.

 
 

 
PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

.

News USA - effetti Katrina

"New Orleans è completamente distrutta"

News USA - effetti Katrina

Katrina: l'economia vacilla, crescita a rischio

News USA - effetti Katrina

L’America prima di Katrina

FED e Tassi

Greenspan non cambia rotta

Borse e mercati - Sentiment e previsioni

Mercati: è proprio il caso di alzare la guardia

   

Vai alla seconda parte della Rassegna

 

ANSA  +++ L'uragano Katrina distrugge New Orleans +++  10.000 morti e danni per miliardi di dollari  +++  Bush chiede auito al mondo  +++  ANSA

giovedì  1  settembre  2005   venerdì  2  settembre  2005   sabato  3  settembre  2005
   
scarica in formato JPEG ..... scarica in formato JPEG ..... scarica in formato JPEG
         
GR1 RAI - 01 SET ore 22:00 MP3 (70 KB)
 
GR1 RAI - 02 SET ore 19:15 MP3 (58 KB)
   

 

 

 

 

Borsa: Wall Street bloccata da petrolio e Katrina

Il nuovo rialzo del greggio e i molti dubbi sull'impatto che l'uragano avra' sulla crescita economica del Paese impediscono ai listini di avanzare. Il Dow Jones cede lo 0.21%, il Nasdaq arretra dello 0.19%

________________________________________

1 Settembre 2005  22:15  NEW YORK

La seduta di borsa di Wall Street si e’ chiusa con gli indici negativi. A determinare l’andamento dei listini e’ ancora una volta il rialzo dei prezzi energetici e i molti dubbi sull’impatto economico che l’uragano Katrina avra’ sulla crescita del Paese. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.21% a 10.459, il Nasdaq e’ arretrato dello 0.19% a 2.147. Leggermente positivo (+0.10%) l'S&P500 che ha chiuso a quota 1.221.

Secondo Peter Morici, professore della Business School all’Universita’ del Maryland, il passaggio dell’uragano potrebbe ridurre la crescita economica di almeno lo 0.5% nel terzo trimestre e dell’1% nel quarto. Sulle previsioni di tale rallentamento economico, non sono mancati i commenti di alcuni analisti, che hanno avanzato l'ipotesi di uno stop temporaneo della politica rialzista sui tassi d'interesse attuata dalla Fed.

Intanto continua la corsa del petrolio, oggi in rialzo sulle preoccupazioni relative alla quantita' di output, a causa dei danni arrecati agli impianti di raffinazione dall’uragano Katrina. Il contratto future con scadenza ottobre ha chiuso in progresso di 53 centesimi a quota $69.47 al barile.

L’agenzia d’informazione Reuters ha riportato che alcune delle raffinerie che sono state colpite dalla tempesta, riprenderanno la normale attivita’ entro una o al massimo due settimane. Per altre, invece, le operazioni di lavorazione potrebbero ricominciare tra diversi mesi.

 

Fonte - ANSA

 

 

"New Orleans è completamente distrutta"

Lo ha detto il vice-capo della polizia. "Non c'e' elettricita', non c'e' acqua potabile, non c'e' cibo, non c'e' lavoro, niente". .......................................................................

________________________________________

5 Settembre 2005  22:15  NEW YORK

Con l'agghiacciante frase "la citta' e' completamente distrutta", il vice-capo della polizia di New Orleans ha invitato i pochi abitanti rimasti ad andarsene, per il semplice fatto che non c'e' elettricita', non c'e' acqua potabile, non c'e' cibo, non c'e' lavoro, non c'e' niente.

Il Deputy Chief Warren Riley ha specificato che, una settimana dopo il passaggio apocalittico dell'uragano Katrina che ha lasciato solo morte e distruzione, e' un rischio grave restare, per coloro che insistono a non lasciare la capitale della Louisiana.

 

"Noi diciamo chiaramente che questa citta' e' stata completamente distrutta", ha detto Riley, mentre gli elicotteri sorvolano la citta'. "Cerchiamo di convincere i cittadini che non c'e' alcuna ragione per rimanere - niente lavoro, niente cibo, nessuna ragione davvero per loro per restare".

Circa 51.000 uomini - 38.000 della National Guard e 13.000 soldati - sono stati dislocati in Louisiana, Mississippi e Alabama, sulla scia di morte lasciata da Katrina.

 

Fonte - ANSA

 

     

 

 

 

 

  Katrina: l'economia vacilla, crescita a rischio

Dopo il summit d'emergenza alla Casa Bianca con Greenspan, Bush invita gli americani a "essere prudenti" nell'uso della benzina. Due ex presidenti (il padre Bush senior e Bill Clinton) incaricati dei fondi per la ricostruzione, come per lo Tsunami.

