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INDICE ARTICOLI

PARTE  2

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Sentiment Mercati

Mercati: incerti tra peggio e meno peggio

Sentiment Mercati

Borsa & Mercati, quanto è realistico questo rialzo ?

Sentiment Mercati

Borsa, il rally d'Agosto ha il fiato corto

Normative mercati finanziari

Il pomo della discordia

Credit Crunch & Borse

Attenti, piccoli speculatori sprovveduti

   

Italia - Risparmio gestito e Fondi

Fondi, a luglio persi 13,5 miliardi di euro

Macro Italia

Italiani più poveri

Finanza italiana - Alitalia

Alitalia? Continuate così, massacratevi

   
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ANSA - 05 Agosto 2008 20:13 ROMA   +++   FED: LASCIA I TASSI INVARIATI   +++    07 Agosto 2008 14:37 FRANCOFORTE   +++   BCE: LASCIA COSTO DENARO INVARIATO ++  BCE: TRICHET;INFLAZIONE RESTA ALTA,BENE STRETTA LUGLIO ++   13 Agosto 2008 18:24 MILANO  ++ BORSA: FORTI PERDITE EUROPA, IN FUMO 154 MLD ++  19 Agosto 2008 18:26 MILANO  ++  Piazze finanziarie europee bruciano 170 miliardi di euro  ++   28 Agosto 2008 18:26 NEW YORK  ++  Crescita del secondo trimestre rivista al rialzo  ++  ANSA
 
  Martedì 05 agosto 2008   Mercoledì 06 agosto 2008   Venerdì 08 agosto 2008  
       
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  Mercati: incerti tra peggio e meno peggio

03 Agosto 2008 22:02 MILANO - di Alessandro Fugnoli*

*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

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Che mezzo usate quest’anno per andare in vacanza? Usate ancora tranquillamente l’auto e l’aereo o ripiegate sul più modesto treno? La distruzione di domanda di carburante e di prodotti petroliferi in generale è ancora poca cosa in Europa. In America, invece, l’auto si comincia a usarla meno per davvero. Quanto all’aereo, oltre a dovere pagare 50 dollari per il secondo bagaglio che si imbarca, si corre il rischio di trovare cancellato non solo il volo, ma l’intero collegamento.
Cresce il numero di città di 100-200mila abitanti che non sono più servite. Chi deve volare deve farsi in questi casi centinaia di chilometri per raggiungere una città più grande dove l’aeroporto funziona ancora.
Con tutti i suoi sforzi l’America ha tagliato i suoi consumi di 400mila barili al giorno. Se il petrolio tornasse a 90 dollari (il target di Lehman) quei 400mila barili tornerebbe a consumarli con entusiasmo (ci riferiamo a un’analisi di sensitività di Goldman Sachs).
Molti dicono che il petrolio dovrà scendere ampiamente sotto i 100 dollari perchè hanno in mente la legge bronzea che vuole che le cose tendano a tornare alla normalità. La "regression to the mean" è una legge nobile e utile in generale, ma questi non sono tempi normali.
Il consumo cinese di petrolio, pur con il prezzo raddoppiato, è di 500mila barili al giorno più alto di un anno fa. Per un barile che l’America riesce a risparmiare, la Cina ne consuma 1.2 in più. In queste condizioni è difficile ipotizzare una caduta pesante del greggio. Ci sembra più realistico ipotizzare che il rallentamento globale del secondo semestre (allargato a America, Europa e Asia) eviterà per quest’anno il raggiungimento di nuovi massimi significativi (geopolitica a parte), mantenendo però il prezzo medio sopra i 100 dollari.
Il consolidamento e il movimento laterale del greggio sono emblematici della fase che si sta aprendo per i mercati in generale. Dalla fase dello shock, che ha caratterizzato in varie riprese il primo anno della crisi, stiamo passando a una fase in cui psicologicamente siamo tutti più attrezzati ad assorbire le cattive notizie, ma in cui comunque la luce in fondo al tunnel resta ancora lontana. Da un fase di movimento, con rotture drammatiche alternate a fasi di recupero, passiamo a una fase di logoramento. Nelle guerre di trincea le sortite e le rotte continuano a esserci, ma divengono più rare.
In queste settimane c’è stata una corsa a dichiarare vicina l’inversione di tendenza (o quanto meno per dichiarare la tendenza ormai prossima all’esaurimento). L’autorevole settimanale Barron’s ha dedicato una copertina alla fine della discesa del prezzo delle case (Home Prices Are About To Bottom, 16 luglio) e un’altra alla fine della discesa delle banche (Buy Banks – Selectively, 21 luglio). Sul mercato c’è stata del resto una corsa disordinata a chiudere il Grande Arbitraggio del 2007-2008, lunghi di energia e corti di finanziari, e ad aprirne uno di segno invertito, lunghi di banche e corti di oil.
Tutto questo ci sembra prematuro. I finanziari sono ancora tossici e i titoli dell’energia (che oltretutto non sono particolarmente cari) hanno ancora delle potenzialità. Concediamo però volentieri una diminuzione di forza di tutte queste tendenze. I prezzi delle case continueranno quindi a scendere, ma più lentamente. I conti delle banche, dal canto loro, continueranno a emanare tossine e i titoli potranno ancora scendere, ma in modo meno generalizzato.
Ci saranno azioni bancarie che si azzereranno (negli Stati Uniti), ma ce ne saranno altre che reggeranno e altre ancora (una piccola minoranza) che potranno addirittura trarre beneficio dall’acquisizione di clienti in fuga dalle situazioni più deboli o dal rilevamento di asset ceduti forzatamente da banche che devono liquidare velocemente.
La maggioranza delle banche, in ogni caso, continuerà a soffrire. Non c’è da farsi troppe illusioni su questo. Molte, anche tra le grandissime, hanno Poster per la nuova linea metropolitana di Minneapolis ancora in carico i Cdo di mutui sopra i 50 centesimi per dollaro. Sono quegli stessi Cdo che Merrill Lynch ha dovuto cedere a 22 (finanziando per giunta il compratore).
Svalutazioni dolorose e abbondanti sono quindi garantite per molti e per molto a lungo. Anche chi ha azzerato in portafoglio le componenti più tossiche dovrà comunque vedersela con un deterioramento generalizzato della qualità degli asset e con una richiesta pressante delle autorità di vigilanza di costituire riserve e ricapitalizzarsi.
Per quanto esistano rischi di spirali negative (se tutti decidono di ridurre la leva il valore degli asset scende e costringe a un’ulteriore riduzione della leva), lo scenario peggiore è una possibilità, ma non è necessariamente il più probabile.
C’è anche, perché no, la possibilità di galleggiare senza gloria fino a primavera. Si parla tanto, in America, delle enormi svalutazioni degli automobilistici e delle banche, ma la capitalizzazione di borsa dei primi è quasi azzerata e il peso delle banche sull’indice è in continua discesa.
Da qui in avanti i danni agli indici, più che da ulteriori discese dei finanziari, verranno eventualmente dal contagio verso i settori rimasti finora sani. Le previsioni macro indicano un costante deterioramento da qui a fine anno, ma bisogna fare attenzione a due cose. La prima è che si parte, almeno in America, da un secondo trimestre di crescita più che dignitosa (contro ogni attesa e grazie all’effetto anticipato dei rimborsi fiscali, ma non solo) che avrà un’eco anche nel terzo trimestre. La seconda è che la probabile recessione del quarto si prospetta al momento non devastante.
In un quadro fragile conterà molto il sentiment. Il periodo finale di una campagna presidenziale diffonde adrenalina nel sistema. A elezioni avvenute, inoltre, per definizione la maggioranza della popolazione è soddisfatta dell’esito e ha motivo di sperare in un rinnovamento. Poi, verso fine anno, come è noto, la stagionalità dei mercati migliora. Fra due mesi vedremo le prime discese dell’inflazione e le banche centrali avranno più spazio di manovra. Infine i mercati tendono ad anticipare di qualche mese il punto d’inversione del ciclo.
Il recupero seguito all’avvio del processo di sistemazione di Fannie e Freddie continua a sembrarci, a differenza di quello successivo a Bear Stearns, di stabilizzazione più che di (ipotizzata) inversione di tendenza. Non per questo è meno benvenuto, anzi. Tra euro e dollaro è aperta la gara tra due debolezze, quella americana e quella di un’Europa che consuma poco ed esporta con crescente fatica. A favorire il dollaro c’è almeno in teoria la sua sottovalutazione. A favorire l’euro c’è il fatto che la debolezza europea presenta meno rischi sistemici di quella americana. L’effetto netto rimane per il momento quello di un range di oscillazione abbastanza modesto.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero

 

 

 

 

 

 

A PROPOSITO DI HEDGE FUNDS

03 Agosto 2008 22:02 MILANO - di Giovanno Zibordi
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Come nota Bloomberg oggi mentre le borse sono tutte scese ora dai massimi di fine anno del -15% (Sudamerica e Giappone e ora anche Russia) al -20% l' America, al -25% o -30% l'Europa, Corea e Hong Kong, al -40% o anche -50% di India, Cina e Vietnam, un'intera categoria composta da dozzine di fondi ha guadagnato da inizio 2008 un 18% medio.
Sono i fondi hedge "macro" cioè quelli che non investono in azioni per paese o settore, non investono neanche stile Warren Buffett su singoli titoli, ma quelli che vanno sia al ribasso che al rialzo su TUTTO, azioni italiane o cinesi, titoli bancari o minerari, small cap o blue chip, yen o sterlina, India o Scandinavia, oro o soya, argento o petrolio.
Questa gente non investe sia al ribasso che al rialzo su qualunque cosa perchè sono onniscienti, al contrario perchè semplificano e ragionano per alcuni grossi "temi" macroeconomici da cui appunto il nome di questo stile: "global macro" o "macro".
L'approccio è di fare alcuni ragionamenti generali e poi prendere un settore azionario, un paese, una valuta, un tipo di obbligazioni, delle materie prime, un paio di titoli rappresentativi e venderli al ribasso o comprarli senza sapere in dettaglio molto nello specifico, ma in base appunto invece ad uno schema generale su come va il mondo.
Questo stile di investimento era popolare una volta al tempo di Soros o meglio non era popolare ma risultava vincente per i pochi come Soros che lo praticavano e poi era stato soppiantato dal comprare sempre alcuni settori azionari come il Nasdaq e la tecnologia negli anni '90 e poi gli emergenti, l'energia o anche le borse stesse dopo il 2003. Questo perchè tutto saliva, bonds, azioni di tutti i paesi e materie prime grazie alle banche centrali che tenevano i tassi di interesse troppo bassi.
Quando però l'economa va in crisi o comunque ci sono guai in diversi paesi e settori IN UN'ECONOMIA GLOBALE lo stile "macro", ribasso e rialzo spregiudicato su qualunque cosa, è l'unico che funziona.
Per combinazione tra l'altro se uno da' un occhiata questo è quello che si suggerisce qui, raccomandando appunto indifferentemente oro o yen o azioni del gas o bancari o petrolio short o India o obbligazioni a 2 anni... il che per molti di primo acchitto può sembrare confuso o complesso. Ma si passa da una cosa all'altra non perchè si guardano solo i grafici o perchè si è specialisti di tante cose il che sarebbe impossibile. Ci si muove a 360 gradi su tutto perchè ora il mondo finanziario funziona oggi così, è tutto integrato a livello globale, tutto influenza tutto e passi indifferentemente da oro a yen ad azioni del gas o bancari o petrolio short o India o obbligazioni a 2 anni... se rientrano, in dati momenti, in un ragionamento economico globale.
 

