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CRISI MUTUI: BCE,SI' CONTROPARTE
CENTRALE CREDIT DEFAULT SWAP
03 Novembre 2008 17:24 ROMA
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 3 NOV - La Banca
centrale europea, che oggi ha ospitato un incontro dei
principali portatori d'interesse sui credit default swap, è a
favore dell'istituzione di una controparte centrale per gli
scambi di questi prodotti finanziari strutturati. Lo comunica la
Bce in una nota, in cui l'istituto di Francoforte spiega di
condividere "l'opinione del Financial Stability Forum e della
Commissione europea sull'importanza del ridurre il rischio di
controparte e aumentare la trasparenza dei derivati 'over the
counter', specialmente nei prodotti di importanza sistemica,
come i derivati del credito e in particolare i credit default
swap". La Bce - si legge nella nota - ritiene che ci siano
"molte iniziative per conseguire questi obiettivi attraverso
l'introduzione di soluzioni centralizzate di compensazione", e
che l'istituzione di una controparte centrale possa "ridurre il
rischio di controparte, aumentare l'integrità e trasparenza del
mercato e standardizzare i criteri per valutare l'esposizione al
rischio". (ANSA).
Fonte
- ANSA
CRISI MUTUI:
STRAUSS-KHAN, RISORSE FMI FORSE INSUFFICIENTI
03 Novembre 2008 19:58 NEW YORK
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 3 nov - Il
Fondo Monetario Internazionale potrebbe avere bisogno di risorse
economiche maggiori: "Probabilmente dovremo sostenere la
crescita. In questo caso, le attuali risorse del Fondo
potrebbero non essere sufficienti", spiega il direttore
dell'istituto di Washington, Dominique Strauss-Khan.
Un'affermazione che segue quanto dichiarato dal premier
britannico Gordon Brown che, nel corso della sua quattro giorni
nei paesi arabi, ha invitato Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti
e Qatar a contribuire al sostegno delle casse del Fmi in un
periodo in cui la crisi economica si sta accentuando. Al Fondo
potrebbero essere necessari - ha spiegato Brown, invitando i
sauditi a rimpinguare le casse del Fmi - centinaia di miliardi
di dollari in più: le difficoltà dei paesi colpiti dalla crisi
potrebbe accentuarsi e quindi all'istituto potrebbero servire
più fondi. Ma non tutti sono d'accordo. "Non vedo alcuna ragione
per cui alcuni paesi dovrebbero apportare nuove risorse al
Fondo", sottolinea Mark Weisbrot, co-direttore del Center for
Economic and Policy Research, secondo il quale "non è un segreto
per nessuno che il Fmi è governato, dal momento della sua
creazione, dal Dipartimento del Tesoro americano". (ANSA).
Fonte
- ANSA
Bce: Trichet motiva il taglio dei
tassi
06 Novembre 2008 15:02
FRANCOFORTE
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - FRANCOFORTE, 6 NOV - Il
presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, e'
intervenuto dopo il taglio dei tassi d'interesse al 3,25%. 'Le
prospettive di stabilita' dei prezzi - ha spiegato - sono
migliorate ulteriormente e le aspettative inflazionistiche
continueranno a scendere'. Ma 'le incertezze legate alla crisi
creditizia - ha sottolineato il presidente della Bce - rimangono
straordinariamente alte e sfide eccezionali ci aspettano'. Il
consiglio direttivo della Bce - ha rivelato Trichet - oggi ha
anche discusso un taglio dei tassi da tre quarti di punto,
decidendo poi per mezzo punto percentuale. 'L'inflazione - ha
detto ancora il presidente della Bce - dovrebbe continuare ad
allentarsi nei prossimi mesi fino a raggiungere livelli
compatibili con la stabilita' dei prezzi nel 2009'. La Bce
considera' il 2% come soglia desiderabile per la stabilita' dei
prezzi.(ANSA).
Fonte
- ANSA
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Borse
di nuovo in crescita con denaro a
costo zero
09 Novembre 2008 15:53 MILANO - di Giuseppe Turani
________________________________________
Oggi le Borse sembrano un
lungo cimitero che circonda tutto il pianeta, e solo i giornali
specializzati ne parlano ancora. Sembrano appartenere a
un´altra epoca storica i tempi in cui Tiscali valeva in Piazza
Affari più della Fiat e in cui c´era gente che lasciava il lavoro
(per sempre) perché aveva guadagnato così tanto con i titoli della
new economy da non aver più bisogno di recarsi in ufficio.
La spiegazione di tutto ciò
è abbastanza semplice. Oggi, dopo quello che è successo sui mercati
finanziari, la propensione al rischio (come direbbero gli
economisti) è praticamente zero. Questo vale tanto per i
grandi finanzieri (esistono ancora, anche se al momento sono
nascosti dietro i cespugli) quanto per i piccoli risparmiatori.
Nessuno ha più voglia di rischiare niente e quindi tutti a mettere i
soldi (pochi o tanti) su titoli obbligazionari (preferibilmente di
Stato), anche se rendono poco.
Ma è possibile che questo
scenario cambi abbastanza in fretta. Dai mercati, ad esempio, arriva
insistente la voce che il tentativo di organizzare un rally di fine
anno (che dovrebbe partire fra non molto) ci sarà sul serio. E
questo perché tutti i gestori di patrimoni (che attualmente stanno
perdendo, per conto dei loro clienti, dal 60 per cento in su) hanno
voglia di rifarsi e di presentarsi al rendiconto di fine anno con
perdite un po´ più contenute. Poter dire a un cliente che gli
hanno bruciato il 30 per cento dei risparmi è sempre meglio che
dirgli che gli hanno bruciato il 60 o il 70 per cento dei capitali
affidati loro, pensano.
Ma non si tratta solo di
questo. È l´evolversi delle cose che finirà per riportare la
gente verso i mercati (con listini quindi in rialzo). Capire perché
non è difficile.
In tutti i luoghi del mondo
per contrastare la crisi finanziaria (e quella dell´economia reale)
le varie banche centrali stanno abbassando drasticamente il costo
del denaro. Negli Stati Uniti, che hanno il mercato e la
banca centrale più importante, il costo "ufficiale" del denaro è già
stato portato all´1 per cento (ben al di sotto dell´inflazione). In
Europa siamo sopra il 3 per cento, ma si sa già che entro l´estate
del 2009 si dovrà arrivare al 2 per cento.
In sostanza, se ci si riflette un po´, si vede che ovunque il costo
del denaro finirà al di sotto dell´inflazione. In termini reali,
cioè, il denaro non costerà niente.
E questo, nella mente dei banchieri centrali e delle autorità di
governo, dovrebbe servire (unitamente a altre misure) a rilanciare
l´economia. Nessuno, ovviamente, contesta questi tagli nel costo del
denaro. Anzi, semmai si rimprovera con toni molto aspri la Banca
centrale europea per via della sua eccessiva timidezza nel
maneggiare la scure. Il taglio dei tassi, comunque, se da un lato
aiuta l´economia a riprendersi, ha anche una specie di faccia
oscura, quella di cui si parla meno.
Con il denaro che costa l´1
o il due per cento gli interessi pagati sulle obbligazioni pubbliche
(Bot e simili) non possono essere molto elevati, al massimo uno o
due punti percentuali. In sostanza, nel giro di qualche mese la
gente scoprirà che sui propri soldi, investiti a rischio zero su
titoli di Stato, si porta a casa un interesse che copre appena
l´inflazione. In qualche caso, dedotte le imposte e le spese di
commissioni, non si porta a casa proprio niente.
In queste condizioni, e
soprattutto se intanto la situazione generale avrà dato segni di
stabilizzazione (niente più crolli di banche, niente più fallimenti
di hedge fund, ecc.), i risparmiatori poco a poco riscopriranno la
propensione al rischio persa per strada durante questa terribile
crisi. E quindi torneranno a puntare sulle Borse, cioè sui
titoli azionari, nella speranza di ricavare qualche guadagno in più.
Giorno dopo giorno finirà per crearsi una sorta di onda che avrà
come risultato quello di portare in su i listini e di ricreare la
moda delle Borse. In pratica nel corso del 2009 assisteremo alla
loro resurrezione.
E questo non per meriti propri, ma per assoluta mancanza di
concorrenti. I titoli di Stato finiranno per fornire rendimenti
sempre meno interessanti mentre il denaro in circolazione è tanto e
è anche abbastanza assetato di guadagni (soprattutto perché nel 2008
ha dovuto mandare giù perdite da incubo). Anni fa un agente di
cambio di Piazza Affari aveva commentato uno dei tanti crolli di
Borsa di allora con una battuta cinica ma vera: «I crolli sono
salutari, così la media borghesia avida e risparmiatrice si rimette
al lavoro e nel giro di qualche anno è pronta per un nuovo rialzo
perché ha di nuovo i soldi in mano».