________________________________________

2 Settembre 2005  21:29  NEW YORK  (WSI - ANSA)

L'economia americana vacilla sotto i colpi dell'uragano Katrina e si scopre vulnerabile, proiettando ombre anche sulla crescita mondiale. Le attività petrolifere del Golfo del Messico, dove si concentra il 30% del fabbisogno nazionale, tentano una timida ripresa, mentre prosegue la corsa dei prezzi dei carburanti. In tensione, da ultimo, le quotazioni di generi alimentari come caffé, banane e zucchero, per l'inagibilità del porto di New Orleans, tra i primi cinque negli Usa per movimentazione di prodotti agricoli.

Il presidente George W. Bush, a conferma della gravità del momento, incontra il numero uno della Federal Reserve, Alan Greenspan, per discutere gli effetti di Katrina sull'economia e riunisce, subito dopo, i suoi consulenti per una valutazione preliminare dei danni e delle misure più urgenti da prendere. In una dichiarazione alla nazione, Bush invita gli americani a "essere prudenti" nell'uso dell'energia nei prossimi mesi a causa del dissesto provocato da Katrina sulle scorte petrolifere della nazione. "Non comprate benzina se non ne avete bisogno essenziale", dice avendo accanto due ex presidenti (il padre George e Bill Clinton). "E' nostra opinione - aggiunge - che l'uragano abbia portato a una temporanea distruzione che sta per essere affrontata dal governo e dal settore privato".

Analisi macroeconomiche, come quella sviluppate da Global Insight Research, stimano nella misura dello 0,5-1% la minor crescita del Pil americano nel terzo e nel quarto trimestre in uno scenario di carburanti intorno ai 3 dollari al gallone (3,79 litri) e del petrolio a 75 dollari massimi. Con quotazioni più alte, sul lungo periodo si rischia invece l'azzeramento della crescita nella seconda metà del 2005. Lo scenario peggiore è destinato a penalizzare gli assetti dell'economia mondiale: se da un lato è prematura una previsione puntuale, dall'altro pare certo "un effetto rilevante".

"E' sempre più chiaro che l'impatto dell'uragano sulle operazioni del greggio e del gas naturale sarà significativo e più prolungato nel tempo", commenta Red Cavaney, presidente dell'American Petroleum Institute. Il primo problema da risolvere, sottolinea Ben Bernanke, capo degli economisti della Casa Bianca (e candidato favorito alla successione di Alan Greenspan alla Fed), "é assicurare regolari scorte di carburante, neutralizzando il rialzo dei prezzi e le manovre speculative in azione che non sono peraltro così forti".

I future sulla benzina salgono al Nymex di 16 centesimi a 2,42 dollari al gallone, mentre alla pompa si registrano oscillazioni schizofreniche in tutto il Paese, con variazioni - sulla base delle rilevazioni più recenti - tra i 3 dollari della California ai 3,46 dollari al gallone registrati nel Massachusetts, per passare ai 3,69 dollari di Chicago fino a un massimo record oltre i 5 dollari in North Carolina. In più, se non saranno assicurati in pieno i rifornimenti, alcuni dei principali aeroporti del sudest del Paese, come quelli di Charlotte, Atlanta (Georgia), Tampa e Orlando (Florida), sono a rischio chiusura per mancanza di carburante.

Il greggio, per altro verso, riesce sia pure a fatica a mantenersi sotto la soglia dei 70 dollari al barile (+0,5% a 69,30 dollari alla chiusura di New York) con il via libera alle riserve strategiche autorizzata dall'Amministrazione Bush a cui Valero Energy ha chiesto - da ultimo - di poter attingere per 1,5 milioni di barili totali. Il terzo maggiore operatore nella raffinazione statunitense ha due impianti in Louisiana, uno a Krotz Spring e Lake Charles per un potenziale di oltre 300 mila barili. "La notizia positiva - osserva ancora Bernanke - è che il blocco delle attività petrolifere nel Golfo del Messico non è destinato a essere permanente".

Alla riapertura di alcune raffinerie, come quella da 500 mila barili di Baton Rouge della ExxonMobil, si aggiungono quelle delle arterie principali di trasporto del greggio, gli oleodotti Colonial e Plantation, sia pure a regime dimezzato, ma fondamentali per la distillazione attualmente attiva nell'area colpita da Katrina solo per un quarto del potenziale. All'emergenza energetica, si somma quella dell'intero tessuto produttivo, ormai alle corde. Il colosso della distribuzionecome Wal-Mart, a causa della chiusura di 120 centri commerciali (il 3,3% del totale), prevede un brusco calo delle vendite a settembre, mentre per l'intero comparto agricolo gli economisti del Dipartimento dell'Agricoltura stimano a causa di Katrina una flessione dei ricavi 2005 del 13% a 71,8 miliardi.