 

 

 

S&P: 'SE ANCHE FOSSE PREPARATO DA VACCHE, DAREMMO UN RATING'

04 Agosto 2008 16:42 NEW YORK - di WSI
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Non parrebbe una novita', ma comunque vale la pena farne menzione: nel disastro dei mutui subprime di cui ricorre in questi giorni il primo anniversario, le agenzie di rating americane Standard & Poor’s Ratings Services, Fitch Ratings e Moody’s Investors Service, hanno avuto una grossa fetta di responsabilita' nel creare il caos che oggi terrorizza i mercati finanziari e milioni di proprietari di case in tutto il mondo.
Stando alle ultime informazioni, gli analisti di Standard & Poor’s sono stati apparentemente i piu' espliciti, tra le tre piu' importanti agenzie di rating, ad avere dubbi e mettere in questione i criteri interni con cui si procede a dare il voto a determinati strumenti finanziari emessi da migliaia di societa' quotate e non. Ne parla il Wall Street Journal in un articolo uscito lo scorso weekend. E certamente, col senno di poi, cio' sembra essere uno dei motivi principali per il cui il sistema finanziario e' andato fuori controllo.
L'articolo del WSJ cita una versione provvisoria (draft) di un report della pubblicato Securities and Exchange Commission pubblicato il mese scorso (con la differenza che la versione finale non fa accenno ad alcuna societa' in particolare, il draft si'). In una email, un analista di S&P scrive ad un altro che quel particolare "deal" a cui stava per essere assegnato un rating era "ridicolo", e inoltre che "in questi casi noi non dovremmo dare un rating", si legge nel report Sec. Nella sua risposta via email il collega scriveva: "noi diamo il rating ad ogni tipo di deal"; "potrebbe anche essere strutturato da vacche, daremmo comunque un rating".
L'articolo cita poi un manager di Standard & Poor’s facente parte del gruppo che assegna i rating ai CDO (Collateralized Debt Obligations, tipo asset-backed security e structured credit product) il quale scrive in un'email che le tre agenzie stavano per creare "un mostro anche piu' grande: il mercato dei CDO". "Speriamo solo - aggiungeva - che noi all'epoca saremo tutti ricchi e in pensione, quando questo castello di carte implodera'". L'email finiva con un emoticon - ;O), - fatto non secondario perche' dimostra che, se per caso un anno fa c'era qualche preoccupazione sulla qualita' dei rating nello staff di S&P’s, non era certo presa sul serio da nessuno.
Come e' noto, le migliaia di deal andati male con i prodotti strutturati legati ai mutui subprime, hanno contribuito a lastricare il mercato dei capitali di buchi colossali nei bilanci del sistema bancario. La crisi del credito, esplosa nell'agosto 2007, secondo la maggior paret degli esperti causera' come minimo perdite globali di almeno $1 trilione (ma c'e' chi parla gia' di $2 trilioni, cioe' 2.000 miliardi di dollari), con conseguenze che tracimano ormai sull'economia reale, i consumi e la fiducia sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo occidentale.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

Non ti curar dell'Orso ma guarda e passa

07/08/2008 13.34 - di Marco Caprotti
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“La zampata dell’Orso sui mercati”. “L’Orso affonda i mercati”. “I mercati nel panico per colpa dell’Orso”. Non c’è giornale finanziario che nell’ultimo anno non abbia fatto un titolo sull’Orso (tecnicamente, quando un indice perde almeno il 20% rispetto ai massimi) . All’inizio la questione era semplice: capire se le piazze finanziarie stavano veramente entrando in questa fase.
Poi, quando la maggior parte dei panieri si stava avvicinando a quel livello, le domande sono diventate più circostanziate. Quando ci arriveremo? Quanto durerà? Cosa succederà alle azioni? Tutti interrogativi pertinenti e che, dal punto di vista giornalistico, attirano l’attenzione del lettore. “Gli investitori, tuttavia, dovrebbero evitare di farsi coinvolgere da queste discussioni: se sono contenti con la struttura dei propri portafogli, farebbero bene ad abbandonare il giornale sotto l’ombrellone e andare a fare il bagno”, spiega Gregg Wolper, uno dei responsabile dell’analisi sui fondi di investimento di Morningstar. “Se, infatti, le discese dei mercati sono importanti, le definizioni non lo sono per nulla”.
Come accennato sopra, per mercato Orso si intende la discesa del 20% di un indice. Ma chi ha inventato questa regola? “Probabilmente la stessa persona che ha deciso di definire recessione il rallentamento del Pil per due trimestri consecutivi”, risponde acido Wolper. “Non uno e nemmeno tre. Due precisi”.
Polemiche a parte, è comprensibile il motivo per cui accademici e professionisti dei mercati cerchino delle definizioni. Senza di queste, la storia delle Borse potrebbe essere raccontata soltanto come una serie di alti e bassi. Solo piantando dei paletti saldi e appiccicando etichette è possibile dare uno sguardo sensato all’andamento dei listini.
Tutto questo, però, non ha nessun senso per l’investitore ordinario. E l’attenzione che i giornali dedicano a queste definizioni è, nella migliore delle ipotesi, una distrazione. Nella peggiore, invece, può diventare pericolosa. “E’ una distrazione perché un investitore non dovrebbe fare le sue mosse basandosi solo sul movimento di breve periodo delle azioni in portafoglio”, spiega l’analista. “Certo, il Dow Jones può scendere del 18% (la cosiddetta “correzione”, Ndr) o crollare del 20%. Ma la stessa importanza hanno l’andamento del prezzo del petrolio, la crisi del comparto immobiliare e i movimenti dell’euro rispetto alle altre valute. Una maggiore attenzione andrebbe posta, forse, alle proprie esigenze personali. Ad esempio: il mio posto di lavoro è ancora sicuro? Come sto di salute? E quindi: non sarebbe il caso di avere a disposizione una dose di liquidità per qualsiasi evenienza? Tutte domande a cui il livello raggiunto da un indice non può bastare come risposta”.
Il pericolo è rappresentato dal tono con cui i giornali talvolta parlano del mercato Orso. Spesso raccontano quello che è successo in passato, quanto è durato e quanto profondo è stato il crollo. La morale, nella maggior parte dei casi, è che un investitore dovrebbe fuggire dalle Borse e comportarsi in maniera più prudente. In realtà, la fase Orso può durare un giorno oppure dei mesi. Ma gli articoli in cui si consiglia come comportarsi in queste occasioni, danno sempre l’impressione che, una volta superata la soglia del -20%, non ci sia più niente da fare: l’investitore resterà impantanato per non si sa quanto tempo. “Ma è un gioco pericoloso”, dice Wolper. “Se la gente inizia a credere che, una volta iniziato, il mercato Orso continuerà ancora a lungo, allora arriveranno gli ordini di vendita che schiacceranno i prezzi ancora di più”.
All’apparenza, quindi, sembrerebbe più logico acquistare piuttosto che vendere durante le fasi di Orso. “Non è detto”, conclude l’analista di Morningstar. “I titoli, infatti, potrebbero scendere ancora. E se anche uno volesse farlo, sarebbe dura dare ordini di acquisto quando Tv e giornali non fanno altro che ripetere quanto sia grave la situazione. Insomma, la discesa dei mercati è una cosa seria e vale la pena conoscere i motivi che la stanno causando. Tuttavia, non ha senso cercare di sapere se una correzione ha superato una determinata soglia. Meglio lasciare questi esercizi ai professori, agli analisti delle merchant bank e a chi fa i titoli sui giornali”.
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Martedì 12 agosto 2008   Mercoledì 13 agosto 2008   Sabato 16 agosto 2008  
       
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  Borsa & Mercati, quanto è realistico questo rialzo ?

