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  Sabato 01 Novembre 2008   Martedì 04 Novembre 2008   Mercoledì 05 Novembre 2008  
       
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GR1 RAI - 03 NOV ore 22:00

   

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GR1 RAI - 05 NOV ore 22:00

   

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INDICE ARTICOLI

PARTE  2

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Sentiment Mercati - Opinioni

Borse di nuovo in crescita con denaro a costo zero

Micro USA - General Motors

General Motors, tempo scaduto?

Sentiment Mercati - Opinioni

Gestori, ripresa ancora lontana

Sentiment Mercati - Opinioni

Nel vaso di pandora. Quattro speranze e una realtà

Crisi credito - Mercato Derivati

Derivati di credito e arbitraggio: il concetto di ...

Sentiment Mercati - Guru

Mauldin: solo cash e bond. Le borse soffriranno ...

Sentiment Mercati - Guru

Wall Street: sognando il rally di Santa Klaus

Sentiment Mercati - Guru

Wall Street: solo rimbalzi sui listini (vince l'orso)

Sentiment Mercati - Guru

Wall Street: ripartenza da Gennaio in poi

   
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ANSA   +++   03 Novembre 2008 11:34 BRUXELLES   +++   Ue: Eurolandia verso stagnazione, pil +0,1% in 2009   +++   ANSA   +++   03 Novembre 2008 19:17 NEW YORK   +++   CRISI MUTUI: S&P; 5.800 MLD BRUCIATI IN OTTOBRE SU BORSE   +++   31 Ottobre 2008 21:04 NEW YORK   +++   WALL STREET: GRAN SETTIMANA, MESE TERRIBILE   +++   Per l'S&P500 si tratta del peggior mese dal 1987. Bruciati $9.5 trilioni a livello globale   +++   ANSA   +++
 
  Giovedì 06 Novembre 2008   Giovedì 06 Novembre 2008   Venerdì 07 Novembre 2008  
       
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CRISI MUTUI: BCE,SI' CONTROPARTE CENTRALE CREDIT DEFAULT SWAP

03 Novembre 2008 17:24 ROMA - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 3 NOV - La Banca centrale europea, che oggi ha ospitato un incontro dei principali portatori d'interesse sui credit default swap, è a favore dell'istituzione di una controparte centrale per gli scambi di questi prodotti finanziari strutturati. Lo comunica la Bce in una nota, in cui l'istituto di Francoforte spiega di condividere "l'opinione del Financial Stability Forum e della Commissione europea sull'importanza del ridurre il rischio di controparte e aumentare la trasparenza dei derivati 'over the counter', specialmente nei prodotti di importanza sistemica, come i derivati del credito e in particolare i credit default swap". La Bce - si legge nella nota - ritiene che ci siano "molte iniziative per conseguire questi obiettivi attraverso l'introduzione di soluzioni centralizzate di compensazione", e che l'istituzione di una controparte centrale possa "ridurre il rischio di controparte, aumentare l'integrità e trasparenza del mercato e standardizzare i criteri per valutare l'esposizione al rischio". (ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

CRISI MUTUI: STRAUSS-KHAN, RISORSE FMI FORSE INSUFFICIENTI

03 Novembre 2008 19:58 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 3 nov - Il Fondo Monetario Internazionale potrebbe avere bisogno di risorse economiche maggiori: "Probabilmente dovremo sostenere la crescita. In questo caso, le attuali risorse del Fondo potrebbero non essere sufficienti", spiega il direttore dell'istituto di Washington, Dominique Strauss-Khan. Un'affermazione che segue quanto dichiarato dal premier britannico Gordon Brown che, nel corso della sua quattro giorni nei paesi arabi, ha invitato Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar a contribuire al sostegno delle casse del Fmi in un periodo in cui la crisi economica si sta accentuando. Al Fondo potrebbero essere necessari - ha spiegato Brown, invitando i sauditi a rimpinguare le casse del Fmi - centinaia di miliardi di dollari in più: le difficoltà dei paesi colpiti dalla crisi potrebbe accentuarsi e quindi all'istituto potrebbero servire più fondi. Ma non tutti sono d'accordo. "Non vedo alcuna ragione per cui alcuni paesi dovrebbero apportare nuove risorse al Fondo", sottolinea Mark Weisbrot, co-direttore del Center for Economic and Policy Research, secondo il quale "non è un segreto per nessuno che il Fmi è governato, dal momento della sua creazione, dal Dipartimento del Tesoro americano". (ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

Bce: Trichet motiva il taglio dei tassi

06 Novembre 2008 15:02 FRANCOFORTE - di ANSA
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(ANSA) - FRANCOFORTE, 6 NOV - Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, e' intervenuto dopo il taglio dei tassi d'interesse al 3,25%. 'Le prospettive di stabilita' dei prezzi - ha spiegato - sono migliorate ulteriormente e le aspettative inflazionistiche continueranno a scendere'. Ma 'le incertezze legate alla crisi creditizia - ha sottolineato il presidente della Bce - rimangono straordinariamente alte e sfide eccezionali ci aspettano'. Il consiglio direttivo della Bce - ha rivelato Trichet - oggi ha anche discusso un taglio dei tassi da tre quarti di punto, decidendo poi per mezzo punto percentuale. 'L'inflazione - ha detto ancora il presidente della Bce - dovrebbe continuare ad allentarsi nei prossimi mesi fino a raggiungere livelli compatibili con la stabilita' dei prezzi nel 2009'. La Bce considera' il 2% come soglia desiderabile per la stabilita' dei prezzi.(ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

  Borse di nuovo in crescita con denaro a costo zero

09 Novembre 2008 15:53 MILANO - di Giuseppe Turani

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Oggi le Borse sembrano un lungo cimitero che circonda tutto il pianeta, e solo i giornali specializzati ne parlano ancora. Sembrano appartenere a un´altra epoca storica i tempi in cui Tiscali valeva in Piazza Affari più della Fiat e in cui c´era gente che lasciava il lavoro (per sempre) perché aveva guadagnato così tanto con i titoli della new economy da non aver più bisogno di recarsi in ufficio.
La spiegazione di tutto ciò è abbastanza semplice. Oggi, dopo quello che è successo sui mercati finanziari, la propensione al rischio (come direbbero gli economisti) è praticamente zero. Questo vale tanto per i grandi finanzieri (esistono ancora, anche se al momento sono nascosti dietro i cespugli) quanto per i piccoli risparmiatori. Nessuno ha più voglia di rischiare niente e quindi tutti a mettere i soldi (pochi o tanti) su titoli obbligazionari (preferibilmente di Stato), anche se rendono poco.
Ma è possibile che questo scenario cambi abbastanza in fretta. Dai mercati, ad esempio, arriva insistente la voce che il tentativo di organizzare un rally di fine anno (che dovrebbe partire fra non molto) ci sarà sul serio. E questo perché tutti i gestori di patrimoni (che attualmente stanno perdendo, per conto dei loro clienti, dal 60 per cento in su) hanno voglia di rifarsi e di presentarsi al rendiconto di fine anno con perdite un po´ più contenute. Poter dire a un cliente che gli hanno bruciato il 30 per cento dei risparmi è sempre meglio che dirgli che gli hanno bruciato il 60 o il 70 per cento dei capitali affidati loro, pensano.
Ma non si tratta solo di questo. È l´evolversi delle cose che finirà per riportare la gente verso i mercati (con listini quindi in rialzo). Capire perché non è difficile.
In tutti i luoghi del mondo per contrastare la crisi finanziaria (e quella dell´economia reale) le varie banche centrali stanno abbassando drasticamente il costo del denaro. Negli Stati Uniti, che hanno il mercato e la banca centrale più importante, il costo "ufficiale" del denaro è già stato portato all´1 per cento (ben al di sotto dell´inflazione). In Europa siamo sopra il 3 per cento, ma si sa già che entro l´estate del 2009 si dovrà arrivare al 2 per cento.
In sostanza, se ci si riflette un po´, si vede che ovunque il costo del denaro finirà al di sotto dell´inflazione. In termini reali, cioè, il denaro non costerà niente.
E questo, nella mente dei banchieri centrali e delle autorità di governo, dovrebbe servire (unitamente a altre misure) a rilanciare l´economia. Nessuno, ovviamente, contesta questi tagli nel costo del denaro. Anzi, semmai si rimprovera con toni molto aspri la Banca centrale europea per via della sua eccessiva timidezza nel maneggiare la scure. Il taglio dei tassi, comunque, se da un lato aiuta l´economia a riprendersi, ha anche una specie di faccia oscura, quella di cui si parla meno.
Con il denaro che costa l´1 o il due per cento gli interessi pagati sulle obbligazioni pubbliche (Bot e simili) non possono essere molto elevati, al massimo uno o due punti percentuali. In sostanza, nel giro di qualche mese la gente scoprirà che sui propri soldi, investiti a rischio zero su titoli di Stato, si porta a casa un interesse che copre appena l´inflazione. In qualche caso, dedotte le imposte e le spese di commissioni, non si porta a casa proprio niente.
In queste condizioni, e soprattutto se intanto la situazione generale avrà dato segni di stabilizzazione (niente più crolli di banche, niente più fallimenti di hedge fund, ecc.), i risparmiatori poco a poco riscopriranno la propensione al rischio persa per strada durante questa terribile crisi. E quindi torneranno a puntare sulle Borse, cioè sui titoli azionari, nella speranza di ricavare qualche guadagno in più. Giorno dopo giorno finirà per crearsi una sorta di onda che avrà come risultato quello di portare in su i listini e di ricreare la moda delle Borse. In pratica nel corso del 2009 assisteremo alla loro resurrezione.
E questo non per meriti propri, ma per assoluta mancanza di concorrenti. I titoli di Stato finiranno per fornire rendimenti sempre meno interessanti mentre il denaro in circolazione è tanto e è anche abbastanza assetato di guadagni (soprattutto perché nel 2008 ha dovuto mandare giù perdite da incubo). Anni fa un agente di cambio di Piazza Affari aveva commentato uno dei tanti crolli di Borsa di allora con una battuta cinica ma vera: «I crolli sono salutari, così la media borghesia avida e risparmiatrice si rimette al lavoro e nel giro di qualche anno è pronta per un nuovo rialzo perché ha di nuovo i soldi in mano».
Adesso, rispetto a quei tempi, non c´è nemmeno bisogno di mettere da parte i soldi, ci sono già (hanno provveduto le banche centrali a riempire il mondo di liquidità). Tutto quello che serve per vedere la Borse rinascere è solo un minimo di tranquillità (politica e finanziaria). Poi, la propensione al rischio si riformerà nel giro di una notte o due e torneranno tutti a comprare i titoli, che nel frattempo sono scesi a valori spesso ridicoli e quindi molto convenienti. Anche i più sprovveduti, a quel punto, si sentiranno in grado di poter osare. E la giostra ripartirà.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