La Louisiana vale il 20% della produzione di zucchero e, insieme a Mississippi e Alabama, ha una rilevante fetta di produzione del cotone (+65 centesimi l'apertura dei future sulla balla a 1,75 dollari). Con il porto di New Orleans fuori uso e la navigazione sul Mississippi impossibile, il colosso alimentare Cargill ha visto vanificare lo scarico di mais, soia e cereali attesi prima che si abbattesse la furia dell'uragano. Stessa cosa è accaduta alla Chiquita International con i carichi di banane dal Centro America e che ora ha difficoltà logistiche: nei porti che si affacciano sul Golfo del Messico transita il 25% delle importazioni.

Più difficile la situazione per il caffé (+3,8% a 104,95 dollari la quotazione): nei magazzini di New Orleans, secondo il Chicago Board of Trade (Cbot, la più grande Borsa al mondo della negoziazione delle merci), erano stipati 700mila sacchi da 65 chili medi l'uno ora in gran parte inutilizzabili. Le ripercussioni sui consumatori saranno inevitabili sul lungo periodo, ma "se l'emergenza dura 5-10 giorni - spiega ildirettore generale del Cbot, David Lehman - i problemi saranno solo transitori".

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

 

 

 

KATRINA: costi sopra i $100 miliardi

2 Settembre 2005  16,05  (ANSA)

Mentre un senatore della Louisiana parla di 10.000 vittime, i costi di Katrina supereranno i $100 miliardi, secondo le valutazioni di RMS, Risk Management Solutions, una societa' che studia l'impatto dei dei disastri naturali. Una simile cifra averebbe ovviamente conseguenze negative pesanti sull'economia reale e sulla crescita del Pil degli Stati Uniti.

Secondo RMS i danni includono l'effetto del vento distruttivo dell'uragano, le ondate del mare e l'acqua alta su tutta la costa, e le devastanti inondazioni di New Orleans. L'uragano Andrew, con gli opportuni aggiustamenti per l'inflazione, costo' nel 1992 $43.6 miliardi.

 

 

 

 

 

 

  L’America prima di Katrina

08 Settembre 2005

 

Prima che l’uragano Katrina si abbattesse sulla costa meridionale degli Stati Uniti, l’economia a stelle e strisce godeva di buona salute.

Il consueto rapporto redatto dalla Federal Reserve, infatti, parla chiaro: tra la fine di luglio e fino al 29 agosto si è registrata “un’estesa crescita economica”, grazie a un soddisfacente aumento di vendite di automobili e al buon andamento del turismo.

Ma nei prossimi mesi le cose potrebbero peggiorare, effetto proprio dell’uragano, che alle assicurazioni potrebbe costare – si tratta di cifre ancora provvisorie - tra i 20 e i 30 miliardi di dollari e secondo il Budget Office del Congresso potrebbe sottrarre un punto percentuale alla crescita Usa nel secondo trimestre.

Insomma, Katrina proprio non ci voleva; a scorrere infatti il rapporto della Banca centrale americana diffuso ieri ci si rende conto che lo sviluppo Usa procedeva nonostante la frenata del settore immobiliare riscontrata in alcuni distretti e il rally dei prezzi del comparto energetico che alimenta la minaccia inflazione.

I maggiori oneri sopportati dalle aziende a forte dipendenza energetica ''si sono parzialmente trasferiti sui consumatori”, sottolinea infatti il rapporto che ribadisce ancora una volta quanto la Fed sia sensibile al campanello d'allarme dell’inflazione e come intenda verosimilmente proseguire sulla strada rialzista dei tassi.

Un percorso in cui del resto è impegnata ininterrottamente da oltre un anno e che appare sicura sponda all’instabilità dei prezzi. Il caro-petrolio ha fatto sentire i suoi effetti - evidenzia ancora la Fed - sui prezzi delle costruzioni e dei materiali di manifattura, incluso acciaio e chimica, dove gli aumenti sono stati ''significativi''. Altrove il panorama prezzi registra un trend in “modesto aumento”.

Il 'Beige Book' era stato preceduto dalle dichiarazioni di uno dei membri del direttivo che decide la politica monetaria della Fed, il presidente della Fed di Chicago Michael Moskow, che aveva osservato come le pressioni inflattive emerse dagli ultimi dati congiunturali Usa richiedessero “risposte adeguate”.

