a sei -
ventiquattro mesi", sebbene sia difficile individuare
esattamente il picco delle quotazioni ed al tempo stesso la
durata di questa fase rialzista.
Gli analisti hanno peggiorato le stime relative al prezzo in
considerazione del fatto che ci sarebbero rischi sul
versante delle forniture, in presenza di una domanda
sostenuta da parte delle economie emergenti. In particolare,
secondo il 'report' sussisterebbero problemi per alcuni
Paesi non aderenti all' Opec, come Messico e Russia. Sul
prezzo inoltre pesano fattori speculativi che peraltro -
rileva ancora il rapporto - dovrebbero portare ad una
maggiore efficienza produttiva ed a maggiori investimenti da
parte delle compagnie petrolifere in progetti di ricerca.
Fonte - ANSA
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Banche,
paghi tu per le voragini in bilancio
07 Maggio 2008 15:15 LUGANO -
di *Alfonso Tuor
*Alfonso Tuor e' il
direttore del Corriere del Ticino
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La notizia era preannunciata: la disastrosa avventura di UBS nel
mercato dei titoli legati al settore immobiliare americano si
tradurrà nella soppressione di 5’500 posti di lavoro, di cui 1’500
in Svizzera. In Ticino non si prevedono licenziamenti, ma il
personale della maggiore banca svizzera verrà ridotto sfruttando la
fluttuazione naturale del personale (pensionamenti, dimissioni,
ecc.).
Dunque, come sempre accade, i dipendenti saranno chiamati a pagare i
grossolani errori dei dirigenti dell’istituto. Questo commento non è
così scontato, come può apparire a prima vista. Infatti oltre al
capo dell’investment banking, cui è stata attribuita gran parte
della responsabilità delle perdite miliardarie, l’unica vittima di
spicco è apparentemente solo Marcel Ospel, di cui l’anno prossimo
verremo forse a conoscere la buonuscita milionaria.
Il gruppo dirigente attorno al gran patron di UBS non è stato
toccato minimamente ed anzi è riuscito a far nominare un suo uomo,
Peter Kurer, alla presidenza del Consiglio di Amministrazione. Il
successore di Marcel Ospel è pure riuscito nell’ultima Assemblea
degli azionisti a sostenere che il suo obiettivo sarà quello di
separare meglio i compiti tra direzione generale del gruppo e
Consiglio di Amministrazione, privilegiandone il ruolo di
sorveglianza di quest’ultimo. In realtà, ciò corrisponde a quanto
prevede la legge e quindi Peter Kurer ha implicitamente ammesso che
anche il Consiglio di Amministrazione non ha assolto ai suoi
compiti. Eppure, nessuno dei suoi membri, dal vicepresidente Sergio
Marchionne ad Ernesto Bertarelli, ha sentito il dovere di
dimettersi.
Tutto ciò comunque è già storia. Si tratta ora di capire quali siano
le prospettive della maggiore banca svizzera. Ebbene: le difficoltà
sono tutt’altro che superate. L’ammissione è dello stesso Marcel
Rohner. In effetti il presidente della Direzione generale della
banca si è rifiutato di indicare quando l’istituto tornerà in zona
utili. E la sua prudenza è comprensibile.
UBS, nonostante abbia già registrato a bilancio 37 miliardi di
franchi di perdite, deteneva ancora a fine marzo titoli legati ai
mutui subprime per 15,65 miliardi di dollari e titoli legati al
mercato immobiliare americano (definiti Alt-A) per 17 miliardi di
dollari. Le posizioni a rischio non si limitano però a queste due
voci. Ad esse sono sicuramente da aggiungere l’esposizione verso i
prodotti strutturati, nei crediti ad Hedge Funds e ai fondi di
Private Equity, ecc. Dunque i tempi del ritorno nelle cifre nere
dipenderanno dall’evoluzione della crisi finanziaria, che nelle
ultime settimane sembra essere entrata in una fase di bonaccia.
La redditività di UBS non tornerà tuttavia ai livelli precedenti a
questa crisi. Negli anni scorsi gran parte degli utili dell’investment
banking erano proprio generati da quelle attività che oggi sono
all’origine delle perdite miliardarie. Più in generale, è
prevedibile che questa crisi finanziaria produca un forte
ridimensionamento di tutte le attività legate alla nuova ingegneria
finanziaria, che erano molto redditizie per il settore bancario. Ma
nel caso di UBS c’è qualcosa di più.
La crisi ha provocato una perdita di clientela anche nel settore
della gestione patrimoniale. Ad abbandonare UBS e a cambiare banca
sono stati soprattutto la «piccola clientela» svizzera (nei primi
tre mesi dell’anno vi è stato un deflusso netto di 1,9 miliardi di
franchi) e gli investitori istituzionali (il deflusso netto è stato
di 16,5 miliardi di franchi). Ma problemi si sono riscontrati anche
con i grandi clienti del Private Banking, visto che la raccolta
netta è stata solo di 5,6 miliardi di franchi. Inoltre questi dati
si fermano alla fine dello scorso mese di marzo e quindi non tengono
conto di un aprile, che, tutti sanno, è stato molto difficile per
UBS.
Tutto ciò indica che anche la gallina dalle uova d’oro, ossia la
gestione patrimoniale, non è destinata nel prossimo futuro a
generare una redditività simile a quella degli anni scorsi. Inoltre,
è ancora impossibile capire quale è l’impatto della crisi sulla
reputazione della banca a livello internazionale e quindi sulla sua
capacità di attrarre nuova clientela.
Il «calvario» di UBS non sembra dunque concluso. La
ricapitalizzazione, che verrà completata con il nuovo aumento di
capitale di 15 miliardi di franchi, mette la banca al riparo da
spiacevoli sorprese. Ma il ritorno ad una forte redditività resta
lontano. Molto probabilmente per raggiungere questo traguardo
occorreranno ancora due o tre anni, come del resto avevano
implicitamente previsto il fondo statale di Singapore e l’anonimo
investitore arabo che alla fine dell’anno scorso avevano chiesto
tassi di interesse del 9% per sottoscrivere 13 miliardi di
obbligazioni (che saranno convertite obbligatoriamente in azioni UBS
tra tre anni).
Dunque: sia per UBS, sia per le altre grandi banche i «dolori» non
sono finiti e a pagarne il prezzo saranno i dipendenti, non
sicuramente i responsabili delle follie della nuova ingegneria
finanziaria che hanno causato questa crisi, la più grave del secondo
dopoguerra.
 |
Fonte
- Corriere del Ticino |
ALLARME
CREDITO CONSUMO
08 Maggio 2008 13:01 SIENA
- di
MPS Capital
Services
*Questo
documento e' stato preparato da MPS Capital Services ______________________________________________
In programma le riunioni della Bce e della
BoE. In entrambi i casi l’attesa è di un mantenimento dei
tassi fermi al 4% e 5% rispettivamente. Particolarmente
attesa è la conferenza stampa di Trichet, soprattutto dopo
gli ultimi dati sulla crescita che hanno evidenziato segnali
di debolezza e dopo il continuo rialzo del prezzo del
greggio.