  General Motors, tempo scaduto?

Wednesday, 12 November, 2008 at 14:36 - di Macromonitor

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General Motors, che sta bruciando sempre più cassa all’accentuarsi del calo delle proprie vendite, sta inesorabilmente approssimandosi al fallimento, mentre attende di sapere se il settore auto riuscirà ad ottenere nuovi prestiti governativi. Venerdì 7 novembre GM ha riportato una perdita di 2,5 miliardi di dollari, o 4,45 dollari ad azione, segnalando disponibilità liquide al 30 settembre per 16,2 miliardi di dollari, contro i 21 miliardi alla fine di giugno, ed un fabbisogno mensile di 11 miliardi di dollari. Secondo gli analisti del settore, solo l’intervento pubblico può ormai impedire il collasso del più grande costruttore statunitense, le cui azioni ieri hanno toccato il minimo da 64 anni. La stessa riorganizzazione societaria secondo i dettami del Chapter 11 potrebbe non esser praticabile, a causa della stretta creditizia in corso, anche dato il grave squilibrio di redditività operativa. La prospettiva di una liquidazione forzata aumenta la posta in gioco del finanziamento federale, dopo che il 7 novembre l’azienda ha dichiarato che potrebbe esaurire la liquidità operativa entro fine dicembre.
In questi mesi, quindi, il quadro congiunturale ed operativo che l’azienda fronteggia è significativamente peggiorato, vanificando gli sforzi di generazione di liquidità, che rappresenta condizione imprescindibile per la sopravvivenza della società. Per questo la procedura di amministrazione controllata del Chapter 11 non risolverebbe il problema immediato della liquidità, come confermato nei giorni scorsi anche da un portavoce di GM, che ha aggiunto che la procedura concorsuale finirebbe col creare più problemi di quanti non ne risolva. Le vendite di GM negli Stati Uniti, che sono diminuite del 21 per cento lo scorso trimestre, e del 45 per cento nel mese di ottobre, sarebbero “devastate” dall’amministrazione straordinaria, ha detto lo scorso 7 novembre Rick Wagoner, Chief Executive Officer della compagnia.
GM sta tagliando posti di lavoro e chiudendo impianti dopo aver accumulato perdite per quasi 73 miliardi di dollari dal 2004. Wagoner ha esplicitamente dichiarato che l’azienda necessita di un pacchetto di aiuti prima dell’entrata in carica del presidente eletto, Barack Obama, che avverrà il prossimo 20 gennaio. Domenica si è tenuto l’incontro alla Casa Bianca tra Bush e Obama, dal quale sarebbe giunta conferma circa la contrarietà dell’attuale presidente a concedere aiuti al settore delle auto utilizzando i fondi previsti dal pacchetto di 700 miliardi di dollari previsto dall’Emergency Economic Stabillization Act, come invece richiesto dalla Speaker della Camera, Nancy Pelosi, e dal leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid. Gli investitori hanno accentuato il proprio pessimismo, e hanno portato il titolo al nuovo minimo dal 1949. Lunedì si è poi avuta la presa di posizione dell’analista di Deutsche Bank, Rod Lache, cha ha affermato che il prezzo-obiettivo di GM è zero.
General Motors, Ford e Chrysler hanno richiesto aiuti per 50 miliardi di dollari per affrontare il peggior mercato dell’auto da 17 anni, in aggiunta ai 25 miliardi già ottenuti a settembre per contribuire a riconvertire gli impianti e renderli idonei alla produzione di veicoli a maggiore efficienza energetica.
Al Congresso vi è crescente sostegno all’idea dell’erogazione di aiuti, anche se il punto centrale resta l’esecuzione del piano, ed a quale costo per azionisti e creditori. La maggioranza Democratica al Congresso si è già detta pronta a modificare la fraseologia della legge che istituisce il salvataggio delle istituzioni finanziarie, per aggirare la motivazione ufficiale del rifiuto di Paulson ad utilizzare quei fondi, la loro destinazione esclusiva al settore finanziario. Resta la possibilità che tali modifiche vengano realizzate in tempo per la sessione parlamentare della prossima settimana. Il fallimento di GM, nell’ipotesi di arresto della sua produzione, sarebbe un evento catastrofico, con la perdita di 2,5 milioni di posti di lavoro, diretto e nell’indotto, e costerebbe un punto pieno di prodotto interno lordo. Elevata è infatti la connessione sistemica tra GM, Ford e Chrylser, ed i fornitori. A questo riguardo, ieri GM ha ammonito che Delphi, il suo maggiore fornitore, potrebbe non essere in grado di uscire dalla procedura di amministrazione controllata in cui si trova da qualche anno.
Alle criticità legate alla distruzione di cassa ed alla redditività operativa si aggiunge poi il problema della disponibilità di credito per le imprese che si trovano in Chapter 11: i cosiddetti “debtor-in-possession loans”, finanziamenti erogati alle imprese in amministrazione straordinaria e che vengono rimborsati al termine della procedura, sono stati di fatto azzerati dalle banche, in conseguenza della stretta creditizia. Anche per questo motivo, il rischio che corrono le imprese in crisi di liquidità e con redditività operativa negativa è quello di non poter accedere al Chapter 11, bensì di non avere alternative al Chapter 7, la messa in liquidazione della società.
Ford ha riportato nel terzo trimestre una perdita di 129 milioni di dollari, ma ben 3 miliardi di perdite operative da gestione caratteristica. La società ha bruciato 7,7 miliardi di dollari nel trimestre, ad una velocità nettamente superiore alle stime più pessimistiche degli analisti. La casa di Dearborn ha annunciato misure di rafforzamento della posizione di liquidità, che dovrebbe situarsi tra i 14 ed i 17 miliardi di dollari nel 2010, da ottenere attraverso tagli di personale, riduzione di benefit, minori investimenti, disinvestimento di attività non-core e accesso a nuove fonti di finanziamento, anche pubbliche.
Sia GM che Ford hanno un patrimonio netto negativo: la prima per ben 57 miliardi di dollari (su attivi pari a 136 miliardi), la seconda per 1,7 miliardi su attivi pari a 265 miliardi di dollari. Da tale dato emerge l’assoluta criticità della condizione di GM.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

  Gestori, ripresa ancora lontana

12/11/2008 11.34 Milano - di Sara Silano

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I gestori sono un po’ meno pessimisti sulle Borse, ma non riescono a trovare buone ragioni per essere ottimisti. Secondo l’ultimo sondaggio, condotto tra 22 delle principali case di investimento che operano in Italia, la volatilità rimarrà alta a causa del rallentamento globale e della crisi creditizia, nonostante gli sforzi dei governi e degli istituti centrali a sostegno delle banche. Per questo motivo i portafogli sono difensivi e sovrappesano i settori non esposti al ciclo economico, in particolare i farmaceutici e le utilities. Inoltre, continua ad essere alta la percentuale di liquidità a discapito delle azioni, che sono state pesantemente penalizzate dalla crisi finanziaria, e delle obbligazioni, che offrono bassi rendimenti.