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

Venerdì  2  settembre  2005   Mercoledì  7  settembre  2005   Sabato  24  settembre  2005
.....  
scarica in formato JPEG   scarica in formato JPEG ..... scarica in formato JPEG

 

 

 

 

 

Wall Street euforica indici in rally

Il calo dei prezzi energetici e le buone notizie giunte dal fronte macro hanno spinto i listini ai massimi di diverse settimane. Il Dow fa +1.36%, Nasdaq +1.20%.

________________________________________

6 Settembre 2005  22:15  NEW YORK  (WSI)

Dopo la pausa per la ricorrenza del Labor Day, i listini americani iniziano la settimana in netto rialzo chiudendo ai massimi di diverse ottave. Ad innescare gli acquisti e’ stato in primo luogo il calo dei costi energetici. Una spinta e’ anche arrivata dal comparto dei servizi che ad agosto ha registrato un’espansione. Il Dow Jones ha guadagnato l'1.36% a 10.589, l’S&P500 l'1.26% a 1.233, il Nasdaq e’ avanzato dello 1.20% a 2.166.

A contribuire al rialzo odierno e’ stata anche la crescente opinione che la Banca Centrale americana nel prossimo incontro non proseguira’ la politica di rialzo dei tassi d’interesse come diretta conseguenza del disastro causato dall’uragano Katrina.

Al momento i tassi a breve sono del 3.5%. Mantenere tale livello significherebbe non incrementare i tassi sui prestiti sia per i singoli individui che per le aziende. Cio’ consentirebbe all'economia americana di poter meglio assorbire i costi senza registrare un rallentamento.

Passando al comparto energetico, il ritracciamento del greggio oggi ha offerto un valido sostegno per il rally dei listini. Il contratto future con scadenza ottobre ha terminato la sessione in ribasso di $1.61 a quota $65.96 al barile, minimo di due settimane. Le pressioni sui prezzi energetici sono derivate principalmente dal riavvio delle operazioni di estrazione e lavorazione degli impianti del Golfo del Messico, rimaste inattive in seguito al passaggio della tempesta che ha colpito violentemente la zona.

A contribuire al selloff sull’oro nero e’ stata anche la comunicazione dell'International Energy Agency, relativa all’apertura delle riserve strategiche per far fronte alla domanda di combustibile. La stessa mossa e' stata attuata anche dal Governo Usa.

Notizie positive sono giunte anche dal fronte economico. Nel mese di agosto l'indice ISM non manifatturiero e' salito a quota 65 punti dai precedenti 60.5. Si tratta del piu’ alto livello dall’aprile 2004. Il dato si e’ rivelato anche superiore alle attese degli analisti che si aspettavano una leggera flessione a quota 60. Ricordiamo che una lettura superiore ai 50 punti indica un'espansione dell'attivita'.

 

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

 

Wall Street: la FED affonda i listini

La decisione della Fed di alzare i tassi d'interesse e confermare il termine 'measured' scatena gli ordini sell. Il Dow Jones cede lo 0.72%, il Nasdaq -0.65%

________________________________________

20 Settembre 2005  22:12  NEW YORK  (WSI)

Dopo aver trattato quasi per l’intera giornata in territorio positivo, gli indici americani sono stati investiti da un’ondata di vendite subito dopo la comunicazione della Federal Reserve sui tassi d’interesse. Come atteso dalla maggior parte degli economisti, la Banca Centrale Usa ha alzato il tasso sui fed funds di 25 punti base, portandolo al 3.75%. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.72% a 10.481, l’S&P500 lo 0.79% a 1.221, il Nasdaq e’ arretrato dello 0.65% a 2.131.

Nelle ultime settimane, a causa del disastro economico causato dall’uragano Katrina, si erano intensificate le voci secondo cui la Fed avrebbe potuto optare per una pausa del ciclo rialzista che caratterizza la sua politica monetaria dal mese di giugno 2004. In quell’occasione fu operato il primo rialzo dei tassi d’interesse della serie; quello di oggi e’ l’undicesimo consecutivo.

Dal documento ufficiale che accompagna la decisione, e’ emerso che le conseguenze di Katrina potrebbero causare un aumento delle pressioni inflazionistiche nel breve termine, ma non rappresentano una minaccia persistente per l’economia Usa.

Il Fomc, il braccio operativo della Fed, ha inoltre confermato il termine "measured pace", per descrivere il passo con cui intende procedere sulla via dei cambiamenti alla politica monetaria accomodante. La decisione ha sorpreso la maggior parte degli operatori, che si aspettavano un cambiamento nel linguaggio, che avrebbe potuto indicare un risvolto sulle future mosse in materia di tassi. 

