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INDICE ARTICOLI

PARTE 2

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Borse e Previsioni

Utili, tassi e prezzi bassi danno sprint al toro

Borse e Previsioni

Borse a rischio correzione, troppe incognite

FED

Wall Street:  si chiude l'era Greenspan

Finanza italiana

Nuova Consob

Finanza italiana

Rischio derivati in borsa

   

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ANSA   +++   Dow Jones a quota 11.000   +++   Perdita record per General Motors, il colosso di Detroit rischia la bancarotta   +++   ANSA   +++   20 Gennaio 2006 - Gli Indici USA in picchiata - registrano la peggior performance giornaliera da Marzo 2003   +++   ANSA

  Domenica  8  gennaio  2006   Martedì  10  gennaio  2006   Venerdì  27  gennaio  2006  
       
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  Utili, tassi e prezzi bassi danno sprint al toro

1 Gennaio 2006 16:18 - Milano  (di Borsa & Finanza)  
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Le Borse chiudono, per il terzo anno consecutivo, con buoni guadagni. Anzi, più che buoni. Ma, ed è l’aspetto più confortante, le valutazioni appaiono ancora sostenibili, per niente «gonfiate». Addirittura assai contenute secondo taluni criteri. E sì, perché se è vero che diverse piazze azionarie hanno raddoppiato le quotazioni del 2003, è altrettanto vero che gli utili sono saliti di un importo equivalente o superiore, sicché i multipli sono rimasti sullo stesso livello. Per di più, i tassi d’interesse sonnecchiano sui minimi, specialmente in Europa, cosa che rende le quotate ancor più che appetibili.

In particolare, le azioni risultano più che convenienti secondo il metro classico, confrontando gli utili societari con il tasso d’interesse «a rischio zero», ovvero il rendimento dei titoli del debito di Stato. Il risultato, visto che i profitti volano alto e i rendimenti delle obbligazioni volano basso, è che Wall Street risulterà sottovalutata di un buon 35%, i listini del Vecchio Continente nientemeno che del 40-50 per cento.
A sentire Kevin Gardiner, responsabile del mercato azionario per il gigante bancario Hsbc, «la Borsa aumenterà di valore anche nel 2006 proprio grazie all’espansione dei multipli sugli utili che, a livello mondiale, stazionano ai valori minimi degli ultimi 15 anni». A proposito della politica della Fed, Gardiner aggiunge: «Una strategia basata sulla stretta monetaria, in passato, è stata sempre associata alla contrazione dei multipli delle quotazioni. Il 2005, in questo caso, non ha fatto eccezione: gli utili hanno registrato un’espansione straodinaria, ma che non si è riflessa nelle quotazioni di Wall Street.
Nel 2006, al contrario, il pendolo della Fed dovrebbe oscillare nella direzione opposta: il ciclo di rialzi salvo imprevisti sembra avviato a concludersi, liberando così di un’ingombrante zavorra il mercato azionario. In passato, nei 12 mesi successivi all’ultima stretta praticata dalla Fed, la Borsa newyorchese si è mossa all’insù». Anche i profitti aziendali non dovrebbero tradire gli ottimisti: per il 2006, gli analisti parlano di una crescita degli utili del 14% al di là dell’Atlantico e del 9% in Europa. Non male, se si pensa al record spettacolare degli anni recenti. Questo vale a livello globale.
Ma lo stratega di Hsbc scommette soprattutto sui listini d’Europa e del Giappone, lasciando in seconda linea gli Stati Uniti. La ragione? Primo, le valutazioni sono meno care rispetto a quelle segnate dalle corporation americane: «Dal 1975 al 1990 i titoli europei non offrivano alcuno sconto rispetto ai prezzi registrati dai concorrenti Usa. In parte, le quotazioni più alte in America si giustificano con il dinamismo di quell’economia, ma lo spread appare comunque troppo elevata: i numeri giustificano la mia preferenza per la zona euro». In conclusione, quotazioni modeste, tassi d’interesse incolori e il trend positivo degli utili aziendali sembrano dar corpo alla combinazione ideale per regalare agli investitori un 2006 ricco di soddisfazioni.
 

Fonte - Borsa & Finanza

 

 

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ANSA   +++   BORSA: NY NEGATIVA; DOW JONES -1,96%, NASDAQ -2,35%   +++   ANSA

 

