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La
svolta dell'America la
crisi dell'Europa
01 Marzo 2009 17:59 ROMA - di
Eugenio Scalfari
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Sappiamo, ce lo dicono tutti
i dati consuntivi e preventivi, che la crisi economica globale è
entrata nella fase culminante, articolata in vari livelli e in vari
scacchieri geopolitici. I vari livelli riguardano
l´insolvenza del sistema bancario internazionale, la caduta mondiale
della domanda di beni e servizi (materie prime, beni durevoli,
generi di consumo), la restrizione dell´offerta e quindi degli
investimenti come ovvia conseguenza della crisi della domanda, la
deflazione, l´ingolfo del credito. Si tratta d´una catena ogni
anello della quale è intrecciato agli altri e con essi interagisce
generando una atmosfera di sfiducia e di aspettative negative che si
scaricano sulle Borse e sul drammatico ribasso dei valori quotati. I
diversi scacchieri geopolitici presentano aspetti specifici
nell´ambito di un quadro generale a fosche tinte.
L´epicentro è ancora (e lo
sarà per molto) in Usa e coinvolge le banche, le imprese, la
domanda, il reddito, l´occupazione.
Il nuovo Presidente ha
imboccato decisamente la strada del "deficit spending" in dosi mai
verificatesi prima nella storia americana se non nei quattro anni di
guerra tra il 1941 e il 1945. L´entità della manovra di bilancio
dell´anno in corso ammonta alla cifra da fantascienza di 4 trilioni
di dollari, che si ripeterà con una lieve diminuzione nel 2010. Il
bilancio federale, già in disavanzo di mille miliardi, arriverà
quest´anno a 1750.
Si tratta di cifre fantastiche ma appena sufficienti a puntellare
l´industria, il sistema bancario e la domanda dei consumatori.
Purtroppo i primi effetti
concreti si verificheranno nel secondo trimestre dell´anno, un tempo
breve in stagioni di normalità ma drammaticamente lungo nel colmo
della "tempesta perfetta" che stiamo attraversando.
Per colmare questa
inevitabile sfasatura temporale Obama ha alzato l´asticella degli
obiettivi e, oltre a quelli macroeconomici, ha inserito
riforme strutturali e una redistribuzione sociale del reddito senza
precedenti. E´ il caso di
dire che si è bruciato gli ormeggi alle spalle affrontando lo
scontro con i ceti più ricchi, minoritari nel numero ma maggioritari
nel possesso e nel controllo della ricchezza e del potere
sociale. Neppure Roosevelt era arrivato a tanto e non parliamo di
Kennedy e neppure di Clinton.
Questa cui stiamo assistendo
è la prima vera svolta a sinistra degli Stati Uniti d´America;
l´intera struttura economica, sociale e culturale del paese è
infatti sottoposta ad una tensione senza precedenti,
i cui effetti non riguardano
soltanto i cittadini americani ma coinvolgono inevitabilmente
l´Europa e l´Occidente nella sua più larga accezione. «Quando
la casa minaccia di crollare ha detto Obama parlando al Congresso
non ci si può limitare a riverniciare di bianco le pareti ma bisogna
ricostruirla dalle fondamenta». Noi siamo tutti partecipi di questa
rifondazione che si impone anche all´Europa.
Separare il nostro vecchio
continente dall´epicentro della "tempesta" americana è pura
illusione. Se cadessero in bancarotta le grandi banche
americane, se chiudessero i battenti le grandi compagnie
automobilistiche, se l´insolvenza del sistema Usa uscisse di
controllo, l´economia europea sarebbe risucchiata nello stesso
turbine. Su questo punto è pericoloso illudersi. Chi pensa che
l´Europa stia meglio dell´America, chi farnetica che l´Italia sia
più solida degli altri Paesi dell´Unione, non infonde fiducia, al
contrario alimenta l´irresponsabilità e l´incertezza. Non capovolge
le aspettative ma anzi le peggiora.
L´Europa ha
scoperto da pochi giorni un bubbone di dimensioni devastanti
insediato al proprio interno: l´insolvenza di tutti i
Paesi dell´Est del continente, alcuni già dentro Eurolandia,
altri ai confini. Si tratta dei tre Paesi baltici, della
Polonia, dell´Ungheria, della Romania, della Bulgaria, della
Repubblica Ceca, dell´Ucraina, dei Paesi balcanici: Serbia,
Croazia, Albania, Macedonia, ai quali vanno aggiunti la Grecia e
l´Irlanda.
Questi paesi sono stati ricostruiti e rimodellati sull´economia
di mercato grazie a massicci investimenti privati provenienti
dall´Europa occidentale e da finanziamenti altrettanto massicci
di banche occidentali. L´Austria ha impegnato in questa
direzione gran parte delle sue risorse finanziarie e così la
Svezia. Di fatto l´economia di questi due paesi è ormai legata a
filo doppio con il destino dell´Est europeo, ma un
coinvolgimento importante riguarda anche il sistema bancario
tedesco.
Bastano questi cenni per capire che la crisi dell´Est, se non
arginata entro le prossime settimane, può avere effetti
devastanti sull´intera Unione europea, già fortemente scossa in
Spagna, in Irlanda e in Gran Bretagna. E´ di ieri la notizia che
tre istituzioni finanziarie internazionali hanno stanziato
complessivamente 24 miliardi di euro destinati a soccorrere i
paesi dell´Est.
C´è da augurarsi che si tratti di risorse immediatamente
disponibili perché il cosiddetto effetto annuncio è ormai privo
di valore. Ma si tratta comunque d´una cifra assolutamente
insufficiente, visto che le dimensioni globali della crisi
dell´Est si calcola nell´ordine di 200 miliardi di euro.
L´operazione annunciata ieri ne coprirebbe un ottavo, cioè il 12
per cento. Ci vuole dunque uno sforzo ben più consistente, che è
inutile chiedere ai singoli paesi. Deve intervenire l´Unione
europea e al suo fianco il Fondo monetario internazionale.
I "meeting" tra i capi
di governo dell´Unione hanno preso ormai un ritmo settimanale
imposto dalle circostanze, ma sarebbe opportuno che da queste
consultazioni uscissero decisioni concrete. Finora
abbiamo avuto soltanto reiterate quanto inutili dichiarazioni di
principio e progetti su nuove regole mondiali relegate in un
futuro assai lontano. Parole inutili, progetti privi di
attualità. Speriamo che l´incontro di oggi sia all´altezza dei
pericoli che incombono.
Queste assai labili
speranze hanno un solo modo per diventare concrete: un
rifinanziamento massiccio e straordinario dell´Unione europea da
parte dei paesi membri. Per avere senso, non meno di 100
miliardi di euro. Ma gran parte dei paesi membri non hanno
nemmeno gli occhi per piangere. Quelli che hanno ancora
qualche ragionevole capacità sono soltanto due: la Germania e la
Francia. Se vorranno compiere questo sforzo assumeranno una
nuova responsabilità e potranno reclamare un potere aggiuntivo
all´interno dell´Unione, al di là dei trattati e dei
regolamenti. Bisogna esser consapevoli di questa situazione,
altrimenti continueremo a perderci in una fitta nebbia di
chiacchiere e la «tempesta perfetta» europea si aggiungerà a
quella americana con effetti di irrimediabile devastazione.
Poche osservazioni sulla situazione italiana, che
registra un progressivo peggioramento a fronte del quale le
reazioni del governo sono pressoché inesistenti.
Per fronteggiare alcuni segnali di rischio incombenti e una
storica fragilità patrimoniale del sistema bancario italiano, il
governo ha mobilitato 12 miliardi, nove dei quali già prenotati
da Unicredit, Banca Intesa, Monte Paschi e Ubi. Sono i famosi
Tremonti-bond, prestiti a scadenza pluriennale assistiti da
obbligazioni con un tasso medio dell´8 per cento a favore del
Tesoro che le sottoscriverà. Con una procedura contabile che è
arduo spiegare per la sua macchinosità, questi crediti del
Tesoro non compariranno nel bilancio dello Stato. Le risorse
necessarie saranno chieste al mercato con altrettante emissioni
di Bot. Ci sarà uno scarto a favore del Tesoro tra il tasso
riconosciuto ai sottoscrittori di Bot e quello pagato dalle
banche emittenti dei Tremonti-bond. Insomma il Tesoro ci
guadagnerà.
Si dovrebbe dire dunque bravo Tremonti, che in tempi di magra
riesce a cavar sugo perfino dalle rape, se non fosse che
l´intera operazione (che i media di bandiera hanno esaltato come
un miracoloso toccasana) è completamente inutile. Le banche
dovrebbero rafforzare il proprio capitale e rilanciare il
credito alle piccole-medie imprese. Con i Tremonti-bond
aumentano i propri debiti e pagano molto cara questa raccolta.
Per di più essa ha una destinazione obbligata: deve esser
destinata alle Pim.
Poiché il costo è dell´8 per cento, quale sarà il tasso chiesto
alle Pim? Se il Tesoro vuole guadagnare tra il 3 e il 4 per
cento in questa operazione, è probabile che le banche spuntino
un margine analogo a carico della clientela, cioè impongano un
tasso del 12 per cento più gli oneri fiscali. Con questa
operazione si sostiene di aver rafforzato il sistema bancario
italiano nel quadro della peggiore crisi europea degli ultimi
settant´anni? Ci prendete tutti per imbecilli?
Nel frattempo l´Enel, che ha fatto troppi debiti, è costretto a
lanciare un aumento di capitale che il Tesoro non sottoscriverà
per la quota che ancora possiede. Il mercato ha reagito
negativamente. Non era proprio l´Enel il titolo che Berlusconi
ha più volte consigliato di comprare, insieme all´Eni, che
anch´esso non naviga con la bandiera al vento? Il nostro
"premier" non dovrebbe più pronunciar parola perché ogni volta
che parla fa danni gravi alla credibilità sua e del paese che
rappresenta.
Invece la sua loquela esonda e infatti la nostra credibilità
all´estero è sotto zero. Basta parlare con uno qualunque degli
ambasciatori stranieri accreditati a Roma per averne conferma.
Speriamo che la crisi monetaria e bancaria dell´Est europeo sia
arginata. Se così non fosse per far fronte alle sue
ripercussioni in Italia ci vorrà ben altro che i Tremonti-bond.
In ogni caso noi non siamo in grado di partecipare
all´inevitabile rifinanziamento del sistema europeo. Perciò il
nostro peso, già assai modesto nell´Unione, diminuirà ancora.
Per fortuna la bandiera nazionale, oltreché dall´Alitalia di
Colaninno, continuerà a sventolare per merito del cuoco Michele
e del chitarrista Apicella, intrattenitori apprezzati anche dai
capi di governo stranieri quando vengono a Roma per vedere il
Papa e il Presidente della Repubblica e fare poi sosta un paio
d´ore a Palazzo Grazioli per gustare qualche manicaretto di
Michele e ascoltare qualche canzone del chitarrista.