Tassi di interesse: in area Euro i tassi di mercato hanno
chiuso la sessione con un rialzo su tutta la curva, portando
il differenziale 2-10 anni a 39 pb. Il rialzo è stato
guidato dai dati macro di marzo sulle vendite al dettaglio
dell’area Euro e sugli ordinativi tedeschi peggiori delle
attese. In particolare le vendite al dettaglio per l’intera
area hanno evidenziato una forte penalizzazione dei beni
alimentari che hanno risentito dell’aumento dei prezzi al
consumo.
Gli ordinativi industriali tedeschi di marzo hanno invece
continuato ad evidenziare un peggioramento degli ordini da
parte dei paesi dell’area che ha colpito soprattutto i beni
capitali. L’attenzione di oggi sarà tutta focalizzata sulle
decisioni della Bce e della BoE.
Negli Usa tassi di mercato in sensibile calo soprattutto
sulla parte a breve termine, in seguito alle cospicue
perdite dei mercati azionari che hanno interessato tutti i
principali comparti, primo fra tutti quello finanziario. A
penalizzare tale settore è stato in particolare l’annuncio
della Sec secondo cui, a partire da fine anno, vi sarà
l’obbligo da parte delle banche Usa di rendere pubblici i
dati sul livello di capitale e di liquidità. Tale
provvedimento è finalizzato ad aumentare la trasparenza per
gli investitori ed evitare situazioni simili a quelle
verificatesi nel caso di Bear Stearns.
Nel breve però gli operatori hanno reagito negativamente
alla notizia, per il timore che tali dati possano contenere
sorprese non positive. Nel frattempo nel mese di marzo si è
assistito ad un forte incremento del credito al consumo. Nei
primi tre mesi dell’anno il credito al consumo ha raggiunto
34Mld$, il livello più elevato dal primo trimestre del 2001,
nelle imminenze dell’ultima recessione. Sono continuati i
richiami sulla necessità di evitare un aumento eccessivo dei
pignoramenti immobiliari.
In tal senso si è espresso il membro Fed Kroszner, sulla
scia di quanto dichiarato già qualche giorno fa da Bernanke.
L’impressione prevalente è che la fase più acuta della crisi
finanziaria sia tutto sommato alle spalle mentre invece
l’impatto negativo sull’economia sia ancora gli inizi. In
tal senso ad esempio si è espresso George Soros. Sul
comparto obbligazionario è stata ben accolta l’asta record
da 15Mld$ sul decennale. Oggi è attesa un’analoga emissione
da 6Mld$ sul trentennale. Sul decennale, dopo il test ieri
della resistenza a 3,95%, si ripropone nel breve il supporto
a 3,82% e successivamente 3,75%.
Valute: Dollaro in marcato apprezzamento vs. Euro dopo i
dati relativi ad area Euro e Germania che segnalano come il
rallentamento cominci ad estendersi oltre il confine Usa.
Oggi occorrerà verificare in chiusura la rottura del
supporto a quota 1,5370, in vista della riunione della Bce.
Nel breve il primo supporto rilevante è a quota 1,5250.. Yen
in apprezzamento sulla scia dei cali dei listini azionari
Usa e giapponese. Il calo è stato particolarmente marcato vs
Euro, con il cross che ha rapidamente raggiunto il supporto
a 159,60. Il livello successivo si colloca poco sopra 158.
Apprezzamento più contenuto nei confronti del Dollaro, con
il supporto più vicino collocato in area 103,80-104.
Materie Prime: ancora un rialzo per il greggio Wti
nonostante l’aumento delle scorte Usa oltre le attese. Il
rialzo è stato concentrato soprattutto nelle ultime ore
della seduta. Il prezzo ha sfiorato i 124$/barile. Andamento
negativo invece per i metalli industriali penalizzati
dall’apprezzamento del Dollaro. Tra i peggiori piombo
(-5,3%) ed alluminio (-1,9%). In ribasso anche i metalli
preziosi. Tra gli agricoli rialzo del riso (+3,5%) sulla
speculazione che il Myanmar sarà costretto a ridurre od
annullare le esportazioni a causa del ciclone che ha colpito
il paese in modo disastroso.
Fonte
- Servizio Market Strategy MPS Capital Services
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maggio 2008 |
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Martedì 27
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Greggio
record, l'esperto: "il
mercato ha fallito"
08 Maggio 2008 17:00
NEW YORK -
di Il Sole 24 Ore
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Intervista a Davide Tabarelli,
presidente di Nomisma energia e analista de Il Sole 24 Ore per le
materie prime: «Siamo di fronte a un caso scolastico di fallimento
del mercato».
«Siamo di fronte a un caso scolastico di fallimento del mercato».
Davide Tabarelli presidente di Nomisma energia e analista del Sole
24 Ore per le materie prime valuta così i prezzi record del
petrolio. «È davvero fallimento del mercato...
Perché?
Perché quando hai i senatori democratici americani che propongono
una legge per valutare se c'è stata una speculazione del mercato
vuol dire che la tentazione di regolare i mercati è forte, troppo
forte per resistere.
I ricavi dell'Opec, i Paesi produttori, a fine anno aumenteranno
quasi del 60 per cento. Disorientamento. A fronte di questo la
sensazione che si prova è di disorientamento.
L'Opec quest'anno
aumenterà i ricavi di mille miliardi di dollari.
Cosa significa?
Significa che è scandaloso quanti soldi stanno finendo nelle casse
dei Paesi produttori. E' scandaloso quanto incassano, ma anche ciò
che dicono e che non fanno...
... la parolina magica: aumentare l'offerta?
Esatto.
L'aumento del petrolio non è solo un fatto che impatta sul costo
dell'energia ma anche sui materiali. Aumenta tutto con il greggio, i
polimeri, le vernici., la plastica che contiene gli alimenti e gli
alimenti...
Io per anni ho avuto una fiducia nel mercato e credevo che si
aggiustasse da solo in base alle leggi economiche. Ma visto che la
domanda cresce ed è destinata a crescere ancora e l'offerta non
aumenta e non aumenterà non ci sono alternative.
Il prezzo spinto
dalla domanda potrebbe raggiungere anche i 400 dollari.
La responsabilità è dei Paesi produttori o delle speculazioni
finanziarie?
Difficile dirlo. Mi aspettavo che l'offerta fosse capace di
aumentare più in fretta nell'arco di tre-cinque anni. Ma questa
volontà non c'è.
O almeno non c'è stata finora.
Non è che c'è dietro questi pazzi aumenti un ragionamento razionale.
Ma ci sono tre elementi che negli ultimi anni hanno portato a
questo...
Primo.
La questione politica che c'è sempre dietro al petrolio. Oggi
parliamo dei 60 anni di Israele. Ebbene, il Medio Oriente è un'area
con le maggiori tensioni politiche mondiali, tensioni durano da 60
anni. Dietro, nello sfondo, c'è il petrolio...
