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La Banda d'Italia e il
Governatore
14 Dicembre 2005 5:23 ROMA
(di Alberto Statera)
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Dopo tanto
parlarne, la gelida notte della caccia alla "Banda d´Italia" è scoccata, con la
Guardia di Finanza sguinzagliata alla cattura dei "bad boys". Primo fra
tutti quello che, all´ombra dell´unica istituzione che conservava un pizzico di
eccellenza al paese, appare il loro capo. L´uomo che, con la banchetta
periclitante dei "Furmagiàtt", ha messo a ferro e fuoco quel che restava del
tisico capitalismo italiano e della evanescente credibilità internazionale
dell´Italia. Quel Fanfulla da Lodi da pochade, quel beltomo di provincia,
colonia e brillantina, che poteva permettersi di "baciare in fronte" la massima
icona dell´economia italiana, di fare costosi regalini alla consorte del
governatore della Banca d´Italia e, a quel che si narra, di godere
dell´affettuosa amicizia di una delle sue figlie. Gianpiero Fiorani e Antonio Fazio: una
coppia tragica e al tempo stesso comica, in bilico tra i tormenti di Faust e le
"Vacanze di Natale" di Boldi e De Sica.
Tra la cessione dell´anima al Maligno, per un
disegno di potere maturato tra ville in Costa Azzurra e in Costa Smeralda,
acquistate a suon di miliardi, jet privati, superyacht, e un sottobosco di
faccendieri, affaristi di quarta, finanzieri da codice penale. Nella notte
gelida delle Procure e della Guardia di Finanza va in scena «il nuovo tornado
politico-giudiziario» che prefigura l´ex presidente della Repubblica Francesco
Cossiga, paventando gli «eccessi» di Mani pulite? O, dopo le intercettazioni
telefoniche dell´estate, lo squarcio di un costume italico pizza e fichi, il
primo autentico capitolo della storia di un golpe finanziario che era destinato
a condizionare gli equilibri economico-politici del paese?
Quel che è
certo, dopo mesi di inchieste, è che non ci troviamo di fronte a singoli episodi
di criminalità economica ma all´agire coordinato, se vogliamo malamente, di un
gruppo di potere determinato e senza scrupoli, nel vuoto della politica e nella
debolezza dei cosiddetti poteri forti. Forse tutto comincia persino un lustro
fa, con la madre di tutte le privatizzazioni, la Telecom. La razza padana
ricca, ignorante e velleitaria, che manda a segno un´impresa impensabile,
meritando le congratulazioni ai «capitani coraggiosi» di Massimo D´Alema, il
primo presidente del Consiglio ex comunista, sinceramente proteso a cercare di
innovare il rachitico e autoreferenziale capitalismo italiano.
Se un baluba
come Emilio Chicco Gnutti, ras con foulard del baretto di Brescia e delle
sfilate di auto d´epoca, riesce in un´impresa come Telecom qual è mai il palazzo
d´inverno che non si può conquistare con spregiudicatezza, con giuste relazioni
e cupole un po´ trasversali? Cuccia non c´è più, Agnelli non c´è più, gli
Orlando, i Pirelli, i Falck, sono ricordi del passato. Poco a poco l´ala nobile
del capitalismo senza capitali, che piuttosto spesso fu alquanto ignobile, si è
dissolta lasciando dietro di sé il nulla. Se non a palazzo Chigi, Silvio
Berlusconi, l´uomo che dall´ala nobile fu sempre rifiutato come un intruso.
I capitali?
Oggi Sono nelle banche. Basta saperli estrarre, come il petrolio. Deputati
all´opera, fin dai tempi di Sindona, furono sempre i palazzinari, compreso a suo
tempo Berlusconi con la Banca Rasini e col Monte dei Paschi di Siena controllato
dalla massoneria. Basta ripetere in grande il solito schema, soprattutto in
tempi di bolla immobiliare speculativa, di finanza creativa, di
cartolarizzazione. Non serve neanche più creare quartieri come Milano-2,
basta intermediare. Così si prende un
ragazzotto sfigato di Zagarolo, fallito come odontotecnico, ma voglioso di far
tanti soldi, e se ne fa il finto scalatore di tutto: l´Antonveneta, la Banca
Nazionale del Lavoro, persino la Rizzoli - Corriere della Sera, tempio presunto
del potere politico - mediatico.