08 Agosto 2008 08:02 MILANO - di Alessandro Fugnoli

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Oggi nel mondo c’è deflazione e inflazione, come dire che piove con il sole. C’è anche, contemporaneamente, crescita, stagnazione e recessione. C’è un dollaro forte e debole. Ci sono oro, petrolio e materie prime destinati a scendere ma anche (più avanti) a salire. Su questo quadro tempestoso ma ancora vitale aleggia la minaccia mortale, l’Iran. Una minaccia remota, come un tuono lontano che lentamente si avvicina.
Per tentare di capire quello che succede bisogna partire dalla corsa folle dell’economia mondiale negli anni dal 2003 al 2007, quando il Pil globale è aumentato di più di un quarto. Corse di questo tipo finiscono a volte per cause esogene (guerre, shock di varia natura), per scelte sbagliate di policy, per eccessi di leva e conseguenti bolle di asset o per morte naturale. La morte naturale è quando l’economia globale cresce a lungo più della crescita della produttività. Da un certo punto in avanti non ci sono più risorse inutilizzate (disoccupati da impiegare, miniere inattive da iniziare a sfruttare, impianti fermi dalla crisi precedente da riattivare) e la crescita si trasforma in inflazione.
Il grande ciclo 2003-2007 è finito prima di tutto per morte naturale, ma anche per eccessi di leva e infine per errori di policy in sé non gravissimi, ma che messi insieme al resto hanno creato il quadro che vediamo. Non è una tempesta perfetta perché manca il primo elemento, l’esogena, e speriamo di cuore che l’Iran non voglia crearla.
La crescita del 2003-2007 è stata così forte e ha accumulato una velocità tale da non finire tutta in una volta. E’ come un’armata che corre all’assalto verso il nemico a velocità crescente e a un certo punto inizia qua e là a trovare ostacoli, ma non su tutta la linea. Succede così che qualche parte del fronte si deve fermare, qualche altra deve addirittura arretrare mentre ci sono ancora zone in cui l’avanzata continua.
Questo quadro articolato (con gli emergenti che continuano a crescere, Europa e Giappone che si stanno fermando e l’America che si avvia verso un quarto trimestre di probabile recessione) è una benedizione perché ci evita, finché dura, una recessione globale simultanea. Il prezzo da pagare per questo è che questa crescita bassa e irregolare (il mondo è ancora in crescita, nel suo complesso) durerà a lungo, tutto quest’anno e gran parte del prossimo, con qualche effetto strutturale anche negli anni successivi.
Non si può avere tutto dalla vita. La storia naturale di una crisi da surriscaldamento prevede l’arresto del motore, il raffreddamento e il riavvio (tanto più vivace quanto più lungo è stato il raffreddamento). Se però si interviene con provvedimenti di policy (monetari o fiscali) il raffreddamento è meno intenso, ma il riavvio è lento e zoppicante.
Il petrolio, come nota JP Morgan, può ben scendere del 20 per cento dai massimi, ma i colli di bottiglia del sistema sono molti, le risorse inutilizzate poche, è il riequilibrio sarà comunque faticoso. Questo non toglie che la discesa delle materie prime non sia da una parte dovuta (il ciclo sta rallentando ovunque) e dall’altra provvidenziale, perché arriva in un momento di fragilità, questo secondo semestre in cui i prezzi delle case continuano a scendere ed erodono la ricchezza dei consumatori e il capitale delle banche.
Questo bear market rally del dopo Fannie/Freddie è più irregolare e meno impetuoso del rally di Bear Stearns di marzo e aprile, ma è per qualche aspetto più motivato. Allora il combustibile del rialzo era l’idea, tutta da dimostrare e presto smentita, che la crisi finanziaria era finita. Oggi il combustibile è un dato reale, il petrolio che scende da 147 a 118 e fa apparire il 5 per cento dell’inflazione headline come un picco temporaneo cui seguirà una rapida discesa. Con un incubo in meno (quello dell’inflazione) le banche centrali avranno più spazio per evitare di alzare i tassi e, nel caso, per abbassarli.
Il petrolio che scende è dovuto a un calo reale di domanda in America e a un calo supposto in Cina dopo le Olimpiadi. Un contributo viene da un aumento di produzione saudita e un altro da una speculazione che si è messa al ribasso con entusiasmo. Il mercato rimane comunque in mano ai produttori e al buon cuore di alcuni di loro, non ai consumatori. Perché torni in mano ai consumatori bisogna che la riduzione di domanda divenga definitiva e su questo è lecito qualche dubbio. L’America ha una sensitività straordinaria al prezzo in salita (quando supera la soglia del dolore) ma ne ha altrettanta al prezzo in discesa. Chi abbandona l’auto per il treno appena può torna all’auto.
Aleggia poi, dicevamo, la questione iraniana, sempre più calda. L’Iran sembra avere rifiutato, dopo quella europea, anche l’offerta americana. Israele è in un momento di fibrillazione politica che ruota in particolare sulla risposta da dare alla minaccia iraniana. Il dibattito andrà avanti fino a metà settembre e probabilmente anche oltre, ma il tempo passa veloce.
Nonostante l’Iran questo rally ha ancora del tempo e dello spazio, a condizione che il petrolio non risalga. Per qualche settimana ancora i dati macro americani saranno più che passabili e quelli societari indicheranno che il sistema rimane vitale. Il rally non dovrebbe danneggiare i bond (anche a loro fa bene il petrolio che scende) e dovrebbe continuare a favorire un modesto e temporaneo recupero del dollaro.

 

Fonte - Rosso e il Nero

 

 

 

  Borsa, il rally d'Agosto ha il fiato corto

11 Agosto 2008 10:01 MILANO - di Giuseppe Turani

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Venerdì grande boom dei mercati, quasi tutti, meno quelli asiatici che avevano chiuso prima degli eventi. La cosa curiosa è che a determinare il balzo in avanti dei listini (forse un inizio di rally agostano) è stata una pessima notizia proveniente dall´Italia. E cioè la notizia che, a conti fatti, se non siamo in recessione, ci mancano proprio due millimetri.
Le previsioni più generose, a questo punto (dopo il flop del Pil nel secondo trimestre) dicono che cresceremo nel 2008 dello 0,1 per cento (e basta un blackout dell´Enel o uno sciopero robusto per andare a zero) e dello 0,6 per cento l´anno prossimo.
Quel che fa l´Italia, per la verità, non è così importante da provocare cambiamenti negli scenari mondiali. Solo che, stimolati dalle nostre tristi vicende, gli esperti si sono messi a ragionare sull´Europa e si sono accorti che la settimana prossima dovranno uscire i dati del Pil tedesco (sempre del secondo trimestre) e della Francia. La Germania, molto probabilmente avrà un risultato negativo e la Francia vi andrà molto vicino.
Questa pessima notizia è piombata sui mercati e li ha trovati in una fase molto particolare: e cioè con una gran voglia di trovare una scusa, una ragione, per darsi una svegliata e correre un po´ in avanti, giusto per fare cassa e per liberarsi degli odiosi ribassisti (che da mesi e mesi dominano la scena), facendo sentire loro l´odore della polvere. E quindi i mercati hanno fatto subito una lettura molto particolare («ogni impedimento è giovamento», avrebbe detto nostra nonna).
E ne hanno concluso che, di fronte all´arrivo, ormai conclamato e sicuro, della recessione in Europa, i severi guardiani della Banca centrale europea avrebbero dovuto cambiare registro: basta con il rigore suicida e sotto a dare una mano alla congiuntura dell´area euro, che rischia di avvitarsi su se stessa. Nemmeno quei signori, insomma, possono pensare di tenere duro. E quindi, ecco il sogno, a breve il costo del denaro tornerà a scendere in Europa.
Sarebbe già bastato questo per consentire ai rialzisti di mettere a segno qualche buon colpo, ma la catena degli eventi è andata avanti. Visto che i tassi europei devono scendere (sperano i rialzisti) allora non c´è più ragione perché l´euro rimanga così alto sul dollaro. Giù l´euro, quindi, e su il dollaro.
Intanto, in qualche altra stanza, i padroni del petrolio (produttori e intermediari) facevano un ragionamento parallelo: qui ci troviamo con l´Europa in recessione, e con l´America che, se non è in recessione, va comunque al minimo. Le due maggiori economie del mondo sono di fatto ferme. Forse è ora di piantarla. Tenere alto il petrolio in queste condizioni non ha più senso. E quindi giù anche il petrolio. E quindi altro gas per i rialzisti dei mercati.
Il mondo è in recessione, ma il denaro costerà meno e anche il petrolio. Due mesi fa nessuno avrebbero scommesso un soldo su uno scenario del genere. Il rally d´agosto può partire, e infatti è subito partito. Con grande entusiasmo.
Ma tutto questo ha senso? In un´ottica di breve periodo, di puro trading (o speculazione) di Borsa, certamente. Il rialzo è lì da vedere, e quindi quelli che venerdì ci hanno puntato sopra hanno vinto e forse vinceranno anche nei prossimi giorni. Ma non si tratta di un rialzo con il fiato lungo. E questo perché in un certo senso il peggio, purtroppo, è appena dietro l´angolo. E si compone di almeno tre elementi:
1 - La crisi americana del credito fra settembre e ottobre dovrebbe dare ancora frutti molto amari (arriveranno sul mercato le case sequestrate perché non sono state pagate le rate subprime, e questo farà crollare i prezzi degli immobili, rovinando ancora di più un mercato che già sta molto male di suo).
2 - Quelli che adesso stanno comprando titoli di Borsa al rialzo probabilmente non hanno ben presente che da adesso in avanti i conti delle aziende saranno via via peggiori. E questo significa che le aziende non riusciranno a tenere l´attuale livello di dividendi. Bene o male, non si può dimenticare che le due maggiori economie del mondo sono bloccate. Quindi si sta correndo a pagare più di ieri roba che domani renderà meno di ieri. Come speculazione questa può anche essere un´idea (a patto di fare il colpo e poi uscire alla velocità del suono), se invece si parla di investimenti no, assolutamente.
3 - Infine, dietro l´angolo c´è sempre il problema Iran, con la possibilità che esploda un altro conflitto mediorientale. Cosa che avrebbe subito pesanti conseguenze sul prezzo del petrolio (al rialzo questa volta e non certo al ribasso).
Insomma, il rally d´agosto delle Borse ha tutta l´aria di essere appunto un rally d´agosto. Un gran fuoco di paglia dove chi è molto svelto e molto abile può anche fare molti soldi in fretta. Mentre chi non è un surfista dei listini molto provetto, può rischiare di perdere in poche settimane anche quello che non ha ancora perso finora.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 
 

 

