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Giovedì
03 gennaio
2008 |
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Sabato
05 gennaio
2008 |
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IL PETROLIO AL MASSIMO
STORICO TOCCA QUOTA $100
02 Gennaio 2008 18:34
NEW YORK - di
Corriere della Sera ______________________________________________
Il record di tutti i
tempi è arrivato: il petrolio a New York è arrivato a toccare
i 100 dollari al barile. E' una soglia che tecnicamente era
ormai da tempo vicina, ma l'effetto psicologico del limite
varcato sarà comunque molto pesante. I prezzi del petrolio
(vedi quotazioni in tempo reale del greggio) avevano aperto la
prima seduta del 2008 subito all’insegna dei forti guadagni,
sulla scia dei dati macroeconomici negativi pubblicati
mercoledì negli Stati Uniti. LA CORSA DEL GREGGIO - Sul
mercato newyorchese, il Nymex, il rialzo è stato superiore di
3 dollari rispetto all’ultima rilevazione di lunedì 31
dicembre. Il record precedente era quello di 99,29 dollari,
raggiunto il 26 novembre scorso. Forte rialzo anche per il
Brent, il greggio del Mare del Nord quotato a Londra, che ha
superato i 97 dollari al barile. Nel corso del 2007, i prezzi
del greggio hanno messo a segno un balzo del 57% portandosi
sui livelli record. E pensare che tre anni fa, a fine 2004, il
barile quotava esattamente la metà: 50 dollari al barile (che
all'epoca sembrava comunque un'enormità). Ora il rischio di
nuovi rincari per i carburanti e di altre stangate sulle
bollette di luce e gas, dopo quelle appena scattate, è dietro
l'angolo. LE CAUSE - Ad alimentare gli acquisti sulle
quotazioni del greggio sono stati anche i rinnovati episodi di
violenza in Nigeria e i timori che l’Opec potrebbe non essere
in grado di soddisfare la sua quota di domanda globale di
greggio entro il 2024. Altro fattore che incide sull'ennesima
fiammata dei prezzi è rappresentato dalla chiusura di alcuni
porti del Messico da cui il petrolio viene esportato, a causa
delle cattive condizioni del tempo. LE RISERVE NON SI
TOCCANO - Il presidente Usa Usa, George W. Bush non intende
toccare le riserve strategiche statunitensi di petrolio,
malgrado la forte ascesa delle quotazioni. La Casa Bianca ha
confermato mercoledì pomeriggio il proprio orientamento: «Il
presidente Bush - sostiene il portavoce della Casa Bianca,
Dana Perino - non utilizzerà le riserve strategiche, perché la
manovra non influenzerebbe di molto i prezzi». BORSE IN
CADUTA - Lo storico record del petrolio ha avuto subito un
pesante effetto sulle Borse americane, già negative dalla
prime ore della mattinata di New York: il Nasdaq ha chiuso la
giornata con un calo superiore all'1,6%. Dello stesso tenore
la flessione del Dow Jones (-1,61%) e appena meno netta quella
dell'S&P500, che ha terminato la seduta in ribasso
dell'1,47%. ORO MAI COSI' CARO - Altri primati hanno
interessato il prezzo dell'oro, bene rifugio per eccellenza,
salito a livello record sopra gli 858 dollari (circa 584 euro)
l'oncia (una misura che corrisponde a 28,35 grammi), sulla
scia del dollaro debole e della crisi in Pakistan. A Londra il
prezzo dell'oro avanza a 858,80 dollari, sopra gli 850 dollari
toccati il 21 gennaio 1980. Nuovo massimo anche per il
platino, a 1.544 dollari l'oncia. Sono in forte rialzo argento
e palladio, che viaggiano sui massimi degli ultimi 2 mesi.
Fonte
- Corriere della Sera
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Dove vanno le materie prime
Thursday, 3 January,
2008 by phastidio, di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Nella giornata di ieri
l’oro ha ulteriormente esteso i propri incrementi di prezzo,
il greggio è stato scambiato al nuovo massimo storico di tutti
i tempi, mentre il grano ha registrato il maggior incremento
su due giorni negli ultimi quattro mesi, dopo che l’ulteriore
indebolimento del dollaro ha aumentato l’attrattività delle
materie prime come strumento di protezione
dall’inflazione. Il petrolio ha toccato ieri brevemente
i 100 dollari al barile anche in conseguenza dei
disordini in Nigeria e della ormai acquisita certezza (almeno
di quella espressa dalle probabilità implicite nei prezzi di
futures e opzioni sui Fed Funds) che la Fed già questo mese
ridurrà i tassi ufficiali. In conseguenza, le pressioni
inflazionistiche sono destinate ad aumentare, a causa della
continua ascesa dei prezzi di alimentari ed energia. Tutti
i principali indici mondiali di commodities sono in crescita.
In particolare, l’UBS Bloomberg Constant Maturity Commodity
Index è cresciuto nel 2007 di oltre il 22 per cento, sesto
anno consecutivo di incremento. Nel frattempo, l’incertezza
geopolitica (inclusa la violenza in Medio Oriente, Pakistan e
Nigeria) spinge la domanda di oro come bene-rifugio. L’oro per
consegna immediata (spot) è cresciuto ieri di oltre 5 dollari
l’oncia, a 863,11 dollari. Il metallo giallo è aumentato del
31 per cento nel 2007, settimo anno consecutivo di
aumenti. I prezzi petroliferi sono aumentati negli ultimi
giorni sui timori che le violenze in Nigeria possano estendere
i tagli di produzione del principale produttore petrolifero
africano. Il primo giorno dell’anno i militanti nigeriani
hanno ucciso 12 persone nella città petrolifera meridionale di
Port Harcourt, ed i disordini susseguenti hanno ridotto di
circa un quarto la produzione petrolifera giornaliera. I
mercati sono inoltre stati condizionati anche dai ridotti
volumi di attività, tipici dei periodi festivi. Anche il
deprezzamento del dollaro (11 per cento contro euro nel 2007)
ha contribuito a spingere i prezzi del greggio, rendendo più
convenienti le materie prime per i compratori fuori dagli
Stati Uniti ed attratto gli investitori alla ricerca di
protezione contro l’inflazione. Il calo del dollaro ed il
balzo del prezzo del greggio di ieri sono giunti in
contemporanea con il maggior ripiegamento della manifattura
statunitense in cinque anni, così come espresso dall’indice
ISM, contribuendo a spingere l’indice Dow Jones al peggior
primo giorno di contrattazioni dell’anno dal 1983. Tra le
altre materie prime, i prezzi dei futures sull’olio di palma
sono cresciuti ieri al nuovo record, estendendo il guadagno
del 54 per cento nel 2007, sulla spinta della forte domanda di
oli vegetali per uso alimentare ed energia. Il consumo è in
forte crescita in Cina e India, i due maggiori compratori di
questa materia prima, ed i cui governi stanno promuovendo un
sempre maggiore utilizzo degli oli alimentari come
combustibili alternativi. Il grano ha toccato per il
secondo giorno consecutivo il limite giornaliero di variazione
di prezzo imposto dalle borse-merci. Il calo dei raccolti in
Australia e Ucraina ha spinto gli importatori ad aumentare gli
acquisti per mantenere livelli di sicurezza negli
stock.
Fonte
- Macromonitor
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Morto un ciclo? Semplice: se ne fa un
altro
Venerdì 4 Gennaio 2008,
17:37 - di Edoardo
Macallè ________________________________________
Facendo un po' di pulizia nel
computer, ci siamo imbattuti in un nostro articolo del 2 giugno
2002. Ve lo riproponiamo oggi perché il suo tema di fondo è, giusto
in questi giorni, sulla bocca dei più. All'epoca,
tuttavia, erano ben pochi coloro che l'avevano posto al centro delle
proprie attenzioni e tra quei pochi, fortunatamente, v'era anche il
buon Francesco Caruso al quale, proprio noi, dobbiamo moltissimo (fu
lui, infatti, ad insegnarci tutto quel che noi si sa su Ian Notley e
la sua analisi ciclica). Prendendo spunto da un suo articolo,
avevamo avanzato, allora, alcune considerazioni personali che, nel
corso del tempo, avrebbero poi trovato più conferme che smentite. Se
lo riproponiamo oggi, tuttavia, non è per farvi vedere “quanto
eravamo stati bravi”, ma perché si sta chiudendo (se non s'è gia
chiuso…) il ciclo che ci aveva portato a fare proprio quel genere di
considerazioni. Come leggerete, infatti, nelle conclusioni aggiunte
oggi, il futuro che ci attende è con buona probabilità
diametralmente opposto a quel che ci attendeva allora. L'articolo di Caruso era
intitolato “Il concetto di Moneta: l'Oro, il Dollaro e la Fed” e
sarà bene fornirvi alcuni riferimenti storici perché non abbiate a
perderne la portata complessiva: all'epoca, l'oro valeva poco più di
300$ contro gli 850$ odierni, mentre l'euro valeva poco più di 0,90$
contro gli attuali 1.50$. Detto altrimenti: in questi anni l'oro s'è
rivalutato quasi del 200%, mentre il dollaro s'è svalutato del 35%
circa. *** “Cosa c'è di concreto
dietro il rialzo dell'oro? Molti elementi, ma uno forse sfugge
all'investitore normale e ha a che fare con il concetto di valuta e
con la storia. Vediamo di capire. Vi sono tre tipi di valuta: 1)
La VALUTA REALE, che è una moneta di reale valore intrinseco, come
le monete d'oro o d'argento che si usavano decenni fa e che ora,
ogni tanto, i nonni regalano ai nipoti. 2) La VALUTA FIDUCIARIA,
che è un titolo cartaceo nel quale l'emittente promette di
riprendersi su richiesta del possessore il titolo stesso e di
convertirlo in una determinata quantità di qualcosa di valore
intrinseco, come l'oro o l'argento. 3) Poi c'è la VALUTA
ASTRATTA, che è composta da qualcosa con scarsissimo valore
intrinseco (un esempio è il dollaro di oggi, che è fatto di cotone e
lino) e che non è convertibile in nulla da quando è stata abolita la
parità aurea. Cos'è un vero “dollaro”? Come
storicamente definito dal "Coinage Act" del 1792, “un dollaro è una
moneta che contiene 371 ¼ grani d'argento fine”. Credeteci o no,
questa è la vera definizione di "dollaro". Quello che ora chiamiamo
dollaro, infatti, non è un vero dollaro, ma un'obbligazione emessa
dalla Federal Reserve. Non che per le altre valute il discorso sia
però diverso. Un altro po' di storia: 1913 - Il Congresso USA crea il
Sistema della Federal Reserve. La FED permette l'emissione di
Federal Reserve Notes (FRN), cioè in pratica i dollari di adesso, i
