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Borsa:
Wall Street bloccata da petrolio e Katrina
Il nuovo
rialzo del greggio e i molti dubbi sull'impatto che l'uragano avra'
sulla crescita economica del Paese impediscono ai listini di avanzare.
Il Dow Jones cede lo 0.21%, il Nasdaq arretra dello 0.19%
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1 Settembre 2005 22:15
NEW YORK
La seduta di borsa di Wall Street si e’
chiusa con gli indici negativi. A determinare l’andamento dei listini e’
ancora una volta il rialzo dei prezzi energetici e i
molti dubbi
sull’impatto economico che l’uragano Katrina avra’ sulla crescita del
Paese. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.21% a 10.459, il Nasdaq e’ arretrato
dello 0.19% a 2.147. Leggermente positivo (+0.10%) l'S&P500 che ha
chiuso a quota 1.221.
Secondo Peter Morici, professore della
Business School all’Universita’ del Maryland, il passaggio dell’uragano
potrebbe ridurre la crescita economica di almeno lo 0.5% nel terzo
trimestre e dell’1% nel quarto.
Sulle previsioni di tale rallentamento
economico, non sono mancati i commenti di alcuni analisti, che hanno
avanzato l'ipotesi di uno stop temporaneo della politica rialzista sui
tassi d'interesse attuata dalla Fed.
Intanto continua la corsa del petrolio,
oggi in rialzo sulle preoccupazioni relative alla quantita' di output, a
causa dei danni arrecati agli impianti di raffinazione dall’uragano
Katrina. Il contratto future con scadenza ottobre ha chiuso in progresso
di 53 centesimi a quota $69.47 al barile.
L’agenzia d’informazione Reuters ha
riportato che alcune delle raffinerie che sono state colpite dalla
tempesta, riprenderanno la normale attivita’ entro una o al massimo due
settimane. Per altre, invece, le operazioni di lavorazione potrebbero
ricominciare tra diversi mesi.
Fonte - ANSA
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"New Orleans è completamente distrutta"
Lo ha detto il vice-capo della polizia. "Non c'e'
elettricita', non c'e' acqua potabile, non c'e' cibo, non c'e' lavoro,
niente". .......................................................................
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5 Settembre 2005 22:15
NEW YORK
Con l'agghiacciante frase "la citta' e'
completamente distrutta", il vice-capo della polizia di New Orleans ha
invitato i pochi abitanti rimasti ad andarsene, per il semplice fatto
che non c'e' elettricita', non c'e' acqua potabile, non c'e' cibo, non
c'e' lavoro, non c'e' niente.
Il Deputy Chief Warren Riley ha
specificato che, una settimana dopo il passaggio apocalittico
dell'uragano Katrina che ha lasciato solo morte e distruzione, e' un
rischio grave restare, per coloro che insistono a non lasciare la
capitale della Louisiana.
"Noi diciamo chiaramente che questa
citta' e' stata completamente distrutta", ha detto Riley, mentre gli
elicotteri sorvolano la citta'. "Cerchiamo di convincere i cittadini che
non c'e' alcuna ragione per rimanere - niente lavoro, niente cibo,
nessuna ragione davvero per loro per restare".
Circa 51.000 uomini - 38.000 della
National Guard e 13.000 soldati - sono stati dislocati in Louisiana,
Mississippi e Alabama, sulla scia di morte lasciata da Katrina.
Fonte - ANSA
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Katrina:
l'economia vacilla, crescita a rischio
Dopo il summit
d'emergenza alla Casa Bianca con Greenspan, Bush invita gli americani a "essere
prudenti" nell'uso della benzina. Due ex presidenti (il padre Bush senior e Bill
Clinton) incaricati dei fondi per la ricostruzione, come per lo Tsunami.
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2 Settembre 2005
21:29 NEW YORK (WSI - ANSA)
L'economia americana vacilla sotto i colpi
dell'uragano Katrina e si scopre vulnerabile, proiettando ombre anche sulla
crescita mondiale. Le attività petrolifere del Golfo del Messico, dove si
concentra il 30% del fabbisogno nazionale, tentano una timida ripresa, mentre
prosegue la corsa dei prezzi dei carburanti. In tensione, da ultimo, le
quotazioni di generi alimentari come caffé, banane e zucchero, per l'inagibilità
del porto di New Orleans, tra i primi cinque negli Usa per movimentazione di
prodotti agricoli.