WALL STREET: E' UN INIZIO D'ANNO COI FIOCCHI

6 Gennaio 2006 22:15  - New York (Ansa)
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La seduta di borsa di Wall Street si e’ chiusa ancora una volta con gli indici in territorio positivo. Le performance giornaliere sono di un +0.71% per il Dow Jones a quota 10959, +0.94% per l’S&P500 a 1285, ed infine +1.26% per il Nasdaq ad un livello di 2305 punti. Tutti e tre gli indici sono ai massimi di quattro anni e mezzo. Per la settimana, le performance sono rispettivamente di +2.2%, 3% e 4.5%.
A far proseguire gli indici sulla via dei rialzi e’ stato il rapporto sull’occupazione che, poiche’ inferiore alle attese, ha rafforzato le speranze di uno stop al ciclo rialzista sui tassi operato dalla Federal Reserve.
Nel mese di dicembre, la crescita dell’occupazione ha subito un rallentamento rispetto al mese precedente. Il numero di nuovi posti di lavoro e’ cresciuto di 108 mila unita’ contro le attese di un aumento di 200 mila. Rivisto al rialzo il dato di novembre: il numero finale dei nuovi occupati e’ balzato di 305 mila unita’ dalla precedente stima di 215 mila. Inaspettatamente in calo il tasso di disoccupazione, sceso al 4.9%, mentre gli economisti non si attendevano alcuna variazione (5%).
Secondo gli operatori, un dato superiore alle attese avrebbe potuto riaccendere i timori di un proseguimento del ciclo rialzista sul costo del denaro, da parte della Banca Centrale, che lo ha portato al 4.25%. Il prossimo incontro della Fed e’ previsto per la fine del mese: l’opinione piu’ diffusa e’ quella di un alzamento dei tassi di un quarto di punto percentuale al 4.50%.
Il rally di inizio anno ha preso il via nella giornata di martedi’, con il rilascio delle minute del Fomc sull’incontro svoltosi lo scorso 13 dicembre. Dai dettagli della riunione e’ emerso che la maggior parte dei membri ritiene opportuni “solo” alcuni ulteriori ritocchi al costo del denaro per mantenere le pressioni inflazionistiche sotto controllo.
Il fatto si e’ ripercosso direttamente sul dollaro, che, negli ultimi giorni, ha perso vistosamente terreno rispetto alle principali valute. Nel tardo pomeriggio di venerdi’ a New York, il cambio tra l’euro e la valuta americana e’ a quota 1.2121. Un possibile stop al ciclo rialzista sui tassi, infatti, rende meno attarenti gli investimenti negli asset denominati in dollari.
La debolezza del biglietto verde ha portato gli investitori ad incrementare gli investimenti nell’oro. Il metallo prezioso, bene rifugio per eccellenza, ha offerto una maggiore protezione contro potenziali perdite. Il futures con scadenza febbraio ha ripreso a guadagnare, dopo la breve pausa di ieri che ha pero’ interrotto una serie di guadagni durata ben otto sessioni, chiudendo in progresso di $13.40 a $541.20 all’oncia.
Nel comparto energetico, la difficile situazione in Medio Oriente ha offerto le basi per un considerevole avanzamento del petrolio. I futures con scadenza febbraio hanno terminato la sessione odierna in rialzo di $1.42, a $64.21 al barile, massimo degli ultimi tre mesi. La performance settimanale e di +5.2%.
Nel comparto societario, il colosso informatico IBM ha chiuso in netto progresso dopo aver confermato un cambiamento nel sistema di pagamento pensionistico dei propri lavoratori che garantira’ al gruppo un notevole risparmio. In rialzo anche Exxon Mobil, sulla scia del notevole progresso del greggio. Sotto pressione, invece, Microsoft, dopo aver ricevuto un downgrade da CSFB in base a considerazioni sull’attuale valutazione del titolo.
Nel settore Internet, bene Yahoo! e Google. Entrambi hanno beneficiato dei commenti positivi di Goldman Sachs che ne ha rivisto al rialzo le stime sugli utili (YHOO) e il target price (GOOG).

 

 

 

WALL STREET: E' LA PEGGIORE PERFORMANCE DAL 2003

 20 Gennaio 2006 22:15  - New York (Ansa)
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Una seduta da dimenticare per gli indici americani che chiudono in netto ribasso, indeboliti ancora una volta dalle deludenti notizie societarie, dall’avanzamento del petrolio e dal crollo di Google, sceso in picchiata sotto i $400 (vedi piu' avanti). Il Dow Jones ha ceduto l'1.96% a 10667, l’S&P500 l'1.83% a 1261, il Nasdaq e’ arretrato del 2.35% a 2247.70, realizzando le peggiori performance dal 2003.
A mettere pressione ai mercati, gia’ prima dell’apertura, sono stati gli ultimi aggiornamenti sugli utili societari. Il colosso finanziario Citigroup e la conglomerata industriale General Electric hanno entrambi annunciato dei risultati in crescita ma inferiori alle attese degli analisti.
Il titolo GE e’ arretrato di oltre quattro punti percentuali, al minimo livello degli ultimi tre mesi, dopo aver comunicato ricavi per il quarto trimestre inferiori al consensus del mercato. Citigroup e’ calata ai minimi di oltre due mesi in seguito alla comunicazione dei profitti che, colpiti da tassi d’interesse svantaggiosi e da condizioni di prezzo non ottimali, non hanno “soddisfatto” le attese di Wall Street.
A deludere e’ anche Motorola, la seconda societa’ al mondo nel comparto della telefonia mobile, che ha offerto un outlook sui prossimi trimestri inferiore a quello sperato da alcuni operatori. Il titolo e’ scivolato di oltre il 7%.
Tutte i componenti del Dow Jones hanno chiuso in territorio negativo, fatta eccezione per McDonald's, avanzato dell'1.88%. Sotto i riflettori anche Google, che arretrando dell'8.5%, realizza il maggior ribasso dal giorno del debutto in borsa. A pesare sul colosso Internet sono state le controversie con il Dipartimento della Giustizia americano legate alla tutela della privacy degli utenti soprattutto di siti porno.
Ad aggravare la situazione e’ stato anche il petrolio, schizzato sopra i $68 al barile. Ai problemi geopolitici in Iran, sulla faccenda del nucleare, e in Nigeria, con gli attacchi agli impianti estrattivi, si sono aggiunte le preoccupazioni di possibili nuovi attacchi terroristici minacciati dal leader di Al-Quaeda Osama Bin Laden.
I contratti futures con scadenza febbraio, oggi al loro ultimo giorno di contrattazione, sono avanzati di $1.52 (o del 2.3%) a $68.35. Notevole la performance settimanale pari ad un rialzo del 6.9%. Ricordiamo che nella seduta di giovedi’ il greggio aveva terminato in netto progresso nonostante una crescita delle scorte.
Sostanzialmente nulle le reazioni al buon dato comunicato in mattinata, sulla fiducia Michigan. L’indicatore e’ cresciuto a 93.4 punti, dai precedenti 91.5, battendo le stime degli economisti che erano per un aumento a 92.5. Il dato ha anzi aumentato i dubbi circa un possibile stop del ciclo rialzista sui tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, per impedire un “surriscaldamento” dell’economia statunitense.
Sugli altri mercati, in calo l’oro ma comunque vicino ai massimi livelli degli ultimi 25 anni. Il contratto futures con scadenza febbraio e’ arrterato di $5.00 a quota $554.00 all’oncia, dopo essere schizzato, nella mattinata, a quota $568.50. In recupero l’euro. Nel tardo pomeriggio di venerdi’ a New York, il cambio nei confronti del dollaro e’ a quota 1.2136. In rialzo, infine, i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.36% dal 4.379% di giovedi’.