Ma non è tanto Ricucci, è piuttosto il «filo rosso»
che lega i vari personaggi del bosco e del sottobosco emersi in questi mesi a
far pensare al peggio. Non a un caso di normale criminalità economica, la Cirio,
Cragnotti, la Parmalat, che pure s´iscrivono nello stesso filone
politica-banche-favori-soldi facili - risparmiatori truffati. Ma un disegno di
potere del nuovo capitalismo straccione che s´intreccia alle peristalsi della
politica alla vigilia delle elezioni della prossima primavera. Forse non è
troppo presto, ora con i primi arresti che dobbiamo ritenere sufficientemente
motivati, per tentare di disegnare un albero genealogico della Banda d´Italia,
di cui per ora il capo riconosciuto è il banchiere velleitario di Lodi.
Fiorani-Fazio: un governatore della Banca d´Italia debole, assediato al momento
da un ministro del Tesoro come Giulio Tremonti, duro cattivo, vendicativo. Una
sponda furba, familiare, rampante, come Fiorani.
Un principio forte: la difesa dell´italianità delle
banche dal dilagare dei calvinisti del Nord Europa, come gli olandesi dell´Abn -
Amro. Tremonti fa terra bruciata. Ma perché uno come Fazio, votato a San Tommaso
e all´eccellenza predicata dall´Opus Dei di Escrivà de Balaguer, amato in
Vaticano, e per anni invocato da tutti, da destra e da sinistra come somma
autorità morale ed eventualmente politica, non può aspirare al ruolo di potere
cui, da destra e da sinistra, lo candidavano? L´ex governatore Ciampi non è
forse presidente della Repubblica? Fiorani-Gnutti: i capitani coraggiosi, la
razza padana, l´imprenditoria emergente del Nordest. Fiorani - Ricucci: il
banchiere e la testa di legno, con al seguito i soliti palazzinari, da
Bellavista Caltagirone, a quella galassia di conti correnti fiduciari delle
banche, i Coppola, gli Statuto. Quelli a cui alcune banche preferiscono dare i
soldi facili. Sullo sfondo il cotè berlusconiano, Letta, Livolsi, Comincioli,
che partecipano alle grandi manovre.
E il generone
commerciale: Sergio Billè il gran pasticciere del bar di Messina, vecchio
democristiano, che mette a disposizione i 100 e più milioni del «fondo del
presidente» della Confcommercio per moltiplicare in pochi giorni di cento volte
il valore di un palazzo di Ricucci, per la causa.
E che fa anche qualche affaretto personale, con la
speculazione di borsa su Rcs, nell´insano sogno, ormai svanito sotto i magli
delle Procure, di costituire il suo partito del Sud, o di fare il governatore
della Sicilia al posto di quel gentiluomo di Totò Cuffaro. Ma il ramo più
doloroso dell´albero genealogico del presunto golpe finanziario è quello di
Bologna, via Stalingrado. E´ a sinistra. Che ci faceva Giovanni Consorte, grande
capo dell´Unipol e, di fatto, della finanza cooperativa rossa, scalatore della
Bnl contro gli spagnoli, con questi qui? Perché «concertò» con Fiorani su
Antonveneta, ipotesi di reato per cui è indagato?
Ecco, forse è qui il vero segreto della Banda
d´Italia, mentre di notte la Guardia di Finanza rastrella i primi bad boys,
quelli che condussero l´Italia dal capitalismo nobile e asfittico al capitalismo
rampante e straccione.

Fonte - La
Repubblica
BPI,
ARRESTATO FIORANI
(14/12/2005)
Le indagini nell’ambito della
scalata in Antonveneta vanno avanti e stamane si fa un primo bilancio:
quindici perquisizioni sono in corso ad opera della Fiamme Gialle, mentre
nella notte sono scattate le manette per Gianpiero Fiorani e Gianfranco
Boni, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore
finanziario della Bpi.
Notizie che non certo aiutano il
titolo dell’istituto lodigiano, in calo di oltre il 2% e già reduce
dalle dimissioni di tutti i membri del cda, ora preoccupano le accuse
mosse agli ex manger della banca, associazione a delinquere finalizzata
all’appropriazione indebita aggravata, aggiotaggio e falso a vario titolo.
Secondo quanto si apprende, a far
scattare le manette sembra abbiano giocato un ruolo determinante i circa
70 milioni di euro che l'accusa contesta al finanziere di Codogno di avere
movimentato negli ultimi mesi, quando l'inchiesta era già in
corso.
L'ex numero uno della Bpi è stato
bloccato in serata nella sua abitazione di Lodi e portato in carcere
assieme a Gianfranco Boni. L'ex direttore finanziario, nato a Lodi nel
1958 e uomo fidato dell'ex ad, era uno dei principali artefici delle
operazioni interne della banca.
Gli arresti domiciliari sono
toccati invece a Silvano Spinelli, che si occupava di operazioni di
carattere riservato per conto dei più importanti clienti della banca e che
deteneva il 50% delle partecipazioni di Liberty, la società cui faceva
capo la villa di Cap San Martin sulla Costa Azzurra, riconducibile secondo
i magistrati all'ex ad.