quali sono convertibili in moneta legale e dichiara che le FRN sono
obbligazioni degli Stati Uniti ma non moneta legale. In pratica, le
banche della Federal Reserve e il Tesoro USA convertiranno le FRN in
monete d'oro su richiesta. Così il dollaro è una VALUTA
REALE. 1933 - Il
Congresso USA rifiuta la conversione delle FRN in oro per i
cittadini americani e dichiara che le FRN sono a tutti gli effetti
moneta legale. Tuttavia, gli USA continueranno a convertire
le FRN in oro per i cittadini non americani. I cittadini americani
potranno convertire le FRN in altri tipi di moneta legale come i
Treasury Notes e i certificati in argento, che a loro volta sono
convertibili in monete d'argento. Così il dollaro diviene VALUTA
FIDUCIARIA, convertibile direttamente in oro a livello
internazionale e - per i cittadini USA - indirettamente in
argento. 1968 - Il Congresso USA rifiuta la conversione di tutte
le forme di moneta legale (i dollari) in argento, facendo così
diventare per la prima volta le FRN una VALUTA ASTRATTA almeno a
livello interno. 1971 -
Il presidente Nixon "chiude la porta dell'oro" e rifiuta la
conversione delle FRN in oro anche per gli stranieri, trasformando
definitivamente il dollaro in una VALUTA ASTRATTA per la
prima volta a livello internazionale. Dietro ad ogni biglietto o
moneta di quello che viene chiamato dollaro (euro ecc.), oggi come
oggi, c'è un commento implicito: IO NON TI DEVO
NIENTE. Oggi il mondo è invaso da valute astratte (che
non hanno valore intrinseco, se non quello che viene loro assegnato
a livello di convenzione finalizzata allo scambio) che sono
completamente controllate da una serie di consorzi bancari privati o
statali che chiamiamo Banche Centrali. Tornando all'esempio del dollaro,
la FED si è in effetti posta storicamente nel ruolo di motore
dell'inflazione, creando sempre più valuta anno dopo anno e
lasciando che il dollaro si deteriorasse in termini di potere
d'acquisto. Dal 1940 ad oggi il dollaro ha perso circa il 95%
del suo potere di acquisto. Questa sciarada viene mantenuta viva
dalla FED stessa, la quale da un lato crea inflazione attraverso
l'espansione dell'offerta di moneta e dall'altro agisce come se
fosse lei la grande barriera contro l'inflazione. Ma tutto ha un
termine. Man mano che la fiducia in quello che è ora chiamato
dollaro viene meno, gli investitori più lungimiranti si spostano su
beni reali come l'oro e l'argento (le case, l'arte). E questo è il
punto in cui siamo ora, nel 2002. (Francesco Caruso, 21 maggio
2002) (Quel che segue, invece, è quanto da noi aggiunto
all'epoca, N.d.R.) E' con un'evidente punta di cinismo che Caruso
chiude il proprio pezzo rilevando come, ormai, si sia giunti ad un
vero e proprio punto di svolta (“tutto ha un termine”). Se tornate al contenuto
dell'articolo, potrete notar da voi un particolare importante: come
la Federal Reserve abbia fatto ricorso alla trasformazione del
dollaro, da valuta reale a valuta fiduciaria, nel 1933, cioè circa
quattro anni dopo il crash di Wall Street (1929). Ed
incredibilmente, per tempismo, questo accadeva proprio mentre la
borsa batteva minimi storici. E', insomma, uno scricchiolio
molto sinistro quel che rimanda gli attuali tempi (giugno 2002:
borse sui minimi, N.d.R.) alla più grande recessione vissuta dagli
Stati Uniti nella sua breve storia. Con un'aggravante, però, e non
da poco: oggi, nell'era della globalizzazione, è soprattutto la
fiducia dell'intera comunità finanziaria (e non solo di alcuni tra i
suoi membri, come accadeva nel 1933) che potrebbe venir meno nei
confronti del dollaro. Caruso, qui, è fin troppo
esplicito: “Dietro ad ogni biglietto o moneta di quello che viene
chiamato dollaro, oggi come oggi, c'è un commento implicito: IO NON
TI DEVO NIENTE.” Ovviamente, tutto questo non può (e soprattutto
non deve!) esser portato alle sue estreme conseguenze perché
rischierebbe di privare di tenuta logica l'intero ragionamento. Al
contempo, però, non può (e non deve) impedirci d'affermare che la
conclusione più facile da trarsi, sulla base di quanto sostenuto da
Caruso, sia proprio (ma vorremmo dire “purtroppo”) quella di una più
che probabile erosione di valore da parte del biglietto verde nei
prossimi mesi: la svalutazione pilotata (sperando che tale
veramente possa essere…) del dollaro si dimostrerà, probabilmente,
la miglior arma in mano ai governanti americani per far pagare la
propria crisi economica all'intero pianeta! Non c'è infatti, al
mondo, transazione economica internazionale che non sia regolata in
dollari. E tutti, fino ad oggi, si sono mostrati ben felici di
ricevere dollari in cambio dei propri prodotti. Fino ad oggi,
appunto… perché domani, qualora il dollaro dovesse mostrarsi capace
di perdere, con continuità, valore nei confronti delle altre due
valute di pregio (yen ed euro), difficilmente si potrebbero trovare
persone veramente contente di ricevere, al saldo, qualcosa che valga
meno di quanto pattuito al momento del contratto. Ma c'è anche
qualcosa in più. Negli ultimi due anni (2000-2002, N.d.R.) il
dollaro, a dispetto delle sue fluttuazioni, comunque ampie, s'è
mostrato sostanzialmente stabile e proprio questa sua stabilità, in
un periodo invece particolarmente critico dei mercati finanziari, ha
rappresentato, di fatto, un'importante diga al crollo dell'intero
sistema (che, si faccia ben attenzione, manifestava serie difficoltà
fin dal '97). Oggi,
tuttavia, qualcuno deve essersi accorto che, per curare veramente il
malato (qui inteso come “il sistema economico americano” più che
“mondiale”), prima che questo rischi di diventar terminale, servono
nuove terapie e queste non potranno certo rivelarsi dolci come
quelle fin qui adottate (riduzione della pressione fiscale e
sostanziale azzeramento dei tassi d'interesse). Terapie che si
riveleranno amare, soprattutto, per il sistema economico mondiale:
la svalutazione pilotata del dollaro rappresenterà, probabilmente,
la prima tra queste. Sperando, poi, che il pilota conosca bene anche
la rotta… Non è certo infrequente trovare, nella storia
economica dei diversi paesi, fasi in cui s'è fatto ricorso alla
prassi (piuttosto semplice) della svalutazione della propria valuta
per far fronte alla crisi del tessuto economico interno. L'Italia,
ad esempio, più volte, nel secolo scorso, ha fatto ricorso a tale
strumento e la sua totale impossibilità, oggi che siamo a pieno
titolo nell'euro, di farne ulteriore uso, probabilmente la espone,
più di quanto possa accadere ad altri paesi, ai venti di crisi che
s'aggirano sempre più minacciosi per l'Europa. Ma quel che non può
più fare l'Italia, può benissimo essere fatto ancora dagli USA. Con
buona pace per tutti coloro che speravano d'agganciarsi al traino
della ripresa americana: se mai, un giorno, ripresa dovesse esserci
negli Stati Uniti, appare sempre più probabile che, di questa, se ne
potranno giovare solo gli stessi americani. E forse c'è anche di
più: è molto probabile che gli stessi americani non stiano affatto
cercando di dar vita ad una ripresa robusta (come tutti, invece
sperano) giacché questa porterebbe con sé, inevitabilmente, un
immediato rialzo dei tassi d'interesse ed un conseguente
rafforzamento del dollaro. E' molto probabile, insomma, che gli
americani stiano cercando, ormai, una ripresa che, più che robusta,
si possa rivelare sostenibile nel lungo periodo!” Era, come detto, il 2 giugno del
2002 che noi si scriveva queste cose. Oggi, però, non potremmo più
dirle. La svalutazione “pilotata” del dollaro, infatti, è
probabilmente giunta al suo capolinea ed un dollaro ancor più debole
porterebbe ben pochi benefici a fronte, invece, di un rischio
inflazione incredibilmente enorme. La ripresa USA c'è stata,
ma come s'immaginava non così robusta come molti speravano. Oggi,
però, la stessa rischia d'indebolirsi e per motivi più finanziari
che economici. Guardando quant'accaduto al mercato delle materie
prime, infatti, fa quasi stupore che l'inflazione non sia ancor
esplosa negli Stati Uniti: tale rischio, tuttavia, è oggi molto più
forte che in passato e non è che, drenando massa monetaria, la gente
possa mangiar meno (perché potrebbero esser proprio le derrate
alimentari a far lievitare l'inflazione!): insomma, o il pilota
automatico sceglie di riportare in cielo il dollaro o quest'ultimo è
destinato a schiantarsi al suolo, trascinando con sé, nello
schianto, anche i sogni degli americani. E non solo i loro,
probabilmente.
 |
Fonte -
Edoardo E. Macallè |
Responsabile Scelte
d'Investimento in NIKKAIA Strategie Direttore Area Investimenti –
ASSOCONSULENZA http://www.nikkaiastrategie.com
http://www.assoconsulenza.eu
Stati Uniti - Gelata di dicembre per il mercato del lavoro
Friday, 4 January, 2008
by phastidio, di
John Christian Falkenberg - Macromonitor ______________________________________________
Il passo delle
assunzioni negli Stati Uniti è rallentato oltre le attese in
dicembre, ed il tasso di disoccupazione si è portato al
massimo degli ultimi due anni, aumentando la probabilità di un
taglio dei tassi da parte della Fed, il prossimo 30 gennaio,
più consistente di quanto attualmente scontato dai
mercati. I payrolls sono aumentati di 18.000 unità, dopo
un incremento di 115.000 in novembre che è risultato superiore
a quanto inizialmente riportato, ed a fronte di stime di
consenso poste a 70.000 nuovi impieghi. Il tasso di
disoccupazione è cresciuto al 5 per cento, massimo da novembre
2005, da 4,7 per cento in novembre. Sembrano quindi prendere
corpo i timori della Fed, emersi dalle minute dello scorso
meeting Fomc, che parlano di rischio che una “marcata
decelerazione nella spesa” possa danneggiare l’economia. Un
calo nella velocità di creazione di nuova occupazione ed un
aumento di disoccupazione puntano effettivamente nella
direzione di un effetto depressivo sulla spesa dei
consumatori, accrescendo il rischio di recessione. Il dato
di dicembre porta il totale annuo di creazione netta di
occupazione a 1,33 milioni di posti, minimo da 4 anni.