 

 

 

 

 

 

Giovedì  19  gennaio  2006

 
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L'HI TECH FRENA LE BORSE

Una chiusura anticipata destinata a far discutere. Un po’ perché è la prima volta che la piazza di Tokyo interrompe gli scambi 20 minuti prima per frenare le vendite innescate da uno scandalo finanziario. Un po’ perché c’è chi lamenta per l’arbitrarietà di una tale scelta, contraria alle leggi del mercato. Lo scandalo in questione è quello che ha coinvolto la società di provider internet Livedoor, del giovane magnate della new economy Takafumi Horie, è che già ieri è costato al listino nipponico un calo di oltre due punti percentuali.
Le autorità di Borsa hanno giustificato l’inedito provvedimento con motivi “tecnici”, per il timore di un volume di transazioni superiori alle capacità di elaborazione del sistema informatico. “E’ una vergogna che si sia deciso di interrompere la seduta. le leggi del marcato vanno rispettate”, hanno reagito molti piccoli investitori che volevano continuare a liberarsi di titoli Livedoor, da due giorni nell’occhio del ciclone.
La chiusura anticipata non ha certo messo il Nikkei, indice che racchiude i 225 titoli guida, al riparo dalle vendite e la flessione finale è stata del 2,95%, a 15.341,18 punti, 464,77 in meno della chiusura di ieri a quota 15.805,95 punti. Horie, 33 anni, imprenditore rampante e spregiudicato, vicino al primo ministro Junichiro Koizumi, e gli altri dirigenti del suo gruppo, protagonista lo scorso anno di una rapidissima ascesa e di vari tentativi di scalate azionarie ai danni di grosse società del mondo dell’informazione, sono sospettati di aggiotaggio e false comunicazioni societarie.
Le ultime notizie parlano di una falsificazione dei bilanci societari di Livedoor nel 2004, presentati in forte attivo mentre erano finiti in rosso, per far lievitare ulteriormente le quotazioni in Borsa. Lo scandalo rischia di travolgere il gruppo e mettere la parola fine alle ambizioni del giovane magnate. A difenderlo ci ha pensato però il Financial Times, presentandolo come un “combattente senza paura”, alfiere del rinnovamento contro le resistenze dell’establishment finanziario giapponese, troppo chiuso e conservatore.
Horie lo scorso anno era stato tentato dalla politica, sollecitato dal premier Koizumi, che aveva visto in lui il simbolo delle nuove generazioni favorevoli ai propri programmi di riforme strutturali, incentrati sulla privatizzazione del colosso pubblico delle Poste. Si era presentato come candidato indipendente “a favore delle riforme di Koizumi” alle elezioni generali anticipate dell’11 settembre.
Alla decisa vittoria del partito liberaldemocratico (Ldp) del premier non aveva però fatto eco quella del giovane Re Mida di Internet, battuto da un candidato conservatore, avversario del premier, in un collegio uninominale della prefettura di Hiroshima. Koizumi è stato parco di commenti finora sull’apparente caduta in disgrazia di Horie, limitandosi a precisare che “non c’è alcuna relazione tra la vittoria elettorale del partito di governo lo scorso anno e gli attuali problemi di Horie”.

 

 

 

 

  Borse a rischio correzione, troppe incognite

30 Gennaio 2006 13:16 - Roma  (di Francesco Arcucci)
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Sono passati quasi tre anni da quando i mercati azionari occidentali hanno ripreso a rafforzarsi dopo i disastri del periodo marzo 2000 marzo 2003. Il rialzo dei prezzi è stato diffuso e potente e ha scavalcato i livelli che erano stati indicati come il massimo del possibile ritracciamento. Il fenomeno si è diffuso alle borse dei paesi emergenti, sia asiatici, sia latinoamericani (con pochissime eccezioni), sia dell’Europa orientale. Il Giappone, che aveva registrato uno spettacolare ribasso durato quasi 15 anni da 39000 dell’indice Nikkei a 7000, ha registrato un rialzo notevole fino a 16500 punti. Le economie dei paesi industrializzati crescono a buoni ritmi e perfino in Europa la lunga stagnazione sembra alle spalle.
 