Europa aggrappata alla Bce
A ottobre, le Borse europee hanno toccato nuovi minimi dell’anno (-12,8% l’Msci Europe) a causa del peggioramento del quadro macro-economico, dell’aumento delle svalutazioni degli attivi di banche ed assicurazioni e della mancanza di liquidità nel sistema interbancario. Nella prima parte di novembre sono proseguite le vendite, anche se gli interventi governativi e delle autorità monetarie hanno dato un po’ di respiro ai mercati azionari. La Banca centrale europea ha deciso di tagliare i tassi due volte, portandoli al 3,25% e ora i gestori si aggrappano alla possibilità di nuove riduzioni, che potrebbero frenare la discesa. Per il 52% degli intervistati i listini potrebbero stabilizzarsi intorno agli attuali livelli nei prossimi sei mesi. Esiste, però, un 38% di ottimisti, che considera le attuali valutazioni dei titoli attraenti, in quanto gran parte delle cattive notizie sul fronte degli utili sono state incorporate nei prezzi.

Wall Street sente la crisi
Dall’inizio di ottobre, l’indice S&P 500 ha perso circa il 30% (all’11 novembre), condizionato dal ribasso dei titoli finanziari e dei settori ciclici (beni durevoli, tecnologia, ecc.). D’altra parte i dati macro-economici mostrano un quadro debole: nel terzo trimestre il Prodotto interno lordo è cresciuto solo dello 0,3%, frenato dalla contrazione dei consumi personali e dalla crisi del settore immobiliare. E a differenza della Bce, la Federal Reserve non ha grandi spazi per ridurre i tassi, già all’1%. Tuttavia, i gestori confidano sullo stato più avanzato della fase recessiva, per cui il numero di ottimisti (42,8%) è superiore a quello europeo. E’ analoga, invece, la percentuale di coloro che prevedono una stabilizzazione attorno agli attuali livelli a fronte di un’elevata volatilità.

Il Giappone e le sue contraddizioni
A novembre, la Borsa di Tokyo è stata quella che ha raccolto il maggior numero di consensi tra i gestori (62%), ma è anche il listino con una percentuale più alta di pessimisti (il 14,3% contro il 4,8% degli Stati Uniti e il 9,5% dell’Europa). L’economia del Sol levante è molto dipendente dalle esportazioni e quindi dai rapporti con i Paesi industrializzati e con le aree emergenti asiatiche. Di conseguenza, l’andamento della Borsa non sarà differente da quello dei mercati occidentali. I più scettici sottolineano che il rallentamento congiunturale ha colpito anche il Giappone, quindi è preferibile attendere chiari segnali di ripresa.

L’inflazione fa meno paura
La riduzione del prezzo del petrolio e delle materie prime ha allentato i timori di un aumento dell’inflazione. Per la Bce, ora, la principale preoccupazione è rappresentata dall’economia e molti gestori si attendono ulteriori tagli dei tassi di interesse. Questa prospettiva dovrebbe sostenere i prezzi delle obbligazioni per il 57,2% dei gestori. Sono diverse le prospettive per gli Stati Uniti, dove si prevede che la Federal Reserve rimarrà ferma nei prossimi mesi. Di conseguenza, il 42,8% dei fund manager prevede che i corsi dei bond non subiranno grandi variazioni, mentre il 38% si attende un calo.

Euro/dollaro senza scossoni
Le previsioni sul mercato dei cambi non sono mai facili, questo vale ancor di più oggi. Da un lato il peggioramento dello scenario economico in Europa ha favorito il dollaro; dall’altro gli Stati Uniti non hanno risolto i problemi di indebitamento che avevano alimentato la discesa del biglietto verde. Esiste, però, un altro aspetto da tenere in considerazione: il differenziale tra i tassi di interesse, che dovrebbe ridursi, svantaggiando la divisa comunitaria. Per queste ragioni il 47,6% dei gestori prevede che il rapporto di cambio continuerà ad oscillare attorno agli attuali livelli, mentre il 33% stima un apprezzamento del dollaro.

Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 4 e l’11 novembre, 22 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa l’85% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen Asset Management, Aletti Gestielle, Allianz Global Investors, Anima Sgr, Axa IM, Banca Ifigest, Banca Profilo, Bipiemme Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Eurizon Capital, Euromobiliare AM, Fideuram Investimenti, JC&Associati, Ing IM, Investitori Sgr, Julius Baer, MC Gestioni, Pioneer Im, Sella Gestioni, Standard Chartered Bank, Total Return, Vontobel. 
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Sabato 08 Novembre 2008   Martedì 11 Novembre 2008   Mercoledì 12 Novembre 2008  
       
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GR1 RAI - 10 NOV ore 22:00

   

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GR1 RAI - 12 NOV ore 22:00

   

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Halloween rosso sangue per gli hedge fund

Tuesday, 12 November, 2008 at 17:07 - di John Christian Falkenberg
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Halloween rosso sangue per gli hedge fund
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Per gli hedge fund ed i loro investitori, Ottobre si è chiuso come una replica del bagno di sangue : dopo il 6 per cento di perdita a settembre, il settore ha perso un altro 5.4 per cento. Una doccia fredda per gli investitori, abituati a rendimenti positivi per quasi tutti gli ultimi 20 anni e che adesso stanno ritirando denaro in maniera brutale: molti fondi hedge stanno subendo richieste di riscatto superiori al 20 percento del capitale.
Anche chi si è premunito, imponendo ai clienti un lungo periodo di preavviso prima di riavere i fondi investiti sta avendo problemi seri. Citadel è uno dei fondi più grandi e di maggior successo, al punto che la sua società di gestione impiega ormai migliaia di persone e si è quasi trasformata in una banca d’affari, con tanto di divisioni impegnate nell’intermediazione di derivati. Il fondo ha una clausola di lockup estremamente rigida, proprio per evitare che investitori presi dal panico si ritirino durante una crisi, proprio quando la liquidità è maggiormente importante. La performance è stata decisamente negativa: quest’anno ha perso il 40 per cento ed alcuni dei fondi principali hanno lasciato sul terreno il 22 per cento solo fra settembre ed ottobre. La débacle ha scatenato, per la seconda volta in un mese, una ridda di voci riguardo un potenziale drastico aumento delle garanzie richieste dalle banche finanziatrici di Citadel, aumento di garanzie che starebbero mettendo in ginocchio il fondo. Citadel e le banche hanno sinora smentito, sostenendo che si procede “come al solito”, ma per ristabilire la calma è stata comunque necessaria una conference call aperta agli investitori ed ai trader per spiegare in dettaglio la situazione.
Vedremo se qualcuno avrà ancora voglia di parlare di hedge fund “onnipotenti” e maligni, elementi chiave di troppe teorie anticapitaliste negli ultimi cinque anni.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

CRISI MUTUI: WSJ,AMERICAN EXPRESS CERCA 3,5 MLD AIUTI GOVERNO

12 Novembre 2008 18:10 ROMA - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 12 NOV - American Express sta cercando aiuti per 3,5 miliardi di dollari dal governo Usa. Lo scrive il Wall Street Journal che cita fonti vicine al dossier. Il colosso delle carte di credito sarebbe intenzionato ad aderire al piano di aiuti federale, il cosiddetto programma Tarp (Trouble Asset Relief Program) e potrebbe avere presentato richiesta già prima di aver ottenuto l'altro ieri dalla Fed il cambio di status a holding bancaria. L'indiscrezione sta facendo salire il titolo alla Borsa di Francoforte, con un rialzo di 40 cent a 22,80 dollari dopo il ribasso del 6,6% registrato al Nyse. American Express - riferisce l'agenzia Bloomberg - non ha voluto per ora commentare l'indiscrezione.(ANSA).
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

PIANO DI SALVATAGGIO: CLAMOROSA MARCIA INDIETRO DEL TESORO USA

12 Novembre 2008 18:43 NEW YORK - di ANSA
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Colpo di scena: il Segretario al Tesoro Henry Paulson annuncia che il governo americano non acquistera' piu' gli asset "tossici" delle banche ("e' stato un errore pensare di poterlo fare", dice) ma entrera' nel capitale degli istituti in difficolta'.
La Casa Bianca ha abbandonato il programma di riacquisto degli asset "tossici" degli istituti bancari in difficolta’ piegati dalla crisi finanziaria. Il programma rappresentava un punto cardine del piano di salvataggio da $700 miliardi approvato dal Congresso nei giorni scorsi dopo numerose critiche.
Appena ricevuti i fondi, il Tesoro ha deciso che fornire capitali alle banche in cambio di azioni privilegiate si sarebbe potuta rivelare una strategia con risvolti maggiormente favorevoli. Parte dei fondi originariamente destinati all’acquisto degli asset "cattivi" delle banche verra’ ora utilizzata per prestiti in favore del settore dell’auto e del comparto scolastico.
Paulson ha dichiarato che il mercato gode delle condizioni adeguate per uscire dalla crisi, ma che ancora il sistema finanziario resta fragile. La proposta per la modifica delle condizioni dei mutui a carico delle famiglie in difficolta’ e’ un'opzione che resta in fase di valutazione, ha aggiunto Paulson, che ha difeso le azioni attuate fino a questo momento e confermato i segnali di miglioramento grazie alle ultime manovre del governo.

