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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Macro USA e €uro & politica

La svolta dell'America la crisi dell'Europa

Crisi creditizia & fattore psicologico

Il "fattore psyco" della crisi

Macro USA

USA: lavoro, le condizioni restano critiche

Valute - U$D/€uro

Perché il Dollaro è destinato a rivalutarsi contro l'€uro

Crisi creditizia & CDO

Ma non cambierà nulla se non si spara ad alzo zero ..

Opinioni - Post crisi creditizia

Guerra o Tsunami? La finanza non sarà mai più ...

Crisi creditizia - Impatto Est Europa su Area €uro

Europa dell'EST, pessimo affare o tempesta perfetta?

Crisi creditizia - G20 e rapporti USA/Cina

Non uccidere il proprio debitore

   
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+++   ANSA   +++   01 Marzo 2009 14:17 BRUXELLES - Crisi: vertice Ue, oggi i 27 al capezzale dell'economia   +++   02 Marzo 2009 13:38 NEW YORK - Aig, da Tesoro Usa nuovi aiuti fino a 30 mld dlr   +++   02 Marzo 2009 22:10 NEW YORK - WALL STREET IN PROFONDO ROSSO CON FINANZIARI   +++   ANSA   +++
 
  Lunedì 02 Marzo 2009   Martedì 03 Marzo 2009   Venerdì 06 Marzo 2009  
       
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  La svolta dell'America la crisi dell'Europa

01 Marzo 2009 17:59 ROMA - di Eugenio Scalfari

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Sappiamo, ce lo dicono tutti i dati consuntivi e preventivi, che la crisi economica globale è entrata nella fase culminante, articolata in vari livelli e in vari scacchieri geopolitici. I vari livelli riguardano l´insolvenza del sistema bancario internazionale, la caduta mondiale della domanda di beni e servizi (materie prime, beni durevoli, generi di consumo), la restrizione dell´offerta e quindi degli investimenti come ovvia conseguenza della crisi della domanda, la deflazione, l´ingolfo del credito. Si tratta d´una catena ogni anello della quale è intrecciato agli altri e con essi interagisce generando una atmosfera di sfiducia e di aspettative negative che si scaricano sulle Borse e sul drammatico ribasso dei valori quotati. I diversi scacchieri geopolitici presentano aspetti specifici nell´ambito di un quadro generale a fosche tinte.
L´epicentro è ancora (e lo sarà per molto) in Usa e coinvolge le banche, le imprese, la domanda, il reddito, l´occupazione. Il nuovo Presidente ha imboccato decisamente la strada del "deficit spending" in dosi mai verificatesi prima nella storia americana se non nei quattro anni di guerra tra il 1941 e il 1945. L´entità della manovra di bilancio dell´anno in corso ammonta alla cifra da fantascienza di 4 trilioni di dollari, che si ripeterà con una lieve diminuzione nel 2010. Il bilancio federale, già in disavanzo di mille miliardi, arriverà quest´anno a 1750.
Si tratta di cifre fantastiche ma appena sufficienti a puntellare l´industria, il sistema bancario e la domanda dei consumatori. Purtroppo i primi effetti concreti si verificheranno nel secondo trimestre dell´anno, un tempo breve in stagioni di normalità ma drammaticamente lungo nel colmo della "tempesta perfetta" che stiamo attraversando.
Per colmare questa inevitabile sfasatura temporale Obama ha alzato l´asticella degli obiettivi e, oltre a quelli macroeconomici, ha inserito riforme strutturali e una redistribuzione sociale del reddito senza precedenti. E´ il caso di dire che si è bruciato gli ormeggi alle spalle affrontando lo scontro con i ceti più ricchi, minoritari nel numero ma maggioritari nel possesso e nel controllo della ricchezza e del potere sociale. Neppure Roosevelt era arrivato a tanto e non parliamo di Kennedy e neppure di Clinton.
Questa cui stiamo assistendo è la prima vera svolta a sinistra degli Stati Uniti d´America; l´intera struttura economica, sociale e culturale del paese è infatti sottoposta ad una tensione senza precedenti, i cui effetti non riguardano soltanto i cittadini americani ma coinvolgono inevitabilmente l´Europa e l´Occidente nella sua più larga accezione. «Quando la casa minaccia di crollare ha detto Obama parlando al Congresso non ci si può limitare a riverniciare di bianco le pareti ma bisogna ricostruirla dalle fondamenta». Noi siamo tutti partecipi di questa rifondazione che si impone anche all´Europa.
Separare il nostro vecchio continente dall´epicentro della "tempesta" americana è pura illusione. Se cadessero in bancarotta le grandi banche americane, se chiudessero i battenti le grandi compagnie automobilistiche, se l´insolvenza del sistema Usa uscisse di controllo, l´economia europea sarebbe risucchiata nello stesso turbine. Su questo punto è pericoloso illudersi. Chi pensa che l´Europa stia meglio dell´America, chi farnetica che l´Italia sia più solida degli altri Paesi dell´Unione, non infonde fiducia, al contrario alimenta l´irresponsabilità e l´incertezza. Non capovolge le aspettative ma anzi le peggiora.

L´Europa ha scoperto da pochi giorni un bubbone di dimensioni devastanti insediato al proprio interno: l´insolvenza di tutti i Paesi dell´Est del continente, alcuni già dentro Eurolandia, altri ai confini. Si tratta dei tre Paesi baltici, della Polonia, dell´Ungheria, della Romania, della Bulgaria, della Repubblica Ceca, dell´Ucraina, dei Paesi balcanici: Serbia, Croazia, Albania, Macedonia, ai quali vanno aggiunti la Grecia e l´Irlanda.
Questi paesi sono stati ricostruiti e rimodellati sull´economia di mercato grazie a massicci investimenti privati provenienti dall´Europa occidentale e da finanziamenti altrettanto massicci di banche occidentali. L´Austria ha impegnato in questa direzione gran parte delle sue risorse finanziarie e così la Svezia. Di fatto l´economia di questi due paesi è ormai legata a filo doppio con il destino dell´Est europeo, ma un coinvolgimento importante riguarda anche il sistema bancario tedesco.
Bastano questi cenni per capire che la crisi dell´Est, se non arginata entro le prossime settimane, può avere effetti devastanti sull´intera Unione europea, già fortemente scossa in Spagna, in Irlanda e in Gran Bretagna. E´ di ieri la notizia che tre istituzioni finanziarie internazionali hanno stanziato complessivamente 24 miliardi di euro destinati a soccorrere i paesi dell´Est.
C´è da augurarsi che si tratti di risorse immediatamente disponibili perché il cosiddetto effetto annuncio è ormai privo di valore. Ma si tratta comunque d´una cifra assolutamente insufficiente, visto che le dimensioni globali della crisi dell´Est si calcola nell´ordine di 200 miliardi di euro. L´operazione annunciata ieri ne coprirebbe un ottavo, cioè il 12 per cento. Ci vuole dunque uno sforzo ben più consistente, che è inutile chiedere ai singoli paesi. Deve intervenire l´Unione europea e al suo fianco il Fondo monetario internazionale.
I "meeting" tra i capi di governo dell´Unione hanno preso ormai un ritmo settimanale imposto dalle circostanze, ma sarebbe opportuno che da queste consultazioni uscissero decisioni concrete. Finora abbiamo avuto soltanto reiterate quanto inutili dichiarazioni di principio e progetti su nuove regole mondiali relegate in un futuro assai lontano. Parole inutili, progetti privi di attualità. Speriamo che l´incontro di oggi sia all´altezza dei pericoli che incombono.
Queste assai labili speranze hanno un solo modo per diventare concrete: un rifinanziamento massiccio e straordinario dell´Unione europea da parte dei paesi membri. Per avere senso, non meno di 100 miliardi di euro. Ma gran parte dei paesi membri non hanno nemmeno gli occhi per piangere. Quelli che hanno ancora qualche ragionevole capacità sono soltanto due: la Germania e la Francia. Se vorranno compiere questo sforzo assumeranno una nuova responsabilità e potranno reclamare un potere aggiuntivo all´interno dell´Unione, al di là dei trattati e dei regolamenti. Bisogna esser consapevoli di questa situazione, altrimenti continueremo a perderci in una fitta nebbia di chiacchiere e la «tempesta perfetta» europea si aggiungerà a quella americana con effetti di irrimediabile devastazione.

Poche osservazioni sulla situazione italiana, che registra un progressivo peggioramento a fronte del quale le reazioni del governo sono pressoché inesistenti.
Per fronteggiare alcuni segnali di rischio incombenti e una storica fragilità patrimoniale del sistema bancario italiano, il governo ha mobilitato 12 miliardi, nove dei quali già prenotati da Unicredit, Banca Intesa, Monte Paschi e Ubi. Sono i famosi Tremonti-bond, prestiti a scadenza pluriennale assistiti da obbligazioni con un tasso medio dell´8 per cento a favore del Tesoro che le sottoscriverà. Con una procedura contabile che è arduo spiegare per la sua macchinosità, questi crediti del Tesoro non compariranno nel bilancio dello Stato. Le risorse necessarie saranno chieste al mercato con altrettante emissioni di Bot. Ci sarà uno scarto a favore del Tesoro tra il tasso riconosciuto ai sottoscrittori di Bot e quello pagato dalle banche emittenti dei Tremonti-bond. Insomma il Tesoro ci guadagnerà.
Si dovrebbe dire dunque bravo Tremonti, che in tempi di magra riesce a cavar sugo perfino dalle rape, se non fosse che l´intera operazione (che i media di bandiera hanno esaltato come un miracoloso toccasana) è completamente inutile. Le banche dovrebbero rafforzare il proprio capitale e rilanciare il credito alle piccole-medie imprese. Con i Tremonti-bond aumentano i propri debiti e pagano molto cara questa raccolta. Per di più essa ha una destinazione obbligata: deve esser destinata alle Pim.
Poiché il costo è dell´8 per cento, quale sarà il tasso chiesto alle Pim? Se il Tesoro vuole guadagnare tra il 3 e il 4 per cento in questa operazione, è probabile che le banche spuntino un margine analogo a carico della clientela, cioè impongano un tasso del 12 per cento più gli oneri fiscali. Con questa operazione si sostiene di aver rafforzato il sistema bancario italiano nel quadro della peggiore crisi europea degli ultimi settant´anni? Ci prendete tutti per imbecilli?
Nel frattempo l´Enel, che ha fatto troppi debiti, è costretto a lanciare un aumento di capitale che il Tesoro non sottoscriverà per la quota che ancora possiede. Il mercato ha reagito negativamente. Non era proprio l´Enel il titolo che Berlusconi ha più volte consigliato di comprare, insieme all´Eni, che anch´esso non naviga con la bandiera al vento? Il nostro "premier" non dovrebbe più pronunciar parola perché ogni volta che parla fa danni gravi alla credibilità sua e del paese che rappresenta.
Invece la sua loquela esonda e infatti la nostra credibilità all´estero è sotto zero. Basta parlare con uno qualunque degli ambasciatori stranieri accreditati a Roma per averne conferma.
Speriamo che la crisi monetaria e bancaria dell´Est europeo sia arginata. Se così non fosse per far fronte alle sue ripercussioni in Italia ci vorrà ben altro che i Tremonti-bond. In ogni caso noi non siamo in grado di partecipare all´inevitabile rifinanziamento del sistema europeo. Perciò il nostro peso, già assai modesto nell´Unione, diminuirà ancora.
Per fortuna la bandiera nazionale, oltreché dall´Alitalia di Colaninno, continuerà a sventolare per merito del cuoco Michele e del chitarrista Apicella, intrattenitori apprezzati anche dai capi di governo stranieri quando vengono a Roma per vedere il Papa e il Presidente della Repubblica e fare poi sosta un paio d´ore a Palazzo Grazioli per gustare qualche manicaretto di Michele e ascoltare qualche canzone del chitarrista.
La nostra vocazione è la pizza e il mandolino. Ed un attore comico vestito da dittatore. Questo è il copione della commedia all´italiana e questo infatti va in scena anche in tempi di tempesta.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