L’inflazione, nonostante il rialzo del prezzo del petrolio, non ha sollevato la testa, anche perché continuano ad essere presenti spinte deflazionistiche provenienti dai bassi prezzi praticati sulle merci di origine asiatica. I tassi di interesse a breve negli Stati Uniti sono saliti dall’1% al 4,25%, ma in queste condizioni non potranno salire ancora molto. Quelli, sempre a breve, in Europa non destano preoccupazioni anche dopo il recente rialzo di 0,25% deciso dalla BCE. I tassi a lungo termine sono rimasti assai stabili e non sono suscettibili di aumenti, se non limitati.
In queste condizioni, che il Financial Times ha definito non perfette ma molto vicine alla perfezione, è veramente difficile fare la previsione di un ribasso dei prezzi in borsa nel 2006. Eppure io penso che un ribasso ci sarà, e molto presto, sul mercato azionario di New York, il mercato principe delle borse occidentali. Si consideri, infatti, che il valore delle azioni, come nessuno contesta, non è null’altro che il valore attuale della serie dei profitti futuri.
Questo valore, sia che venga riferito ad un singolo titolo, sia che venga rapportato al mercato nel suo complesso, aumenta quindi se aumentano i profitti. I quali possono crescere solo per effetto di due forze: 1)l’aumento delle vendite; 2)l’aumento dei margini. Con riferimento al volume delle vendite è noto che, per effetto della competizione internazionale, i salari aumentano in Cina, India, eccetera, ma hanno la tendenza a vedere ridotto il loro potere d’acquisto in America o in altri Paesi ricchi. Inoltre, le famiglie americane sono molto indebitate e devono servire, per capitali e interessi, i debiti accumulati in passato.
L’aumento del prezzo degli immobili ha consentito al consumatore di indebitarsi ancora negli ultimi anni contro la garanzia delle case e di continuare a spendere. Ma nuovi rialzi dei prezzi delle abitazioni sono improbabili e si diffondono i sintomi di flessione dei medesimi. I fatturati delle imprese potrebbero crescere ancora se aumentassero le esportazioni più delle importazioni, ma la competizione internazionale è troppo accanita perché ciò avvenga: vi è anzi il pericolo che accada il contrario, come testimoniato dall’andamento sempre peggiore della bilancia dei pagamenti correnti degli Stati Uniti.
Per accrescere i margini ci sono solo due modi: aumentare i prezzi o ridurre i costi. Ma aumentare i prezzi non è possibile a causa della competizione con Paesi come Cina, India e quelli del Sudest asiatico in generale. Si dovrebbe ricorrere al taglio dei costi. Senonché questo può essere fatto con riferimento a singole società, ma se si considerano le imprese nel loro complesso ci si rende conto che i costi dell’una sono i ricavi dell’altra. Ad esempio, se una licenzia una parte del personale, i dipendenti licenziati ridurranno il livello dei consumi e, a poco a poco, o bruscamente, i fatturati si contrarranno. Oltre che in relazione all’aumento dei profitti, che purtroppo non è ipotizzabile per il 2006, i prezzi di borsa potrebbero salire se aumentasse il price/earnings, cioè il rapporto prezzi/utili. Tale rapporto misura il numero di anni necessari all’investitore per recuperare il valore del suo investimento ed è anche un’espressione del grado di ottimismo (quando è elevato) o di pessimismo (quando è basso) esistente sul mercato. Con riferimento sempre alla borsa americana, gli operatori sono molto ottimisti.
In base ad una rassegna effettuata dal Russell Investment Group oltre l’80% dei gestori patrimoniali negli Stati Uniti si aspetta un rialzo dei prezzi delle azioni nel 2006. Secondo un’indagine dell’Investors Intelligence l’ottimismo dei gestori non è mai stato così accentuato come ora, nemmeno nel periodo della grande bolla speculativa 1995/2000. Concludendo, quindi, si può affermare che è estremamente difficile che da qui in avanti aumentino le quantità vendute ed è quasi impossibile che i margini si allarghino. I profitti sono elevati, ma è anche vero che hanno goduto di una situazione molto favorevole: tassi di interesse reali negativi fino a pochi mesi fa, prezzi delle abitazioni che hanno favorito i consumi e almeno 700 miliardi di dollari di stimoli dati negli ultimi anni da una spesa pubblica addizionale che in poco tempo ha portato il budget federale da un surplus consistente ad un deficit molto preoccupante. I profitti delle imprese sono certamente a livelli altissimi, ma non c’è ragione di prevedere che saliranno ancora.
Per quanto riguarda il moltiplicatore prezzi/utili in queste condizioni di rampante ottimismo è quasi impossibile pensare che esso possa crescere ulteriormente rispetto al livello attuale di 18. Per queste ragioni, tenuto conto che il mercato azionario è un discounting process, cioè anticipa il futuro, è estremamente probabile che davanti a noi, nel 2006 e nel 2007, non ci sia un rialzo dei prezzi delle azioni a Wall Street, ma un declino anche sensibile. Alla fine del 2002 e fino a marzo del 2003 vi era molto pessimismo, ora l’ottimismo regna sovrano. Era forse il caso di essere meno pessimisti allora e meno ottimisti ora: le prospettive dei profitti non sono buone e ben presto i prezzi delle azioni ne risentiranno negativamente.
 