La nostra vocazione è la pizza e il mandolino. Ed un attore
comico vestito da dittatore. Questo è il copione della commedia
all´italiana e questo infatti va in scena anche in tempi di
tempesta.
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Fonte
- La Repubblica
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Il
"fattore psyco"
della crisi
01 Marzo 2009 20:38 MILANO - di
Daniele Manca
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Tra i banchieri d'affari era stata sempre molto popolare una
barzelletta. Raccontava di una merchant bank che dovendo fare
un'assunzione aveva incaricato il suo più anziano banchiere di una
serie di colloqui. Colloqui che si dimostravano sempre molto brevi e
basati su una sola domanda: quanto fa due più due? I candidati si
succedevano uno dopo l'altro. Nessuna sembrava soddisfare l'anziano
banker. Finché una mattina alla solita domanda un ragazzo ebbe
l'ardire invece di rispondere con un immediato: quattro, con un
«dipende». Sorridendo il banchiere chiese come dipende? Due più due
fa sempre quattro. No — rispose il giovane uomo — dipende se sono
venditore o compratore, nel caso può fare cinque o tre.
Eppure una verità così semplice è sembrata svanire in questi lunghi
anni prima di euforia irrazionale e oggi di crisi la cui fine non si
intravede: persino un'operazione semplice, numeri così rotondi e
pieni possono avere significati diversi secondo il contesto. E
solo
oggi dopo l'abbuffata di modelli matematici che sembravano includere
ogni rischio, di mercati efficienti e razionali in grado di misurare
con i loro prezzi qualsiasi merce anche la più incomprensibile,
fosse essa un barile di petrolio come un mutuo subprime, ebbene solo
oggi improvvisamente ci s'inizia a chiedere se aver sottovalutato
gli aspetti psicologi dell'economia non ci abbia condotti qui dove
siamo.
A dire il vero una corrente di pensiero dell'economia, quella
comportamentale, aveva continuato a studiare e a indicare
l'importanza di tutto ciò che non è razionale anche nei
comportamenti economici. Ma sembrava predicare in un campo ben poco
fertile. Erano gli anni del boom; dove chiedersi come poteva
accadere che di fronte a una casa del valore di 100 alcune banche
dessero il 120% di prestito, era considerato eccentrico. La storia
nella quale si era immersi, la fiducia della quale si era dotati,
sembrava potere tutto.
Da qualche mese, improvvisamente, con una crisi che incombe senza
sosta sul mondo occidentale e non solo, ecco che quegli studi sono
sembrati prendersi una sorta di rivincita sul comportamento
razionale dell'agente economico. Una riprova è l'attesa che ha
circondato l'uscita del libro di George A. Akerlof e Robert J.
Shiller, Animal Spirits. Il sottotitolo è ancora più esplicativo
della citazione da John Maynard Keynes che ha dato il titolo al
volume: How Human Psychology Drives The Economy, and Why It Matters
for Global Capitalism, come la psicologia umana guida l'economia e
perché conta nel capitalismo globale.
Si tratta di due tra i più noti studiosi del settore, Akerlof,
docente a Berkeley in California nel 2001 ha vinto il Nobel per
l'Economia, mentre Shiller oltre ad aver dato il nome all'indice dei
prezzi delle case negli Stati Uniti è anche quello che nel 2000
spiegò in dettaglio il rischio dell'«euforia irrazionale» che aveva
preso i mercati nel corso della penultima bolla finanziaria, quella
di Internet. E proprio Euforia irrazionale si intitola, tra l'altro,
il suo libro del 2000 tradotto e appena arrivato in libreria in
Italia per i tipi del Mulino (pagine 344, 12). «Certo, nel passaggio
da Adam Smith a John Stuart Mills ci siamo persi tutta la parte
irrazionale dell'uomo a favore dell'agente economico, l'homo
economicus che ha occupato la teoria neoclassica», spiega Riccardo
Viale, visiting fellow alla Columbia University di New York e
direttore della rivista Mind & Society. Mentre — spiega ancora —,
sono proprio gli Animal Spirits di Keynes a illustrare e a rendere
più evidenti le instabilità del capitalismo.
Così come alla stessa maniera l'invisibile mano del mercato era il
punto centrale della teoria classica economica. Con un problema, che
negli anni Settanta nella teoria di Keynes, o meglio nella sua
rilettura e applicazione, gli Animal Spirits hanno pian piano
iniziato a perdere di importanza fino ad avere rilevanza quasi nulla
in economia. E così i pensieri, le idee, i sentimenti delle persone
hanno perso peso. Aspetti degli Animal Spirits (così viene
sottolineato nel libro di Akerlof e Shiller) come la fiducia, la
correttezza, l'illusione del guadagno, la corruzione e la malafede e
soprattutto le storie che rendono gli uomini tali, hanno finito per
essere sovrastati da comportamenti totalmente razionali o presunti
tali. Tanto che la crescita abnorme di oltre il 60% dei prezzi delle
case tra il 2000 e il 2006 in America è arrivata a essere
completamente ignorata.
Come pure il fatto che le banche avessero potuto non inserire nei
loro bilanci i mutui super sofisticati, i subprime, sembrava
anch'essa questione non importante.
Il mantra era che il mercato
dovesse essere lasciato libero di agire. Un mantra che aveva
iniziato a esplicarsi potentemente dagli anni Settanta,
dall'elezione di Margareth Thatcher fino a quella di Ronald Reagan
per poi diffondersi in tutto il mondo. Con il risultato che oggi, di
fronte alla pesantissima crisi, si assiste a un ingresso potente dei
governi in territori dai quali erano stati emarginati. Correndo per
questo il rischio opposto: che la creatività insita nei
comportamenti irrazionali venga soffocata e il mercato ripudiato a
favore dell'onnipotenza dei governi.
 |
Fonte
- Corriere della Sera
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EUROPA DELL'EST: I
PAESI A RISCHIO E LE AZIENDE PIU' ESPOSTE
01 Marzo 2009 20:46 MILANO
-
di Fabio Pavesi ______________________________________________
Rischia di essere una nuova tempesta, che si va a
sommare al quadro già di per sé cupo dell'economia e della
finanza mondiali. Lo smottamento dei Paesi dell'Est Europa, al
centro del vertice Ue di domenica, è una situazione assai grave.
Basta scorrere qualche indicatore macro-economico di quell'area
per renderesene conto.
Secondo un recente studio di Credit Suisse nella classifica dei
Paesi a più alta vulnerabilità ben 9 Stati sui primi 14
appartengono proprio a quella fetta di mondo. Bulgaria, Lituania
ed Estonia dovrebbero mostrare quest'anno un deficit corrente
assai pronunciato. Attestato al 18% del Pil per la Bulgaria; al
15% per la Lituania e al 5% per l'Estonia. Anche Romania e
Lettonia vedranno i loro conti dissestati con una stima per il
2009 di un buco delle partite correnti equivalente all'11% per
la Romania e del 6% per il paese baltico.
Ungheria, Polonia, Ucraina dovrebbero attestarsi su un deficit
del 4-5%. Ma non è solo la condizione dei conti pubblici a
preoccupare. Queste economie risentono profondamente del
contributo estero alla crescita del prodotto interno. Basti
pensare che in media l'area deve agli investimenti oltre
frontiera il 50% della ricchezza prodotta con i picchi
dell'Ungheria dove il contributo derivante dall'estero conta per
il 99% del Pil. E la caduta impressionante delle valute locali
ha, secondo gli analisti di Credit Suisse, ulteriormente
accresciuto questa dipendenza che sfora ormai quota 134% per
l'Ungheria, arriva al 69% per la Romania e al 77% per la
Polonia. Escludendo la Russia, l'ammontare delle risorse estere
per l'area dell'Europa dell'Est tocca la cifra dei mille
miliardi di dollari, di cui 200 miliardi in scadenza nel corso
del 2009.
Non solo. La tenuta del Pil è in forte contrazione. Per l'area
Emea le stime indicano per il 2009 una riduzione della crescita
dall'1,6% precedentemente stimato a solo lo 0,4% con Ungheria,
Turchia e Ucraina che soffriranno assai più della media. Se il
quadro macro-economico appare in violento deterioramento è ovvio
che si valutino le conseguenze per gli investitori. Gli analisti
di Credit Suisse giudicano il quadro delle Borse per l'immediato
futuro particolarmente preoccupante e consigliano di stare
lontani da quelle società che hanno un parte importante del loro
giro d'affari realizzato in quei Paesi (vedi tabella sotto).
Nell'elenco di chi rischia di più, per il forte peso nell'area,
figura il Gotha della finanza e dell'industria dell'Europa
Occidentale. Da Erste Group la capofila con il 65% dei suoi
ricavi che vengono dall'Est alle Telecom con il drappello di
Telekom Austria; Telenor; TeliaSonera fino a Deutsche e France
Telecom rispettivamente con il 25% dei ricavi e il 17%. Tra le
banche spicca Allied Irish (35% dei ricavi fatti nell'Est
Europa) l'italiana Unicredit con il 32% del giro d'affari che
proviene dall'area seguita da Dexia (14%); Seb e IntesaSanpaolo
(12%). Nutrita la pattuglia dei titoli automobilistici con
Renault al primo posto: fattura il 20% dei suoi ricavi nell'Est
del Continente. Volkswagen, Peugeot e Fiat seguono con cifre
intorno al 10%.
Nella tabella sono indicate e la percentuale di ricavi
realizzati nell'Est Europa sul totale dei ricavi
Erste Group Bk 65%
Telekom Austria 39
Telenor Asa 39
Teliasonera 39
Allied Irish Bank 35
Unicredit 32
Deutsche Telekom 25
Renault 20
France Telecom 17
Henkel 15
Groupe Danone 15
Dexia 14
Seb 13
Tesco 13
Intesa Sanpaolo 12
Baiersdorf 12
Volkswagen 11
Sandvik 10
Peugeot 9
Fiat 9
Fonte
- Il
Sole 24 Ore
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USA:
lavoro, le condizioni restano critiche
06 Marzo 2009 16:42 NEW YORK - di
APCOM
________________________________________
Nessuna prospettiva di recupero prima della fine dell'anno. E cio'
nella migliore delle ipotesi. Continuano i licenziamenti. Economia
in un circolo vizioso, e' una spirale che si avvita al ribasso.
Il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti e’ balzato all’8,1% nel
mese di febbraio, sui livelli piu’ alti dal 1983, con il mercato del
lavoro che ha perso 651 mila posti. Entrambe le cifre sono peggiori
delle attese degli analisti e il rapporto del Dipartimento del
Lavoro mostra che gli americani continuano ad essere travolti da
un’ondata di licenziamenti. La perdita netta registrata in febbraio,
infatti, giunge dopo una dato che e’ stato persino peggiore nei due
mesi precedenti, quando l’economia Usa ha perso 681 mila posti a
dicembre e 655 mila a gennaio.
