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INDICE ARTICOLI

PARTE 2

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Geo politica

E' uno psicopatico o tiene solo testa agli USA ?

Materie Prime

Materie Prime: non è una vera bolla, per ora....

Mercati finanziari

Chi ha perso e chi ha guadagnato con i crack

Finanza italiana

I ricchi figli di papà e l'affitto di Capitalia

Italia - socio-demografia del risparmio

Famiglie, debiti oltre i 400 miliardi

   

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+++ Continuano le agressioni in Iraq   +++   Dopo Nassirya uccisi anche due alpini   +++   Prodi: via dal'Iraq   +++

  Venerdì  5  maggio  2006   Sabato  6  maggio  2006   Martedì  30  maggio  2006  
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GR1 RAI - 02 MAG ore 22:00

   

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GR1 RAI - 03 MAG ore 23:00

   

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GR1 RAI - 08 MAG ore 22:00

   

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   E' uno psicopatico o tiene solo testa agli USA ?

01 Maggio 2006 Milano - di Franco Venturini

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Il vero mistero della questione iraniana si chiama Mahmoud Ahmadinejad. Lui minaccia di «cancellare Israele dalla carta geografica», lui ironizza pesantemente sull’Olocausto, lui esprime disprezzo verso l’Occidente e provoca persino la Russia, lui sfida le «inutili» decisioni dell’Onu e annuncia che l’Iran sarà presto una «superpotenza». Una definizione, questa di «superpotenza», che mal si attaglia alla nascita di un nucleare civile. E’ insomma lui, il Presidente, a dar l’impressione di voler essere attaccato da chi non accetta un Iran dotato dell’atomica. O per lo meno è lui, Ahmadinejad, a fare e a dire tutto il possibile per fornire munizioni ai falchi e rendere più probabile un ricorso alla forza.

Perché? Dal momento che Teheran non può ignorare quanto sia grande il potenziale militare americano - per parlare soltanto di quello - le possibili spiegazioni sono soltanto tre. E forse nascondono, tra un’asprezza e l’altra, gli ultimi spiragli disponibili per cercare davvero quella «soluzione diplomatica» che tutti affermano di auspicare.

La prima ipotesi è che Mahmoud Ahmadinejad sia semplicemente un fanatico ignorante delle cose del mondo e dunque incapace di valutare la portata del rischio, oppure pronto a correrlo in spregio della società che lo ha eletto. Il premier israeliano Olmert ha detto proprio ieri che Ahmadinejad è «uno psicopatico» che parla come Hitler. Può darsi, ma il poco che si sa dei suoi trascorsi non depone a sostegno di questa tesi.

La seconda possibilità è che Ahmadinejad non consideri attuabile un attacco. Che veda gli Usa prigionieri del pantano iracheno, che conti sulla opposizione all’uso della forza di Russia e Cina (e probabilmente di molti europei), che faccia leva sugli altrui interessi e sulle conseguenze che un blitz contro l’Iran potrebbe avere: il prezzo del petrolio alle stelle, una ulteriore fiammata terroristica senza frontiere, la rivolta in Iraq dei fratelli sciiti rimasi legati a Teheran, l’aggravamento dei problemi in Afghanistan, la destabilizzazione di governi arabi amici dell’Occidente a cominciare dall’Arabia Saudita e lo stabilimento così di una unità di azione con Al Qaeda.

Se di questo si tratta, ha ragione Shimon Peres quando dice che Ahmadinejad «rischia di fare la stessa fine di Saddam». Non perché l’Iran possa essere invaso come l’Iraq da truppe di terra, ma piuttosto perché la prospettiva di una proliferazione nucleare senza controllo innescata dalla paventata bomba iraniana rappresenta una «linea rossa» che la comunità internazionale (e tacitamente anche la Russia e la Cina) non si può permettere di superare. Come ha opportunamente ricordato Henry Kissinger, il gioco della deterrenza reciproca può funzionare quando i soggetti con il grilletto atomico sono pochi. Ma se diventassero molti sull’esempio iraniano (e nord-coreano) basterebbe un qualunque dottor Stranamore, ovunque nel mondo, a scatenare l’apocalisse. E questo gli Usa sono i primi (ma non gli unici, si pensi a Israele) a non poterlo consentire.

La terza ipotesi è che Ahmadinejad sia impegnato in una dura battaglia politica sul suo fronte interno, e che la questione nucleare sia diventata strumento di questa battaglia. Alì Khamenei, Rafsanjani, Khatami, tutti i nomi più noti della Nomenklatura religiosa sciita si sono schierati pubblicamente con Ahmadinejad e l’«irreversibilità» della sua corsa al nucleare dichiarato civile. Ma esistono indizi di una crescente difficoltà di rapporti tra il laico ex pasdaràn Ahmadinejad e i settori più conservatori del clero sciita (l’ultimo episodio riguarda il permesso alle donne, concesso dal Presidente, a recarsi allo stadio). Gli Ayatollah non gradirebbero il populismo di Ahmadinejad. Ahmadinejad utilizzerebbe il nucleare proprio per dare forza al suo populismo nazionalista.