Non e’ bastato ad arginare le vendite il calo del petrolio, oggi sotto pressione in seguito alla decisione dell’OPEC, in riunione a Vienna, di aumentare la produzione di due milioni di barili al giorno e, non accadeva dalla prima Guerra del Golfo, di sospendere le quote estrattive.

Le vendite sul comparto energetico si sono comunque affievolite nella seconda parte della giornata, in seguito agli aggiornamenti relativi alla tempesta tropicale Rita, la cui forza si e’ intensificata nelle ultime ore. Le ultime notizie riportano che la tempesta abbia gia’ assunto le caratteristiche di un uragano di seconda categoria. Intanto cresce l’attesa per il dato settimanale sulle scorte che verra’ rilasciato nella giornata di domani alle 16:30 ora italiana.

 

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

GR1 RAI - 06 SET ore 22:00     MP3 (86 KB)
GR1 RAI - 19 SET ore 22:00     MP3 (74 KB)

 

 

 

 

  Greenspan non cambia rotta

21 Settembre 2005

Neppure l'uragano Katrina ha fatto modificare l'intendimento del presidente della Fed, Alan Greenspan, che ha ritoccato al rialzo per l'undicesima volta consecutiva i tassi d'interesse americani, portandoli al 3,75%, cioè 1,75 punti base sopra il livello dell'area Euro.

Non si può certo parlare di sorpresa, anche se sussisteva qualche incertezza, alla luce del disastro provocato da Katrina, l'uragano che ha causato circa cento miliardi di dollari di danni, oltre alla morte di un migliaio di persone.

Nonostante questo la Fed ha voluto sgombrare il campo da qualsiasi incertezza affermando che le conseguenze derivanti da Katrina non possono essere considerate durevoli, in quanto anzi si riuscirà a ripristinare la situazione in un breve arco di tempo, dal punto di vista dei riflessi sull' economia.

Tuttavia vale la pena sottolineare che per la prima volta dal giugno di due anni fa il voto nell' ambito del Federal Open Market Committee non è stato unanime, in quanto si e' registrato un dissenso, quello espresso dal Governatore Mark Olson, che avrebbe invece voluto che i tassi rimanessero fermi.

Greenspan però continua sulla sua strada, che è appunto quella di un graduale (la parola "misurato" e' stata confermata anche oggi nel comunicato che ha annunciato la decisione di rialzare i tassi) aumento del costo del denaro.

Tanto più che anche l' inflazione di fondo, nonostante il caro-petrolio, a giudizio della banca centrale statunitense dovrebbe essere "contenuta", mentre non sussisterebbe il pericolo che le conseguenze di Katrina si allarghino al punto da determinare un rialzo dei prezzi del greggio tale da condizionare negativamente le sorti dell' economia.

Peraltro, le previsioni degli economisti mettono in conto una riduzione della crescita del prodotto nazionale lordo nel terzo trimestre, che dovrebbe registrare un +3,6% anzichè il +4,1% stimato prima dell' uragano. Vale a dire che in ogni caso l' effetto-Katrina è quantificabile in mezzo punto percentuale di crescita in meno, anche se gli stessi esperti sono concordi nel ritenere che già a partire dal 2006 la corsa dell' economia riprendera' a pieno ritmo.

Le considerazioni espresse ieri dalla Federal Reserve, che sono appunto sostanzialmente ottimistiche a tutto campo, si scontrano peraltro con le indicazioni venute nei giorni scorsi dall' indice di fiducia dei consumatori elaborato dall' università del Michigan, che a settembre ha registrato un crollo, portandosi al di sotto dei valori toccati dopo l' 11 settembre del 2001.

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

  Mercati: è proprio il caso di alzare la guardia

I recenti segnali di deterioramento macroeconomico potrebbero essere un fenomeno non temporaneo. I disequilibri strutturali dell'economia Usa vanno presi sul serio. Per queste ragioni e' opportuno un asset allocation piu' defensivo.

________________________________________

21 Settembre 2005  17:00  MILANO (di Michele Pezzinga*)

Pausa in vista per i mercati azionari? Ce ne sarebbero i motivi. La loro ascesa estiva è stata infatti favorita dal contestuale emergere di segnali ancora favorevoli dal lato della crescita economica, negli USA e in Giappone in particolare, e dal persistere di un quadro sempre tranquillizzante dal lato inflazione-tassi; ma ora lo scenario sul fronte macro sembra nuovamente deteriorarsi, almeno temporaneamente, e la voglia di alleggerire le posizioni, soprattutto sull'azionario, potrebbe avere di nuovo la meglio.