  Il "fattore psyco" della crisi

01 Marzo 2009 20:38 MILANO - di Daniele Manca

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Tra i banchieri d'affari era stata sempre molto popolare una barzelletta. Raccontava di una merchant bank che dovendo fare un'assunzione aveva incaricato il suo più anziano banchiere di una serie di colloqui. Colloqui che si dimostravano sempre molto brevi e basati su una sola domanda: quanto fa due più due? I candidati si succedevano uno dopo l'altro. Nessuna sembrava soddisfare l'anziano banker. Finché una mattina alla solita domanda un ragazzo ebbe l'ardire invece di rispondere con un immediato: quattro, con un «dipende». Sorridendo il banchiere chiese come dipende? Due più due fa sempre quattro. No — rispose il giovane uomo — dipende se sono venditore o compratore, nel caso può fare cinque o tre.
Eppure una verità così semplice è sembrata svanire in questi lunghi anni prima di euforia irrazionale e oggi di crisi la cui fine non si intravede: persino un'operazione semplice, numeri così rotondi e pieni possono avere significati diversi secondo il contesto. E solo oggi dopo l'abbuffata di modelli matematici che sembravano includere ogni rischio, di mercati efficienti e razionali in grado di misurare con i loro prezzi qualsiasi merce anche la più incomprensibile, fosse essa un barile di petrolio come un mutuo subprime, ebbene solo oggi improvvisamente ci s'inizia a chiedere se aver sottovalutato gli aspetti psicologi dell'economia non ci abbia condotti qui dove siamo.
A dire il vero una corrente di pensiero dell'economia, quella comportamentale, aveva continuato a studiare e a indicare l'importanza di tutto ciò che non è razionale anche nei comportamenti economici. Ma sembrava predicare in un campo ben poco fertile. Erano gli anni del boom; dove chiedersi come poteva accadere che di fronte a una casa del valore di 100 alcune banche dessero il 120% di prestito, era considerato eccentrico. La storia nella quale si era immersi, la fiducia della quale si era dotati, sembrava potere tutto.
Da qualche mese, improvvisamente, con una crisi che incombe senza sosta sul mondo occidentale e non solo, ecco che quegli studi sono sembrati prendersi una sorta di rivincita sul comportamento razionale dell'agente economico. Una riprova è l'attesa che ha circondato l'uscita del libro di George A. Akerlof e Robert J. Shiller, Animal Spirits. Il sottotitolo è ancora più esplicativo della citazione da John Maynard Keynes che ha dato il titolo al volume: How Human Psychology Drives The Economy, and Why It Matters for Global Capitalism, come la psicologia umana guida l'economia e perché conta nel capitalismo globale.
Si tratta di due tra i più noti studiosi del settore, Akerlof, docente a Berkeley in California nel 2001 ha vinto il Nobel per l'Economia, mentre Shiller oltre ad aver dato il nome all'indice dei prezzi delle case negli Stati Uniti è anche quello che nel 2000 spiegò in dettaglio il rischio dell'«euforia irrazionale» che aveva preso i mercati nel corso della penultima bolla finanziaria, quella di Internet. E proprio Euforia irrazionale si intitola, tra l'altro, il suo libro del 2000 tradotto e appena arrivato in libreria in Italia per i tipi del Mulino (pagine 344, 12). «Certo, nel passaggio da Adam Smith a John Stuart Mills ci siamo persi tutta la parte irrazionale dell'uomo a favore dell'agente economico, l'homo economicus che ha occupato la teoria neoclassica», spiega Riccardo Viale, visiting fellow alla Columbia University di New York e direttore della rivista Mind & Society. Mentre — spiega ancora —, sono proprio gli Animal Spirits di Keynes a illustrare e a rendere più evidenti le instabilità del capitalismo.
Così come alla stessa maniera l'invisibile mano del mercato era il punto centrale della teoria classica economica. Con un problema, che negli anni Settanta nella teoria di Keynes, o meglio nella sua rilettura e applicazione, gli Animal Spirits hanno pian piano iniziato a perdere di importanza fino ad avere rilevanza quasi nulla in economia. E così i pensieri, le idee, i sentimenti delle persone hanno perso peso. Aspetti degli Animal Spirits (così viene sottolineato nel libro di Akerlof e Shiller) come la fiducia, la correttezza, l'illusione del guadagno, la corruzione e la malafede e soprattutto le storie che rendono gli uomini tali, hanno finito per essere sovrastati da comportamenti totalmente razionali o presunti tali. Tanto che la crescita abnorme di oltre il 60% dei prezzi delle case tra il 2000 e il 2006 in America è arrivata a essere completamente ignorata.
Come pure il fatto che le banche avessero potuto non inserire nei loro bilanci i mutui super sofisticati, i subprime, sembrava anch'essa questione non importante. Il mantra era che il mercato dovesse essere lasciato libero di agire. Un mantra che aveva iniziato a esplicarsi potentemente dagli anni Settanta, dall'elezione di Margareth Thatcher fino a quella di Ronald Reagan per poi diffondersi in tutto il mondo. Con il risultato che oggi, di fronte alla pesantissima crisi, si assiste a un ingresso potente dei governi in territori dai quali erano stati emarginati. Correndo per questo il rischio opposto: che la creatività insita nei comportamenti irrazionali venga soffocata e il mercato ripudiato a favore dell'onnipotenza dei governi.
 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

 

EUROPA DELL'EST: I PAESI A RISCHIO E LE AZIENDE PIU' ESPOSTE

01 Marzo 2009 20:46 MILANO - di Fabio Pavesi
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Rischia di essere una nuova tempesta, che si va a sommare al quadro già di per sé cupo dell'economia e della finanza mondiali. Lo smottamento dei Paesi dell'Est Europa, al centro del vertice Ue di domenica, è una situazione assai grave. Basta scorrere qualche indicatore macro-economico di quell'area per renderesene conto.
Secondo un recente studio di Credit Suisse nella classifica dei Paesi a più alta vulnerabilità ben 9 Stati sui primi 14 appartengono proprio a quella fetta di mondo. Bulgaria, Lituania ed Estonia dovrebbero mostrare quest'anno un deficit corrente assai pronunciato. Attestato al 18% del Pil per la Bulgaria; al 15% per la Lituania e al 5% per l'Estonia. Anche Romania e Lettonia vedranno i loro conti dissestati con una stima per il 2009 di un buco delle partite correnti equivalente all'11% per la Romania e del 6% per il paese baltico.
Ungheria, Polonia, Ucraina dovrebbero attestarsi su un deficit del 4-5%. Ma non è solo la condizione dei conti pubblici a preoccupare. Queste economie risentono profondamente del contributo estero alla crescita del prodotto interno. Basti pensare che in media l'area deve agli investimenti oltre frontiera il 50% della ricchezza prodotta con i picchi dell'Ungheria dove il contributo derivante dall'estero conta per il 99% del Pil. E la caduta impressionante delle valute locali ha, secondo gli analisti di Credit Suisse, ulteriormente accresciuto questa dipendenza che sfora ormai quota 134% per l'Ungheria, arriva al 69% per la Romania e al 77% per la Polonia. Escludendo la Russia, l'ammontare delle risorse estere per l'area dell'Europa dell'Est tocca la cifra dei mille miliardi di dollari, di cui 200 miliardi in scadenza nel corso del 2009.
Non solo. La tenuta del Pil è in forte contrazione. Per l'area Emea le stime indicano per il 2009 una riduzione della crescita dall'1,6% precedentemente stimato a solo lo 0,4% con Ungheria, Turchia e Ucraina che soffriranno assai più della media. Se il quadro macro-economico appare in violento deterioramento è ovvio che si valutino le conseguenze per gli investitori. Gli analisti di Credit Suisse giudicano il quadro delle Borse per l'immediato futuro particolarmente preoccupante e consigliano di stare lontani da quelle società che hanno un parte importante del loro giro d'affari realizzato in quei Paesi (vedi tabella sotto).
Nell'elenco di chi rischia di più, per il forte peso nell'area, figura il Gotha della finanza e dell'industria dell'Europa Occidentale. Da Erste Group la capofila con il 65% dei suoi ricavi che vengono dall'Est alle Telecom con il drappello di Telekom Austria; Telenor; TeliaSonera fino a Deutsche e France Telecom rispettivamente con il 25% dei ricavi e il 17%. Tra le banche spicca Allied Irish (35% dei ricavi fatti nell'Est Europa) l'italiana Unicredit con il 32% del giro d'affari che proviene dall'area seguita da Dexia (14%); Seb e IntesaSanpaolo (12%). Nutrita la pattuglia dei titoli automobilistici con Renault al primo posto: fattura il 20% dei suoi ricavi nell'Est del Continente. Volkswagen, Peugeot e Fiat seguono con cifre intorno al 10%.
Nella tabella sono indicate e la percentuale di ricavi realizzati nell'Est Europa sul totale dei ricavi
Erste Group Bk 65%
Telekom Austria 39
Telenor Asa 39
Teliasonera 39
Allied Irish Bank 35
Unicredit 32
Deutsche Telekom 25
Renault 20
France Telecom 17
Henkel 15
Groupe Danone 15
Dexia 14
Seb 13
Tesco 13
Intesa Sanpaolo 12
Baiersdorf 12
Volkswagen 11
Sandvik 10
Peugeot 9
Fiat 9
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