Il presidente George W. Bush, a conferma della
gravità del momento, incontra il numero uno della Federal Reserve, Alan
Greenspan, per discutere gli effetti di Katrina sull'economia e riunisce, subito
dopo, i suoi consulenti per una valutazione preliminare dei danni e delle misure
più urgenti da prendere. In una dichiarazione alla nazione, Bush invita gli
americani a "essere prudenti" nell'uso dell'energia nei prossimi mesi a causa
del dissesto provocato da Katrina sulle scorte petrolifere della nazione. "Non
comprate benzina se non ne avete bisogno essenziale", dice avendo accanto due ex
presidenti (il padre George e Bill Clinton). "E' nostra opinione - aggiunge -
che l'uragano abbia portato a una temporanea distruzione che sta per essere
affrontata dal governo e dal settore privato".
Analisi macroeconomiche, come quella sviluppate
da Global Insight Research, stimano nella misura dello 0,5-1% la minor crescita
del Pil americano nel terzo e nel quarto trimestre in uno scenario di carburanti
intorno ai 3 dollari al gallone (3,79 litri) e del petrolio a 75 dollari
massimi. Con quotazioni più alte, sul lungo periodo si rischia invece
l'azzeramento della crescita nella seconda metà del 2005. Lo scenario peggiore è
destinato a penalizzare gli assetti dell'economia mondiale: se da un lato è
prematura una previsione puntuale, dall'altro pare certo "un effetto rilevante".
"E' sempre più chiaro che l'impatto
dell'uragano sulle operazioni del greggio e del gas naturale sarà significativo
e più prolungato nel tempo", commenta Red Cavaney, presidente dell'American
Petroleum Institute. Il primo problema da risolvere, sottolinea Ben Bernanke,
capo degli economisti della Casa Bianca (e candidato favorito alla successione
di Alan Greenspan alla Fed), "é assicurare regolari scorte di carburante,
neutralizzando il rialzo dei prezzi e le manovre speculative in azione che non
sono peraltro così forti".
I future sulla benzina salgono al Nymex di 16
centesimi a 2,42 dollari al gallone, mentre alla pompa si registrano
oscillazioni schizofreniche in tutto il Paese, con variazioni - sulla base delle
rilevazioni più recenti - tra i 3 dollari della California ai 3,46 dollari al
gallone registrati nel Massachusetts, per passare ai 3,69 dollari di Chicago
fino a un massimo record oltre i 5 dollari in North Carolina. In più, se non
saranno assicurati in pieno i rifornimenti, alcuni dei principali aeroporti del
sudest del Paese, come quelli di Charlotte, Atlanta (Georgia), Tampa e Orlando
(Florida), sono a rischio chiusura per mancanza di carburante.
Il greggio, per altro verso, riesce sia pure a
fatica a mantenersi sotto la soglia dei 70 dollari al barile (+0,5% a 69,30
dollari alla chiusura di New York) con il via libera alle riserve strategiche
autorizzata dall'Amministrazione Bush a cui Valero Energy ha chiesto - da ultimo
- di poter attingere per 1,5 milioni di barili totali. Il terzo maggiore
operatore nella raffinazione statunitense ha due impianti in Louisiana, uno a
Krotz Spring e Lake Charles per un potenziale di oltre 300 mila barili. "La
notizia positiva - osserva ancora Bernanke - è che il blocco delle attività
petrolifere nel Golfo del Messico non è destinato a essere permanente".
Alla riapertura di alcune raffinerie, come
quella da 500 mila barili di Baton Rouge della ExxonMobil, si aggiungono quelle
delle arterie principali di trasporto del greggio, gli oleodotti Colonial e
Plantation, sia pure a regime dimezzato, ma fondamentali per la distillazione
attualmente attiva nell'area colpita da Katrina solo per un quarto del
potenziale. All'emergenza energetica, si somma quella dell'intero tessuto
produttivo, ormai alle corde. Il colosso della distribuzionecome Wal-Mart, a
causa della chiusura di 120 centri commerciali (il 3,3% del totale), prevede un
brusco calo delle vendite a settembre, mentre per l'intero comparto agricolo gli
economisti del Dipartimento dell'Agricoltura stimano a causa di Katrina una
flessione dei ricavi 2005 del 13% a 71,8 miliardi.
La Louisiana vale il 20% della produzione di
zucchero e, insieme a Mississippi e Alabama, ha una rilevante fetta di
produzione del cotone (+65 centesimi l'apertura dei future sulla balla a 1,75
dollari). Con il porto di New Orleans fuori uso e la navigazione sul Mississippi
impossibile, il colosso alimentare Cargill ha visto vanificare lo scarico di
mais, soia e cereali attesi prima che si abbattesse la furia dell'uragano.