Adesso, rispetto a quei tempi, non c´è nemmeno bisogno di mettere da
parte i soldi, ci sono già (hanno provveduto le banche centrali a
riempire il mondo di liquidità). Tutto quello che serve per vedere
la Borse rinascere è solo un minimo di tranquillità (politica e
finanziaria). Poi, la propensione al rischio si riformerà nel giro
di una notte o due e torneranno tutti a comprare i titoli, che nel
frattempo sono scesi a valori spesso ridicoli e quindi molto
convenienti. Anche i più sprovveduti, a quel punto, si sentiranno in
grado di poter osare. E la giostra ripartirà.
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Fonte
- La
Repubblica |
General Motors, tempo scaduto?
Wednesday, 12 November, 2008 at 14:36
- di
Macromonitor
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General Motors, che sta
bruciando sempre più cassa all’accentuarsi del calo delle proprie
vendite, sta inesorabilmente approssimandosi al fallimento, mentre
attende di sapere se il settore auto riuscirà ad ottenere nuovi
prestiti governativi. Venerdì 7 novembre GM ha riportato una
perdita di 2,5 miliardi di dollari, o 4,45 dollari ad azione,
segnalando disponibilità liquide al 30 settembre per 16,2 miliardi
di dollari, contro i 21 miliardi alla fine di giugno, ed un
fabbisogno mensile di 11 miliardi di dollari.
Secondo gli analisti del
settore, solo l’intervento pubblico può ormai impedire il collasso
del più grande costruttore statunitense, le cui azioni ieri hanno
toccato il minimo da 64 anni. La stessa riorganizzazione societaria
secondo i dettami del Chapter 11 potrebbe non esser praticabile,
a causa della stretta creditizia in corso, anche dato il grave
squilibrio di redditività operativa. La prospettiva di una
liquidazione forzata aumenta la posta in gioco del finanziamento
federale, dopo che il 7 novembre l’azienda ha dichiarato che
potrebbe esaurire la liquidità operativa entro fine dicembre.
In questi mesi, quindi, il quadro congiunturale ed operativo che
l’azienda fronteggia è significativamente peggiorato, vanificando
gli sforzi di generazione di liquidità, che rappresenta condizione
imprescindibile per la sopravvivenza della società. Per questo
la procedura di
amministrazione controllata del Chapter 11 non risolverebbe il
problema immediato della liquidità, come confermato nei giorni
scorsi anche da un portavoce di GM, che ha aggiunto che la procedura
concorsuale finirebbe col creare più problemi di quanti non ne
risolva. Le vendite di GM negli Stati Uniti, che sono
diminuite del 21 per cento lo scorso trimestre, e del 45 per cento
nel mese di ottobre, sarebbero “devastate” dall’amministrazione
straordinaria, ha detto lo scorso 7 novembre Rick Wagoner, Chief
Executive Officer della compagnia.
GM sta tagliando posti di lavoro e chiudendo impianti dopo aver
accumulato perdite per quasi 73 miliardi di dollari dal 2004.
Wagoner ha esplicitamente dichiarato che l’azienda necessita di un
pacchetto di aiuti prima dell’entrata in carica del presidente
eletto, Barack Obama, che avverrà il prossimo 20 gennaio. Domenica
si è tenuto l’incontro alla Casa Bianca tra Bush e Obama, dal quale
sarebbe giunta conferma circa la contrarietà dell’attuale presidente
a concedere aiuti al settore delle auto utilizzando i fondi previsti
dal pacchetto di 700 miliardi di dollari previsto dall’Emergency
Economic Stabillization Act, come invece richiesto dalla Speaker
della Camera, Nancy Pelosi, e dal leader della maggioranza
democratica al Senato, Harry Reid. Gli investitori hanno accentuato
il proprio pessimismo, e hanno portato il titolo al nuovo minimo dal
1949. Lunedì si è poi avuta la presa di posizione dell’analista di
Deutsche Bank, Rod Lache, cha ha affermato che il prezzo-obiettivo
di GM è zero.
General Motors, Ford e
Chrysler hanno richiesto aiuti per 50 miliardi di dollari per
affrontare il peggior mercato dell’auto da 17 anni, in aggiunta ai
25 miliardi già ottenuti a settembre per contribuire a riconvertire
gli impianti e renderli idonei alla produzione di veicoli a maggiore
efficienza energetica.
Al Congresso vi è crescente sostegno all’idea dell’erogazione di
aiuti, anche se il punto centrale resta l’esecuzione del piano, ed a
quale costo per azionisti e creditori. La maggioranza Democratica al
Congresso si è già detta pronta a modificare la fraseologia della
legge che istituisce il salvataggio delle istituzioni finanziarie,
per aggirare la motivazione ufficiale del rifiuto di Paulson ad
utilizzare quei fondi, la loro destinazione esclusiva al settore
finanziario. Resta la possibilità che tali modifiche vengano
realizzate in tempo per la sessione parlamentare della prossima
settimana. Il fallimento di GM, nell’ipotesi di arresto della sua
produzione, sarebbe un evento catastrofico, con la perdita di 2,5
milioni di posti di lavoro, diretto e nell’indotto, e costerebbe un
punto pieno di prodotto interno lordo. Elevata è infatti la
connessione sistemica tra GM, Ford e Chrylser, ed i fornitori. A
questo riguardo, ieri GM ha ammonito che Delphi, il suo maggiore
fornitore, potrebbe non essere in grado di uscire dalla procedura di
amministrazione controllata in cui si trova da qualche anno.
Alle criticità legate alla
distruzione di cassa ed alla redditività operativa si aggiunge poi
il problema della disponibilità di credito per le imprese che si
trovano in Chapter 11: i cosiddetti “debtor-in-possession loans”,
finanziamenti erogati alle imprese in amministrazione straordinaria
e che vengono rimborsati al termine della procedura, sono stati di
fatto azzerati dalle banche, in conseguenza della stretta
creditizia. Anche per questo motivo, il rischio che corrono
le imprese in crisi di liquidità e con redditività operativa
negativa è quello di non poter accedere al Chapter 11, bensì di non
avere alternative al Chapter 7, la messa in liquidazione della
società.
Ford ha riportato nel terzo trimestre una perdita di 129 milioni di
dollari, ma ben 3 miliardi di perdite operative da gestione
caratteristica. La società ha bruciato 7,7 miliardi di dollari nel
trimestre, ad una velocità nettamente superiore alle stime più
pessimistiche degli analisti. La casa di Dearborn ha annunciato
misure di rafforzamento della posizione di liquidità, che dovrebbe
situarsi tra i 14 ed i 17 miliardi di dollari nel 2010, da ottenere
attraverso tagli di personale, riduzione di benefit, minori
investimenti, disinvestimento di attività non-core e accesso a nuove
fonti di finanziamento, anche pubbliche.
Sia GM che Ford hanno un
patrimonio netto negativo: la prima per ben 57 miliardi di dollari
(su attivi pari a 136 miliardi), la seconda per 1,7 miliardi su
attivi pari a 265 miliardi di dollari. Da tale dato emerge
l’assoluta criticità della condizione di GM.
 |
Fonte
- Macromonitor |
Gestori, ripresa ancora lontana
12/11/2008 11.34 Milano
- di Sara Silano
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I gestori sono un po’ meno
pessimisti sulle Borse, ma non riescono a trovare buone ragioni per
essere ottimisti. Secondo l’ultimo sondaggio, condotto tra 22 delle
principali case di investimento che operano in Italia, la volatilità
rimarrà alta a causa del rallentamento globale e della crisi
creditizia, nonostante gli sforzi dei governi e degli istituti
centrali a sostegno delle banche. Per questo motivo i
portafogli sono difensivi e sovrappesano i settori non esposti al
ciclo economico, in particolare i farmaceutici e le utilities.
Inoltre, continua ad essere alta la percentuale di liquidità a
discapito delle azioni, che sono state pesantemente penalizzate
dalla crisi finanziaria, e delle obbligazioni, che offrono bassi
rendimenti.
Europa aggrappata alla Bce
A ottobre, le Borse europee hanno toccato nuovi minimi dell’anno
(-12,8% l’Msci Europe) a causa del peggioramento del quadro
macro-economico, dell’aumento delle svalutazioni degli attivi di
banche ed assicurazioni e della mancanza di liquidità nel sistema
interbancario. Nella prima parte di novembre sono proseguite le
vendite, anche se gli interventi governativi e delle autorità
monetarie hanno dato un po’ di respiro ai mercati azionari. La Banca
centrale europea ha deciso di tagliare i tassi due volte, portandoli
al 3,25% e ora i gestori si aggrappano alla possibilità di nuove
riduzioni, che potrebbero frenare la discesa. Per il 52% degli
intervistati i listini potrebbero stabilizzarsi intorno agli attuali
livelli nei prossimi sei mesi. Esiste, però, un 38% di ottimisti,
che considera le attuali valutazioni dei titoli attraenti, in quanto
gran parte delle cattive notizie sul fronte degli utili sono state
incorporate nei prezzi.