Inoltre, nell'ordinanza firmata
dal gip Clementina Forleo sono citati anche l'imprenditore agricolo
Giuseppe Besozzi, socio storico della Lodi e presente in tutte le
operazioni discusse (Besozzi è’ indagato a piede libero per concorso), e
Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont, gestori del fondo delle Cayman
Victoria and Eagle, uno dei principali azionisti della Bpi ma in realta'
controllato dallo stesso istituto.
I due gestori sono accusati di
associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e nei loro
confronti sono stati emessi due mandati di cattura. Indagati inoltre anche
l' avvocato Ghioldi, fiduciario di una serie di società e conti occulti -
secondo le accuse - su cui venivano fatti confluire dai due gestori i
proventi delle appropriazioni indebite.
La parabola di Fiorani, come
quella dei suoi fedelissimi, si è conclusa l'estate scorsa a seguito della
vicenda delle intercettazioni telefoniche che hanno coinvolto anche il
governatore di Bankitalia Antonio Fazio e dopo il sequestro delle azioni
dei concertisti impegnati a scalare la banca padovana.
Il Gip di Milano Clementina
Forleo vietò a lui e ai suoi l'esercizio dei poteri aprendo la strada
all'arrivo del direttore generale Divo Gronchi che ha avviato una profonda
opera di pulizia dei conti mentre la partecipazione in Antonveneta, ancora
sotto sequestro, è stata ceduta alla rivale Abn.
Secondo una prima ricostruzione
degli inquirenti i provvedimenti sono scattati dopo le dichiarazioni
dell'ex dirigente di Bipielle Suisse Egidio Menclossi, supertestimone
dell'inchiesta e gravemente minacciata, unitamente ad un altro dirigente
di Bipielle Toscana, e dell'imprenditore milanesi Mario Sechi.
A seguito di accertamenti
riguardo all'attività in corso da parte degli indagati in particolare nel
mirino dei magistrati sarebbero finiti alcuni movimenti di denaro sospetti
compiuti in queste ultime settimane e riscontrati attraverso controlli
incrociati con l'Ufficio Italiano Cambi.
Il sospetto inoltre è che il
gruppo stesse organizzandosi in vista dell'assemblea del 27-28 gennaio
della Bpi, chiamata ad eleggere un nuovo consiglio di amministrazione, e
nella quale per i pm si stava allungando pericolosamente l'ombra della
vecchia gestione.
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NUVOLE NERE SU BANKITALIA
(14/12/2005)
“Dirlo a nuora perché suocera
intenda” recita un proverbio napoletano che ben si adatta a quanto sta
accadendo nelle ultime ore attorno alla vicenda della doppia offerta
d’acquisto su Antonveneta e BNL e che è culminata, almeno per il momento,
con l’arresto di Gianpiero Fiorani, Gianfranco Boni, Silvano Spinelli e
dei due gestori dell’hedge fund “controllato ma che a sua volta controlla”
la ex Popolare di Lodi oggi Popolare Italiana e che sta sconvolgendo il
panorama economico–finanziario del Paese.
A pochi è sfuggita la tempistica
dell’arresto del boss (termine che raramente è stato più appropriato)
lodigiano e dei suoi sodali, nello stesso giorno in cui Bruxelles ha
ufficializzato la procedura d’infrazione nei confronti di Banca d’Italia
per il comportamento tenuto nel corso delle due OPA bancarie.
Un timing che fa pensare che si
stia stringendo il cerchio attorno al Governatore di Banca d’Italia
Antonio Fazio, già pesantemente coinvolto nella vicenda, nonostante la sua
recente riappacificazione con il ministro del Tesoro Giulio Tremonti che
ha avuto come conseguenza il sostanziale appoggio alla Finanziaria del
Governo da parte di Via Nazionale.
Banca d’Italia dunque, nuovamente
nella bufera, poco tempo dopo le note vicende Tango bond, Cirio e Parmalat
che hanno minato profondamente la fiducia dei risparmiatori nelle
istituzioni finanziarie in generale, e negli organi incaricati dei
controlli in particolare, anche se di questo crollo di fiducia poco si è
accorta la borsa che dal marzo 2003 ha innestato la quarta tornando ai
livelli del 1999 trainata proprio dai titoli bancari.
E’ difficile credere che gli
organismi di controllo, gli stessi che impongono a SIM e banche regole
sempre più restrittive e burocratiche, non si siano accorti di quanto
stava accadendo, secondo la Magistratura, in quello che stava per
diventare il sesto gruppo bancario del Paese. Nella Banca Popolare
Italiana conviveva con la banca ufficiale, una struttura parallela creata
per arricchire lo stesso Fiorani ed i suoi più stretti collaboratori
grazie ad operazioni dagli utili certi.