Stessa cosa è accaduta alla Chiquita International con i carichi di banane dal
Centro America e che ora ha difficoltà logistiche: nei porti che si affacciano
sul Golfo del Messico transita il 25% delle importazioni.
Più difficile la situazione per il caffé (+3,8%
a 104,95 dollari la quotazione): nei magazzini di New Orleans, secondo il
Chicago Board of Trade (Cbot, la più grande Borsa al mondo della negoziazione
delle merci), erano stipati 700mila sacchi da 65 chili medi l'uno ora in gran
parte inutilizzabili. Le ripercussioni sui consumatori saranno inevitabili sul
lungo periodo, ma "se l'emergenza dura 5-10 giorni - spiega ildirettore generale
del Cbot, David Lehman - i problemi saranno solo transitori".

Fonte
- Wallstreetitalia.com
KATRINA: costi sopra i $100 miliardi
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Settembre 2005 16,05 (ANSA)
Mentre un senatore della Louisiana
parla di 10.000 vittime, i costi di Katrina supereranno i $100
miliardi, secondo le valutazioni di RMS, Risk Management Solutions,
una societa' che studia l'impatto dei dei disastri naturali. Una
simile cifra averebbe ovviamente conseguenze negative pesanti
sull'economia reale e sulla crescita del Pil degli Stati Uniti.
Secondo RMS i danni includono
l'effetto del vento distruttivo dell'uragano, le ondate del mare e
l'acqua alta su tutta la costa, e le devastanti inondazioni di New
Orleans. L'uragano Andrew, con gli opportuni aggiustamenti per
l'inflazione, costo' nel 1992 $43.6 miliardi.
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L’America prima di Katrina
08 Settembre 2005
Prima che l’uragano Katrina si abbattesse sulla
costa meridionale degli Stati Uniti, l’economia a stelle e strisce godeva di
buona salute.
Il consueto rapporto redatto dalla Federal
Reserve, infatti, parla chiaro: tra la fine di luglio e fino al 29 agosto si è
registrata “un’estesa crescita economica”, grazie a un soddisfacente aumento di
vendite di automobili e al buon andamento del turismo.
Ma nei prossimi mesi le cose potrebbero
peggiorare, effetto proprio dell’uragano, che alle assicurazioni potrebbe
costare – si tratta di cifre ancora provvisorie - tra i 20 e i 30 miliardi di
dollari e secondo il Budget Office del Congresso potrebbe sottrarre un punto
percentuale alla crescita Usa nel secondo trimestre.
Insomma, Katrina proprio non ci voleva; a
scorrere infatti il rapporto della Banca centrale americana diffuso ieri ci si
rende conto che lo sviluppo Usa procedeva nonostante la frenata del settore
immobiliare riscontrata in alcuni distretti e il rally dei prezzi del comparto
energetico che alimenta la minaccia inflazione.
I maggiori oneri sopportati dalle aziende a
forte dipendenza energetica ''si sono parzialmente trasferiti sui consumatori”,
sottolinea infatti il rapporto che ribadisce ancora una volta quanto la Fed sia
sensibile al campanello d'allarme dell’inflazione e come intenda verosimilmente
proseguire sulla strada rialzista dei tassi.
Un percorso in cui del resto è impegnata
ininterrottamente da oltre un anno e che appare sicura sponda all’instabilità
dei prezzi. Il caro-petrolio ha fatto sentire i suoi effetti - evidenzia ancora
la Fed - sui prezzi delle costruzioni e dei materiali di manifattura, incluso
acciaio e chimica, dove gli aumenti sono stati ''significativi''. Altrove il
panorama prezzi registra un trend in “modesto aumento”.
Il 'Beige Book' era stato preceduto dalle
dichiarazioni di uno dei membri del direttivo che decide la politica monetaria
della Fed, il presidente della Fed di Chicago Michael Moskow, che aveva
osservato come le pressioni inflattive emerse dagli ultimi dati congiunturali
Usa richiedessero “risposte adeguate”.
Fonte
- Miaeconomia.it
Wall Street euforica indici in rally
Il calo dei prezzi energetici e le
buone notizie giunte dal fronte macro hanno spinto i listini ai massimi
di diverse settimane. Il Dow fa +1.36%, Nasdaq +1.20%.