I motivi di una maggior cautela sono proprio quelli messi in evidenza dalla FED ieri sera, nel breve comunicato che spiega l'undicesimo rialzo consecutivo dei tassi, ormai giunti a quota 3,75%: da un lato il fatto che, in particolare a causa dell'uragano Katrina "spesa, produzione e occupazione nel breve periodo subiranno battute d'arresto"; dall'altro che "i più elevati prezzi dell'energia e gli altri costi hanno il potenziale per aumentare le pressioni inflazionistiche".

Per la FED però entrambi questi fattori, pur aumentando "l'incertezza sulla performance economica nell'immediato futuro", non sembrano "presentare minacce più persistenti", cioè durevoli; per noi invece in un contesto caratterizzato da elevati squilibri di fondo, a cominciare dalla situazione patrimoniale delle famiglie USA, fortemente indebitate a fronte di un tasso di risparmio ormai scivolato in territorio negativo (in pratica sono arrivate a spendere più di quanto guadagnino, intaccando il loro patrimonio), lo shock energetico potrebbe condizionare pesantemente la tenuta del processo di crescita.

Con la continua ascesa dei prezzi di benzina e gasolio da riscaldamento, queste stesse famiglie si trovano a fronteggiare maggiori costi energetici per qualcosa come 100 mld di dollari su base annua, una cifra di gran lunga superiore ai flussi di risparmio corrente, che quest'anno hanno finora raggiunto 25 mld soltanto, e come dicevamo ultimamente si sono addirittura esauriti. Un aggiustamento appare inevitabile, pur con tutti i dubbi relativi ai suoi tempi, ed in ogni caso la tenuta di un simile meccanismo di crescita esponenziale dei consumi con leva finanziaria continua a dipendere dal continuo incremento di valore degli attivi, tra cui spiccano soprattutto le proprietà immobiliari; in caso contrario, il circuito si invertirebbe, portando a capovolgere le decisioni future di allocazione del reddito disponibile tra consumi e risparmio.

A breve, complice l'ulteriore shock energetico e gli effetti uragani, i segnali macro non si preannunciano favorevoli: l'inflazione subirà l'impatto del caro petrolio, con i prezzi al consumo USA che in settembre potrebbero mettere a segno persino un balzo dello 0,8-0,9%, passando da quota +3,6 ad un +4,4% su base annua, sia pure quasi solo a causa dell'andamento della benzina, mentre la crescita del PIL dovrebbe subire nel 3° trimestre un impatto negativo intorno al mezzo punto percentuale, rispetto al +3,5% inizialmente stimato, pur con un probabile recupero nei trimestri successivi anche grazie ai decisi interventi di spesa approvati dal Congresso.

Ma proprio questa maggiore spesa (finora 60 mld di dollari circa) potrebbe mettere in discussione i progressi di bilancio federale realizzati finora dall'Amministrazione Bush, riproponendo un altro squilibrio che si sperava invece tendesse lentamente a risolversi. In una fase come l'attuale dove l'ottimismo sull'evoluzione congiunturale sembra dominare, in linea con la visione rassicurante di un'istituzione prestigiosa come la FED, tutte questi elementi di dubbio potrebbero essere percepiti come temporanei e dunque risultare ininfluenti per i mercati. Ma poichè il rischio è che possano compromettere una situazione strutturale tutt'altro che solida, un po' di cautela supplementare, nonostante i segnali di tenuta granitica che continuano a giungere dai listini, soprattutto europei, sarebbe quanto mai opportuna.

Alle incognite americane dovremmo aggiungere anche quelle legate al risultato elettorale tedesco, che per quanto snobbate dagli investitori con un po' di vendite estemporanee sul DAX, non dovrebbero lasciare affatto così indifferenti gli altri listini continentali; ed è per lo meno curioso che ancora una volta i cambi e il reddito fisso abbiano risentito, con andamenti opposti, di queste incertezze sulla ripresa, mentre l'azionario, come al solito quest'anno, le abbia presto accantonate. Proprio l'andamento poco coerente dei vari mercati - con oro, materie prime, bond, azioni, Paesi emergenti e attività high yield, tutti insieme sui massimi di periodo o quasi - rimane un motivo di apprensione circa la razionalità dell'attuale movimento corale al rialzo, e lascia semmai intravedere i sintomi di una maxi bolla speculativa che l'effetto liquidità e l'accettazione di un sempre minore premio per il rischio stanno progressivamente gonfiando.