  USA: lavoro, le condizioni restano critiche

06 Marzo 2009 16:42 NEW YORK - di APCOM

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Nessuna prospettiva di recupero prima della fine dell'anno. E cio' nella migliore delle ipotesi. Continuano i licenziamenti. Economia in un circolo vizioso, e' una spirale che si avvita al ribasso.
Il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti e’ balzato all’8,1% nel mese di febbraio, sui livelli piu’ alti dal 1983, con il mercato del lavoro che ha perso 651 mila posti. Entrambe le cifre sono peggiori delle attese degli analisti e il rapporto del Dipartimento del Lavoro mostra che gli americani continuano ad essere travolti da un’ondata di licenziamenti. La perdita netta registrata in febbraio, infatti, giunge dopo una dato che e’ stato persino peggiore nei due mesi precedenti, quando l’economia Usa ha perso 681 mila posti a dicembre e 655 mila a gennaio.
Con la recessione che sta compromettendo vendite e profitti, le aziende stanno apportando tagli al personale a un ritmo preoccupante, cercando altri sistemi per abbassare i costi, come ad esempio riducendo le ore lavorative, congelando gli stipendi o abbassando l’ammontare dei soldi in busta paga. Anche gli altri paesi hanno i loro problemi economici e questo si riflette sulle spese dei clienti, sia statunitensi che all’estero, sempre meno spinti a mettere mano al portafogli.
Dall’inizio della recessione, a dicembre 2007, l’economia statunitense ha perso l’impressionante cifra di 4,4 milioni di posti di lavoro, piu’ della meta’ dei quali negli ultimi quattro mesi. I datori di lavoro sono sempre piu’ restii ad assumere, il tasso di disoccupazione e’ pertanto salito ancora, all’8,1% dal 7,6% di gennaio. Si tratta del livello piu’ alto da dicembre 1983, quando si attesto’ all’8,3%.
Il numero di disoccupati e’ cosi’ salito a 12,5 milioni. Il numero di persone costrette a lavorare part time per "motivi di tipo economico" e’ cresciuto di 787 mila unita’ a 8,6 milioni. Si tratta di persone che vorrebbero lavorare full time e che invece si sono viste ridurre le ore lavorative oppure che non sono riuscite a trovare un lavoro a tempo pieno. Nel frattempo a febbraio la settimana lavorativa si e’ attestata in media a 33,3 ore, eguagliando il minimo record stabilito a dicembre.
La crisi del mercato del lavoro riguarda quasi tutti i settori. Le societa’ di costruzioni hanno tagliato 104 mila posti. Le fabbriche hanno lasciato a casa 168 mila persone. Le societa’ di vendite al dettaglio hanno ridotto il personale di quasi 40 mila unita’. L’industria dei servizi aziendali e professionali ha perso 180 mila posti, di cui 78 mila nelle sole agenzie di lavoro interinale. Gli istituti finanziari hanno perso 44 mila dipendenti. Il settore del turismo e dell’intrattenimento ha visto una perdita di 33 mila posti.
Le uniche aree risparmiate sono state quelle dei servizi all’istruzione e alla salute, come pure il settore governativo, i cui tassi di occupazione sono aumentati il mese scorso.

La perdita di posti di lavoro, unita alla crisi immobiliare e alla perdita di benessere dei nuclei familiari, ha inevitabilmente costretto i consumatori a ridurre le spese, spingendo di conseguenza le aziende a ridurre la forza lavoro per risparmiare. E’ un ciclo vizioso nel quale tutti i problemi dell’economia si alimentano l’uno con l’atro, peggiorando la situazione, avvitando la spirale al ribasso.
Nuovi tagli sono stati annunciati anche questa settimana. General Dynamics ha riferito che ridurra’ il personale di 1.200 posti, in parte a causa del calo delle vendite di jet privati e aziendali, che hanno costretto l’azienda a tagliare la produzione. Riduzioni del personale sono state annunciate anche dalla societa’ di difesa Northrop Grumman e da Tyco Electronics, che produce strumenti elettronici, sistemi per la telecomunicazione subacquea e apparecchiature wireless.
Il paese e’ stretto nella morsa contemporanea della crisi immobiliare, della crisi del credito e finanziaria, la peggiore dalla Grande Depressione, negli anni trenta. E non sembra esserci alcuna via d’uscita, secondo gli economisti, che possa favorire un rapido recupero.
Nel tentativo di trascinare il paese fuori dalla recessione, il presidente Barack Obama ha lanciato un pacchetto di misure da $787 miliardi per rilanciare l’economia, che comprendera’ tagli fiscali e un incremento delle spese federali, un piano multimiliardario per salvare le travagliate banche del paese e uno sforzo economico da $75 miliardi per aiutare le famiglie a rispettare i pagamenti dei loro mutui e mantenere quindi la propria casa.
Anche nel piu’ ottimista dei casi, in cui gli esborsi economici porteranno gli effetti desiderati, la recessione finirebbe alla fine del 2009, con il tasso di disoccupazione che e’ visto in rialzo sino almento al 9% quest’anno. La Federal Reserve, infatti, ritiene che il tasso di disoccupazione rimarra’ su livelli elevati fino al 2011. Secondo gli economisti il mercato del lavoro potrebbe anche non tornare alla normalita’, ovvero ad un tasso di disoccupazione del 5%, prima del 2013.
Le aziende non torneranno ad assumere nuovo personale fino a che non saranno certe di un recupero dell’economia. Economia che ha subito una contrazione del 6,2% negli ultimi tre mesi del 2008 - il peggior risultato in un quarto di secolo - e che probabilmente continuera’ a deteriorarsi nei primi sei mesi dell’anno.
In un intervento tenuto davanti al Congresso, il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha detto che gli ultimi inidicatori economici indicano "pochi segnali di miglioramento", e che "le condizioni del mercato del lavoro potrebbero essere ulteriormente peggiorate nelle ultime settimane".
 

Fonte - APCOM

 

 

 

 

  Sabato 07 Marzo 2009   Mercoledì 11 Marzo 2009   Venerdì 13 Marzo 2009  
       
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  Perché il Dollaro è destinato a rivalutarsi contro l'€uro

09 Marzo 2009 22:40 MILANO - di Francesco Arcucci

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La stragrande maggioranza degli economisti prevede una netta flessione del dollaro statunitense nel prossimo futuro. L’abbassamento del cambio euro/dollaro a partire dall’estate 2008 dal livello di 1,60 a 1,30 sarebbe a loro avviso una reazione temporanea e fisiologica alla grande cavalcata della moneta europea da 0,83 a 1,60 avvenuta nell’arco di oltre sei anni e cioè dal 2002 alla metà del 2008.
Del resto la moneta americana ha un passato di moneta debole contro le maggiori valute del nostro Continente. All’inizio degli anni 1970 un dollaro valeva 4 marchi e una lunga scivolata, interrotta solo da poche e brevi riprese, l’ha portato a valere (fatte le debite proporzioni con l’euro) circa 1,30.
Inoltre, la generalità degli economisti sottolinea altri fattori di debolezza della moneta americana, come il grande deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, che non sembra congiunturale, ma addirittura strutturale, e la tendenza della Fed di mantenere i tassi di interesse al di sotto di quelli prevalenti in Europa. Milita, infine, a favore dell’indebolimento del dollaro il rischio che il medesimo perda lo status di moneta di riserva che comporta il suo uso da parte delle banche centrali di tutto il mondo nella denominazione dei loro crediti sull’estero.
Nonostante queste ragioni e l’autorevolezza di coloro che prevedono un ribasso, io sono convinto che il dollaro si rafforzerà e di molto e il motivo risiede soprattutto nella grandissima crisi economica che stiamo attraversando e che ha scompaginato le cose.

Oggi, a mio avviso, i Paesi principali si dividono in 3 gruppi. Il primo è formato da un Paese solo, gli Stati Uniti che, nonostante tutte le dichiarazioni in contrario rilanciate dai media, godono e continueranno a godere dello status di riserva della propria moneta e cioè del privilegio straordinario di pagare i debiti con la moneta che essi stessi creano.
Washington, cioè, quando si trova in una situazione di difficoltà, come adesso, può fare ricorso all’espansione della base monetaria ottenendo credito senza limite, sia all’interno del Paese, sia all’estero attraverso la funzione rivestita dal dollaro internazionalmente. Le banche centrali degli altri Paesi spesso protestano e minacciano di non acquistare più dollari, ma di fatto non sono in grado di trovare un’alternativa valida per denominare le proprie riserve di liquidità internazionale. Si parla di Bretton Woods 2, di rimonetizzazione dell’oro e qualcosa probabilmente si farà in questa direzione, ma il dollaro è il re delle riserve ed è destinato a rimanerlo chissà per quanto tempo.

Nel secondo gruppo vi sono altri Paesi che dispongono di una banca centrale a livello nazionale, come la Gran Bretagna, il Giappone, la Svezia, la Svizzera, etc. Anche il Tesoro di questi Paesi può ottenere credito senza limiti, ma solo a livello nazionale. La sterlina, lo yen, la corona svedese, il franco svizzero non sono monete di riserva e non consentono ai governi di quei Paesi lo stesso potere monetario degli USA.

E poi vi sono i Paesi dell’Eurozona. Il Tesoro di questi Paesi non può godere dell’appoggio della Bce. In una situazione normale questa impossibilità della Bce di esercitare la politica del debito pubblico potrebbe essere considerata come un fatto positivo per la stabilità dell’euro non soggetto agli eventuali capricci della politica.
Ma in condizioni eccezionali come quelle presenti le cose vanno diversamente. In altre parole: la Bce non è soggetta ne’ all’obbligo di finanziare il Tesoro (il cosiddetto "matrimonio"), ne’ dispone del diritto di finanziarlo solo se lo desidera (il cosiddetto "divorzio"). Per la Bce l’obbligo è tout court quello di non finanziare gli Stati. Sono tre gradi diversi di rapporto banca centrale/Tesoro ma, a mio avviso, l’unico coerente con la gravità della crisi economica è il primo. Per questo io sono prudentemente ottimista sugli Stati Uniti e pessimista sull’Europa e specialmente su Eurolandia, dove alcuni Paesi, purtroppo, sperimenteranno che, senza la ciambella di salvataggio della banca centrale, è ben difficile restare a galla. Con conseguente grande rialzo della moneta USA e grande ribasso per l’euro.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

  Ma non cambierà nulla se non si spara ad alzo zero sui titoli tossici

09 Marzo 2009 22:11 ROMA - di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

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Nessuno è ancora in grado di quantificare con certezza l'ammontare complessivo dei titoli tossici contenuti nel ventre del sistema bancario americano e mondiale. Anche lo stesso presidente della Federal Reserve fa capire che le cifre sarebbero di gran lunga superiori a quelle indicate dalla stampa. Pertanto, la manovra americana complessivamente superiore a 4.000 miliardi di dollari, come sostiene anche l'economista Nouriel Roubini della New York University, non riesce minimamente a incidere positivamente sulla salute delle banche e delle assicurazioni insolventi.
La ragione profonda non sta solo nei loro bilanci dissestati, ma nelle voragini gigantesche dei derivati OTC (Over The Counter), i titoli tossici che sono tenuti fuori bilancio.