LA CRISI DEI MUTUI AFFOSSA I MERCATI, MILANO -20%

11 Agosto 2008 16:10 ROMA - di ANSA
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La crisi dei mutui subprime ha lasciato il segno in borsa. Tutti i listini dei paesi industrializzati hanno subito perdite pesanti, ma il bilancio peggiore è quello di Piazza Affari, che ha registrato un calo di oltre il 25% rispetto ad un anno fa.
Se si guarda infatti alla variazione degli indici nelle ultime 52 settimane (dati Bloomberg), da quando cioé il 9 agosto del 2007 la Bce fu costretta alla prima mega iniezione di liquidità sul mercato per cercare di limitare gli effetti della crisi dei subprime, l'indice S&P Mib di Piazza Affari ha lasciato sul terreno il 25,4%.
Si tratta della perdita maggiore tra le borse dei paesi del G7 e si confronta, ad esempio, con l'11,37% perso dal Dow Jones a Wall Street. Meglio ha fatto il Nasdaq, il listino dei titoli tecnologici di New York, che è stato evidentemente in grado di compensare il contraccolpo subito in primo luogo dai titoli bancari e finanziari ed è così riuscito a limitare il ribasso di un anno al 5,14%.
Ma la borsa dove gli investitori hanno subito meno danni è quella canadese di Toronto il cui indice principale TSX Composite dopo un anno di crisi dei mutui può vantare una perdita contenuta allo 0,92%. In Europa la borsa che è riuscita meglio a limitare le perdite è stata Londra, dove l'indice Ft100 è indietreggiato del 9,09%. Subito dopo viene Francoforte, con il Dax fermo ad un calo del 10,64%. Maggiore la perdita di Parigi che ha visto il Cac40 lasciare sul terreno il 17,56%.
Tra i sette paesi più industrializzati solo la borsa di Tokyo ha subito, insieme a Milano, un perdita superiore al 20%. Per la precisione l'indice Nikkei 225 ha ceduto il 21,45%. Per trovare qualche annata di borsa positiva bisogna andare a cercare tra i mercati emergenti, che hanno avuto, comunque, anch'essi in grandissima maggioranza un risultato negativo. Tra le poche che hanno guadagnato c'é la borsa di San Paolo con un più 7,5% e quella di Hong Kong che si è fermata allo 0,42%. Molto male, invece la Cina, che all'orgoglio olimpico deve contrapporre la perdita del 45,14% subita dalla borsa di Shanghai.
 

Fonte - ANSA

 

 

 

Il dollaro fa lo sgambetto alle materie prime

12/08/2008 09.23 - di Marco Caprotti
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Il dollaro obbliga le materie prime a fare una pausa. L’indice Msci del comparto da inizio anno (calcolato in euro) ha perso più del 10%. La maggior parte di questa discesa è stata registrata nell’ultimo mese.
Colpa, spiegano gli analisti del ritrovato vigore del dollaro che ha spinto gli investitori ad abbandonare questo tipo di investimento che, in momenti di forte inflazione e debolezza della valuta americana, viene effettuato in un’ottica di protezione dei portafogli.
La scelta di lasciare le commodity deriva anche dalle quotazioni record raggiunte. Il petrolio, tanto per nominare la più conosciuta, ha superato i 145 dollari al barile, mentre in questi giorni viene trattato a circa 113 dollari. Un destino che ha interessato altri settori. L’argento, scambiato appena sopra ai 15 dollari l’oncia, è ai minimi degli ultimi sei mesi e condivide lo stesso destino che, in generale, sta toccando tutti i metalli. I mercati, intanto, sembrano disinteressarsi della guerra fra Russia e Georgia. Nonostante l’oggetto del contendere siano gli oleodotti che passano in territorio georgiano, il barile per il momento continua la sua parabola discendente.
Il calo delle materie prime, oltre che a motivi speculativi, è legato a ragioni industriali. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, con la Cina in testa, stanno avendo a che fare con un’inflazione che non vedevano da decenni. Il Regno di mezzo, ad esempio, ha avuto una crescita dei prezzi che non si registrava da almeno 12 anni. Il problema, in questo caso, è che la dinamica inflativa ha colpito soprattutto i generi alimentari con il rischio di scatenare disordini sociali e politici. Per questo Pechino è stata costretta a dare un giro di vite agli investimenti nelle infrastrutture che oltre ad ammodernare il Paese, portano ricchezza nelle tasche delle famiglie aumentando la capacità di spesa e, di conseguenza, il prezzo delle merci. L’obiettivo è quello di cercare di rimettere in carreggiata una crescita economica che, quest’anno, dovrebbe comunque aggirarsi intorno al 10%.
Nonostante le discese, gli analisti consigliano di tenere una parte del portafoglio nelle materie prime. “La frenata della domanda è momentanea”, spiega un report di Morningstar. “Quando la situazione si normalizzerà la richiesta da parte della Cina e degli altri mercati in via di sviluppo riprenderà”. Una conferma in questo senso è arrivata da AngloAmerican. Secondo il management del colosso minerario “gli ordini che arriveranno dalla Cina hanno la potenzialità di dare il via a una nuova ripresa dei prezzi”.
Non va poi dimenticata la caratteristica difensiva di questo tipo di asset. “L’inflazione, a livello mondiale, non è ancora passata”, dice lo studio di Morningstar. “E ancora non sappiamo quanto durerà la forza del dollaro. Per questo è meglio non farsi trovare impreparati”.
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

 

  Venerdì 15 agosto 2008   Mercoledì 20 agosto 2008   Giovedì 21 agosto 2008  
       
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  Il pomo della discordia

12/08/2008 09.23 - di Mariagrazia Briganti

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Estate calda per il risparmio gestito europeo, alle prese con il calo degli asset sia per colpa dei riscatti che della crisi finanziaria che si è accentuata nel primo semestre del 2008.
Secondo i dati dell’Efama, l’associazione degli asset manager europei, tutti gli stati ad eccezione di Francia, Svizzera, Regno Unito e naturalmente Lussemburgo, stanno registrando profondi deflussi: l’Italia è in testa con oltre 84 miliardi persi nel corso dei primi sette mesi del 2008.
A parte questo trend, che storicamente si rafforza a inizio estate, perché gli investitori preferiscono alleggerire i portafogli e partire per le vacanze con maggior tranquillità, la calura estiva si fa rovente soprattutto sul fronte normativo, con la Commissione Europea, il CESR e l’Efama, per citare i principali organismi a livello comunitario, impegnati a ferragosto nel dibattito sugli emendamenti alla Direttiva Ucits (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities), che vanno sotto il nome di Ucits IV.


Un conto alla rovescia sofferto
Ma cos’è, in sintesi, la Ucits IV e quali sono i punti nevralgici che hanno richiesto l’intervento del CESR - la commissione che raccoglie gli organi di vigilanza e controllo dei mercati degli stati europei –la quale ha interpellato sua volta le “Consob” europee chiedendone il parere entro il 22 agosto?
Procediamo con ordine. A differenza dei cambiamenti apportati dalla Ucits III, rivolti principalmente alla gestione degli investimenti e degli strumenti da inserire nei portafogli dei fondi, la Ucits IV si concentra sull’aumento dell’efficienza nel mercato europeo dei prodotti del risparmio gestito.
Dall’avvio delle consultazioni, con la presentazione del White paper nel 2006, finalmente lo scorso 16 luglio la Commissione europea ha presentato un articolato pacchetto di misure in cui è contenuta, tra le altre, la proposta di abbandonare il Prospetto semplificato e di sostituirlo con un documento semplice, di una sola pagina, chiamato Key Investor Information (KII), con i dati più importanti per un investitore che vuole sottoscrivere un fondo comune.
Secondo la Commissione, il prospetto semplificato ha fallito il suo obiettivo di essere uno strumento di informazione utile agli investitori per prendere le loro decisioni di investimento. Nella stessa direzione vanno le altre procedure per snellire il materiale informativo a carico delle società di gestione che desiderano fare attività cross-border.
Il pacchetto è ora al vaglio del Consiglio Europeo e dovrà essere approvato anche dal Parlamento. La sua entrata in vigore non è attesa prima del 2011 e la possibilità che nel frattempo sopraggiungano nuovi aggiustamenti è tutt’altro che remota.


Il passaporto europeo
Il vero pomo della discordia è il passaporto europeo. La Commissione lo ha escluso dal pacchetto presentato in Consiglio, ma Charlie McCreevy, commissario europeo per i servizi e il mercato interno, ha deciso di chiedere aiuto al CESR, che entro novembre dovrà dare il suo parere sulle condizioni da rispettare per assicurare che la gestione cross-border di un fondo Ucits non indebolisca i poteri degli organismi di vigilanza degli stati ospitanti.
Il CESR, a sua volta, lo scorso 16 luglio, ha girato la richiesta agli organismi di controllo degli Stati membri “affinché esprimano le loro opinioni e aiutino il CESR nel suo compito consultivo della Commissione europea”. Il CESR, che dovrà rispondere alla Commissione entro novembre, raccoglierà i pareri delle istituzioni di vigilanza europei entro il prossimo 22 agosto, rimandando a settembre il dibattito e la formulazione della proposta alla Commissione europea.
Grazie al Passaporto europeo, un fondo comune armonizzato (Ucits) potrà essere gestito da una società sotto la legislazione di uno Stato membro diverso da quello di origine, attraverso una succursale o mediante la libera prestazione di servizi. In teoria, un gestore francese che voglia replicare il successo di un prodotto all’estero non avrebbe più la necessità di creare una sede e registrare un duplicato del fondo, ma potrebbe vendere lo stesso prodotto, domiciliato in Francia, anche in Germania, con l’unico obbligo di avere nel paese ospitante, al quale è comunque affidata l’attività di controllo, la banca depositaria.
Se questa possibilità è stata salutata con favore dalla maggior parte degli Stati coinvolti, ha sollevato le critiche di Lussemburgo e Irlanda, dove è domiciliata la maggior parte dei prodotti europei. I due stati, temendo la perdita della loro supremazia come Paesi di origine, si sono detti poco disposti a mantenere la vigilanza su fondi domiciliati altrove e che non avrebbero di fatto alcuna presenza nel Paese. In particolare, a preoccupare le autorità dei due Stati, è la mancanza di controllo sulla contabilità e il calcolo del prezzo.
L’introduzione del passaporto europeo eviterebbe la creazione dei cloni e aprirebbe la strada alla fusione fra fondi appartenenti a Stati diversi. L’aumento delle masse gestite creerebbe economie di scala e ridurrebbe il peso dei costi organizzativi e di gestione.
Come riporta Ignites, il quotidiano online del Financial Times, in Europa vi sono oltre 36.000 fondi, contro gli 8.000 fondi americani; per entrambi, gli asset in gestione si aggirano attorno ai 5mila miliardi. Per l’industria comunitaria è dunque un’opportunità importante per aumentare l’efficienza organizzativa, snellire le procedure, razionalizzare le risorse.
Sempre secondo le voci raccolte da Ignites, non necessariamente le fusioni oltre confine implicheranno la perdita di supremazia e di vigilanza di Dublino o Lussemburgo. È vero il contrario, perchè se le fusioni permetteranno di raccogliere fondi differenti in un’unica struttura, le società sceglieranno giurisdizioni internazionali e ben funzionanti nelle quali fissare il domicilio dei loro fondi. I due Paesi potrebbero quindi mantenere la loro posizione di capitali della registrazione dei fondi, con il controllo sulla società di gestione. Ma l’industria sarà libera di esportare tutte le altre funzioni nel resto dell’Europa.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