E’ verosimile che ognuna delle tre interpretazioni contenga qualche granello di verità. Ma se a tutti risulta chiaro che il ricorso alla forza avrebbe conseguenze potenzialmente catastrofiche, come si può esplorare fino in fondo l’alternativa negoziale? In tempi recenti lo hanno indicato ufficiosamente gli europei, il senatore repubblicano Lugar e altri esponenti Usa, la Trilaterale, un gruppo di ex ministri degli Esteri che ha scritto a Bush: per scoprire le carte di Ahmadinejad e degli altri centri di potere iraniani prima di giungere a sanzioni non simboliche o all’ultima ratio del ricorso alla forza, bisogna che Washington parli con Teheran. Come si era concordato di fare sull’Iraq, prima che Ahmadinejad si ritirasse dal progetto. Tutto, il precedente iracheno visto oggi, la crisi di popolarità interna, l’opportunità di fare politica prima di fare la guerra, dovrebbe spingere Bush a provarci. E così ne sapremmo di più anche su Ahmadinejad.

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

   Materie Prime: non è una vera bolla, per ora....

30 Maggio 2006 Milano - Bloomberg - Borsa&Finanza

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Chi nel marzo 2000 ha avuto la fortuna di leggere il best seller di Robert Shiller e ha dato retta alla sua profezia sul crollo delle azioni della new economy, lo ringrazia ancora adesso. E soprattutto considera il docente di Yale un guru da ascoltare con attenzione. Oggi, i timori del professore riguardano soprattutto il mercato immobiliare. Ma anche sul boom delle commodity e i suoi effetti sulle Borse, la sua analisi merita di essere ascoltata.

Professor Shiller, partiamo dal mercato azionario. Sono passati sei anni dal picco del Nasdaq a 5.050 punti. È un tempo sufficiente per digerire gli eccessi di quella bolla oppure no? È difficile da dire. Non ho una visione chiara come quando scrissi Esuberanza Irrazionale. Dal 2003, i profitti aziendali sono saliti e il mercato ha reagito positivamente. Ma la mia impressione è che la risposta sia stata troppo favorevole.
Si può spiegare meglio? Tuttora i multipli di Borsa rimangono elevati. Ciò è particolarmente evidente quando si considera il rapporto fra prezzi e utili come faccio io, ossia dividendo le quotazioni per una media pluriennale degli utili. La prego però di non fraintendermi, le valutazioni sono ben al di sotto degli eccessi a cui si era arrivati nel 2000.
Dal punto di vista di noi europei, Wall Street è rimbalzata poco dal minimo del 2002-2003. Infatti è vero che il Dow è salito del 40%, ma nel è arretrato del 25-30% il dollaro. Che ne pensa? Questa è la ragione per cui io investo i miei denari più in Europa e nelle altre aree geografiche estere che in America. Invece di riprendere quota, il dollaro rischia una nuova scivolata. Perciò se fossi europeo, guarderei con un certo scetticismo agli asset denominati in dollari.

E delle materie prime cosa pensa? Riconosco alcuni pre requisiti caratteristici di una bolla speculativa, ma non me la sento al momento di definirla una bolla a tutti gli effetti. Alla fine degli anni ’90 la tesi universalmente accettata era che la nuova tecnologia informatica avrebbe rivoluzionato il mondo e avrebbe conosciuto una fioritura senza precedenti. In effetti era così. Il problema emerse quando gli operatori finanziari reagirono eccessivamente a una tesi d’investimento corretta, spingendo le azioni all’inverosimile. Le sembra di poter tirare un parallelo con quanto sta accadendo nei mercati delle commodity? La tesi d’investimento c’è, ed esercita una forte seduzione. È una tesi ampiamente riconosciuta: la crescita vertiginosa della Cina e dell’India gonfiano la domanda a un livello che l’offerta ha difficoltà a riequilibrare. Un’analisi corretta come lo era quella sulle nuove tecnologie informatiche.
E la prognosi è ugualmente infausta? Per ora posso solo dire che riconosco un ciclo di boom-scoppio, ma nutro diversi dubbi sul grado di avanzamento del modello.
Forse ci saranno altre gambe rialziste prima che la tendenza sia definitivamente ribaltata. Come negli anni ’70? La comparazione non è fuori luogo. Allora si pensava che l’espansione della popolazione mondiale avrebbe esercitato una pressione insostenibile sulle risorse del pianeta. Oggi, il problema ruota attorno alla modernizzazione di una metà del mondo finora rimasta ai margini dello sviluppo internazionale. In fondo, il tipo di paura è abbastanza simile.
Alcuni sostengono che il rialzo delle commodity è inarrestabile, così come la sete di petrolio delle nazioni emergenti. Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento? In astratto niente, in concreto dipende dalle azioni dei governi. Tenga pure a mente gli immani problemi ambientali, di surriscaldamento del pianeta legati a un uso massiccio dei combustibili classici. Alla fine bisognerà trovare una soluzione alternativa.
Quale? Non la conosco, ma non ha importanza. Esiste un ventaglio di alternative. Per esempio una strada praticabile è il nucleare. Una decisione netta in tal senso è in grado di ribassare già da oggi il prezzo dei combustibili sebbene i risultati concreti si vedrebbero solo fra diversi anni. Il mercato è un grande meccanismo di anticipazione del futuro. È sufficiente indicare con serietà una strada alternativa per allentare la pressione.