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6 Settembre 2005 22:15
NEW YORK (WSI)
Dopo la pausa per la ricorrenza del
Labor Day, i listini americani iniziano la settimana in netto rialzo
chiudendo ai massimi di diverse ottave. Ad innescare gli acquisti e’
stato in primo luogo il calo dei costi energetici. Una spinta e’ anche
arrivata dal comparto dei servizi che ad agosto ha registrato
un’espansione. Il Dow Jones ha guadagnato l'1.36% a 10.589, l’S&P500
l'1.26% a 1.233, il Nasdaq e’ avanzato dello 1.20% a 2.166.
A contribuire al rialzo odierno e’
stata anche la crescente opinione che la Banca Centrale americana nel
prossimo incontro non proseguira’ la politica di rialzo dei tassi
d’interesse come diretta conseguenza del disastro causato dall’uragano
Katrina.
Al momento i tassi a breve sono del
3.5%. Mantenere tale livello significherebbe non incrementare i tassi
sui prestiti sia per i singoli individui che per le aziende. Cio’
consentirebbe all'economia americana di poter meglio assorbire i costi
senza registrare un rallentamento.
Passando al comparto energetico, il
ritracciamento del greggio oggi ha offerto un valido sostegno per il
rally dei listini. Il contratto future con scadenza ottobre ha terminato
la sessione in ribasso di $1.61 a quota $65.96 al barile, minimo di due
settimane. Le pressioni sui prezzi energetici sono derivate
principalmente dal riavvio delle operazioni di estrazione e lavorazione
degli impianti del Golfo del Messico, rimaste inattive in seguito al
passaggio della tempesta che ha colpito violentemente la zona.
A contribuire al selloff sull’oro nero
e’ stata anche la comunicazione dell'International Energy Agency,
relativa all’apertura delle riserve strategiche per far fronte alla
domanda di combustibile. La stessa mossa e' stata attuata anche dal
Governo Usa.
Notizie positive sono giunte anche dal
fronte economico. Nel mese di agosto l'indice ISM non manifatturiero e'
salito a quota 65 punti dai precedenti 60.5. Si tratta del piu’ alto
livello dall’aprile 2004. Il dato si e’ rivelato anche superiore alle
attese degli analisti che si aspettavano una leggera flessione a quota
60. Ricordiamo che una lettura superiore ai 50 punti indica
un'espansione dell'attivita'.
Fonte - Wallstreetitalia.com
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Wall
Street: la FED affonda i listini
La decisione della
Fed di alzare i tassi d'interesse e confermare il termine 'measured'
scatena gli ordini sell. Il Dow Jones cede lo 0.72%, il Nasdaq -0.65%
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20 Settembre 2005
22:12 NEW YORK (WSI)
Dopo aver trattato quasi per l’intera
giornata in territorio positivo, gli indici americani sono stati
investiti da un’ondata di vendite subito dopo la comunicazione della Federal Reserve sui tassi d’interesse. Come atteso dalla maggior parte
degli economisti, la Banca Centrale Usa ha alzato il tasso sui fed funds
di 25 punti base, portandolo al 3.75%. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.72% a
10.481, l’S&P500 lo 0.79% a 1.221, il Nasdaq e’ arretrato dello 0.65% a
2.131.
Nelle ultime settimane, a causa del
disastro economico causato dall’uragano Katrina, si erano intensificate
le voci secondo cui la Fed avrebbe potuto optare per una pausa del ciclo
rialzista che caratterizza la sua politica monetaria dal mese di giugno
2004. In quell’occasione fu operato il primo rialzo dei tassi
d’interesse della serie; quello di oggi e’ l’undicesimo consecutivo.
Dal documento ufficiale che accompagna
la decisione, e’ emerso che le conseguenze di Katrina potrebbero causare
un aumento delle pressioni inflazionistiche nel breve termine, ma non
rappresentano una minaccia persistente per l’economia Usa.
Il Fomc, il braccio operativo della Fed,
ha inoltre confermato il termine "measured pace", per descrivere il
passo con cui intende procedere sulla via dei cambiamenti alla politica
monetaria accomodante. La decisione ha sorpreso la maggior parte degli
operatori, che si aspettavano un cambiamento nel linguaggio, che avrebbe
potuto indicare un risvolto sulle future mosse in materia di tassi.
Non e’ bastato ad arginare le vendite
il calo del petrolio, oggi sotto pressione in seguito alla decisione
dell’OPEC, in riunione a Vienna, di aumentare la produzione di due
milioni di barili al giorno e, non accadeva dalla prima Guerra del
Golfo, di sospendere le quote estrattive.