Soltanto le prime tre banche americane, JP Morgan Chase, Citibank e Bank of America, vantano, secondo l'istituto statale del Comptroller of the Currency, 162.000 miliardi di dollari in derivati OTC, pari a 11 volte e mezzo il PIL USA. Molti economisti ritengono che non ci sia più tempo da perdere e che l'unica soluzione sia la nazionalizzazione delle banche. Il che la dice lunga per lo stato più liberista del mondo. E questa strada è stata imboccata anche dalla Gran Bretagna, dalla Germania e da altri in Europa.
Ma la vera questione è cosa si nazionalizza. Si nazionalizzano anche i derivati OTC? Sarebbe, a nostro modesto avviso, sicuramente la bancarotta dello stato americano. Ciò comporterebbe delle conseguenze tanto drammatiche anche a livello mondiale che non vorremmo nemmeno immaginare.
La soluzione più razionale che lentamente incomincia a profilarsi, e ci auguriamo sia oggetto prioritario del prossimo G20, dovrebbe essere il congelamento immediato e concordato dei derivati OTC e la sospensione di tali operazioni sui mercati internazionali, a partire dall'America, dall'Europa e dal Giappone. E' una decisione che spetta solo ai governi.

Quando gli stati sono chiamati ad intervenire non c'è più concorrenza che tenga ma solamente assunzione di responsabilità e volontà di raggiungere accordi condivisi. Questa dovrebbe essere la prima e immediata scelta propedeutica all'avvio della Nuova Bretton Woods. Le nuove regole, i nuovi controlli sui movimenti dei capitali, la lotta i paradisi fiscali e tutte le altre misure antispeculative sono scelte necessarie ma dopo aver incominciato a far pulizia dei titoli tossici.
Purtroppo, l'Europa dei 27 nel recente summit di Bruxelles non è riuscita ad adottare decisioni condivise, anche in relazione ai riverberi della crisi finanziaria sulle deboli strutture bancarie dei paesi dell'Est, come invece sarebbe stato necessario. Se queste crollano, altro che nuove cortine di ferro! E anche il sistema bancario europeo, a cominciare da quello tedesco, è in grande fibrillazione perché ha rincorso la City di Londra e Wall Street nella frenesia speculativa sui derivati, accumulando titoli tossici che stanno aggredendo l'intera economia reale, non solo il settore dell'auto.
Per l'Europa sarebbe una sfida e anche una spinta a una maggiore unità se decidesse la creazione di un Fondo economico di sviluppo comune, capace di emettere euro bond a bassi tassi di interesse e a lungo termine per finanziare infrastrutture moderne, nuove tecnologie e la crescita economica delle regioni europee economicamente ancora deboli come il nostro Mezzogiorno.
 

Fonte - La Stampa

 

 

 

 

 

CARTE DI CREDITO: ECCO LA NUOVA CRISI. PAROLA DI MEREDITH WHITNEY

10 Marzo 2009 16:03 NEW YORK - di REUTERS
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Parla la ex analista di Oppenheimer, conosciutissima negli ambienti di Wall Street. "Le linee di credito continueranno ad essere ridotte in tutto il sistema", ci troveremo a fare i conti con un nuovo "credit crunch".
Le carte di credito "rappresenteranno il prossimo credit crunch", a causa della contrazione delle linee di credito, che abbasserà la spesa dei consumatori colpendo l'economia Usa. Parola della nota analista finanziaria Meredith Whitney.
"Ci sono pochi dubbi sull'importanza della spesa dei consumatori per l'economia Usa e i suoi molteplici effetti sull'economia globale, ma quello che è sotto stimato è il ruolo della disponibilità delle carte di credito in quella spesa", ha scritto Whitney sul Wall Street Journal. Benché il credito si sia esteso "troppo liberamente negli ultimi 15 anni" e che la razionalizzazione dei prestiti sia inevitabile, ciò che occorre evitare è "togliere il credito alla gente che ha la capacità di pagare i propri conti", ha spiegato Whitney, AD di Meredith Whitney Advisory Group.
Whitney ha aggiunto che le linee di disponibilità si sono ridotte di circa 500 miliardi di dollari solo nel quarto trimestre del 2008; stima poi che oltre 2.000 miliardi di dollari di linee saranno tagliate nel 2009 e un'ulteriore riduzione di 2.700 miliardi si registrerà entro la fine del 2010.
"Inevitabilmente, le linee di credito continueranno ad essere ridotte in tutto il sistema, ma la velocità a cui sta già avvenendo e continuerà ad avvenire avrà conseguenze sulla fiducia dei consumatori, sulla spesa e su tutta l'economia", scrive ancora Whitney. Negli ultimi 20 anni, gli americani hanno usato le carte di credito come uno strumento di cash-flow, ha aggiunto, sottolineando che il 90% degli utenti le usa in modalità "revolving" (ossia che consentono di rimborsare a rate il saldo di fine mese) almeno una volta all'anno e oltre il 45% ogni mese.
 

Fonte - REUTERS

 

 

 

 

 

  Guerra o Tsunami? La finanza non sarà mai più la stessa

12 Marzo 2009 02:28 LUGANO - di Alfonso Tuor

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Il risultato del vertice del G20 che si terrà a Londra il prossimo 2 aprile sarà molto probabilmente solo quello di tenere aperta la strada di una soluzione multilaterale della crisi economica che ormai tocca in modo sempre più pesante ogni angolo del mondo.
Vi sarà un pressante invito degli americani ad ampliare le dimensioni dei piani nazionali di rilancio dell’economia, che si scontrerà con la resistenza tedesca, e verranno stabiliti alcuni principi che dovranno guidare la riforma dei meccanismi di funzionamento e di supervisione dei mercati finanziari.
Questi risultati, a prima vista molto deludenti, non sono assolutamente secondari. Per quali ragioni? Innanzitutto, tenere aperta la strada di una risposta comune deve essere considerato un successo, poiché la forza della recessione spinge ogni paese a pensare unicamente per sé. In secondo luogo, ogni riforma dei mercati finanziari non può essere disgiunta dal riconoscimento degli squilibri e dalla definizione di un nuovo assetto del sistema monetario internazionale.
In pratica, occorre una nuova Bretton Woods, per strutturare una riforma seria e duratura dei mercati finanziari. I tempi però non sono ancora maturi per affrontare un’opera di quest’ampiezza. La conferenza di Bretton Woods ebbe luogo nel 1944, quando non solo era scontato l’esito del secondo conflitto mondiale, ma era anche evidente che gli Stati Uniti sarebbero stati la maggiore potenza del mondo occidentale. Oggi, invece, sono assolutamente imprevedibili i tempi e gli sbocchi di questa crisi, che è già stata da molti paragonata ad una guerra per l’ampiezza delle devastazioni che provocherà nel tessuto economico e sociale del mondo. Inoltre, non sono ancora manifeste le conseguenze che produrrà sugli equilibri geopolitici.
Insomma il G20 cade nel mezzo della guerra scoppiata in tutti i Paesi per evitare che le follie della nuova ingegneria finanziaria portino ad una nuova Grande Depressione. Questa guerra è in pieno corso (è cominciata nell’estate del 2007 con lo scoppio della crisi dei mutui ipotecari subprime) e ora a un anno e mezzo di distanza nessuno sa ancora quali armi usare e soprattutto quale strategia seguire per vincerla. In questo marasma generale si cerca di guadagnar tempo, procedendo con la politica dei cerotti per turare le falle che continuano ad aprirsi a destra e a manca.
L’attenzione di governi e banche centrali non è quindi focalizzata sul mondo che uscirà da questa crisi (che sarà completamente diverso da quello che ci stiamo lasciando alle spalle), ma sull’urgenza di trovare soluzioni rapide ai problemi più pressanti sul tappeto.

In questo campo sono da mettere in risalto importanti progressi. Questi riguardano il nodo della crisi bancaria, la cui soluzione è una premessa indispensabile, per concentrarsi in seguito sul rilancio dell’economia. Il centro del dibattito è negli Stati Uniti, dove si sta formando un ampio consenso su due questioni cruciali. La prima è che la politica dei salvataggi degli istituti bancari attuata finora non produce alcun risultato, poiché non serve a frenare la vera e propria caduta dell’economia e non migliora lo stato di salute delle banche.
La seconda questione è la consapevolezza ormai diffusa che nelle pieghe dei bilanci delle banche vi è un vero e proprio buco nero che rischia di risucchiare tutte le risorse disponibili anche di un Paese grande e potente come gli Stati Uniti. Questo fondato timore ha già indotto sia l’amministrazione Obama sia alcuni importanti esponenti repubblicani ad escludere l’ipotesi di nazionalizzare le banche in crisi. E ciò sta frenando anche il decollo del piano salvabanche presentato dal ministro del Tesoro Tim Geithner. Non si tratta tuttavia di una situazione di stallo.
In campo sono scesi alcuni leader repubblicani, come James Baker, il segretario al Tesoro di Ronald Reagan e il segretario di Stato di Bush padre, che ha invitato l’amministrazione Obama a concludere l’esame delle condizioni di salute dei maggiori istituti americani (il famoso «stress test») con la loro suddivisione in tre categorie: le banche sane, le banche che hanno bisogno di aiuto (che dovrebbero essere sostenute dal governo) e quelle senza speranza, che dovrebbero essere chiuse.
James Baker, nell’articolo apparso sul Financial Times dello scorso 2 marzo, specifica addirittura che l’amministrazione americana dovrebbe avvertire i governi europei e asiatici ed esortarli a seguire la stessa strada. L’annuncio della chiusura di alcune grandi banche americane e di alcuni istituti europei ed asiatici dovrebbe avvenire, secondo James Baker, nello stesso giorno per ridurre la violenza dello tsunami che si abbatterebbe sui mercati finanziari di tutto il mondo e che sicuramente lascerebbe poche speranze di sopravvivenza a molte banche europee e anche alle grandi banche svizzere.
La proposta di Baker è stata rilanciata negli scorsi giorni dal candidato alla Casa Bianca John McCain e dal senatore Richard Shelby, che è il capogruppo repubblicano nella Commissione bancaria. Questi interventi confermano che negli Stati Uniti stanno maturando soluzioni drastiche per risolvere la crisi delle banche e che queste proposte sono anche al centro delle discussioni della nuova amministrazione democratica.
Barack Obama giustamente tentenna di fronte a queste proposte, che presentano un rischio molto concreto di innescare una catena di fallimenti non solo bancari, ma anche di aziende. Non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Una mossa di questo genere non studiata a fondo potrebbe far sprofondare in pochi giorni il mondo in depressione.
Le banche sono interconnesse tra loro e il fallimento di istituti come Citigroup e Bank of America rischierebbe di provocare un effetto domino con conseguenze difficilmente immaginabili. Per intenderci, l’effetto sarebbe un multiplo di quello del fallimento della Lehman Brothers. Vi sono altre proposte che vanno nella stessa direzione avanzate da esponenti democratici.
Sebbene non siano univoche, si possono riassumere in questo modo. Bisogna innanzitutto individuare delle «good bank», che dovrebbero avere libero accesso ai canali di finanziamento statali e che sarebbero chiamate a rilevare e a garantire l’attività creditizia degli istituti che falliranno, in modo da attutire l’impatto sull’economia reale. Queste banche avrebbero una funzione pubblica: fornire credito e servizi ai cittadini e alle imprese.
Contemporaneamente bisognerebbe azzerare tutti i derivati e gli altri strumenti della nuova ingegneria finanziaria, il cui valore sarebbe in ogni caso azzerato dai fallimenti bancari. In quest’ottica si creerebbe all’istante un nuovo sistema finanziario, il cui scopo sarebbe il sostegno dell’economia reale.