Parliamo infine del settore immobiliare. Lei ha parlato esplicitamente di bolla, almeno con riferimento a certe aree metropolitane americane ed europee. Conferma? Sì, lo confermo. Di fatto abbiamo sviluppato in cooperazione con il Chicago Mercantile Exchange un mercato future, partito lunedì 15 maggio, proprio relativo al prezzo degli immobili. Serve a consentire alle persone di coprirsi dai rischi inerenti le fluttuazioni immobiliari. Quali sono le città più vulnerabili a una correzione dei valori degli immobili residenziali? Qui in America, direi Boston, San Diego, Phoenix, Miami e Los Angeles. Le abitazioni pronte per la vendita si sono accumulate a un tasso preoccupante negli ultimi sei mesi. Ciò mi induce a pensare che il punto di svolta non dovrebbe essere lontano.
Quando lei pensa a una possibile correzione, di quale entità stiamo parlando? Naturalmente dipende dalle zone. Voglio fornirle però qualche esempio: fra il 1989 e il 1997, il prezzo medio reale di una casa nella zona di Los Angeles è sceso di circa il 40 per cento. In modo simile, fra il 1991 e il 1998 a Parigi si è registrato un ripiegamento, al netto dell’inflazione, del 43 per cento. Ecco, non mi stupirei di vedere qualcosa di simile nelle zone maggiormente coinvolte dalle ultime ondate di acquisti.


 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza

 

 

 

 

Est Europa: l’Europa dell’Est riprende la sua corsa

di MariaGrazia Briganti - 2006-05-09

È stata breve la battuta di arresto dei mercati dell'area. Fugati i timori circa la fine del rally, la nuova fiammata del prezzo del petrolio e alcuni dati macroeconomici positivi hanno ridato fiato alle attese sulle economie della regione. In luce la Borsa di Mosca e quella polacca, ai massimi storici.

Archiviata la parentesi sotto tono di febbraio, che aveva fatto temere l’inizio di prese di beneficio sui mercati dell’Europa dell’Est dopo tre anni di rally, l’indice Msci Eastern Europe Nd ha ripreso a correre. Nell’ultimo mese (dati al 5 maggio) il guadagno medio delle Borse della regione è stato infatti pari al 7,8%.

Bene soprattutto Mosca, Budapest e la Borsa polacca, mentre il listino turco ha subito una battuta di arresto. In calo di oltre il 2% ha invece archiviato l’ultimo mese l’indice della Borsa di Praga. Diversi i temi che hanno sorretto o penalizzato i vari listini.

A influenzare trasversalmente tutte le economie restano le incognite legate all’aumento dei tassi negli Usa, oltre alla stretta monetaria messa a segno in Cina, che ha provocato una correzione sui listini emergenti alla fine di aprile.

Nel dettaglio, è stata ancora la Borsa di Mosca la migliore area di investimento dell’Europa orientale. Beneficiando della nuova impennata nei prezzi di petrolio, l’indice RTS ha guadagnato oltre il 17% nell’ultimo mese, trainato dalle quotazione dei petroliferi Lukoil, Surgutneftegas e soprattutto Gazprom.

La società, che detiene il 16% delle riserve di gas mondiale, ha decuplicato la sua capitalizzazione e vale oggi 300 mld, collocandosi al terzo posto al mondo dietro a Exxon mobil e General Elecric. Morgan Stanley Capital International ha annunciato che aumenterà già a maggio il peso del titolo nell’indice MSCI Emerging Markets portandolo dallo 0,38% al 2,45%.

Il mercato russo ha dunque continuato a beneficiare dell’abbondante liquidità che dall’estero continua ad affluire nel Paese, anche dopo la tornata elettorale del 12 marzo scorso, che ha sancito la conferma di “Russia Unita” e lanciato un segnale positivo nei confronti di Putin e del suo governo. Dal punto di vista macroeconomico, il Paese viaggia su ottimi livelli di crescita, con il Pil che e' salito del 4,4% nel primo trimestre dell’anno e del 5,4% nel solo mese di marzo.