Wall Street sente la crisi
Dall’inizio di ottobre, l’indice S&P 500 ha perso circa il 30%
(all’11 novembre), condizionato dal ribasso dei titoli finanziari e
dei settori ciclici (beni durevoli, tecnologia, ecc.). D’altra parte
i dati macro-economici mostrano un quadro debole: nel terzo
trimestre il Prodotto interno lordo è cresciuto solo dello 0,3%,
frenato dalla contrazione dei consumi personali e dalla crisi del
settore immobiliare. E a differenza della Bce, la Federal Reserve
non ha grandi spazi per ridurre i tassi, già all’1%. Tuttavia, i
gestori confidano sullo stato più avanzato della fase recessiva, per
cui il numero di ottimisti (42,8%) è superiore a quello europeo. E’
analoga, invece, la percentuale di coloro che prevedono una
stabilizzazione attorno agli attuali livelli a fronte di un’elevata
volatilità.
Il Giappone e le sue contraddizioni
A novembre, la Borsa di Tokyo è stata quella che ha raccolto il
maggior numero di consensi tra i gestori (62%), ma è anche il
listino con una percentuale più alta di pessimisti (il 14,3% contro
il 4,8% degli Stati Uniti e il 9,5% dell’Europa). L’economia del Sol
levante è molto dipendente dalle esportazioni e quindi dai rapporti
con i Paesi industrializzati e con le aree emergenti asiatiche. Di
conseguenza, l’andamento della Borsa non sarà differente da quello
dei mercati occidentali. I più scettici sottolineano che il
rallentamento congiunturale ha colpito anche il Giappone, quindi è
preferibile attendere chiari segnali di ripresa.
L’inflazione fa meno paura
La riduzione del prezzo del petrolio e delle materie prime ha
allentato i timori di un aumento dell’inflazione. Per la Bce, ora,
la principale preoccupazione è rappresentata dall’economia e molti
gestori si attendono ulteriori tagli dei tassi di interesse. Questa
prospettiva dovrebbe sostenere i prezzi delle obbligazioni per il
57,2% dei gestori. Sono diverse le prospettive per gli Stati Uniti,
dove si prevede che la Federal Reserve rimarrà ferma nei prossimi
mesi. Di conseguenza, il 42,8% dei fund manager prevede che i corsi
dei bond non subiranno grandi variazioni, mentre il 38% si attende
un calo.
Euro/dollaro senza scossoni
Le previsioni sul mercato dei cambi non sono mai facili, questo vale
ancor di più oggi. Da un lato il peggioramento dello scenario
economico in Europa ha favorito il dollaro; dall’altro gli Stati
Uniti non hanno risolto i problemi di indebitamento che avevano
alimentato la discesa del biglietto verde. Esiste, però, un altro
aspetto da tenere in considerazione: il differenziale tra i tassi di
interesse, che dovrebbe ridursi, svantaggiando la divisa
comunitaria. Per queste ragioni il 47,6% dei gestori prevede che il
rapporto di cambio continuerà ad oscillare attorno agli attuali
livelli, mentre il 33% stima un apprezzamento del dollaro.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 4 e l’11 novembre,
22 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti
sul territorio, che contano per circa l’85% degli asset gestiti in
Italia. Si tratta di Aberdeen Asset Management, Aletti Gestielle,
Allianz Global Investors, Anima Sgr, Axa IM, Banca Ifigest, Banca
Profilo, Bipiemme Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Eurizon Capital,
Euromobiliare AM, Fideuram Investimenti, JC&Associati, Ing IM,
Investitori Sgr, Julius Baer, MC Gestioni, Pioneer Im, Sella
Gestioni, Standard Chartered Bank, Total Return, Vontobel.
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Fonte
- MorningStar.it |
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Sabato
08
Novembre 2008 |
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Martedì 11
Novembre 2008 |
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Mercoledì 12
Novembre 2008 |
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Halloween rosso
sangue
per gli hedge fund
Tuesday, 12 November, 2008 at
17:07
-
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Halloween rosso sangue per gli
hedge fund
leave a comment »
Per gli hedge fund ed i loro investitori, Ottobre si è chiuso
come una replica del bagno di sangue : dopo il 6 per cento di
perdita a settembre, il settore ha perso un altro 5.4 per cento.
Una doccia fredda per gli investitori, abituati a rendimenti
positivi per quasi tutti gli ultimi 20 anni e che adesso stanno
ritirando denaro in maniera brutale: molti fondi hedge stanno
subendo richieste di riscatto superiori al 20 percento del
capitale.
Anche chi si è premunito, imponendo ai clienti un lungo periodo
di preavviso prima di riavere i fondi investiti sta avendo
problemi seri. Citadel è uno dei fondi più grandi e di maggior
successo, al punto che la sua società di gestione impiega ormai
migliaia di persone e si è quasi trasformata in una banca
d’affari, con tanto di divisioni impegnate nell’intermediazione
di derivati. Il fondo ha una clausola di lockup estremamente
rigida, proprio per evitare che investitori presi dal panico si
ritirino durante una crisi, proprio quando la liquidità è
maggiormente importante. La performance è stata decisamente
negativa: quest’anno ha perso il 40 per cento ed alcuni dei
fondi principali hanno lasciato sul terreno il 22 per cento solo
fra settembre ed ottobre. La débacle ha scatenato, per la
seconda volta in un mese, una ridda di voci riguardo un
potenziale drastico aumento delle garanzie richieste dalle
banche finanziatrici di Citadel, aumento di garanzie che
starebbero mettendo in ginocchio il fondo. Citadel e le banche
hanno sinora smentito, sostenendo che si procede “come al
solito”, ma per ristabilire la calma è stata comunque necessaria
una conference call aperta agli investitori ed ai trader per
spiegare in dettaglio la situazione.
Vedremo se qualcuno avrà ancora voglia di parlare di hedge fund
“onnipotenti” e maligni, elementi chiave di troppe teorie
anticapitaliste negli ultimi cinque anni.
Fonte
-
Macromonitor
CRISI MUTUI:
WSJ,AMERICAN EXPRESS CERCA 3,5 MLD
AIUTI GOVERNO
12 Novembre 2008 18:10 ROMA
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 12 NOV - American
Express sta cercando aiuti per 3,5 miliardi di dollari dal
governo Usa. Lo scrive il Wall Street Journal che cita fonti
vicine al dossier. Il colosso delle carte di credito sarebbe
intenzionato ad aderire al piano di aiuti federale, il
cosiddetto programma Tarp (Trouble Asset Relief Program) e
potrebbe avere presentato richiesta già prima di aver ottenuto
l'altro ieri dalla Fed il cambio di status a holding bancaria.
L'indiscrezione sta facendo salire il titolo alla Borsa di
Francoforte, con un rialzo di 40 cent a 22,80 dollari dopo il
ribasso del 6,6% registrato al Nyse. American Express -
riferisce l'agenzia Bloomberg - non ha voluto per ora commentare
l'indiscrezione.(ANSA).
Fonte
-
Macromonitor
PIANO DI
SALVATAGGIO:
CLAMOROSA
MARCIA INDIETRO DEL TESORO USA
12 Novembre 2008 18:43 NEW YORK
-
di ANSA ______________________________________________
Colpo di scena: il Segretario al
Tesoro Henry Paulson annuncia che il governo americano non
acquistera' piu' gli asset "tossici" delle banche ("e' stato un
errore pensare di poterlo fare", dice) ma entrera' nel capitale
degli istituti in difficolta'.
La Casa Bianca ha abbandonato il programma di riacquisto degli
asset "tossici" degli istituti bancari in difficolta’ piegati
dalla crisi finanziaria. Il programma rappresentava un punto
cardine del piano di salvataggio da $700 miliardi approvato dal
Congresso nei giorni scorsi dopo numerose critiche.
Appena ricevuti i fondi, il Tesoro ha deciso che fornire
capitali alle banche in cambio di azioni privilegiate si sarebbe
potuta rivelare una strategia con risvolti maggiormente
favorevoli. Parte dei fondi originariamente destinati
all’acquisto degli asset "cattivi" delle banche verra’ ora
utilizzata per prestiti in favore del settore dell’auto e del
comparto scolastico.
Paulson ha dichiarato che il mercato gode delle condizioni
adeguate per uscire dalla crisi, ma che ancora il sistema
finanziario resta fragile. La proposta per la modifica delle
condizioni dei mutui a carico delle famiglie in difficolta’ e’
un'opzione che resta in fase di valutazione, ha aggiunto Paulson,
che ha difeso le azioni attuate fino a questo momento e
confermato i segnali di miglioramento grazie alle ultime manovre
del governo.
Fonte
- ANSA
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Nel vaso di pandora. Quattro speranze e una realtà
Venerdì 14 Novembre 2008,
12:18
- di Alessandro Fugnoli*
*da Il Rosso e Il
Nero, settimanale di strategia. Alessandro Fugnoli è strategist di
Abaxbank, Banca d'Investimento del Gruppo Credem (www.abaxbank.com)
________________________________________
Zeus dà all'uomo la speranza, dice Nietzsche, perché possa
tormentarsi senza fine con il più malvagio dei mali. Gli dei, in
effetti, sistemano Elpis nel vaso di Pandora insieme ad altre
delizie come Pazzia, Dolore, Malattia e Morte. Lo fanno perché sono
adirati con gli uomini che non vogliono stare al loro posto.