Di fronte alla portata di queste scelte i tentennamenti di Barack Obama devono essere considerati una dimostrazione di saggezza. È anche prevedibile che il nuovo presidente americano cerchi di rinviare ogni scelta di questo genere il più a lungo possibile, aspettando che il sistema bancario continui ad implodere per creare un consenso anche nell’opinione pubblica americana sull’ineluttabilità di scelte drastiche. E’ evidente che di fronte a questi possibili scenari il vertice del G20 di Londra può produrre solo pochi risultati. Il disegno del nuovo sistema finanziario e monetario internazionale potrà essere fatto solo quando saranno sciolti questi nodi.
 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 

 

 

  Martedì 17 Marzo 2009   Giovedì 19 Marzo 2009   Sabato 21 Marzo 2009  
       
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SCANDALO MADOFF: "SONO COLPEVOLE", ORA RISCHIA 150 ANNI DI CARCERE

12 Marzo 2009 16:31 NEW YORK - di WSI
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Il finanziere responsabile del maxi crack da $50 miliardi ha ammesso la colpevolezza in tutti e 11 i capi d'accusa. In aula sono seduti alcuni degli investitori da lui truffati.
Il finanziere Bernard Madoff si e' dichiarato colpevole rispetto a tutti e 11 i capi d'accusa di fronte alla Corte federale di Manhattan, a New York, nel corso del processo a suo carico per frode finanziaria, probabilmente la maggiore della storia di Wall Street.
La dichiarazione di colpevolezza era attesa e ora, riferiscono gli inquirenti, Madoff rischia una sentenza che lo condannerebbe fino a 150 anni di carcere.
Lo scandalo ha trasformato l'imprenditore - coinvolto in una maxi truffa da circa 50 miliardi di dollari - da apprezzato gotha della finanza a sinonimo della crisi economica, diventando oggetto delle proteste dei tanti investitori che hanno investito nei suoi fondi.
Gli 11 capi d'accusa che pendono sull'imputato, che ha passato gli ultimi tre mesi agli arresti domiciliari nel suo appartamento di lusso di Manhattan da 7 milioni di dollari, comprendono frode, falsa testimonianza e truffa, nell'ambito di un piano che prevedeva due conti internazionali di riciclaggio di denaro.
Appena iniziato il processo, Madoff ha chiesto se poteva avere dell'acqua. Dopo la dichiarazione di colpevolezza, il giudice Denny Chin ha chiesto all'imputato di raccontare nel dettaglio i meccanismi dell'operazione che ha fatto evaporare i risparmi di migliaia di investitori, da piccoli risparmiatori a celebrita'.
La dichiarazione di colpevolezza giunge tre mesi dopo che l'Fbi ha reso noto che Madoff aveva ammesso davanti ai suoi figli che il suo rinomato e richiesto fondo di investimento in realta' era tutta una truffa, uno schema di Ponzi, ovvero una piramide da miliardi di dollari.
Dal suo arresto a dicembre lo scandalo ha trasformato il 70enne ex presidente del Nasdaq in un poveraccio, che e' stato costretto ad indossare un giubotto antiproiettile per recarsi all'udienza in tribunale.
Lo schema architettato da Madoff ha mandato in fumo i risparmi di molti e a quanto sembra ha spinto due investitori a tentare il suicidio. Tra le vittime della truffa figurano tante celebrita', tra cui gli attori Kevin Bacon e Kyra Sedgwick, e il premio Nobel per la Pace Elie Wiesel.
 
 

Fonte - WallStreetItalia

 

 

 

SCHEDA - Cinque fatti sul segreto bancario svizzero

13 Marzo 2009 13:27 - di Reuters
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ZURIGO (Reuters) - Di seguito cinque fatti sul segreto bancario in Svizzera, le cui banche hanno raccolto una stima di 2.000 miliardi di ricchezza da clienti stranieri, attirati almeno in parte delle sue severe leggi sulla privacy: SEGRETO BANCARIO - Condividere informazioni bancarie su clienti è un reato penale in Svizzera. Alle banche è vietato fornire direttamente dati dei clienti alle autorità straniere, anche se lo richiedono. La protezione della Svizzera sul segreto bancario risale al 1934, quando passò una legge che impone forti pene, fino al carcere, per chi la infrange. FRODE ED EVASIONE FISCALE - Al contrario della maggior parte dei paesi nel mondo, le leggi svizzere distinguono tra frode ed evasione fiscale. La frode fiscale è un reato penale che prevede la creazione di documenti per celare il reddito. L'evasione fiscale, che è definita come una mancata dichiarazione dei redditi alle autorità fiscali svizzere, è un reato amministrativo, punibile con una multa. La legge accetta che i cittadini talvolta possano dimenticare dati o fare errori. CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI FISCALI - La Svizzera può condividere informazioni fiscali secondo alcuni trattati firmati con gli Stati Uniti e altri paesi. Finora ha condiviso informazioni soprattutto per le frodi. IL CASO DI UBS - UBS, la più grande banca svizzera, è diventata l'obiettivo di un'indagine Usa che accusa l'istituto di aver aiutato migliaia di americani a nascondere soldi alle autorità in conti svizzeri. In un accordo storico, Ubs ha pagato 780 milioni di dollari di multa a febbraio. Berna si è anche accordata per il trasferimento agli Usa di poche centinaia di nomi di clienti Ubs anche prima che un tribunale svizzero decidesse se fosse stata commessa una frode. DIRETTIVE UE - La Svizzera consente ai possessori di conti Ue di mantenere i loro affari segreti pagando una ritenuta d'imposta sui redditi da risparmio. La Svizzera condivide la parte essenziale dei ricavi raccolti in questo modo con i maggiori governi Ue senza rivelare l'identità dei correntisti Ue. La questione è regolata in base alla direttiva Ue in materia di tassazione sui redditi da risparmio.

 

Fonte - Reuters

 

 

 

 

 

 

  Europa dell'EST, pessimo affare o tempesta perfetta?

15 Marzo 2009 21:43 MILANO - di Giuseppe Turani

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L´Europa alla fine si rivelerà come il buco nero della perfetta tempesta che ha investito il mondo? Sembrerebbe proprio di sì, contrariamente a quanto dicono i governanti. Secondo chi ha in mano le redini dei vari governi europei noi saremmo abbastanza al sicuro perché ci troviamo ai margini del terremoto che ha sconvolto la finanza e l´economia del mondo intero. Ma sembra proprio che ci si stia avviando in un´altra direzione.
A sei mesi di distanza (cioè da metà settembre del 2008, fallimento della Lehman) dall´inizio della fase più acuta della crisi, si può cominciare a fare un bilancio, anche se del tutto provvisorio. Se si parte da Est, si vede che la Cina probabilmente riuscirà anche nel 2009 ad avere una crescita dell´8 per cento (al posto dell´abituale 12 per cento). L´obiettivo non è facile da raggiungere, ma i dirigenti cinesi ne hanno fatto un obiettivo assolutamente non rinunciabile e stanno immettendo nel loro sistema stimoli molto forti, riservandosi di andare ancora oltre se necessario. E quindi è possibile che alla fine riescano nel loro intento.
La determinazione cinese, peraltro, aiuta molto un po´ tutta l´area asiatica e reggere, in qualche modo, l´urto della crisi. Se dalla Cina ci si sposta in America, si vede che la situazione è ancora molto pesante: ormai le richieste di sussidi settimanali di disoccupazione sono regolarmente oltre le 600 mila unità. E il tasso complessivo di disoccupazione sta andando verso il 9 per cento. Il primo trimestre negli Stati Uniti sarà, a detta di tutti gli osservatori, molto duro. Ma tanto il governo Obama quanto la Federal Reserve stanno immettendo in quell´economia tanto di quel denaro e tanti stimoli che alla fine i risultati verranno.
Nessuno, comunque, potrà evitare all´America di conoscere nel 2009 un arretramento almeno del 2,7 per cento (previsioni di Consensus) e una disoccupazione vicina o sopra il 10 per cento. Ma poi la sorte dovrebbe girare, e i conti dovrebbero tornare positivi in misura significativa (con una crescita vicino al 2 per cento, nel 2010).
L´Europa, da molti descritta come un´isola felice, battuta non dalla tempesta, ma da placide onde e da un rassicurante vento di bonaccia, nel 2009 rischia una mezza catastrofe con un Pil che crolla del 3,6 per cento (previsione di Goldman Sachs) e con la sua principale economia (quella tedesca) che potrebbe precipitare già anche del 5,2 per cento (determinando una specie di strage imprenditoriale nel nostro Nord Est, legatissimo all´economia tedesca). L´Italia, comunque, dovrebbe andare giù del 3,2 per cento (ma c´è chi dice che si arriverà, purtroppo, al 3,6 per cento).
La disoccupazione nell´area euro arriverà al 10 per cento. E questo non è ancora tutto. I pessimi risultati appena visti sono dovuti, sostanzialmente, al crollo delle economie dell´Est Europa. Economie abbondantemente finanziate negli anni scorsi dai paesi europei. Ed è proprio qui che si annida la coda del diavolo. Infatti, se il resto del mondo sembra aver messo la crisi sotto controllo (pagando i pesanti prezzi che bisogna pagare), nell´Est Europa tutto è ancora avvolto nella nebbia, tutto può ancora succedere, anche il peggio. Persino il default di qualche paese sovrano. E, se sarà qualcosa di grave, alla fine si ribalterà proprio sull´Europa, contribuendo ancora di più a spedirla a terra.
E infatti, se oggi nel mondo esiste un´area a rischio, questa è proprio l´Europa. Non per errori propri (che sono stati abbastanza limitati), ma perché il Vecchio Continente rifiuta di vedere con chiarezza i rischi che vengono da Est ed è troppo timido nell´affrontarli. E domani quelli che sembravano i territori della speranza, gli ex-paesi satelliti dell´Urss, rischiano di esplodere in una nuvola di fumo e di fiamme, bruciando miliardi e possibilità di crescita. Insomma, non siamo ai margini della perfetta tempesta. Siamo proprio dove sta arrivando, forse, l´onda più forte.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