Anche in Ungheria, dove il Bux ungherese ha guadagnato il 7,8% nell’ultimo mese, si sono svolte le elezioni parlamentari e, anche qui, i cittadini hanno confermato la coalizione già esistente, guidata dal partito socialista (MSZP). Tuttavia, a prescindere dall'esito elettoreale, l’Ungheria è un Paese che guarda all’Europa comunitaria. Dopo l’annessione all’Ue, il governo di Budapest stima di adottare la valuta comunitaria entro il 2010, pur restando sotto osservazione soprattutto a causa di un elevato debito pubblico.

Le materie prime hanno messo le ali anche all’indice principale della Borsa polacca, il WIG20 che nell’ultimo mese ha guadagnato oltre il 10% e toccato i massimi storici nei primi giorni di maggio (+20,3% da inizio anno). L’aumento del prezzo del rame ha spinto ai massimi la blue chip KGHM Polska Miedz che ha rivisto al rialzo le sue stime di utili per il 2006, che dovrebbero raddoppiare nel corso dell’anno. Bene anche la petrolifera Pekao.

A non brillare è stato il mercato turco. L’Ise 100 ha chiuso l'ultimo mese con un +0,33%, portando al 14% il rialzo da inizio anno. Oltre alle difficoltà cui potrebbe andare incontro la Turchia a seguito di ulteriori aumenti dei tassi di interesse, gli investitori sono preoccupati del difficile equilibrio politico. Il Paese rischia di andare all'elezioni anticipate e di aumentare il disavanzo pubblico a causa di spese elettorali troppo generose.

Tra i segni negativi, l’indice di Praga ha perso il 2%. A pesare sull’indice principale, il PX, sono state soprattutto le perdite di Ceske Energeticke Zavody, il maggior titolo del listino, penalizzato dalla crisi del comparto delle utilities a livello europeo.

 

Fonte - Morningstar.it

 

 

Risorse Naturali: Oro e petrolio, il mese dei record

di Sara Silano - 2006-05-15

Tensioni internazionali, timori di inflazione e flussi di liquidità dai fondi sostengono le quotazione delle materie prime. E i titoli del settore mettono le ali nell’ultimo mese, ma i mercati azionari guardano con preoccupazione al caro-greggio.

Oro giallo e nero hanno inanellato una serie di record nell’ultimo mese. Il contratto Brent ha superato i 70 dollari al barile per la prima volta sul mercato londinese, mentre il Wti è volato fino a toccare i 75 dollari sul New York mercantile exchange. Si è impennato anche il prezzo del metallo prezioso, portandosi sopra i 730 dollari l’oncia. Entrambe le materie prime hanno poi ripiegato dai massimi, pur mantenendosi su livelli elevati.

I titoli del settore si sono mossi di pari passo. L’indice Msci World materials ha guadagnato il 3,7% nell’ultimo mese (al 12 maggio), portando al 16% il rialzo da inizio anno. Ne hanno beneficiato i listini che hanno panieri ricchi di compagnie petrolifere e minerarie, in particolare nei Paesi emergenti. Nel complesso, però, il caro-greggio ha penalizzato i mercati azionari, per via delle preoccupazioni di un rallentamento dell’economia.

Alla base della crescita delle quotazioni del greggio ci sono le tensioni tra Iran e Stati Uniti sul nucleare e i disordini in Nigeria. Sono stati altalenanti, invece, i dati sulle scorte statunitensi, a cui i mercati sono molto sensibili. Gli ultimi hanno mostrato a sorpresa un aumento degli stock di benzina, per la prima volta da due mesi, riportando un po’ di ottimismo sui mercati, anche se gli analisti sono convinti che non si tratti di un’inversione di tendenza, perché restano irrisolti i problemi di fondo di un rapporto tra la produzione e il consumo vicino al pareggio.

Nel World economic outlook, il periodico rapporto sull’economia mondiale, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha fatto notare che i mercati delle opzioni indicano un rischio al rialzo delle quotazione con una probabilità del 15% di vedere i prezzi sopra gli 80 dollari al barile entro la metà del 2006. L’Fmi stima una quotazione media di 61,25 dollari nel 2006 e di 63 nel 2007.

L’oro, che si è spinto ai livelli più elevati degli ultimi 26 anni, non è stato l’unico metallo prezioso ad apprezzarsi nell’ultimo mese. Anche argento, platino e palladio hanno macinato record. Oltre alle tensioni internazionali, altre cause del rialzo sono l’indebolimento del dollaro e i timori di inflazione generati dal caro-greggio. Il rincaro dell’oro, che da inizio anno è stato del 46%, beneficia i produttori e gli investitori, ma penalizza i trasformatori, tra cui aziende ed artigiani orafi italiani.