 
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

  Nel vaso di pandora. Quattro speranze e una realtà

Venerdì 14 Novembre 2008, 12:18 - di Alessandro Fugnoli*

*da Il Rosso e Il Nero, settimanale di strategia. Alessandro Fugnoli è strategist di Abaxbank, Banca d'Investimento del Gruppo Credem (www.abaxbank.com)

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Zeus dà all'uomo la speranza, dice Nietzsche, perché possa tormentarsi senza fine con il più malvagio dei mali. Gli dei, in effetti, sistemano Elpis nel vaso di Pandora insieme ad altre delizie come Pazzia, Dolore, Malattia e Morte. Lo fanno perché sono adirati con gli uomini che non vogliono stare al loro posto.
I bear market rally sono figli dei mercati che non vogliono stare al loro posto e cioè in basso. Si sale inseguendo speranze fino a un punto da cui si può solo precipitare ancora più in basso del punto di partenza. Un raffinato supplizio.
Il recupero degli ultimi giorni nasce da quattro speranze. Forse sono speranze esagerate, ma non sono nemmeno completamente infondate. Se il rialzo sarà modesto e assomiglierà di fatto a una stabilizzazione sarà positivo. La prima speranza è quella del superamento della fase acuta della crisi finanziaria. Qui si sono in effetti compiuti grossi passi avanti, tanto che i bancari sono in questa fase tra i settori migliori come performance. Oltre al rafforzamento patrimoniale, che è un processo ancora lungo ma bene impostato, c'è il graduale riavvio di tutto il sistema idraulico della finanza, Ne è testimonianza il calo continuo dei tassi interbancari e la ripresa, sia pure su scala ridotta, dell'attività di sottoscrizione di carta commerciale.
E' stato scritto che prima termina la crisi finanziaria e prima finisce quella economica. Le cose non sono così semplici. In primo luogo sono quasi certe scosse di assestamento nel mondo dei fondi hedge, delle banche medie e piccole e delle assicurazioni. In secondo luogo anche il superamento definitivo della crisi lascerà per molto tempo nelle banche una minore propensione alla leva, un rispetto più rigoroso degli standard di erogazione dei finanziamenti e quindi, in definitiva, minori possibilità per la crescita dell'economia. Non c'è però dubbio che, rispetto a un mese fa, il buco nero che stava inghiottendo la finanza globale appare ora molto meno pericoloso.
La seconda speranza, per i mercati, viene dalle elezioni americane. Le atmosfere di fine regno sono sempre depressive e malsane anche nelle circostanze migliori e in presenza di situazioni di crisi si fanno particolarmente cupe. Ora c'è l'idea del voltare pagina ed è come aprire le finestre e fare entrare aria fresca.
In realtà la discontinuità sarà meno forte di quanto non appaia. Il Congresso era già in mano ai democratici e le politiche per affrontare la crisi erano da tempo bipartisan. In pratica il pacchetto fiscale, il salvataggio di Fannie e Freddie e il piano Paulson potrebbero essere definiti elementi tipici di una linea politica democratica portata avanti con stile repubblicano, cioè con mano leggera.
Questa linea bipartisan continuerà ad essere seguita nei tre mesi che ci separano dall'Inauguration Day con un ovvio spostamento dei rapporti di forza a favore dei democratici ma con il mantenimento completo del piano Paulson per quanto riguarda la sua prima tranche.
L'amministrazione Obama, una volta insediata, prenderà immediatamente qualche provvedimento simbolico, ma non aumenterà subito le tasse. Lo farà invece dal 2010 in avanti quando sarà terminata la recessione. Verranno prese alcune misure per rafforzare i sindacati, ma sulle politiche anti business si procederà lentamente. Al di là del merito delle questioni, una leadership forte e chiara sarà vista come un fattore positivo dai mercati.
Il terzo elemento di speranza è il pacchetto fiscale che verrà approntato dal Congresso uscente già a partire dalle prossime settimane. Un'ampia fascia di economisti, dal repubblicano Feldstein al radicale Roubini, chiede un pacchetto estremamente robusto, dal doppio al triplo di quello dello scorso luglio. Dai 300 ai 500 miliardi, del resto, è esattamente il buco nella domanda aggregata creato dalla recessione. Una volta colmatolo, attenzione, la crescita sarebbe comunque ancora vicina a zero.
Al di là delle apparenze, i maggiori contrasti non saranno tra democratici e repubblicani, ma tra i democratici stessi. L'ala sinistra del partito, con Nancy Pelosi in prima linea, non vuole un pacchetto grosso perché teme che l'esplosione del disavanzo non lasci poi più spazio per i programmi che più le stanno a cuore (come ad esempio la sanità). Obama, sempre prudente, pare orientato verso i 200 miliardi. Alla fine quello che verrà fuori sarà di più, ma con
il compromesso di un'erogazione in tranche successive.
Per i mercati, il pacchetto fiscale rappresenterà un'attenuazione della recessione, non un ribilanciamento perfetto. A differenza del piano Paulson, imitato e in certi casi migliorato in Europa, in Asia e in molti paesi emergenti, il pacchetto fiscale, al di là della Cina, se lo potranno permettere in pochi e, tra quei pochi, non tutti avranno la volontà politica di realizzarlo. L'Europa, in particolare, non farà nulla per stimolare i consumi e limiterà il suo intervento al sostegno finanziario dei settori industriali in difficoltà.
La quarta speranza è il rally di fine anno. Non se ne parla molto ma è ben radicata, nella psicologia dei mercati, l'idea che in novembre e soprattutto in dicembre, quanto meno, non ci sia spazio per ribassi. Di ritestare i minimi, se sarà il caso, si parlerà eventualmente l'anno prossimo. A fronte di queste quattro speranze sta una realtà molto pesante sul piano macro. I dati che vengono pubblicati in questo periodo riescono puntualmente a essere ancora peggiori delle attese già cupe. Consumi, investimenti, occupazione fanno a gara a chi scende più rapidamente. In queste circostanze è molto difficile ipotizzare recuperi nel breve termine per i corsi delle materie prime e quindi per il cambio, l'economia e le borse dei paesi emergenti che le producono.
I bond governativi, intimiditi dal recupero delle borse, si sono ritratti solo temporaneamente, a nostro avviso. Quanto ai cambi, vanno esclusi per il dollaro euro sia il ritorno alla parità, di cui nei giorno scorsi si è cominciato a parlare, sia un nuovo indebolimento del dollaro fino ai minimi di 1.60 toccati in luglio.
Tra la speranza e l'illusione c'è un confine sottile. La speranza, al di là di quello che pensava Nietzsche, può dare un contributo positivo, se accompagnata da misure concrete di policy, all'attenuazione della crisi. L'illusione di potere sfidare una recessione nella sua fase più acuta con un bear market rally volontaristico sarebbe invece controproducente.
Salvo miracoli, il massimo a cui possono aspirare le borse è di chiudere l'anno a meno 35 invece che a meno 50. In tutta questa fase, del resto, la cosa più importante è recuperare efficienza e stabilità dei mercati. Per i grandi recuperi non è ancora tempo.
 

Fonte - Il Rosso e il Nero

 

 

 

 