La crisi finanziaria scatena il malcontento in Europa

16 Marzo 2009 16:57 - di Reuters
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BOSNIA - Il Parlamento croato-musulmano della Bosnia ha cancellato la sessione prevista per il 26 febbraio piuttosto che affrontare i manifestanti che protestavano contro i piani per il taglio dei benefici per restringere l'enorme gap di bilancio. GRAN BRETAGNA - I lavoratori britannici hanno indetto una serie di proteste presso alcuni impianti di produzione elettrica contro l'utilizzo di imprenditori stranieri in alcuni siti energetici strategici. I manifestanti hanno concordato di sospendere gli scioperi il 5 febbraio dopo che la Total ha acconsentito ad assumere più lavoratori britannici nella sua raffineria di Lindsey. BULGARIA - Centinaia di lavoratori della fabbrica di acciaio Kremikovtzi hanno manifestato, il 9 marzo, contro i previsti licenziamenti ed i salari non pagati, chiedendo al governo socialista di trovare degli acquirenti per l'impianto insolvente. Migliaia di agenti di polizia hanno manifestato per le strade di Sofia, la scorsa domenica, per chiedere un aumento salariale del 50% e migliori condizioni lavorative. REPUBBLICA CECA - Migliaia di contadini provenienti da Repubblica Ceca, Germania, Austria, Slovacchia, Slovenia e Polonia hanno manifestato attraverso le strade di Praga il 12 marzo per richiedere prezzi del latte più alti e sussidi per favorire le entrate, colpite dalla crisi economica. FRANCIA - Fino a 2,5 milioni di persone hanno manifestato in tutta la Francia il 29 gennaio per i salari e la difesa del posto di lavoro. Il 5 marzo le autorità e i sindacati hanno firmato un accordo per mettere fine a uno sciopero generale di sei settimane dovuto agli stipendi e ai prezzi che ha paralizzato l'isola di Guadalupe. Un leader sindacale è stato ucciso, alcuni negozi sono stati bruciati e saccheggiati durante le proteste. Migliaia di lavoratori hanno manifestato nell'Isola di Reunion, territorio francese nell'Oceano Indiano, il 5 e il 10 marzo in una campagna di scioperi e proteste per richiedere aumenti salariali. Le otto sigle sindacali francesi hanno indetto un giorno di protesta per il 19 marzo per chiedere al governo e alle imprese di fare di più per proteggere i posti di lavori ed i salari durante la crisi economica. GERMANIA - 15.000 operai della Opel si sono radunati il 26 febbraio davanti al quartier generale della loro azienda, chiedendo alla General Motors di rivedere i piani di chiusura degli impianti in Europa. GRECIA - L'uccisione di un quindicenne da parte della polizia a dicembre ha scatenato i peggiori disordini degli ultimi dieci anni, alimentati dalla rabbia per le difficoltà economiche del paese e la disoccupazione giovanile. Gli anarchici e i gruppi di guerriglia dell'estrema sinistra hanno continuato con una serie di attacchi verso banche e uffici di polizia. I sindacati greci, che rappresentano circa 2,5 milioni di lavoratori, hanno organizzato ripetute proteste contro il governo, sostenendo che le misure anticrisi siano a carico solo dei più poveri. UNGHERIA - La polizia ha utilizzato lacrimogeni per disperdere un gruppo di manifestanti che stava contestando il governo il 15 marzo a Budapest e ha fermato un totale di 35 persone. IRLANDA - Circa 100.000 persone hanno manifestato per le strade di Dublino il 21 febbraio per protestare contro i tagli del governo a dispetto di una recessione sempre più profonda e dei salvataggi delle banche. LETTONIA - Il nuovo primo ministro lettone è stato nominato il 26 febbraio dopo che la coalizione di governo è crollata, la seconda a pagare la crisi finanziaria dopo l'Islanda. Il ministro dell'agricoltura si è dimesso il 3 febbraio dopo le proteste dei contadini per il calo delle entrate. LITUANIA - La polizia ha fatto ricorso ai lacrimogeni il 16 gennaio per disperdere i manifestanti che avevano lanciato pietre contro il parlamento per protestare contro i tagli alla spesa sociale. Il primo ministro Andrius Kubilius si è impegnato a portare avanti un piano di austerity. MONTENEGRO - I lavoratori del settore alluminio hanno richiesto, il 9 febbraio, il pagamento degli arretrati e l'immediata ripresa della produzione nello stabilimento, di proprietà russa, Kombinat Aluminijuma Podgorica. POLONIA - Fino a 10.000 lavoratori, la maggior parte dei quali appartenenti all'industria delle armi, hanno manifestato il 6 marzo contro i licenziamenti dopo che la Polonia ha annunciato tagli alla difesa. A Gdansk 3.000 lavoratori hanno protestato contro i piani di tagli all'occupazione previsti da Energa, produttore di energia. PORTOGALLO - Decine di migliaia di lavoratori hanno manifestato a Lisbona il 13 marzo contro le politiche del governo socialista che, secondo i sindacati, sta facendo aumentare la disoccupazione e favorendo i ricchi in un momento di crisi. RUSSIA - Circa 1.000 dimostranti hanno chiesto le dimissioni del governo durante una manifestazione pacifica che si è tenuta il 15 marzo a Vladivostok, la più recente protesta collegata alla crisi economica russa. Circa 800.000 russi hanno perso il loro lavoro tra dicembre e gennaio, portando il numero di disoccupati oltre i 6 milioni, l'8,1% dei lavoratori. Sedici lavoratori dell'acciaieria ESTAR a Zlatoust hanno interrotto uno sciopero per i salari il 14 marzo dopo che il management ha accolto parte delle richieste, ma hanno minacciato di riprendere le manifestazioni di dissenso dinanzi ad altre avversità economiche. UCRAINA - Centinaia di cittadini ucraini hanno manifestato il 23 febbraio, alcuni chiedendo le dimissioni del presidente Viktor Yushchenko, altri chiedendo indietro i propri soldi alle banche, colpite duramente dalla crisi finanziaria.
 

Fonte - Reuters

 

 

DRAGHI: LA RECESSIONE CONTINUERA'

17 Marzo 2009 13:03 ROMA - di Corriere della Sera
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Problematiche del sistema bancario e finanziario. Su questi temi il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi ha parlato presso la Commissione Finanze di Montecitorio. In merito all''intervento dei prefetti sul controllo dell'assegnazione dei crediti bancari alle imprese, il governatore è stato chiaro: «No a pressioni e interferenze della politica». Draghi chiede dunque di evitare «interferenze politico-amministrative nelle valutazioni del merito di credito di singoli casi». Quindi che le analisi delle condizioni del credito a livello locale stabilita dal governo con gli osservatori sulle prefetture non sconfini «in un ruolo di pressione sulle banche che spinga ad allentare i criteri di sana e prudente gestione nella selezione delle clientela».
LA VIGILANZA - Il governatore ritiene necessario il miglioramento del coordinamento della vigilanza bancaria a livello europeo e afferma che una soluzione per la sua riforma non «rinuncerà al patrimonio di conoscenze, professionalità, vicinanza al mercato disponibili nelle autorità nazionali». Draghi ha spiegato come «l'esperienza del sistema europeo di banche centrali mostra che questa è una strada che si può percorrere con successo».
TREMONTI BOND - Poi dal governatore è arrivato un invito alle banche ad utilizzare i Tremonti Bond per rafforzare il capitale: «L'irrobustimento del capitale - ha detto il governatore - anche con gli strumenti messi a disposizione dello Stato, è condizione per sostenere la capacità del sistema bancario di fornire credito all'economia».
«SCELTE LUNGIMIRANTI» - Il governatore chiede agli istituti di credito «scelte lungimiranti» di fronte alla crisi che chiede di «sapere essere bravi banchieri anche quando l'economia va male». Nel corso dell'audizione alla Commissione Finanza della Camera, Draghi ha spiegato come «di fronte all'inevitabile peggioramento della qualità del credito dovuta alla recessione occorrono scelte lungimiranti, non basta tenere i conti in ordine». Per questo il Governatore invita a realizzare un «fermo sostegno ai clienti con buon merito di credito» per evitare «una stretta creditizia eccessiva che aggravi la recessione e quindi peggiori la posizione degli stessi clienti delle banche».
TITOLI TOSSICI - Gli interventi adottati dalle banche centrali e dallo Stato «hanno evitato il collasso del sistema ma non ancora portato chiarezza nei bilanci di quelle banche che più hanno investito nei titoli che chiamiamo tossici», ha affermato Draghi spiegando che «permane incertezza sull'entità e la distribuzione delle perdite nei bilanci di quelle che erano le più grandi banche mondiali».
PIL - Poi parlando della situazione italiana ha affermato: «Tutti gli indicatori (produzione, ordinativi e giacenze di magazzino) continuano a segnalare ritmi produttivi molto bassi. Nel primo trimestre di quest'anno il prodotto interno lordo si contrarrebbe per la quarta volta consecutiva. È verosimile - ha aggiunto - che l'intero 2009 si chiuda con un nuovo, significativo calo dell'attività economica, concentrato soprattutto nel settore privato».
PIANO CASA - Il piano casa annunciato dal governo, con una semplificazionme degli adempimenti e una riduzione degli oneri, «potrebbe avere effetti di stimolo». Tuttavia, ha spiegato il governatore, «la complessità della materia, la presenza di competenze concorrenti fra Stato e Regioni, la necessità di congegnare l’intervento in modo da preservare l’ambiente naturale ed equilibrio urbanistico ne rendono incerta la portata da un punto di vista congiunturale». Draghi ha sottolineato però che «modalità, contenuti e tempi di eventuali interventi non sono ancora noti».
LO STATO ACCELERI PAGAMENTI FORNITORI - Lo Stato è debitore nei confronti delle imprese per un importo pari a 2,5 punti percentuali di Pil, così «un'accelerazione dei pagamenti darebbe sostegno alle imprese senza appesantire strutturalmente i conti pubblici», ha detto il governatore. «I crediti commerciali che le imprese vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche, concessi con dilazioni e ritardi nel pagamento di beni e servizi sono molto elevati: circa il 2,5 per cento del prodotto interno lordo, oltre il 30 per cento della spesa annua delle amministrazioni per consumi e investimenti».
 