Con la recessione che sta compromettendo vendite e profitti, le
aziende stanno apportando tagli al personale a un ritmo
preoccupante, cercando altri sistemi per abbassare i costi, come ad
esempio riducendo le ore lavorative, congelando gli stipendi o
abbassando l’ammontare dei soldi in busta paga. Anche gli altri
paesi hanno i loro problemi economici e questo si riflette sulle
spese dei clienti, sia statunitensi che all’estero, sempre meno
spinti a mettere mano al portafogli.
Dall’inizio della recessione, a dicembre 2007, l’economia
statunitense ha perso l’impressionante cifra di 4,4 milioni di posti
di lavoro, piu’ della meta’ dei quali negli ultimi quattro mesi. I
datori di lavoro sono sempre piu’ restii ad assumere, il tasso di
disoccupazione e’ pertanto salito ancora, all’8,1% dal 7,6% di
gennaio. Si tratta del livello piu’ alto da dicembre 1983, quando si
attesto’ all’8,3%.
Il numero di disoccupati e’ cosi’ salito a 12,5 milioni.
Il numero
di persone costrette a lavorare part time per "motivi di tipo
economico" e’ cresciuto di 787 mila unita’ a 8,6 milioni. Si tratta
di persone che vorrebbero lavorare full time e che invece si sono
viste ridurre le ore lavorative oppure che non sono riuscite a
trovare un lavoro a tempo pieno. Nel frattempo a febbraio la
settimana lavorativa si e’ attestata in media a 33,3 ore,
eguagliando il minimo record stabilito a dicembre.
La crisi del mercato del lavoro riguarda quasi tutti i settori. Le societa’ di costruzioni hanno tagliato 104 mila posti. Le fabbriche
hanno lasciato a casa 168 mila persone. Le societa’ di vendite al
dettaglio hanno ridotto il personale di quasi 40 mila unita’.
L’industria dei servizi aziendali e professionali ha perso 180 mila
posti, di cui 78 mila nelle sole agenzie di lavoro interinale. Gli
istituti finanziari hanno perso 44 mila dipendenti. Il settore del
turismo e dell’intrattenimento ha visto una perdita di 33 mila
posti.
Le uniche aree risparmiate sono state quelle dei servizi
all’istruzione e alla salute, come pure il settore governativo, i
cui tassi di occupazione sono aumentati il mese scorso.
La perdita
di posti di lavoro, unita alla crisi immobiliare e alla perdita di
benessere dei nuclei familiari, ha inevitabilmente costretto i
consumatori a ridurre le spese, spingendo di conseguenza le aziende
a ridurre la forza lavoro per risparmiare. E’ un ciclo vizioso nel
quale tutti i problemi dell’economia si alimentano l’uno con l’atro,
peggiorando la situazione, avvitando la spirale al ribasso.
Nuovi tagli sono stati annunciati anche questa settimana. General
Dynamics ha riferito che ridurra’ il personale di 1.200 posti, in
parte a causa del calo delle vendite di jet privati e aziendali, che
hanno costretto l’azienda a tagliare la produzione. Riduzioni del
personale sono state annunciate anche dalla societa’ di difesa
Northrop Grumman e da Tyco Electronics, che produce strumenti
elettronici, sistemi per la telecomunicazione subacquea e
apparecchiature wireless.
Il paese e’ stretto nella morsa contemporanea della crisi
immobiliare, della crisi del credito e finanziaria, la peggiore
dalla Grande Depressione, negli anni trenta. E non sembra esserci
alcuna via d’uscita, secondo gli economisti, che possa favorire un
rapido recupero.
Nel tentativo di trascinare il paese fuori dalla recessione, il
presidente Barack Obama ha lanciato un pacchetto di misure da $787
miliardi per rilanciare l’economia, che comprendera’ tagli fiscali e
un incremento delle spese federali, un piano multimiliardario per
salvare le travagliate banche del paese e uno sforzo economico da
$75 miliardi per aiutare le famiglie a rispettare i pagamenti dei
loro mutui e mantenere quindi la propria casa.
Anche nel piu’ ottimista dei casi, in cui gli esborsi economici
porteranno gli effetti desiderati, la recessione finirebbe alla fine
del 2009, con il tasso di disoccupazione che e’ visto in rialzo sino
almento al 9% quest’anno. La Federal Reserve, infatti, ritiene che
il tasso di disoccupazione rimarra’ su livelli elevati fino al 2011.
Secondo gli economisti il mercato del lavoro potrebbe anche non
tornare alla normalita’, ovvero ad un tasso di disoccupazione del
5%, prima del 2013.
Le aziende non torneranno ad assumere nuovo personale fino a che non
saranno certe di un recupero dell’economia. Economia che ha subito
una contrazione del 6,2% negli ultimi tre mesi del 2008 - il peggior
risultato in un quarto di secolo - e che probabilmente continuera’ a
deteriorarsi nei primi sei mesi dell’anno.
In un intervento tenuto davanti al Congresso, il presidente della
Fed, Ben Bernanke, ha detto che gli ultimi inidicatori economici
indicano "pochi segnali di miglioramento", e che "le condizioni del
mercato del lavoro potrebbero essere ulteriormente peggiorate nelle
ultime settimane".
 |
Fonte
- APCOM
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Perché
il Dollaro è destinato a
rivalutarsi contro l'€uro
09 Marzo 2009 22:40 MILANO - di
Francesco Arcucci
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La stragrande maggioranza degli economisti prevede una netta
flessione del dollaro statunitense nel prossimo futuro.
L’abbassamento del cambio euro/dollaro a partire dall’estate 2008
dal livello di 1,60 a 1,30 sarebbe a loro avviso una reazione
temporanea e fisiologica alla grande cavalcata della moneta europea
da 0,83 a 1,60 avvenuta nell’arco di oltre sei anni e cioè dal 2002
alla metà del 2008.
Del resto la moneta americana ha un passato di moneta debole contro
le maggiori valute del nostro Continente. All’inizio degli anni 1970
un dollaro valeva 4 marchi e una lunga scivolata, interrotta solo da
poche e brevi riprese, l’ha portato a valere (fatte le debite
proporzioni con l’euro) circa 1,30.
Inoltre, la generalità degli economisti sottolinea altri fattori di
debolezza della moneta americana, come il grande deficit della
bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, che non sembra
congiunturale, ma addirittura strutturale, e la tendenza della Fed
di mantenere i tassi di interesse al di sotto di quelli prevalenti
in Europa. Milita, infine, a favore dell’indebolimento del dollaro
il rischio che il medesimo perda lo status di moneta di riserva che
comporta il suo uso da parte delle banche centrali di tutto il mondo
nella denominazione dei loro crediti sull’estero.
Nonostante queste ragioni e l’autorevolezza di coloro che prevedono
un ribasso, io sono convinto che
il dollaro si rafforzerà e di molto
e il motivo risiede soprattutto nella grandissima crisi economica
che stiamo attraversando e che ha scompaginato le cose.
Oggi, a mio avviso, i Paesi principali si dividono in 3 gruppi. Il
primo è formato da un Paese solo, gli Stati Uniti che, nonostante
tutte le dichiarazioni in contrario rilanciate dai media, godono e
continueranno a godere dello status di riserva della propria moneta
e cioè del privilegio straordinario di pagare i debiti con la moneta
che essi stessi creano.
Washington, cioè, quando si trova in una situazione di difficoltà,
come adesso, può fare ricorso all’espansione della base monetaria
ottenendo credito senza limite, sia all’interno del Paese, sia
all’estero attraverso la funzione rivestita dal dollaro
internazionalmente. Le banche centrali degli altri Paesi spesso
protestano e minacciano di non acquistare più dollari, ma di fatto
non sono in grado di trovare un’alternativa valida per denominare le
proprie riserve di liquidità internazionale.
Si parla di Bretton
Woods 2, di rimonetizzazione dell’oro e qualcosa probabilmente si
farà in questa direzione, ma il dollaro è il re delle riserve ed è
destinato a rimanerlo chissà per quanto tempo.
Nel secondo gruppo vi sono altri Paesi che dispongono di una banca
centrale a livello nazionale, come la Gran Bretagna, il Giappone, la
Svezia, la Svizzera, etc. Anche il Tesoro di questi Paesi può
ottenere credito senza limiti, ma solo a livello nazionale. La
sterlina, lo yen, la corona svedese, il franco svizzero non sono
monete di riserva e non consentono ai governi di quei Paesi lo
stesso potere monetario degli USA.
E poi vi sono i Paesi dell’Eurozona. Il Tesoro di questi Paesi non
può godere dell’appoggio della Bce. In una situazione normale questa
impossibilità della Bce di esercitare la politica del debito
pubblico potrebbe essere considerata come un fatto positivo per la
stabilità dell’euro non soggetto agli eventuali capricci della
politica.
Ma in condizioni eccezionali come quelle presenti le cose vanno
diversamente. In altre parole: la Bce non è soggetta ne’ all’obbligo
di finanziare il Tesoro (il cosiddetto "matrimonio"), ne’ dispone
del diritto di finanziarlo solo se lo desidera (il cosiddetto
"divorzio"). Per la Bce l’obbligo è tout court quello di non
finanziare gli Stati. Sono tre gradi diversi di rapporto banca
centrale/Tesoro ma, a mio avviso, l’unico coerente con la gravità
della crisi economica è il primo. Per questo io sono prudentemente
ottimista sugli Stati Uniti e pessimista sull’Europa e specialmente
su Eurolandia, dove alcuni Paesi, purtroppo, sperimenteranno che,
senza la ciambella di salvataggio della banca centrale, è ben
difficile restare a galla. Con conseguente grande rialzo della
moneta USA e grande ribasso per l’euro.
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Fonte
- La Repubblica
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Ma
non cambierà nulla se non si spara ad alzo zero sui titoli
tossici
09 Marzo 2009 22:11 ROMA - di
Mario Lettieri e Paolo Raimondi
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Nessuno è ancora in grado di quantificare con certezza
l'ammontare complessivo dei titoli tossici contenuti nel ventre del
sistema bancario americano e mondiale. Anche lo stesso presidente
della Federal Reserve fa capire che le cifre sarebbero di gran lunga
superiori a quelle indicate dalla stampa.
Pertanto, la manovra
americana complessivamente superiore a 4.000 miliardi di dollari,
come sostiene anche l'economista Nouriel Roubini della New York
University, non riesce minimamente a incidere positivamente sulla
salute delle banche e delle assicurazioni insolventi.
La ragione profonda non sta solo nei loro bilanci dissestati, ma
nelle voragini gigantesche dei derivati OTC (Over The Counter), i
titoli tossici che sono tenuti fuori bilancio.