Le rare perdite, venivano
spalmate sui conti di alcuni ignari correntisti sotto forma di spese extra
o capital gain, ragione questa che ha fatto scattare nei confronti degli
arrestati l’accusa gravissima di “associazione a delinquere finalizzata
all’appropriazione indebita e all’aggiotaggio”.
Ma le zone d’ombra del sistema
Fiorani non finiscono qui, se è vero che tra i principali azionisti di
Popolare Italiana figura il fondo Victoria & Eagle, a sua volta
controllato dalla stessa banca lodigiana.
La sensazione, guardando i fatti,
è quella di trovarci di fronte alle prime scosse di un terremoto di forte
intensità paragonabile a quello che per il sistema politico è stata
Tangentopoli. E non è un caso, in un Paese dove la politica ha
riconquistato un ruolo centrale 13 anni dopo Tangentopoli, che proprio in
queste ore circolino con insistenza i nomi di alcuni uomini politici
“beneficiati” dal sistema Fiorani, nomi che al momento sono
secretati.
Non è un mistero che in molte
sale operative si pensi che l’azione della Magistratura sia lungi
dall’essere conclusa e che anzi ci siano numerosi elementi che lasciano
ipotizzare un accelerazione anche nei confronti dei vertici di Unipol, già
raggiunti dagli avvisi di garanzia emessi dai PM milanesi e
romani.
Le conseguenze sui titoli
coinvolti sono abbastanza evidenti, quasi quanto lo è l’indifferenza della
borsa in generale, con il forte calo delle azioni BPI, ancora una volta
per i timori legati alla veridicità dei conti e per le temute azioni
giudiziarie da parte dei correntisti ignari e truffati, ma anche con il
nuovo ribasso di Unipol, giustificabile più per riflessi psicologici che
per il timore di sorprese a livello di bilancio.
Niccolò Mancini
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UNIPOL, INDAGATO CONSORTE
(15/12/2005)
E dopo l’arresto di
Fiorani, ora il presidente e amministratore delegato Giovanni Consorte
della compagnia assicurativa Unipol è stato iscritto nel registro degli
indagati in merito all’inchiesta sulla scalata in Bnl. Una notizia che in
realtà non scuote il mercato finanziario: a Piazza Affari infatti i titoli
coinvolti nell’inchiesta non hanno registrato movimenti rilevanti e
chiudono pressoché invariati.
La procura di Roma aveva aperto
già nei mesi scorsi un fascicolo, ora invece procede per i reati di
aggiotaggio informativo, manipolazione del mercato e ostacolo all'autorità
di vigilanza. Nessuna conferma c'è, invece, sulla iscrizione dell'altro
amministratore di Unipol, Ivano Sacchetti.
Della variazione del fascicolo
processuale da ignoti a noti - e della iscrizione secretata di alcuni nomi
sul registro degli indagati - si era venuto a conoscenza nei giorni scorsi
grazie ad una nota inviata dalla procura al Csm in merito alla vicenda che
ha preso spunto dall’intercettazione di un colloquio telefonico tra
Consorte ed il giudice milanese Francesco Castellano nel quale si farebbe
riferimento ad un presunto interessamento di Castellano presso i giudici
romani titolari dell' inchiesta Bnl.
Interessamento negato dallo
stesso magistrato milanese il cui caso, oltre che al Csm, è ora al vaglio,
per competenza territoriale, anche della procura di Perugia. L'inchiesta
giudiziaria, aperta sulla base di un esposto del Banco di Bilbao per le
ipotesi di reato di aggiotaggio informativo, manipolazione del mercato ed
ostacolo alle attività di vigilanza, punta, tra l’altro, a verificare se
Unipol avesse i requisiti, alla luce del proprio statuto, di lanciare
un’Opa su Bnl.
Anche per
questo motivo nei mesi scorsi i magistrati di piazzale Clodio hanno deciso
di esaminare le norme del diritto societario e del diritto civile al fine
di accertare se la compagnia di assicurazioni, in base alle norme che
regolano la tutela dei propri assicurati, possa estendere la propria
vocazione imprenditoriale. Oggi sempre nell'ambito della stessa inchiesta
il pm Perla Lori ha sentito due ispettori della vigilanza di Bankitalia -
Claudio Clemente e Nicola Stabile - come persone informate sui
fatti
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Martedì 20 dicembre 2005 |
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Martedì 27 dicembre 2005 |
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Le
ruberie di Fiorani (con l'ok di Fazio)
18 Dicembre 2005 21:43
MILANO (di Giuseppe Turani)
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Nonostante i
fiumi di parole che sono corsi intorno al caso Fiorani forse c´è ancora posto
per due o tre segnalazioni, insomma per qualche nota a margine. Giusto
per essere sicuri che, alla fine, tutto quello che c´era da dire è stato detto.