Fonte - Affari & Finanza - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

  WALL STREET: SI CHIUDE L'ERA GREENSPAN

31 Gennaio 2006 22:20  - New York
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Gli indici americani hanno archiviato la seduta in territorio negativo, in seguito alla decisione della Federal Reserve di alzare i tassi d’interesse al 4.5%. Il Dow Jones ha ceduto lo 0.32% a 10864, l’S&P500 lo 0.40% a 1280, il Nasdaq e’ arretrato dello 0.04% a 2305.
Il fatto principale della giornata ha riguardato l’incontro del Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Fed, relativo alla decisione sui tassi d’interesse. Come ampiamente atteso dal mercato, il FOMC ha alzato il costo del denaro di un quarto di punto percentuale, portandolo al 4.50%. Si tratta del quattordicesimo incremento consecutivo. Il primo della serie era stato deciso nel meeting del 30 giugno del 2004.
Dal documento che accompagna la decisione e’ emerso che l’attivita’ economica Usa e’ in espansione, ma che tuttavia gli elevati costi energetic,i e i possibili incrementi della capacita’ di utilizzazione delle risorse, potrebbero causare un aumento delle pressioni inflazionistiche. Sono quindi state lasciate aperte le porte ad eventuali futuri rialzi, che dipenderanno largamente dagli aggiornamenti quotidiani dal fronte macro.
Quella di oggi e’ stata l’ultima riunione del FOMC che ha visto Alan Grenspan nella carica di presidente. Per commemorare l’ultimo giorno di Greenspan, e' stato concesso, per la prima volta nella storia, a fotografi ed operatori televisivi di assistere ad una breve porzione del meeting.
Questi i numeri che hanno caratterizzato l’era Greenspan: 40 rialzi dei tassi d’interesse e 46 tagli, 149 riunioni Fomc, 4.8% il tasso d’interesse medio. Dal primo febbraio, il testimone di presidente della Banca Centrale americana passera’ nelle mani di Ben Bernanke che, proprio oggi, ha ottenuto il via libera dal Senato.
Per il resto, sono risultati contrastati i dati economici rilasciati in mattinata. In particolare, nel mese di gennaio la fiducia dei consumatori e’ cresciuta a quota 106.3 punti, milgiore livello dal giugno 2002. Le attese degli analisti erano per un rialzo piu’ contenuto a quota 105. E’ risultato in calo, invece, il dato sul Chicago PMI, sceso a 58.5 punti dai precedenti 61.5, livello inferiore a quello stimato dagli economisti che era di 59.8 punti.
Relativamente alla cronaca societaria, tra le altre societa’ che hanno riportato i risultati trimestrali, bene Merck e il colosso dei cereali Kellogg. Numeri positivi anche per Altria, la holding del tabacco a cui fanno capo le attivita’ di Phillip Morris, ma un deludente outlook sui prossimi trimestri ha fatto scivolare il titolo in ribasso di quasi il 2%.
Cresce l’attesa, intanto, per i numeri trimestrali del colosso Internet Google, che comunichera’ i risultati finanziari dopo la chiusura delle borse. Da segnalare che nella sola giornata odierna, il titolo del distributore di musica online, Napster, e’ cresciuto di oltre il 23% sulle notizie di una possibile collaborazione proprio con il celebre motore di ricerca.
Nel comparto energetico, in calo il petrolio. I contratti futures con scadenza marzo hanno archiviato la seduta in ribasso di 43 centesimi a quota $67.92 al barile. Positiva, pero’, la performance mensile dell’oro nero, pari ad un progresso dell’11.3%.Nel vertice tenutosi a Vienna, l’OPEC ha deciso di lasciare invariate le quote produttive. Il prossimo meeting del cartello petrolifero e’ previsto per l’8 marzo.
Vedi decine di small e medium cap in forte crescita segnalate da WSI nella rubrica Titoli Caldi, una delle 8 sezioni in tempo reale riservate agli abbonati a INSIDER. Se non sei gia' abbonato, clicca sul link INSIDER
Sugli altri mercati, in progresso l’oro. Il contratto futures con scadenza aprile e’ avanzato di $4.90 a quota $575.50 all’oncia. L’euro recupera terreno nei confronti del dollaro. Nel tardo pomeriggio di martedi’ a New York, il cambio e’ a quota 1.2153. In leggero rialzo, infine, i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.52% dal 4.53% di lunedi’.

Fonte - WALL STREET ITALIA.COM

 

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  Martedì  3  gennaio  2006   Venerdì  6  gennaio  2006   Venerdì  27  gennaio  2006  
       
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  Nuova Consob

23 Gennaio 2006 22:19 - Roma  (di Francesco Nati)  
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Sarà Lamberto Cardia il vero dominus del mercato italiano. Non è una profezia, ma l’effetto concreto della nuova legge sul risparmio (262/2005) entrata in vigore lo scorso 12 gennaio, che dà praticamente carta bianca al presidente della Consob su una ventina di regolamenti attuativi della riforma. Insomma, dopo tanto rumore intorno alle dimissioni di Antonio Fazio e all’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Koch, Cardia torna prepotentemente al centro della scena. Con un compito di fronte al quale passano in secondo piano anche le nuove competenze dell’Antitrust e la mission «normalizzatrice» del governatore. La Commissione è infatti chiamata in causa dalla nuova normativa per tradurre i principi contenuti dalla riforma in procedure effettive, che saranno recepite nel Testo unico della finanza (Tuf).