Rimane il dilemma di cosa la farà sgonfiare e quali di queste attività finirà per essere maggiormente penalizzata da una brusca inversione di trend; difficilmente, comunque, bond, azioni e oro, tanto per fare un esempio, continueranno a muoversi in paradossale sintonia. Sui tassi continuiamo comunque a credere che la FED sia vicina a completare la sua manovra restrittiva, che potrebbe concludersi a fine anno su quota 4%, mentre la BCE dovrebbe rimanere ferma ancora a lungo, con le pressioni al ribasso, ragionevoli se viste in funzione del deludente andamento congiunturale, inibite dal contestuale riavvio dell'inflazione per le perduranti tensioni energetiche. In questo senso, superato un paio di mesi caldi per i prezzi al consumo, una discesa dei rendimenti a lunga sotto quota 3% ed il riaffiorare di voci di taglio dei tassi ci sembrerebbero ipotesi abbastanza ragionevoli.

Questo però significa che con rendimenti alternativi ancora più bassi l'effetto liquidità e le velleità speculative sui listini azionari (testimoniati dal boom delle posizioni a pegno qui da noi e dal crescente peso di hedge funds con strategie di investimento sostanzialmente direzionali, cioè rialziste) potrebbero trovare nuovo alimento, fungendo da sostegno ai listini nonostante il temuto deterioramento di scenario congiunturale.

Ragionevolmente, tutto ciò dovrebbe suggerire un'asset allocation più difensiva. Finora però una simile strategia non avrebbe funzionato, almeno sul nostro listino, per due ragioni: la prima è che le nostre utilities scontano il balzo record registrato lo scorso anno, gonfiato dall'andamento altrettanto eccezionale di comparti quali la produzione di energia elettrica o l'effetto favorevole della regulation; e al contrario di quanto avviene nel resto d'Europa, il comparto non sembra abbia ancora la forza di riprendere il trend al rialzo e si muove, tra alti e bassi, solo in senso laterale.

La seconda è che sul nostro mercato sembrano dominare temi a carattere speculativo o comunque legati a riassetti azionari ed operazioni di finanza straordinaria che non sembrano avere nei comparti più difensivi terreno di coltura particolarmente fertile. Quanto poi alle tlc, continuiamo a credere che il comparto, e le nostre Telecom in particolare, non siano poi così difensive, dovendo fronteggiare ancora seri problemi di concorrenza che i continui sviluppi della tecnologia traducono in forti pressioni sui prezzi, in particolare nell'area della telefonia fissa e dei collegamenti in banda larga.

In questo senso, il rischio, per chi vuole mantenere posizioni investite in attesa di eventuali segnali più convincenti di correzione, è di essere comunque costretti a cavalcare ancora temi che poco o nulla hanno a che fare con gli scenari di rallentamento prefigurati e magari con gli stessi fondamentali, ma che però continuano a sovraperformare in questa fase di mercato dominata dalla liquidità.

*Michele Pezzinga e' lo strategist di CentroSim.

Fonte - CentroSim per Wall Street Italia 

 

 

 

 

Boom dei fondi comuni ad agosto

(06 Settembre 2005)

 

Quasi 4 miliardi di euro di raccolta positiva. Questo il dato reso noto da Assogestioni, l’associazione che rappresenta l’industria del risparmio gestito, per il mese di agosto dei fondi comuni di investimento. Un vero e proprio boom: per la precisione + 3 miliardi e 902 milioni la differenza tra entrate e uscite.

Così nell’intero arco dell’anno il saldo complessivo positivo si attesta a quota 7 miliardi e 321 milioni. Bene come al solito gli obbligazionari: + 2 miliardi e 729 milioni di euro.

Ma la vera novità sta nel risultato al rialzo degli azionari (+ 509 milioni di euro). Insomma, finalmente, gli investitori sembrano convinti a seguire l’escalation che le Borse europee, con Piazza Affari tra le più attive, stanno portando avanti ormai da un paio di anni. Bene anche i bilanciati (azioni, obbligazioni e titoli di Stato), + 389 milioni di euro, i fondi flessibili (che lasciano ampia discrezionalità al gestore), + 540 milioni, e gli hedge fund, + 216 milioni.

Unica nota negativa di questa tornata i fondi monetari. Complici anche i bassi tassi, infatti, i prodotti che puntano sulle obbligazioni a breve termine ad agosto lasciano sul parterre 481 milioni di euro.