Se lasciamo per un attimo da parte i grandi tremi e le grandi questioni,
possiamo segnalare quanto segue:
1 - Ma chi sono i veri colpevoli di questo scandalo?
Beh, si dirà, Fiorani e i suoi amici, è evidentissimo. Fino a una certo punto.
Se infatti da tre anni in Italia non si riesce a fare una decente legge sul
risparmio, la colpa non è certo di Fiorani e degli altri furbetti. La colpa è del Parlamento, anzi della
maggioranza del Parlamento. Giusto anche questo, ma fino a un certo punto. In
America in sei mesi hanno fatto una legge contro i reati finanziari molto bella
e hanno inflitto ai responsabili delle pene che qui non vengono comminate
nemmeno a chi sega la moglie in due o fa una strage. Possibile che il
nostro Parlamento sia fatto in maggioranza da cialtroni? No, non è possibile.
Il fatto è che alle spalle del Parlamento hanno
lavorato diverse lobbies: banchieri, avvocati, società di revisione, ecc. La
verità è che una buona legge sul risparmio, chiara, semplice, dura non fa comodo
a nessuno. Fin che continua l´attuale poltiglia legislativa c´è spazio per
tutti. Fin che c´è discrezionalità assoluta tutti possono continuare a fare, più
o meno, quello che vogliono. I responsabili finali, quindi, vanno cercati anche
fra coloro che non finiranno mai sul banco degli imputati a fianco di Fiorani
& C.
2 - In
questa vicenda si è infranto un mito fra i più solidi in Italia, e cioè quello
dell´estrema, implacabile efficienza della Vigilanza della Banca d´Italia. I
funzionari di questo ufficio sono sempre stati descritti come degli 007 in
grisaglia ai quali è impossibile farla. In verità, ci siamo accorti che
anche in questo caso (come in altri del passato) non hanno visto assolutamente
niente. Ciechi come talpe. Ma, si dirà, questa volta risulta che un paio di
funzionari sono stati contrari a Fiorani e a Fazio e lo hanno messo per
iscritto. Giusto, ma non erano d´accordo su certi parametri dell´affare
Lodi-Antonveneta. Erano in dissenso, insomma, su questioni teoriche di grande
peso, ma non si sono certo accorti che intanto dalla Lodi portavano via i soldi
con la carriola, che spuntavano strani conti ovunque, e che il denaro andava
solo e soltanto agli amici di Fiorani.
I due procuratori della Repubblica di Milano e i
loro finanzieri sono stati molto più bravi. Senza lauree a Harvard e all´Mit in
quattro e quattr´otto hanno fatto luce su tutto. La Vigilanza, oggi, legge i
giornali per sapere che cosa è davvero successo dentro la Lodi. Ridicolo.
3 - Ancora
una volta si constata come siano inadeguati i consiglieri di amministrazione:
nessuno sapeva niente, nessuno si è mai accorto di niente, se c´erano,
dormivano. In Italia i consigli di amministrazione sono ancora considerati come
un organismo necessario, ma sostanzialmente inutile. Di solito lo si riempie di
amici o di vecchietti mansueti, contenti perché una bella assistente (magari in
minigonna) offre loro un caffè. I consigli di amministrazione, invece,
devono essere un consiglio di sorveglianza sulle società e sui manager. E hanno
allora vanno fatti con professionisti indipendenti, ben retribuiti e che quindi
possono investire del tempo nello studiare le carte e le operazioni.
Insomma, chi più spende per il proprio consiglio di
amministrazione, meno spende perché poi avrà conti corretti e meno ruberie.
Naturalmente, se non vedono e se non protestano, vanno puniti, e anche
severamente.
4 - Il
declino italiano, infine, è ravvisabile anche in queste faccende di scandali e
di furti. Per ragioni di età ho seguito gli altri due grandi scandali bancari
(Sindona e Calvi) e vi garantisco che eravamo davvero nel campo dell´alta
finanza sofisticata, con giravolte che gente esperta ha impiegato dei mesi per
venirne a capo. Oggi, invece, è cambiato tutto. Siamo al puro e semplice
borseggio da strada. Nel caso Parmalat i conti sono stati falsificati con
il bianchetto e costruendo con il fax falsi documenti contabili che poi venivano
spacciati come veri. Niente finanza sofisticata, quindi, ma solo e soltanto
truffe da paese.