E la contrapposizione
tra Medio Oriente e Occidente si è aggravata dopo l'11 settembre.
Secondo.
Un'oggettiva incapacità dei Paesi produttori, manifestata dalla
crisi energetica del 1972, da quando l'industria estrattiva nei
Paesi arabi fu nazionalizzata, a fare investimenti. Perché le
tecnologie ce l'hanno le società occidentali che sono state cacciate
via dai Paesi arabi. Investimenti che permetterebbero di diminuire i
costi di estrazione e raffinazione del greggio
Terzo.
La responsabilità occidentale: noi parliamo tanto di biocarburanti,
rinnovabili, riduzione di CO2... Così tanto che i Paesi produttori
sono convinti che fra qualche anno faremo a meno del petrolio e per
questo stanno spremendo quello che si può spremere per ricavare più
possibile da ciò che hanno. Una follia.
Ma il mercato surriscaldato è legato anche alle fluttuazioni
speculative.
Un barile al porto in Arabia Saudita viene pagato ancora oggi non
oltre 5 dollari.
Gli analisti delle banche d'affari continuano a dire che il costo
non è quello vero...
Ripeto. Siamo di fronte al fallimento del mercato. Ma non è solo un
problema di speculazione.
Perché?
Perché l'organo federale americano che controlla ogni settimana
l'andamento dei future sul greggio parla di fluttuazioni che non
superano mai il 20%. Il greggio è aumentato molto di più in
pochissimo tempo.
Il trend rialzista continuerà fino a quando e a quanto?
Nomisma Energia prevede come scenario più probabile un calo del
costo a barile verso i 90 dollari a fine 2008. Però sbagliamo da 4
anni. Tra gli scenari indichiamo anche un possibile 150 dollari al
barile.
Il problema è sempre lo stesso: la domanda cresce e l'offerta non
altrettanto.
Già, proprio così.
Le riserve?
C'è un problema di riserve, in termini di quantità e qualità.
Nessuno sa con precisione quante siano sottoterra. Quello che è
sicuro è che diminuisce l'accessibilità, l'accesso alle riserve più
facili. Le major sono escluse dal Medio Oriente, dove c'è il greggio
migliore. E cercano nelle acque profonde o dove fa molto freddo...
Le riserve "facili" sono già finite...
Quale alternative intravede a medio termine
Sono molto scettico e un po' deluso perché negli ultimi 30 anni si è
sempre cercato di fare diversificazione dal petrolio, ma non ci si è
riusciti.
E' un problema di costi?
Sì, innanzitutto perché la quantità di energia contenuta è in un
litro di greggio è enorme e ha ancora dei costi bassissimi rispetto
alle alternative...
Nonostante le quotazioni record?
Nonostante questo. Stasera farò una lezione a un Rotary club e
mostrerò una bottiglietta di minerale riempita con benzina. La
bottiglietta di acqua comperata al bar costa 1 euro, per riempirla
di benzina ci vogliono 60/70 centesimi.
Cosa vuole dire con questo?
Ricordiamoci che la benzina costa ancora meno dell'acqua.
Considerando anche la tassazione elevata, il costo è ancora
marginalmente basso...
Per il futuro si troverà una strada? Prima o poi il petrolio
finirà...
Certo, ma non bisogna illudere la gente. Non sarà una cosa facile
non sarà gratis: possiamo pensare all'idrogeno ma per produrlo ci
vuole grossa quantità di energia che solo il nucleare ci può dare al
momento.
E i biocarburanti? I biocarburanti possono fare qualcosina ma si può
arrivare al massimo a coprire il 5% di consumi mondiali di greggio.
Si spieghi meglio. L'anno scorso nel mondo sono stati consumati
2.200 milioni di tonnellate di carburante (benzina e gasolio) e 52
milioni di tonnellate di biocarburanti. Possiamo anche immaginare di
triplicare nei prossimi 20 anni la produzione di biocarburanti,
tralasciando tutti i problemi connessi all'alimentazione, ma non si
potrà far crescere di molto questo rapporto perché nel frattempo la
domanda mondiale di greggio aumenterà di almeno 550 milioni di
tonnellate...
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Fonte -
Il Sole 24 Ore |
Petrolio:
CHIUDETE IL MERCATO DEI FUTURES
12 Maggio 2008 00:51
LUGANO -
di Alfonso Tuor ______________________________________________
Se qualcuno un anno fa
avesse previsto che il prezzo di un barile di petrolio
sarebbe raddoppiato sarebbe stato guardato con scetticismo.
Ancor più se avesse sostenuto che il greggio a 126 dollari
il barile non avrebbe avuto grandi conseguenze
sull’economia. Eppure è quello che sta succedendo ora,
nonostante la banca di investimento americana Goldman Sachs
preveda che entro la fine dell’anno il prezzo del petrolio
raggiungerà addirittura i 200 dollari il barile.
Gli analisti spiegano che l’impennata del greggio è dovuta,
da un canto, alla crescente fame di petrolio di India e Cina
e, dall’altro, ad una capacità produttiva che non riesce a
tenere il passo con la domanda e che addirittura è destinata
a diminuire in alcuni paesi, come la Russia.
In un mercato «poco trasparente» e condizionato fortemente
da variabili geopolitiche, come quello del greggio, è sempre
difficile valutare quale sia effettivamente la realtà. Se è
difficilmente contestabile che i cinesi e gli indiani stanno
provocando un aumento della domanda e se è pure
difficilmente discutibile che vi sono difficoltà
(soprattutto a breve termine) nell’incrementare le capacità
di estrazione di greggio, vi sono anche verità aneddotiche
che cozzano con queste spiegazioni.
Tra queste primeggia il fatto che vi sono petroliere che
navigano per i mari senza trovare acquirenti per i loro
carichi di greggio. Tutto ciò induce a pensare che, come nel
caso delle altre materie prime e nel caso delle derrate
agricole, la tendenza al rialzo dei prezzi viene esasperata
dalla speculazione finanziaria. E infatti quella delle
materie prime e dei prodotti agricoli è certamente un’altra
enorme bolla creata dalla speculazione finanziaria destinata
prima o poi a scoppiare.
Sarebbe quindi auspicabile che i governi dei paesi
occidentali seguissero l’esempio del governo indiano, che ha
chiuso il mercato dei futures (ossia la possibilità di agire
della speculazione finanziaria) dei principali prodotti
agricoli per frenare il rialzo dei loro prezzi. Insomma,
l’India ha deciso di proteggere la propria popolazione e la
propria economia dalla finanza.
La prova che le grandi banche di investimento e gli Hedge
Funds sono i principali responsabili di questi fenomeni è
comunque data dal fatto che pochi si preoccupano di valutare
le conseguenze dell’impennata dei prezzi delle materie prime
e dei prodotti agricoli sull’inflazione, che da tempo si è
risvegliata sia nei paesi di vecchia industrializzazione sia
in quelli emergenti, e sulla crescita delle economie
occidentali già minacciata dalla crisi dei mutui subprime.