Soltanto le prime tre banche americane, JP Morgan Chase, Citibank e
Bank of America, vantano, secondo l'istituto statale del Comptroller
of the Currency, 162.000 miliardi di dollari in derivati OTC, pari a
11 volte e mezzo il PIL USA.
Molti economisti ritengono che non ci
sia più tempo da perdere e che l'unica soluzione sia la
nazionalizzazione delle banche. Il che la dice lunga per lo stato
più liberista del mondo. E questa strada è stata imboccata anche
dalla Gran Bretagna, dalla Germania e da altri in Europa.
Ma la vera questione è cosa si nazionalizza. Si nazionalizzano anche
i derivati OTC? Sarebbe, a nostro modesto avviso, sicuramente la
bancarotta dello stato americano. Ciò comporterebbe delle
conseguenze tanto drammatiche anche a livello mondiale che non
vorremmo nemmeno immaginare.
La soluzione più razionale che lentamente incomincia a profilarsi, e
ci auguriamo sia oggetto prioritario del prossimo G20, dovrebbe
essere il congelamento immediato e concordato dei derivati OTC e la
sospensione di tali operazioni sui mercati internazionali, a partire
dall'America, dall'Europa e dal Giappone. E' una decisione che
spetta solo ai governi.
Quando gli stati sono chiamati ad intervenire non c'è più
concorrenza che tenga ma solamente assunzione di responsabilità e
volontà di raggiungere accordi condivisi.
Questa dovrebbe essere la
prima e immediata scelta propedeutica all'avvio della Nuova Bretton
Woods. Le nuove regole, i nuovi controlli sui movimenti dei
capitali, la lotta i paradisi fiscali e tutte le altre misure
antispeculative sono scelte necessarie ma dopo aver incominciato a
far pulizia dei titoli tossici.
Purtroppo, l'Europa dei 27 nel recente summit di Bruxelles non è
riuscita ad adottare decisioni condivise, anche in relazione ai
riverberi della crisi finanziaria sulle deboli strutture bancarie
dei paesi dell'Est, come invece sarebbe stato necessario. Se queste
crollano, altro che nuove cortine di ferro! E anche il sistema
bancario europeo, a cominciare da quello tedesco, è in grande
fibrillazione perché ha rincorso la City di Londra e Wall Street
nella frenesia speculativa sui derivati, accumulando titoli tossici
che stanno aggredendo l'intera economia reale, non solo il settore
dell'auto.
Per l'Europa sarebbe una sfida e anche una spinta a una maggiore
unità se decidesse la creazione di un Fondo economico di sviluppo
comune, capace di emettere euro bond a bassi tassi di interesse e a
lungo termine per finanziare infrastrutture moderne, nuove
tecnologie e la crescita economica delle regioni europee
economicamente ancora deboli come il nostro Mezzogiorno.
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Fonte
- La
Stampa
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CARTE DI CREDITO:
ECCO LA NUOVA CRISI. PAROLA DI MEREDITH WHITNEY
10 Marzo 2009 16:03 NEW YORK
-
di REUTERS ______________________________________________
Parla la ex analista di Oppenheimer, conosciutissima negli
ambienti di Wall Street. "Le linee di credito continueranno ad
essere ridotte in tutto il sistema", ci troveremo a fare i conti
con un nuovo "credit crunch".
Le carte di credito "rappresenteranno il prossimo credit crunch",
a causa della contrazione delle linee di credito, che abbasserà
la spesa dei consumatori colpendo l'economia Usa. Parola della
nota analista finanziaria Meredith Whitney.
"Ci sono pochi dubbi sull'importanza della spesa dei consumatori
per l'economia Usa e i suoi molteplici effetti sull'economia
globale, ma quello che è sotto stimato è il ruolo della
disponibilità delle carte di credito in quella spesa", ha
scritto Whitney sul Wall Street Journal. Benché il credito si
sia esteso "troppo liberamente negli ultimi 15 anni" e che la
razionalizzazione dei prestiti sia inevitabile, ciò che occorre
evitare è "togliere il credito alla gente che ha la capacità di
pagare i propri conti", ha spiegato Whitney, AD di Meredith
Whitney Advisory Group.
Whitney ha aggiunto che le linee di disponibilità si sono
ridotte di circa 500 miliardi di dollari solo nel quarto
trimestre del 2008; stima poi che oltre 2.000 miliardi di
dollari di linee saranno tagliate nel 2009 e un'ulteriore
riduzione di 2.700 miliardi si registrerà entro la fine del
2010.
"Inevitabilmente, le linee di credito continueranno ad essere
ridotte in tutto il sistema, ma la velocità a cui sta già
avvenendo e continuerà ad avvenire avrà conseguenze sulla
fiducia dei consumatori, sulla spesa e su tutta l'economia",
scrive ancora Whitney. Negli ultimi 20 anni, gli americani hanno
usato le carte di credito come uno strumento di cash-flow, ha
aggiunto, sottolineando che il 90% degli utenti le usa in
modalità "revolving" (ossia che consentono di rimborsare a rate
il saldo di fine mese) almeno una volta all'anno e oltre il 45%
ogni mese.
Fonte
- REUTERS
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Guerra
o Tsunami? La finanza non sarà mai più
la stessa
12 Marzo 2009 02:28 LUGANO - di
Alfonso Tuor
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Il risultato del vertice del G20 che si terrà a Londra il
prossimo 2 aprile sarà molto probabilmente solo quello di tenere
aperta la strada di una soluzione multilaterale della crisi
economica che ormai tocca in modo sempre più pesante ogni angolo del
mondo.
Vi sarà un pressante invito degli americani ad ampliare le
dimensioni dei piani nazionali di rilancio dell’economia, che si
scontrerà con la resistenza tedesca, e verranno stabiliti alcuni
principi che dovranno guidare la riforma dei meccanismi di
funzionamento e di supervisione dei mercati finanziari.
Questi risultati, a prima vista molto deludenti, non sono
assolutamente secondari. Per quali ragioni? Innanzitutto, tenere
aperta la strada di una risposta comune deve essere considerato un
successo, poiché la forza della recessione spinge ogni paese a
pensare unicamente per sé. In secondo luogo, ogni riforma dei
mercati finanziari non può essere disgiunta dal riconoscimento degli
squilibri e dalla definizione di un nuovo assetto del sistema
monetario internazionale.
In pratica, occorre una nuova Bretton Woods, per strutturare una
riforma seria e duratura dei mercati finanziari. I tempi però non
sono ancora maturi per affrontare un’opera di quest’ampiezza. La
conferenza di Bretton Woods ebbe luogo nel 1944, quando non solo era
scontato l’esito del secondo conflitto mondiale, ma era anche
evidente che gli Stati Uniti sarebbero stati la maggiore potenza del
mondo occidentale. Oggi, invece, sono assolutamente imprevedibili i
tempi e gli sbocchi di questa crisi, che è già stata da molti
paragonata ad una guerra per l’ampiezza delle devastazioni che
provocherà nel tessuto economico e sociale del mondo. Inoltre, non
sono ancora manifeste le conseguenze che produrrà sugli equilibri
geopolitici.
Insomma il G20 cade nel mezzo della guerra scoppiata in tutti i
Paesi per evitare che le follie della nuova ingegneria finanziaria
portino ad una nuova Grande Depressione. Questa guerra è in pieno
corso (è cominciata nell’estate del 2007 con lo scoppio della crisi
dei mutui ipotecari subprime) e ora a un anno e mezzo di distanza
nessuno sa ancora quali armi usare e soprattutto quale strategia
seguire per vincerla. In questo marasma generale si cerca di
guadagnar tempo, procedendo con la politica dei cerotti per turare
le falle che continuano ad aprirsi a destra e a manca.
L’attenzione di governi e banche centrali non è quindi focalizzata
sul mondo che uscirà da questa crisi (che sarà completamente diverso
da quello che ci stiamo lasciando alle spalle), ma sull’urgenza di
trovare soluzioni rapide ai problemi più pressanti sul tappeto.
In questo campo sono da mettere in risalto importanti progressi.
Questi riguardano il nodo della crisi bancaria, la cui soluzione è
una premessa indispensabile, per concentrarsi in seguito sul
rilancio dell’economia. Il centro del dibattito è negli Stati Uniti,
dove si sta formando un ampio consenso su due questioni cruciali.
La
prima è che la politica dei salvataggi degli istituti bancari
attuata finora non produce alcun risultato, poiché non serve a
frenare la vera e propria caduta dell’economia e non migliora lo
stato di salute delle banche.
La seconda questione è la consapevolezza ormai diffusa che nelle
pieghe dei bilanci delle banche vi è un vero e proprio buco nero che
rischia di risucchiare tutte le risorse disponibili anche di un
Paese grande e potente come gli Stati Uniti.
Questo fondato timore
ha già indotto sia l’amministrazione Obama sia alcuni importanti
esponenti repubblicani ad escludere l’ipotesi di nazionalizzare le
banche in crisi. E ciò sta frenando anche il decollo del piano salvabanche presentato dal ministro del Tesoro Tim Geithner. Non si
tratta tuttavia di una situazione di stallo.
In campo sono scesi alcuni leader repubblicani, come James Baker, il
segretario al Tesoro di Ronald Reagan e il segretario di Stato di
Bush padre, che ha invitato l’amministrazione Obama a concludere
l’esame delle condizioni di salute dei maggiori istituti americani
(il famoso «stress test») con la loro suddivisione in tre categorie:
le banche sane, le banche che hanno bisogno di aiuto (che dovrebbero
essere sostenute dal governo) e quelle senza speranza, che
dovrebbero essere chiuse.
James Baker, nell’articolo apparso sul Financial Times dello scorso
2 marzo, specifica addirittura che l’amministrazione americana
dovrebbe avvertire i governi europei e asiatici ed esortarli a
seguire la stessa strada. L’annuncio della chiusura di alcune grandi
banche americane e di alcuni istituti europei ed asiatici dovrebbe
avvenire, secondo James Baker, nello stesso giorno per ridurre la
violenza dello tsunami che si abbatterebbe sui mercati finanziari di
tutto il mondo e che sicuramente lascerebbe poche speranze di
sopravvivenza a molte banche europee e anche alle grandi banche
svizzere.
La proposta di Baker è stata rilanciata negli scorsi giorni dal
candidato alla Casa Bianca John McCain e dal senatore Richard Shelby,
che è il capogruppo repubblicano nella Commissione bancaria.
Questi
interventi confermano che negli Stati Uniti stanno maturando
soluzioni drastiche per risolvere la crisi delle banche e che queste
proposte sono anche al centro delle discussioni della nuova
amministrazione democratica.