Nel caso
della Lodi e di Fiorani siamo scesi ancora un gradino più in basso. Qui si
andava di notte a svuotare i conti dei morti. Operazione che, peraltro,
comporta l´esistenza dentro la banca di una rete di complicità molto estese. Non
so se Fiorani farà i nomi, ma tutto lascia pensare che dentro la Lodi ci siano
stati altri furfanti oltre a quelli già individuati. Da qui la necessità di
rendere obbligatori i codici etici e di comportamento per tutti quelli che,
nelle banche e nelle aziende, sono vicini al denaro. E anche in questo caso
servono pene molto severe per chi non rispetta i codici etici e di
comportamento, il cui scopo è quello di impedire che si formino «bande»
all´interno delle società.
In conclusione, impedire che vengano rubati denari
ai cittadini è anche un lavoro di cesello, di particolari, di minuzie, a volte.
Ma è un lavoro necessario. Il denaro, purtroppo, pesa poco e si muove molto in
fretta. E quindi ha una sua naturale tendenza a sparire o a essere fatto
sparire. Per questo va appesantito con norme e codici.

Fonte - La
Repubblica
I
Colossi di Lodi
29 Dicembre 2005 16:31 MILANO
(Il Foglio)
________________________________________
Le vicende della
Banca popolare italiana sono legate anche al ruolo delle banche
internazionali, che hanno consigliato ai vertici dell’istituto lodigiano
come reperire sul mercato i finanziamenti per scalare Antonveneta e per
mettere a posto, in modo sommario, i ratios patrimoniali.
In passato, infatti, la Banca d’Italia guidata
da Antonio Fazio aveva tarpato i desideri espansionistici dell’ex
amministratore delegato di Bpi, Gianpiero Fiorani, perché non soddisfaceva
i requisiti patrimoniali. Tutte le iniziative – anche la fallita scalata
alla banca patavina – erano state approvate alla luce di complesse
operazioni di finanza strutturata messe a punto dalle sedi londinesi di
colossi come Deutsche Bank e
Dresdner Bank. La prima è finita nel mirino di Consob e procura di Roma.
La Commissione presieduta da Lamberto Cardia ha infatti accertato
l’esistenza di un concerto tra Unipol e procura di Roma nei confronti di
Deutsche è una specie di atto dovuto – spiegano fonti giudiziarie –
visto il riscontro della Consob: l’acquisizione della documentazione
relativa alla scalata di Bnl rientra in questa logica.
La maggior parte della comunità finanziaria
internazionale che opera sul mercato italiano guarda con attenzione
all’evoluzione del caso: una possibile uscita di scena della Deutsche
Bank, a causa di problemi giudiziari, potrebbe infatti arricchire le altre
banche internazionali e italiane. Difficile trovare a Milano, Roma o
Londra qualcuno che faccia le lodi di un gruppo di giovani banchieri
definiti “spregiudicati” nella migliore delle ipotesi. La Bpi ha dovuto
accantonare oltre 30 milioni di euro per pagare le commissioni a questi
banchieri.
La
storia si ripete anche per Dresdner e Lazard, le altre due banche
d’investimento che hanno aiutato Fiorani e amici a tentare Deutsche Bank
nell’ambito della scalata alla Banca nazionale del lavoro. Se
Bologna ha commentato negativamente la decisione della Consob, adeguando
il prezzo dell’opa a 2.755 euro, da Londra è arrivato un imbarazzato “no
comment”. Deutsche Bank ha svolto un ruolo primario anche nella scalata
della Bpi ad Antonveneta: la procura di Milano, che detiene il fascicolo,
ha già sentito a luglio e a settembre diversi banchieri coinvolti
nell’operazione. Nessuno per ora è stato iscritto nel registro degli
indagati.
Il nuovo direttore
generale, Divo Gronchi, ha dovuto ricomprare le minorities delle società
controllate da Bpi cedute in modo fittizio tra maggio e giugno a Deutsche
Bank, Dresdner ed E-Archimede, controllata da Gnutti. Consob e Banca
d’Italia hanno rilevato anomalie nei contratti tali da revocare
l’autorizzazione alla scalata di Antonveneta. L’apertura di un fascicolo
da parte della anche la conquista di Rcs: è un banchiere della Deutsche
Bank, Michele Faissola, l’amico con cui Stefano Ricucci s’intrattenne in
Sardegna il week-end prima delle nozze con Anna Falchi, lo stesso che ha
tradotto ai colleghi londinesi – nel corso delle conference call per
mettere a punto prestiti e operazioni su derivati – le colorite
espressioni dell’immobiliarista romano.