I bear market rally sono figli dei mercati che non vogliono stare al
loro posto e cioè in basso. Si sale inseguendo speranze fino a un
punto da cui si può solo precipitare ancora più in basso del punto
di partenza. Un raffinato supplizio.
Il recupero degli ultimi
giorni nasce da quattro speranze. Forse sono speranze
esagerate, ma non sono nemmeno completamente infondate. Se il rialzo
sarà modesto e assomiglierà di fatto a una stabilizzazione sarà
positivo. La prima speranza
è quella del superamento della fase acuta della crisi finanziaria.
Qui si sono in effetti compiuti grossi passi avanti, tanto che i
bancari sono in questa fase tra i settori migliori come performance.
Oltre al rafforzamento patrimoniale, che è un processo ancora lungo
ma bene impostato, c'è il graduale riavvio di tutto il sistema
idraulico della finanza, Ne è testimonianza il calo continuo dei
tassi interbancari e la ripresa, sia pure su scala ridotta,
dell'attività di sottoscrizione di carta commerciale.
E' stato scritto che prima
termina la crisi finanziaria e prima finisce quella economica. Le
cose non sono così semplici. In primo luogo sono quasi certe scosse
di assestamento nel mondo dei fondi hedge, delle banche medie e
piccole e delle assicurazioni. In secondo luogo anche il superamento
definitivo della crisi lascerà per molto tempo nelle banche una
minore propensione alla leva, un rispetto più rigoroso degli
standard di erogazione dei finanziamenti e quindi, in definitiva,
minori possibilità per la crescita dell'economia. Non c'è
però dubbio che, rispetto a un mese fa, il buco nero che stava
inghiottendo la finanza globale appare ora molto meno pericoloso.
La seconda speranza, per i
mercati, viene dalle elezioni americane. Le atmosfere di fine
regno sono sempre depressive e malsane anche nelle circostanze
migliori e in presenza di situazioni di crisi si fanno
particolarmente cupe. Ora
c'è l'idea del voltare pagina ed è come aprire le finestre e fare
entrare aria fresca.
In realtà la discontinuità
sarà meno forte di quanto non appaia. Il Congresso era già in mano
ai democratici e le politiche per affrontare la crisi erano da tempo
bipartisan. In pratica il pacchetto fiscale, il salvataggio di
Fannie e Freddie e il piano Paulson potrebbero essere definiti
elementi tipici di una linea politica democratica portata avanti con
stile repubblicano, cioè con mano leggera.
Questa linea bipartisan continuerà ad essere seguita nei tre mesi
che ci separano dall'Inauguration Day con un ovvio spostamento dei
rapporti di forza a favore dei democratici ma con il mantenimento
completo del piano Paulson per quanto riguarda la sua prima tranche.
L'amministrazione Obama, una
volta insediata, prenderà immediatamente qualche provvedimento
simbolico, ma non aumenterà subito le tasse. Lo farà invece dal 2010
in avanti quando sarà terminata la recessione. Verranno prese
alcune misure per rafforzare i sindacati, ma sulle politiche anti
business si procederà lentamente. Al di là del merito delle
questioni, una leadership forte e chiara sarà vista come un fattore
positivo dai mercati.
Il terzo elemento di
speranza è il pacchetto fiscale che verrà approntato dal Congresso
uscente già a partire dalle prossime settimane. Un'ampia
fascia di economisti, dal repubblicano Feldstein al radicale Roubini,
chiede un pacchetto estremamente robusto, dal doppio al triplo di
quello dello scorso luglio. Dai 300 ai 500 miliardi, del resto, è
esattamente il buco nella domanda aggregata creato dalla recessione.
Una volta colmatolo, attenzione, la crescita sarebbe comunque ancora
vicina a zero.
Al di là delle apparenze, i maggiori contrasti non saranno tra
democratici e repubblicani, ma tra i democratici stessi. L'ala
sinistra del partito, con Nancy Pelosi in prima linea, non vuole un
pacchetto grosso perché teme che l'esplosione del disavanzo non
lasci poi più spazio per i programmi che più le stanno a cuore (come
ad esempio la sanità). Obama, sempre prudente, pare orientato verso
i 200 miliardi. Alla fine quello che verrà fuori sarà di più, ma con
il compromesso di un'erogazione in tranche successive.
Per i mercati, il pacchetto
fiscale rappresenterà un'attenuazione della recessione, non un
ribilanciamento perfetto. A differenza del piano Paulson, imitato e
in certi casi migliorato in Europa, in Asia e in molti paesi
emergenti, il pacchetto fiscale, al di là della Cina, se lo potranno
permettere in pochi e, tra quei pochi, non tutti avranno la volontà
politica di realizzarlo. L'Europa, in particolare, non farà
nulla per stimolare i consumi e limiterà il suo intervento al
sostegno finanziario dei settori industriali in difficoltà.
La quarta speranza è il
rally di fine anno. Non se ne parla molto ma è ben radicata, nella
psicologia dei mercati, l'idea che in novembre e soprattutto in
dicembre, quanto meno, non ci sia spazio per ribassi.
Di ritestare i minimi, se
sarà il caso, si parlerà eventualmente l'anno prossimo. A fronte di
queste quattro speranze sta una realtà molto pesante sul piano
macro. I dati che vengono pubblicati in questo periodo riescono
puntualmente a essere ancora peggiori delle attese già cupe.
Consumi, investimenti, occupazione fanno a gara a chi scende più
rapidamente. In queste circostanze è molto difficile ipotizzare
recuperi nel breve termine per i corsi delle materie prime e quindi
per il cambio, l'economia e le borse dei paesi emergenti che le
producono.
I bond governativi, intimiditi dal recupero delle borse, si sono
ritratti solo temporaneamente, a nostro avviso. Quanto ai cambi,
vanno esclusi per il dollaro euro sia il ritorno alla parità, di cui
nei giorno scorsi si è cominciato a parlare, sia un nuovo
indebolimento del dollaro fino ai minimi di 1.60 toccati in luglio.
Tra la speranza e
l'illusione c'è un confine sottile. La speranza, al di là di quello
che pensava Nietzsche, può dare un contributo positivo, se
accompagnata da misure concrete di policy, all'attenuazione della
crisi. L'illusione di potere sfidare una recessione nella sua fase
più acuta con un bear market rally volontaristico sarebbe invece
controproducente.
Salvo miracoli, il massimo a
cui possono aspirare le borse è di chiudere l'anno a meno 35 invece
che a meno 50. In tutta questa fase, del resto, la cosa più
importante è recuperare efficienza e stabilità dei mercati. Per i
grandi recuperi non è ancora tempo.
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Fonte
- Il Rosso e il Nero |
Derivati di credito e arbitraggio:
il concetto di base negativa
Monday, 17 November, 2008 at
8:30
- di Charles Dexter Ward
________________________________________
E’ di queste ore la notizia
ufficiale della creazione di una clearing house accentrata per i
credit default swap e di interventi a favore di una maggiore
trasparenza e sicurezza per le transazioni su questo mercato.
Ovviamente sono tutti
sviluppi assolutamente positivi (pur se tardivi) per un mercato che
negli ultimi anni ha conosciuto una crescita esponenziale:
questo sviluppo imponente non accompagnato da un adeguato apparato
regolamentare ha creato enormi distorsioni e criticità sull’intero
mercato del credito, e non solo.
Di fatto però anche nei momenti di crisi acuta il mercato dei
derivati del credito ha conservato le caratteristiche di liquidità e
di profondità completamente venute meno sul mercato dei bond “in
carne ed ossa”.
E’ tanto più efficiente
questo mercato rispetto a quello del cash, che secondo moltissimi
operatori è sul mercato sintetico che andrebbe letta la reale
rischiosità dei vari emittenti. Questo perché lo spread espresso dai
CDS risulta essere un dato puro, oggettivo e non “sporcato” dal
fattore liquidità.
La questione non è banale e
merita qualche approfondimento. Soprattutto merita un
approfondimento il concetto di base negativa, realtà che
caratterizza ormai l’intero mercato dei corporate bond. Perché i
bond sono scambiati (o meglio, sono quotati) sul secondario con
spread molto più larghi rispetto agli spread su cui sul mercato
sintetico è possibile assicurarsi contro il rischio di default dello
stesso emittente?
In un precedente post abbiamo detto che l’esistenza di base negativa
è facilmente “arbitraggiabile”: comprando il bond e comprando
contestualmente protezione sul credito è possibile neutralizzare
l’esposizione al rischio di default incassando contestualmente il
differenziale di spread. Ma se questo è vero, come spiegare allora
l’esistenza di una base negativa così ampia (si passa dai 100 punti
base fino a oltre 500 punti base) sul mercato?