Il dato più complessivo, invece, sottolinea la ripresa che i fondi Italiani hanno registrato con una raccolta di + 1 miliardi 804 milioni di euro e un patrimonio di 399 miliardi 680 milioni di euro.Mentre i fondi roundtrip, fondi di diritto estero promossi da intermediari italiani, hanno fatto segnare un saldo di + 2 miliardi 098 milioni di euro e un patrimonio di 169 miliardi e 641 milioni di euro.Più nel dettaglio, inoltre, è possibile vedere come la raccolta netta, per tipologia giuridica si è così ripartita. I fondi Aperti hanno chiuso con una raccolta in positivo per 3 miliardi e 678 milioni di euro. I fondi riservati hanno chiuso agosto con un segno più per 8 milioni e gli Hedge, invece, si sono attestati su un rialzo di 216 milioni.

Fonte - morningstar.it

 

 

Fondi, il risveglio degli azionari

(07 Settembre 2005)

 

E’ un risultato per certi versi storico quello dell'agosto del 2005. Da più di due anni, infatti, la raccolta netta dei fondi comuni di investimento non raggiungeva performance di 4 miliardi di euro tra entrate e uscite. 

E un dato su tutti fa bella mostra di sé nei numeri pubblicati da Assogestioni, l’associazione che rappresenta l’industria del risparmio gestito. E’ la raccolta positiva degli azionari, + 508 milioni di euro. Dopo mesi di segni meno, insomma, gli investitori sembrano essersi accorti dei rendimenti ormai da quasi due anni rialzisti della Borse europee e di Piazza Affari.

Da evidenziare in questo senso il buon risultato dei fondi che puntano sull’azionario europeo e americano. Male, anche se in recupero gli italiani. Mentre i fondi specializzati nei Paesi emergenti registrano flussi attivi per più di 100 milioni di euro.

I gestori imputano questo ritorno di fiamma per il settore azionari  a 3 fenomeni contingenti. Innanzitutto i bassi rendimenti delle obbligazioni. Quindi la continuità del buon andamento delle Borse e i risultati delle trimestrali aziendali che si stanno rivelando migliori rispetto alle aspettative. Insomma il trend potrebbe anche continuare.

Andando a spulciare invece tra le varie società di gestione del risparmio non si può non sottolineare l’ottima performance di Pioneer Investment (gruppo Unicredit) che con i suoi 115 fondi ha fatto segnare una raccolta netta per più di un miliardi di euro.

Bene sono andati anche i quasi 250 prodotti di San Paolo-Imi con una differenza tra entrate e uscite pari a 360 milioni. In rosso invece per 21,8 milioni i prodotti di Intesa.

Da segnalare, infine, le ottime performance di Mediolanum, + 224,3 milioni di euro, e del gruppo Azimut, + 180,7 milioni.

 

Fonte - morningstar.it

 

 

I gestori puntano sul Giappone

(20 Settembre 2005)

 

Bene il Giappone, avanti adagio Piazza Affari e male Wall Street. Queste le principali previsioni dei gestori intervistati nell’ultimo sondaggio di Morningstar, effettuato tra il 2 e il 12 settembre, sui prossimi 6 mesi dei mercati.

Rispetto allo scorso luglio, infatti, i pessimisti  sulla  Borsa di Tokio si sono più che dimezzati a fronte di un aumento di coloro che credono in una stabilizzazione attorno agli attuali livelli (dal 9 al 22%).  Ma la maggior parte dei gestori continua ad essere ottimista. I motivi? Da una parte la convinzione che il trionfo del premier Junichiro Koizumi porti ad una accelerazione delle riforme. Dall’altra la ripresa economica, testimoniata dal miglioramento delle esportazioni e del livello occupazionale, e dalle ristrutturazioni societarie. 

Sull’Europa invece pesa l’esito di un’altra tornata elettorale: quella tedesca. La speranza è che il prossimo governo imbocchi con decisione la strada delle riforme. La Germania, come il resto d’Europa, risente delle incertezze del quadro macro ed è convinzione diffusa che la Banca centrale non cambierà la sua politica di rigore: contenimento dell’inflazione più  che sostegno all’economia.

Tra le piazze del vecchio continente comunque si distingue Piazza Affari, che raccoglie oltre il 54% dei consensi, poco più del  resto d’Europa (50%). Fanalino di coda è Wall Street, vista in crescita appena dal 40,7% dei money manager intervistati.

Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, invece, i gestori sono convinti  che l’inflazione non desti preoccupazione né in Europa né negli States. Anche se il caro-greggio rappresenta una minaccia, infatti, sia la Bce che la Federal Riserve dovrebbero continuare nell’attuale politica monetaria.La maggior parte dei gestori quindi è convinta che di qui a fine anno si assisterà a una stabilizzazione dei prezzi dei bond, contro il 43% che si  attende una discesa.

 

Fonte - morningstar.it