 

La brutta abitudine del greggio di cambiare strada

14/08/2008 10:44 - di Sara Silano
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Il petrolio è tornato sui suoi passi e lo ha fatto in modo frettoloso. Dopo aver toccato i 145 dollari al barile il 14 luglio, ha perso nelle ultime sedute circa il 16%. Si tratta di una sana correzione o dell'inizio di un mercato orso? Per l'oro nero è molto vicina la soglia del -20% che sui mercati finanziari è considerata un chiaro segnale di inversione del trend, ma le materie prime sono , però, sono convinti che il trend di lungo periodo sia al rialzo, anche se le quotazioni dovessero nel breve scendere intorno ai 100 dollari al barile, perché i problemi strutturali, che hanno favorito il rally degli ultimi anni non sono venuti meno. Insomma, secondo questa scuola di pensiero, il petrolio si è preso una pausa prima di lanciarsi verso nuovi record, in un mondo che è profondamente diverso dal passato.

Negli ultimi anni, gli analisti hanno dovuto rivedere più volte le stime sul prezzo del petrolio. Dopo la seconda guerra mondiale, la media storica è stata di 20 dollari (in termini reali), negli anni Ottanta è salita a 26. Questi livelli appartengono ormai al passato. Gli analisti di Morningstar (NASDAQ: MORN - notizie) hanno calcolato che il prezzo per indurre i produttori a investire nell'aumento dell'offerta sarà di 50-60 dollari al barile almeno per i prossimi cinque anni. Esso (Parigi: FR0000120669 - notizie) incorpora i più alti costi di esplorazione e sviluppo, oltre al maggior premio per il rischio geopolitico. Come spiega Elizabeth Collins, “Esiste sempre la possibilità di una pesante recessione che riduca la domanda, ma sarebbe una situazione temporanea, perché nel lungo periodo il trend è di crescita. In questo contesto, i prezzi dovranno necessariamente mantenersi alti per motivare i fornitori a investire in nuovi impianti”.

La risposta dei trader e degli hedge fund alla rapida discesa delle quotazioni del greggio è stata l'assunzione di posizioni corte, che indicano l'aspettativa di nuovi ribassi nel breve. Allo stesso modo, secondo le statistiche di Etf Securities, nella settimana terminata il 25 luglio, gli operatori hanno venduto l'Etf short crude oil (strumento di investimento sul future sul greggio, con andamento inverso rispetto all'indice) per 37 milioni di dollari. In un'ottica di lungo periodo, però, dicono gli analisti di Morningstar, le opportunità nel settore delle aziende petrolifere non mancano, in particolare nel comparto estrattivo, dei prodotti petroliferi e del gas, che appaiono relativamente a buon prezzo. Sono considerate interessanti le società che hanno sfruttato l'impennata dei prezzi per avviare progetti innovativi per aumentare la produzione in modo redditizio.
 
 

Fonte - MorningStar.ir

 

 

 

 

Lo zio Sam al salvataggio di Freddie e Fannie?

Monday, 18 August, 2008  - di John Christian Falkenberg
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Il settimanale finanziario Barron's riporta che il governo USA sarebbe pronto a ricapitalizzare Freddie Mac e Fannie Mae, salvando i risparmiatori e la funzione delle aziende, ma penalizzando draticamente alcuni dei responsabili del disastro, ossia il management e gli azionisti. Meglio di nulla, anche se rimarranno impuniti maggiori responsabili del disastro: i politici, soprattutto Democratici, che hanno inventato e protetto il duopolio di Fannie Mae e Freddie Mac ed ora si scandalizzano per un risultato già previsto dieci anni fa.

Il piano di ricapitalizzazione prevederebbe la sottoscrizione da parte del governo di nuove azioni privilegiate od altri strumenti ibridi che si porrebbero in una posizione superiore a quella delle attuali azioni (ordinarie e delle privilegiate) già in circolazione, diluendole pesantemente e rprobabilmente azzerandone il valore. Si tratta di un piccolo passo nella minimizzazione del danno: in questo modo, si evitano sia la nazionalizzazione tout court, che la concessione di un aiuto di Stato a favore di manager e degli azionisti, perlomeno corresponsabili dello stato di cose e che quindi vengono penalizzati.
Si evita così di instaurare un pessimo precedente per il capitalismo americano, non peggiore, almeno, della scellerata gestione delle GSE da parte del Congresso americano. Dobbiamo ricordarci infatti che le GSE e la crisi attuale non sono prodotti del "mercatismo", ma di certo colbertismo a stelle e strisce.
Le GSE sono un duopolio imposto per legge, ferocemente protetto da fiumi di denaro distribuito ad entrambi i partiti, ma in gran parte a quello Democratico, che è sempre riuscito a bloccare ogni tentativo di riforma e privatizzazione proposto negli anni scorsi proprio da quei repubblicani "liberisti" che adesso, vengono accusati di essere i responsabili.

 

  

The Kindness of Strangers

Monday, 18 August, 2008  - di John Christian Falkenberg
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Se uno degli scopi dell’aiuto governativo a Freddie Mac e Fannie Mae è mantenere aperto il flusso di capitali dall’estero di cui gli USA hanno bisogno per sostenere investimenti e consumi, allora il piano non sta funzionando.

Sembra infatti che le banche centrali asiatiche abbiano venduto circa 11 miliardi di dollari sul mercato soltanto negli ultimi giorni, alleggerendo uno stock di investimenti nelle obbligazioni delle GSE sceso adesso intorno ai 975 miliardi di dollari.
La fine del crollo del dollaro aiuterà sicuramente la fiducia in altre classi di attivi patrimoniali e potrebbe rallentare la fuga dalle GSEs, ma per Freddie e Fannie il problema rimane particolarmente acuto: le banche centrali estere sono state importanti acquirenti netti per anni, aiutando a ridurre notevolmente i costi di raccolta ed aumentando i liquidi disponibili per le due agenzie; il cambio di marcia, se definitivo, significa che il ritorno in salute dei due pachidermi semistatali e del mercato immobiliare slitta ulteriormente nelle nebbie del futuro.
Questo è il problema di chi, come recitava Blanche in “Un tram che si chiama desiderio”, si affida per sopravvivere alla gentilezza degli estranei: non sai mai per quanto possa durare.
From Reuters:
An extraordinary Treasury capital infusion may be needed to restore faltering
foreign demand for debt issued by Fannie Mae and Freddie Mac, the two top home
funding sources that the government is willing to rescue to save the housing
market.The companies rely heavily on overseas investment, often up to two-thirds
of each new multibillion-dollar note offering, to help pare funding costs and
keep mortgage rates low.But foreign central banks have dumped nearly $11 billion
from their record holdings of this debt in four weeks, to $975 billion, and
won’t return in force before it’s clear if — and how — the government will
back Fannie and Freddie, some analysts say….

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

 