Barack Obama giustamente tentenna di fronte a queste proposte, che
presentano un rischio molto concreto di innescare una catena di
fallimenti non solo bancari, ma anche di aziende. Non solo negli
Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Una mossa di questo genere non
studiata a fondo potrebbe far sprofondare in pochi giorni il mondo
in depressione.
Le banche sono interconnesse tra loro e il fallimento di istituti
come Citigroup e Bank of America rischierebbe di provocare un
effetto domino con conseguenze difficilmente immaginabili. Per
intenderci, l’effetto sarebbe un multiplo di quello del fallimento
della Lehman Brothers. Vi sono altre proposte che vanno nella stessa
direzione avanzate da esponenti democratici.
Sebbene non siano univoche, si possono riassumere in questo modo.
Bisogna innanzitutto individuare delle «good bank»,
che dovrebbero
avere libero accesso ai canali di finanziamento statali e che
sarebbero chiamate a rilevare e a garantire l’attività creditizia
degli istituti che falliranno, in modo da attutire l’impatto
sull’economia reale. Queste banche avrebbero una funzione pubblica:
fornire credito e servizi ai cittadini e alle imprese.
Contemporaneamente bisognerebbe azzerare tutti i derivati e gli
altri strumenti della nuova ingegneria finanziaria, il cui valore
sarebbe in ogni caso azzerato dai fallimenti bancari. In
quest’ottica si creerebbe all’istante un nuovo sistema finanziario,
il cui scopo sarebbe il sostegno dell’economia reale.
Di fronte alla portata di queste scelte i tentennamenti di Barack
Obama devono essere considerati una dimostrazione di saggezza. È
anche prevedibile che il nuovo presidente americano cerchi di
rinviare ogni scelta di questo genere il più a lungo possibile,
aspettando che il sistema bancario continui ad implodere per creare
un consenso anche nell’opinione pubblica americana
sull’ineluttabilità di scelte drastiche. E’ evidente che di fronte a
questi possibili scenari il vertice del G20 di Londra può produrre
solo pochi risultati. Il disegno del nuovo sistema finanziario e
monetario internazionale potrà essere fatto solo quando saranno
sciolti questi nodi.
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Fonte
- Corriere del Ticino
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Martedì
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2009 |
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Giovedì
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Sabato 21
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SCANDALO MADOFF:
"SONO COLPEVOLE", ORA RISCHIA 150 ANNI DI CARCERE
12 Marzo 2009 16:31 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Il finanziere responsabile del maxi crack da $50 miliardi ha
ammesso la colpevolezza in tutti e 11 i capi d'accusa. In aula
sono seduti alcuni degli investitori da lui truffati.
Il finanziere Bernard Madoff si e' dichiarato colpevole rispetto
a tutti e 11 i capi d'accusa di fronte alla Corte federale di
Manhattan, a New York, nel corso del processo a suo carico per
frode finanziaria, probabilmente la maggiore della storia di
Wall Street.
La dichiarazione di colpevolezza era attesa e ora, riferiscono
gli inquirenti, Madoff rischia una sentenza che lo condannerebbe
fino a 150 anni di carcere.
Lo scandalo ha trasformato l'imprenditore - coinvolto in una
maxi truffa da circa 50 miliardi di dollari - da apprezzato
gotha della finanza a sinonimo della crisi economica, diventando
oggetto delle proteste dei tanti investitori che hanno investito
nei suoi fondi.
Gli 11 capi d'accusa che pendono sull'imputato, che ha passato
gli ultimi tre mesi agli arresti domiciliari nel suo
appartamento di lusso di Manhattan da 7 milioni di dollari,
comprendono frode, falsa testimonianza e truffa, nell'ambito di
un piano che prevedeva due conti internazionali di riciclaggio
di denaro.
Appena iniziato il processo, Madoff ha chiesto se poteva avere
dell'acqua. Dopo la dichiarazione di colpevolezza, il giudice
Denny Chin ha chiesto all'imputato di raccontare nel dettaglio i
meccanismi dell'operazione che ha fatto evaporare i risparmi di
migliaia di investitori, da piccoli risparmiatori a celebrita'.
La dichiarazione di colpevolezza giunge tre mesi dopo che l'Fbi
ha reso noto che Madoff aveva ammesso davanti ai suoi figli che
il suo rinomato e richiesto fondo di investimento in realta' era
tutta una truffa, uno schema di Ponzi, ovvero una piramide da
miliardi di dollari.
Dal suo arresto a dicembre lo scandalo ha trasformato il 70enne
ex presidente del Nasdaq in un poveraccio, che e' stato
costretto ad indossare un giubotto antiproiettile per recarsi
all'udienza in tribunale.
Lo schema architettato da Madoff ha mandato in fumo i risparmi
di molti e a quanto sembra ha spinto due investitori a tentare
il suicidio. Tra le vittime della truffa figurano tante
celebrita', tra cui gli attori Kevin Bacon e Kyra Sedgwick, e il
premio Nobel per la Pace Elie Wiesel.
Fonte
- WallStreetItalia
SCHEDA -
Cinque
fatti sul segreto bancario svizzero
13 Marzo 2009 13:27
-
di Reuters ______________________________________________
ZURIGO (Reuters) - Di seguito cinque fatti sul segreto bancario
in Svizzera, le cui banche hanno raccolto una stima di 2.000
miliardi di ricchezza da clienti stranieri, attirati almeno in
parte delle sue severe leggi sulla privacy: SEGRETO BANCARIO -
Condividere informazioni bancarie su clienti è un reato penale
in Svizzera. Alle banche è vietato fornire direttamente dati dei
clienti alle autorità straniere, anche se lo richiedono. La
protezione della Svizzera sul segreto bancario risale al 1934,
quando passò una legge che impone forti pene, fino al carcere,
per chi la infrange. FRODE ED EVASIONE FISCALE - Al contrario
della maggior parte dei paesi nel mondo, le leggi svizzere
distinguono tra frode ed evasione fiscale. La frode fiscale è un
reato penale che prevede la creazione di documenti per celare il
reddito. L'evasione fiscale, che è definita come una mancata
dichiarazione dei redditi alle autorità fiscali svizzere, è un
reato amministrativo, punibile con una multa. La legge accetta
che i cittadini talvolta possano dimenticare dati o fare errori.
CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI FISCALI - La Svizzera può
condividere informazioni fiscali secondo alcuni trattati firmati
con gli Stati Uniti e altri paesi. Finora ha condiviso
informazioni soprattutto per le frodi. IL CASO DI UBS - UBS, la
più grande banca svizzera, è diventata l'obiettivo di
un'indagine Usa che accusa l'istituto di aver aiutato migliaia
di americani a nascondere soldi alle autorità in conti svizzeri.
In un accordo storico, Ubs ha pagato 780 milioni di dollari di
multa a febbraio. Berna si è anche accordata per il
trasferimento agli Usa di poche centinaia di nomi di clienti Ubs
anche prima che un tribunale svizzero decidesse se fosse stata
commessa una frode. DIRETTIVE UE - La Svizzera consente ai
possessori di conti Ue di mantenere i loro affari segreti
pagando una ritenuta d'imposta sui redditi da risparmio. La
Svizzera condivide la parte essenziale dei ricavi raccolti in
questo modo con i maggiori governi Ue senza rivelare l'identità
dei correntisti Ue. La questione è regolata in base alla
direttiva Ue in materia di tassazione sui redditi da risparmio.
Fonte
- Reuters
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Europa
dell'EST, pessimo affare o tempesta
perfetta?
15 Marzo 2009 21:43 MILANO - di
Giuseppe Turani
________________________________________
L´Europa alla fine si rivelerà come il buco nero della
perfetta tempesta che ha investito il mondo? Sembrerebbe proprio di
sì, contrariamente a quanto dicono i governanti. Secondo chi ha in
mano le redini dei vari governi europei noi saremmo abbastanza al
sicuro perché ci troviamo ai margini del terremoto che ha sconvolto
la finanza e l´economia del mondo intero. Ma sembra proprio che ci
si stia avviando in un´altra direzione.
A sei mesi di distanza (cioè da metà settembre del 2008, fallimento
della Lehman) dall´inizio della fase più acuta della crisi, si può
cominciare a fare un bilancio, anche se del tutto provvisorio.
Se si
parte da Est, si vede che la Cina probabilmente riuscirà anche nel
2009 ad avere una crescita dell´8 per cento (al posto dell´abituale
12 per cento). L´obiettivo non è facile da raggiungere, ma i
dirigenti cinesi ne hanno fatto un obiettivo assolutamente non
rinunciabile e stanno immettendo nel loro sistema stimoli molto
forti, riservandosi di andare ancora oltre se necessario. E quindi è
possibile che alla fine riescano nel loro intento.
La determinazione cinese, peraltro, aiuta molto un po´ tutta l´area
asiatica e reggere, in qualche modo, l´urto della crisi.
Se dalla
Cina ci si sposta in America, si vede che la situazione è ancora
molto pesante: ormai le richieste di sussidi settimanali di
disoccupazione sono regolarmente oltre le 600 mila unità. E il tasso
complessivo di disoccupazione sta andando verso il 9 per cento. Il
primo trimestre negli Stati Uniti sarà, a detta di tutti gli
osservatori, molto duro. Ma tanto il governo Obama quanto la Federal
Reserve stanno immettendo in quell´economia tanto di quel denaro e
tanti stimoli che alla fine i risultati verranno.
Nessuno, comunque, potrà evitare all´America di conoscere nel 2009
un arretramento almeno del 2,7 per cento (previsioni di Consensus) e
una disoccupazione vicina o sopra il 10 per cento. Ma poi la sorte
dovrebbe girare, e i conti dovrebbero tornare positivi in misura
significativa (con una crescita vicino al 2 per cento, nel 2010).
L´Europa, da molti descritta come un´isola felice, battuta non dalla
tempesta, ma da placide onde e da un rassicurante vento di bonaccia,
nel 2009 rischia una mezza catastrofe con un Pil che crolla del 3,6
per cento (previsione di Goldman Sachs) e con la sua principale
economia (quella tedesca) che potrebbe precipitare già anche del 5,2
per cento (determinando una specie di strage imprenditoriale nel
nostro Nord Est, legatissimo all´economia tedesca). L´Italia,
comunque, dovrebbe andare giù del 3,2 per cento (ma c´è chi dice che
si arriverà, purtroppo, al 3,6 per cento).
La disoccupazione nell´area euro arriverà al 10 per cento. E questo
non è ancora tutto. I pessimi risultati appena visti sono dovuti,
sostanzialmente, al crollo delle economie dell´Est Europa. Economie
abbondantemente finanziate negli anni scorsi dai paesi europei. Ed è
proprio qui che si annida la coda del diavolo. Infatti, se il resto
del mondo sembra aver messo la crisi sotto controllo (pagando i
pesanti prezzi che bisogna pagare), nell´Est Europa tutto è ancora
avvolto nella nebbia, tutto può ancora succedere, anche il peggio.