Non esiste una spiegazione unica, ma è rintracciabile una
concorrenza di più fattori: una prima considerazione è legata alla
struttura del mercato. L’attivita degli hedge funds si è molto
rarefatta in quest’ultimo mese, e proprio loro hanno svolto per
lungo tempo il ruolo di arbitraggisti principali sui mercati:
la base negativa non è
l’unica anomalia di un mercato finanziario che appare ancora
“dislocato”: il rientro verso la normalità sarà graduale e non di
fatto istantaneo come sarebbe in una situazione di piena efficienza
di mercato.
“Assumendo la possibilità per gli arbitraggisti di indebitarsi senza
limite al tasso free risk”: ricordate la frase ricorrente letta più
volte sui libri universitari quando si parlava di ipotesi di non
arbitraggio? Ecco appunto, niente oggi suona più lontano dalla
realtà.
Per acquistare un cash bond
bisogna avere liquidità: e la liquidità di questi tempi è scarsa e
molto costosa. Evidentemente troppo per rendere profittevole una
strategia che scommetta sulla base negativa. Un cash bond “consuma”
balance sheet per le banche e per tutti quegli operatori che devono
fare provvista a fronte dei loro impieghi. Un impiego è tanto più
oneroso quanto più è bassa la qualità dell’asset iscritto a
bilancio: se si chiedono finanziamenti a fronte di asset in
portafoglio, il finanziamento non viene erogato per il valore di
libro, ma si applica un “haircut”, un margine di sicurezza per il
prestatore, crescente al decrescere della qualità di credito della
controparte e dell’asset stesso. Ecco perché la base negativa è
maggiore sui junk bonds rispetto all’Investment grade.
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Fonte
- Macromonitor |
Mauldin: solo cash e bond.
Le borse soffriranno ancora
19 Novembre 2008 17:03 MILANO
- di Massimiliano Malandra
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È decisamente pessimista
John Mauldin, gestore Usa, molto apprezzato nell’analisi di «fondi
di fondi» hedge. Già nell’ottobre 2007, con le Borse ai massimi di
periodo, aveva messo in guardia dall’investire sull’equity. Poi, a
luglio 2008, era stato ancora più deciso: state alla larga da Wall
Street. E adesso non ha cambiato idea:
«Non trovo alcun appeal
nell’investimento in titoli azionari - dichiara - Siamo in un
secular bear market, di quelli che possono durare un bel po’ di
anni, e temo che ci rimarremo a lungo. La crisi è tutt’altro che al
termine e non si vedono motivi per tornare ottimisti».
Mr. Mauldin, cosa la rende così pessimista?
Il fatto che non si vedano ancora vie d’uscita.
Dal 2000 al 2006 il Pil Usa
è cresciuto solo grazie al mortgage equity withdrawal dell’americano
medio (ottenere prestiti monetari dando in garanzia la propria
abitazione, ndr), in questo modo la bolla immobiliare ha permesso di
mantenere elevati i consumi. Al netto di questa componente il
risultato sarebbe stato un misero +1% annuo. E ora che la casa non
funziona più come carta di credito i nodi vengono al pettine.
E a proposito di Wall Street...
Guardando ai multipli sembra che l’equity sia decisamente economico.
Il p/e dell’S&P 500 era intorno alle 14-15 volte, poi negli ultimi
12 mesi le attese sui profitti futuri dell’indice sono crollate.
Soltanto a febbraio scorso gli analisti si attendevano 71,2 dollari
di Eps 2008, mentre il mese scorso le stime sono scese a 54,8
dollari. Una sforbiciata del 23% in sei mesi non è certo un bel
segnale. Ma anche per il 2009 non ci si aspetta nulla di buono. In
questo caso l’Eps stimato è stato tagliato da 81,5 a 48,5 dollari,
vale a dire il 40% in meno. A questi prezzi l’S&P 500 tratta ora a
oltre 18 volte gli utili: un multiplo non proprio economico, che
potrebbe salire ancora.
Non c’è qualche settore che rimane interessante?
Probabilmente sì, penso per
esempio all’healthcare. Ma intendiamoci: parlando di outperformance
io intendo che potrebbe fare meno peggio dell’indice. Sinceramente
il rapporto fra rendimento e rischio mi pare troppo sbilanciato e
poco attraente.
E il petrolio o le altre commodity?
Nel breve non sono
allettanti: i prezzi sembrano bassi, è vero, ma le prospettive per
l’industria sono negative. Con la recessione alle porte non c’è da
stare allegri. Magari a 50 dollari un po’ di petrolio ricomincerei
ad acquistarlo, vedremo. Solo se dilatiamo l’orizzonte temporale a
una decina d’anni potrei diventare compratore di commodity.
Quindi?
Capisco che sia poco sexy,
ma ora il primo obiettivo è quello di portare a casa la pelle, vale
a dire difendere il capitale. E in questo momento non lo si fa
andando all’avventura sull’azionario. Certo, le occasioni si possono
sempre trovare, ma si tratta di operazioni di poche ore o al limite
di pochi giorni. Ma allora parliamo di trading, non certo di
investimenti.
Che fare allora?
Cash e bond. Titoli
corporate e governativi con alto rating. Una possibile fase di
deflazione spingerebbe all’ingiù i tassi, con benefici sulle
obbligazioni. Oppure - ma qui sono in conflitto di interessi -
un’alternativa è data dagli hedge fund. Anche in un anno difficile
come l’attuale a mio avviso hanno dimostrato di essere in grado di
reggere le forti fluttuazioni dei mercati.
A proposito di hedge fund, lei è in una posizione privilegiata per
un giudizio sul settore. Come vede lo scenario? Quanti falliranno?
Gli hedge fund che hanno
chiuso sono tanti, sia negli Usa sia in Europa. Tuttavia non tutti
sono falliti. Molti hanno semplicemente chiuso perché i gestori
hanno deciso che non valeva la pena continuare, per una serie di
motivi.
Ad esempio?
Patrimoni ridotti per le
perdite, impossibilità di recuperare il capitale in tempi decenti,
mancanza di leva finanziaria dovuta ai rientri imposti dalle banche.
Del resto qualche anno fa bastava che un paio di gestori con un
background anche minimo lanciasse il proprio fondo hedge perché si
trovasse alla porta la fila delle banche pronte a prestargli soldi.
Detto questo la fase di
turbolenza è positiva per l’industria hedge: sarà inevitabile il
consolidamento e l’intero settore uscirà rafforzato. A differenza
dei fondi comuni gli hedge che rimarranno in vita saranno solo
quelli migliori. E a quel punto potranno contare su una base di
clientela più estesa e allargata.
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Fonte
- Borsa&Finanza |
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Sabato 15
Novembre 2008 |
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Domenica 16
Novembre 2008 |
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Martedì 18
Novembre 2008 |
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CRISI: AUTO;
DETROIT SENZA AIUTI CATASTROFE PER
ECONOMIA/ANSA
19 Novembre 2008 00:15 NEW YORK
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 19 nov -
Subito aiuti d'emergenza all'industria automobilistica americana
da parte del Governo per evitare quella che potrebbe essere una
catastrofe economica. Anche perché sull'orlo del collasso non
c'é solo Gm ma anche Chrysler. I vertici delle 'Tre Sorelle di
Detroit' salgono al Capitol Hill per chiedere un aiuto
immediato, senza il quale la loro sopravvivenza è a rischio. E
per cercare di convincere la commissione bancaria del Senato,
mettono in guardia dai rischi che potrebbe comportare un
eventuale fallimento di una sola delle tre società. "La crisi
economica in atto sta minacciando la nostra sopravvivenza",
mette in guardia l'ad di Gm, Richard Wagoner, sottolineando come
l'economia americana rischia un "catastrofico collasso" in caso
di fallimento di una delle case automobilistiche a stelle e
strisce. "I danni per l'economia sarebbero "decisamente peggiori
dell'aiuto di cui abbiamo bisogno. Non si tratta solo di salvare
Detroit: si tratta di salvare l'economia statunitense", anche
perché a rischio ci sono 3 milioni di posti di lavoro, visto che
il fallimento di una delle case innescherebbe un effetto domino.