L’aumento delle quotazioni di oro giallo e nero non è legato solo a fattori economici e politici, ma anche ai forti acquisti di materie prime da parte dei fondi d’investimento, i quali a partire dal 2005 hanno fatto affluire forti flussi di liquidità verso questo settore, una tendenza che non accenna a diminuire.

 

Fonte - Morningstar.it

 

 

Borse dell'Europa dell'Est: Profondo rosso, crash a Mosca

22.05.2006 h. 21.00 - Berlino

Seduta drammatica per tutte le principali Borse dell'Europa dell'Est. I timori degli investitori legati ad un possibile ulteriore aumento dei tassi d'interesse e il crollo dei prezzi delle materie prime hanno fatto scattare oggi una pioggia di vendite su tutti i mercati azionari dei paesi emergenti. Dopo il rally degli scorsi mesi la Borsa di Mosca ha registrato una delle peggiori sedute della sua storia.

L'indice RTS-Interfax ha perso a Mosca ben il 9,1% a 1318,50 punti. Un vero crash. I volumi di scambio sono esplosi rispetto a venerdì scorso e sono stati molto alti. Tutte le blue chips sono andate letteralmente a picco. LUKoil (RU0009024277) ha perso l'8,9%, Surgutneftegas (RU0006936028) il 14,9%, Norilsk Nickel (RU0007288411) il 12,9%, EESR Rossii (RU0008959655) il 9% e Sberbank (RU0009029540) il 12,5%. Seduta da dimenticare anche per Gazprom (RU0007661625). Il titolo del colosso del gas ha perso a Mosca il 12,2% e a San Pietroburgo il 12,5%.

Il BUX a Budapest ha perso il 3,9% a 21351,83 punti. MOL (HU0000068952) ha potuto limitare le perdite. Il titolo della principale impresa petrolchimica ungherese ha perso solo lo 0,3% mentre le altre blue chips sono crollate. OTP Bank (HU0000061726) ha perso il 4,7%, Magyar Telekom (HU0000016522) il 6,7% e Gedeon Richter (HU0000067624) il 5,7%.

Il PX a Praga ha chiuso in ribasso del 5,9% a 1345,70 punti. Tra i titoli principali il peggiore è stato Unipetrol (CZ0009091500): -13,3% a CZK 209,40. Ceske Energeticke Zavody (CZ0005112300) ha registrato invece tra i titoli di maggior peso le minori perdite chiudendo in ribasso di solo il 3,3%.

Il WIG a Varsavia ha perso il 5,4% a 40384,46  punti. I titoli legati alle materie prime hanno accelerato al ribasso.  PKN Orlen (PLPKN0000018) ha perso il 6,3%, Polish Oil & Gas (PLPGNIG00014) il 3,7% e KGHM Polska Miedz (PLKGHM000017) il 9,5%.

 

Fonte - Borsa Inside

 

 

 

 

 

. Venerdì  12  maggio  2006   Sabato  20  maggio  2006   Venerdì  19  maggio  2006  
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   Chi ha perso e chi ha guadagnato con i crack

16 Maggio 2006  Torino - di *Beppe Scienza 

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Il pericolo, dove uno meno se l’aspetta. Si spiegano così le reazioni degli obbligazionisti dei bond argentini, Cirio e Parmalat. Risparmio gestito e previdenza privata provocano ogni anno danni ben maggiori a milioni d’investitori, che però non protestano con la stessa veemenza. Forse perché non se ne accorgono.

Il punto è che per trovare in Italia un altro caso di obbligazioni non rimborsate bisognava risalire alle Liquigas nel 1980. Il che significa che i risparmiatori erano abituati a ignorare i rischi d’inadempienza nel reddito fisso. Impostazione giusta per i titoli pubblici e tutto sommato anche quelli bancari. Non altrettanto per le obbligazioni piazzate, spesso con insistenza, dalle banche, come gli italiani hanno riscoperto a loro spese grazie a quelle insolvenze succedutesi, una all’anno, dal 2001 al 2003.

Due fatti rendono il discorso attuale. Da un lato i prezzi delle azioni assegnate agli obbligazionisti della vecchia Parmalat, risaliti sopra i 2,6 euro. D’altro lato l’ultima trovata della Task Force Argentina (Tfa): a quanti sono rimasti invischiati nelle vecchie obbligazioni essa proponeva di aderire entro venerdì scorso a un ricorso allo Icsid, un organismo internazionale praticamente privo di poteri.

Cifre in libertà. Sulle dimensioni delle perdite subite dai risparmiatori italiani se ne sentono di tutti i colori. Un esempio è il recente rapporto "Il risparmio punito" dell’Eurispes, dell’aprile 2006. Vi si legge che subito dopo il default, collocato erroneamente nel 2002, le obbligazioni dell’Argentina persero ogni valore; invece valevano 40. Oppure che il crac Cirio pesò sui risparmiatori per quattro miliardi, quando tutte le obbligazioni del gruppo ammontavano a circa uno. Così facendo e così sbagliando, il rapporto arriva a una perdita di 20 miliardi, doppia rispetto a quella vera.