L’aumento di questi prezzi rischia invece di diventare il
fattore che aggrava in modo pesante la crisi. Le speranze di
una recessione breve negli Stati Uniti sono messe a dura
prova da un aumento del prezzo del petrolio che riduce i
redditi delle famiglie americane. Inoltre, l’effetto di
questi prezzi sulla dinamica dei prezzi restringe
ulteriormente lo spazio di manovra della banca centrale
statunitense, che ha già ridotto i tassi ad un livello
inferiore a quello dell’inflazione. L’aumento del prezzo del
petrolio incide pure sulle prospettive di un’economia
europea la cui crescita sta già rallentando.
Infine l’impennata di questi prezzi rischia di compromettere
anche la forte crescita di molti paesi emergenti, su cui
molti, dal Fondo Monetario Internazionale all’OCSE,
puntavano per superare la crisi dei mutui subprime. Tutto
quanto sta accadendo ricorda la successione degli eventi
degli anni Settanta, quando due chocs petroliferi
accompagnati da politiche monetarie espansive si tradussero
in una prolungata fase di stagnazione economica e nel
contempo di alta inflazione. Sta di fatto che l’impennata
del petrolio è sicuramente un fattore che rende più
difficile superare la crisi dei mutui subprime.
Fonte
- Corriere del Ticino
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Passata è la tempesta,
ma non è il caso di far festa
Wednesday, 14 May, 2008 -
by Charles Dexter Ward
________________________________________
Il mercato del credito si sa, non è una scienza
esatta. Di molti e interessanti aspetti si può discutere, ma forse
l’unico dogma che si può ragionevolmente accettare su questo
argomento è che i credit makets siano “naturalmente” ciclici;
dopodiché si può disquisire sull’ampiezza delle code, sulla
probabilità di imbattersi nel famoso cigno nero tanto caro ad un
autore come Nassim Nicholas Taleb e su tanti altri argomenti dal
contenuto più o meno tecnico. Tenendo saldamente fermo il nostro
punto di partenza circa la ciclicità dei mercati possiamo fare un
passo ulteriore cercando di individuare quali siano i principali
fattori che determinano l’alternarsi delle varie fasi di questo
andamento che abbiamo definito ciclico.
Con il rischio di cadere in un ragionamento tautologico, si può
affermare altresi che i fattori che hanno un impatto determinante
sul ciclo del credito possono essere:
• Stato di salute dell’economia globale
• Disponibilità di credito del sistema
• Solidità finanziaria delle aziende (Stato Patrimoniale)
• Profittabilità delle aziende (Conto economico)
Al momento attuale almeno i primi tre fattori ci segnalano che, dopo
una lunghissima fase positiva, nell’estate scorsa si è avuta
l’inversione di tendenza che ha segnato l’ingresso in quello che si
preannuncia come un lungo e faticoso periodo di contrazione del
credito e di contestuale allargamento degli spread lungo la
direttrice principale riportata sul grafico (cliccare per
ingrandire):
Appare inevitabile che un peggioramento della profittabilità delle
aziende e un rapido incremento del tasso di default seguiranno a
stretto giro, con timing ed intensità tutti da verificare.
All’interno di questa visione appare essenziale riconoscere il
movimento degli spread di aprile come un tipico bear market rally, a
cui ancora una volta si è accompagnato uno short squeeze frutto del
momento di panico e della situazione di ipervenduto che si sono
osservate sul mercato fino all’intervento di salvataggio su Bear
Stearns.
Ora il peggio sembra essere alle spalle , la volatilità e il rischio
sistemico sono violentemente rientrati e anche gli spread hanno
festeggiato la mancata Apocalisse: ma per ipotizzare spread ancora
in allargamento dai livelli correnti non è necessario scomodare
scenari catastrofici. L’interpretazione più semplice è che, da qui
in avanti, al rischio sistemico andrà man mano sostituendosi il
rischio idiosincratico, il tutto in concomitanza con un rapido
aumento del tasso di default. Se l’economia nordamericana farà
effettivamente registrare una recessione formale (due trimestri
consecutivi di crescita negativa del pil) è un tema interessante
soltanto per le statistiche accademiche e per gli annali.
Quel che è
evidente è che anche la violenta svalutazione del dollaro non potrà
evitare un marcato rallentamento economico che, unito ad un
sensibile ridimensionamento della disponibilità di credito del
sistema, avrà come ovvia conseguenza una pressione sulle
obbligazioni societarie in generale e sui Junk Bond in particolare.
Se è quindi vero che i due strappi di luglio 2007 e febbraio 2008
sono il risultato di temporanei momenti di panico sui mercati, è
parimenti vero che il (violento) rientro da questi eccessi non muta
comunque il più generale trend di allargamento sui Junk Bond. E’
vero che i livelli correnti di spread sono in senso assoluto
abbastanza generosi, ma contestualizzati all’interno dell’attuale
fase economica appare opportuno conservare un atteggiamento
estremamente cauto e comunque molto selettivo sul mondo delle
obbligazioni ad alto rendimento.
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Fonte -
Macromonitor |
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Sabato 31
maggio 2008 |
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Sabato 31
maggio 2008 |
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maggio 2008 |
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Petrolio: NUOVO
RECORD E GRAN PREOCCUPAZIONE
21 Maggio 2008 16:12
NEW YORK - di
Il Sole
24 Ore ______________________________________________
La paura che il
petrolio non basti per tutti negli anni a venire spinge
sempre più alle stelle i prezzi dell'oro nero: poco dopo
mezzogiorno è stato toccato il nuovo record a New York con
oltre 130 dollari al barile, dopo che ieri era stata
raggiunta la soglia di 129,60 dollari. A Londra il Brent,
greggio del Mare del Nord, ha toccato i 129 dollari, contro
il record di 128,07 dollari di martedì. Come se non bastasse
i futures per le consegne nel dicembre 2016 (non è un
refuso, proprio tra otto anni) sono volati già questa
mattina a 140 dollari (+14% da lunedì) mentre la più grande
banca d'investimenti del mondo, la statunitense Goldman
Sachs, prevede una media prezzi di 141 dollari al barile già
nella seconda metà del 2008.
La ragione di questa escalation all'apparenza inarrestabile
è che semplicemente nel vicino futuro non ci sarà petrolio
per tutti, con la produzione inchiodata - per ragioni di
incapacità degli impianti e progressiva rarefazione delle
risorse, a 85 milioni di barili al giorno e la domanda, a
causa della sete di energia delle economie emergenti,
schizzata a oltre 87 milioni.
Tutto sembra dare ragione al petroliere texano T. Boone
Picken, che ha preconizzato il barile a 150 dollari già
entro quest'anno. Anche Crédit Suisse ha alzato le sue stime
sul prezzo del barile da 91 a 120 dollari nel 2008 e da 90 a
110 dollari nel 2009. Mentre Société Générale ha rivisto al
rialzo le sue previsioni medie per l'anno corrente di 14
dollari, a 115 dollari, e per l'anno successivo di 10
dollari a 110 dollari.