  Derivati di credito e arbitraggio: il concetto di base negativa

Monday, 17 November, 2008 at 8:30 - di Charles Dexter Ward

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E’ di queste ore la notizia ufficiale della creazione di una clearing house accentrata per i credit default swap e di interventi a favore di una maggiore trasparenza e sicurezza per le transazioni su questo mercato.
Ovviamente sono tutti sviluppi assolutamente positivi (pur se tardivi) per un mercato che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita esponenziale: questo sviluppo imponente non accompagnato da un adeguato apparato regolamentare ha creato enormi distorsioni e criticità sull’intero mercato del credito, e non solo.
Di fatto però anche nei momenti di crisi acuta il mercato dei derivati del credito ha conservato le caratteristiche di liquidità e di profondità completamente venute meno sul mercato dei bond “in carne ed ossa”.
E’ tanto più efficiente questo mercato rispetto a quello del cash, che secondo moltissimi operatori è sul mercato sintetico che andrebbe letta la reale rischiosità dei vari emittenti. Questo perché lo spread espresso dai CDS risulta essere un dato puro, oggettivo e non “sporcato” dal fattore liquidità.
La questione non è banale e merita qualche approfondimento. Soprattutto merita un approfondimento il concetto di base negativa, realtà che caratterizza ormai l’intero mercato dei corporate bond. Perché i bond sono scambiati (o meglio, sono quotati) sul secondario con spread molto più larghi rispetto agli spread su cui sul mercato sintetico è possibile assicurarsi contro il rischio di default dello stesso emittente?
In un precedente post abbiamo detto che l’esistenza di base negativa è facilmente “arbitraggiabile”: comprando il bond e comprando contestualmente protezione sul credito è possibile neutralizzare l’esposizione al rischio di default incassando contestualmente il differenziale di spread. Ma se questo è vero, come spiegare allora l’esistenza di una base negativa così ampia (si passa dai 100 punti base fino a oltre 500 punti base) sul mercato?
Non esiste una spiegazione unica, ma è rintracciabile una concorrenza di più fattori: una prima considerazione è legata alla struttura del mercato. L’attivita degli hedge funds si è molto rarefatta in quest’ultimo mese, e proprio loro hanno svolto per lungo tempo il ruolo di arbitraggisti principali sui mercati: la base negativa non è l’unica anomalia di un mercato finanziario che appare ancora “dislocato”: il rientro verso la normalità sarà graduale e non di fatto istantaneo come sarebbe in una situazione di piena efficienza di mercato.
“Assumendo la possibilità per gli arbitraggisti di indebitarsi senza limite al tasso free risk”: ricordate la frase ricorrente letta più volte sui libri universitari quando si parlava di ipotesi di non arbitraggio? Ecco appunto, niente oggi suona più lontano dalla realtà.
Per acquistare un cash bond bisogna avere liquidità: e la liquidità di questi tempi è scarsa e molto costosa. Evidentemente troppo per rendere profittevole una strategia che scommetta sulla base negativa. Un cash bond “consuma” balance sheet per le banche e per tutti quegli operatori che devono fare provvista a fronte dei loro impieghi. Un impiego è tanto più oneroso quanto più è bassa la qualità dell’asset iscritto a bilancio: se si chiedono finanziamenti a fronte di asset in portafoglio, il finanziamento non viene erogato per il valore di libro, ma si applica un “haircut”, un margine di sicurezza per il prestatore, crescente al decrescere della qualità di credito della controparte e dell’asset stesso. Ecco perché la base negativa è maggiore sui junk bonds rispetto all’Investment grade.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

  Mauldin: solo cash e bond. Le borse soffriranno ancora

19 Novembre 2008 17:03 MILANO - di Massimiliano Malandra

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È decisamente pessimista John Mauldin, gestore Usa, molto apprezzato nell’analisi di «fondi di fondi» hedge. Già nell’ottobre 2007, con le Borse ai massimi di periodo, aveva messo in guardia dall’investire sull’equity. Poi, a luglio 2008, era stato ancora più deciso: state alla larga da Wall Street. E adesso non ha cambiato idea: «Non trovo alcun appeal nell’investimento in titoli azionari - dichiara - Siamo in un secular bear market, di quelli che possono durare un bel po’ di anni, e temo che ci rimarremo a lungo. La crisi è tutt’altro che al termine e non si vedono motivi per tornare ottimisti».

Mr. Mauldin, cosa la rende così pessimista?
Il fatto che non si vedano ancora vie d’uscita. Dal 2000 al 2006 il Pil Usa è cresciuto solo grazie al mortgage equity withdrawal dell’americano medio (ottenere prestiti monetari dando in garanzia la propria abitazione, ndr), in questo modo la bolla immobiliare ha permesso di mantenere elevati i consumi. Al netto di questa componente il risultato sarebbe stato un misero +1% annuo. E ora che la casa non funziona più come carta di credito i nodi vengono al pettine.

E a proposito di Wall Street...
Guardando ai multipli sembra che l’equity sia decisamente economico. Il p/e dell’S&P 500 era intorno alle 14-15 volte, poi negli ultimi 12 mesi le attese sui profitti futuri dell’indice sono crollate. Soltanto a febbraio scorso gli analisti si attendevano 71,2 dollari di Eps 2008, mentre il mese scorso le stime sono scese a 54,8 dollari. Una sforbiciata del 23% in sei mesi non è certo un bel segnale. Ma anche per il 2009 non ci si aspetta nulla di buono. In questo caso l’Eps stimato è stato tagliato da 81,5 a 48,5 dollari, vale a dire il 40% in meno. A questi prezzi l’S&P 500 tratta ora a oltre 18 volte gli utili: un multiplo non proprio economico, che potrebbe salire ancora.

Non c’è qualche settore che rimane interessante?
Probabilmente sì, penso per esempio all’healthcare. Ma intendiamoci: parlando di outperformance io intendo che potrebbe fare meno peggio dell’indice. Sinceramente il rapporto fra rendimento e rischio mi pare troppo sbilanciato e poco attraente.

E il petrolio o le altre commodity?
Nel breve non sono allettanti: i prezzi sembrano bassi, è vero, ma le prospettive per l’industria sono negative. Con la recessione alle porte non c’è da stare allegri. Magari a 50 dollari un po’ di petrolio ricomincerei ad acquistarlo, vedremo. Solo se dilatiamo l’orizzonte temporale a una decina d’anni potrei diventare compratore di commodity.

Quindi?
Capisco che sia poco sexy, ma ora il primo obiettivo è quello di portare a casa la pelle, vale a dire difendere il capitale. E in questo momento non lo si fa andando all’avventura sull’azionario. Certo, le occasioni si possono sempre trovare, ma si tratta di operazioni di poche ore o al limite di pochi giorni. Ma allora parliamo di trading, non certo di investimenti.

Che fare allora?
Cash e bond. Titoli corporate e governativi con alto rating. Una possibile fase di deflazione spingerebbe all’ingiù i tassi, con benefici sulle obbligazioni. Oppure - ma qui sono in conflitto di interessi - un’alternativa è data dagli hedge fund. Anche in un anno difficile come l’attuale a mio avviso hanno dimostrato di essere in grado di reggere le forti fluttuazioni dei mercati.

A proposito di hedge fund, lei è in una posizione privilegiata per un giudizio sul settore. Come vede lo scenario? Quanti falliranno?
Gli hedge fund che hanno chiuso sono tanti, sia negli Usa sia in Europa. Tuttavia non tutti sono falliti. Molti hanno semplicemente chiuso perché i gestori hanno deciso che non valeva la pena continuare, per una serie di motivi.

Ad esempio?
Patrimoni ridotti per le perdite, impossibilità di recuperare il capitale in tempi decenti, mancanza di leva finanziaria dovuta ai rientri imposti dalle banche. Del resto qualche anno fa bastava che un paio di gestori con un background anche minimo lanciasse il proprio fondo hedge perché si trovasse alla porta la fila delle banche pronte a prestargli soldi. Detto questo la fase di turbolenza è positiva per l’industria hedge: sarà inevitabile il consolidamento e l’intero settore uscirà rafforzato. A differenza dei fondi comuni gli hedge che rimarranno in vita saranno solo quelli migliori. E a quel punto potranno contare su una base di clientela più estesa e allargata.
 

Fonte - Borsa&Finanza

 

 

 

 

  Sabato 15 Novembre 2008   Domenica 16 Novembre 2008   Martedì 18 Novembre 2008  
       
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GR1 RAI - 17 NOV ore 22:00

   

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GR1 RAI - 18 NOV ore 22:00

   