Lo battono però alcune associazioni di consumatori, che straparlano di perdite di 50 miliardi, conteggiando gli scandali Bipop, Banca 121... e forse anche il terremoto del Belice. Valutando i tre crac ai prezzi attuali dei titoli tenuti o ricevuti, si arriva comunque a circa 10 miliardi. Si veda la tabella in pagina e, per le fonti e la metodologia, il sito Internet del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.

In ogni caso si debbono considerare solo le perdite degli obbligazionisti e non quelle di capitale di rischio. Rispetto a quale prezzo si potrebbero poi valutare le perdite degli azionisti Cirio o Parmalat? Rispetto ai massimi storici, ai minimi prima della sospensione, alla media degli ultimi 43 mesi?

Forti squilibri. Gli obbligazionisti Parmalat hanno ricevuto azioni e qualche warrant. I recenti recuperi hanno migliorato un poco la loro situazione. A parte i warrant, con le emissioni quotate in Italia il recupero è del 15%, con le principali euroobbligazioni del 33%. I più fortunati hanno addirittura guadagnato dal default: chi aveva le Parmalat Soparfi 12122022 è arrivato al 120%!

Analogo il discorso per la Cirio, andata in liquidazione anche per l’opposizione delle associazioni di consumatori. A parte comportamenti indecenti di varie banche che la magistratura sta portando alla luce, con le emissioni più bistrattate si dovrebbe recuperare un 3% (!), mentre le Del Monte Finance valgono oltre 80.

Quote di recupero così diverse sono dipese dalle singole situazioni societarie delle società emittenti, pur dello stesso gruppo. Ben differente la situazione degli obbligazionisti dell’Argentina o della Provincia di Buenos Aires. Tranne limitati vantaggi per i piccoli risparmiatori, tutti hanno recuperato nella stessa misura.

Tutti tranne quei circa 250 mila poveretti che hanno dato retta alla Task Force Argentina, alla ditta Altroconsumo e a molte associazioni di consumatori. Eppure era chiaro che conveniva accettare il concambio proposto da Buenos Aires, come analizzato più volte su Repubblica. Chi l’ha fatto, adesso ha circa 54 euro ogni cento di valore nominale dei vecchi titoli. Gli altri si ritrovano col cerino acceso in mano. Ora come ora, ma non si sa ancora per quanto, possono realizzare circa 28 euro. In futuro forse nulla. Quasi nessuno lo dice, ma quei consigli guerrafondai hanno provocato ai risparmiatori italiani un danno aggiuntivo di circa 1,6 miliardi di euro. Circa il doppio delle perdite subite da tutti gli obbligazionisti Cirio.

Fonte - La Repubblica - Affari & Finanza

 

 

 

   Le cene tra Fazio, Fiorani e i corrotti

19 Maggio 2006 Milano - di (ANSA)

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L'ex ad di Bpi, Gianpiero Fiorani, ricostruisce in modo diverso dall'ex governatore della Banca d'Italia il ruolo di Antonio Fazio nel tentativo di scalata ad Antonveneta (l'incidente probatorio disposto dai magistrati milanesi che, sulla scorta delle dichiarazioni dell'ex banchiere ritengono Fazio il 'regista' dell'operazione servirà anche a a verificare le contraddizioni tra i due).

Preso atto delle dichiarazioni di Fazio, nell'interrogatorio del 29 marzo scorso Fiorani spiega: "...mi dispiace molto di doverle contraddire in larga parte. Intanto io confermo integralmente le mie dichiarazioni comprese le rettifiche che ho fatto oggi e quanto ho dichiarato anche ai Pubblici Ministeri dei procedimento Hdc", un altro procedimento in cui Fiorani è indagato a Milano.

"Per essere più chiaro - dice Fiorani - vorrei cominciare dagli incontri presso l'abitazione del Governatore. Si è trattato di incontri molteplici e frequenti. Quanto in particolare a quelli ai quali erano presenti anche Grillo e/o Tarolli (all'epoca parlamentari, non indagati nell'inchiesta milanese ndr) ritengo di poter fare ulteriori precisazioni e fornire all'Ufficio elementi per poterli meglio riscontrare".

"Io raggiungevo, su invito della sig.ra Rosati (moglie di Fazio ndr) l'abitazione del Governatore con l'autovettura di servizio di EFI banca alla cui guida c'era quasi sempre l'autista di nome Marco - prosegue -. Erano incontri di tipo conviviali. La cena era organizzata personalmente dalla sig.ra Cristina. I posti a tavola erano quasi sempre gli stessi: il Governatore a capo tavola, alla sua destra Grillo o Tarolli ed io a fianco ad uno di loro.