Disaggregando il dato, le industrie di servizi (che includono
banche, assicurazioni e ristorazione) hanno creato nel mese
93.000 nuovi impieghi, da 160.000 in dicembre. Male il settore
delle vendite al dettaglio, che ha distrutto 24.000 impieghi
dopo averne creati 32.000 in novembre. In calo superiore alle
attese la creazione d’impieghi in manifattura (meno 31.000),
mentre i costruttori hanno perso 49.000 impieghi, dopo i
32.000 soppressi in novembre. Il dato più significativo
viene dalla creazione di occupazione nel settore pubblico:
31.000 nuovi impieghi. Il che significa che il settore privato
ha distrutto 13.000 impieghi netti. La manifattura
continua la propria frenata, come dimostra il dato
delll’indice ISM manifatturiero di novembre, pubblicato questa
settimana, sceso al livello di 47,7 (valori inferiori a 50
indicano contrazione). Le stime di consenso indicano che nel
quarto trimestre 2007 l’economia statunitense dovrebbe essere
cresciuta al passo annualizzato dell’1 per cento, da più 4,9
per cento del terzo trimestre, miglior risultato dal 2003. La
previsione di crescita per l’intero 2008 è oggi posta al 2,3
per cento.
Fonte
- Macromonitor
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Scusate,
parliamo ancora di recessione
11 Gennaio 2008 14:13
LUGANO - di *Alfonso Tuor ________________________________________
*Alfonso Tuor
e' il direttore del Corriere del Ticino, il piu' importante
quotidiano svizzero in lingua italiana.
La Banca centrale europea (Bce) ha
deciso ieri di lasciare invariati i tassi di interesse, nonostante
anche in Eurolandia comincino a moltiplicarsi i segnali di
rallentamento della crescita economica. La scelta della Bce era data
per scontata, non altrettanto lo era l’analoga scelta della Banca
d’Inghilterra di non diminuire i tassi, che restano dunque fermi al
5,5%. Molti ritenevano che le autorità monetarie inglesi,
seguendo anche le esortazioni del governo, avrebbero cominciato a
ridurre il costo del denaro, nonostante il forte deprezzamento della
sterlina, a causa del chiaro e forte rallentamento dell’economia
britannica. Se le autorità monetarie europee preferiscono per il
momento non ritoccare il livello del costo del denaro, non
altrettanto farà la Federal Reserve. Si prevede che la banca
centrale americana, che ha già ridotto i tassi dal 5,25% all’attuale
4,25%, li taglierà ancora di mezzo punto nella riunione di fine
mese. Ma la manovra non si fermerà a quel punto. Ad esempio, gli economisti della
banca di investimento Goldman Sachs ritengono che i tassi americani
verrano portati al 2,5%, poiché sostengono che l’economia
statunitense cadrà in recessione nei prossimi mesi, se già non lo è.
Previsioni analoghe sono state formulate dagli economisti di Merrill
Lynch. Insomma, la parola recessione è ritornata al centro
del dibattito economico. Ci si può dunque domandare se sarà
veramente recessione e di che tipo. In secondo luogo, se l’Europa
riuscirà a cavarsela solo con un rallentamento della crescita.
Gli ultimi dati sul mercato del lavoro e gli indici precursori
riguardanti il settore manufatturiero indicano chiaramente che la
crescita americana sta già subendo un forte rallentamento, che
potrebbe sfociare in una recessione. Se a questi dati si aggiunge la
grave crisi del mercato immobiliare, le incertezze sulle prospettive
dell’economia americana diminuiscono sensibilmente. Ed è quanto
puntualmente registra il mercato dei capitali, dove i rendimenti dei
titoli a due anni sono scesi al 2,63%, dando sostanza alle
previsioni di Goldman Sachs di ulteriori e forti ribassi dei tassi
americani. Se su questo
punto le previsioni cominciano a convergere, invece divergono ancora
sull’entità e soprattutto sulla durata della crisi. Secondo le tesi
ora predominanti, la contrazione si prolungherà per due o al massimo
tre trimestri e poi l’economia americana si riprenderà grazie
all’effetto congiunto del forte ribasso del costo del denaro e del
forte aumento delle esportazioni favorito, da un canto, dal
deprezzamento del dollaro e, dall’altro, dalla capacità
dell’economia europea e soprattutto di quelle dei paesi emergenti di
continuare a crescere nonostante le difficoltà statunitensi.
Questo scenario rischia
di rivelarsi errato per svariati motivi. Inanzitutto, la recessione
o il forte rallentamento statunitense si combina con la caduta dei
prezzi degli immobili a livello nazionale (la prima dalla Grande
Crisi degli anni Trenta) e con una forte crisi del sistema
bancario. La storia dimostra che la crisi del mercato
immobiliare rende più pesante e soprattutto più lunga la fase di
contrazione del ciclo economico. In proposito basta ricordare quanto
avvenne in Svizzera all’inizio degli anni Novanta. D’altro canto, la crisi del
sistema bancario ostruisce o rende meno efficiente il canale (lo
stesso sistema bancario) attraverso il quale imprese e famiglie
sentono il sollievo del ribasso del costo del denaro deciso dalle
autorità monetarie. Infatti sono le banche, attraverso la
disponibilità a concedere prestiti a tassi di interesse più bassi,
che trasmettono all’economia gli impulsi della politica monetaria.
Ma c’è di più: per uno dei settori maggiormente sensibili al
livello del costo del denaro, ossia quello immobiliare e
dell’edilizia, il ribasso del costo del denaro potrà solo rallentare
o arrestare la caduta dei prezzi e dell’attività, ma non certo
fornire spinta per la ripresa. Dunque la crisi americana potrà
essere anche leggera in termini di contrazione della crescita, ma è
probabile che sia lunga, ossia che condanni l’economia statunitense
ad un prolungato periodo di crescita insoddisfacente. Al
di qua dell’Atlantico, le possibilità che l’Europa resti immune
dalle difficoltà americane appaiono scarse. Già oggi il mercato
immobiliare spagnolo sembra seguire le orme di quello americano così
come l’attività economica della Spagna, che è la quarta economia di
Eurolandia. In Irlanda sta accadendo qualcosa di analogo, mentre
cominciano a manifestarsi segnali di difficoltà anche in Italia e in
Francia. Anche i dati economici europei segnalano un rallentamento
della crescita e soprattutto un calo della fiducia sia delle imprese
sia dei consumatori. Quindi, dato che l’economia europea è
destinata a risentire anche degli effetti di un euro forte e di
tassi di interesse che la Banca centrale europea non ha per il
momento intenzione di abbassare, è probabile che subisca almeno un
forte rallentamento. Diverso è invece lo scenario dei paesi
emergenti, che possono espandere ancora, e di molto, i consumi
interni per compensare l’eventuale contrazione delle loro
esportazioni. La crisi dei mutui subprime ha già intaccato
l’economia reale. Ora la recessione o il forte rallentamento
dell’economia americana è destinata ad acuire ulteriormente la crisi
bancaria. Proprio per questi motivi si aprono scenari nuovi (anche
dal profilo strettamente politico) e soprattutto diversi rispetto
alle fasi di contrazione economica che si sono succedute in questo
dopoguerra.
 |
Fonte -
Corriere del Ticino |
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Venerdì
11 gennaio
2008 |
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Martedì
15 gennaio
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Mercoledì
16 gennaio
2008 |
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La finanza e i
capitali si spostano a
oriente
13 Gennaio 2008 22:51
NEW YORK - di Domenico
Siniscalco ________________________________________
L’economia globale, da qualche
mese, sembra capovolta. Gli Stati Uniti, che hanno trascinato per
decenni la crescita del mondo, sono avviati a un periodo di
ristagno, mentre il ruolo di locomotiva globale è affidato ai paesi
emergenti, soprattutto in Asia, sino ad ora immuni dalle difficoltà
reali e finanziarie. La novità è che queste economie, per la prima
volta, non sono state influenzate dalla crisi americana e persino
l'Africa, bloccata per molti anni nella trappola della povertà, è
entrata in un periodo di promettente sviluppo. Il settore
agricolo, da quando i cereali vengono utilizzati nei
bio-combustibili, ha raddoppiato i prezzi e rende di più dei
prodotti industriali e ad alta tecnologia. Le materie prime
energetiche sono ai massimi storici e spingono uno sviluppo
impetuoso anche in Russia. Le grandi banche americane, a
valle della crisi dei mutui, hanno operato ampie svalutazioni del
propri attivi e sono state soccorse dai fondi sovrani, cioè statali,
dell'Asia e del Medio Oriente che ne sono diventati azionisti. Una
grande agenzia di rating (Moody's) sta meditando di declassare il
debito pubblico americano, mentre un'altra (S&P) loda i
conti pubblici dell'Italia. Per quanto sorprendenti, questi eventi
non sono paradossi né manifestazioni di breve periodo, ma la
conseguenza di grandi tendenze, da tempo in gestazione e oggi al
centro di un mondo che ha ripreso a cambiare molto rapidamente.
Il ciclo globale della liquidità e della finanza, dopo dieci
anni di crescita senza inflazione, dalla scorsa estate è girato al
peggio, e ha oggi necessità di utilizzare i fondi accumulati negli
anni in Asia e in Medio Oriente, in conseguenza dei forti squilibri
commerciali. Si è scritto, con preoccupazione, che l'intervento
massiccio dei fondi sovrani sia una sorta di «statalizzazione
trans-nazionale». A me pare la conseguenza inevitabile della
globalizzazione finanziaria, senza la quale molte banche dovrebbero
restringere ulteriormente il credito, anche se lo storico Niall
Ferguson, dall'Università di Harvard, ha evocato un parallelo
inquietante tra gli Usa di oggi e l’impero Ottomano, declinato
quando cedette la proprietà delle banche per pagare i propri debiti.
Al di là del ciclo del
credito, non vi è dubbio comunque che lo sviluppo e la ricchezza
stanno migrando in Asia e nei Paesi emergenti, sospinti da
demografia e tecnologia. Questa migrazione ha reso possibile un
decennio di crescita senza inflazione, grazie all'offerta pressoché
illimitata di prodotti a basso prezzo. Ma chi aveva preconizzato che
la Cina avrebbe conquistato l’Occidente con i prodotti, poi con i
capitali e infine con la politica vede una conferma delle proprie
previsioni. Gli Stati Uniti oggi mantengono una chiara
primazia in termini economici e militari. Ma un viaggio in Asia è
sufficiente a evidenziare lo sviluppo di quell'area e della sua
classe media, al di là delle cifre che già collocano la Cina al
secondo posto nella classifica del prodotto lordo per Paesi. Ad
oggi, è senz'altro troppo presto per valutare la persistenza di
queste tendenze e per capire quel che farà l'Europa, nel mezzo di
una grande trasformazione istituzionale, ma ancora in cerca di una
politica e di una vocazione economica. In questo quadro, la
risposta non può essere la chiusura, ma una migliore integrazione e
un più profondo adattamento che faccia leva sui nostri punti di
vantaggio. Se questo è vero, gli ingredienti fondamentali di una
buona politica paiono una maggiore libertà economica, per adattare
rapidamente il modello di specializzazione senza le barriere che
ancora esistono, e una efficiente protezione sociale, per aiutare la
classe media, marginalizzata dai grandi cambiamenti. Soltanto il
tempo, e una profonda comprensione dei fenomeni, ci aiuteranno a
trovare una via di successo. Viviamo in un mondo incerto, dove
tendenze simili a quelle che stiamo vivendo si sono a loro volta
arrestate (ricordate il pericolo giapponese degli Anni Settanta e
Ottanta?). Non ha senso dunque azzardare previsioni a lungo termine.