Le vendite sul comparto energetico si
sono comunque affievolite nella seconda parte della giornata, in seguito
agli aggiornamenti relativi alla tempesta tropicale Rita, la cui forza
si e’ intensificata nelle ultime ore. Le ultime notizie riportano che la
tempesta abbia gia’ assunto le caratteristiche di un uragano di seconda
categoria. Intanto cresce l’attesa per il dato settimanale sulle scorte
che verra’ rilasciato nella giornata di domani alle 16:30 ora italiana.
Fonte - Wallstreetitalia.com
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Greenspan
non cambia rotta
21 Settembre 2005
Neppure l'uragano Katrina ha fatto modificare
l'intendimento del presidente della Fed, Alan Greenspan, che ha ritoccato al
rialzo per l'undicesima volta consecutiva i tassi d'interesse americani,
portandoli al 3,75%, cioè 1,75 punti base sopra il livello dell'area Euro.
Non si può certo parlare di sorpresa, anche se
sussisteva qualche incertezza, alla luce del disastro provocato da Katrina,
l'uragano che ha causato circa cento miliardi di dollari di danni, oltre alla
morte di un migliaio di persone.
Nonostante questo la Fed ha voluto sgombrare il
campo da qualsiasi incertezza affermando che le conseguenze derivanti da Katrina
non possono essere considerate durevoli, in quanto anzi si riuscirà a
ripristinare la situazione in un breve arco di tempo, dal punto di vista dei
riflessi sull' economia.
Tuttavia vale la pena sottolineare che per la
prima volta dal giugno di due anni fa il voto nell' ambito del Federal Open
Market Committee non è stato unanime, in quanto si e' registrato un dissenso,
quello espresso dal Governatore Mark Olson, che avrebbe invece voluto che i
tassi rimanessero fermi.
Greenspan però continua sulla sua strada, che è
appunto quella di un graduale (la parola "misurato" e' stata confermata anche
oggi nel comunicato che ha annunciato la decisione di rialzare i tassi) aumento
del costo del denaro.
Tanto più che anche l' inflazione di fondo,
nonostante il caro-petrolio, a giudizio della banca centrale statunitense
dovrebbe essere "contenuta", mentre non sussisterebbe il pericolo che le
conseguenze di Katrina si allarghino al punto da determinare un rialzo dei
prezzi del greggio tale da condizionare negativamente le sorti dell' economia.
Peraltro, le previsioni degli economisti
mettono in conto una riduzione della crescita del prodotto nazionale lordo nel
terzo trimestre, che dovrebbe registrare un +3,6% anzichè il +4,1% stimato prima
dell' uragano. Vale a dire che in ogni caso l' effetto-Katrina è quantificabile
in mezzo punto percentuale di crescita in meno, anche se gli stessi esperti sono
concordi nel ritenere che già a partire dal 2006 la corsa dell' economia
riprendera' a pieno ritmo.
Le considerazioni espresse ieri dalla Federal
Reserve, che sono appunto sostanzialmente ottimistiche a tutto campo, si
scontrano peraltro con le indicazioni venute nei giorni scorsi dall' indice di
fiducia dei consumatori elaborato dall' università del Michigan, che a settembre
ha registrato un crollo, portandosi al di sotto dei valori toccati dopo l' 11
settembre del 2001.

Fonte
- Miaeconomia.it
Mercati: è proprio il caso di alzare la guardia
I recenti segnali di
deterioramento macroeconomico potrebbero essere un fenomeno non temporaneo. I
disequilibri strutturali dell'economia Usa vanno presi sul serio. Per queste
ragioni e' opportuno un asset allocation piu' defensivo.
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21 Settembre 2005 17:00
MILANO (di Michele Pezzinga*)
Pausa in vista per i mercati azionari? Ce ne
sarebbero i motivi. La loro ascesa estiva è stata infatti favorita dal
contestuale emergere di segnali ancora favorevoli dal lato della crescita
economica, negli USA e in Giappone in particolare, e dal persistere di un quadro
sempre tranquillizzante dal lato inflazione-tassi; ma ora lo scenario sul fronte
macro sembra nuovamente deteriorarsi, almeno temporaneamente, e la voglia di
alleggerire le posizioni, soprattutto sull'azionario, potrebbe avere di nuovo la
meglio.
I motivi di una maggior cautela sono proprio
quelli messi in evidenza dalla FED ieri sera, nel breve comunicato che spiega
l'undicesimo rialzo consecutivo dei tassi, ormai giunti a quota 3,75%: da un
lato il fatto che, in particolare a causa dell'uragano Katrina "spesa,
produzione e occupazione nel breve periodo subiranno battute d'arresto";
dall'altro che "i più elevati prezzi dell'energia e gli altri costi hanno il
potenziale per aumentare le pressioni inflazionistiche".