Eppure il segretario generale dell'Opec ritiene che
nonostante il prezzo del barile abbia raggiunto i 129
dollari, il mercato sia adeguatamente fornito. In un
incontro a Caracas con il presidente venezualano Hugo Chavez,
Abdallah Salem el-Badri, ha dichiarato che «non c'è scarsità
di petrolio sul mercato» perché le forniture internazionali
di petrolio sono molto elevate. Alle 16,30 il dipartimento
dell'Energia comunicherà i dati sulle scorte degli Stati
Uniti per la settimana conclusa lo scorso 16 maggio.
Gli analisti attendono un aumento di 500 mila barili, dopo
il rialzo di 200 mila barili della settimana scorsa. Le
scorte di benzina sono previste in aumento di 400 mila
barili, contro il calo di 1,7 milioni di barili del dato
precedente. Per quanto riguarda i distillati, gli analisti
attendono un aumento delle scorte di 1,2 milioni di barili,
dopo il rialzo di 1,4 milioni della settimana precedente.
Festa grande, insomma, per la speculazione e tempi assai
duri per i consumatori, sempre più stretti nella tenaglia
tra caro-trasporti, inflazione (sulla spinta dell'aumento di
meterie prime e alimentari) e aumenti salariali sin troppo
moderati. Mentre addirittura si torna a parlare di un
ritocco al rialzo dei tassi d'interesse in Europa,
nonostante la frenata dell'economia, a conferma che i
banchieri centrali di Francoforte sono ossessionati dai
rischi di aumento generalizzato dei prezzi più che dai ritmi
di crescita a scartamento ridotto.
Petrolio: L'AIE
LANCIA L'ALLARME PRODUZIONE
22 Maggio 2008 16:44 NEW YORK - di
Il Sole
24 Ore ______________________________________________
Mentre la corsa dei prezzi del
petrolio appare sempre più inarrestabile - oggi il barile ha
oltrepassato i 135 dollari - sale l'allarme per le forniture
globali degli anni a venire, che rischiano di non aumentare
come finora previsto. Per questo l'Agenzia internazionale
per l'energia (Aie) ha avviato la sua prima indagine globale
approfondita sulla situazione dei giacimenti in tutto il
mondo. L'ente parigino, che fa capo ai paesi consumatori
dell'Ocse, potrebbe procedere a drastiche revisioni al
ribasso sulle sue previsioni per la produzione.
Ma i risultati dell'indagine saranno rivelati solo a
novembre. Finora la Aie prevedeva che la produzione mondiale
di oro nero avrebbe raggiunto il suo picco attorno al 2030,
toccando i 116 milioni di barili al giorno rispetto ai circa
87 milioni attuali. Ma ora teme che il deterioramento dei
giacimenti esistenti, combinato all'insufficienza degli
investimenti possa rendere difficile anche il semplice
superamento della soglia dei 100 milioni di al barili.
Indiscrezioni che non possono che accentuare le già forti
tensioni dei mercati, dove da giorni il petrolio non fa che
bruciare un record dietro l'altro. Oggi, circostanza
insolita, sia il petrolio West Texas Intermediate, quello
scambiato a New York, sia il Brent del Mare del Nord,
scambiato a Londra, hanno messo a segno il medesimo primato
storico: 135,09 dollari. A determinare gli ultimi balzi si
sono sommati diversi fattori.
Nei giorni scorsi sono giunte indicazioni di una forte
domanda di gasolio da parte della Cina, nella necessità di
accumulare scorte per le Olimpiadi di Pechino. Nel frattempo
l'euro ha segnato nuovi apprezzamenti sul dollaro, e ogni
calo del biglietto verde viene da mesi seguito da un aumento
del prezzo del petrolio.
Infine, ieri il dipartimento per l'energia degli Usa ha
riferito di un calo sulle riserve strategiche di greggio.
Fonte
- Il Sole 24 Ore
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Il
petrolio e
l'insostenibile leggerezza del tempo
21 Maggio 2008, 19:40 -
di Edoardo Macallè
________________________________________
“Secondo i nostri percorsi campione, il petrolio è
ormai molto prossimo a chiudere la propria corsa al rialzo.
Incredibilmente, però, proprio questo dovrebbe render conveniente,
per noi europei, l'investimento sui prodotti in materie prime (non
dimenticate, infatti, che il petrolio pesa, sì, sugli indici di
riferimento, ma non più del 15%) ed il dollaro, previsto in ripresa
nei prossimi mesi, potrebbe tra l'altro proteggerci da eventuali
rendimenti negativi (così come, negli ultimi due anni, ci ha
impedito d'ottenerne di positivi). All'orizzonte, tuttavia, si
presenta un problema non previsto dai più: i tassi d'interesse, in
Europa, sono destinati a salire, e salir non poco, nel corso dei
prossimi mesi. Era giusto con queste parole che s'era chiuso il nostro
intervento di settimana scorsa. Con queste parole e con la promessa
che alle stesse, oggi, si sarebbe provato a dar maggior concretezza:
proprio quel che proveremo a fare adesso.
Anche questa settimana s'è assistito, “impotenti” (si dice così,
no?…), ad un nuovo record del prezzo del petrolio: i 150 dollari,
ormai, sono veramente ad un tiro di schioppo. E pensare che lo
scorso febbraio ne valeva meno di 90! Una crescita del 50% in poco
più di tre mesi non sono certo bazzecole. Ed infatti non lo sono
state. Già, ma tutto questo, in fondo, è solo il “passato”: il
futuro, oggi, è “ma dove mai arriverà?…”. Questo tuttavia, ed è già
chiaro a tutti, “non lo sa proprio nessuno!”.
Tecnicamente, la
soglia più accredita a fermar la folle corsa parrebbe, almeno sin
qui, quella dei 165$. Come dir che il petrolio, dagli attuali
livelli, potrebbe crescere ancor di un altro 20% e forse anche più:
è credibile?… Sì, no, forse, chissà… tanto non è importante: già
oggi, infatti, siamo in quel che, all'inizio dell'anno, sarebbe
parso a tutti “incredibile”. In termini di tempo poi, al passo
attuale, non sarebbero neanche necessarie più di due o tre settimane
per raggiungere la vetta! Fosse così… già, “fosse così”: sin qui,
infatti, di tutte le soglie, come di tutti i tempi dai più indicati,
si sono fatte semplici polpette.
Eppure, “secondo i nostri percorsi
campione, il petrolio è ormai molto prossimo a chiudere la propria
corsa al rialzo”. “Molto prossimo”, attenzione: non solo “prossimo”.
Detto altrimenti: non “a breve”, ma “a brevissimo”. Facciamo una
data, tra le tante?… Bene: a cavallo del 7 giugno dovremmo averne le
prime conferme. D'altra parte, sul Siderografo di Bradley, proprio
questa parrebbe la data di maggior rilievo per l'anno in corso:
volete che non abbia una qualche incidenza anche sul petrolio?