  Attenti, piccoli speculatori sprovveduti

26 Agosto 2008 03:22 NEW YORK - di Francesco Carbone

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Il movimento di mercato più forte e interessante degli ultimi 10 giorni è stato quello su valute e commodities. Il dollaro ha avuto contro l'Euro uno dei più forti rimbalzi di questo bear market. Da 1.60 a 1.485 in venti sessioni, di cui quasi ben sette figure nel giro di qualche giorno. Il mondo dello spettacolo finanziario non aspettava altro per festeggiare l'attesissimo colpo di reni degli USA, già proclamato come il segno dell'inevitabile rivincita dell'economia americana.
Scappa da ridere. Niente è cambiato. Gli USA sono sulla strada della più clamorosa bancarotta di tutti i tempi, quella strada indicata già nella nostra analisi del 2001, e non è certo un movimento di qualche figura tra Dollaro ed Euro a cambiarne le sorti. Il dollaro può essere considerato l'azione unitaria della ipotetica USA Spa ed è destinato come i titoli della fu-Enron o delle attuali Fannie e Freddie a un valore prossimo allo zero (misurato in termini di potere d'acquisto di beni reali). Tutte le valute di carta paragovernative su licenza monopolistica senza un bene reale sottostante hanno una vita media di gran lunga inferiore a quella di un essere umano. Il dollaro di pura carta compirà 40 anni nel 2011. Probabilmente sarà talmente ridotto male che non avrà neanche più fiato per spegnere quelle tante, troppe candeline.
Parallelamente alla ripresa del valore del dollaro contro l'euro e le altre valute c'è stata ovviamente una forte caduta dei prezzi delle materie prime e dei metalli preziosi. Scrivo ovviamente perchè il ragionamento degli investitori, da quando è cominciato il mercato toro delle commodities, continua a essere, benché erroneo, sempre il solito: su il dollaro contro le altre fiat paper (o monete di carta) - giù le materie prime che sono prezzate prima di tutto in dollari. In questo caso il ragionamento ha trovato forza nella combinazione con un'altra connessione logica molto frequente: rallentamento economico mondiale = diminuzione domanda di materie prime = prezzi più bassi.
Il risultato è stato uno degli storni più violenti di questo mercato rialzista delle materie prime, giunto appena al suo settimo anno di vita (contro una vita media di 20) e con un incremento di prezzo che non raggiunge neanche la metà degli incrementi medi storici. Strano, anzi molto strano proclamare la fine di questo mercato toro che nei suoi fondamentali è potenzialmente di gran lunga più esplosivo di qualunque altro che l'ha preceduto.
Nel lungo termine questi ragionamenti si riveleranno ancora una volta sbagliati così come è successo negli ultimi sei anni. Il loro difetto principale è quello di non tenere conto del continuo e iperbolico aumento di unità monetarie emesse sotto forma di moneta dalle banche centrali o sotto forma di debito degli stati nazionali. Ed è quindi quasi paradossale che questa ripresa del dollaro che ha provocato la caduta delle materie prime si sia verificata proprio all'indomani del primo tentativo di salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, un intervento che costerà miliardi di dollari (se non addirittura trilioni di dollari), pagati in maniera diretta o indiretta sempre dalle solite vittime reali di ogni intervento governativo: ceto medio e classe povera. Un intervento che spingerà anche il governo americano a premere sull'accelerazione di un debito nazionale oramai fuori controllo.
Ma la cosa più interessante è stato il movimento del metallo prezioso per eccellenza. Da un livello di quasi 1000 dollari è precipitato a 800 nel giro di neanche un mese. Non che questo ci sorprenda, affatto. Così come i mercati ribassisti regalano agli investitori i rally più spettacolari (della serie Dow Jones +300 punti in una sola giornata, successo anche di recente e SEMPRE, anche in precedenza, solo in fasi di mercato orso), i mercati al rialzo subiscono correzioni spesso violente che terrorizzano quelli che sono dentro, o che stanno per entrarci, scrollando le cosiddette mani deboli. E questa è solo una delle tante correzioni violente dell'oro da quando nel 2001 è cominciata la sua salita.
Addirittura, se riprendiamo l'ultimo mercato toro, quello degli anni settanta, l'oro precipitò da un massimo relativo di 180 registrato nel 1974 fino ai 100 $ del 1976. Un crollo del 40% al quale seguì poi la salita rapida che lo portò su fino a 800 e passa dollari, dove ebbe termine definitivamente la corsa del metallo con il salvataggio del sistema monetario mondiale da parte dell'allora banchiere centrale Volcker. A differenza dell'odierno Bernanke, Volcker potè permettersi, in una economia ancora relativamente sana, con basso livello di debito nazionale, e creditrice nei confronti del mondo, di portare i tassi quasi al 20%. Oggi siamo appena al 2% e l'ipotesi di tirarli su di un quarto di punto terrorizza mezzo mondo finanziario. Figuriamoci cosa vorrebbe dire riportarli al 5% dove stavamo un anno fa, o ancora più su al 10%.
Nessun salvataggio reale si potrà ripetere a questo giro senza restituire pienamente all'oro la sua dignità come strumento monetario, indispensabile per un sistema economico globale più stabile rispetto a quello maneggiato maldestramente dalle banche centrali negli ultimi 30 anni. Un sistema economico che soprattutto, a differenza di quello attuale, produca e diffonda benessere in maniera decisamente più equa tra i suoi attori.
Benchè non ci sia ancora alcuna percezione del problema, la realtà di fatto è che banca centrale e il sistema bancario a riserva frazionaria sono oggi una reliquia storica della quale è evidente il fallimento totale come perno gestionale del sistema economico. Allo stato attuale dei fatti un sistema così congegnato, a gestione centralizzata, di liberale ha ben poco, è socialista nella sua vera essenza, e non ci sorprende quindi che stia portando la società verso un impoverimento graduale. La stessa cosa accadde in tempi ancora più brevi per le economie socialiste, dove la gestione centralizzata non si limitava al sistema finanziario ma al complesso delle attività economiche.
Benché inoltre cominci a diffondersi una sfiducia nelle capacità delle politiche monetarie di poter "curare" i malesseri economici, si riscontra una quasi totale assenza di corretta identificazione del problema e quindi della sua risoluzione. Ciò che non si riesce o non si vuole ammettere è che sono le banche centrali stesse la principale causa originaria dei mali che sarebbero predisposte a curare. L'aumento dei prezzi tanto per citare il male più frequente, ma anche tutte le bolle speculative che hanno avuto luogo negli ultimi 20 anni, petrolio compreso (per quelli che il rialzo del petrolio lo considerano una bolla, che invece a nostro avviso bolla non è affatto). Uno studio dell'economia così come insegnata dai maestri austriaci Mises e Rothbard aiuterebbe nella comprensione del problema e della sua soluzione. Ma quelli citati sono autori sconosciuti alle masse e appena studiati anche dai professori universitari che in vario grado osannano ancora i vari Smith, Keynes, Friendman.
Ma torniamo all'analisi di questa caduta del prezzo dell'oro. Quel che sorprende non è tanto la caduta dell'oro in dollari (da 990 a 800), quanto quella dell'oro in Euro (da 590 a 540). Come detto sopra, niente in realtà è cambiato sul dollaro, anche se la percezione di un miglioramento della valuta statunitense rispetto all'euro ha portato al suo riprezzamento. Quel che è cambiato è la percezione che adesso magari toccherà inflazionare di più in euro (che sia ad opera delle banche centrali o dei governi tramite il debito) che in dollari, a causa della recente e sempre più evidente debolezza delle economie europee. Quindi se poteva avere un senso una ritracciamento temporaneo dell'oro in dollari fino a quota 850, punto di rottura storico dei massimi del 1980, in euro il prezzo dell'oro avrebbe dovuto tenere o addirittura salire più rapidamente. Non è successo. Possiamo spiegarlo così.
Il tasso Eur-$ ha picchiato la testa contro un livello protetto dalle banche centrali (che ovviamente impastano le mani anche sui mercati finanziari non bastandogli la gestione centralizzata del credito e l'arbitrario fixing del tasso di interesse a breve), posto a questo giro a 1.60 (al giro precedente, tra il 2005 e il 2006, era di 1.35). Questo nel 2008 è stato il livello limite dove fermare l'euro a tutti i costi e lo si è fatto ripetutamente fino appunto all'ultimo tentativo del 15 luglio.
Non riuscendo a battere le banche centrali, i grossi players hanno deciso alla fine di giocare dalla loro parte, forti anche del fatto che gli ultimi dati economici avevano cominciato a dare l'economia europea in vistoso rallentamento. Tutti a vendere euro quindi, con un movimento che ha assunto una intensità crescente fino al climax dell'8 agosto, dove si è verificato un ribasso dell'euro molto violento del 2% che probabilmente ha visto migliaia e migliaia di piccoli conti speculativi con posizioni lunghe, aperte magari sopra la resistenza importante della media 200 (tagliata come il burro) e in assenza di stop loss stretto, essere chiusi automaticamente per mancanza di margini sufficienti a coprire la leva utilizzata (ci sono broker che offrono leve di 100:1 o anche 200:1). Un bel boccone, di piccoli speculatori ancora sprovveduti, come se ne vedono raramente in finanza.
E un bel boccone anche di posizioni lunghe su oro. Se infatti l'attacco contro l'euro ha fatto scappare tutti a gambe levate dalla valuta europea, figuriamoci il panico scatenato tra i deboli di cuore impegnati in posizioni speculative sull'oro! Approfittando delle vendite dei program trading che hanno in correlazione strettamente positiva oro ed euro e al primo segno di vendita del secondo vendono anche il primo, i signori che tengono sotto controllo e manipolano costantemente il metallo più importante del pianeta hanno approfittato del bailamme causato dall'euro, per seminare vero e proprio terrore. L'oro pertanto è sceso in maniera insensata in tutte e due le valute, offrendo ai fortunati possessori di coriandoli europei la migliore opportunità del 2008 di convertire i propri eccessi di liquido cartaceo in moneta dura, duratura, sonante e onesta.

 

Fonte - UsemLab

 
 

 

 

 

 

Borse asiatiche lontane dai tempi d’oro

27/08/2008 19.17 - di Sara Silano
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I mercati asiatici non si scrollano di dosso i timori di una recessione negli Stati Uniti. L’indice Msci Asia Pacifico (escluso il Giappone) ha perso il 2% nell’ultimo mese (al 26 agosto), portando il ribasso dall’inizio dell’anno al 26%. Ad agosto gli indici hanno toccato i minimi da due anni, con episodi di panic selling legati agli allarmi utili lanciati dalle banche americane.
La Borsa cinese è stata una delle più colpite dalle vendite. L’indice di Shanghai è sceso intorno ai 2.300 punti dopo aver superato i 6.400 nell’ottobre scorso. Negli ultimi otto mesi, la capitalizzazione si è praticamente dimezzata. Alle preoccupazioni per il rallentamento internazionale si sono aggiunte quelle legate all’economia interna. Gli investitori sperano che il governo approvi il pacchetto di incentivi, stimato in 370 miliardi di yuan, che include una spesa per 220 miliardi e tagli per 150. L’obiettivo è di mantenere la crescita del Prodotto interno lordo intorno al 10%.
A luglio, la produzione industriale cinese è salita del 14,7% annuo, il peggior risultato da 19 mesi, sulla scia della minor domanda estera, che finora è stata il motore dello sviluppo. In effetti, nel primo semestre l’avanzo della bilancia commerciale è sceso del 12% (su base annua) per la prima volta nell’ultimo quinquennio. Per Dan Su, analista di Morningstar, gli investitori hanno cominciato ad adottare un approccio più critico verso l’ex Celeste impero, anche perché i problemi strutturali (inefficienze, prodotti indifferenziati, ecc.), che prima erano mascherati da una robusta crescita, ora cominciano a venire in superficie.
La Cina, inoltre, come altri Paesi asiatici, deve affrontare il problema dell’inflazione, generato dall’aumento del prezzo delle materie prime, in particolare del petrolio e dei beni alimentari. I prezzi al consumo si aggirano intorno all’8%, due volte più alti del livello target che Pechino ritiene desiderabile. In India sono ancora più elevati (12% a luglio), ai massimi degli ultimi dodici anni, complice l’incremento dei prezzi dei carburanti seguito all’eliminazione dei sussidi governativi nel settore. Per ora gli sforzi delle banche centrali per tenere a freno l’inflazione hanno dato risultati solo parziali. Un contributo potrebbe venire dalla diminuzione dei prezzi delle derrate agricole e delle quotazioni del greggio.
Il quadro macro più fosco e la minor propensione al rischio degli investitori hanno alimentato la volatilità sui mercati asiatici, facendo passare in secondo piano alcune trimestrali positive, come quella della Bank of communication cinese, i cui profitti solo saliti del 60% rispetto allo stesso periodo del 2007 grazie all’aumento delle vendite di carte di credito e al buon andamento del settore delle gestioni di patrimoni. Le aziende più sofferenti sono quelle legate alle esportazioni, che risentono del rallentamento della domanda globale. Secondo gli analisti, è sulle industrie esposte allo sviluppo interno che bisogna concentrare l’attenzione in un’ottica di lungo periodo. Secondo Joseph Tse, gestore di Fidelity, le economie asiatiche sono inserite in un “superciclo” che include investimenti in infrastrutture, domanda di risorse, crescita dei consumi interni e dei redditi. Tutte tendenze che rimangono in essere, nonostante l’attuale turbolenza.
 