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

L'AMERICA RISCHIA DI FAR CADERE IL MONDO IN UNA FASE DI DEPRESSIONE

17 Marzo 2009 19:00 NEW YORK - di Bloomberg
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Piovono critiche per il piano di salvataggio, Washington accusata di sprecare capitali dandoli a degli incompetenti. Jim Rogers senza freni: lasciate fallire AIG. Grosso allarme sull'inflazione.
Con il loro piano di salvataggio gli Stati Uniti rischiano di far cadere il mondo in una fase di depressione, privando di capitali ale aziende sane per offrirli in mano a degli incompetenti. Lo ha detto l'esperto investitore americano, Jim Rogers, autore di libri di successo, tra cui "Investment Biker" e "Adventure Capitalist".
"Gli Stati Uniti stanno prelevando degli asset da persone competenti per darli a persone incompetenti" Rogers, presidente di Rogers Holdings. "Questa si chiama cattiva economia".
Il governo statunitense dovrebbe lasciare fallire il colosso assicurativo American International Group, la cui perdita nel quarto trimestre e' stata la peggiore nella storia americana, ha detto Rogers nel corso di un'intervista concessa martedi'. A ottobre il Congresso ha approvato un pacchetto di misure da $700 miliardi per salvare le banche in crisi, e l'amministrazione del presidente Barack Obama ha lasciato intendere che potrebbero servire altri $750 miliardi.
Secondo Rogers gli Stati Uniti stanno ripetendo gli stessi errori commessi dal Giappone negli anni novanta, e salvando le societa' di servizi finanziari che dovrebbero essere lasciate fallire rischiano di creare delle "banche zombie".
Sinora AIG ha ricevuto $173 miliardi in aiuti governativi e ha accontonato $1 miliardo in trattenute per circa 4600 dei suoi 116000 impiegati in modo che non lascino la societa'.
Questa settimana il Tesoro ha intenzione di offrire i dettagli del piano da $1000 miliardi studiato per rilevare gli asset tossici dai bilanci delle banche. Nel frattempo, sempre in settimana, la Federal Reserve dovrebbe annunciare l'inizio della prima fase di un piano da $1000 miliardi pensato per far ripartire il mercato del credito al consumo e alle aziende.
In futuro i prezzi del petrolio potrebbero salire su livelli record a causa dell'esaurimento delle scorte e della mancanza di nuove scoperte di terreni ricchi di greggio. A luglio le quotazioni dell'oro nero hanno toccato punte record di $147.27 al barile, mentre al momento scambiano a $46.98.
"Le scorte di petrolio stanno diminuendo in tutto il mondo - dice Rogers - percio' i prezzi sono destinati a diventare molto, molto piu' alti. Non so se i prezzi saliranno su livelli record nei prossimi tre o cinque anni. Non so quando, ma so che accadra'".
La gente dovrebbe dunque prepararsi a nuovi livelli record di inflazione, con i governi che stanno stampando nuovo denaro nel tentativo di rilanciare le economie in difficolta', in un periodo in cui l'offerta di materie prime e' sotto pressione.
E' inutile chiedere un ritorno ad un sistema monetario basato sul "gold standard", nel quale la base monetaria e' data da una quantita' fissata di oro, perche' questo "non risolvera' i nostri problemi", ha concluso.
 

Fonte - Bloomberg

 

 

 

 

 

 

  Martedì 24 Marzo 2009   Venerdì 27 Marzo 2009   Martedì 31 Marzo 2009  
       
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TASSI USA: LA FED CONFERMA IL TARGET 0.00%-0.25%

18 Marzo 2009 19:17 NEW YORK - di WSI
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Come ampiamente atteso dal mercato, la Banca Centrale Americana ha mantenuto invariata la forchetta sui fed funds. Incrementa di altri $750 miliardi il valore degli asset MBS rilevati. Acquisto fino a $300 mld in T-bond. Decisione unanime.
La Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse ad un range compreso tra lo 0.00% e lo 0.25%. La decisione segue la conferma di gennaio, preceduta dal taglio drastico di dicembre, il nono della serie iniziata nell’ottobre 2007, che aveva portato i fed funds nell’attuale forchetta.
Non avendo piu’ a disposizione ulteriori manovre sui fed funds, negli ultimi giorni si erano originate ulteriori speculazioni sull’utilizzo di metodi "non convenzionali" per combattere la crisi, come un incremento dell’ammontare previsto nell’ambito del piano di savataggio per rilevare obbligazioni emesse dalle agenzie governative (come Fannie Mae), oppure l’acquisto di Treasuries e bond societari.
La Fed si e’ pertanto detta disposta all’acquisto di $300 miliardi di Treasury a lungo termine nei prossimi 3-6 mesi e ad incrementare l’acquisto degli asset MBS (Mortgage Backed Securities - titoli obbligazionari garantiti dai mutui ipotecari) di altri $750 miliardi.
Le informazioni giunte dall’ultimo incontro del Federal Open Market Committee a gennaio indicano che l’economia continua a contrarsi. La perdita di posti di lavoro, il calo dell’azionario e dell’immobiliare, e le cattive condizioni del credito hanno pesato sul sentiment dei consumatori e sulla spesa.
Le deboli prospettive sulle vendite e le difficolta’ nell’ottenimento dei prestiti hanno costretto le aziende a ridurre le scorte e gli investimenti. Le esportazioni americane sono crollate poiche’ numerosi partners commerciali sono caduti in recessione. Sebbene l’outlook economico sul breve periodo resti debole, il Comitato anticipa che le azioni di politica adottate per stabilizzare i mercati e gli istituti finanziari, associate allo stimolo fiscale e monetario, contribuiranno ad una graduale ripresa della crescita economica.
Alla luce del rallentamento economico, qui ed all’estero, il Comitato si aspetta livelli contenuti d’inflazione. Inoltre, il Comitato intravede alcuni rischi per cui l’inflazione potrebbe durare per un certo tempo al di sotto dei tassi che meglio promuovono la crescita economica e la stabilita’ dei prezzi per il lungo periodo.
In tali circostanze, la Federal Reserve impieghera’ tutti gli strumenti disponibili per promuovere il recupero economico e mantenere la stabilita’ dei prezzi. Il Comitato manterra’ il target sui fed funds nel range 0.00%-0.25% ed anticipa che le condizioni economiche probabilmente contribuiranno a mantenere i tassi a livelli eccezionalmente bassi per un lungo periodo. Per garantire un maggiore supporto alla concessione dei prestiti ipotecari e al mercato immobiliare, il Comitato ha deciso di incrementare l’acquisto di asset MBS per un valore addizionale di $750 miliardi, portando gli acquisti totali per questo tipo di strumenti a $1250 miliardi quest’anno, e di incrementare l’acquisto di strumenti di debito societario fino a $100 miliardi per un totale di $200 mld. Inoltre, per migliorare le condizioni nel mercato del credito privato, il Comitato ha deciso di acquistare Treasury a lunga scadenza fino ad un valore di $300 miliardi entro i prossimi 6 mesi. La Federal Reserve ha lanciato il programma Term Asset-Backed Securities Loan Facility per facilitare l’estensione del credito alle famiglie ed alle piccole aziende ed anticipa che le condizioni di accesso a tale strumento saranno estese per includere altri assett finanziari. Il Comitato continuera’ a monitorare attentamente la dimensione e la composizione dello stato patrimoniale della Federal Reserve alla luce dell’evoluzione finanziaria e di nuovi sviluppi economici.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; William C. Dudley, Vice Chairman; Elizabeth A. Duke; Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Jeffrey M. Lacker; Dennis P. Lockart; Daniel K. Tarullo; Kevin M. Warsh; e Janet L. Yellen.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di confermare il tasso interbancario in un range di 0.0%-0.25%:
Information received since the Federal Open Market Committee met in January indicates that the economy continues to contract. Job losses, declining equity and housing wealth, and tight credit conditions have weighed on consumer sentiment and spending. Weaker sales prospects and difficulties in obtaining credit have led businesses to cut back on inventories and fixed investment. U.S. exports have slumped as a number of major trading partners have also fallen into recession. Although the near-term economic outlook is weak, the Committee anticipates that policy actions to stabilize financial markets and institutions, together with fiscal and monetary stimulus, will contribute to a gradual resumption of sustainable economic growth.
In light of increasing economic slack here and abroad, the Committee expects that inflation will remain subdued. Moreover, the Committee sees some risk that inflation could persist for a time below rates that best foster economic growth and price stability in the longer term.
In these circumstances, the Federal Reserve will employ all available tools to promote economic recovery and to preserve price stability. The Committee will maintain the target range for the federal funds rate at 0 to 1/4 percent and anticipates that economic conditions are likely to warrant exceptionally low levels of the federal funds rate for an extended period. To provide greater support to mortgage lending and housing markets, the Committee decided today to increase the size of the Federal Reserve’s balance sheet further by purchasing up to an additional $750 billion of agency mortgage-backed securities, bringing its total purchases of these securities to up to $1.25 trillion this year, and to increase its purchases of agency debt this year by up to $100 billion to a total of up to $200 billion. Moreover, to help improve conditions in private credit markets, the Committee decided to purchase up to $300 billion of longer-term Treasury securities over the next six months. The Federal Reserve has launched the Term Asset-Backed Securities Loan Facility to facilitate the extension of credit to households and small businesses and anticipates that the range of eligible collateral for this facility is likely to be expanded to include other financial assets. The Committee will continue to carefully monitor the size and composition of the Federal Reserve's balance sheet in light of evolving financial and economic developments.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; William C. Dudley, Vice Chairman; Elizabeth A. Duke; Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Jeffrey M. Lacker; Dennis P. Lockhart; Daniel K. Tarullo; Kevin M. Warsh; and Janet L. Yellen.
 