La sig.ra Cristina per un po' era a tavola per un po' in cucina. Le figlie di Fazio prendevano parte spesso solo all'inizio della cena e poi andavano via. Gli argomenti di discussione erano tanti. Ma nel periodo che va dal 19 gennaio fino ai primi di marzo, l'argomento che era sempre all'ordine del giorno era il 'ddl risparmio'. Io, Grillo e Tarolli, parlavamo di quanto era stato da ciascuno rispettivamente fatto per conquistare consensi. Alla precisa domanda del pm, Fiorani risponde: "Io non ho mai detto in queste cene né mai l'ho riferito a Fazio in altra occasione di aver pagato anche delle tangenti. In quelle cene non sarebbe poi stato proprio il caso visto che Grillo era uno dei percettori delle tangenti".

Fonte - ANSA

 

 

 

 

Mercoledì  10  maggio  2006 . Sabato  20  maggio  2006   Sabato 27  maggio  2006
   
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   I ricchi figli di papà e l'affitto di Capitalia

7 Maggio 2006  Roma - di Giulio Cardone

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Tutto cominciò nel 2000. Erano gli anni delle sette sorelle, Lazio e Parma frequentavano il salotto buono del calcio italiano e i rampolli dei due padroni, Andrea Cragnotti e Francesca Tanzi, decisero di fondare la General Athletic. Con loro c´era Chiara Geronzi, figlia del presidente di Capitalia: i tre si dividevano il 20 per cento della società, che inizialmente doveva occuparsi più di eventi e diritti d´immagine dei calciatori che di procure e mercato. L´altro 40 per cento era di Romafides, fiduciaria del gruppo Capitalia. Con quei cognomi, fu subito facile intuire che la giovane società avrebbe acquisito un ruolo rilevante nel mondo del pallone. Tanto più che l´8 ottobre 2001 la General Athletic si fonde con la Football Management di un altro figlio d´arte, Alessandro Moggi (60 per cento), e di Franco Zavaglia (40 per cento).

Così nasce la Gea World: le due società detengono il 45 per cento, l´altro 10 è di Riccardo Calleri, anche lui figlio di un (ex) presidente. Il mondo dei procuratori trema, la nuova scuderia in poco tempo ingaggia purosangue come Nesta, strappato a Canovi che molto se ne lamenterà, Di Vaio, Materazzi, Mutu, Oddo, Giannichedda, Tacchinardi, Liverani. Diventeranno circa 200 giocatori, tra l´invidia degli altri manager, accuse feroci, polemiche roventi. La tattica, inizialmente, è di non rispondere alle esternazioni di chi protesta, dei colleghi più anziani che sentono puzza di monopolio. Lavorano in silenzio.

Arrivano a ingaggiare 12 allenatori, tra cui Guidolin, Del Neri, De Canio, Agostinelli. C´era anche Mancini, fino a due anni fa. E nell´agosto 2003 ha lasciato l´agenzia dei figli eccellenti Giuseppe De Mita, per diventare direttore generale della Lazio. Nella Gea aveva la stessa carica, con Moggi jr presidente subentrato a Chiara Geronzi; Riccardo Calleri il vice, Zavaglia l´amministratore delegato. Dello staff fa parte anche Davide Lippi, figlio del ct. Ogni giocatore che entra nella scuderia viene rappresentato dalla Gea, certo, ma seguito in particolare da uno dei giovani manager. Si cura nei dettagli l´immagine degli assistiti, si procurano sponsor e spot. E si continua ad organizzare eventi di successo come l´Expogoal a Milano. Nel 2004, il giro d´affari è di 3,4 milioni di euro. Con la Juventus di Moggi sr, nel secondo semestre del 2005, la Gea fattura servizi per 970mila euro.

E´ un affare anche la sede, in vicolo Barberini al centro di Roma: il proprietario dell´appartamento è la Banca di Roma di Geronzi. La figlia Chiara, allora presidente della General Athletic, firma un vantaggioso contratto d´affitto nel gennaio 2001 a poco più di dieci euro al metro quadrato, in tutto fanno 1.877 euro al mese. Poche settimane dopo, prima che nasca la Gea World, Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti lasciano: al loro posto, Oreste Luciani e il notaio Salvatore Mariconda. Il 28 febbraio 2005 la General Athletic (72 per cento di Chiara Geronzi, 28 per cento di Calleri jr) è stata messa in liquidazione. Il mese prossimo, assicura Zavaglia, si scioglierà anche la Gea World. I figli eccellenti continueranno da soli, ognuno per conto suo.

Fonte - La Repubblica

 

 

 

   In Vaticano i fondi neri della GEA

19 Maggio 2006  Roma - di Marino Bisso e Corrado Zunino

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Fondi neri della Gea World e conti bancari segreti in Vaticano. Milioni di euro provenienti da operazioni di calciomercato, spariti poi dai bilanci della società di collocamento calciatori presieduta da Alessandro Moggi e amministrata da Franco Zavaglia. I pm romani Luca Palamara e Maria Cristina Palaia stanno concentrando la loro inchiesta sul denaro che da vicolo Barberini, sede della Gea a Roma, porterebbe allo Ior, l´Istituto per le opere di Religione, banca del Vaticano dal 1941. Secondo gli inquirenti molti capitali sarebbero stati depositati proprio nella banca vaticana.