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CRISI: AUTO; DETROIT SENZA AIUTI CATASTROFE PER ECONOMIA/ANSA

19 Novembre 2008 00:15 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 19 nov - Subito aiuti d'emergenza all'industria automobilistica americana da parte del Governo per evitare quella che potrebbe essere una catastrofe economica. Anche perché sull'orlo del collasso non c'é solo Gm ma anche Chrysler. I vertici delle 'Tre Sorelle di Detroit' salgono al Capitol Hill per chiedere un aiuto immediato, senza il quale la loro sopravvivenza è a rischio. E per cercare di convincere la commissione bancaria del Senato, mettono in guardia dai rischi che potrebbe comportare un eventuale fallimento di una sola delle tre società. "La crisi economica in atto sta minacciando la nostra sopravvivenza", mette in guardia l'ad di Gm, Richard Wagoner, sottolineando come l'economia americana rischia un "catastrofico collasso" in caso di fallimento di una delle case automobilistiche a stelle e strisce. "I danni per l'economia sarebbero "decisamente peggiori dell'aiuto di cui abbiamo bisogno. Non si tratta solo di salvare Detroit: si tratta di salvare l'economia statunitense", anche perché a rischio ci sono 3 milioni di posti di lavoro, visto che il fallimento di una delle case innescherebbe un effetto domino. A esporre alla bancarotta Gm - spiega Wagoner - "é la crisi finanziaria mondiale, che ha seriamente ridotto l'accesso al credito e ridotto le vendite al livello più basso dalla seconda guerra mondiale". "Il crollo di uno dei nostri concorrenti avrebbe un effetto devastante sull'insieme dei costruttori americani, dei fornitori di componentistica e dei concessionari", osserva l'amministratore delegato di Ford, Alan Mullaly, sottolineando che l'industria automobilistica americana "é molto interdipendente, in particolare i nostri fornitori, di cui il 90% sono comuni. Vi esorto a considerare la nostra richiesta di aiuto non come proveniente da tre società separatamente, ma da un'industria e da un'economia nel suo intero". Ford, per fare cassa, ha tagliato la propria quota in Mazda, operazione valutata in circa 425 milioni di euro. "Senza un prestito immediato, il nostro livello di liquidità non è sufficiente per continuare a operare normalmente", incalza il numero uno di Chrysler Robert Nardelli, secondo il quale L'industria automobilistica americana soffre di una "critica mancanza di liquidità: c'é bisogno immediato di un finanziamento ponte". Ritenendo necessario un consolidamento del settore delle quattro ruote, Nardelli che il Governo sarebbe benvenuto come azionista. I democratici, intenzionati a soccorrere l'industria automobilistica americana, hanno presentato in Senato un piano di salvataggio: il progetto prevede aiuti finanziari per il settore ma il suo destino appare incerto vista la forte opposizione repubblicana e della Casa Bianca. Il pacchetto, presentato al Capitol Hill dal leader dela maggioranza democratica Harry Reid come emendamento a una proposta di legge che estende i sussidi di disoccupazione, ritaglierebbe 25 miliardi di dollari in prestiti a basso costo a General Motors, Ford e Chrysler dal fondo 700 miliardi di dollari del piano salva-banche. Un'ipotesi che non piace alla Casa Bianca e al segretario al Tesoro Henry Paulson che ha ribadito ancora una volta la propria contrarietà: pur riconoscendo che il fallimento di una casa automobilistica americana sarebbe "una cattiva cosa", ha affermato che i fondi del piano salva-finanza vanno utilizzati per riportare stabilità sul mercato finanziario e non il settore automobilistico.(ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

Usa: Cina supera Giappone, e' primo possessore titoli stato

19 Novembre 2008 10:25 TOKYO - di ANSA
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19 Novembre 2008 10:25 TOKYO
Usa: Cina supera Giappone, e' primo possessore titoli stato
di ANSA
Sale a quota 585 mld dollari a settembre
(ANSA) - TOKYO, 19 NOV - La Cina supera il Giappone ed e' ora il primo possessore straniero di titoli del Tesoro Usa.Grazie ai 43,6 mld aggiuntivi di settembre, Pechino si porta a 585 mld di dollari in titoli, rafforzando la posizione di creditore verso gli Usa. Al contrario, in base ai dati diffusi dal Tesoro americano, Tokyo vede il proprio stock di titoli diminuire di 12,8 mld rispetto ad agosto, fino a 573,2 mld, a fronte del picco di 699 mld di agosto 2004.

 

Fonte - ANSA

 

 

Usa, caduta record inflazione ottobre, tasso 'core' sotto attese

19 Novembre 2008 15:16 - di REUTERS
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WASHINGTON (Reuters) - I prezzi al consumo Usa hanno messo a segno il mese scorso il maggior ribasso della serie, di fronte a un rallentamento economico tradottosi nel terzo mese consecutivo di calo dei costi energetici. I dati a cura del dipartimento al Lavoro mostrano un indice generale in caduta di 1%, due decimi oltre il -0,8% prospettato dalle attese Reuters e record dalla serie iniziata ormai nel 1947. Inferiore alle aspettative anche la lettura del tasso 'core' che esclude alimentari ed energia, in calo di 0,1% su settembre a fronte di attese per un incremento di pari entità. L'ultima conferma di rapida caduta dei prezzi, compresi quelli di abbigliamento e trasporti oltre al capitolo energia, riflette un indebolimento della congiuntura che non fa più fronte ad alcuna minaccia di inflazione ma potrebbe al contrario trovarsi a rischio di deflazione in calo di continuo e ulteriore deterioramento della domanda dei consumatori. Tra i singoli capitoli del paniere la voce energia mostra un calo di 8,6% dopo il -3,1% di agosto e il -1,9% di settembre. Si tratta del massimo ribasso da inizio serie, in questo caso però databile 1957. Calo record anche per la voce benzina, in caduta di 14,2% su settembre ma ancora in rialzo di 12% su ottobre dell'anno scorso. Modesto incremento per il comparto alimentari, in rialzo di 0,3% contro il +0,6% di settembre. A perimetro tendenziale l'indice generale mostra infine una crescita di 3,7%, minimo da un anno.

 

Fonte - REUTERS

 

 

FED: CI SONO SPAZI PER TAGLI, ECONOMIA GIU' FINO META' 2009

19 Novembre 2008 20:07 ROMA - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 19 NOV - La banca centrale statunitense - che ha diffuso i verbali dell' ultima riunione del FOMC in cui il costo del denaro venne tagliato all' attuale livello dell' 1,0% - prevede adesso che nel 2009 il prodotto nazionale lordo segni un andamento compreso fra -0,2% e +1,1%. La precedente stima propendeva invece per una crescita del 2,0%/2,8%. Il tasso di disoccupazione sempre nel 2009 dovrebbe oscillare fra il 7,1% ed il 7,6% contro il 5,3%/5,8% della precedente valutazione. Nel 2010 invece ci sarebbe una crescita del pil compresa fra il 2,3% ed il 3,2%, mentre il tasso di disoccupazione si attesterebbe sul 6,5%/7,3%. (ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

  Wall Street: sognando il rally di Santa Klaus

24 Novembre 2008 04:35 NEW YORK - di Eric Martin e Elizabeth Campbell

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Gli strateghi delle grandi banche d’affari Usa sono stati velocissimi nel ridimensionare le stime sugli utili attesi. Tuttavia, secondo la maggioranza di loro, ancora oggi l’S&P500 dovrebbe dovrebbe mettere a segno il miglior rally di fine anno di tutti i tempi per rispettarle.
David Kostin di Goldman Sachs ha previsto un rimbalzo dell’indice perché i titoli sono economici con riferimento al rapporto prezzo utili. Dal canto suo, Jason Trennert di Strategas Research Partners’ punta su una ripresa del credito per rilanciare i corsi azionari, mentre Thomas Lee di JpMorgan Chase crede che il mercato è così volatile che un balzo del 25% entro fine anno non lo sorprenderebbe. Anche nel 2007, sempre a novembre, le attese prospettavano un rapido recupero dopo che l’S&P500 aveva ritracciato dai suoi massimi del 9 novembre a causa dei primi segnali di debolezza emersi dalla tornata di trimestrali.
Il pronostico non avrebbe potuto rivelarsi più infondato: da allora infatti l’indice ha ceduto il 41 per cento. Quest’anno però non mancano gli scettici. Tra di loro c’è Richard Weiss della City National Bank: «Crediamo che qualsiasi tipo di inversione di tendenza sia molto difficile almeno entro fine anno. I mercati avrebbero bisogno di intuire il termine dell’attuale negativo ciclo economico, ma per il momento non c’è in vista nulla del genere».
Weiss resta comunque parte di una piccola minoranza. Basti pensare che Kostin, Trennert e Lee sono in media tra gli strategist meno ottimisti del mercato. I tre si aspettano che l’S&P500 termini l’anno a quota a 1.075 punti, intravedendo così un recupero intorno al 15% rispetto alle attuali quotazioni. «Non credo che sia un’attesa particolarmente bullish, poiché l’elevata volatilità apre lo spazio a molte eventualità». Le stimemedie parlano comunque di un balzo del 20% a quota 1.118 punti. Secondo le serie storiche di Bloomberg, nelmigliore dei casi lo sprint di fine anno ha portato un guadagno del 10 per cento. «Un aumento del 15% è forse eccessivo», spiega Bob Doll di Blackrock: «Credo che da qui a fine anno avremo un recupero, ma più contenuto».
D’altra parte, Kostin non vuole sentire ragioni. Secondo l’analista di Goldman Sachs l’indice toccherà il fondo questo mese per poi rimbalzare quando gli investitori torneranno a comprare titoli che sono molto economici rispetto alle medie storiche. Si prenda il rapporto prezzo-utili: l’S&P500 scambia su a 10,39 volte gli utili attesi per il 2009, contro una media storica pari a 21,1 volte. La logica di Trennert è altrettanto immediata: il mercato rimbalzerà perché i costi del credito crolleranno.
L’ottimismo medio degli analisti del mercato incontra poche eccezioni. Oltre a quella di Weiss, compare certamente quella di Binky Chadha di Deutsche Bank. Chadha ha recentemente abbassato a 800 punti le stime di fine sull’S& P500, diventando così il primo a pronosticare un ulteriore calo dei corsi da qui a fine anno.
Anche Richard Bernstein di Merrill Lynch ha recentemente corretto da 1.248 a 1.047 punti le proprie previsioni a 12 mesi sull’indice: «A fine agosto - spiega lo stesso Bernstein - l’indice era troppo sopravvalutato. Sta quindi correggente marcatamente e i nostri modelli stanno ancora tentando di indivuduare il suo reale valore di mercato». Alcuni vedono nel ridimensionamento delle attese degli analisti il segno che il mercato Usa si avvicina a un’inversione di tendenza.
«Il mercato Usa sarà il primo a tirarsi fuori dalle difficoltà », conferma Barton Biggs di Traxis Partners: «Siamo di fronte a grandi opportunità d’acquisto». Tuttavia i mercati devono ancora fare i conti con un ciclo economico in netto peggioramento, visto che il credit crunch sta contagiando l’intera economia. «É un grande punto di domanda », conclude Leo Grohowski, capo degli investimenti di Bank of New York Mellon: «Le notizie in arrivo dall’economia tenderanno ancora a peggiorare prima di farci vedere la fine del tunnel».
 