Soltanto una cosa si può dire con sicurezza: il futuro non è più
quello di una volta.
 |
Fonte -
La Stampa |
Beige Book: crescita sempre
più lenta. Il mercato punta a taglio aggressivo dei tassi
Mercoledì 16 Gennaio
2008, 21:53 - di Alberto Susic ______________________________________________
A distanza di circa un
mese e messo dall'ultima pubblicazione, risalente agli ultimi
giorni del mese di novembre, anche nell'aggiornamento diffuso
questa sera si è parlato di un rallentamento dell'economia
americana che tuttavia continua comunque a crescere, anche se
ad un ritmo più lento. E' questo in sintesi il messaggio che
viene consegnato dalla lettura del Beige Book, il tradizionale
rapporto elaborato otto volte all'anno dalla Federal Reserve,
nel quale viene fotografato lo stato di salute della
congiuntura a stelle e strisce, in base alle rilevazioni
compiute nei dodici distretti federali. Nel documento di
questa sera, redatto sulla base delle informazioni disponibili
prima del 7 gennaio riferite al periodo compreso tra tale data
e la fine di novembre dello scorso anno, si legge che la
crescita dell'economia non è si è interrotta, anche se la
stessa ha perso slancio, avanzando ad un ritmo più lento. In
sette dei dodici distretti si registra ancora un lieve
incremento dell'attività, mentre tre segnalano un decremento,
rilanciando così i timori di un'imminente recessione che
tuttavia al momento è stata esclusa dal presidente Bernanke
che la scorsa settimana ha detto di vedere un rallentamento
piuttosto che una fase recessiva. A frenare l'economia è
stato l'andamento dei consumi e delle spese natalizie che ha
deluso le attese, ma ulteriori segnali di debolezza giungono
anche dal settore immobiliare e delle auto. La Fed fa notare
che le famiglie hanno assunto un atteggiamento sempre più
prudente sul fronte della spesa, anche in ragione del
peggioramento delle condizioni del credito. Ulteriori
fattori cui si può ricondurre il rallentamento della
congiuntura si possono ritrovare nella debolezza del dollaro,
che ha ripercussioni negative sui costi delle importazioni
dall'Europa e dal Giappone. Non è da trascurare anche
l'impatto del continuo incremento dei costi energetici, sulla
scia dell'apprezzamento delle materie prime tra cui in
particolare il petrolio. Parlando dei singoli settori, si
presentano ancora in buona salute quello dell'agricoltura e
dell'energia, mentre c'è una contrazione dell'attività del
credito al consumo nel mondo bancario, unitamente ad una
restrizione degli standard del credito, dal momento che le
società sono ora molto più caute nell'elargire nuovi
finanziamenti. Non certo incoraggianti le notizie relative
all'occupazione, che resta relativamente bloccata un po' in
quasi tutti i distretti. E' questa una delle maggiori
preoccupazioni espresse dalla Fed, in considerazione della
fase di debolezza che sta attraversando il mercato del lavoro,
come evidenziato dai deludenti dati di dicembre che hanno
consegnato un tasso di disoccupazione al 5% rispetto al 4,7%
precedente. Di fatto le indicazioni consegnate questa sera
dal Beige Book non hanno aggiunto nulla di nuovo a quanto già
contenuto nelle minute dell'ultima riunione della Fed diffuse
nei primi giorni del mese. La conferma del rallentamento
dell'economia ha però rafforzato le attese del mercato per un
taglio dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale
Americana. Quest'ultima potrebbe ricorrere ad una manovra più
aggressiva del previsto, tanto che subito dopo il Beige Book
di questa sera i futures sui Fed Fund hanno prezzato al 56% la
probabilità di una riduzione del costo del denaro di mezzo
punto per fine mese. Viene stimato per ora al 44% invece un
taglio dei tassi addirittura di tre quarti di punto, che
porterebbe i Fed Fund al di sotto del livello del 4%
attualmente individuato dalla BCE per il Vecchio Continente.
E' anche vero però che nulla si può ancora dare per
scontato relativamente al meeting di fine mese, in vista del
quale la Fed dovrà tenere conto nella decisione da prendere,
anche delle indicazioni arrivate dal fronte inflazione.
Proprio quest'oggi si è appreso che a dicembre l'indice dei
prezzi al consumo è cresciuto dello 0,3%, poco al di sopra
delle attese, con un balzo del 4,1% per l'intero 2007, sui
livelli massimi degli ultimi 17 anni. Ed è proprio questa
indecisione sul futuro dei tassi che non ha portato un grande
aiuto ai mercati azionari, che si muovono all'insegna di un
grande nervosismo. Subito dopo la diffusione del Beige Book
gli indici hanno accelerato al rialzo, tanto da spingersi
tutti in territorio positivo. In seguito però si è avuto un
ripensamento degli operatori che si sono affidati nuovamente
alla cautela, riportando in rosso sia l'S&P500 che il
Nasdaq (NASDAQ: notizie) , anche se con perdite decisamente
più contenute rispetto a quelle segnate nella prima parte
della giornata.
Fonte
- TrendOnLine
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Mutui: Bernanke, Perdite Subprime Non Oltre 500 Mld
Dlr
Giovedì 17 Gennaio
2008, 18:29 - di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 17
GEN - Le perdite causate dai mutui subprime, spiega Bernanke
ai componenti della Commissione Bilancio della Camera,
potrebbero attestarsi ad alcuni multipli di 100 miliardi di
dollari ma non oltre quota 500 miliardi. Poco prima durante
l'audizione, il numero uno della Fed aveva stimato in 100
miliardi di dollari, in base al quadro attuale, le perdite
generate dal crollo dei mutui ad alto rischio. "Nel
comparto subprime - spiega ora Bernanke - ci sono qualcosa
come 5 milioni di mutui del valore complessivo di mille
miliardi di dollari. Mi pare un'esagerazione considerare che
tutti i finanziamenti vadano in pignoramento, mentre è allo
stato attendibile una cifra di 100 miliardi di
dollari".(ANSA).
Fonte
- ANSA
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Bernanke: il Congresso agisca
subito
Venerdì 18 Gennaio
2008, 8:00 - di Il Sole 24 Ore ______________________________________________
Da Il Sole 24 Ore: Il
presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha lanciato
ieri in Congresso un allarme. Secondo il numero uno della Fed
occorre agire subito con aggressive e rapide azioni
straordinarie a sostegno dell'economia. E se Bernanke
incoraggia a introdurre misure di stimolo fiscale nel momento
in cui l'inflazione potrebbe esplodere, vuol dire che
l'economia americana sta molto peggio di quello che sembra. E
i mercati azionari hanno reagito di conseguenza. Tutti gli
indici hanno cominciato a muoversi in ribasso avvicinandosi al
territorio controllato dall'orso. Oggi la Casa Bianca
presenterà un pacchetto di stimoli fiscali fra i 100 e i 150
miliardi di dollari.
Fonte
- Il Sole 24 Ore
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Crisi
di Borsa: il grande
malato è l'America
21 Gennaio 2008 15:45
ROMA - di Massimo
Giannini ________________________________________
Se è vero che le Borse sono il
termometro delle opinioni pubbliche, come scriveva già nell'800
Gustave Flaubert, questo "lunedì nero" dei mercati ci dice che il
mondo, da Tokyo a New York, da Francorte a Milano, ha la febbre
altissima. Il grande malato, stavolta, è l'America. La recessione
non è più una semplice paura. È un incubo, che ora coinvolge anche i
mercati asiatici, e travolge anche l'Europa. Questo può stupire solo
gli illusi: gli Stati Uniti rappresentano il 25% del Prodotto lordo
mondiale. Qualunque cosa accada al di là dell'Atlantico, prima o poi
finisce per attraversare l'Oceano, e per arrivare anche da
noi. Era ovvio che la crisi dei mutui subprime, partita
dagli immobili, si estendesse anche ai liquidi, allargandosi a
macchia d'olio alle rate per le compravendite di automobili e alla
copertura degli acquisti fatti con le carte di credito. Ed era
altrettanto ovvio che l'epidemia si diffondesse, presto o tardi:
dall'erosione dei risparmi alla contrazione dei consumi. Dalla
scarsità di credito circolante alla spesa al supermercato. Dalla
finanza virtuale all'economia reale. Ci sono due aspetti che
preoccupano, nel tracollo delle Borse di oggi. Il primo aspetto,
allarmante, riguarda proprio l'economia. Il crac a catena della
Borse cinese, di quella indiana e di quella giapponese, ci dimostra
che il contraccolpo dell'ormai inevitabile recessione americana si
avverte drammaticamente anche in Asia. Cioè in quell'area del mondo
che dovrebbe "dare il cambio" agli Stati Uniti in affanno, e
assumere la guida della locomotiva delle economie del
pianeta. Il segnale di oggi, purtroppo, ci dice che
questo momentaneo "passaggio del testimone" tra America e Asia non
ci sarà. E questo non può che accrescere le incognite sul futuro
globale, già oscurato dal boom dei prezzi petroliferi e dai rischi
collaterali di uno choc energetico. Il secondo aspetto inquietante
riguarda la politica. Il crollo congiunto di tutti i mercati, oggi,
dimostra che gli operatori non hanno alcuna fiducia nella
possibilità che i governi o le banche centrali riescano a
scongiurare la "grande febbre". I mercati, con la pioggia di
realizzi di oggi, da un lato dimostrano di non aspettarsi nulla
dalla politica fiscale erratica: il programma di sostegno ai redditi
da 145 miliardi di dollari, appena annunciato da Bush,
evidentemente, viene giudicato tardivo e inutile. E dall'altro lato
dimostrano di non aspettarsi gran che da una politica monetaria
schizofrenica: in America la Fed taglia i tassi, e in Europa la Bce
li aumenta. Né l'una né l'altra, al momento, ottengono risultati
tangibili. Bisogna accendere un cero a Martin Luther
King: per onorare la memoria del grande leader nero delle grandi
rivolte anti-razziali e non violente, Wall Street oggi resta chiusa.
Figuriamoci cosa sarebbe successo nel pomeriggio alla Borsa
americana, sull'onda del "panic selling" esploso in mattinata nelle
borse del resto del mondo. Eppure non ci sarebbe da farsi
prendere dal panico. Pur con tutte le difficoltà e le incognite,
l'economia mondiale in questi ultimi quindici anni ha vissuto
comunque un lungo ciclo di stabilità e di crescita. Non c'è un altro
'29 alle porte. Ma dai primi anni '90 ad oggi troppi Paesi, troppe
imprese, troppe banche e forse anche troppe famiglie hanno vissuto
al di là delle loro possibilità reali. Prima o poi il "conto"
dovevamo pagarlo. Speriamo solo che stavolta non sia troppo salato.