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

 

 

  Venerdì 22 agosto 2008   Sabato 23 agosto 2008   Sabato 30 agosto 2008  
       
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  Fondi, a luglio persi 13,5 miliardi di euro

06/08/2008 17.17 - di MariaGrazia Briganti

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Anche quest’anno gli italiani sono partiti per le vacanze estive alleggerendo i loro portafogli di fondi comuni di investimento. Secondo i dati resi noti da Assogestioni, a seguito dei riscatti e delle perdite subite dai mercati, il patrimonio è sceso sotto i 500 miliardi di euro.
Le più penalizzate sono state le categorie obbligazionarie dalle cui casse sono usciti oltre 7 miliardi e mezzo di euro, in particolare provenienti dai prodotti area euro.
Unico segno positivo tra i fondi specializzati sul reddito fisso, lo hanno registrato gli obbligazionari governativi in dollari (+217 milioni), sottoscritti evidentemente in previsione di un recupero dei Treasury americani e in un’ottica di apprezzamento del dollaro nei confronti della moneta unica.
Gli azionari hanno subito riscatti, al netto delle nuove sottoscrizioni, per 2,6 miliardi di euro. Male soprattutto i fondi specializzati sull’Europa e sull’America, mentre gli investitori sono tornati a comprare timidamente i prodotti settoriali più colpiti dai ribassi e al momento più a buon mercato, quali gli azionari Finanza (+178 milioni) e gli azionari Tecnologia (+106 milioni di euro).
Per i fondi di liquidità, invece, i deflussi sono stati pari a 1,2 miliardi di euro: anche in questo caso, è evidente la scommessa sul recupero del dollaro che ha portato quasi 40 milioni di euro nelle casse dei fondi specializzati sul mercato monetario americano.
Più contenuti i deflussi per i prodotti bilanciati, che hanno chiuso il mese di luglio con una perdita di 551 milioni, mentre i fondi Hedge hanno subito riscatti (al netto di nuove sottoscrizioni) per 179 milioni di euro, contro i 449 milioni persi lo scorso mese. Proseguono invece i riscatti dalla categoria dei fondi Flessibili, che hanno perso 1,3 miliardi di euro.
A livello societario, i grandi gruppi hanno subito notevoli deflussi, a partire dagli oltre quattro miliardi fuoriusciti dalle società di gestione di IntesaSanpaolo e i 2,5 miliardi fuoriusciti dalle casse di Pioneer. Spiccano i dati positivi di Banca Finnat Euramerica (+258 milioni di euro), e, tra le case estere, di Jp Morgan Am (+151 milioni) e State Street (+78,2).

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Italiani più poveri

11 Agosto 2008 09:31 MILANO - di Vittoria Puledda

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La crisi dei mutui subprime morde i bilanci delle grandi banche (a volte corresponsabili della crisi medesima) ma riduce drasticamente anche le disponibilità finanziarie delle famiglie italiane. Che, insieme al calo dei consumi e alla frenata dell´economia, hanno sempre meno reddito disponibile e, ormai, adottano grande prudenza anche nel chiedere prestiti, preoccupate probabilmente di non essere in grado di restituirli: per la prima volta da tempo, infatti l´ammontare complessivo dei debiti si è ridotto di 2,7 miliardi nel primo trimestre 2008 rispetto al trimestre precedente. "Colpa" soprattutto della minore richiesta di mutui casa (sono i finanziamenti a medio-lungo termine a segnare la diminuzione di gran lunga più forte) ma anche del rallentamento dei consumi che si fa sentire: la domanda di prestiti a breve termine - tradizionalmente legata all´acquisto dell´auto - è infatti diminuita di 605 milioni di euro.
La fotografia - tra crisi finanziaria e frenata dell´economia - è quella scattata dalla Banca d´Italia nel Supplemento al Bollettino statistico sui Conti finanziari, pubblicato pochi giorni fa. Un dato su tutti sintetizza il peggioramento del quadro: in tre mesi, dalla fine del 2007 al 30 marzo scorso, le attività complessive delle famiglie si sono ridotte di quasi 150 miliardi di euro; gli italiani, insomma, in un trimestre si sono ritrovati in tasca 150 miliardi in meno tra depositi, conti correnti, azioni e titoli di Stato; insomma hanno visto bruciare il 4% della loro ricchezza finanziaria (che vale complessivamente 3.538 miliardi di euro); rispetto a dodici mesi fa il "dimagrimento" è pari al 4,9%.
Il falò delle disponibilità finanziarie è stato acceso innanzitutto dalla crisi di Borsa: il gruzzoletto in azioni è diminuito da un trimestre all´altro del 13% (con un calo del portafoglio pari a 128 miliardi) per colpa in larghissima misura del calo dei mercati e, per 15 miliardi, a causa di vendite nette di titoli. Ancor più pesante il bilancio da un anno all´altro: dal marzo 2007 al marzo scorso, infatti, il portafoglio azionario ha perso il 21% del suo valore, nonostante nei primi sei mesi del periodo le famiglie abbiano continuato a comprare titoli in Borsa (per quasi 24 miliardi).
Debacle ancora più accentuata per i fondi comuni: in termini di consistenze i fondi sono passati - in un trimestre - dai 266,7 miliardi di fine dicembre ai 221,9 miliardi di fine marzo: quasi 45 miliardi in meno frutto in parte del calo delle quotazioni, e in larga misura dei riscatti netti per 15,8 miliardi. Del resto, rispetto ad un anno fa, il portafoglio complessivo della voce "fondi comuni" nelle tasche degli italiani si è ridotto di un quarto. Ed è crisi, sebbene meno profonda, anche per i prodotti assicurativi, che hanno visto flussi negativi per circa 6 miliardi (i volumi complessivi sono passati da 609,8 a 604 miliardi).
 
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

ITALIA PRIMA IN EUROPA PER EVASIONE FISCALE

17 Agosto 2008 19:38 ROMA - di WSI
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Nel nostro paese il 48% del reddito imponibile non viene dichiarato al fisco. Secondo un'indagine di Contribuenti.it i principali evasori sono industriali (32%) e bancari e assicurativi (28%), soprattutto al Sud (34,5% del totale nazionale).
E' l'Italia il paese europeo con la più alta evasione fiscale, con il 48% del reddito imponibile che non viene dichiarato al fisco. A rilevarlo un'indagine su un campione di 1.500 cittadini condotta da Contribuenti.it, associazione contribuenti italiani. Secondo l'indagine i principali evasori sono industriali (32%), bancari e assicurativi (28%), seguiti da commercianti (12%), artigiani (11%), professionisti (9%) e lavoratori dipendenti (8%). L'evasione è diffusa soprattutto al Sud (34,5% del totale nazionale), seguito dal Nord Ovest (26,5%), dal Centro (20,1%) e dal Nord Est (18,9%).
Il 44% di chi non paga le tasse «lo fa per insoddisfazione verso i servizi pubblici erogati dallo Stato o la scarsa cultura della legalità, il 36% per la complessità delle norme e soltanto il 20% per la scarsità dei controlli».
Dall'indagine è inoltre emerso che «solo un cittadino su cinque - afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it - sa perché paga le tasse, mentre quattro su cinque si considerano sudditi di un'amministrazione finanziaria troppo burocratizzata, che non eroga i servizi sociali dovuti, violando i diritti dei contribuenti».
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

Mappa del risparmio, meno deflussi

27/08/2008 15.49 - di Sara Silano
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Nel secondo trimestre sono rallentati i deflussi dalle gestioni collettive. Secondo le statistiche di Assogestioni, i fondi aperti e chiusi hanno registrato riscatti superiori alle sottoscrizioni per 30,5 miliardi di euro, circa 10 miliardi in meno rispetto al precedente periodo. Il risultato negativo è imputabile ai primi, mentre i secondi hanno avuto una raccolta pari a 27 milioni.
A fine giugno gli Asset Under Management (patrimonio promosso al lordo degli asset ricevuti e al netto di quelli dati in delega) dell’intero settore sono pari a 982 miliardi, mentre il patrimonio promosso si attesta intorno ai 979 miliardi.
E’ in continua crescita il peso dei fondi di diritto estero. A fronte di deflussi in frenata e pari a 9,4 miliardi, questi prodotti, infatti, rappresentano oggi il 45% del patrimonio promosso nelle gestioni collettive. Quelli italiani proseguono, invece, il declino (-21,1 miliardi) e la loro quota sul totale è scesa sotto il 50%.
Nel trimestre i gruppi italiani hanno registrato deflussi per quasi 24 miliardi nelle gestioni collettive, gli esteri per meno di 7 miliardi.
Nel periodo aprile-giugno sono aumentati i riscatti dalle gestioni di portafoglio, superando i 20 miliardi. Gli asset under management sono scesi a 440 miliardi, mentre il patrimonio promosso si è posizionato sopra i 431 miliardi. SEGUE…
Solo le gestioni previdenziali hanno segnato un risultato positivo (+552 milioni). Hanno chiuso in rosso le gestioni patrimoniali in fondi (Gpf) retail (-12,1 miliardi), le gestioni mobiliari (Gpm) retail (-3,7 miliardi), quelle di prodotti assicurativi (-1,6 miliardi) e le Altre gestioni (-3,3 miliardi di euro).
I deflussi dalle gestioni di portafoglio hanno interessato soprattutto i gruppi italiani (-28,2 miliardi). Gli esteri, invece, hanno avuto una raccolta netta pari a 7,9 miliardi.
Al 30 giugno i gruppi italiani hanno in gestione l’82% del patrimonio complessivo (gestioni collettive e gestioni di portafoglio) e ne promuovono l’83%.
Relativamente alle categorie, le sottoscrizioni hanno superato i riscatti solo per i fondi immobiliari (+2 milioni). Gli hedge hanno chiuso il trimestre con deflussi per 1,6 miliardi; i prodotti flessibili per 3,7 miliardi; i monetari per oltre 6,3 miliardi; gli azionari per 6,9 miliardi; i bilanciati per 8,6 miliardi e gli obbligazionari per 18,3 miliardi di euro.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Giovedì 07 agosto 2008   Sabato 23 agosto 2008   Martedì 26 agosto 2008  
       