Fonte - Borsa&Finanza

 

 

 

 

  Wall Street: solo rimbalzi sui listini (vince l'orso)

24 Novembre 2008 05:09 NEW YORK - di *Marc Faber

*È nato a Zurigo, ma dal 1973 vive tra Hong Kong e Thailandia. In Oriente ha fondato la Marc Faber Limited. È editore del report mensile «The Gloom, Boom & Doom», dove mette in pratica la sua filosofia «contrarian» scovando opportunità che definisce inusuali Il suo sito Internet è: www.gloomboomdoom.com

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Il maggiore problema è l’enorme moltiplicazione della leva finanziaria. Senza tutto quel debito e senza tutta quella carta finanziaria, le conseguenze della crisi in atto sarebbero molto meno pesanti. La verità nuda e cruda è che il processo di riduzione del debito rappresenta una sfida dolorosissima per l’economia e per i mercati.
Oggi le banche commerciali Usa hanno una leva finanziaria media intorno a 20 volte la loro base di capitale. Ritengo che dovrebbero scendere come minimo a quota 12. E anche ammettendo che arrivino a fermarsi a 18-17 volte, in mancanza di una grossa iniezione di capitale, per forza di cose dovranno tagliare gli impieghi, risucchiando liquidità dal sistema.

CALO DEI PROFITTI. Alla luce dei nuovi dati, talune dichiarazioni del Segretario di Stato Henry Paulson suonano come barzellette con un retrogusto amaro: l’economia Usa, per esempio, non è «fondamentalmente sana» come ha in più occasioni ribadito Paulson. Gli utili operativi delle società di S&P500 registrano un inquietante calo del 30 per cento. Il mondo dell’auto è in piena depressione. La spesa per consumi, una delle forze trainanti dell’economia, mostra gravi segni di affaticamento. A livello mondiale, gli investimenti infrastrutturali hanno smesso di crescere e potrebbero addirittura diminuire nel 2009, con gravi ripercussioni per le società industriali e i produttori di materie prime.
Il contagio allunga le sue propaggini ovunque. Qui, in Cina, la festività del Golden Week, che ha luogo la prima settimana di ottobre, è stata rovinosa per il turismo: si stima che gli arrivi di cinesi a Hong Kong e Macao siano calati del 30-50% rispetto al 2007. In questo clima, dubito che il mercato azionario possa imboccare la via del rialzo. Anche perché: chi dovrebbe comprare? Le famiglie sono venditrici nette di azioni da un bel pezzo.
Nel 2007 la parte del leone l’hanno svolta le operazioni di ingegneria finanziaria, le fusioni, le acquisizioni e agli abracadabra dell’alta finanza. Ma è acqua passata: per le condizioni in cui versano, le aziende compreranno meno azioni di quanto abbiano fatto nel recente passato. Insomma, non c’è domanda, manca il carburante per alimentare un solido mercato al rialzo. Ciò non esclude, però, l’eventualità di rimbalzi. Perché gli indici si trovano in condizioni di forte ipervenduto e il pessimismo dilaga ovunque. Basta un niente e parte una corrente di ricoperture. Dunque, non sarei stupito se i listini azionari recuperassero il 10-20% entro la primavera prossima.

DOLLARO RIFUGIO. La gente rimane attonita quando dico che il biglietto verde può offrire un rifugio per il breve termine. Eppure i fatti degli ultimi mesi mi hanno dato ragione. La forza del dollaro sta nella debolezza dell’America. L’America - massima potenza industriale fino a qualche decennio fa - oggi produce poco o niente. Per lo più consuma. Sicché quando le famiglie americane stringono la cinghia sono i Paesi esportatori a soffrire. Con questo non vorrei che le mie parole fossero fraintese: nel lungo termine il dollaro è condannato, reca in sé scarso valore. Qui parlo del breve termine, fino a quando la crisi finanziaria sarà in fase acuta. C’è poi una riflessione su cui vorrei sollecitare il mio lettore.
Nel libro l’«Economia dell’inflazione», Constantino Bresciani- Turroni ha narrato i rovinosi eventi che si sono accompagnati all’iperinflazione tedesca, fra il 1919 e il 1924. Scriveva Turroni che i nuovi nababbi tedeschi si erano arricchiti non nel sentiero di una generale prosperità nazionale, bensì di pari passo con l’impoverimento della gente comune. E ciò a causa del deprezzamento della moneta.
Ora, ci vuol poco a tirare un parallelo con gli eventi della cronaca nostra: nel solo 2007 le prime cinque banche di Wall Street hanno dispensato 38 miliardi di dollari in bonus, mentre i risparmiatori hanno perso su queste banche circa 75 miliardi. Bisogna stare attenti: uno dei fattori che sicuramente contribuì all’ascesa di un pazzo come Hitler va ricercato proprio nella devastazione finanziaria subita dalle famiglie tedesche in quegli anni infausti che vanno dal 1919 al 1924. Per questo non si deve scherzare con la moneta. Non ce lo dimentichiamo.
 

Fonte - Borsa&Finanza

 

 

 

 

  Wall Street: ripartenza da Gennaio in poi

24 Novembre 2008 05:15 NEW YORK - di Maria Teresa Cometto

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Wall Street può risalire già a gennaio, anticipando l'uscita dell'America dalla recessione, che avverrà nella seconda metà del 2009. Ma un risparmiatore che guarda ai prossimi dieci anni deve comprare azioni subito, perché fin d'ora hanno prezzi davvero convenienti. E le occasioni si trovano anche a Piazza Affari, da Campari a Eni.
Lo sostiene dal suo ufficio a Rye, vicino a New York, Mario Gabelli, uno dei più famosi gestori americani e, come Warren Buffett, guru della filosofia value investing: comprare azioni di aziende solide ma sottovalutate in Borsa. I saliscendi di Wall Street prima e dopo le elezioni del 4 novembre non lo spaventano e ha fiducia nella nuova leadership di Barack Obama.
Come spiega l'accoglienza di Wall Street ad Obama? «Di solito la Borsa va giù prima dell'elezione di un Democratico e poi risale subito dopo, perché si rende conto che la realtà non è troppo brutta. Questa volta è diverso, perché così tanti altri problemi si sono intrecciati con la campagna presidenziale, dalla crisi delle banche d'affari al dissolversi della fiducia sui mercati. Quando la Camera ha bocciato il piano di salvataggio lo scorso 29 settembre, lo spettacolo è stato orribile e ha congelato tutti: i consumatori hanno smesso di comprare, le banche di prestare soldi e in ottobre Wall Street ha patito uno dei mesi peggiori di tutta la sua storia».
Ma la presidenza Obama farà bene alla Borsa? «Credo che in una cosa Obama riuscirà sicuramente subito: essere un leader e ridare fiducia, quello che è totalmente mancato negli ultimi due anni. Ma poi bisogna vedere qual è la visione di Obama per rilanciare l'America come brand. Secondo me il "marchio America" significa prima di tutto meritocrazia: se studiano, lavorano e lo meritano, negli Usa tutti possono diventare presidenti, come Obama; e tutti possono diventare ricchi, come me con due genitori italiani che non avevano studiato oltre la quinta elementare prima di venire qui come poveri immigrati. Poi, America vuol dire stato di diritto. E infine libero mercato, che però fa sempre attenzione alle regole».
Crede che il nuovo presidente incarni tutti questi valori? «Lo spero. Dipende da come affronterà i problemi strategici, dall'indipendenza energetica al miglioramento del sistema scolastico pubblico, fino agli aiuti per gli imprenditori per nuovi business e posti di lavoro».
E la recessione? «C'è già da un po', ma se Obama agisce in modo appropriato potrà essere non troppo grave. Se ne potrà riemergere forse nella seconda metà del 2009, però la Borsa può anticipare la ripresa già a partire da gennaio».
Quali rischi vede che potrebbero invece aggravare la situazione? «La mia maggior preoccupazione è che Obama prenda qualche misura che danneggi gli scambi commerciali su scala globale. Negli Anni 30 la depressione fu prolungata proprio dalle politiche protezioniste. Oggi abbiamo un grosso problema con i rapporti fra le valute: sarebbe molto negativo se per esempio Giappone o Cina decidessero di proteggere le proprie monete all'interno di una guerra commerciale con gli Usa. L'altro rischio all'orizzonte è che con tutta la liquidità immessa nel sistema da banche centrali e autorità mondiali, prima o poi si riaccenda una forte inflazione. Ma a breve termine è più importante far ripartire i mercati».
Un investitore privato fa meglio allora ad aspettare l'inizio della ripresa delle quotazioni a gennaio? «No. Se si guarda ai prossimi dieci anni oggi bisogna comprare azioni. Ci sono ottime aziende con un rapporto prezzo/utili che non vedevo da 35 anni, veramente basso. Credo che chi investe oggi fra tre o quattro anni avrà ottimi rendimenti».
Pensa a qualche titolo in particolare? «A Vivendi o a Cablevision, nei settori media e telecom, tartassati ma destinati a riprendersi. Infatti a un certo punto i consumatori americani — che rappresentano due terzi del prodotto interno lordo Usa, a sua volta pari al 25% del Pil mondiale — ricominceranno a spendere. Magari fra un anno e mezzo, quando lo choc finanziario sarà alle nostre spalle. E allora riprenderanno anche gli investimenti pubblicitari e le vendite di prodotti come i telefonini e altri beni di consumo non indispensabili, come i liquori. Per questo mi piacciono, in Borsa, Pernod e Campari, per esempio: marchi che compreranno anche i cinesi e gli indiani. Un altro settore di Borsa che sta soffrendo è l'alberghiero: oggi non si costruiscono più palazzi, ma fra due o tre anni i viaggi e il turismo cresceranno di nuovo e titoli come Mandarin o Starwood risaliranno».
Ha altri investimenti sulla Borsa di Milano? «Sto molto attento alle società con una buona liquidità, per questo a Piazza Affari ho comprato azioni del Sole24Ore. Mi piace anche l'Eni di Paolo Scaroni e ho un po' di Telecom Italia».
Chi ha dieci anni davanti a sé fa bene a comprare già adesso nuove azioni. Ci sono ottime aziende a prezzi che non si vedevano da decenni Mario Gabelli, 66 anni, nato nel Bronx da una coppia di poveri immigrati italiani, controlla un impero di fondi comuni e altri strumenti d'investimento (25 miliardi di dollari in gestione) con la società che ha creato nel 1977, Gamco Investors, e che ha quotato a Wall Street nel 1999. Suo socio al 18,9% è Bill Gates.