A esporre alla bancarotta Gm - spiega Wagoner - "é la crisi
finanziaria mondiale, che ha seriamente ridotto l'accesso al
credito e ridotto le vendite al livello più basso dalla seconda
guerra mondiale". "Il crollo di uno dei nostri concorrenti
avrebbe un effetto devastante sull'insieme dei costruttori
americani, dei fornitori di componentistica e dei
concessionari", osserva l'amministratore delegato di Ford, Alan
Mullaly, sottolineando che l'industria automobilistica americana
"é molto interdipendente, in particolare i nostri fornitori, di
cui il 90% sono comuni. Vi esorto a considerare la nostra
richiesta di aiuto non come proveniente da tre società
separatamente, ma da un'industria e da un'economia nel suo
intero". Ford, per fare cassa, ha tagliato la propria quota in
Mazda, operazione valutata in circa 425 milioni di euro. "Senza
un prestito immediato, il nostro livello di liquidità non è
sufficiente per continuare a operare normalmente", incalza il
numero uno di Chrysler Robert Nardelli, secondo il quale
L'industria automobilistica americana soffre di una "critica
mancanza di liquidità: c'é bisogno immediato di un finanziamento
ponte". Ritenendo necessario un consolidamento del settore delle
quattro ruote, Nardelli che il Governo sarebbe benvenuto come
azionista. I democratici, intenzionati a soccorrere l'industria
automobilistica americana, hanno presentato in Senato un piano
di salvataggio: il progetto prevede aiuti finanziari per il
settore ma il suo destino appare incerto vista la forte
opposizione repubblicana e della Casa Bianca. Il pacchetto,
presentato al Capitol Hill dal leader dela maggioranza
democratica Harry Reid come emendamento a una proposta di legge
che estende i sussidi di disoccupazione, ritaglierebbe 25
miliardi di dollari in prestiti a basso costo a General Motors,
Ford e Chrysler dal fondo 700 miliardi di dollari del piano
salva-banche. Un'ipotesi che non piace alla Casa Bianca e al
segretario al Tesoro Henry Paulson che ha ribadito ancora una
volta la propria contrarietà: pur riconoscendo che il fallimento
di una casa automobilistica americana sarebbe "una cattiva
cosa", ha affermato che i fondi del piano salva-finanza vanno
utilizzati per riportare stabilità sul mercato finanziario e non
il settore automobilistico.(ANSA).
Fonte
- ANSA
Usa:
Cina supera Giappone, e' primo
possessore titoli stato
19 Novembre 2008 10:25 TOKYO
-
di ANSA ______________________________________________
19 Novembre 2008 10:25 TOKYO
Usa: Cina supera Giappone, e' primo possessore titoli stato
di ANSA
Sale a quota 585 mld dollari a settembre
(ANSA) - TOKYO, 19 NOV - La Cina supera il Giappone ed e' ora il
primo possessore straniero di titoli del Tesoro Usa.Grazie ai
43,6 mld aggiuntivi di settembre, Pechino si porta a 585 mld di
dollari in titoli, rafforzando la posizione di creditore verso
gli Usa. Al contrario, in base ai dati diffusi dal Tesoro
americano, Tokyo vede il proprio stock di titoli diminuire di
12,8 mld rispetto ad agosto, fino a 573,2 mld, a fronte del
picco di 699 mld di agosto 2004.
Fonte
- ANSA
Usa,
caduta record inflazione ottobre, tasso 'core' sotto attese
19 Novembre 2008 15:16
-
di REUTERS ______________________________________________
WASHINGTON (Reuters) - I prezzi
al consumo Usa hanno messo a segno il mese scorso il maggior
ribasso della serie, di fronte a un rallentamento economico
tradottosi nel terzo mese consecutivo di calo dei costi
energetici. I dati a cura del dipartimento al Lavoro mostrano un
indice generale in caduta di 1%, due decimi oltre il -0,8%
prospettato dalle attese Reuters e record dalla serie iniziata
ormai nel 1947. Inferiore alle aspettative anche la lettura del
tasso 'core' che esclude alimentari ed energia, in calo di 0,1%
su settembre a fronte di attese per un incremento di pari
entità. L'ultima conferma di rapida caduta dei prezzi, compresi
quelli di abbigliamento e trasporti oltre al capitolo energia,
riflette un indebolimento della congiuntura che non fa più
fronte ad alcuna minaccia di inflazione ma potrebbe al contrario
trovarsi a rischio di deflazione in calo di continuo e ulteriore
deterioramento della domanda dei consumatori. Tra i singoli
capitoli del paniere la voce energia mostra un calo di 8,6% dopo
il -3,1% di agosto e il -1,9% di settembre. Si tratta del
massimo ribasso da inizio serie, in questo caso però databile
1957. Calo record anche per la voce benzina, in caduta di 14,2%
su settembre ma ancora in rialzo di 12% su ottobre dell'anno
scorso. Modesto incremento per il comparto alimentari, in rialzo
di 0,3% contro il +0,6% di settembre. A perimetro tendenziale
l'indice generale mostra infine una crescita di 3,7%, minimo da
un anno.
Fonte
- REUTERS
FED:
CI SONO SPAZI PER TAGLI, ECONOMIA GIU' FINO META' 2009
19 Novembre 2008 20:07 ROMA
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 19 NOV - La banca
centrale statunitense - che ha diffuso i verbali dell' ultima
riunione del FOMC in cui il costo del denaro venne tagliato all'
attuale livello dell' 1,0% - prevede adesso che nel 2009 il
prodotto nazionale lordo segni un andamento compreso fra -0,2% e
+1,1%. La precedente stima propendeva invece per una crescita
del 2,0%/2,8%. Il tasso di disoccupazione sempre nel 2009
dovrebbe oscillare fra il 7,1% ed il 7,6% contro il 5,3%/5,8%
della precedente valutazione. Nel 2010 invece ci sarebbe una
crescita del pil compresa fra il 2,3% ed il 3,2%, mentre il
tasso di disoccupazione si attesterebbe sul 6,5%/7,3%. (ANSA).
Fonte
- ANSA
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Wall Street: sognando
il rally di Santa Klaus
24 Novembre 2008 04:35 NEW
YORK
- di Eric Martin e Elizabeth Campbell
________________________________________
Gli strateghi delle grandi
banche d’affari Usa sono stati velocissimi nel ridimensionare le
stime sugli utili attesi. Tuttavia, secondo la maggioranza di loro,
ancora oggi l’S&P500 dovrebbe dovrebbe mettere a segno il miglior
rally di fine anno di tutti i tempi per rispettarle.
David Kostin di Goldman Sachs ha previsto un rimbalzo dell’indice
perché i titoli sono economici con riferimento al rapporto prezzo
utili. Dal canto suo, Jason Trennert di Strategas Research Partners’
punta su una ripresa del credito per rilanciare i corsi azionari,
mentre Thomas Lee di JpMorgan Chase crede che il mercato è così
volatile che un balzo del 25% entro fine anno non lo sorprenderebbe.
Anche nel 2007, sempre a novembre, le attese prospettavano un rapido
recupero dopo che l’S&P500 aveva ritracciato dai suoi massimi del 9
novembre a causa dei primi segnali di debolezza emersi dalla tornata
di trimestrali.
Il pronostico non avrebbe potuto rivelarsi più infondato: da allora
infatti l’indice ha ceduto il 41 per cento.
Quest’anno però non mancano
gli scettici. Tra di loro c’è Richard Weiss della City National Bank:
«Crediamo che qualsiasi tipo di inversione di tendenza sia molto
difficile almeno entro fine anno. I mercati avrebbero bisogno di
intuire il termine dell’attuale negativo ciclo economico, ma per il
momento non c’è in vista nulla del genere».
Weiss resta comunque parte
di una piccola minoranza. Basti pensare che Kostin, Trennert e Lee
sono in media tra gli strategist meno ottimisti del mercato. I tre
si aspettano che l’S&P500 termini l’anno a quota a 1.075 punti,
intravedendo così un recupero intorno al 15% rispetto alle attuali
quotazioni. «Non credo che sia un’attesa particolarmente
bullish, poiché l’elevata volatilità apre lo spazio a molte
eventualità». Le stimemedie parlano comunque di un balzo del 20% a
quota 1.118 punti. Secondo le serie storiche di Bloomberg,
nelmigliore dei casi lo sprint di fine anno ha portato un guadagno
del 10 per cento. «Un aumento del 15% è forse eccessivo», spiega Bob
Doll di Blackrock: «Credo che da qui a fine anno avremo un recupero,
ma più contenuto».
D’altra parte, Kostin non
vuole sentire ragioni. Secondo l’analista di Goldman Sachs l’indice
toccherà il fondo questo mese per poi rimbalzare quando gli
investitori torneranno a comprare titoli che sono molto economici
rispetto alle medie storiche. Si prenda il rapporto
prezzo-utili: l’S&P500 scambia su a 10,39 volte gli utili attesi per
il 2009, contro una media storica pari a 21,1 volte. La logica di
Trennert è altrettanto immediata: il mercato rimbalzerà perché i
costi del credito crolleranno.
L’ottimismo medio degli analisti del mercato incontra poche
eccezioni. Oltre a quella di Weiss, compare certamente quella di
Binky Chadha di Deutsche Bank. Chadha ha recentemente abbassato a
800 punti le stime di fine sull’S& P500, diventando così il primo a
pronosticare un ulteriore calo dei corsi da qui a fine anno.
Anche Richard Bernstein di
Merrill Lynch ha recentemente corretto da 1.248 a 1.047 punti le
proprie previsioni a 12 mesi sull’indice: «A fine agosto - spiega lo
stesso Bernstein - l’indice era troppo sopravvalutato. Sta quindi
correggente marcatamente e i nostri modelli stanno ancora tentando
di indivuduare il suo reale valore di mercato». Alcuni vedono nel
ridimensionamento delle attese degli analisti il segno che il
mercato Usa si avvicina a un’inversione di tendenza.
«Il mercato Usa sarà il
primo a tirarsi fuori dalle difficoltà », conferma Barton Biggs di
Traxis Partners: «Siamo di fronte a grandi opportunità d’acquisto».