Per la FED però entrambi questi fattori, pur
aumentando "l'incertezza sulla performance economica nell'immediato futuro", non
sembrano "presentare minacce più persistenti", cioè durevoli; per noi invece in
un contesto caratterizzato da elevati squilibri di fondo, a cominciare dalla
situazione patrimoniale delle famiglie USA, fortemente indebitate a fronte di un
tasso di risparmio ormai scivolato in territorio negativo (in pratica sono
arrivate a spendere più di quanto guadagnino, intaccando il loro patrimonio), lo
shock energetico potrebbe condizionare pesantemente la tenuta del processo di
crescita.
Con la continua ascesa dei prezzi di benzina e
gasolio da riscaldamento, queste stesse famiglie si trovano a fronteggiare
maggiori costi energetici per qualcosa come 100 mld di dollari su base annua,
una cifra di gran lunga superiore ai flussi di risparmio corrente, che quest'anno
hanno finora raggiunto 25 mld soltanto, e come dicevamo ultimamente si sono
addirittura esauriti. Un aggiustamento appare inevitabile, pur con tutti i dubbi
relativi ai suoi tempi, ed in ogni caso la tenuta di un simile meccanismo di
crescita esponenziale dei consumi con leva finanziaria continua a dipendere dal
continuo incremento di valore degli attivi, tra cui spiccano soprattutto le
proprietà immobiliari; in caso contrario, il circuito si invertirebbe, portando
a capovolgere le decisioni future di allocazione del reddito disponibile tra
consumi e risparmio.
A breve, complice l'ulteriore shock energetico
e gli effetti uragani, i segnali macro non si preannunciano favorevoli:
l'inflazione subirà l'impatto del caro petrolio, con i prezzi al consumo USA che
in settembre potrebbero mettere a segno persino un balzo dello 0,8-0,9%,
passando da quota +3,6 ad un +4,4% su base annua, sia pure quasi solo a causa
dell'andamento della benzina, mentre la crescita del PIL dovrebbe subire nel 3°
trimestre un impatto negativo intorno al mezzo punto percentuale, rispetto al
+3,5% inizialmente stimato, pur con un probabile recupero nei trimestri
successivi anche grazie ai decisi interventi di spesa approvati dal Congresso.
Ma proprio questa maggiore spesa (finora 60 mld
di dollari circa) potrebbe mettere in discussione i progressi di bilancio
federale realizzati finora dall'Amministrazione Bush, riproponendo un altro
squilibrio che si sperava invece tendesse lentamente a risolversi. In una fase
come l'attuale dove l'ottimismo sull'evoluzione congiunturale sembra dominare,
in linea con la visione rassicurante di un'istituzione prestigiosa come la FED,
tutte questi elementi di dubbio potrebbero essere percepiti come temporanei e
dunque risultare ininfluenti per i mercati. Ma poichè il rischio è che possano
compromettere una situazione strutturale tutt'altro che solida, un po' di
cautela supplementare, nonostante i segnali di tenuta granitica che continuano a
giungere dai listini, soprattutto europei, sarebbe quanto mai opportuna.
Alle incognite americane dovremmo aggiungere
anche quelle legate al risultato elettorale tedesco, che per quanto snobbate
dagli investitori con un po' di vendite estemporanee sul DAX, non dovrebbero
lasciare affatto così indifferenti gli altri listini continentali; ed è per lo
meno curioso che ancora una volta i cambi e il reddito fisso abbiano risentito,
con andamenti opposti, di queste incertezze sulla ripresa, mentre l'azionario,
come al solito quest'anno, le abbia presto accantonate.
Proprio l'andamento poco
coerente dei vari mercati - con oro, materie prime, bond, azioni, Paesi
emergenti e attività high yield, tutti insieme sui massimi di periodo o quasi -
rimane un motivo di apprensione circa la razionalità dell'attuale movimento
corale al rialzo, e lascia semmai intravedere i sintomi di una maxi bolla
speculativa che l'effetto liquidità e l'accettazione di un sempre minore premio
per il rischio stanno progressivamente gonfiando.