Suvvia, l'avrà, l'avrà…
Obiettivo a 140$?… a 160$?… a 200$?… No, guardate, non ha
alcun'importanza il prezzo che potrà esser toccato dal petrolio nel
corso delle prossime settimane perché, qualunque esso sia, non sarà
comunque “sostenibile nel tempo”. Ma fate attenzione: quant'andremo
adesso a dire ha valore solo per il petrolio.
Seppur si sarebbe
potuto dire cose simili anche sul Nasdaq (NASDAQ: notizie)
all'inizio del 2000. Eh sì, perché c'è solo il petrolio (nonché,
forse, qualche altra materia prima del settore energia) che oggi si
trova all'apice di tutti i nostri percorsi. Ma proprio di “tutti
tutti”: generazionale, di lungo, di medio, di breve e di brevissimo
periodo.
Ed anche se proprio lassù è la vetta del “Monte Olimpo”, il petrolio
non potrà comunque starci “in eterno”: da quando, infatti, Prometeo
ha rubato il fuoco agli dei, per donarlo agli uomini, anche
l'energia ha smesso d'essere immortale! Prima o poi, insomma, ma più
prima che poi, anche il trend al rialzo del petrolio finirà per
morir di se medesimo. D'altra parte è un trend che dura, ormai, da
dieci anni e che ha preso a correre soprattutto negli ultimi otto.
Sarà un caso che l'attuale presidente degli Stati Uniti, in fondo, è
figlio di tal semenza?… Sarà un caso se domani, finalmente, il
“nero” non sarà solo il colore del nuovo oro?… Ai posteri.
Certo che
se il petrolio, come sembra, è ormai prossimo ad entrare in una
delle diverse fasi di distribuzione previste dai nostri percorsi,
allora sì che si dovrà fare in fretta a crear le condizioni per
poterlo… distribuire. Già, ma a chi distribuire quel che tutti
vedono essere in cima, non già ai propri pensieri, ma alle proprie
preoccupazioni?… Chi mai, dotato di senno, oserebbe avventurarsi
nell'acquisto di un qualcosa che è cresciuto tanto in così poco
tempo?… Già chi?… Semplice: noi tutti!
Stupiti?… Sappiamo già quel che state pensando: “No, io no: non sono
mica matto!”. Eppure sarà proprio così, anche se forse ve
n'accorgerete solo dopo. Sperando, poi, che non sia già troppo
tardi. Oggi, infatti, il petrolio è sulla bocca di tutti (anche
Tremonti, in fondo, ha detto che i petrol… ieri dovranno guardarsi
alle spalle), ma già aleggia una parola ben più trendy: “commodity”.
Sino (Xetra: 576550 - notizie) a qualche anno fa solo due italiani
su cento avrebbero saputo spiegarne l'esatto significato: oggi,
anche gli altri 98 saprebbero persino dirci cos'è una “soft
commodity” (per non sentirvi del tutto tagliati fuori, si tratta
delle cosiddette “derrate alimentari”). E lo sanno così bene che
quando, entrati in una banca, sentiranno proporsi una bella
“obbligazione strutturata sul mercato delle commodities”, non solo
non faranno alcuna fatica a capire, ma aggiungeranno anche un
“finalmente mi proponete qualcosa che funziona”. Anche perché, come
il solerte funzionario sottolineerà loro, “non si rischia proprio
nulla: il capitale è garantito”. I più “svelti”, tra l'altro, hanno
già cominciato a proporre ed i più “furbi” hanno già cominciato ad
accettare. Voi no, eh?… Lo sapevamo: voi nel petrolio non ci
cascate, giusto?… Ma qui non si tratta di “petrolio”: si tratta di “commodities”.
Il petrolio, infatti, è solo una fetta (e ben minoritaria!)
dell'intera torta. Il petrolio, in fondo, è come il capo branco:
dietro a lui il branco deve ancor arrivare! La terra trema, è vero,
ma ancor non si vede altro che la “nube di polvere” sollevata dagli
zoccoli. Noi non abbiamo dubbi: ci cascherete dentro. Pure voi.
Anche perché sarà per tutti favorevole: non vi proporranno mica di
comprar la “monnezza” di Napoli per portarvela a casa! Noi per
primi, ad esempio, s'è scritto settimana scorsa:
“Secondo i nostri percorsi campione, il petrolio è ormai molto
prossimo a chiudere la propria corsa al rialzo. Incredibilmente,
però, proprio questo dovrebbe render conveniente per noi europei
l'investimento sui prodotti in materie prime (non dimenticate,
infatti, che il petrolio pesa, sì, sugli indici di riferimento, ma
non più del 15%) ed il dollaro, in ripresa nei prossimi mesi,
potrebbe tra l'altro proteggerci da eventuali rendimenti negativi
(così come, negli ultimi due anni, ci ha impedito d'ottenerne di
positivi)”
Detto altrimenti: acquistare commodities è ancor conveniente. E lo è
soprattutto per noi europei. Il dollaro contro euro (ma cose
analoghe potrebbero dirsi anche contro le altre valute) si muove in
percorsi del tutto opposti a quelli in cui oggi muove il petrolio:
il dollaro, infatti, è al momento un “pentapibede” con tre zampe
ancor all'inferno e due, sole, timidamente fuori. Tra l'altro, fra
queste ultime, mancano ancor le più importanti, proprio quelle che,
nel tempo, finiranno per imprimere la vera svolta.
Come dire insomma
che, per noi europei, “acquistar attività in dollari” è e sarà,
ancor per qualche tempo, un affare (sempre che i percorsi assunti
dal dollaro non debbano improvvisamente abortire sotto il peso di un
risultato elettorale diverso da quel che il mondo parrebbe
augurarsi). Ed oggi, senza alcun dubbio, non v'è attività in dollari
più gettonata delle materie prime. Abbiamo, insomma, ancor la
possibilità d'acquistare “a sconto valuta” quel che tutti noi, in
questo momento, vorremmo avere in portafoglio! E se tutti noi si
vorrebbe averlo in portafoglio, perché allora non comprarlo? Meglio
ancora, poi, se ci assicurano anche la garanzia del capitale,
giusto?… D'altra parte, in tutto questo, lo Zio Sam è sempre stato
un maestro: pompa pompa e tutti a guardare, col naso all'insù, quel
che viene pompato. Un tempo furono le ferrovie, poi le radio e le
televisioni, più di recente la tecnologia, ma il meccanismo, più o
meno, è sempre il medesimo: s'attira l'attenzione di tutti e poi si
lascia agli ultimi l'ingrato compito di bruciarsi le dita. Il
mercato immobiliare americano vola?… Bene: perché non costruirci
sopra un bel po' d'obbligazioni da vendere a tutti?… Già, “ma se il
mercato immobiliare americano scende?”… “Che problema è: ficchiamo
l'obbligazione in un bel fondo “total return” ed il più è fatto.
Tutto matematico, tranquillo: abbiamo solo una probabilità su un
milione di perdere quattrini!”… Devono averla pensata più o meno
così anche in UBS (Virt-X: UBSN.VX - notizie) , prima che capitasse
quel che, in effetti, poi è capitato. Però il capitale è garantito…
A scadenza, ovvio, e sempre che UBS, quel giorno, ci sia ancora.