Nella partita entra anche l’uomo di punta
della JP Morgan, Federico Imbert, il banchiere che a marzo consiglia
Fiorani, la cui banca detiene una quota dell’ancora Popolare di Lodi, ma
si trova advisor degli olandesi. “Dovete vincere per me”, dichiara a un
collega di una banca d’affari concorrente a maggio. Secondo le
intercettazioni pubblicate ieri dal Corriere della Sera, neppure gli
olandesi sarebbero al sicuro: non si sa che cosa farà Ricucci – è scritto
– “se gli olandesi gli offrono 30 euro, 26,5 ufficiali e 3,5 in
nero”.
Fonte -
Il Foglio
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Draghi
nuovo governatore di
Bankitalia
29 dicembre 2005 (di Miaeconomia)
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Dopo il parere favorevole
del Consiglio superiore di Bankitalia, un Consiglio dei ministri durato appena
dieci minuti ha sciolto le riserve nominando Mario Draghi sulla poltrona di
numero 1 di Via Nazionale. Il decreto di nomina di Draghi a governatore della
Banca d'Italia dovrà ora essere controfirmato dal Capo dello Stato. Permane l'incertezza solo sui tempi
dell'insediamento, che dipendono - ha detto il ministro dell'Interno Beppe
Pisanu in una confrenza stampa a palazzo Chigi - "anche dalla disponibilità di
Mario Draghi".
Ecco una breve scheda sul nuovo governatore di
Bankitalia.
Attualmente vicepresidente per l'Europa della grande
banca d'affari Goldman Sachs, Mario Draghi è stato tra gli artefici della
stagione delle grandi privatizzazioni in Italia. Negli anni '90 ha infatti
guidato le principali cessioni pubbliche effettuate dallo Stato nella sua veste
di Direttore Generale del ministero del Tesoro, carica che ha ricoperto per 10
anni, dal 1991 al 2001. Nel settembre di quell'anno l'addio - o meglio un
'arrivederci' - alla carriera di 'civil servant' per diventare un banchiere
d'affari. Al nome di Draghi è legato il nuovo testo sulle regole dei mercati
finanziari.
Classe '47, sposato con due figli, Mario Draghi si è
laureato nel 1970 in Economia per poi conseguire un Phd in uno delle più
prestigiose università statunitensi, il Massachussetts Institute of Technology.
Allievo di Lorenzo Caffé a Roma, vanta un curriculum eccellente sia sul piano
accademico (a 36 anni insegnava già Economia internazionale alla 'Cesare
Alfieri' di Firenze) che su quello istituzionale, con incarichi presso la Banca
Mondiale (dove ebbe modo di apprezzarlo anche il capo dello Stato Carlo Azeglio
Ciampi, allora governatore di Bankitalia), di consulenza per il governo Craxi
(chiamato da un altro 'giovane', Giovanni Goria), fino alla Direzione generale
del Tesoro (1991).
Nei dieci anni a via XX Settembre ha lavorato al
servizio di nove diversi governi: Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini,
Prodi, D'Alema, ancora Amato e ancora Berlusconi. Sono stati i dieci anni che
"sconvolsero l'Italia", trasformata dal Paese dei panettoni di Stato a uno dei
membri di Eurolandia.
Tassello fondamentale di questa rivoluzione è stata
proprio la legge che porta il suo nome, entrata in vigore il primo luglio 1998,
dopo anni di lavoro e dibattiti. Il capitalismo italiano cominciava a fare i
conti con mercati internazionali sempre piu' integrati, con la crescita dei
listini azionari e con norme a tutela dei risparmiatori. E la legge Draghi
ridisegna le regole di governance delle Spa, nonché le procedure per le scalate,
proprio con l'obiettivo di tutelare i piccoli azionisti: chi compra il 30% di
una società ha l'obbligo di lanciare un'Opa, un'offerta pubblica di acquisto,
con un prezzo identico per i piccoli e grandi azionisti. E proprio in occasione
della "madre di tutte le Opa", quella di Roberto Colaninno su Telecom Italia
della primavera del 1999, la legge Draghi venne messa alla prova per la prima
volta.
Uno dei segni distintivi di Draghi è sempre stata la
grande discrezione, con poche apparizioni pubbliche e con ancor meno interviste
a giornali e tv, da autentico servitore dello Stato, quasi un'ombra accanto al
ministro di turno.

Fonte -
Miaeconomia.it
Venerdì 16 dicembre 2005 |
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Domenica 18 dicembre 2005 |
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Sabato 24 dicembre 2005 |
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Critici i consumatori sulla riforma del
risparmio
29 dicembre 2005 (di Miaeconomia)
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Dopo la firma da parte del presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi la legge sul risparmio è diventata operativa.