Persino il default di qualche paese sovrano. E, se sarà qualcosa di
grave, alla fine si ribalterà proprio sull´Europa, contribuendo
ancora di più a spedirla a terra.
E infatti, se oggi nel mondo esiste un´area a rischio, questa è
proprio l´Europa. Non per errori propri (che sono stati abbastanza
limitati), ma perché il Vecchio Continente rifiuta di vedere con
chiarezza i rischi che vengono da Est ed è troppo timido
nell´affrontarli. E domani quelli che sembravano i territori della
speranza, gli ex-paesi satelliti dell´Urss, rischiano di esplodere
in una nuvola di fumo e di fiamme, bruciando miliardi e possibilità
di crescita. Insomma, non siamo ai margini della perfetta tempesta.
Siamo proprio dove sta arrivando, forse, l´onda più forte.
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Fonte
- La Repubblica
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La crisi finanziaria
scatena il malcontento in Europa
16 Marzo 2009 16:57
-
di Reuters ______________________________________________
BOSNIA - Il Parlamento croato-musulmano
della Bosnia ha cancellato la sessione prevista per il 26
febbraio piuttosto che affrontare i manifestanti che
protestavano contro i piani per il taglio dei benefici per
restringere l'enorme gap di bilancio. GRAN BRETAGNA - I
lavoratori britannici hanno indetto una serie di proteste presso
alcuni impianti di produzione elettrica contro l'utilizzo di
imprenditori stranieri in alcuni siti energetici strategici. I
manifestanti hanno concordato di sospendere gli scioperi il 5
febbraio dopo che la Total ha acconsentito ad assumere più
lavoratori britannici nella sua raffineria di Lindsey. BULGARIA
- Centinaia di lavoratori della fabbrica di acciaio Kremikovtzi
hanno manifestato, il 9 marzo, contro i previsti licenziamenti
ed i salari non pagati, chiedendo al governo socialista di
trovare degli acquirenti per l'impianto insolvente. Migliaia di
agenti di polizia hanno manifestato per le strade di Sofia, la
scorsa domenica, per chiedere un aumento salariale del 50% e
migliori condizioni lavorative. REPUBBLICA CECA - Migliaia di
contadini provenienti da Repubblica Ceca, Germania, Austria,
Slovacchia, Slovenia e Polonia hanno manifestato attraverso le
strade di Praga il 12 marzo per richiedere prezzi del latte più
alti e sussidi per favorire le entrate, colpite dalla crisi
economica. FRANCIA - Fino a 2,5 milioni di persone hanno
manifestato in tutta la Francia il 29 gennaio per i salari e la
difesa del posto di lavoro. Il 5 marzo le autorità e i sindacati
hanno firmato un accordo per mettere fine a uno sciopero
generale di sei settimane dovuto agli stipendi e ai prezzi che
ha paralizzato l'isola di Guadalupe. Un leader sindacale è stato
ucciso, alcuni negozi sono stati bruciati e saccheggiati durante
le proteste. Migliaia di lavoratori hanno manifestato nell'Isola
di Reunion, territorio francese nell'Oceano Indiano, il 5 e il
10 marzo in una campagna di scioperi e proteste per richiedere
aumenti salariali. Le otto sigle sindacali francesi hanno
indetto un giorno di protesta per il 19 marzo per chiedere al
governo e alle imprese di fare di più per proteggere i posti di
lavori ed i salari durante la crisi economica. GERMANIA - 15.000
operai della Opel si sono radunati il 26 febbraio davanti al
quartier generale della loro azienda, chiedendo alla General
Motors di rivedere i piani di chiusura degli impianti in Europa.
GRECIA - L'uccisione di un quindicenne da parte della polizia a
dicembre ha scatenato i peggiori disordini degli ultimi dieci
anni, alimentati dalla rabbia per le difficoltà economiche del
paese e la disoccupazione giovanile. Gli anarchici e i gruppi di
guerriglia dell'estrema sinistra hanno continuato con una serie
di attacchi verso banche e uffici di polizia. I sindacati greci,
che rappresentano circa 2,5 milioni di lavoratori, hanno
organizzato ripetute proteste contro il governo, sostenendo che
le misure anticrisi siano a carico solo dei più poveri. UNGHERIA
- La polizia ha utilizzato lacrimogeni per disperdere un gruppo
di manifestanti che stava contestando il governo il 15 marzo a
Budapest e ha fermato un totale di 35 persone. IRLANDA - Circa
100.000 persone hanno manifestato per le strade di Dublino il 21
febbraio per protestare contro i tagli del governo a dispetto di
una recessione sempre più profonda e dei salvataggi delle
banche. LETTONIA - Il nuovo primo ministro lettone è stato
nominato il 26 febbraio dopo che la coalizione di governo è
crollata, la seconda a pagare la crisi finanziaria dopo
l'Islanda. Il ministro dell'agricoltura si è dimesso il 3
febbraio dopo le proteste dei contadini per il calo delle
entrate. LITUANIA - La polizia ha fatto ricorso ai lacrimogeni
il 16 gennaio per disperdere i manifestanti che avevano lanciato
pietre contro il parlamento per protestare contro i tagli alla
spesa sociale. Il primo ministro Andrius Kubilius si è impegnato
a portare avanti un piano di austerity. MONTENEGRO - I
lavoratori del settore alluminio hanno richiesto, il 9 febbraio,
il pagamento degli arretrati e l'immediata ripresa della
produzione nello stabilimento, di proprietà russa, Kombinat
Aluminijuma Podgorica. POLONIA - Fino a 10.000 lavoratori, la
maggior parte dei quali appartenenti all'industria delle armi,
hanno manifestato il 6 marzo contro i licenziamenti dopo che la
Polonia ha annunciato tagli alla difesa. A Gdansk 3.000
lavoratori hanno protestato contro i piani di tagli
all'occupazione previsti da Energa, produttore di energia.
PORTOGALLO - Decine di migliaia di lavoratori hanno manifestato
a Lisbona il 13 marzo contro le politiche del governo socialista
che, secondo i sindacati, sta facendo aumentare la
disoccupazione e favorendo i ricchi in un momento di crisi.
RUSSIA - Circa 1.000 dimostranti hanno chiesto le dimissioni del
governo durante una manifestazione pacifica che si è tenuta il
15 marzo a Vladivostok, la più recente protesta collegata alla
crisi economica russa. Circa 800.000 russi hanno perso il loro
lavoro tra dicembre e gennaio, portando il numero di disoccupati
oltre i 6 milioni, l'8,1% dei lavoratori. Sedici lavoratori
dell'acciaieria ESTAR a Zlatoust hanno interrotto uno sciopero
per i salari il 14 marzo dopo che il management ha accolto parte
delle richieste, ma hanno minacciato di riprendere le
manifestazioni di dissenso dinanzi ad altre avversità
economiche. UCRAINA - Centinaia di cittadini ucraini hanno
manifestato il 23 febbraio, alcuni chiedendo le dimissioni del
presidente Viktor Yushchenko, altri chiedendo indietro i propri
soldi alle banche, colpite duramente dalla crisi finanziaria.
Fonte
- Reuters
DRAGHI: LA
RECESSIONE CONTINUERA'
17 Marzo 2009 13:03 ROMA
-
di Corriere della Sera ______________________________________________
Problematiche del sistema bancario e finanziario. Su
questi temi il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi ha
parlato presso la Commissione Finanze di Montecitorio. In merito
all''intervento dei prefetti sul controllo dell'assegnazione dei
crediti bancari alle imprese, il governatore è stato chiaro: «No
a pressioni e interferenze della politica». Draghi chiede dunque
di evitare «interferenze politico-amministrative nelle
valutazioni del merito di credito di singoli casi». Quindi che
le analisi delle condizioni del credito a livello locale
stabilita dal governo con gli osservatori sulle prefetture non
sconfini «in un ruolo di pressione sulle banche che spinga ad
allentare i criteri di sana e prudente gestione nella selezione
delle clientela».
LA VIGILANZA - Il governatore ritiene necessario il
miglioramento del coordinamento della vigilanza bancaria a
livello europeo e afferma che una soluzione per la sua riforma
non «rinuncerà al patrimonio di conoscenze, professionalità,
vicinanza al mercato disponibili nelle autorità nazionali».
Draghi ha spiegato come «l'esperienza del sistema europeo di
banche centrali mostra che questa è una strada che si può
percorrere con successo».
TREMONTI BOND - Poi dal governatore è arrivato un invito alle
banche ad utilizzare i Tremonti Bond per rafforzare il capitale:
«L'irrobustimento del capitale - ha detto il governatore - anche
con gli strumenti messi a disposizione dello Stato, è condizione
per sostenere la capacità del sistema bancario di fornire
credito all'economia».
«SCELTE LUNGIMIRANTI» - Il governatore chiede agli istituti di
credito «scelte lungimiranti» di fronte alla crisi che chiede di
«sapere essere bravi banchieri anche quando l'economia va male».
Nel corso dell'audizione alla Commissione Finanza della Camera,
Draghi ha spiegato come «di fronte all'inevitabile peggioramento
della qualità del credito dovuta alla recessione occorrono
scelte lungimiranti, non basta tenere i conti in ordine». Per
questo il Governatore invita a realizzare un «fermo sostegno ai
clienti con buon merito di credito» per evitare «una stretta
creditizia eccessiva che aggravi la recessione e quindi peggiori
la posizione degli stessi clienti delle banche».
TITOLI TOSSICI - Gli interventi adottati dalle banche centrali e
dallo Stato «hanno evitato il collasso del sistema ma non ancora
portato chiarezza nei bilanci di quelle banche che più hanno
investito nei titoli che chiamiamo tossici», ha affermato Draghi
spiegando che «permane incertezza sull'entità e la distribuzione
delle perdite nei bilanci di quelle che erano le più grandi
banche mondiali».
PIL - Poi parlando della situazione italiana ha affermato:
«Tutti gli indicatori (produzione, ordinativi e giacenze di
magazzino) continuano a segnalare ritmi produttivi molto bassi.
Nel primo trimestre di quest'anno il prodotto interno lordo si
contrarrebbe per la quarta volta consecutiva. È verosimile - ha
aggiunto - che l'intero 2009 si chiuda con un nuovo,
significativo calo dell'attività economica, concentrato
soprattutto nel settore privato».
PIANO CASA - Il piano casa annunciato dal governo, con una
semplificazionme degli adempimenti e una riduzione degli oneri,
«potrebbe avere effetti di stimolo». Tuttavia, ha spiegato il
governatore, «la complessità della materia, la presenza di
competenze concorrenti fra Stato e Regioni, la necessità di
congegnare l’intervento in modo da preservare l’ambiente
naturale ed equilibrio urbanistico ne rendono incerta la portata
da un punto di vista congiunturale». Draghi ha sottolineato però
che «modalità, contenuti e tempi di eventuali interventi non
sono ancora noti».