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Fonte -
La Repubblica |
SOROS: E' LA CRISI PIU' GRAVE
DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
21 Gennaio 2008 11:06
NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
La crisi finanziaria in
atto e' la piu' grave dalla II guerra mondiale. A sostenerlo
e' George Soros in un'intervista. Soros afferma che gli Usa
sono minacciati dalla recessione e che anche l'Europa rischia
di finire in una fase di contrazione del ciclo economico.
Soros ha aggiunto di non attendersi risultati significativi
dal piano di stimolo da 150 miliardi di dollari annunciato
dall'amministrazione Bush.
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Borsa: Roubini, In Usa Sara' Recessione Piu' Dura Da 20 Anni
Lunedì 21 Gennaio 2008,
20:42 - di
ANSA ______________________________________________
"Se guardiamo al
mercato immobiliare, alle vendite al dettaglio, alla
disoccupazione, tutto indica che la recessione negli Stati
Uniti non sarà lieve ma severa", ha spiegato Roubini. Ciò avrà
inevitabilmente un impatto anche sulle altre economie: "Non
prevedo una recessione globale ma un forte rallentamento", ha
spiegato quindi l'economista, che è stato tra i consiglieri
economici della Casa Bianca nel 1998 e del Tesoro nel 1999.
Secondo Roubini la Federal Reserve, dopo aver già tagliato i
tassi dell'1% negli ultimi mesi, "li porterà sotto il 3% entro
l'anno" dal 4,25% attuale, ma come le misure fiscali
annunciate da Bush, "non possono evitare una recessione, ma
solo limitarne gli effetti". Rispetto alla crisi finanziaria
del 2001, inoltre, "sul mercato non ci sono solo problemi di
liquidità, ma di insolvenza". Il quadro è quindi più fosco e
per gli Usa l'attesa è di "quattro trimestri di
recessione". Di certo la crisi attuale ci ricorda che "la
supervisione e la vigilanza del sistema finanziario sono stati
insufficienti" e ora è difficile capire esattamente i limiti
della crisi attuale: "I meccanismi finanziari attuali sono
così complessi - ha detto Roubini - , così esoterici che non
riusciamo a capirne i meccanismi esatti. Dovremo spendere un
po' di tempo per capirli altrimenti ci troveremo come ad avere
a che fare con una scatola nera". (ANSA).
Fonte
- ANSA
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2008 |
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Mercoledì
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LA FED TAGLIA IL COSTO DEL DENARO DI 75 PUNTI BASE
22 Gennaio 2008 14:21
NEW YORK - di
WSI ______________________________________________
Per arginare il sicuro
crash di Wall Street in apertura, la banca centrale, con una
manovra d'emergenza senza precedenti, a mercati aperti, ha
ridotto i tassi sui fed funds dello 0.75%, abbassandoli dal
4.25% al 3.50%. La Fed ha contestualmente approvato un
abbassamento di 75 punti base del tasso di sconto al 4.00%.
Immediato il rimbalzo dei futures sugli indici, che si sono
ripresi immediatamente. La Federal Reserve, in un meeting
straordinario presieduto da Ben Bernanke, per la prima volta
dal 17 settembre 2001 (6 giorni dopo gli attacchi alle Torri
Gemelle, alla riapertura di Wall Street) ha abbassato i tassi
a mercati aperti e al di fuori della normale riunione de FOMC
(Federal Open Market Committee) citando come causa il crollo
sui mercati azionari mondiali e un forte aumento della
disoccupazione negli Stati Uniti, fattori che minacciano di
spingere l'intera economia mondiale in recessione. Il prossimo
meeting regolare della Fed avrebbe dovuto tenersi il prossimo
30 gennaio. Da notare che si tratta del piu' forte taglio dei
fed funds con una sola operazione degli ultimi 25 anni, cioe'
dall'agosto 1982. Per i lettori di Wall Street Italia ecco
la traduzione in italiano del documento ufficiale della
Federal Reserve: Il Federal Open Market Committee ha
deciso oggi di abbassare il target sui fed funds di 75 punti
base al 3.5%. Il Comitato ha deciso per
tale azione in base all’indebolimento dell’outlook economico e
sulle prospettive di un incremento dei rischi per la crescita.
Nonostante le tensioni sui mercati si siano alleviate nel
breve periodo, le condizioni del mercato finanziario hanno
continuato a deteriorarsi e l’accesso al credito e’ divenuto
ancor pou' rigido per le aziende e i consumatori. Inoltre, gli
ultimi dati indicano un peggioramento della contrazione del
comparto immobiliare e un indebolimento del mercato del
lavoro. Il Comitato si aspetta una moderazione
dell’inflazione nei prossimi trimestri, ma sara’ necessario
continuare a monitorarne gli sviluppi molto attentamente.
Restano tuttavia evidenti i rischi di un
arretramento della crescita. Il Comitato continuera’ a
monitorare gli effetti finanziari e di altri fattori sulle
prospettive economiche ed agira’ prontamente, come necessario,
per eliminare tali rischi. A votare a favore dell’azione
di politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke,
Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Charles L.
Evans; Thomas M. Hoeing; Donald Kohn; Randall S. Kroszner; e
Kevin M. Warsh. A votare contro e’ stato William Poole,
secondo cui le attuali condizioni non giustificano l’azione
antecedente il meeting fissato per la prossima settimana.
Assente Frederic S. Mishkin. In un'operazione collegata,
il Comitato dei Governatori (Board of Governors) ha approvato
all'unanimita' un abbassamento di 75 punti base del tasso di
sconto al 4.00%. Nel prendere questa decisione, il comitato ha
approvato le richieste formulate dai Comitati dei Direttori
(Boards of Directors) della Federal Reserve Bank di Chicago e
Minneapolis. Ed ecco il testo originale del documento che
accompagna la decisione della Federal Reserve di tagliare il
tasso interbancario al 3.50%: The Federal Open Market
Committee has decided to lower its target for the federal
funds rate 75 basis points to 3-1/2 percent. The Committee
took this action in view of a weakening of the economic
outlook and increasing downside risks to growth. While strains
in short-term funding markets have eased somewhat, broader
financial market conditions have continued to deteriorate and
credit has tightened further for some businesses and
households. Moreover, incoming information indicates a
deepening of the housing contraction as well as some softening
in labor markets. The Committee expects inflation to
moderate in coming quarters, but it will be necessary to
continue to monitor inflation developments carefully.
Appreciable downside risks to growth remain. The Committee
will continue to assess the effects of financial and other
developments on economic prospects and will act in a timely
manner as needed to address those risks. Voting for the
FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman;
Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Charles L. Evans; Thomas
M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Eric S.
Rosengren; and Kevin M. Warsh. Voting against was William
Poole, who did not believe that current conditions justified
policy action before the regularly scheduled meeting next
week. Absent and not voting was Frederic S. Mishkin. In a
related action, the Board of Governors approved a
75-basis-point decrease in the discount rate to 4 percent. In
taking this action, the Board approved the requests submitted
by the Boards of Directors of the Federal Reserve Banks of
Chicago and Minneapolis.
Fonte
- WallStreetItalia.com
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Gli spettri di Davos
Mercoledì 23 Gennaio
2008, 18:42 - di
MiaEconomia ______________________________________________
Black monday, ma non
solo. L'ondata di panico e i crolli a catena registrati ad
inzio settimana sui mercati mondiali danno un'idea sull'aria
che tira nella finanza globale, nella settimana in cui nella
tradizionale cornice della cittadina di Davos, sulle Alpi
della Svizzera, si apre la prestigiosa assemblea annuale del
World Economic Forum. E come se non bastasse, dopo molti
anni di 'vacche grasse' per l'economia globale, ora incombe lo
spettro sempre più minaccioso di una recessione degli Stati
Uniti. Si teme che i piani di emergenza annunciati dalla Casa
Bianca risultino insufficienti, e forse tardivi. Ma se
Atene piange anche Sparta non ride: l'Europa ha contato
diverse vittime a seguito del ciclone subprime - come la banca
Northern Rock in Gran Bretagna e Ikb e WestLB in Germania - e
ora rischia una pesante frenata della crescita, mentre l'onda
lunga della crisi potrebbe investire perfino le coste della
Cina. Da mesi i mercati finanziari e del credito sono
sotto pressione a seguito dell'ondata di insolvenze che ha
investito i mutui subprime, prestiti erogati negli Usa a
persone con alti rischi di insolvenza. I rischi si sono
materializzati, e in massa, mentre i mutui in questione erano
stati cartolarizzati dalle banche erogatrici e sparpagliati
nel mercato, creando così quelle condizioni di incertezza su
chi siano i detentori finali che hanno favorito l'insorgere di
una fase di forte diffidenza. Finora il Dragone è stato
apparentemente immune alle difficoltà che hanno colpito le
altre grandi potenze, ma nelle passate settimane Pechino ha
adottato misure sempre più drastiche contro inflazione e
rischi di surriscaldamento dell'economia e ora, come per gli
altri paesi dell'Asia, il suo export potrebbe accusare un
pesante contraccolpo per una domanda americana che si pianta.
Ad oggi il conto più salato sui subprime lo hanno pagato
le banche Usa, nomi prestigiosi come Merrill Lynch, Citigroup
e Lehman Brothers, tanto che nei giorni scorsi il Wall Street
Journal rilevava come a Davos quest'anno non ci saranno molti
dei banchieri che 12 mesi fa si scambiavano commenti
ottimistici sullo stato dell'economia. Ma ora indiscrezioni
della stampa cinese vedono a rischi di svalutazioni
miliardarie anche per Bank of China. Lungi dall'essere
conclusa, la crisi scatenata dal ciclone subprime rischia ora
di vedere aprirsi un nuovo fronte.
Fonte
- MiaEconomia
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Trichet affonda le Borse
europee. Nessun
taglio.