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  Alitalia? Continuate così, massacratevi

28 Agosto 2008 04:23 NEW YORK - di Andrea Moro e Michele Boldrin

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1. Fino a pochi giorni fa, non la voleva nessuno, questa Alitalia. Ora, invece, rispetto agli investitori resi noti lunedì, ne sono emersi ufficialmente altri cinque. Possiamo accodarci anche noi, per favore? È bene menzionarli, questi geni dell'imprenditoria, che ricevono un marchio a costo zero, sapendo che se andasse male ci sarebbe comunque un governo prossimo venturo pronto a salvarli: Roberto Colaninno, attraverso Immsi, il gruppo Benetton attraverso Atlantia, il gruppo Aponte, Riva, il gruppo Fratini attraverso Fingen, i Ligresti con Fonsai, Equinox, Clessidra, il gruppo Toto, il gruppo Fossati attraverso Findim, Marcegaglia, Caltagirone Bellavista attraverso Acqua Marcia, il gruppo Gavio con Argo, Davide Maccagnani con Macca, Tronchetti Provera e la stessa Intesa Sanpaolo.
2. Settemila dipendenti verranno esuberati alle poste ed al catasto o in qualche altro ufficio pubblico. Come al solito, paga il contribuente, ossia il produttore privato vero del centro-nord. Certo, è triste che così tante persone possano perdere il posto di lavoro, ma il garzone del panettiere sotto casa che ha chiuso bottega il "posto alle poste" non gliel'hanno dato. Perché?
3. Codacons e altre associazioni dei consumatori pensano ad una class action per proteggere i piccoli azionisti. Ora, non sappiamo chi sia stato a convincere questi piccoli azionisti ad investire in Alitalia. Forse sono stati convinti con dolo. Ma se non fosse così, resterebbe il fatto che hanno investito in un'azienda fallimentare. Davvero sono meritevoli di tutela? Ci voleva tanto a capire che l'azienda era in stato di fallimento occulto? La vicenda chiarisce, ancora una volta, che il famoso marchio "Alitalia", con o senza i nuovi slogan berlusconiani, vale zero. Zero, perché senza l'annullamento dei debiti ed il posto da ministeriale per i dipendenti, nessuno si sognava di attaccarsi alla famosa cordata. Ora invece c'è un free-for-all.
4. Adesso il tutto si gioca in realtà a Bruxelles, perché le ragioni per cui questa operazione non è accettabile nel quadro europeo di politica industriale sono tante e tali da far paura. Ma l'astuto BS (che sin dai tempi della campagna elettorale andava cucinando la truffa a danno del paese) ha piazzato un obbediente romano a commissario dei trasporti. Quindi il problema ora consiste nel seguente: quanto cederà l'Italia, sottobanco, su decine di altri tavoli negoziali per ottenere il beneplacito o al più una simbolica multa della Commissione? In altre parole, oltre agli evidenti costi visibili dell'operazione salvataggio parassiti&fighetti romani (circa un miliardino di euro, forse più) quanti e quali saranno i costi sommersi?
5. Ah, complimenti a Marcegaglia, vero esempio di imprenditoria moderna, competitiva e non assistita. Dimettersi da presidente Confindustria per l'evidente conflitto d'interessi non è che le verrebbe in mente, graziosa signora? Allora glielo suggeriamo noi spiegando anche il perché: da quando in qua la presidente di un'associazione imprenditoriale che si siede a trattare con il governo ogni due giorni è anche legittimata a fare affari, e che affari, con il medesimo?
6. Complimenti ai cittadini tutti, ai piccoli imprenditori, all'opposizione, a tutti quelli che chiaccherano che occorre cambiare: non vi vediamo in piazza a difendere le vostre tasche ed i vostri diritti contro il furto romano. In particolare, non abbiamo udito ancora nulla dai beoti leghisti! Banda di polentoni tonti: il cosidetto federalismo del piffero voi non ce l'avete ancora, mentre invece Roma-ladrona intasca allegramente qualche altro miliardo di tasse del Nord per mantenere nel lussuoso far niente migliaia dei suoi abbronzati fighetti e fighette. Diteci: ci fate o ci siete? Perché essere tonti così tanto è veramente incredibile.
7. Complimenti, infine, al vostro ministro dell'Economia. Dalle parole ai fatti: sta dimostrando in cosa consiste la sua nuova politica industriale che permetterà al paese di affrontare la concorrenza con il resto del mondo e con i paesi emergenti in particolare. Continuate così, massacratevi. Che oramai del male ve ne siete fatti abbastanza.
 
 

Fonte - noiseFromAmeriKa.org.

 

 

 

 

 

 

ALITALIA: LE NOVITA' SALVA-CRISI DELLA DELEGA / SCHEDA

28 Agosto 2008 19:25 ROMA - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 28 AGO - Nata con Cirio e Parmalat, cambia faccia con Alitalia. Dopo poco più di 4 anni (era stata varata il 18 febbraio 2004) la legge Marzano assume nuovi connotati per adattarsi alle esigenze di riassetto della compagnia di bandiera. La 'nuova' Marzano sembra presentare una maggiore flessibilità rispetto alla versione precedente, a partire dalla possibile cessione di "asset ancora fruttuosi" da parte del commissario straordinario per finire alla 'sospensione' delle norme Antitrust sulle concentrazioni. Allo stesso tempo, finirà per rappresentare una sorta di Testo Unico nella disciplina sulle crisi delle grandi imprese, con una ridefinizione delle norme penali sugli illeciti in materia fallimentare. La nuova normativa, spiega il Consiglio dei Ministri, punta infatti "al superamento della contrapposizione fra tutela dei creditori e conservazione degli organismi produttivi", con "l'obiettivo di evitare, fino dove sia possibile, la procedura di liquidazione e la possibilità di avvalersi degli strumenti flessibili di soluzione della crisi di grande impresa pur in caso di intervento pubblico". Ecco alcune delle differenze principali fra le due normative: - AMMISSIONE: la Marzano si attivava con un'istanza di ammissione all'amministrazione controllata da parte dell'impresa, con contestuale ricorso al tribunale affinché dichiarasse lo stato di insolvenza. Un presupposto destinato a scomparire, visto che uno dei cardini della legge delega è "ridefinire il contenuto della domanda di ammissione alla procedura". L'ammissione in precedenza avveniva tramite decreto del Ministero delle Attività Produttive, mentre tale facoltà ora è assegnata anche al Presidente del Consiglio dei Ministri. - NOMINA COMMISSARIO: la nomina spetta ora anche al premier, che, al pari del ministro dello Sviluppo Economico, ne determina il compenso e le condizioni dell'incarico, anche in deroga alla normativa vigente. Possono inoltre essere prescritte "specifiche attività per il raggiungimento dell'obiettivo di risanamento". Fra queste, anche "un'immediata vendita o affitto di asset ancora fruttuosi, garantendo maggiore elasticità al modello procedimentale", che in precedenza, per eventuali cessioni, obbligava invece al preventivo deposito di un piano di ristrutturazione che indicasse quali attività non-core potevano venire dismesse. Il commissario straordinario dovrà individuare l'acquirente mediante trattativa privata. - DURATA: la ristrutturazione con la Marzano era prevista tramite la cessione dei beni aziendali (per un anno) o l'attuazione di un programma di risanamento che non poteva superare i due anni. Uno degli scopi delle nuove disposizioni è però proprio quello porre "fine dell'alternatività fra ristrutturazione dell'azienda e cessione (con la possibilità di perseguire il risanamento anche attraverso la dismissione, ad esempio, di rami aziendali)". Quindi la durata della procedura dell'amministrazione straordinaria verrà ora fissata "in un periodo variabile tra uno e due anni, in funzione della complessità della procedura, ma in presenza di sopravvenute eccezionali esigenze può essere disposta la proroga del termine sino ad un periodo massimo di dodici mesi". - PIANO RISANAMENTO: se la presentazione del piano di risanamento era esclusiva competenza del commissario straordinario, da effettuarsi entro 180 giorni dalla dichiarazione di insolvenza, adesso questi avrà anche "la possibilità di valutare il programma proposto dall'impresa, se del caso proponendo le necessarie modifiche od integrazioni e se del caso proponendone uno da lui redatto ed alternativo da sottoporre all'approvazione ministeriale". - CREDITORI: maggiore attenzione viene dedicata anche ai creditori. In precedenza i debiti venivano 'congelati' fino alla definizione di un concordato fra le parti, mentre l'intento delle nuove norme è quello di "rifiutare soluzioni che avviliscano le attese dei creditori e quelle che trascurino interessi che gravitano a vario titolo attorno alla vita dell'impresa". - ANTITRUST: le operazioni di concentrazione connesse, contestuali o previste nel programma, non sono soggette ad autorizzazione ai sensi della normativa antitrust. Le parti sono comunque tenute alla notifica preventiva di tali operazioni all'Antitrust ed alla assunzione di impegni a tutela dei creditori per evitare aumenti dei prezzi o l'applicazione di gravose condizioni contrattuali per l'utenza. - DIRITTO FALLIMENTARE: la delega prevede anche la riforma delle disposizioni penali fallimentari, adeguandole alle novità introdotte di recente alla disciplina civilistica. Viene introdotta, per le fattispecie di bancarotta impropria da "illecito societario", una "zona di rischio penale", individuata nello stato d'insolvenza o nella situazione di concreto pericolo d'insolvenza. Così come è stata prevista ed estesa anche all'imprenditore individuale "l'incriminazione della causazione intenzionale del dissesto a cui si affianca, per la bancarotta societaria, la causazione dolosa del dissesto mediante abuso dei poteri o violazione dei doveri da parte degli esponenti societari".
 

Fonte - ANSA