Rimane il dilemma di cosa la farà sgonfiare e
quali di queste attività finirà per essere maggiormente penalizzata da una
brusca inversione di trend; difficilmente, comunque, bond, azioni e oro, tanto
per fare un esempio, continueranno a muoversi in paradossale sintonia. Sui tassi
continuiamo comunque a credere che la FED sia vicina a completare la sua manovra
restrittiva, che potrebbe concludersi a fine anno su quota 4%, mentre la BCE
dovrebbe rimanere ferma ancora a lungo, con le pressioni al ribasso, ragionevoli
se viste in funzione del deludente andamento congiunturale, inibite dal
contestuale riavvio dell'inflazione per le perduranti tensioni energetiche. In
questo senso, superato un paio di mesi caldi per i prezzi al consumo, una
discesa dei rendimenti a lunga sotto quota 3% ed il riaffiorare di voci di
taglio dei tassi ci sembrerebbero ipotesi abbastanza ragionevoli.
Questo però significa che con rendimenti
alternativi ancora più bassi l'effetto liquidità e le velleità speculative sui
listini azionari (testimoniati dal boom delle posizioni a pegno qui da noi e dal
crescente peso di hedge funds con strategie di investimento sostanzialmente
direzionali, cioè rialziste) potrebbero trovare nuovo alimento, fungendo da
sostegno ai listini nonostante il temuto deterioramento di scenario
congiunturale.
Ragionevolmente, tutto ciò dovrebbe suggerire
un'asset allocation più difensiva. Finora però una simile strategia non avrebbe
funzionato, almeno sul nostro listino, per due ragioni: la prima è che le nostre utilities scontano il balzo record registrato lo scorso anno, gonfiato
dall'andamento altrettanto eccezionale di comparti quali la produzione di
energia elettrica o l'effetto favorevole della regulation; e al contrario di
quanto avviene nel resto d'Europa, il comparto non sembra abbia ancora la forza
di riprendere il trend al rialzo e si muove, tra alti e bassi, solo in senso
laterale.
La seconda è che sul nostro mercato sembrano
dominare temi a carattere speculativo o comunque legati a riassetti azionari ed
operazioni di finanza straordinaria che non sembrano avere nei comparti più
difensivi terreno di coltura particolarmente fertile. Quanto poi alle tlc,
continuiamo a credere che il comparto, e le nostre Telecom in particolare, non
siano poi così difensive, dovendo fronteggiare ancora seri problemi di
concorrenza che i continui sviluppi della tecnologia traducono in forti
pressioni sui prezzi, in particolare nell'area della telefonia fissa e dei
collegamenti in banda larga.
In questo senso, il rischio, per chi vuole
mantenere posizioni investite in attesa di eventuali segnali più convincenti di
correzione, è di essere comunque costretti a cavalcare ancora temi che poco o
nulla hanno a che fare con gli scenari di rallentamento prefigurati e magari con
gli stessi fondamentali, ma che però continuano a sovraperformare in questa fase
di mercato dominata dalla liquidità.
*Michele
Pezzinga e' lo strategist di CentroSim.

Fonte - CentroSim per Wall Street
Italia
Boom dei fondi comuni ad agosto
(06 Settembre 2005)
Quasi 4 miliardi di euro di raccolta
positiva. Questo il dato reso noto da Assogestioni, l’associazione che
rappresenta l’industria del risparmio gestito, per il mese di agosto dei
fondi comuni di investimento. Un vero e proprio boom: per la precisione
+ 3 miliardi e 902 milioni la differenza tra entrate e uscite.
Così nell’intero arco dell’anno il
saldo complessivo positivo si attesta a quota 7 miliardi e 321 milioni.
Bene come al solito gli obbligazionari: + 2 miliardi e 729 milioni di
euro.
Ma la vera novità sta nel risultato al
rialzo degli azionari (+ 509 milioni di euro). Insomma, finalmente, gli
investitori sembrano convinti a seguire l’escalation che le Borse
europee, con Piazza Affari tra le più attive, stanno portando avanti
ormai da un paio di anni. Bene anche i bilanciati (azioni, obbligazioni
e titoli di Stato), + 389 milioni di euro, i fondi flessibili (che
lasciano ampia discrezionalità al gestore), + 540 milioni, e gli hedge
fund, + 216 milioni.
Unica nota negativa di questa tornata i
fondi monetari. Complici anche i bassi tassi, infatti, i prodotti che
puntano sulle obbligazioni a breve termine ad agosto lasciano sul
parterre 481 milioni di euro.
Il dato più complessivo, invece,
sottolinea la ripresa che i fondi Italiani hanno registrato con una
raccolta di + 1 miliardi 804 milioni di euro e un patrimonio di 399
miliardi 680 milioni di euro.Mentre i fondi roundtrip, fondi di diritto
estero promossi da intermediari italiani, hanno fatto segnare un saldo
di + 2 miliardi 098 milioni di euro e un patrimonio di 169 miliardi e
641 milioni di euro.Più nel dettaglio, inoltre, è possibile vedere come
la raccolta netta, per tipologia giuridica si è così ripartita. I fondi
Aperti hanno chiuso con una raccolta in positivo per 3 miliardi e 678
milioni di euro. I fondi riservati hanno chiuso agosto con un segno più
per 8 milioni e gli Hedge, invece, si sono attestati su un rialzo di 216
milioni.