Mercoledì 23 Gennaio
2008, 13:26 - di
Alberto
Susic ______________________________________________
L'effetto Fed, con il
taglio a sorpresa dei tassi di interesse nella misura dello
0,75%, ha avuto davvero vita breve, visto che a poche ore di
distanza dall'annuncio, le Borse europee sono ricadute nelle
mani dei ribassisti. La manovra della Banca Centrale americana
ha permesso ieri un recupero dei listini nel Vecchio
Continente, consentendo a quelli a stelle e strisce di
arginare le vendite. L'effetto più vistoso si è avuto sulle
piazze asiatiche, che quest'oggi hanno realizzato un poderoso
rimbalzo, del quale però l'Europa non sembra beneficiare in
alcun modo. In seguito ad un avvio piuttosto promettente, i
listini del vecchio Continente hanno invertito la rotta,
accelerando progressivamente al ribasso e presentandosi negli
ultimi minuti sui minimi di giornata. A mandare a fondo le
Borse sono state soprattutto le dichiarazioni del presidente
della BCE, che in un intervento al Parlamento europeo, ha
detto questa mattina che il Board non intende cambiare lo
scenario di base sulle prospettive economiche e sui prezzi,
nonostante le turbolenze dei mercati finanziari. Trichet ha
confermato l'esistenza di rischi al ribasso per la crescita,
che in realtà non sono una novità, ribadendo l'importanza di
tenere conto dell'economia reale. Questo però non induce a
modificare minimamente l'atteggiamento sul fronte della
politica monetaria, per la quale la BCE continua a seguire la
linea dura. Nel suo intervento Trichet ha rimarcato ancora una
volta, in linea con quanto già dichiarato nelle scorse
settimane, che a guidare l'azione della Banca Centrale è solo
l'obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi. E'
assolutamente necessario, a suo dire, evitare gli effetti di
ritorno sul fronte dell'inflazione, impedendo che si sviluppi
una spirale prezzi-salari che vada a minacciare tale
stabilità. Anche per questo motivo, in periodi di
turbolenze e di forte volatilità dei mercati finanziari, come
quello che stiamo vivendo, un elemento essenziale è dato
proprio dall'ancoraggio all'inflazione, affinchè la stabilità
finanziaria possa essere garantita, evitando così un
incremento della stessa volatilità. Trichet ha riconosciuto
che la correzione in atto sui mercati è molto significativa,
ma non per questo cambia idea, ricordando che la BCE è
impegnata a mantenere un livello dei tassi adeguato, ancora
all'inflazione. Di sicuro da questa crisi si possono trarre
diversi insegnamenti in termini di gestione dei rischi,
sottolineando che le stesse Banche Centrali hanno
sottovalutato le minacce derivanti dai mutui subprime. Un
motivo in più dunque per rafforzare la cooperazione tra le
autorità di politica monetaria e quelle di supervisione
bancaria, al fine di sventare tutte i pericoli futuri. Le
parole di Trichet hanno intanto creato non poco sconcerto tra
gli operatori di Borsa che dopo la mossa aggressiva della Fed,
si aspettava un'apertura anche della BCE verso un taglio di
tassi di almeno lo 0,25%. Uno scenario che però difficilmente
dovrebbe concretizzarsi, secondo quanto spiegato dal capo
economista di Morgan Stanley (SPU - notizie) , il quale
ritiene che ci siano scarse probabilità che l'Eurotower possa
cambiare politica nel breve termine. Anche il presidente
dell'Eurogruppo, Juncker, non si aspetta che la BCE segua
l'esempio della Fed, visto che l'obiettivo principe resta
quello della lotta all'inflazione. Gli fa eco il commissario
Ue Almunia, che ha definito ieri irrealistiche le voci di una
possibile sforbiciata del costo del denaro in Europa. A suo
dire è sbagliato ritenere che ci sia un coordinamento della
politica monetaria, precisando che l'autonomia della BCE sarà
comunque mantenuta in questa crisi. Diversa (DVSA -
notizie) invece l'opinione dell'economista Nouriel Roubini,
che intervento ad un incontro del World Economic Forum di
Davos, ha spiegato che ci sono segnali di rallentamento già in
diversi Paesi europei e di fronte a tale frenata, l'inflazione
sarebbe l'ultimo problema.Anche per questo motivo l'esperto
pensa che sia inevitabile per la BCE intervenire al ribasso
sui tassi di interesse, scommettendo che un'azione in tal
senso possa anche essere realizzata in tempi brevi. Ed è
questa la speranza del mercato, che questa mattina ha
dimostrato in maniera chiara il suo disappunto per le parole
di Trichet. Le Borse sono state fortemente deluse
dall'atteggiamento di rigidità dell'Eurotower, che si
digerisce ancora con più difficoltà ora, specie dopo la
manovra di ieri della Fed.
Fonte
- TrendOnLine
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Vitale:
sistema finanziario in ginocchio
23 Gennaio 2008 23:19
MILANO - di
Finanza&Mercati ________________________________________
«L’attuale crisi finanziaria era
nell’ordine delle cose, ossia era scritta nell’ingordigia che ha
caratterizzato il sistema finanziario dopo il 2001». Guido Roberto
Vitale non lesina la consueta franchezza nell’analisi della bufera
che ha sommerso i mercati mondiali. Il banchiere ha
parlato martedi' in occasione di un incontro organizzato dall’Aifi
(Associazione italiana del Private Equity e Venture Capital),
esprimendo una dura accusa a «una vasta elité di persone che non
hanno creato ricchezza, ma l’hanno solo dirottata a proprio favore
mettendo a repentaglio i capisaldi della struttura sociale
occidentale». Nel mirino ci sono tutti. A cominciare dagli hedge
fund («da cancellare ») e proseguendo con banche («tutti i
collocamenti di questi ultimi sette mesi non andavano effettuati a
quei prezzi») e private equity. È il risultato di una follia che
«trova riscontro nel disinteresse della classe dirigente per la res
pubblica. Non c’è quindi da stupirsi del momento drammatico del
Paese». Dunque, crollo salutare? Certo. Dispiace che chi ha fatto
il peggio sia stato il più pagato per togliersi di torno (vedi i
vertici di Merrill Lynch). Adesso, per i prossimi 4-5 anni non
dovremmo rivedere gli eccessi dell’ultima fase. Quali eccessi?
Gli strumenti finanziari fine a sé stessi. Costruiti per
moltiplicare le commissioni, riempire di debito i consumatori e
spalmare il rischio. È stato fatto tutto con deliberazione, con un
atteggiamento quantomeno poco responsabile da parte degli istituti
di credito. Capitalismo deviato? Questo non è
capitalismo. Collocamenti a prezzi elevati e delisting nel giro di
18-24 mesi una volta che i valori sono caduti rientrano nella
patologia. Così come le operazioni di private equity a leva fino al
100-120% del valore con obiettivo ritorni minimi del 20% annuo
composto quando l’Irs (Interest rate swap) a 50 anni è circa il 4,75
per cento. Dunque, anche il private va condannato? No. Il
private equity ha svolto un ruolo positivo. Ma non a questi
multipli. È auspicabile un ridimensionamento, nonché un maggior
impegno nello sviluppo delle imprese acquistate. E gli hedge
fund? Quello è un altro discorso. Sono sterili, non fanno alcun
bene al sistema. Se fossi il regolatore cercherei di metterli fuori
legge. E le istituzioni? Guardi, tutti i collocamenti negli
ultimi sette mesi non avrebbero dovuto farsi a quei prezzi. Questo
non è capitalismo, e dovrebbe essere compreso da una classe
dirigente seria. Ma in Italia c’è una sorta di connivenza fra tutti
per evitare la sanzione che dovrebbe colpire chi non si comporta
correttamente.
 |
Fonte -
Finanza&Mercati |
Bernanke
e Trichet:
hanno torto
tutti e due?
24 Gennaio 2008 10:06
MILANO - di Alessandro
Merli ________________________________________
Avete ragione tutti e
due. Così una vecchia pubblicità decideva salomonicamente fra una
coppia di litiganti. Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve,
e Jean-Claude Trichet della Banca centrale europea non litigano ma
mai come ora appaiono su rotte divergenti.
Al centro del dibattito è la
reazione della politica monetaria alla frenata dell'economia e alla
crisi dei mercati. Già due settimane fa, le posizioni erano apparse
distanti, quando Bernanke aveva annunciato di voler tagliare i tassi
d'interesse in modo aggressivo e Trichet aveva a mala pena contenuto
l'inclinazione di parte del consiglio della Bce ad alzarli.
Ora, però, Bernanke è passato dalle parole ai fatti, con un taglio
senza precedenti recenti e pare pronto a ripetersi da qui a una
settimana, alla prossima riunione periodica della Fed, mentre
Trichet ha ribadito che la priorità resta il controllo
dell'inflazione, e questa è oggi al 3,1%, largamente al di là del 2%
che la Bce si è scelta come tetto.
Il più clamoroso dei due
atteggiamenti è naturalmente quello del banchiere centrale
americano, mentre il suo collega europeo si è limitato a ribadire
una posizione nota, seppure a circostanze notevolmente mutate
rispetto anche solo a due settimane fa. Ed è stata quindi la mossa
di Bernanke quella che ha raccolto i maggiori commenti, e anche le
critiche più vivaci. L'ex re degli hedge fund George Soros ha
implicitamente plaudito al taglio della Fed ricordando che la crisi
«è la peggiore degli ultimi sessant'anni», mentre il guru della
Pimco, il colosso del reddito fisso, Moahamed El-Erian ha notato che
semmai la Fed arriva tardi.
Ma cosa c'è dietro
l'improvvisa decisione, visto che mancava poco ormai all'abituale
riunione del comitato di politica monetaria e che comunque
sull'economia reale gli effetti dei tagli dei tassi si faranno
sentire solo con l'abituale ritardo di almeno un anno? C'è chi
accusa Bernanke di essere stato "catturato" da Wall Street e dalla
grande finanza, visto che molte grandi banche hanno bisogno
dell'ossigeno dei tassi per stare a galla in una situazione in cui
la vera dimensione delle loro perdite resta incerta. E c'è chi pensa
che la Fed sappia qualcosa (di qualche enorme scheletro nell'armadio
in qualcuna delle maggiori istituzioni finanziarie) che i mercati
ancora non sanno.
È probabile invece che Bernanke e
i suoi colleghi abbiano visto il panico che si stava diffondendo sui
mercati finanziari, avendo ormai raggiunto anche l'azionario, dopo
quello del credito, dei prodotti derivati e l'interbancario, e
abbiano agito di conseguenza. Non è compito di una banca centrale
tener su i mercati, osserveranno i puristi, ma in situazioni estreme
può essere un errore gravissimo anche evitare di intervenire, come
può testimoniare il governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn
King, dopo il caso Northern Rock. E se l'economia non appare
come il primo pensiero dei governatori della Fed, è anche vero che
un sistema finanziario paralizzato non può essere d'aiuto all'uscita
dalla recessione.
Più lineare il pensiero di
Trichet, anche se a sua volta può essere interpretato come assai
meno dogmatico di quanto appare a una prima lettura. Intanto,
nel domanda e risposta seguito al suo discorso, il presidente della
Bce ha ricordato che il rallentamento dell'economia «può avere un
effetto sull'inflazione». Inoltre, sono stati i dati della stessa
Bce a evidenziare questa settimana che le condizioni finanziarie
nell'area euro hanno già subito una restrizione.
Quindi, bisogna
ascoltare le dichiarazioni dei membri del consiglio della Bce nel
loro insieme, anche se a volte cacofoniche. Diversi di loro, fra cui
un falco come il presidente della Bundesbank, Axel Weber, hanno
osservato in questi giorni che l'attuale picco d'inflazione è
destinato a rientrare a fine anno su livelli più vicini
all'obiettivo della Bce. Infine, un po' di storia non guasta: nel
2001, quando la frenata americana investì Eurolandia, la Bce alla
fine abbassò i tassi pur in una fase in cui l'inflazione sembrava
divergere dall'obiettivo.
Insomma, sia Bernanke
sia Trichet possono avere ottimi motivi per fare quello che fanno.