Col risultato che per adempiere all’enorme carico di lavoro necessario a definire quei regolamenti che dovrebbero essere pronti già da ieri, gli uomini di Cardia avrebbero bisogno di almeno tre mesi di tempo. Anche perché l’art. 23 della legge recepisce il modello di regolamentazione Ue in base al quale tali regolamenti possono essere approvate solo dopo la preventiva consultazione dei soggetti interessati. Ogni modifica dovrà essere sottoposta a un lunghissimo rimpallo di pareri prima di essere ratificata. Insomma, la situazione potrebbe diventare ingestibile: sia per la Consob, che rischia di andare in tilt; sia per il mercato, che senza l’interpretazione e la concretizzazione dei principi previsti dalla nuova legge potrebbe andare incontro ad una fase di stallo, chiudendo il «rubinetto» delle emissioni.
Ecco perché, secondo quanto risulta a Borsa&Finanza, l’Authority avrebbe deciso di giocare la carta della proroga. «L’unica alternativa - spiegano fonti vicine all’ufficio tecnico di Via Martini - è un decreto del governo che conceda più tempo». Si ipotizza un rinvio di 60-90 giorni, che consentirebbe di lavorare con la dovuta serenità ai delicatissimi regolamenti attuativi. In tale prospettiva va letta la recente visita di Cardia a Palazzo Chigi. Un faccia a faccia tra il presidente Consob e Gianni Letta, nel corso del quale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio avrebbe promesso di esaminare molto attentamente la proposta. Diciannove i regolamenti che dovranno essere messi a punto dalla commissione di vigilanza. C’è la governance societaria, che sarà praticamente ridisegnata. L’Authority dovrà indicare precise norme per tutelare la rappresentanza delle minoranze nei collegi sindacali (art. 148 tel Tuf).
E già qui sorgono i primi nodi. La nuova legge introduce il voto a scrutinio segreto, su cui vi sono forti dubbi di compatibilità con gli statuti delle società. Secondo gli addetti ai lavori, sarebbe in conflitto con il principio fondamentale di trasparenza. Un altro problema sono i paletti sul divieto di cumulo negli incarichi di sindaco e amministratore (art. 148-bis). «Non sarà facile - spiegano alla Consob - fissare criteri elastici che tengano conto di alcune variabili, tra cui le dimensioni delle società in cui tali incarichi vengono esercitati».
I PRODOTTI FINANZIARI. Particolarmente delicate le procedure che riguardano i prodotti finanziari. Gli esperti di Cardia dovranno definire nel dettaglio il «contenuto tipico» di un prodotto finanziario (art. 94) e le informazioni che gli emittenti dovranno includere nel prospetto informativo (art. 100-bis). In questo caso i problemi sono legati a una norma che non trova precedenti e che richiederà, dunque, un provvedimento ad hoc. La legge sul risparmio impone, infatti, agli intermediari (le banche) di rispondere direttamente alla solvenza qualora vi sia il trasferimento al retail di un prodotto senza prospetto, perché inizialmente destinato a investitori istituzionali (come accaduto con i bond Cirio). Altro nodo riguarda il regolamento per definire i criteri sul «giusto prezzo» delle emissioni (art. 114-bis). La commissione potrebbe fissare un range relativo a un certo arco temporale, ma «l’impresa è di quelle impossibili», spiegano a Via Martini.
OFF SHORE E TRASPARENZA. Altri punti sensibili sono quelli che riguardano le società off shore (art. 165 septies e ter) e gli obblighi di trasparenza in caso di fusioni tra quotate e non quotate (art. 117-bis). Nel primo caso, l’Authority dovrà intervenire per garantire lo stesso livello di trasparenza per le società italiane controllate o controllanti società estere, soprattutto quelle con sede nei cosiddetti paradisi fiscali. Vi sono poi i regolamenti che riscrivono le norme sulle società di revisione, che devono essere a prova di conflitto di interessi (art. 159, 160, 165-bis, 118-bis); gli obblighi sull’autoregolamentazione (art. 124-bis); le garanzie assicurative degli auditor (art. 161); la vigilanza sulla veridicità delle dichiarazioni (art. 124-ter); l’attestazione dei documenti contabili (art. 154-bis); la chiara pubblicità su stock option e i principi di assegnazione (114-bis); la finanza etica (art. 117-ter); l’allargamento anche ai soggetti fisici della supervisione della Consob sui dati contabili (art. 115); la nuova formulazione degli obblighi dell’informazione continua a carico delle quotate, dei loro controllanti, di azionisti rilevanti e perfino dei dirigenti (art. 114).
 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza
 

 

 

 

 

HO TOCCATO I SALOTTI DELLA FINANZA E....

9 Gennaio 2006 05:08 - Milano (di Anrea Greco)
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«Guarda, e te lo garantisco, che io non sono un delinquente come mi dipingono». Non dev´essere una frase facile da dire al tuo migliore amico, uno che ti è vicino da quarant´anni, fin dai banchi del perito elettrotecnico. Difatti aveva il magone, Emilio Gnutti, mentre l´altra sera smozzicava queste parole. E per un duro come lui (duro fuori, almeno: nella sua cerchia è descritto come un burbero di cuore) il magone è tanta roba. Vuol dire che intorno c´è già chi piange. Che l´avventura della Hopa è planata nelle mani delle banche creditrici, dopo l´uscita del patriarca, ormai quasi un pensionato. Prima però Gnutti deve regolare i conti con la giustizia, e col suo cuore malato.