 

Fonte - WallStreetItalia

 

 

Un passo avanti. Verso il baratro?

Wednesday, 18 March, 2009 at 21:00 - by phastidio
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La Fed rompe gli indugi e decide di aumentare ulteriormente la dimensione del proprio bilancio, acquistando in corso d’anno altri 750 miliardi di dollari di cartolarizzazioni ipotecarie emesse dalle Agencies, portando quindi il totale a 1250 miliardi, oltre a raddoppiare a 200 miliardi gli acquisti a fermo del debito delle Agencies medesime. Ma la vera novità è la decisione di acquistare 300 miliardi di dollari di Treasuries a lungo termine, allo scopo di “contribuire a migliorare le condizioni nei mercati privati del credito”. Domani dovrebbe partire ufficialmente il TALF (Term Asset Backed Securities Loan Facility) con una cartolarizzazione Nissan su crediti auto da 1,3 miliardi di dollari.
La decisione di acquistare direttamente titoli di stato a lunga scadenza deriva dal fatto lo spread sui mutui trentennali è ancora troppo elevato rispetto alla media storica dei dieci anni che hanno preceduto l’inizio della crisi: circa 2,1 punti percentuali contro 1,75 per cento. Riducendo lo spread dovrebbe avviarsi un meccanismo “virtuoso” di trasmissione al resto del settore dei crediti al consumo (sul quale agirebbe il TALF) per riattivare le cartolarizzazioni su loans, che sono la linfa vitale dell’economia americana. Ciò non toglie che l’espansione del balance sheet della Fed pone anche crescenti rischi inflazionistici di medio periodo, in caso di ripresa. Rischi che la Fed al momento non ritiene esistenti, come indica il comunicato finale del meeting del FOMC.
L’economista di Goldman Sachs Ian Hatzius ha recentemente calcolato, applicando la regola di Taylor (che mette in relazione il tasso chiave di politica monetaria con il livello di inflazione target e la crescita potenziale), che il tasso sui Fed Funds necessario a riportare l’economia verso il pieno impiego è pari a meno 8 per cento. Poiché i tassi non possono evidentemente essere negativi, l’effetto espansivo equivalente può essere ottenuto aumentando le dimensioni del bilancio della Fed. Secondo una stima grezza dello stesso Hatzius, per ottenere un effetto stimolativo sull’economia pari a quello prodotto da un taglio di un punto percentuale dei Fed Funds occorre una crescita del bilancio della Fed compresa tra 1000 e 1600 miliardi di dollari. Ciò significa che, per raggiungere l’equivalente di meno 8 per cento di Fed Funds, partendo dal livello attuale (poco meno di 2000 miliardi di dollari), occorrerebbe portare il bilancio della Fed almeno a 10.000 miliardi di dollari. Cioè “azionare le presse” giorno e notte, e stampare moneta. Correndo il rischio, in caso di ripresa, di trovarci con una fiammata inflazionistica tale da distruggere il sistema valutario internazionale e riportarci al baratto.
La Fed è consapevole che, malgrado la rapidità dell’espansione monetaria (che ha probabilmente evitato una deflazione conclamata), nell’economia persiste un vuoto di attività che continuerà ad esercitare pressione disinflazionistica sull’economia e l’occupazione, e si muove di conseguenza. Se cercate un esempio concreto per definire l’espressione terra incognita, provate con questo.
 

 

Fonte - Macromonitor

 

 

Usa/ Peggiorano stime deficit: 9.300 mld usd per prossimi 10 anni

20 Marzo 2009 18:57 WASHINGTON - di Apcom
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Washington, 20 mar. (Ap) - Brutte notizie per il deficit degli Stati Uniti e, anche, per l'agenda economica del presidente Barack Obama. Il CBO (Congressional Budget Office), ovvero l'ufficio no-partisan di budget del Congresso Usa, comunicherà oggi stime da brivido, che risultano anche peggiori rispetto a quelle che sono state rese note lo scorso mese dalla Casa Bianca. Le stime, stando ai dati ottenuti dall'Associated Press, parlano di un deficit di 9.300 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni, ovvero per il periodo compreso tra il 2010 e il 2019. La spaventosa cifra è superiore di 2.300 miliardi rispetto alle previsioni della Casa Bianca, e conferma quanto ritiene l'agenzia del Congresso: ovvero che il budget di Obama genererà deficit federali che, nell'arco del prossimo decennio, saranno in media di quasi 1.000 miliardi di dollari.

 

Fonte - Apcom

 

 

 

 

 

 

  Non uccidere il proprio debitore

25 Marzo 2009 12:51 TORINO - di Vittorio Sabadin

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La Cina, che mantiene l’ordine interno con quasi 1800 esecuzioni capitali all’anno, ha deciso di essere protagonista delle scelte che il mondo dovrà fare per uscire dalla crisi al vertice del G20 che si terrà la prossima settimana a Londra.
E questa volta nessuno dei suoi interlocutori farà troppe obiezioni sulla salvaguardia dei diritti umani. Rispetto a qualche mese fa lo scenario è completamente cambiato. Barack Obama deve avere ormai capito che gli slogan necessari a diventare presidente degli Stati Uniti sono molto meno utili quando si tratta di governare. Il suo video pieno di buone intenzioni inviato all’Iran è servito solo ad irritare Israele e anche il suo annuncio che al G20 l’America tornerà protagonista nella gestione delle crisi mondiali sarà accolto senza troppo entusiasmo. Le ricette della Casa Bianca e del Tesoro americano non hanno finora prodotto grandi risultati e l’Europa non ha alcuna intenzione di seguire le stesse politiche stampando banconote e usando a piene mani i soldi dei contribuenti.
Il premier inglese Gordon Brown ha già replicato che a guidare il mondo fuori dalla recessione sarà invece la vecchia Europa. Ma entrambi i leader probabilmente si sbagliano e dovranno fare i conti proprio con la Cina, che si annuncia il vero protagonista del G20. Pechino aveva chiesto qualche giorno fa che il vertice di Londra fosse l’occasione per stabilire nuove regole per le relazioni commerciali e finanziarie globali, come si fece a Bretton Woods nel 1944. E per chi non avesse capito, il governatore della Banca Centrale, Zhou Xiaochuan, ha cominciato a spiegare di che cosa si tratta: Pechino vuole una riforma del sistema valutario mondiale, ora fondato sulla supremazia del dollaro, sostituendo la moneta americana con un nuovo sistema, basato sui Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale, inventati proprio per sostenere il rapporto dei cambi fissi deciso a Bretton Woods.

La scorsa settimana, anche la Russia aveva avanzato una proposta analoga, ma senza che nessuno se ne accorgesse. La richiesta del «grande timoniere» della Bank of China è finita invece sulla prima pagina del Financial Times perché molti analisti la leggono come un importante segnale ad Obama: i tempi sono cambiati e, quando Pechino parla, ora anche tu devi imparare ad ascoltare. La Casa Bianca aveva infatti completamente ignorato la richiesta cinese di non adottare politiche economiche che potessero avere un impatto negativo sul Paese: stampando dollari e iniettandone in grande quantità nel sistema per salvare l’America, Obama e il suo ministro del Tesoro Geithner rischiano di mettere in seria difficoltà Pechino, che ha nei suoi forzieri 2000 miliardi di riserve valutarie in dollari, che valgono sempre meno a causa delle politiche inflative della Casa Bianca.
La Cina non ha altre scelte e quei dollari dovrà tenerseli ancora a lungo, così come dovrà continuare ad acquistare i buoni del Tesoro americani come ha annunciato di volere fare: nessuno ucciderebbe il proprio principale debitore, rischiando poi di fare la stessa fine. Ma il clima è davvero cambiato. Dopo le accuse di Geithner alle autorità monetarie cinesi di «manipolare il cambio» dello renminbi, una penitente Hillary Clinton è andata a Pechino di fatto per chiedere scusa, dimenticandosi anche di fare quelle domande, così abituali fino a poco tempo fa, sulla pena di morte, sul rispetto dei diritti umani e della sovranità del Tibet.
Alla vigilia di un vertice decisivo per delineare una azione comune contro la crisi, la Cina sembra dunque avere deciso di esercitare un ruolo da protagonista nelle strategie mondiali. Come tutti, non sopporta più le manchevolezze del Fondo Monetario Internazionale, ma chiederà giustamente di destinargli maggiori risorse a sostegno delle economie dei Paesi emergenti, quelle che se lasciate a se stesse potrebbero trascinare anche i Paesi ricchi nel baratro. Subito dopo si occuperà di come uscire dalla propria crisi, che è nascosta dalla vastità del Paese ma è pesante forse più di quella degli altri: già 20 milioni di disoccupati, migliaia di fabbriche chiuse, rischi di disordini sociali elevati che potrebbero fare cadere molte teste nel governo.
La crescita inarrestabile del Paese è durata più di dieci anni ed è coincisa con uno speculare declino delle vecchie potenze economiche. Nel 1999, tra le prime sette banche del mondo quattro erano americane e due inglesi, ora ai primi posti ci sono solo banche cinesi. Agli occhi di Pechino, ha scritto l’Economist, l’Europa è un’insignificante macchiolina sulla carta geografica che si trastulla con il Dalai Lama e i diritti umani; il Giappone non conta più nulla e gli Stati Uniti sono nel panico, incapaci di individuare una via d’uscita. Eppure la Cina dovrà trovare un interlocutore da qualche parte, e questo interlocutore non potrà alla fine che essere l’America.
Il G20 di Londra ha buone possibilità di trasformarsi nel vertice del G2 tra Obama e Hu Jintao e la possibilità che i due non si capiscano è molto elevata. Il primo sta tentando di risollevare un Paese che attraversa la più grave crisi della sua storia, cercando nello stesso tempo di mantenere il ruolo egemone che gli Stati Uniti hanno avuto per decenni. Il secondo sa che la bilancia del potere politico ed economico si è già spostata verso Oriente, è poco disposto ad ascoltare lezioni o indicazioni di percorso e vuole contribuire a riscrivere le regole mondiali. La cosa peggiore per tutti sarebbe che, a forza di discutere chi deve avere l’ultima parola in questo mondo profondamente cambiato, si tornasse anche da Londra senza avere deciso nulla di importante. Purtroppo, è lo scenario più probabile.
 

 

Fonte - La Stampa

 

 
 

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