Tuttavia i mercati devono ancora fare i conti con un ciclo economico
in netto peggioramento, visto che il credit crunch sta contagiando
l’intera economia. «É un grande punto di domanda », conclude
Leo Grohowski, capo degli investimenti di Bank of New York Mellon:
«Le notizie in arrivo dall’economia tenderanno ancora a peggiorare
prima di farci vedere la fine del tunnel».
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Fonte
- Borsa&Finanza |
Wall
Street: solo rimbalzi sui
listini (vince l'orso)
24 Novembre 2008 05:09 NEW
YORK
- di *Marc
Faber
*È nato a Zurigo, ma
dal 1973 vive tra Hong Kong e Thailandia. In Oriente ha fondato la
Marc Faber Limited. È editore del report mensile «The Gloom, Boom &
Doom», dove mette in pratica la sua filosofia «contrarian» scovando
opportunità che definisce inusuali Il suo sito Internet è:
www.gloomboomdoom.com
________________________________________
Il maggiore problema è
l’enorme moltiplicazione della leva finanziaria. Senza tutto quel
debito e senza tutta quella carta finanziaria, le conseguenze della
crisi in atto sarebbero molto meno pesanti. La verità nuda e cruda è
che il processo di riduzione del debito rappresenta una sfida
dolorosissima per l’economia e per i mercati.
Oggi le banche commerciali
Usa hanno una leva finanziaria media intorno a 20 volte la loro base
di capitale. Ritengo che dovrebbero scendere come minimo a quota 12.
E anche ammettendo che arrivino a fermarsi a 18-17 volte, in
mancanza di una grossa iniezione di capitale, per forza di cose
dovranno tagliare gli impieghi, risucchiando liquidità dal sistema.
CALO DEI PROFITTI. Alla luce
dei nuovi dati, talune dichiarazioni del Segretario di Stato Henry
Paulson suonano come barzellette con un retrogusto amaro: l’economia
Usa, per esempio, non è «fondamentalmente sana» come ha in più
occasioni ribadito Paulson. Gli utili operativi delle società di
S&P500 registrano un inquietante calo del 30 per cento. Il mondo
dell’auto è in piena depressione. La spesa per consumi, una delle
forze trainanti dell’economia, mostra gravi segni di affaticamento.
A livello mondiale, gli investimenti infrastrutturali hanno smesso
di crescere e potrebbero addirittura diminuire nel 2009, con gravi
ripercussioni per le società industriali e i produttori di materie
prime.
Il contagio allunga le sue propaggini ovunque. Qui, in Cina, la
festività del Golden Week, che ha luogo la prima settimana di
ottobre, è stata rovinosa per il turismo: si stima che gli arrivi di
cinesi a Hong Kong e Macao siano calati del 30-50% rispetto al 2007.
In questo clima, dubito che il mercato azionario possa imboccare la
via del rialzo. Anche perché: chi dovrebbe comprare? Le famiglie
sono venditrici nette di azioni da un bel pezzo.
Nel 2007 la parte del leone
l’hanno svolta le operazioni di ingegneria finanziaria, le fusioni,
le acquisizioni e agli abracadabra dell’alta finanza. Ma è acqua
passata: per le condizioni in cui versano, le aziende compreranno
meno azioni di quanto abbiano fatto nel recente passato.
Insomma, non c’è domanda,
manca il carburante per alimentare un solido mercato al rialzo. Ciò
non esclude, però, l’eventualità di rimbalzi. Perché gli indici si
trovano in condizioni di forte ipervenduto e il pessimismo dilaga
ovunque. Basta un niente e parte una corrente di ricoperture.
Dunque, non sarei stupito se i listini azionari recuperassero il
10-20% entro la primavera prossima.
DOLLARO RIFUGIO. La gente
rimane attonita quando dico che il biglietto verde può offrire un
rifugio per il breve termine. Eppure i fatti degli ultimi mesi mi
hanno dato ragione. La forza
del dollaro sta nella debolezza dell’America. L’America - massima
potenza industriale fino a qualche decennio fa - oggi produce poco o
niente. Per lo più consuma. Sicché quando le famiglie
americane stringono la cinghia sono i Paesi esportatori a soffrire.
Con questo non vorrei che le mie parole fossero fraintese:
nel lungo termine il dollaro
è condannato, reca in sé scarso valore. Qui parlo del breve termine,
fino a quando la crisi finanziaria sarà in fase acuta. C’è
poi una riflessione su cui vorrei sollecitare il mio lettore.
Nel libro l’«Economia
dell’inflazione», Constantino Bresciani- Turroni ha narrato i
rovinosi eventi che si sono accompagnati all’iperinflazione tedesca,
fra il 1919 e il 1924. Scriveva Turroni che i nuovi nababbi tedeschi
si erano arricchiti non nel sentiero di una generale prosperità
nazionale, bensì di pari passo con l’impoverimento della gente
comune. E ciò a causa del deprezzamento della moneta.
Ora, ci vuol poco a tirare
un parallelo con gli eventi della cronaca nostra: nel solo 2007 le
prime cinque banche di Wall Street hanno dispensato 38 miliardi di
dollari in bonus, mentre i risparmiatori hanno perso su queste
banche circa 75 miliardi. Bisogna stare attenti: uno dei fattori che
sicuramente contribuì all’ascesa di un pazzo come Hitler va
ricercato proprio nella devastazione finanziaria subita dalle
famiglie tedesche in quegli anni infausti che vanno dal 1919 al
1924. Per questo non si deve scherzare con la moneta. Non ce lo
dimentichiamo.
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Fonte
- Borsa&Finanza |
Wall
Street:
ripartenza da
Gennaio in poi
24 Novembre 2008 05:15 NEW
YORK
- di Maria Teresa Cometto
________________________________________
Wall Street può risalire già
a gennaio, anticipando l'uscita dell'America dalla recessione, che
avverrà nella seconda metà del 2009. Ma un risparmiatore che guarda
ai prossimi dieci anni deve comprare azioni subito, perché fin d'ora
hanno prezzi davvero convenienti. E le occasioni si trovano
anche a Piazza Affari, da Campari a Eni.
Lo sostiene dal suo ufficio
a Rye, vicino a New York, Mario Gabelli, uno dei più famosi gestori
americani e, come Warren Buffett, guru della filosofia value
investing: comprare azioni di aziende solide ma sottovalutate in
Borsa. I saliscendi di Wall Street prima e dopo le elezioni del 4
novembre non lo spaventano e ha fiducia nella nuova leadership di
Barack Obama.
Come spiega l'accoglienza di Wall Street ad Obama? «Di solito la
Borsa va giù prima dell'elezione di un Democratico e poi risale
subito dopo, perché si rende conto che la realtà non è troppo
brutta. Questa volta è diverso, perché così tanti altri problemi si
sono intrecciati con la campagna presidenziale, dalla crisi delle
banche d'affari al dissolversi della fiducia sui mercati. Quando la
Camera ha bocciato il piano di salvataggio lo scorso 29 settembre,
lo spettacolo è stato orribile e ha congelato tutti: i consumatori
hanno smesso di comprare, le banche di prestare soldi e in ottobre
Wall Street ha patito uno dei mesi peggiori di tutta la sua storia».
Ma la presidenza Obama farà
bene alla Borsa? «Credo che in una cosa Obama riuscirà sicuramente
subito: essere un leader e ridare fiducia, quello che è totalmente
mancato negli ultimi due anni. Ma poi bisogna vedere qual è la
visione di Obama per rilanciare l'America come brand. Secondo
me il "marchio America" significa prima di tutto meritocrazia: se
studiano, lavorano e lo meritano, negli Usa tutti possono diventare
presidenti, come Obama; e tutti possono diventare ricchi, come me
con due genitori italiani che non avevano studiato oltre la quinta
elementare prima di venire qui come poveri immigrati. Poi, America
vuol dire stato di diritto. E infine libero mercato, che però fa
sempre attenzione alle regole».
Crede che il nuovo
presidente incarni tutti questi valori? «Lo spero. Dipende da come
affronterà i problemi strategici, dall'indipendenza energetica al
miglioramento del sistema scolastico pubblico, fino agli aiuti per
gli imprenditori per nuovi business e posti di lavoro».
E la recessione? «C'è già da un po', ma se Obama agisce in modo
appropriato potrà essere non troppo grave. Se ne potrà riemergere
forse nella seconda metà del 2009, però la Borsa può anticipare la
ripresa già a partire da gennaio».
Quali rischi vede che
potrebbero invece aggravare la situazione? «La mia maggior
preoccupazione è che Obama prenda qualche misura che danneggi gli
scambi commerciali su scala globale. Negli Anni 30 la depressione fu
prolungata proprio dalle politiche protezioniste.
Oggi abbiamo un grosso
problema con i rapporti fra le valute: sarebbe molto negativo se per
esempio Giappone o Cina decidessero di proteggere le proprie monete
all'interno di una guerra commerciale con gli Usa. L'altro rischio
all'orizzonte è che con tutta la liquidità immessa nel sistema da
banche centrali e autorità mondiali, prima o poi si riaccenda una
forte inflazione. Ma a breve termine è più importante far ripartire
i mercati».