Che abbiano ragione tutti e due? C'è solo da sperare che non sia
vero il contrario.
 |
Fonte -
Il Sole 24
Ore |
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Giovedì
24 gennaio
2008 |
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Venerdì
25 gennaio
2008 |
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Giovedì
31 gennaio
2008 |
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La
crisi post-bolla
durerà ancora tre anni
25 Gennaio 2008 14:36 MILANO
- di *Alessandro Fugnoli
*Questo documento
e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di
Abaxbank ________________________________________
Quello che ha confuso i mercati in
questi mesi è il fatto che immobiliare e finanza sono entrati in
crisi in agosto, mentre l’economia globale, che in agosto correva a
grande velocità, ha frenato molto bruscamente solo in dicembre. I
dati di dicembre sono arrivati in gennaio e le teorie consolatorie
per cui i problemi erano circoscritti e la recessione evitabile si
sono schiantate contro la realtà. Con i portafogli ancora pieni dei
titoli comprati per il rally di fine anno i gestori hanno venduto
velocemente, creando problemi a chi era a leva e rendendo più ampia
e drammatica la discesa. La capitolazione dei mercati
azionari ha portato con sé la capitolazione del greggio, che aveva
continuato a salire inerzialmente e speculativamente.
La resa del greggio è per il momento condizionata, ma
è sufficiente a fare calare bruscamente l’inflazione headline già
dal prossimo mese. Da qui è partita la capitolazione della Fed, con
il megataglio fuori Fomc e con l’ormai scontato taglio ulteriore
(altri 50 punti) la settimana prossima. La capitolazione della Bce
non si farà attendere molto a lungo, ma prima sarà necessario
aspettare l’esito dei rinnovi contrattuali in Germania. Come fu il
caso per la Fed nell’agosto scorso, la Bce passerà in breve tempo da
un’aspra retorica anti-inflazione a un taglio, probabilmente il
primo di una serie. Il taglio del 30 gennaio, se ci sarà,
convincerà i mercati della serietà dell’impegno della Fed e darà
probabilmente lo spunto per una stabilizzazione più degna di questo
nome di quella, fragile, di queste ore. Ci sarà anche spazio per un
recupero temporaneo, soprattutto se i dati macro relativi a gennaio
(che usciranno in febbraio) indicheranno un’economia americana
ancora in crescita, per quanto simbolica, con un’inflazione già in
calo. Il recupero, se ci sarà, sarà esangue o poco più, perché la
notte è appena iniziata e nessuno vorrà impegnarsi più di tanto con
l’alba ancora lontana. Qualsiasi velleità di recupero dovrà
scontrarsi in ogni caso con un flusso di notizie che continuerà a
essere negativo tanto sul piano macro quanto su quello corporate.
Inizierà allora una fase di bear market diversa dal quasi crash di
questi giorni. Una volta stabilizzatosi su livelli bassi il grado di
leva, i movimenti si faranno più lenti e irregolari, ma la linea di
minore resistenza sarà comunque quella verso il basso. La Fed continuerà a
tagliare. Bernanke e Mishkin dovranno rinunciare
all’unanimità del Fomc e perderne qualche pezzo per strada.
Pazienza. Forse i tassi americani arriveranno al 2 per cento, forse
andranno anche sotto. Bernanke e Mishkin raggiungeranno un accordo
con la componente antinflazionstica della loro coscienza
promettendole rialzi altrettanto veloci e aggressivi quando sarà
stata superata l’emergenza della recessione. Bernanke è visto dal mercato come
più legnoso dell’acrobatico Greenspan, ma la sua apertura
mentale è altrettanto grande ed è corroborata da una consapevolezza
elevata delle proprie capacità intellettuali e tecniche. Inoltre,
una volta iniziato con il taglio di 75 punti il viaggio verso
l’ignoto, sarà più facile andare avanti. Il difficile, spesso, è il
partire. Non siamo d’accordo con chi minimizza gli effetti di
una politica aggressiva (che entro l’estate disporrà anche di un
lato fiscale) dicendo che i risultati non si vedranno prima di 12-18
mesi. Per due motivi. Il primo è che i modelli macro che ignorano
l’influenza che l’inflazione e la deflazione degli asset hanno
sull’economia reale funzionano bene o dove non ci sono asset o dove
il valore degli asset rimane immobile nei secoli. In pratica
funzionano solo su Marte. Il targeting delle borse da parte
delle banche centrali, spudorato come non mai nel caso del taglio di
75 punti base (in un giorno di crash preannunciato) desta scandalo
solo nei fondamentalisti dell’azzardo morale, quelli che dicono che
le cinture di sicurezza nelle auto sono pericolose perché inducono
ad andare più veloci. In un mondo in cui non c’è un notiziario
che non informi in tempo reale sulle borse e in cui non c’è un
amministratore delegato o direttore generale che non abbia sul
monitor la quotazione della sua società è difficile teorizzare
l’impermeabilità della propensione al consumo o all’investimento
rispetto all’andamento dei mercati. Il secondo motivo è che
stanno partendo adesso le indicizzazioni dei mutui dell’annata
sciagurata 2006, quelli tirati dietro al primo che passava per
strada e che finora hanno goduto dei tassi civetta iniziali. Portare
il tasso da pagare dall’11 al 7 fa una bella differenza. Calmando i
tassi Libor (un lavoro già a buon punto) e tagliando i tassi di
policy si può ridurre in modo importante il numero di default e
quello delle case messe in vendita forzatamente. Nell’ambito di un
bear market immobiliare che negli Stati Uniti (come anche in
Inghilterra, Spagna e Irlanda) dovrà durare parecchi anni fa una
bella differenza che la discesa sia moderata e ordinata o caotica e
veloce. Greenspan ha
detto che tutta la crisi che stiamo vivendo nasce da un eccesso di
case costruite di 200-300mila unità (in anni normali sono meno di
due mesi di attività edilizia). Evitare di aggiungerne altrettante
in vendita forzosa (se non il doppio in caso di tassi molto alti) è
vitale per questo 2008, non solo per il mondo che ci sarà tra 12-18
mesi. Se le scelte aggressive della Fed avranno successo,
in estate o in autunno potremo vedere qualche segno tangibile di
stabilizzazione. Potrà essere il rallentamento della discesa dei
prezzi delle case o una ripresa anche modesta dell’occupazione o
della produzione. Ci sarà per quell’epoca anche qualche banca che
avrà finito sul serio di svalutare gli asset compromessi (o, meglio
ancora, li avrà liquidati tutti), anche se altre banche dovranno
continuare a soffrire per il 2009 e oltre. A quel punto gli
short, nel frattempo fattisi numerosi, offriranno, con le loro
ricoperture, il classico combustibile iniziale per un rally che,
duraturo o meno, potrà essere veloce e importante. Nel caso
peggiore sarà un bear market rally. In quello migliore sarà
l’aurora. Forse, sul momento, apparirà come preludio a un giorno
lungo e radioso. Strutturalmente sarà però un’alba lattiginosa e
livida. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff hanno appena pubblicato
un’anticipazione di un ampio studio sulle crisi finanziarie (Is the
2007 US Subprime Financial Crisis So Different? An International
Historical Comparison. In rete). L’interesse di questo studio non
sta solo negli autori (Rogoff è stato capo economista del Fondo
Monetario, insegna a Harvard e fa molta opinione), ma anche
nell’oggetto del lavoro. Non si parla infatti di crisi pittoresche
ed esotiche come i tulipani o i Mari del Sud quanto delle crisi più
prosaiche che hanno colpito negli ultimi decenni i paesi
industrializzati, spesso ignorate dal grande pubblico fuori dai
confini in cui si sono prodotte. Ci sono ad esempio la crisi
italiana del 1990 e le crisi immobiliari-bancarie dei paesi
scandinavi di poco successive. Sono crisi non mitologiche come il
1929, ma proprio per questo sono perfettamente alla portata degli
Stati Uniti di oggi. La gran parte degli episodi studiati matura
mediamente in quattro anni di bolla (più spesso immobiliare che
azionaria), porta con sè un disavanzo delle partite correnti e,
quando finisce, una crisi bancaria più o meno seria. Per essere riassorbita richiede un
minimo di tre anni e un costo complessivo di Pil che va dal 5 al 20
per cento. Gli Stati Uniti, secondo gli autori, hanno iniziato
questo percorso discendente a metà del 2007. Come fu per la crisi
delle Savings and Loans, la vicenda dei subprime peserà per anni,
non per mesi. La vicenda dei subprime, del resto, è una
delle tante facce del problema più generale del disavanzo delle
partite correnti americane. Per anni gli Stati Uniti hanno fatto da
locomotiva, per anni dovranno farsi trainare dal resto del mondo. Il
contributo americano alla crescita globale sarà modesto. Le ricadute
nella stagnazione saranno possibili. Il problema, aggiungiamo
noi, è che oggi non si può reflazionare con forza troppo a lungo,
come accadde invece negli anni 2001-2003. Allora c’erano molte
risorse disponibili ma inutilizzate (disoccupati in Europa e in
America, fabbriche costruite nel boom degli investimenti del 1999 e
abbandonate subito dopo) e si poteva premere fin che si voleva
sull’acceleratore. Oggi c’è il pieno impiego in America e in Europa
e di capacità inutilizzata ce n’è solo nell’immobiliare.
L’acceleratore si è ripreso a usarlo, ma bisognerà stare attenti a
staccare il piede in tempo.
 |
Fonte
- Il Rosso e il Nero |
DAVOS: GURRIA(OCSE),CRISI MERCATI PREOCCUPA MA NON C'E'
PAURA
26 Gennaio 2008 13:21
DAVOS (SVIZZERA) - di ANSA ________________________________
(ANSA) - DAVOS
(SVIZZERA), 26 GEN - C'é preoccupazione, ma non c'é allarme
tra i responsabili di banche centrali, banche private e grandi
istituzioni internazionali che a Davos (Svizzera) hanno
affrontato - in un incontro a porte chiuse - il funzionamento
del sistema finanziario e a cui ha preso parte anche il
governatore di Bankitalia Mario Draghi nella veste di
presidente del Financial Stability Forum. Questa l'opinione di
Angel Gurria, segretario generale dell'Ocse. "I ministri delle
finanze, i banchieri centrali, autorità di controllo ed
istituzioni internazionali - ha spiegato subito dopo la
riunione che si è svolta in una sala riservata del centro
congressi che ospita il World Economic Forum - sono sempre
preoccupati ed è così che deve essere. Abbastanza preoccupati,
ma non allarmati, bensì umili, riconoscendo che non si dispone
di informazioni sufficienti, ma coraggiosi per prendere la
buona decisione. Abbastanza preoccupati, ma senza paura, senza
panico", ha detto ancora Gurria ai giornalisti. "Abbiamo
discusso. I presenti - ha spiegato - svolgono tutti un ruolo
sistemico. Ognuno ha esposto le proprie preoccupazioni ed
ognuno ha tentato di capire la complessità delle sfide, e le
scelte tra più regole, più mercato e l'autoregolazione. A
Davos non prendiamo decisioni", ma da Davos "dobbiamo tornare
a casa più saggi e più umili. Qualcuno ha detto che è
necessario prendere le decisioni più facili da correggere,
perché c'é il rischio di sbagliare. Penso che questo rifletta
il 'sentiment' dell'incontro, ovvero che non abbiamo
abbastanza informazioni ma dobbiamo ugualmente prendere
decisioni". Per Gurria, in passato, "a volte le soluzioni
delle crisi passate sono diventate i semi dei nuovi problemi.