S´apre, così, uno scenario da alta finanza che potrebbe spingere i magistrati romani a ipotizzare nuovi reati come falso in bilancio e riciclaggio. Per la Procura esisterebbe una contabilità occulta della Gea World, società di cui Chiara Geronzi, figlia del presidente di Capitalia, è maggiore azionista con il 32,4%

Già in passato la procura romana si era occupata di doping amministrativo e di un filone legato alla Juventus di Antonio Giraudo e Luciano Moggi, poi stralciato e trasmesso ai pm di Torino che ora indagano, proprio, per frode fiscale. E anche in quel caso la guardia di finanza aveva ipotizzato l´esistenza di conti all´estero dove trasferire le alte percentuali - dal 5% al 15% - incassate dalla Gea per la cessione dell´ampio parco giocatori sotto controllo (262). Le indagini della finanza, ma anche quelle dei carabinieri del nucleo operativo romano, hanno fatto emergere la cessione sospetta del centrocampista Fabio Liverani, passato dal Perugia alla Lazio di Cragnotti nel settembre 2001 per volontà di Cesare Geronzi.

La cifra fu stabilita - secondo il racconto di Luciano Gaucci - da Geronzi padre: 25 miliardi di lire. Tre miliardi e 750 milioni, rivelò l´ex presidente del Perugia ora latitante a Santo Domingo, «li consegnai nella sede della Gea a Chiara Geronzi. Quattro, cinque viaggi con le valigette con i contanti. Era la percentuale in nero». Di quel pagamento, oggi, la procura cerca traccia. Gli inquirenti ritengono le dichiarazioni di Gaucci e dei suoi figli «di alto valore». E anche la vendita di Nesta al Milan, nell´agosto 2002, presenta vuoti finanziari su cui si sta lavorando.

Le ultime dichiarazioni di Rosella Sensi, amministratore della Roma, hanno aiutato a definire il grande intreccio tra business dei diritti televisivi e calciomercato: la chiave per entrarci è stato il caso Emerson e adesso si scopre che una parte dei soldi di quel trasferimento potrebbe non essere stata dichiarata. Dietro quella trattativa c´erano l´Italpetroli di Franco Sensi e nuovamente Capitalia. Ma sui conti esteri della "cupola" aveva già aperto uno squarcio Giuseppe Gazzoni Frascara, ex patron del Bologna fallito dopo l´ostracismo del palazzo del calcio. «Girano molti soldi, estero su estero», aveva detto nel 2004 ai pm romani. Poi l´ha ribadito alla Procura di Napoli (...).

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

Venerdì  12  maggio  2006   Lunedì  22  maggio  2006   Venerdì  26  maggio  2006
   
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   Famiglie, debiti oltre i 400 miliardi

15 Maggio 2006  Roma

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Gli italiani sono un popolo sempre più indebitato. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, pubblicati nel supplemento al Bollettino statistico di maggio, nel marzo scorso il totale dei prestiti concessi ha superato la soglia dei 400 miliardi di euro, toccando quota 403,8 miliardi, in aumento del 12,8% rispetto a ai 357,9 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. L´incremento è significativo anche nel confronto con i 397,4 miliardi di febbraio: in un solo mese i prestiti sono infatti aumentati dell´1,6%.

A registrare l´ennesimo boom è soprattutto il credito al consumo, che si sta allargando a macchia d´olio per le poche disponibilità finanziarie delle famiglie ma anche per il diffondersi di offerte sempre più vantaggiose. Gli acquisti si fanno quindi con i prestiti: a marzo ammontavano ad oltre 45,8 miliardi di euro contro i 39,5 del 2005. E a crescere sono soprattutto i crediti superiori ai 5 anni: in base ai dati raccolti da Bankitalia, a marzo i prestiti concessi da banche e società finanziarie erano in totale pari a 17,2 miliardi di euro, il 36,5% in più rispetto ai 12,6 miliardi dello stesso mese del 2005.

Ma a pesare sui portafogli degli italiani sono anche i prezzi astronomici delle case. I prestiti oltre 5 anni per l´acquisto di abitazioni, si legge tra i dati del Bollettino, ammontavano a marzo scorso a circa 221 miliardi, con un aumento del 2% rispetto a febbraio e del 20,2% rispetto a marzo 2005. Fortemente preoccupati i consumatori del Codacons secondo cui «l´indebitamento degli italiani è preoccupante e rischia di portare al fallimento i bilanci di migliaia di famiglie».

 

Fonte - La Repubblica