LO STATO ACCELERI PAGAMENTI FORNITORI - Lo Stato è debitore nei
confronti delle imprese per un importo pari a 2,5 punti
percentuali di Pil, così «un'accelerazione dei pagamenti darebbe
sostegno alle imprese senza appesantire strutturalmente i conti
pubblici», ha detto il governatore. «I crediti commerciali che
le imprese vantano nei confronti delle amministrazioni
pubbliche, concessi con dilazioni e ritardi nel pagamento di
beni e servizi sono molto elevati: circa il 2,5 per cento del
prodotto interno lordo, oltre il 30 per cento della spesa annua
delle amministrazioni per consumi e investimenti».
Fonte
-
Corriere della Sera
L'AMERICA RISCHIA DI
FAR CADERE IL MONDO IN UNA FASE DI DEPRESSIONE
17 Marzo 2009 19:00 NEW YORK
-
di Bloomberg ______________________________________________
Piovono critiche per il piano di salvataggio, Washington
accusata di sprecare capitali dandoli a degli incompetenti. Jim
Rogers senza freni: lasciate fallire AIG. Grosso allarme
sull'inflazione.
Con il loro piano di salvataggio gli Stati Uniti rischiano di
far cadere il mondo in una fase di depressione, privando di
capitali ale aziende sane per offrirli in mano a degli
incompetenti. Lo ha detto l'esperto investitore americano, Jim
Rogers, autore di libri di successo, tra cui "Investment Biker"
e "Adventure Capitalist".
"Gli Stati Uniti stanno prelevando degli asset da persone
competenti per darli a persone incompetenti" Rogers, presidente
di Rogers Holdings. "Questa si chiama cattiva economia".
Il governo statunitense dovrebbe lasciare fallire il colosso
assicurativo American International Group, la cui perdita nel
quarto trimestre e' stata la peggiore nella storia americana, ha
detto Rogers nel corso di un'intervista concessa martedi'. A
ottobre il Congresso ha approvato un pacchetto di misure da $700
miliardi per salvare le banche in crisi, e l'amministrazione del
presidente Barack Obama ha lasciato intendere che potrebbero
servire altri $750 miliardi.
Secondo Rogers gli Stati Uniti stanno ripetendo gli stessi
errori commessi dal Giappone negli anni novanta, e salvando le
societa' di servizi finanziari che dovrebbero essere lasciate
fallire rischiano di creare delle "banche zombie".
Sinora AIG ha ricevuto $173 miliardi in aiuti governativi e ha
accontonato $1 miliardo in trattenute per circa 4600 dei suoi
116000 impiegati in modo che non lascino la societa'.
Questa settimana il Tesoro ha intenzione di offrire i dettagli
del piano da $1000 miliardi studiato per rilevare gli asset
tossici dai bilanci delle banche. Nel frattempo, sempre in
settimana, la Federal Reserve dovrebbe annunciare l'inizio della
prima fase di un piano da $1000 miliardi pensato per far
ripartire il mercato del credito al consumo e alle aziende.
In futuro i prezzi del petrolio potrebbero salire su livelli
record a causa dell'esaurimento delle scorte e della mancanza di
nuove scoperte di terreni ricchi di greggio. A luglio le
quotazioni dell'oro nero hanno toccato punte record di $147.27
al barile, mentre al momento scambiano a $46.98.
"Le scorte di petrolio stanno diminuendo in tutto il mondo -
dice Rogers - percio' i prezzi sono destinati a diventare molto,
molto piu' alti. Non so se i prezzi saliranno su livelli record
nei prossimi tre o cinque anni. Non so quando, ma so che
accadra'".
La gente dovrebbe dunque prepararsi a nuovi livelli record di
inflazione, con i governi che stanno stampando nuovo denaro nel
tentativo di rilanciare le economie in difficolta', in un
periodo in cui l'offerta di materie prime e' sotto pressione.
E' inutile chiedere un ritorno ad un sistema monetario basato
sul "gold standard", nel quale la base monetaria e' data da una
quantita' fissata di oro, perche' questo "non risolvera' i
nostri problemi", ha concluso.
Fonte
-
Bloomberg
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TASSI USA: LA FED
CONFERMA IL TARGET 0.00%-0.25%
18 Marzo 2009 19:17 NEW YORK
-
di WSI ______________________________________________
Come ampiamente atteso dal mercato, la Banca Centrale Americana
ha mantenuto invariata la forchetta sui fed funds. Incrementa di
altri $750 miliardi il valore degli asset MBS rilevati. Acquisto
fino a $300 mld in T-bond. Decisione unanime.
La Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse ad
un range compreso tra lo 0.00% e lo 0.25%. La decisione segue la
conferma di gennaio, preceduta dal taglio drastico di dicembre,
il nono della serie iniziata nell’ottobre 2007, che aveva
portato i fed funds nell’attuale forchetta.
Non avendo piu’ a disposizione ulteriori manovre sui fed funds,
negli ultimi giorni si erano originate ulteriori speculazioni
sull’utilizzo di metodi "non convenzionali" per combattere la
crisi, come un incremento dell’ammontare previsto nell’ambito
del piano di savataggio per rilevare obbligazioni emesse dalle
agenzie governative (come Fannie Mae), oppure l’acquisto di
Treasuries e bond societari.
La Fed si e’ pertanto detta disposta all’acquisto di $300
miliardi di Treasury a lungo termine nei prossimi 3-6 mesi e ad
incrementare l’acquisto degli asset MBS (Mortgage Backed
Securities - titoli obbligazionari garantiti dai mutui
ipotecari) di altri $750 miliardi.
Le informazioni giunte dall’ultimo incontro del Federal Open
Market Committee a gennaio indicano che l’economia continua a
contrarsi. La perdita di posti di lavoro, il calo dell’azionario
e dell’immobiliare, e le cattive condizioni del credito hanno
pesato sul sentiment dei consumatori e sulla spesa.
Le deboli prospettive sulle vendite e le difficolta’
nell’ottenimento dei prestiti hanno costretto le aziende a
ridurre le scorte e gli investimenti. Le esportazioni americane
sono crollate poiche’ numerosi partners commerciali sono caduti
in recessione. Sebbene l’outlook economico sul breve periodo
resti debole, il Comitato anticipa che le azioni di politica
adottate per stabilizzare i mercati e gli istituti finanziari,
associate allo stimolo fiscale e monetario, contribuiranno ad
una graduale ripresa della crescita economica.
Alla luce del rallentamento economico, qui ed all’estero, il
Comitato si aspetta livelli contenuti d’inflazione. Inoltre, il
Comitato intravede alcuni rischi per cui l’inflazione potrebbe
durare per un certo tempo al di sotto dei tassi che meglio
promuovono la crescita economica e la stabilita’ dei prezzi per
il lungo periodo.
In tali circostanze, la Federal Reserve impieghera’ tutti gli
strumenti disponibili per promuovere il recupero economico e
mantenere la stabilita’ dei prezzi. Il Comitato manterra’ il
target sui fed funds nel range 0.00%-0.25% ed anticipa che le
condizioni economiche probabilmente contribuiranno a mantenere i
tassi a livelli eccezionalmente bassi per un lungo periodo. Per
garantire un maggiore supporto alla concessione dei prestiti
ipotecari e al mercato immobiliare, il Comitato ha deciso di
incrementare l’acquisto di asset MBS per un valore addizionale
di $750 miliardi, portando gli acquisti totali per questo tipo
di strumenti a $1250 miliardi quest’anno, e di incrementare
l’acquisto di strumenti di debito societario fino a $100
miliardi per un totale di $200 mld. Inoltre, per migliorare le
condizioni nel mercato del credito privato, il Comitato ha
deciso di acquistare Treasury a lunga scadenza fino ad un valore
di $300 miliardi entro i prossimi 6 mesi. La Federal Reserve ha
lanciato il programma Term Asset-Backed Securities Loan Facility
per facilitare l’estensione del credito alle famiglie ed alle
piccole aziende ed anticipa che le condizioni di accesso a tale
strumento saranno estese per includere altri assett finanziari.
Il Comitato continuera’ a monitorare attentamente la dimensione
e la composizione dello stato patrimoniale della Federal Reserve
alla luce dell’evoluzione finanziaria e di nuovi sviluppi
economici.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC
sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; William C. Dudley, Vice
Chairman; Elizabeth A. Duke; Charles L. Evans; Donald L. Kohn;
Jeffrey M. Lacker; Dennis P. Lockart; Daniel K. Tarullo; Kevin
M. Warsh; e Janet L. Yellen.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la
decisione della Federal Reserve di confermare il tasso
interbancario in un range di 0.0%-0.25%:
Information received since the Federal Open Market Committee met
in January indicates that the economy continues to contract. Job
losses, declining equity and housing wealth, and tight credit
conditions have weighed on consumer sentiment and spending.
Weaker sales prospects and difficulties in obtaining credit have
led businesses to cut back on inventories and fixed investment.
U.S. exports have slumped as a number of major trading partners
have also fallen into recession. Although the near-term economic
outlook is weak, the Committee anticipates that policy actions
to stabilize financial markets and institutions, together with
fiscal and monetary stimulus, will contribute to a gradual
resumption of sustainable economic growth.
In light of increasing economic slack here and abroad, the
Committee expects that inflation will remain subdued. Moreover,
the Committee sees some risk that inflation could persist for a
time below rates that best foster economic growth and price
stability in the longer term.
In these circumstances, the Federal Reserve will employ all
available tools to promote economic recovery and to preserve
price stability. The Committee will maintain the target range
for the federal funds rate at 0 to 1/4 percent and anticipates
that economic conditions are likely to warrant exceptionally low
levels of the federal funds rate for an extended period. To
provide greater support to mortgage lending and housing markets,
the Committee decided today to increase the size of the Federal
Reserve’s balance sheet further by purchasing up to an
additional $750 billion of agency mortgage-backed securities,
bringing its total purchases of these securities to up to $1.25
trillion this year, and to increase its purchases of agency debt
this year by up to $100 billion to a total of up to $200 billion.
Moreover, to help improve conditions in private credit markets,
the Committee decided to purchase up to $300 billion of
longer-term Treasury securities over the next six months. The
Federal Reserve has launched the Term Asset-Backed Securities
Loan Facility to facilitate the extension of credit to
households and small businesses and anticipates that the range
of eligible collateral for this facility is likely to be
expanded to include other financial assets. The Committee will
continue to carefully monitor the size and composition of the
Federal Reserve's balance sheet in light of evolving financial
and economic developments.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke,
Chairman; William C. Dudley, Vice Chairman; Elizabeth A. Duke;
Charles L. Evans; Donald L. Kohn; Jeffrey M. Lacker; Dennis P.