Ma questo non vuol dire che erano sbagliate all'epoca. Come ha
detto Steve McQueen in un film: 'sembrava una buona idea, in
quel momento'".(ANSA).
Fonte
- ANSA
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MUTUI: MERRILL LYNCH; CRISI CREDITO STA CONTAGIANDO
CONSUMI
26 Gennaio 2008 15:01
ROMA - di
ANSA _________________________
(ANSA) - ROMA, 26 GEN -
La crisi del credito innescata dal dissesto dei mutui subprime
sta contagiando i consumi americani, mentre il taglio dei
tassi di interesse non fermerà l'ulteriore flessione dei
prezzi delle case. Questa la valutazione del numero uno di
Merrill Lynch, John Thain, che partecipa al World Economic
Forum di Davos. "I problemi nel mercato del credito stanno
contagiando il settore dei consumi - ha dichiarato Thain
secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg - ci aspettiamo una
nuova ondata di problemi sul versante del credito al consumo".
Un serio rischio per l'economia americana tenuto conto che i
consumi ne rappresentano un pilastro (incidono per i tre
quarti alla crescita del Pil Usa), e che le condizioni del
mercato immobiliare difficilmente miglioreranno nonostante le
contromisure adottate dalla Casa Bianca e dalla Federal
Reserve. Thain ha infatti spiegato che "il taglio dei tassi di
interesse e gli stimoli fiscali non freneranno la discesa dei
prezzi delle case" e di conseguenza il deterioramento del
mercato immobiliare "continuerà esercitare pressioni al
ribasso
Fonte
- ANSA
|
Recessione? What’s
recessione?
Monday, 28 January,
2008 by phastidio - di John Christian Falkenberg ________________________________________
Le turbolenze sui mercati
finanziari e le ripercussioni della crisi dei mutui subprime hanno
avuto un impatto limitato o addirittura nullo sulle imprese: a
dicembre, infatti, i prestiti alle società non finanziarie sono
saliti su base annua del 14,4% (contro il +14% di novembre),
segnando il maggior incremento dal lancio dell’euro. E’
quanto emerge dagli ultimi dati della Bce, che oggi ha reso noto un
rallentamento della massa monetaria, salita dell’11,5% annualizzato
lo scorso mese contro il +12,3% di dicembre. Si tratta di un
rallentamento più forte di quanto previsto dagli analisti, che si
attendevano un +12,2%. Il presidente dell’Eurotower, Jean-Claude
Trichet e il componente del board della Bce, Axel Weber, hanno nei
giorni scorsi messo in evidenza che l’istituto di Francoforte non
seguirà la Fed nel ridurre il costo del denaro per contrastare il
rallentamento economico. Sia Trichet sia Weber hanno
individuato in una forte crescita della massa monetaria una delle
ragioni per cui ci sono rischi al rialzo per l’inflazione.
L’andamento dei prestiti alle imprese non finanziarie, saliti in
dicembre del 14,4%, sembrerebbe in contraddizione con quanto emerso
dall’indagine della Bce sul credito delle banche, diffusa nei giorni
scorsi e che rivelava un irrigidimento delle condizioni del credito,
ma potrebbe trovare spiegazione nell’aumentato ricorso a linee di
credito bancario in sostituzione di emissioni obbligazionarie, in un
momento in cui quel mercato è ingessato. Nel dettaglio, la
decelerazione della crescita di M3 appare dovuta quasi
esclusivamente al rallentamento nella crescita dei depositi
overnight, dal 6,1 al 3,2 per cento mentre la crescita di M1 (cash e
depositi a breve) passa da più 6,3 a più 4 per cento annuale. Il
forte calo del tasso overnight a fine dicembre, dopo le forti
iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali, può aver
indotto le tesorerie ad allungare le scadenze degli impieghi,
frenando la crescita di M3. Ma, sulla scorta di questi dati,
appare assai prematuro parlare di clima pre-recessivo in Europa: le
ultime proiezioni della Bce, emesse a dicembre, ipotizzano una
crescita 2008 per l’area Euro-15 del 2 per cento, da 2,6 per cento
del 2007.
 |
Fonte
- Macromonitor |
USA:
PIL QUARTO TRIMESTRE CROLLA A +0.6% DA +4.9%
30 Gennaio 2008 14:30
NEW YORK - di
ANSA ______________________________________________
Frenata fortissima
della crescita economica americana, preavviso della recessione
in arrivo. Si tratta dell'aumento piu' fiacco degli ultimi 5
anni. Gli investimenti sul comparto immobiliare sono al minimo
degli ultimi 26 anni. Il Prodotto Interno Lordo Usa - un
dato che rappresenta il valore totale di tutti i beni e
servizi prodotti e venduti nel Paese - nel quarto trimestre
del 2007 ha registrato un aumento dello 0.6%. Si tratta del
piu’ contenuto aumento degli ultimi 5 anni. Lo ha
comunicato il Dipartimento del Commercio Usa.
L’indicatore, che rappresenta il dato preliminare, si e’
rivelato inferiore alle stime degli economisti che si
attendevano un avanzamento dell’1.2%. Il dato finale del terzo
trimestre si era attestato a +4.9%. Nel periodo
ottobre-dicembre sono rallentati la spesa e gli investimenti
aziendali; gli investimenti sul comparto immobiliare sono
calati al tasso piu’ marcato degli ultimi 26 anni. Anche le
esportazioni sono cresciute ad un tasso piu’ contenuto.
Nell'intero 2007 il Pil e’ cresciuto ad un tasso del 2.2%,
nell’anno precedente la crescita era stata pari a +2.9%.
L’indice "core" dei prezzi al consumo e’ cresciuto al
2.6%, in linea con le attese. I consumi personali sono
avanzati del 2%, al di sotto delle attese pari a +2.6%.
Fonte
- ANSA
|
TASSI USA: LA FED LI ABBASSA
DELLO 0.50%
30 Gennaio 2008 20:15
NEW YORK - di
WSI ______________________________________________
La Banca Centrale
americana ha abbassato il tasso sui fed funds di 50 punti base
al 3.00%. Si tratta del quinto taglio consecutivo in poco piu'
di 4 mesi. Rivisto al ribasso dello 0.5% anche il tasso di
sconto (3.50%). Il Federal Open Market Committee, il
braccio operativo della Federal Reserve, ha tagliato il costo
del denaro degli Stati Uniti di 1/2 di punto percentuale,
cioe' 0.50%. Il target sui fed funds scende dunque al 3.00%.
Si tratta del quinto taglio consecutivo dopo quello a sorpresa
della scorsa settimana che aveva portato i fed funds al 3.5% .
Nella riunione dello scorso 18 settembre Ben Bernanke e gli
altri nove governatori riuniti avevano abbassato i fed funds
di 50 punti base, al 4.75%; l’operazione e’ stata ripetuta
(con un taglio dello 0.25%) nell’incontro del 31 ottobre e in
quella dell’11 dicembre. In un'operazione collegata, il
Comitato dei Governatori (Board of Governors) ha anche
approvato all'unanimita' un abbassamento di 50 punti base del
tasso di sconto al 3.50%. Per i lettori di Wall Street
Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale
della Federal Reserve: Il Federal Open Market
Committee ha deciso oggi di abbassare il target sui fed funds
di 50 punti base al 3.00%. I mercati finanziari restano
sotto un considerevole stress, e l’accesso al credito si e’
ristretto ulteriormente per alcune aziende e per i
consumatori. Inoltre, le ultime informazioni indicano una
depressione della contrazione immobiliare cosi’ come un
indebolimento del mercato del lavoro. Il
Comitato si aspetta una moderazione dell’inflazione nei
prossimi trimestri, ma sara’ necessario continuare a
monitorare attentamente la dinamica dei prezzi. L’azione
odierna, combinata con le precedenti, dovrebbe promuovere una
moderata crescita economica nel tempo e mitigare i rischi
sull’attivita’ economica. Tuttavia, restano ancora alcuni
rischi per la crescita. Il Comitato continuera’ a monitorare
gli effetti finanziari e altri sviluppi sulle prospettive
economiche ed agira’ tempestivamente come necessario per
risolvere tali rischi. A votare a favore dell’azione di
politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke,
Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Donald L. Kohn;
Randall S. Kroszner; Frederic S. Mishkin; Sandra Pianalto;
Charles I. Plosser; Gary H. Stern; e Kevin M. Warsh. A votare
contro e’ stato Richard W. Fisher che avrebbe preferito non
modificare i federal funds rate in questo incontro. In
un'operazione collegata, il Comitato dei Governatori (Board of
Governors) ha approvato all'unanimita' un abbassamento di 50
punti base del tasso di sconto al 3.50%. Nel prendere questa
decisione, il comitato ha approvato le richieste formulate dai
Comitati dei Direttori (Boards of Directors) della Federal
Reserve Bank di Boston, New York, Philadelphia, Cleveland,
Atlanta, Chicago, St. Louis, Kansas City, e San Francisco.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la
decisione della Federal Reserve di tagliare il tasso
interbancario al 4.25%: The Federal Open Market Committee
decided today to lower its target for the federal funds rate
50 basis points to 3 percent. Financial markets remain
under considerable stress, and credit has tightened further
for some businesses and households. Moreover, recent
information indicates a deepening of the housing contraction
as well as some softening in labor markets. The Committee
expects inflation to moderate in coming quarters, but it will
be necessary to continue to monitor inflation developments
carefully. Today's policy action, combined with those taken
earlier, should help to promote moderate growth over time and
to mitigate the risks to economic activity. However,
downside risks to growth remain. The Committee will continue
to assess the effects of financial and other developments on
economic prospects and will act in a timely manner as needed
to address those risks. Voting for the FOMC monetary
policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F.
Geithner, Vice Chairman; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner;
Frederic S. Mishkin; Sandra Pianalto; Charles I. Plosser; Gary
H. Stern; and Kevin M. Warsh. Voting against was Richard W.
Fisher, who preferred no change in the target for the federal
funds rate at this meeting. In a related action, the Board
of Governors unanimously approved a 50-basis-point decrease in
the discount rate to 3-1/2 percent. In taking this action, the
Board approved the requests submitted by the Boards of
Directors of the Federal Reserve Banks of Boston, New York,
Philadelphia, Cleveland, Atlanta, Chicago, St. Louis, Kansas
City, and San Francisco.
Fonte
- WallStreetItalia.com
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