Fonte - morningstar.it
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Fondi, il risveglio degli azionari
(07 Settembre 2005)
E’ un risultato per certi versi storico
quello dell'agosto del 2005. Da più di due anni, infatti, la raccolta
netta dei fondi comuni di investimento non raggiungeva performance di 4
miliardi di euro tra entrate e uscite.
E un dato su tutti fa bella mostra di
sé nei numeri pubblicati da Assogestioni, l’associazione che rappresenta
l’industria del risparmio gestito. E’ la raccolta positiva degli
azionari, + 508 milioni di euro. Dopo mesi di segni meno, insomma, gli
investitori sembrano essersi accorti dei rendimenti ormai da quasi due
anni rialzisti della Borse europee e di Piazza Affari.
Da evidenziare in questo senso il buon
risultato dei fondi che puntano sull’azionario europeo e americano.
Male, anche se in recupero gli italiani. Mentre i fondi specializzati
nei Paesi emergenti registrano flussi attivi per più di 100 milioni di
euro.
I gestori imputano questo ritorno di
fiamma per il settore azionari a 3 fenomeni contingenti. Innanzitutto i
bassi rendimenti delle obbligazioni. Quindi la continuità del buon
andamento delle Borse e i risultati delle trimestrali aziendali che si
stanno rivelando migliori rispetto alle aspettative. Insomma il trend
potrebbe anche continuare.
Andando a spulciare invece tra le varie
società di gestione del risparmio non si può non sottolineare l’ottima
performance di Pioneer Investment (gruppo Unicredit) che con i suoi 115
fondi ha fatto segnare una raccolta netta per più di un miliardi di
euro.
Bene sono andati anche i quasi 250
prodotti di San Paolo-Imi con una differenza tra entrate e uscite pari a
360 milioni. In rosso invece per 21,8 milioni i prodotti di Intesa.
Da segnalare, infine, le ottime
performance di Mediolanum, + 224,3 milioni di euro, e del gruppo Azimut,
+ 180,7 milioni.
Fonte - morningstar.it
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I gestori puntano sul Giappone
(20 Settembre 2005)
Bene il Giappone, avanti adagio Piazza
Affari e male Wall Street. Queste le principali previsioni dei gestori
intervistati nell’ultimo sondaggio di Morningstar, effettuato tra il 2 e
il 12 settembre, sui prossimi 6 mesi dei mercati.
Rispetto allo scorso luglio, infatti, i
pessimisti sulla Borsa di Tokio si sono più che dimezzati a fronte di
un aumento di coloro che credono in una stabilizzazione attorno agli
attuali livelli (dal 9 al 22%). Ma la maggior parte dei gestori
continua ad essere ottimista. I motivi? Da una parte la convinzione che
il trionfo del premier Junichiro Koizumi porti ad una accelerazione
delle riforme. Dall’altra la ripresa economica, testimoniata dal
miglioramento delle esportazioni e del livello occupazionale, e dalle
ristrutturazioni societarie.
Sull’Europa invece pesa l’esito di
un’altra tornata elettorale: quella tedesca. La speranza è che il
prossimo governo imbocchi con decisione la strada delle riforme. La
Germania, come il resto d’Europa, risente delle incertezze del quadro
macro ed è convinzione diffusa che la Banca centrale non cambierà la sua
politica di rigore: contenimento dell’inflazione più che sostegno
all’economia.
Tra le piazze del vecchio continente
comunque si distingue Piazza Affari, che raccoglie oltre il 54% dei
consensi, poco più del resto d’Europa (50%). Fanalino di coda è Wall
Street, vista in crescita appena dal 40,7% dei money manager
intervistati.
Per quanto riguarda il mercato
obbligazionario, invece, i gestori sono convinti che l’inflazione non
desti preoccupazione né in Europa né negli States. Anche se il
caro-greggio rappresenta una minaccia, infatti, sia la Bce che la
Federal Riserve dovrebbero continuare nell’attuale politica monetaria.La
maggior parte dei gestori quindi è convinta che di qui a fine anno si
assisterà a una stabilizzazione dei prezzi dei bond, contro il 43% che
si attende una discesa.
Fonte - morningstar.it
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