Così con i tasselli sistemati delle nuove norme sulla tutela del risparmio e
sulla disciplina dei mercati finanziari, le carte appaiono tutte in regola anche
per la nomina del nuovo governatore della Banca d’Italia.Ma la riforma sul risparmio fa discutere le
associazioni dei consumatori secondo cui “la legge è stata approvata a colpi di
fiducia da una maggioranza sempre più traballante, rappresentando l’ennesima
frode a danno del popolo dei risparmiatori”.
In
particolare l’Intesa dei consumatori (Adoc, Codacons, Adusbef e
Federconsumatori) parla di una legge “ambigua e insufficiente; una scatola vuota
molto funzionale per finalità propagandistiche-elettoralistiche”.
Attribuire al condominio Antitrust e Bankitalia - si legge in un
comunicato - l’esame sul divieto di operazioni di concentrazioni restrittive
della libertà di concorrenza produce confusione di ruoli e una gravissima
ambiguità che rischia di danneggiare ancora di più il mercato, senza far
abbassare gli elevatissimi costi dei conti correnti, i più alti in assoluto
d’Europa”.
Pungenti
anche le critiche sul falso in bilancio, reato che negli Stati Uniti viene
punito con un minimo di 12 anni e un massimo di 20 anni di carcere. Mentre -
denuncia l’Intesaconsumatori - la riforma ha introdotto il concetto di modica
quantità con pene che vanno dai 3 ai 6 anni. Ma - avvertono - dopo la
prescrizione dei reati più gravi a carico dei bancarottieri processati, come nei
casi Bipop-Carire, Cirio e Parmala, non servirà né a prevenire, né a contrastare
il gravissimo fenomeno del risparmio tradito.
Capitolo a parte per il
reato di nocumento al risparmio. Difficilissimo da provare - secondo i
consumatori - e che scatta solo se vengono truffati almeno l’1 per mille della
popolazione (vale a dire 58.000 risparmiatori). Con questa norma - spiegano -
sarebbero colpiti solo gli autori dei crack Parmalat e Bipop, lasciando fuori
Cirio, Giacomelli, Finmatica, La Veggia o Finmeck.
Steccata dell’Intesa anche sull’obbligo di denuncia
e la non procedibilità d’ufficio per indagare sulle società fallite, assieme
alla prescrizione breve (ossia 3 anni). Novità quest’ultima che - si legge nella
nota – “farà dormire sonni tranquilli ai vari Tanzi, Cragnott, al ragionier
Fiorani e ai furbetti del quartierino, che potranno continuare indisturbati e a
ricoprire cariche societarie come se nulla fosse accaduto”.
Secondo il
presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti, i risparmiatori “non si sentivano, né si
sentono tutelati da una legge che confonde l’attribuzione dei poteri sulla
concorrenza bancaria tra le autorità e prevede pene lievissime che addirittura
potranno costituire un incentivo alle frodi ed alle truffe societarie a danno di
azionisti minori”. Quanto al mandato a termine del governatore della
Banca d’Italia rinnovabile, per il numero uno dell’Adusbef “costituisce
l’ennesima farsa con la confusione che regna sovrana nella logica di attribuire
al Consiglio Superiore quelle funzioni di vigilanza e di controllo all’interno
dell'istituto”. Critico anche il
Movimento Consumatori che “ritiene complessivamente insoddisfacente il disegno
di legge sulla tutela del risparmio, nonostante le positive novità sul mandato a
termine del governatore e sul trasferimento all’Autorità Antitrust delle
competenze in materia di concorrenza bancaria”. Nel mirino
dell’associazioni ci sono le nuove modifiche relative ai reati di falso in
bilancio che annullano i piccoli progressi del testo, la mancata presenza nella
legge sulle class action (ovvero la tutela collettiva) e l’assenza di qualsiasi
strumento di informazione preventiva degli investitori che incentivi la
collaborazione tra le Autorità di Vigilanza e le associazioni di consumatori per
educare gli investitori ad effettuare scelte di investimento consapevoli.
"È evidente la delusione dei risparmiatori rispetto
ad una legge che non dà risposte di tutela, né sufficienti deterrenti al
ripetersi di nuove crack o truffe a loro carico", dichiara invece l'Adiconsum.
La legge comunque - secondo l'associazione - contiene aspetti positivi come la
separazione tra vigilanza e concorrenza e la riforma della Banca d'Itali. Più
possibilista, infine, Carlo Rienzi del Codacons secondo il quale “l’unica
speranza risiede nei decreti attuativi della riforma”. Inutile piangere sul
latte versato, spiega. “Non resta che sperare che il prossimo Governo sappia
utilizzare la delega per fornire ai risparmiatori maggiori strumenti di
tutela”.
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