Lockhart; Daniel K. Tarullo; Kevin M. Warsh; and Janet L. Yellen.
Fonte
- WallStreetItalia
Un passo avanti.
Verso il baratro?
Wednesday, 18 March, 2009 at 21:00
-
by phastidio ______________________________________________
La Fed rompe gli indugi e decide di aumentare ulteriormente la
dimensione del proprio bilancio, acquistando in corso d’anno
altri 750 miliardi di dollari di cartolarizzazioni ipotecarie
emesse dalle Agencies, portando quindi il totale a 1250
miliardi, oltre a raddoppiare a 200 miliardi gli acquisti a
fermo del debito delle Agencies medesime. Ma la vera novità è la
decisione di acquistare 300 miliardi di dollari di Treasuries a
lungo termine, allo scopo di “contribuire a migliorare le
condizioni nei mercati privati del credito”. Domani dovrebbe
partire ufficialmente il TALF (Term Asset Backed Securities Loan
Facility) con una cartolarizzazione Nissan su crediti auto da
1,3 miliardi di dollari.
La decisione di acquistare direttamente titoli di stato a lunga
scadenza deriva dal fatto lo spread sui mutui trentennali è
ancora troppo elevato rispetto alla media storica dei dieci anni
che hanno preceduto l’inizio della crisi: circa 2,1 punti
percentuali contro 1,75 per cento. Riducendo lo spread dovrebbe
avviarsi un meccanismo “virtuoso” di trasmissione al resto del
settore dei crediti al consumo (sul quale agirebbe il TALF) per
riattivare le cartolarizzazioni su loans, che sono la linfa
vitale dell’economia americana. Ciò non toglie che l’espansione
del balance sheet della Fed pone anche crescenti rischi
inflazionistici di medio periodo, in caso di ripresa. Rischi che
la Fed al momento non ritiene esistenti, come indica il
comunicato finale del meeting del FOMC.
L’economista di Goldman Sachs Ian Hatzius ha recentemente
calcolato, applicando la regola di Taylor (che mette in
relazione il tasso chiave di politica monetaria con il livello
di inflazione target e la crescita potenziale), che il tasso sui
Fed Funds necessario a riportare l’economia verso il pieno
impiego è pari a meno 8 per cento. Poiché i tassi non possono
evidentemente essere negativi, l’effetto espansivo equivalente
può essere ottenuto aumentando le dimensioni del bilancio della
Fed. Secondo una stima grezza dello stesso Hatzius, per ottenere
un effetto stimolativo sull’economia pari a quello prodotto da
un taglio di un punto percentuale dei Fed Funds occorre una
crescita del bilancio della Fed compresa tra 1000 e 1600
miliardi di dollari. Ciò significa che, per raggiungere
l’equivalente di meno 8 per cento di Fed Funds, partendo dal
livello attuale (poco meno di 2000 miliardi di dollari),
occorrerebbe portare il bilancio della Fed almeno a 10.000
miliardi di dollari. Cioè “azionare le presse” giorno e notte, e
stampare moneta. Correndo il rischio, in caso di ripresa, di
trovarci con una fiammata inflazionistica tale da distruggere il
sistema valutario internazionale e riportarci al baratto.
La Fed è consapevole che, malgrado la rapidità dell’espansione
monetaria (che ha probabilmente evitato una deflazione
conclamata), nell’economia persiste un vuoto di attività che
continuerà ad esercitare pressione disinflazionistica
sull’economia e l’occupazione, e si muove di conseguenza. Se
cercate un esempio concreto per definire l’espressione terra
incognita, provate con questo.
Fonte
- Macromonitor
Usa/ Peggiorano stime
deficit: 9.300 mld usd per prossimi 10 anni
20 Marzo 2009 18:57 WASHINGTON
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di Apcom ______________________________________________
Washington, 20 mar. (Ap) - Brutte notizie per il deficit degli
Stati Uniti e, anche, per l'agenda economica del presidente
Barack Obama. Il CBO (Congressional Budget Office), ovvero
l'ufficio no-partisan di budget del Congresso Usa, comunicherà
oggi stime da brivido, che risultano anche peggiori rispetto a
quelle che sono state rese note lo scorso mese dalla Casa
Bianca. Le stime, stando ai dati ottenuti dall'Associated Press,
parlano di un deficit di 9.300 miliardi di dollari per i
prossimi dieci anni, ovvero per il periodo compreso tra il 2010
e il 2019. La spaventosa cifra è superiore di 2.300 miliardi
rispetto alle previsioni della Casa Bianca, e conferma quanto
ritiene l'agenzia del Congresso: ovvero che il budget di Obama
genererà deficit federali che, nell'arco del prossimo decennio,
saranno in media di quasi 1.000 miliardi di dollari.
Fonte
- Apcom
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Non
uccidere il proprio debitore
25 Marzo 2009 12:51 TORINO - di
Vittorio Sabadin
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La Cina, che mantiene l’ordine interno con quasi 1800
esecuzioni capitali all’anno, ha deciso di essere protagonista delle
scelte che il mondo dovrà fare per uscire dalla crisi al vertice del
G20 che si terrà la prossima settimana a Londra.
E questa volta nessuno dei suoi interlocutori farà troppe obiezioni
sulla salvaguardia dei diritti umani. Rispetto a qualche mese fa lo
scenario è completamente cambiato. Barack Obama deve avere ormai
capito che gli slogan necessari a diventare presidente degli Stati
Uniti sono molto meno utili quando si tratta di governare. Il suo
video pieno di buone intenzioni inviato all’Iran è servito solo ad
irritare Israele e anche il suo annuncio che al G20 l’America
tornerà protagonista nella gestione delle crisi mondiali sarà
accolto senza troppo entusiasmo.
Le ricette della Casa Bianca e del
Tesoro americano non hanno finora prodotto grandi risultati e
l’Europa non ha alcuna intenzione di seguire le stesse politiche
stampando banconote e usando a piene mani i soldi dei contribuenti.
Il premier inglese Gordon Brown ha già replicato che a guidare il
mondo fuori dalla recessione sarà invece la vecchia Europa. Ma
entrambi i leader probabilmente si sbagliano e dovranno fare i conti
proprio con la Cina, che si annuncia il vero protagonista del G20.
Pechino aveva chiesto qualche giorno fa che il vertice di Londra
fosse l’occasione per stabilire nuove regole per le relazioni
commerciali e finanziarie globali, come si fece a Bretton Woods nel
1944. E per chi non avesse capito, il governatore della Banca
Centrale, Zhou Xiaochuan, ha cominciato a spiegare di che cosa si
tratta: Pechino vuole una riforma del sistema valutario mondiale,
ora fondato sulla supremazia del dollaro, sostituendo la moneta
americana con un nuovo sistema, basato sui Diritti Speciali di
Prelievo del Fondo Monetario Internazionale, inventati proprio per
sostenere il rapporto dei cambi fissi deciso a Bretton Woods.
La scorsa settimana, anche la Russia aveva avanzato una proposta
analoga, ma senza che nessuno se ne accorgesse. La richiesta del
«grande timoniere» della Bank of China è finita invece sulla prima
pagina del Financial Times perché molti analisti la leggono come un
importante segnale ad Obama:
i tempi sono cambiati e, quando Pechino
parla, ora anche tu devi imparare ad ascoltare. La Casa Bianca aveva
infatti completamente ignorato la richiesta cinese di non adottare
politiche economiche che potessero avere un impatto negativo sul
Paese: stampando dollari e iniettandone in grande quantità nel
sistema per salvare l’America, Obama e il suo ministro del Tesoro
Geithner rischiano di mettere in seria difficoltà Pechino, che ha
nei suoi forzieri 2000 miliardi di riserve valutarie in dollari, che
valgono sempre meno a causa delle politiche inflative della Casa
Bianca.
La Cina non ha altre scelte e quei dollari dovrà tenerseli ancora a
lungo, così come dovrà continuare ad acquistare i buoni del Tesoro
americani come ha annunciato di volere fare: nessuno ucciderebbe il
proprio principale debitore, rischiando poi di fare la stessa fine.
Ma il clima è davvero cambiato. Dopo le accuse di Geithner alle
autorità monetarie cinesi di «manipolare il cambio» dello renminbi,
una penitente Hillary Clinton è andata a Pechino di fatto per
chiedere scusa, dimenticandosi anche di fare quelle domande, così
abituali fino a poco tempo fa, sulla pena di morte, sul rispetto dei
diritti umani e della sovranità del Tibet.
Alla vigilia di un vertice decisivo per delineare una azione comune
contro la crisi, la Cina sembra dunque avere deciso di esercitare un
ruolo da protagonista nelle strategie mondiali. Come tutti, non
sopporta più le manchevolezze del Fondo Monetario Internazionale, ma
chiederà giustamente di destinargli maggiori risorse a sostegno
delle economie dei Paesi emergenti, quelle che se lasciate a se
stesse potrebbero trascinare anche i Paesi ricchi nel baratro.
Subito dopo si occuperà di come uscire dalla propria crisi, che è
nascosta dalla vastità del Paese ma è pesante forse più di quella
degli altri: già 20 milioni di disoccupati, migliaia di fabbriche
chiuse, rischi di disordini sociali elevati che potrebbero fare
cadere molte teste nel governo.
La crescita inarrestabile del Paese è durata più di dieci anni ed è
coincisa con uno speculare declino delle vecchie potenze economiche.
Nel 1999, tra le prime sette banche del mondo quattro erano
americane e due inglesi, ora ai primi posti ci sono solo banche
cinesi. Agli occhi di Pechino, ha scritto l’Economist, l’Europa è
un’insignificante macchiolina sulla carta geografica che si
trastulla con il Dalai Lama e i diritti umani; il Giappone non conta
più nulla e gli Stati Uniti sono nel panico, incapaci di individuare
una via d’uscita. Eppure la Cina dovrà trovare un interlocutore da
qualche parte, e questo interlocutore non potrà alla fine che essere
l’America.
Il G20 di Londra ha buone possibilità di trasformarsi nel vertice
del G2 tra Obama e Hu Jintao e la possibilità che i due non si
capiscano è molto elevata. Il primo sta tentando di risollevare un
Paese che attraversa la più grave crisi della sua storia, cercando
nello stesso tempo di mantenere il ruolo egemone che gli Stati Uniti
hanno avuto per decenni. Il secondo sa che la bilancia del potere
politico ed economico si è già spostata verso Oriente, è poco
disposto ad ascoltare lezioni o indicazioni di percorso e vuole
contribuire a riscrivere le regole mondiali. La cosa peggiore per
tutti sarebbe che, a forza di discutere chi deve avere l’ultima
parola in questo mondo profondamente cambiato, si tornasse anche da
Londra senza avere deciso nulla di importante. Purtroppo, è lo
scenario più probabile.
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