Un investitore privato fa meglio allora ad aspettare l'inizio della
ripresa delle quotazioni a gennaio? «No. Se si guarda ai prossimi
dieci anni oggi bisogna comprare azioni. Ci sono ottime aziende con
un rapporto prezzo/utili che non vedevo da 35 anni, veramente basso.
Credo che chi investe oggi fra tre o quattro anni avrà ottimi
rendimenti».
Pensa a qualche titolo in particolare? «A Vivendi o a Cablevision,
nei settori media e telecom, tartassati ma destinati a riprendersi.
Infatti a un certo punto i consumatori americani — che rappresentano
due terzi del prodotto interno lordo Usa, a sua volta pari al 25%
del Pil mondiale — ricominceranno a spendere. Magari fra un anno e
mezzo, quando lo choc finanziario sarà alle nostre spalle. E allora
riprenderanno anche gli investimenti pubblicitari e le vendite di
prodotti come i telefonini e altri beni di consumo non
indispensabili, come i liquori. Per questo mi piacciono, in Borsa,
Pernod e Campari, per esempio: marchi che compreranno anche i cinesi
e gli indiani. Un altro settore di Borsa che sta soffrendo è
l'alberghiero: oggi non si costruiscono più palazzi, ma fra due o
tre anni i viaggi e il turismo cresceranno di nuovo e titoli come
Mandarin o Starwood risaliranno».
Ha altri investimenti sulla Borsa di Milano? «Sto molto attento alle
società con una buona liquidità, per questo a Piazza Affari ho
comprato azioni del Sole24Ore. Mi piace anche l'Eni di Paolo Scaroni
e ho un po' di Telecom Italia».
Chi ha dieci anni davanti a
sé fa bene a comprare già adesso nuove azioni. Ci sono ottime
aziende a prezzi che non si vedevano da decenni Mario Gabelli, 66
anni, nato nel Bronx da una coppia di poveri immigrati italiani,
controlla un impero di fondi comuni e altri strumenti d'investimento
(25 miliardi di dollari in gestione) con la società che ha creato
nel 1977, Gamco Investors, e che ha quotato a Wall Street nel 1999.
Suo socio al 18,9% è Bill Gates.
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Fonte
- Corriere della Sera |
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Venerdì 21
Novembre 2008 |
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Mercoledì 26
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CRISI:
FONDO MONETARIO IN LIQUIDAZIONE,
GARANZIE TESORO/ANSA
21 Novembre 2008 02:00 NEW YORK
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di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 21 NOV - Il
Reserve Fund's Us Government chiede la liquidazione e, data
"l'eccezionale situazione" presente sul mercato monetario, il
Tesoro americano, che diverrà garante di ultima istanza,
compenserà le perdite subite dagli investitori. In particolare,
l'accordo prevede che il fondo si impegni a cedere i propri
asset entro il 3 gennaio, poi interverrà il Tesoro che potrebbe
dover asset restanti per un importo massimo di 5,6 miliardi di
dollari. L'operazione sarà condotta attraverso l'Exchange
Stabilization Fund e mira ad assicurare che gli azionisti
ricevano almeno un dollaro per ogni azione. La decisione del
Tesoro di farsi compratore di ultima istanza é legata - è
spiegato in una nota - alle circostante "uniche ed eccezionali"
sul mercato. Al momento - aggiunge il Tesoro - nessun altro
fondo di quelli che hanno aderito al piano da 50 miliardi varato
alcuni mesi fa proprio a sostegno del mercato monetario godrà di
azioni simili. Il Reserve Fund's Us Government controlla buoni
del Tesoro a breve termine e titoli di debito emessi da Fannie
Mae e Freddie Mac, i due colossi del credito ipotecari
commissariati dal governo americano. "L'accordo raggiunto dà al
fondo 45 giorni per vendere gli asset a valore contabile netto o
al di sotto. Al termine di questo periodo" Il Tesoro "acquisterà
gli asset restanti al valore contabile netto". Il rischio
massimo a cui il Tesoro dovrebbe esporsi è 5,6 miliardi di
dollari. Il fallimento di fondi monetari, strumenti a breve
termine considerati molto sicuri, è un fenomeno molto raro, ma
l'attuale crisi finanziaria ha spinto Reserev Pimary Fund, il
più antico fondo monetario americano e quello a cui fa capo
Reserve Fund's Us Government, a liquidare un altro dei suoi
fondi nel settembre scorso, in seguito alla sua forte
esposizione a Lehman Brothers. In seguito a questo evento, il
Tesoro americano ha messo a punto un piano da 50 miliardi per
stabilizzare il mercato monetario e garantire la stabilità dei
fondi mutualistici. Accanto a questo programma, la Fed ha
annunciato la creazione di un meccanismo per aiutare i fondi
mutualistici consentendo loro di rivendere più facilmente i
titoli alle banche così da poter far fronte alle richieste degli
investitori, che sempre più numerosi bussano alla porta per
avere indietro gli investimenti effettuati. Il meccanismo
entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. (ANSA).
Fonte
- ANSA
Fmi:
Strauss-Kahn, rischio nuova
catastrofe finanziaria
21 Novembre 2008 13:25 PARIGI
-
di ANSA ______________________________________________
(ANSA) - PARIGI, 21 NOV - Il
direttore generale del Fondo monetario internazionale,
Strauss-Kahn, non esclude 'una nuova catastrofe' nel mondo della
finanza. E' questo a suo avviso 'uno dei rischi che sussistono'
e che potrebbero pregiudicare la ripresa della crescita mondiale
a fine 2009. 'Se siamo seri la crescita ripartira'', ha detto
Strauss-Kahn, per il quale c'e' pero' il rischio che il credito
non riparta. 'E' percio' legittimo - ha aggiunto - pungolare i
banchieri per obbligarli a concedere prestiti'.
Fonte
- ANSA
Citigroup,
salvataggio continuo
Monday, 24 November, 2008 at
14:53
-
di
Phastidio ______________________________________________
Citigroup otterrà la garanzia del
governo federale su 306 miliardi di cartolarizzazioni dissestate
ed altri asset tossici riportati a bilancio, secondo quanto
deciso da un piano per stabilizzare la banca, che la scorsa
settimana ha perso il 60 per cento della propria
capitalizzazione azionaria. Citigroup otterrà anche un’infusione
di liquidità per 20 miliardi di dollari dal Tesoro, in aggiunta
ai 25 miliardi ricevuti il mese scorso attraverso il TARP. In
cambio di liquidità e garanzie, il governo otterrà 27 miliardi
di dollari in azioni privilegiate che pagheranno un dividendo
dell’8 per cento.
L’azione Citigroup ha perso quest’anno l’83 per cento del
proprio valore, e la scorsa settimana è scesa sotto i 5 dollari
per la prima volta dal 1995. La banca, che due anni fa era la
più grande per capitalizzazione, è scivolata al quinto posto
dopo aver accumulato in quattro trimestri consecutivi perdite
per 20 miliardi di dollari.
Le azioni privilegiate saranno emesse con un warrant che darà la
facoltà di comprare 254 milioni di azioni Citigroup a 10,61
centesimi l’una, consentendo ai contribuenti di partecipare ad
un eventuale rally azionario successivo all’investimento
governativo. In realtà, l’elevato prezzo di esercizio dei
warrant (che rappresenta la media delle quotazioni degli ultimi
dieci giorni) avrà l’effetto di limitare la diluizione degli
attuali azionisti. Citigroup dovrà limitare il proprio dividendo
trimestrale a 1 centesimo ad azione, contro i 16 centesimi
pagati questo trimestre.
Secondo i termini dell’accordo, Citigroup dovrà sostenere i
primi 29 miliardi di dollari di perdite sul pool di 306
miliardi, in aggiunta agli accantonamenti già effettuati. Dopo
tale soglia, il governo coprirà il 90 per cento delle perdite, e
Citigroup il 10 per cento. A differenza dei salvataggi di Bear
Stearns e di AIG, nessun cambiamento di management verrà
effettuato, il che è piuttosto incomprensibile, vista la
situazione di Citigroup.
La scorsa settimana la banca ha emesso un comunicato in cui
enfatizza la propria forte posizione di liquidità e base di
capitale. In realtà, Citigroup possiede 1100 miliardi di dollari
di attivi fuori bilancio, a fronte di un bilancio di 2200
miliardi e la sua base di depositi, fortemente
internazionalizzata, presenta criticità derivanti dalla
copertura assicurativa in giurisdizioni diverse dagli Stati
Uniti, circostanza che potrebbe determinare una corsa agli
sportelli delle controllate estere. Il salvataggio, quindi,
oltre che potenzialmente dannoso per i contribuenti americani,
rischia di non essere risolutivo, data la mole di attivi fuori
bilancio che Citi possiede, e che amplificano il suo leverage
totale.
Fonte
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Macromonitor
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