Altrettanto ovvio (aah, maligni!).
Spaventati?… Suvvia, un po' scherziamo, ma solo un po', invero: c'è
ancor molto tempo, infatti, prima che scoppi la bolla delle
commodities! Tuttavia ne siamo certi: anche questa, come tutte le
precedenti, prima o poi scoppierà.
Purtroppo, però, nel caso il
fragore sarà enorme e coinvolgerà tutto il mondo e non solo il suo
spicchio a stelle e strisce. Ma c'è tempo, ancor molto tempo per
fortuna, prima che tutto quel che noi temiamo accada. E così, nel
frattempo, anche noi possiamo prenderci le nostre belle commodities
e metterle in portafoglio. Soprattutto, però, le “soft” che hanno
corso moltissimo, è vero, ma sono per la maggior parte lontanissime
dal proprio capolinea. Personalmente, poi, noi punteremmo sui
“maialini” (…e senza scherzi!): è vero, i loro prezzi sono
letteralmente “crollati” negli ultimi anni, ma in un mondo che
marcia a grandi falcate verso la “fame” (prima dei paesi più poveri
e poi di quelli meno ricchi, e poi… e poi si vedrà), la carne di
maiale potrebbe tornare a far bella mostra di sé anche sulle nostre
tavole. D'altronde, come ben sanno coloro che “masticano” di queste
cose, del maiale non si butta via mai nulla. Come si faceva, in
fondo, in tempo di guerra. Almeno così dicono, perché il
sottoscritto, fortunatamente per lui, fa parte della prima
generazione che non ha mai visto la guerra sul suolo italiano:
speriamo in bene…
Già, la guerra. Non solo sono sempre meno coloro che possono dire
d'averla vista, ma soprattutto mancano, ormai, coloro che possono
raccontarcela e, in particolare, che possano raccontarci quel che è
accaduto dopo. Ad esempio: quanti sanno, oggi, che i tassi
d'interesse, nel nostro paese, sono sostanzialmente gli stessi che
v'erano nel 1946? Incredibile, eh?… i tassi del 2008 sono gli stessi
che c'erano in Italia nei primi anni dell'ultimo dopoguerra. Senza
la guerra, però. Ovvio. E per fortuna. Ma c'è di più: tra il 2002 ed
il 2006 i tassi in Italia sono stati i più bassi degli ultimi
sessant'anni! Roba da stracciarsi le vesti per la disperazione,
vero?… Eppure continua la solita litania: “Ma che cattiva la BCE: ma
perché non taglia i tassi?”… Si lamentano un po' tutti: le imprese,
i gestori (perché se la BCE dovesse tagliare i tassi, a loro
giudizio, salirebbero sia i mercati azionari sia quelli
obbligazionari e, forse, con quelli anche i loro stipendi), nonché
tutti coloro che hanno un mutuo da onorare. Soprattutto questi
ultimi. C'è da chiedersi però come facessero i nostri padri, negli
anni 70, a convivere con tassi al 10% circa. Un dramma?… Mica tanto,
sapete?… Quelli che si sono sposati a cavallo dei primi anni '80 non
si stracciavano le vesti neanche con un mutuo al 15 e più per cento
(nel 1981 i tassi erano al 19%!). Ed anche il sottoscritto, per un
po' di tempo, ha dovuto pagar rate al 12%: s'era, allora, nei primi
anni '90. Poi i tassi hanno preso a scendere: dal 15 al 2% in soli
sette anni (dal 1992 al 1999). E, così, ci siamo abituati. Abituati
a convivere con tassi sempre più bassi. Una buon'abitudine, certo,
ma che potrebbe diventar pessima per chi ne facesse un fin troppo
semplice “abito” mentale: “All'orizzonte, infatti, si presenta un
problema non previsto dai più: i tassi d'interesse in Europa sono
destinati a salire, e non poco, nel corso dei prossimi anni.”
Ci torneremo, però, sopra la prossima volta, quando andremo a vedere
anche quel che potrebbe accadere ai mercati azionari ed in
particolare al nostro: al 7 giugno (massimo di Siderografo!),
infatti, manca ormai pochissimo e non vogliamo certo arrivarci,
proprio noi, impreparati.
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Fonte
- Trend on line |
Le
minute del FOMC
gelano W.St. Addio a nuovi tagli dei tassi
Mercoledì 21 Maggio
2008, 22:11 - di
Alberto Susic ______________________________________________
La Federal Reserve
chiude la porta a nuovi tagli dei tassi di interesse, che
sono ora più di prima improbabili non solo per la prossima
riunione in calendario a giugno, ma anche per gli incontri
dei mesi successivi. La crescita economica negli Stati Uniti
appare ancora più debole di quanto stimato in precedenza, e
al contempo diventano sempre più preoccupanti i timori sul
fronte dell'inflazione, destinata ad aumentare nei mesi a
venire. E' questo in estrema sintesi il messaggio che emerge
dalle minutes del FOMC diffuse questa sera, ossia dei
verbali riferiti all'ultimo meeting della Banca Centrale
americana, svoltosi il 29 e il 30 aprile scorsi. In quella
occasione la Fed aveva deciso di ridurre il costo del denaro
dello 0,25%, portando i Fed Funds al 2%, intervento al
contempo sul tasso ufficiale di sconto, abbassato in ugual
misura al 2,25%. Quest'ultima operazione era stata approvata
all'unanimità, mentre la prima non aveva trovato d'accordo
tutti i membri del Board, visto che Richard Fisher e Charles
Plosser non avevano espresso voto favorevole, schierandosi
per un nulla di fatto.
Già in occasione dell'ultima riunione era stata confermata
la debolezza dell'attività economica, accompagnate da non
poche preoccupazioni sul versante dell'inflazione. Proprio
quest'ultimo aspetto aveva portato a preannunciare circa 20
giorni fa una pausa nella politica monetaria espansiva
portata avanti da settembre scorso fino al mese passato.
Le indicazioni arrivate questa sera dalla Banca Centrale
americana appaiono non certo più incoraggianti, dal momento
che la Fed prevede ora una crescita più debole di questa
stimata in precedenza e precisamente a gennaio di
quest'anno.
Dalla lettura dei verbali dell'ultima riunione si apprende
infatti che il Board guidato da Bernanke ha tagliato di
quasi un punto le sue previsioni sulla crescita per l'anno
in corso. Mentre la stima precedente indicava un incremento
del Prodotto Interno Lordo compreso tra l'1,3% e il 2%, ora
i numeri parlano di un incremento decisamente più contenuto,
fra lo 0,3% e l'1,2%.
Per il 2009 è attesa invece una ripresa della congiuntura,
con un tasso di crescita stimato tra il 2% e il 2,8%, ma per
ora l'espansione è più debole di quella avuta nel 2007, per
via della crisi immobiliare, del credit crunch e degli
elevati costi dell'energia.