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

  Venerdì 21 Novembre 2008   Mercoledì 26 Novembre 2008   Mercoledì 26 Novembre 2008  
       
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GR1 RAI - 20 NOV ore 22:00

   

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GR1 RAI - 24 NOV ore 22:00

   

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CRISI: FONDO MONETARIO IN LIQUIDAZIONE, GARANZIE TESORO/ANSA

21 Novembre 2008 02:00 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 21 NOV - Il Reserve Fund's Us Government chiede la liquidazione e, data "l'eccezionale situazione" presente sul mercato monetario, il Tesoro americano, che diverrà garante di ultima istanza, compenserà le perdite subite dagli investitori. In particolare, l'accordo prevede che il fondo si impegni a cedere i propri asset entro il 3 gennaio, poi interverrà il Tesoro che potrebbe dover asset restanti per un importo massimo di 5,6 miliardi di dollari. L'operazione sarà condotta attraverso l'Exchange Stabilization Fund e mira ad assicurare che gli azionisti ricevano almeno un dollaro per ogni azione. La decisione del Tesoro di farsi compratore di ultima istanza é legata - è spiegato in una nota - alle circostante "uniche ed eccezionali" sul mercato. Al momento - aggiunge il Tesoro - nessun altro fondo di quelli che hanno aderito al piano da 50 miliardi varato alcuni mesi fa proprio a sostegno del mercato monetario godrà di azioni simili. Il Reserve Fund's Us Government controlla buoni del Tesoro a breve termine e titoli di debito emessi da Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi del credito ipotecari commissariati dal governo americano. "L'accordo raggiunto dà al fondo 45 giorni per vendere gli asset a valore contabile netto o al di sotto. Al termine di questo periodo" Il Tesoro "acquisterà gli asset restanti al valore contabile netto". Il rischio massimo a cui il Tesoro dovrebbe esporsi è 5,6 miliardi di dollari. Il fallimento di fondi monetari, strumenti a breve termine considerati molto sicuri, è un fenomeno molto raro, ma l'attuale crisi finanziaria ha spinto Reserev Pimary Fund, il più antico fondo monetario americano e quello a cui fa capo Reserve Fund's Us Government, a liquidare un altro dei suoi fondi nel settembre scorso, in seguito alla sua forte esposizione a Lehman Brothers. In seguito a questo evento, il Tesoro americano ha messo a punto un piano da 50 miliardi per stabilizzare il mercato monetario e garantire la stabilità dei fondi mutualistici. Accanto a questo programma, la Fed ha annunciato la creazione di un meccanismo per aiutare i fondi mutualistici consentendo loro di rivendere più facilmente i titoli alle banche così da poter far fronte alle richieste degli investitori, che sempre più numerosi bussano alla porta per avere indietro gli investimenti effettuati. Il meccanismo entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. (ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

Fmi: Strauss-Kahn, rischio nuova catastrofe finanziaria

21 Novembre 2008 13:25 PARIGI - di ANSA
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(ANSA) - PARIGI, 21 NOV - Il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Strauss-Kahn, non esclude 'una nuova catastrofe' nel mondo della finanza. E' questo a suo avviso 'uno dei rischi che sussistono' e che potrebbero pregiudicare la ripresa della crescita mondiale a fine 2009. 'Se siamo seri la crescita ripartira'', ha detto Strauss-Kahn, per il quale c'e' pero' il rischio che il credito non riparta. 'E' percio' legittimo - ha aggiunto - pungolare i banchieri per obbligarli a concedere prestiti'.

 

Fonte - ANSA

 

Citigroup, salvataggio continuo

Monday, 24 November, 2008 at 14:53 - di Phastidio
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Citigroup otterrà la garanzia del governo federale su 306 miliardi di cartolarizzazioni dissestate ed altri asset tossici riportati a bilancio, secondo quanto deciso da un piano per stabilizzare la banca, che la scorsa settimana ha perso il 60 per cento della propria capitalizzazione azionaria. Citigroup otterrà anche un’infusione di liquidità per 20 miliardi di dollari dal Tesoro, in aggiunta ai 25 miliardi ricevuti il mese scorso attraverso il TARP. In cambio di liquidità e garanzie, il governo otterrà 27 miliardi di dollari in azioni privilegiate che pagheranno un dividendo dell’8 per cento.
L’azione Citigroup ha perso quest’anno l’83 per cento del proprio valore, e la scorsa settimana è scesa sotto i 5 dollari per la prima volta dal 1995. La banca, che due anni fa era la più grande per capitalizzazione, è scivolata al quinto posto dopo aver accumulato in quattro trimestri consecutivi perdite per 20 miliardi di dollari.
Le azioni privilegiate saranno emesse con un warrant che darà la facoltà di comprare 254 milioni di azioni Citigroup a 10,61 centesimi l’una, consentendo ai contribuenti di partecipare ad un eventuale rally azionario successivo all’investimento governativo. In realtà, l’elevato prezzo di esercizio dei warrant (che rappresenta la media delle quotazioni degli ultimi dieci giorni) avrà l’effetto di limitare la diluizione degli attuali azionisti. Citigroup dovrà limitare il proprio dividendo trimestrale a 1 centesimo ad azione, contro i 16 centesimi pagati questo trimestre.
Secondo i termini dell’accordo, Citigroup dovrà sostenere i primi 29 miliardi di dollari di perdite sul pool di 306 miliardi, in aggiunta agli accantonamenti già effettuati. Dopo tale soglia, il governo coprirà il 90 per cento delle perdite, e Citigroup il 10 per cento. A differenza dei salvataggi di Bear Stearns e di AIG, nessun cambiamento di management verrà effettuato, il che è piuttosto incomprensibile, vista la situazione di Citigroup.
La scorsa settimana la banca ha emesso un comunicato in cui enfatizza la propria forte posizione di liquidità e base di capitale. In realtà, Citigroup possiede 1100 miliardi di dollari di attivi fuori bilancio, a fronte di un bilancio di 2200 miliardi e la sua base di depositi, fortemente internazionalizzata, presenta criticità derivanti dalla copertura assicurativa in giurisdizioni diverse dagli Stati Uniti, circostanza che potrebbe determinare una corsa agli sportelli delle controllate estere. Il salvataggio, quindi, oltre che potenzialmente dannoso per i contribuenti americani, rischia di non essere risolutivo, data la mole di attivi fuori bilancio che Citi possiede, e che amplificano il suo leverage totale.
 

Fonte - Macromonitor