L´ultimo attacco di angina pectoris, prima di Natale, ne ha indebolito nel fisico. E l´esplosione degli scandali finanziari ne ha fiaccato la tempra, quel tenace tratto padano con cui in trent´anni ha eretto un impero in provincia, partito dal poco dei motori elettrici e dei leasing Fineco. «A costruire ci si mette una vita – si sfoga Gnutti tra amici – a distruggere basta un minuto. Senza parlare della schifezza delle intercettazioni sui giornali, che fanno male ai protagonisti e anche alle loro famiglie».
Demoralizzato, sconcertato, ammutolito. Gnutti non ha più voglia di parlare, non tanto ai giornalisti – con loro, neanche nei giorni buoni: per lui contano solo i fatti – ma neppure ai famigliari, o ai collaboratori storici. Lo vedi per strada, ti saluta ma è già svicolato. «Non ammetterà mai davanti a noi che si è sbagliato, riguardo a certe persone o certe strategie – dice uno di loro – è troppo orgoglioso della sua fama di mago della finanza». Fama che dalla natia Brescia s´è ampliata al paese, a far di Gnutti l´effigie di un´imprenditorialità svelta e scaltra, poco attaccato ai totem del passato (il tondino, per stare in zona) e molto abile nel trading, nelle manovre dietro le quinte del mercato. Con queste tele ha intessuto una trama di alleanze e incroci azionari insieme al meglio dei "furbetti": Fiorani, Consorte, Ricucci.
Un´imprudenza, quanto meno. «Fiorani come persona mi ha deluso, di certe sue condotte censurabili non ero al corrente – dice ora il finanziere bresciano, in privato – quindi non posso sentirmene responsabile. Sono questioni che mi son trovato sul gobbo, e comunque non mi sento né architetto né regista di certe operazioni».
La vittoria ha tante madri, la sconfitta meno. Toccherà agli inquirenti stabilire i ruoli nella grande tela Antonveneta-Bnl-Rcs, suddividendo le responsabilità tra ras e gregari. Gnutti e la sua Hopa, di sicuro, hanno rappresentato un raccordo topico nelle guerre finanziarie del 2005: presenti a difesa dell´italianità nel capitale delle due banche sotto scalata, salde da anni in Mps e in Unipol, oltre che nella galassia Telecom. Tante ambizioni, unite a uno stile accentratore nella gestione e nelle decisioni. Tutto questo ora fa mugugnare parecchi di quei bresciani che, mettendo i loro soldi in Hopa, gli erano andati dietro e mai si sognavano questo epilogo.
Ma Gnutti nega che la sua "base" gli si sia rivoltata: «Continuo a ricevere lettere di soci Hopa che mi chiedono di restare al mio posto», diceva fino a qualche giorno fa. «Mollare non è stato facile – ha confidato ai collaboratori, lasciando la presidenza della holding – avrei voluto prima sistemare le società che amministravo, per non lasciare in mani diverse dalle mie i soci di tanti anni». Non ha potuto farlo, e gli resta il rimpianto: troppo duri da sciogliere i nodi delle partecipazioni Hopa (non tutte azzeccate, col senno del poi), per scioglierli con sulla schiena il carico pesante delle ipotesi di reato, ultima venuta l´associazione a delinquere nella scalata padovana.
Eppure, lui continua a ritenere che le tante accuse spiovute in poco tempo abbiano una matrice non solo giudiziaria. «Sono andato a toccare certi salotti dove non dovevo entrare, la cosa ha dato fastidio. Ho rotto alcuni equilibri, già dai tempi dell´Opa Telecom. C´era un sacco di gente che mi aspettava al varco». Forse qualche «signore dello 0,6%» (ma qui il copyright è di D´Alema), che con poche azioni voleva comandare l´ex monopolio telefonico. La colpa fatale, però, quella che ha cambiato il corso agli eventi, è stata commessa a Padova. «La corsa all´Antonveneta era meglio se non la facevo. Ma l´ho fatto credendo di fare il bene di Hopa». Sui metodi messi in campo, Gnutti non di dilunga. Di concerti, aggiotaggi, insider trading non parla neanche allo specchio: meglio fare quadrato con gli avvocati e difendersi.
Forse verrà un tempo per meditare su questo. Anche perché Brescia, l´amata, ha sospeso il giudizio. Divisa tra salotti buoni che il fenomeno Gnutti non l´hanno mai accettato e i più "sportivi", per cui lui, le auto, gli orologi, erano un modello. Come i compagni di classe della Quinta G, che in un memento dei bei tempi il Chicco aveva trasformato in Quinta G spa, arricchendoli.

Fonte - La Repubblica

 

I FURBETTI VOLEVANO TELECOM E FIAT

25 Gennaio 2006 09:15  - Milano (Giovanni Pons)
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«L´estate scorsa abbiamo scoperto che c´era un grande disegno che poteva portare metà del Paese nelle mani di personaggi che attraverso traffici illeciti cercavano di avere il controllo di banche e di imprese». L´ira di Marco Tronchetti Provera, presidente di Telecom Italia, contro i "furbetti del quartierino" che con le manovre estive hanno tentato di appropriarsi di Antonveneta, Bnl, Rcs ma anche pezzi di industria come Telecom e Fiat, è totale. «Per quanto mi riguarda - ha precisato Tronchetti - questi signori sono fuori (da Telecom, ndr.) e non ci metteranno più piede».

Il riferimento neanche tanto velato è a Emilio Gnutti e Giovanni Consorte che recentemente hanno dovuto rassegnare le dimissioni da Olimpia e Telecom. Ma non è finita qui. Il numero uno del gruppo telefonico ha dato mandato al professor Guido Rossi di valutare se "il concerto" intorno ai titoli Olivetti nella fase precedente la vendita dell´estate 2001, possa configurare reati perseguibili penalmente. «Se, come leggo dai giornali, si manipolarono i mercati per tenere il titolo alto - ha detto Tronchetti Provera - i nostri avvocati hanno già in mano tutta la documentazione per procedere legalmente. Se truffa è, che venga in superficie».
Nei giorni scorsi sia Repubblica che Il Sole 24 Ore avevano ventilato l´ipotesi che gli acquisti di titoli Olivetti effettuati da Unipol nei primi sei mesi del 2001 e poi, in parte, venduti alla Pirelli, nascondesse in realtà un´azione di sostegno sulle quotazioni che avrebbe poi influenzato il prezzo pagato dalla società milanese, cioè 4,175 euro. E, a quanto si è potuto apprendere, a un primo esame dal punto di vista giuridico-legale, non si può escludere che possano essere stati commessi reati come la manipolazione del mercato, l´insider trading e l´aggiotaggio.
Il grande disegno estivo è stato in parte già stroncato dalla magistratura che è intervenuta dove la Banca d´Italia e la Consob hanno tentennato. Per questo il riconoscimento degli imprenditori all´operato dei pm è un precedente che mai si era manifestato con tanto vigore. «Va dato grande supporto alla magistratura che deve andare fino in fondo e fare chiarezza perchè la gente deve sapere - ha aggiunto Tronchetti -. Non deve succedere che dei delinquenti tornino in circolo». Inoltre, anche la Pirelli pare sia decisa a fare la sua parte.
Nella trattativa in corso tra Olimpia e Hopa per rinnovare o disdettare il patto di sindacato la Pirelli è seriamente intenzionata a portare avanti questa seconda soluzione. Un consiglio di amministrazione risulta essere già stato convocato per l´8-9 febbraio, giorno in cui occorre comunicare la disdetta del patto da parte dei soci. Tronchetti Provera porterà agli altri membri del cda la sua posizione che è quella di rilevare il 2,8% di azioni Telecom di competenza di Hopa in contanti più un premio già concordato di 208 milioni di euro.
Le possibilità di arrivare a una mediazione prima di quella data sono al momento assai esigue. A fine settimana torneranno a incontrarsi gli advisor delle due parti, Roberto Poli e Bruno Ermolli, ma i tentativi delle banche azioniste di Hopa di prolungare la permanenza in Olimpia sono ridotte al lumicino. Sembra quasi che il Monte dei Paschi, l´Antonveneta e Interbanca siano molto preoccupate di una eventuale forte minusvalenza nei conti della finanziaria che potrebbe sollevare coperchi finora rimasti chiusi.