Cattive notizie anche per il mondo del lavoro, dal momento
che è atteso un aumento del tasso di disoccupazione nei
prossimi mesi, tanto che la Fed prevede ora forchetta
compresa tra il 5,5% e il 5,7%, rispetto all'intervallo
indicato a gennaio tra il 5,2% e il 5,3%.
Non sono certo migliori le indicazioni per l'inflazione, che
rappresenta ora la principale preoccupazione della Banca
Centrale americana. Le previsioni per quest'anno parlano di
una crescita tra il 3,1% e il 3,4%, con una revisione al
rialzo di un punto in confronto all'indicazione di gennaio
racchiusa tra il 2,1% e il 2,4%. Meno significativo
l'innalzamento delle stime per l'inflazione “core”, che
dovrebbe salire tra il 2,2% e il 2,4% quest'anno, con un
aumento dello 0,2% rispetto alla previsione formulata a
gennaio scorso.
Nei verbali si legge che la forte crescita dei prezzi del
petrolio e di altre commodities da inizio anno, e' stato il
principale fattore che ha portato alla forte revisione al
rialzo delle proiezioni sull'inflazione nel breve termine.
Proprio le rinnovate tensioni che stanno interessando la
dinamica dei prezzi al consumo hanno portato la Fed a
rilevare un maggiore bilanciamento tra i rischi di una
crescita più debole e quelli di un'inflazione più elevata.
Proprio per questo motivo, la decisione di tagliare ancora
una volta i tassi di interesse a fine aprile è stata per un
soffio, tanto che diversi membri già in occasione
dell'ultimo meeting avevano ritenuto appropriato fermare sin
dalla riunione di aprile la politica monetaria espansiva
portata avanti da settembre scorso.
Indicazioni che nel complesso hanno avuto un effetto molto
negativo sul mercato azionario, provocando un'ondata di
vendite nelle ultime due ore di contrattazioni. I listini
sono stati affossati soprattutto dal venir meno della
prospettiva di nuovi tagli dei tassi di interesse. I future
sui Fed Funds scontano al 90% un nulla di fatto per il
meeting in programma nella seconda metà di giugno e la
scommessa è ancora più drastica per i mesi successivi, per i
quali al 94% si prevede che non ci sarà alcun intervento al
ribasso per il costo del denaro.
Fonte
- Trend on Line
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L'economia
AMERICANA RESISTE PIUTTOSTO BENE
30 Maggio 2008 12:12
SIENA - di
Siena ______________________________________________
Negli Usa importanti i
dati sulla spesa delle famiglie di aprile, ossia il mese
prima l’inizio della distribuzione dei rimborsi fiscali.
Tassi di interesse: in area Euro è continuato il rialzo dei
tassi di mercato. Il tasso a dieci anni ha superato la
resistenza del 4,45%, sulla scia dell’aumento delle
aspettative di inflazione. La variazione dell’aggregato
monetario M3 ha registrato ad aprile un incremento superiore
alle attese. Negative le vendite al dettaglio tedesche di
aprile per il secondo mese consecutivo.
Negli Usa tassi di mercato ancora in rialzo sulla scia del
miglioramento della percezione dello stato di salute
dell’economia dopo la revisione al rialzo del Pil del primo
trimestre da un lato e ancora i timori di inflazione
dall’altro, malgrado nel frattempo il petrolio abbia
registrato un forte calo.
Il tasso decennale ieri si è spinto anche sopra la soglia
del 4,10% per poi ritornare questa mattina in prossimità del
4,05%. L’apertura di un’indagine da parte della commissione
Usa deputata alla sorveglianza sui mercati delle materie
prime, potrebbe comportare un ridimensionamento dei corsi
anche nel comparto energetico. Se tale ipotesi si rivelerà
corretta, i tassi attuali sui titoli governativi potrebbero
risultare eccessivamente elevati.
Di conseguenza ribadiamo l’ipotesi che anche nel 2008 l’anno
potrebbe essere ripartito in due fasi sul fronte tassi, con
la prima parte in rialzo e la seconda invece in calo. In
questo contesto gli operatori per ora appaiono di fondo
ottimisti, come segnalato tra l’altro anche dal fatto che
l’indice Embi+ spread relativo ai titoli governativi dei
paesi emergenti ha raggiunto il livello minimo del 2008.
Valute: Dollaro in marcato recupero. Da un lato i timori
inflattivi supportano la tesi di un’inversione di politica
monetaria da parte della Fed e dall’altra parte agiscono
contro l’Euro i dati non positivi sulla crescita che
arrivano da alcuni paesi dell’area, come ad esempio le
vendite al dettaglio tedesche. Possibile pertanto che il
movimento di apprezzamento del biglietto verde si spinga
fino all’area 1,54. Yen contrastato nonostante il rialzo del
listino azionario giapponese.
Verso Dollaro il cross ha superato soglia 105 e sembra
avviarsi verso la resistenza 105,70. Qualora tale livello
venisse superato, il movimento rialzista potrebbe estendersi
fino a 108. Lo Yen si è invece apprezzato vs Euro, complice
l’analogo movimento dell’Euro/Dollaro. La resistenza
continua a collocarsi a 164,30. Nella notte sono usciti
numerosi dati macro in Giappone che hanno evidenziato un
deterioramento dell’economia con i consumi in forte calo, un
aumento della disoccupazione ed una contrazione mensile
della produzione industriale. L’inflazione si è
ridimensionata sebbene rimanga in prossimità dei massimi da
10 anni.
Materie Prime: forti vendite sulle materie prime a causa
dell’apprezzamento del Dollaro. Il greggio Wti ha chiuso in
forte ribasso nonostante un temporaneo rialzo dopo il
deludente dato sulle scorte Usa, calate in modo inatteso di
8,8Mln barili la scorsa settimana. Il fatto che il greggio
però sia sceso nonostante questo dato marcatamente
rialzista, significa che probabilmente i recenti rialzi sono
giudicati eccessivi ed esiste la possibilità di un ritorno
presso area 120$ nel breve periodo.
A pesare sulle quotazioni ha contribuito anche la notizia
che la commissione Usa Cftc ha raggiunto un accordo per un
maggiore monitoraggio dei mercati dell’energia in
collaborazione con la FSA britannica e l’ICE. Inoltre
saranno richieste maggiori informazioni circa l’attività
degli index fund ed è in atto un’indagine su una possibile
manipolazione del mercato. Diventa chiaro che le autorità
Usa sembrano intenzionate a combattere il caro-greggio con
modifiche normative all’attività di trading nei prossimi
mesi.
Forti ribassi anche per i preziosi con l’argento che ha
perso oltre il 5% e l’oro il 2,6%. Penalizzati anche i
metalli industriali con le scorte che continuano a salire al
Lme soprattutto per lo zinco (-6,5%). L’unica materia prima
all’interno del Gsci in rialzo è stato il cacao (+4,1%) su
preoccupazioni di un’infestazione tra le piantagioni in
Costa D’Avorio che potrebbe danneggiare la produzione.
Fonte
- MPS Capital Services
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