Fonte - La Repubblica
 

 

 

 

 

 

 

  Sabato  7  gennaio  2006   Sabato  21  gennaio  2006   Sabato  28  gennaio  2006  
       
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  Rischio derivati in borsa

31 Gennaio 2006 13:45 - Milano  (di Morya Longo)  
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Non hanno "ingolfato" solo i bilanci di molte piccole aziende italiane. I derivati sono iper-utilizzati anche (e soprattutto) dai grandi gruppi industriali quotati a Piazza Affari: le 22 maggiori società del listino milanese hanno infatti in bilancio vari strumenti derivati (su cambi, tassi e quant'altro) per un valore nominale complessivo di 85 miliardi di euro. Questa cifra emerge per la prima volta in Italia grazie a uno studio realizzato da Financial Innovations in collaborazione con l'Aiaf. E, sebbene sia una cifra limitata a sole 22 blue chip quotate in Borsa, non può lasciare indifferenti: 85 miliardi di valore nominale sono molti per sole 22 aziende che insieme capitalizzano in Borsa 242 miliardi e che vantano un attivo totale di 334 miliardi. E, soprattutto, sono molti se si considera che i derivati in mano a 15 di queste 22 società mostrano un fair value negativo. Tradotto: 15 gruppi sui 22 analizzati registrano una perdita potenziale su questi strumenti.

La ricerca. I derivati hanno un'importante funzione: quella di "coprire" i bilanci delle aziende dai rischi valutari, di tassi e così via. Se un'impresa è molto esposta negli Stati Uniti, per esempio, utilizza i derivati per "annullare" il rischio che il dollaro perda quota contro l'euro. Che le aziende italiane utilizzassero questi strumenti era noto e ovvio. Non bisogna dunque demonizzarlo.
Quello che fino a oggi non si sapeva, però, è quanto le grandi imprese quotate in Borsa fossero esposte sui derivati. Solo ora, con l'introduzione dei principi contabili Ias, queste informazioni sono disponibili nei bilanci. È così che Financial Innovations, in collaborazione con l'Aiaf, ha iniziato ad analizzare le principali società di Piazza Affari prendendo come punto di partenza le semestrali o le ultime trimestrali. Così ha realizzato una ricerca che sarà presentata domani a Milano ma che «Il Sole-24 Ore» è in grado di anticipare. In realtà una panoramica completa sarà possibile solo quando saranno pronti i bilanci 2005, ma già ora è stata possibile una prima analisi approssimativa. Ma molto significativa.
Derivati a tutto gas. Il primo dato che emerge evidente è quello numerico: le grandi società italiane utilizzano i derivati in gran quantità per coprirsi dai rischi. Derivati di tutti i tipi: su tassi, cambi, materie prime, merci e così via. Per tre società su 22, il valore di questi strumenti rappresenta addirittura più del 50% del totale dell'attivo patrimoniale. Questo rappresenta un rischio? «Il derivato, in sé, non è né un bene né un male, ma un'opportunità - spiega Gianpaolo Trasi, presidente Aiaf -. Il rischio di un uso non appropriato, però, c'è sempre». Le 22 blue chip affermano tutte di utilizzare questi strumenti per coprirsi dai rischi e non per speculare. Solo tre società (Luxottica, Telecom Italia Media e Sias) non ne hanno in bilancio: Luxottica ha dichiarato al «Sole-24 Ore» di usare altri modi per coprirsi dai rischi. Se l'utilizzo dichiarato è sano, non si può dire che questi strumenti stiano per ora dando soddisfazioni alle aziende. Ben 15 gruppi hanno infatti una perdita potenziale (cioè un fair value negativo). In tre casi (Autostrade, Beni Stabili e Seat) il fair value è negativo per un ammontare addirittura superiore all'utile netto, come si vede in tabella. Stanno invece realizzando potenziali guadagni soprattutto Aem, Edison ed Enel.
Questi dati pongono un quesito: in futuro potrebbero esserci problemi per alcune di queste società? «In teoria no - spiega Emanuele Facile, amministratore delegato di Financial Innovations -. Se il derivato viene utilizzato per coprire un rischio, la perdita accusata su questo strumento viene bilanciata da un utile realizzato sull'oggetto coperto». Il punto, insomma, è sempre lo stesso: questi strumenti devono essere maneggiati correttamente. E, quando sono in mano a grandi gruppi con elevata esperienza finanziaria, è facile immaginare che sia così.
L'indagine parlamentare. Il problema è quando i derivati vengono venduti dalle banche alle piccole aziende, non in grado di capirli. Per questo un paio di anni fa, sull'onda di questo "allarme" Pmi, la Commissione Finanze della Camera avviò un'indagine conoscitiva sul fenomeno-derivati voluta dall'allora presidente Giorgio La Malfa. Da allora la Commissione (che nel frattempo ha cambiato presidente) ha raccolto molto materiale. Ma, alla fine, l'indagine si è arenata. Da quando La Malfa ha lasciato la presidenza della Commissione - spiegano fonti parlamentari - l'interesse sulla questione è calato: alla fine non è stato neppure redatto un documento conclusivo dell'indagine. Ora la legislatura volge al termine. E, sperando che non ci siano in futuro altri "allarmi", sul tema cala il sipario.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore