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  Lunedì 03 Novembre 2008   Mercoledì 05 Novembre 2008   Giovedì 06 Novembre 2008  
       
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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Elezioni USA - Opinioni

USA - Quattro idee per il Presidente che verrà

Macro USA - Consumi

Se gli americani non spendono più, guai per tutti

Crisi creditizia - Opinioni

La crisi e il Socialismo per ricchi

Elezioni USA - Epilogo

USA - Dopo una vittoria storica Obama ...

Elezioni USA - Opinioni

" Leader globale come l'imperatore Adriano"

Crisi creditizia - Opinioni

Perché é sbagliato tornare all'interventismo di Keynes

Crisi creditizia - Opinioni

Le Banche Centrali hanno già pompato 7$ trilioni ...

Crisi creditizia - G20

G-20: Lula, l'America ha fallito. Si torni al ...

Crisi creditizia - G20

Cosa resta del G20

   
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ANSA   +++   03 Novembre 2008 11:34 BRUXELLES   +++   Ue: Eurolandia verso stagnazione, pil +0,1% in 2009   +++   ANSA   +++   03 Novembre 2008 19:17 NEW YORK   +++   CRISI MUTUI: S&P; 5.800 MLD BRUCIATI IN OTTOBRE SU BORSE   +++   31 Ottobre 2008 21:04 NEW YORK   +++   WALL STREET: GRAN SETTIMANA, MESE TERRIBILE   +++   Per l'S&P500 si tratta del peggior mese dal 1987. Bruciati $9.5 trilioni a livello globale   +++   ANSA   +++
 
  Sabato 08 Novembre 2008   Giovedì 27 Novembre 2008   Venerdì 28 Novembre 2008  
       
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USA - E ora scoppia la bolla delle carte di credito

01 Novembre 2008 16:54 Milano - di Miaeconomia
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Dopo la crisi dei mutui gli Stati Uniti si preparano ad affrontarne un’altra, potenzialmente altrettanto devastante e pesantissima: si tratta dello scoppio della bolla delle carte di credito. In particolare riguarda il tipo di carta di pagamento più usata negli Usa, quella cosiddetta revolving che consente al cliente di rimborsare il saldo a rate a fine mese.
L’allarme è stato lanciato dal New York Times. Il quotidiano americano scrive che dopo anni in cui ai consumatori americani sono state concesse estesissime linee di credito e offerte promozionali, gli istituti di credito ora stanno chiudendo i rubinetti, proprio in un momento in cui il rallentamento economico ha un pesante impatto sulle spese per consumi.
Il clima è difficile e gli istituti di credito non fanno sconti a nessuno: respingono i consumatori già in debito e tagliano i limiti di credito a chi già possiede una carta, specialmente ai consumatori che vivono in aree colpite dalla crisi immobiliare o che lavorano in settori in difficoltà.
Il problema è che le banche rischiano di attraversare un altro periodo di pesantissime perdite e svalutazioni di asset, un colpo per i bilanci già duramente afflitti dalla crisi dei mutui. Gli istituti di credito hanno già svalutato circa 21 miliardi di dollari in asset illiquidi legati alle carte di credito nella prima metà del 2008. Attualmente, le perdite ammontano al 5,5% del debito complessivo delle carte di credito, e potrebbero sorpassare presto il 7,9% raggiunto dopo l’esplosione della bolla tecnologica nel 2001.
Le grandi società specializzate - American Express, Bank of America, Citigroup - hanno cominciato a irrigidire i requisiti per le nuove richieste e stanno escludendo i clienti più a rischio. Inoltre, Visa, Mastercard e altre compagnie specializzate stanno correndo ai ripari per arginare le perdite e, nel frattempo, stanno scomparendo le opzioni che prima i clienti avevano facilmente a disposizione per ripagare i debiti, come la rivalutazione della casa comprata col mutuo o l’acquisto di una nuova carta di credito.
Si tratta comunque di un segnale molto negativo per il mercato Usa, anche perché in nessun altro Paese c’è una simile diffusione delle credit card e perché colossi come Visa, American Express, Discover, Citigroup e Bank of America potrebbero entrare in seria difficoltà se questo mercato fosse penalizzato da un calo dei consumi o da un aumento delle insolvenze.
Già la scorsa settimana JP Morgan aveva annunciato che il numero delle proprie carte di credito in default è cresciuto del 45% nel terzo trimestre del 2008.
E in Italia cosa sta succedendo? Per il problema non sussiste dal momento che nel BelPaese la carta revolving è “un’eccezione”, quindi la situazione da noi è completamente diversa e del tutto “sotto controllo”, spiega il direttore generale di Visa in Italia, Davide Steffanini.
“Nel BelPaese il portafoglio di carte di credito di questo tipo è meno del 2% del totale del transato di tutti gli strumenti di pagamento - spiega Steffanini. Le carte di pagamento sono perlopiù carte che si saldano a fine mese per cui non c’è esposizione di credito, oppure ci sono le carte di debito (i Bancomat), oppure le carte prepagate che rappresentano il caso opposto delle revolving dal momento che il denaro è stato versato in precedenza”.
 
 

Fonte - MiaEconomia.it

 

 

 

 

 

  USA - Quattro idee per il Presidente che verrà

01 Novembre 2008 16:33 NEW YORK - di Michael Bloomberg

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La Borsa è crollata. Il mercato del credito è congelato. La disoccupazione cresce. Le case finiscono alle banche. I consumi sono deboli. Le fabbriche tagliano la produzione. Una recessione globale è alle porte. Benvenuto alla Casa Bianca, 44° Presidente!
La crisi finanziaria globale ha suggerito innumerevoli confronti con la Grande Depressione e senza dubbio i media le chiederanno subito di descrivere in dettaglio la sua agenda per i primi cento giorni, aspettandosi che lei replichi lo scatto legislativo di Franklin D. Roosevelt nel 1933. Il mio consiglio è: li ignori. I suoi primi cento giorni a Washington saranno meglio spesi nella preparazione dei successivi 1.360.
I primi cento giorni di FDR realizzarono quello che l’amministrazione Bush e il Congresso hanno cercato di fare negli ultimi sessanta: ripristinare la fiducia nelle nostre istituzioni finanziarie. Quando lei entrerà alla Casa Bianca, il peggio del panico bancario dovrebbe essere alle spalle.
E’ invece possibile che si sia nel pieno della recessione e portarne fuori il Paese gettando le basi per un nuovo secolo di crescita e prosperità non è impresa da farsi in pochi mesi e neppure con la sola riforma delle regole. Riorganizzare le strutture che governano le istituzioni finanziarie sarà probabilmente il compito principale del prossimo Congresso, ed era ora. Ma è cruciale che lei non permetta al Congresso di confondere la riforma delle regole con un’agenda economica. La salute e la forza a lungo termine dell’economia di una nazione dipendono non tanto dalla forma delle regole federali quanto dalla capacità di crescita e innovazione.
Negli ultimi dieci anni c’è stata una sfida al nostro status di superpotenza economica mondiale mai vista prima. Grazie soprattutto all’America, il capitalismo ha trionfato nel mondo e adesso tutti ci vogliono battere al nostro gioco. Questa è una competizione che ci dovrebbe allettare, perché noi continuiamo a godere di tutti i vantaggi: le università migliori, le fabbriche e le cure mediche più avanzate, i lavoratori più imprenditoriali e la qualità di vita migliore.
Ma come un campione sportivo che, soddisfatto di sé, ha smesso di allenarsi, così il governo federale - paralizzato dagli interessi particolari - ha lasciato che l’America perdesse combattività e forza. Recuperarle non sarà facile né indolore ma l’alternativa - perdere terreno a favore di Cina, India, Corea, Giappone, Unione europea - non è un’opzione.
La crisi dei mercati finanziari ha elevato i nostri problemi economici a tema principale della campagna elettorale e la sua vittoria, caro Presidente, è largamente attribuibile alla fiducia che gli elettori hanno riposto in lei e nella sua capacità di agire e ottenere risultati. Lei ha fatto la sua campagna sulla necessità di apportare cambiamenti e riformare quasi ogni aspetto della politica federale, compresa la sanità e la sicurezza sociale. Temi fondamentali, come tanti altri. Ma lei non potrà affrontarli tutti contemporaneamente, dovrà stabilire delle priorità e, in tempi di crisi economica, l’economia deve avere la precedenza su tutto.
Lei riceverà consigli da molte persone sagge. Come sindaco della più grande città americana, come uomo d’affari che ha cominciato 25 anni fa con tre uomini e una caffettiera, come padre di due ragazze profondamente preoccupate per il futuro del loro Paese, le offrirò qualche idea anch’io.

INFRASTRUTTURE

Il tornado Katrina ha tragicamente messo in luce lo stato delle nostre infrastrutture, ma tutti i sindaci d’America lo vedono ogni giorno: trasporti di massa da costruire, ponti da riparare, aeroporti da ampliare, acquedotti e fognature da migliorare. Gli americani riconoscono la necessità di maggiori investimenti nelle infrastrutture e dalla mia esperienza a New York sono disposti a pagarli, a condizione di essere certi che il loro denaro sarà speso per migliorare le loro comunità e non le possibilità di rielezione di qualche legislatore. Anziché pagare le infrastrutture con le riserve accantonate, si potrebbe creare una banca specifica, che finanzi progetti basati rigorosamente sul merito, investendo di più là dove più grande è il bisogno e coinvolgendo i cittadini nel controllo della spesa e dei tempi di realizzazione. Lo chiami «Nuovo New Deal», Presidente: investire di più, più saggiamente e con miglior resa. In questo modo non solo ci sarà lavoro per gli americani, ma ci saranno anche le infrastrutture che servono per competere nel XXI Secolo.

ENERGIA

Più energia nucleare e nuove trivellazioni, certo. Ma entrambi sappiamo che la vera soluzione a lungo termine sono le fonti rinnovabili, come già hanno capito i governi del Medio Oriente che, pur ricco di petrolio, investe nell’energia verde. Se saremo noi i pionieri, creeremo decine di migliaia di posti di lavoro ben retribuiti. Se invece dovremo acquistarla da altri, continueremo a trasferire all’estero miliardi di dollari.

IMMIGRAZIONE

Per essere pionieri nelle nuove tecnologie occorrono i cervelli migliori. Purtroppo il nostro sistema respinge molti immigrati o, dopo averli istruiti, dà loro un calcio, per cui quelli prendono il loro sapere e se lo portano in Paesi più accoglienti. Questa è pura follia! E danneggia la nostra capacità di innovazione. Una nuova legge per l’immigrazione è dunque fondamentale. Potrebbe prendere la forma di una carta di identificazione che permetta ai datori di lavoro di verificare la legalità dei candidati, aumentando le opportunità per chi insegue il sogno americano e offrendo a chi è qui illegalmente la possibilità di guadagnarsi il diritto a restare.

EDUCAZIONE

L’America è diventata una superpotenza perché abbiamo sempre aperto le porte ai più brillanti e perché le nostre grandi scuole li hanno prodotti. Ma da decenni il nostro sistema educativo è in folle, mentre altri Paesi schiacciavano l’acceleratore, con il risultato che adesso competono con noi per i lavori ad alta specializzazione. Anche lei, Presidente, sa quanto sia importante per i nostri studenti imparare più matematica, più scienze, più ingegneria, più tecnologia.
Il problema non è solo che non spendiamo abbastanza, perché spendiamo moltissimo, ma che mettiamo il denaro in un modello di scuola superato e inefficiente, retto più dal potere dei sindacati che dalle necessità degli studenti. Occorrono invece standard di insegnamento più alti, stipendi migliori, premi di merito, rapporti sul rendimento scolastico, orari più lunghi. Queste riforme sono state fondamentali per il nostro successo a New York. E se è stato possibile attuarle qui, dove i sindacati e gli interessi particolari hanno spradroneggiato per decenni, possono essere benissimo attuate in tutto il Paese.

 

Fonte - La Stampa

 

 

 

 

 

CORSA ALLA CASA BIANCA: NELLE SCOMMESSE OBAMA STRAVINCE SU MCCAIN

03 Novembre 2008 23:58 NEW YORK - di WSI
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Nel sito dove si punta denaro "vero" in tempo reale, al candidato democratico vengono assegnati 364 voti elettorali sui 270 necessari per la vittoria, a McCain solo 174 voti.
(aggiornato) Nel sito di scommesse dove in tempo reale si assegnano le probabilita' proporzionalmente al denaro effettivamente puntato, il candidato democratico Barack Obama 24 ore prima della chiusura delle urne e' nettamente in testa con 364 voti elettorali sui 270 necessari per la vittoria alle elezioni presidenziali Usa di martedi' 4 novembre, rispetto ai 174 voti assegnati al candidato repubblicano John McCain. Se la previsione si avverasse, Obama vincerebbe con una "landslide", una valanga di voti di vantaggio rispetto all'avversario.
Il sito di Intrade, che si autodefinisce "The prediction market" e che quota tutta una serie di altri eventi oltre alle presidenziali, compresa la probabilita' che ci sia una recessione, assegna anche una quotazione ai due candidati basata sul prezzo che gli investitori sono disposti a pagare. Obama viene quotato 92.3 come buy e 92.2 come sell, mentre la probabilita' che John McCain vinca le presidenziali viene quotata 8.3 come buy e 8.2 come sell (ieri sera il buy era a 11.2). Da notare che Obama e' in continua costante crescita, mentre McCain aveva toccato un massimo di 52 a meta' settembre ma da quando la crisi a Wall Street e' diventata acuta e' in calo quasi verticale e adesso viaggia sui minimi assoluti.
 
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

CRISI MUTUI: BCE,SI' CONTROPARTE CENTRALE CREDIT DEFAULT SWAP

Monday, 3 November, 2008 at 16:36 - di phastidio
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Stati Uniti - Manifattura ai minimi da 26 anni
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L’indice ISM manifatturiero è calato in ottobre al livello di 38,9, minimo da settembre 1982, da 43,5 in settembre. Come noto, un dato inferiore a 50 indica contrazione dei livelli di attività. La peggiore recessione immobiliare da una generazione si è ormai estesa al resto dell’economia, danneggiando la domanda di manufatti ed infettando i mercati creditizi. Le stime di consenso ipotizzavano un valore dell’indice pari a 41.
Il sottoindice riferito ai nuovi ordini è sceso al livello di 32,2, peggior risultato dal 1980, da 38,8. L’indice di produzione passa da 40,8 a 34,1. L’indice dei prezzi pagati scende brutalmente, da 53,5 a 37, mentre quello riferito all’occupazione passa da 41,8 a 34,6. Gli ordini dall’estero si sono indeboliti, in parallelo al peggioramento congiunturale, e l’indice ad essi riferito è sceso a 41, il minore dall’inizio delle rilevazioni per questo componente, nel 1988.
Il dato appare quindi omogeneamente debole in tutte le sue componenti, e il differenziale tra gli indici di nuovi ordini e scorte passa da meno 4,6 a meno 12,2, suggerendo ulteriore debolezza prospettica, perché le imprese saranno costrette a maggiori tagli di produzione per far fronte all’accumulo indesiderato di scorte.

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

 

  Se gli americani non spendono più, guai per tutti

03 Novembre 2008 00:34 MILANO - di Giuseppe Turani

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C´è una vecchia battuta dell´attuale presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, che sta tornando di attualità: per evitare una nuova grande depressione sono pronto a riempire di dollari degli elicotteri e poi andare a gettare quei dollari sulle città americane. Perché la gente spenda e l´economia riparta. Ecco, non siamo ancora a quel punto, ma quasi.
Giovedì scorso sono usciti i dati sul Pil americano nel terzo trimestre dell´anno, cioè sulla crescita della più grande economia del mondo. E, poiché il Pil invece di aumentare è diminuito e poiché questo fatto si ripeterà ancora per alcuni trimestri, è chiaro che gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in recessione.
Ma, in un certo senso, la notizia peggiore non è nemmeno questa, che era attesa e prevista, soprattutto da quando la crisi finanziaria targata subprime è prima accelerata e poi esplosa. Il dato più brutto contenuto nelle cifre relative al Pil americano è quello che riguarda i consumi, che sono diminuiti del 3,1 per cento rispetto al trimestre precedente (il dato è però annualizzato, cioè moltiplicato per quattro). E, se si escludono i beni durevoli e si sta sugli altri (cibo e vestiti, ad esempio), si scopre che il calo è stato addirittura del 6,4 per cento.
Il consumatore americano, cioè è stanco. Sta rallentando i suoi acquisti e anche vistosamente. Joe l´idraulico (ma anche Mary la massaia) ormai vanno al supermercato con prudenza e, soprattutto, si stanno guardando intorno per vedere se c´è una macchina più piccola. E anche una casa più modesta. E questo è appunto il guaio. Il consumatore americano è stato una specie di eroe del mondo moderno. In tempi recenti ha superato senza fermarsi il crollo della new economy e l´attacco alle Twin Towers. Ma adesso ha il fiato corto e si sta mettendo al risparmio.
Sospinto dai tempi difficili, ma anche dal nuovo verbo virtuoso e austero che sta circolando un po´ in tutto il mondo. E, ripeto, questo è il guaio. Il consumatore americano, fino a ieri dissennato spendaccione, pieno di debiti e sempre pronto a vivere al di sopra dei propri mezzi, è però un personaggio che in questi anni si è portato sulle spalle il 20 per cento del Pil mondiale. Nel senso che un quinto della ricchezza prodotta ogni anno sul pianeta dipende dalle spese del consumatore americano. Se lui si ferma, i capi dei governi possono convocare anche 40 riunioni di G90 (grandi paesi), ma non riparte proprio niente. Non almeno su questo pianeta e con questo mondo.
C´è addirittura chi sostiene che in questi mesi si è rotto uno schema che ha garantito al mondo crescita e benessere dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Lo schema sarebbe questo: il mondo ha accettato il dollaro come valuta per i pagamenti internazionali, lasciando all´America la possibilità di stampare dollari a volontà.
In questo modo gli Stati Uniti hanno finanziato le loro spese (scaricando i debiti sull´estero), consentendo al consumatore americano una vita al di sopra del giusto. Ma questa vita al di sopra del giusto è quella che ha fatto crescere il mondo perché è stata il centro della domanda mondiale di beni e servizi.
Oggi questo schema si è rotto o si sta rompendo. E ci si domanda se, in prospettiva, questo schema (dentro il quale siamo vissuti per oltre mezzo secolo e che ha avuto i suoi vantaggi) debba essere abbandonato o in qualche modo mantenuto, sia pure con le opportune correzioni. Ma questo è un dibattito per il quale ci sarà tempo.
Al momento la cosa importante da fare, e in fretta, è di spedire di nuovo Joe l´idraulico e Mary la massaia al supermercato, se si vuole che la recessione che è già cominciata non si trasformi in Grande Depressione.
E per ottenere questo risultato non ci sono molti modi. O si ricorre a quello che suggerisce la battuta di Bernanke, cioè si gettano in giro dollari a pioggia (dollari, ovviamente, stampati la sera prima). Oppure si cerca di spendere soldi in modo intelligente. Il potere pubblico in America si mette, cioè, a costruire come un dannato ponti, aeroporti, strade, ospedali, scuole. Riapre, in una parola, il grande cantiere americano. Invece di gettare soldi dagli elicotteri, gli Stati Uniti possono mettersi a distribuire stipendi e a migliorare un po´ se stessi. I soldi che servono per questo lavoro immane, li stampa. Invece di far girare le pale degli elicotteri, farà girare le rotative.
L´Europa potrebbe fare esattamente la stessa cosa. Tutto questo può impedire che la recessione (che potrebbe anche essere relativamente dolce) si trasformi davvero in una Grande Depressione. Anche in questo modo, comunque, non si tornerà al felice mondo di prima della crisi. Joe l´idraulico deve tornare a fare il suo dovere di bravo consumatore, ma è impossibile che torni a vivere (come ha fatto per mezzo secolo) a credito e a spese degli altri. In ogni caso, cioè, tutti saranno più prudenti e virtuosi. E la crescita futura, per anni e anni, sarà assai più modesta di quella di prima, proprio perché si sarà tutti un po´ migliori.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

  La crisi e il Socialismo per ricchi

03 Novembre 2008 13:31 NEW YORK - di Mikhail Gorbaciov

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Man mano che la crisi finanziaria globale diventa sempre più profonda, e' chiaro che il collasso della Borsa ha colpito non solo i ricchi - il cui tenore di vita probabilmente non ne verrà affetto - ma anche milioni di persone comuni che hanno affidato i risparmi della loro vita ai mercati.
Questa crisi finanziaria appare solo la prima fase di una crisi più vasta dell’economia che potrebbe essere la peggiore dalla Grande Depressione degli Anni 30. Questa crisi non è nata dal nulla. Avvertimenti erano venuti da diverse parti, inclusi gli economisti, non soggetti normalmente alla tentazione di nutrire inutili ottimismi. Cautela è stata raccomandata anche dai veterani della politica mondiale della Commissione Trilaterale e del World Political Forum, preoccupati nell’osservare i mercati finanziari diventare una bolla pericolosa, con un legame scarso o addirittura nullo con i flussi reali di beni e servizi. Tutti questi avvertimenti sono rimasti inascoltati.
Nei prossimi mesi l’avidità e l’irresponsabilità dei pochi colpirà tutti noi. Nessun Paese e nessun settore riusciranno a sfuggire alla crisi. Il modello economico radicato nei primi Anni 80, basato sulla massimizzazione dei profitti grazie all’abolizione della regolazione necessaria a proteggere gli interessi della società nel suo insieme, sta tramontando.
Per decenni ci siamo sentiti ripetere che questo modello avrebbe portato benefici a tutti, e che «l’alta marea finisce col sollevare tutte le barche». Ma le statistiche dicono che non è stato così. La crescita economica degli ultimi decenni - assai modesta se paragonata a quella degli Anni 50-60 - ha beneficiato in modo sproporzionato i membri più ricchi della società. Il tenore di vita della classe media è invece fermo, e la voragine tra i ricchi e i poveri è aumentata perfino nei Paesi economicamente più sviluppati.
Il sistema è stato reso ancora più precario dai prestiti irresponsabili sostenuti da complessi strumenti derivati, che alla fine si sono rivelati complicate piramidi finanziarie. Perfino la maggior parte degli economisti e dei bancari non riesce a spiegare come funzionano. A beneficiare maggiormente di questi schemi sono stati i loro inventori.
Di tutti i fatti venuti alla luce nelle ultime settimane, uno mi ha colpito in particolare. L’anno scorso le maggiori banche d’investimento americane hanno pagato, secondo alcune stime, 38 miliardi di dollari di bonus. Suddividendo questa somma per i numeri della loro forza lavoro viene fuori la cifra di 200 mila dollari per persona: quattro volte più del reddito di una famiglia americana media! In più c’erano i «paracadute dorati», i pacchetti di buonuscita multimilionari pagati ai dirigenti delle banche che sono crollate o sono state salvate dal governo.
Questo è il risultato: capitalismo tagliagola per la maggioranza e «socialismo» degli aiuti governativi per coloro che sono già ricchi. Fra tre o quattro anni, quando ci saremo lasciati alle spalle la fase acuta della crisi, queste stesse persone ci diranno che il capitalismo più «crudo» funziona meglio e dovremmo lasciarli liberi da ogni costrizione. Fino alla prossima crisi ancora più devastante?
L’attuale modello di globalizzazione ha portato alla deindustrializzazione di intere regioni, deteriorando le infrastrutture, togliendo funzionalità ai sistemi sociali e provocando tensioni a causa di processi economici, sociali e di immigrazione incontrollati e non regolati. Il danno morale è stato enorme, rispecchiato perfino nel linguaggio: l’evasione fiscale è diventata «pianificazione fiscale», licenziamenti di massa sono diventati «ottimizzazione del personale» e via di questo passo.
Il concetto di uno sviluppo sostenibile per le generazioni future è stato soppiantato dall’idea del libero commercio come panacea per tutti i problemi. «Domani è un altro giorno», è il motto di questi tempi, mentre il 60% degli ecosistemi, secondo le ricerche promosse dall’Onu, sono già stati danneggiati. Il ruolo dello Stato e della società civile è stato ridotto, con gli uomini visti non più come cittadini ma, nel migliore dei casi, come «consumatori di servizi offerti dal governo». Il risultato è un mix esplosivo di darwinismo sociale - sopravvive il più forte, i deboli muoiano - e della filosofia del «dopo di noi il diluvio».

La crescente crisi dell’economia mondiale, oggi, finalmente attrae l’attenzione dei politici. Per motivi comprensibili, ci si concentra su misure di salvataggio immediate. Sono senz’altro necessarie, ma c’è anche bisogno di riconsiderare le basi del modello socio-economico della società moderna, direi addirittura la sua filosofia, che si è rivelata assai primitiva, basata interamente sul profitto, il consumismo e il guadagno personale. Perfino il guru della teoria monetarista moderna, il defunto Milton Friedman - che ho avuto modo di incontrare - sosteneva che non si poteva ridurre tutto all’Homo oeconomicus, che la vita sociale non è fatta solo di interessi economici.
Tempo fa ho invocato una combinazione di morale e politica. Durante la perestroika ho cercato di seguire sempre l’idea che la politica dovesse contenere una componente morale. Penso che per questa ragione, nonostante gli errori commessi, siamo stati in grado di tirare la Russia fuori dal totalitarismo: per la prima volta nella nostra storia, un cambiamento radicale è stato avviato e portato a un punto di non ritorno senza un bagno di sangue. È arrivato anche il momento di combinare la morale e gli affari. È un argomento difficile. Ovvio che un business deve fare profitti, oppure morirà. Ma sostenere che l’unico dovere morale di un uomo d’affari è fare soldi significa portarsi a un passo dall’idea del «profitto a ogni costo». E mentre nell’economia reale che produce esiste ancora una qualche trasparenza - dovuta a tradizioni, e alla presenza dei sindacati e di altre istituzioni - che permette alla società di mantenere una certa influenza, la sfera dell’«ingegneria finanziaria» ne è priva. Non c’è nessuna glasnost, nessuna trasparenza, nessuna moralità. E le conseguenze sono state devastanti.
L’alleanza tra politici e uomini d’affari, che per decenni avevano spinto verso la deregulation diffondendo i principi del laissez-faire nelle economie di tutto il mondo, insieme con gli analisti che esaltavano i titoli delle società in cui avevano interessi, e i teorici dell’economia che offrivano come unica soluzione a ogni problema il «togliere il controllo a qualunque cosa», è stata distruttiva e spesso corrotta. L’abbiamo visto in Russia, dove queste ricette sono state promosse con frenesia quasi maniacale negli Anni 90. Ora che questa piramide perniciosa e immorale sta crollando, dobbiamo pensare a un modello che la rimpiazzerà. Non chiedo di abbatterla senza pensarci, e non ho soluzioni pronte a portata di mano. Il cambiamento deve essere evolutivo. Un nuovo modello dovrà emergere, basato non più soltanto sul profitto e sul consumismo.
Sono convinto che in un’economia nuova i bisogni della società e i beni della società devono svolgere un ruolo assai maggiore di quello attuale. I bisogni della società sono abbastanza chiari: un ambiente sano, un’infrastruttura moderna e funzionale, un sistema di istruzione e sanità, alloggi accessibili. Costruire un modello che abbia al centro queste necessità richiederà tempo e sforzo. Ci vorrà una svolta intellettuale. Ma i politici che portano la responsabilità per il superamento dell’attuale crisi devono ricordarsi una cosa: senza una componente morale ogni sistema è condannato a fallire.

 

Fonte - La  Stampa

 

 

 

 

  Mercoledì 05 Novembre 2008   Venerdì 07 Novembre 2008   Venerdì 07 Novembre 2008  
       
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GRANDE VITTORIA DI OBAMA, E' IL NUOVO PRESIDENTE USA

05 Novembre 2008 04:02 NEW YORK - di WSI
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Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti, il primo afro-americano ad arrivare alla Casa Bianca, in una tappa storica per l'America che volta pagina dopo gli anni di Bush.
(aggiornato) Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti, il primo afro-americano ad arrivare alla Casa Bianca, in una tappa storica per l'America che volta pagina dopo gli anni di Bush. McCain chiama Obama per congratularsi e ammette la sconfitta: "Rispetto la sua abilità e perseveranza che ha ispirato speranza in così tanti americani". Anche Bush gli telefona: "Notte fantastica". Obama ringrazia l'America e i suoi sostenitori: "Questa vittoria appartiene a voi". Affluenza record alle urne.
06:31 Obama sul palco con Michelle, Joe Biden e la moglie
Poco dopo avere rivolto alle migliaia di persone che lo acclamavano, a Chicago, a conclusione del suo discorso, il tradizionale saluto 'Dio vi benedica', Barak Obama, che aveva al fianco Michelle, è stato raggiunto dal suo vice, Joe Biden e dalla moglie, Jill Jacobs. Insieme per molti minuti hanno salutato la folla.
06:22 Democratici aumentano il controllo sul Congresso
L'America del 5 novembre cambia volto. Oltre ad aver riconquistato la Casa Bianca dopo 8 anni di era George W. Bush, i democratici aumentano il controllo sul Congresso. Sale a quota 56 seggi la maggioranza democratica nel Senato mentre alla Camera l'asinello vede confermato l'ampio vantaggio conquistato a novembre del 2006. In particolare alla Camera alta i democratici si fermano a un passo da raggiungere quota 60 che blinda il Senato e impedisce all'opposizione qualsiasi forma di ostruzionismo. I democratici hanno conquistato 17 dei 35 seggi in palio oggi, contro i 12 repubblicani.
06:20 Obama cita Lincoln: "Sarò il presidente di tutti"
Dopo avere citato Abraham Lincoln, dell'Illinois come lui, il neo-eletto presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha lanciato un appello all'unità di tutti gli americani. Davanti ai suoi sostenitori, oggi a Chicago, Obama ha detto rivolgendosi anche ai repubblicani, con le parole dello stesso Lincoln, "non siamo nemici, ma amici", per poi aggiungere: "ascolterò la vostra voce, ho bisogno del vostro aiuto, sarò anche il vostro presidente".
06:15 Obama: "Cammino sarà duro, stare uniti"
Per Barack Obama "il cammino davanti a noi sarà duro" e per questo ci "sarà bisogno di stare uniti" contro le avversità: lo ha detto il neo presidente Usa nel suo primo discorso dopo la vittoria su John McCain
06:09 Obama: Omaggio a Michelle, alla nonna e alle figlie
Barack Obama ha dedicato alla famiglia la vittoria nella corsa alla Casa Bianca: alla moglie Michelle, amica e partner negli anni del matrimonio, e alla nonna Madalyn, che lo ha allevato e che è morta alla vigilia del voto che lo ha portato alla Casa Bianca. Alle figlie Sasha e Malia Obama ha detto: "Vi amo più di quanto non possiate immaginare".
06:08 Obama: "Lavorerò con McCain per rinnovare il Paese"
Barack Obama ha annunciato che lavorerà "insieme al senatore John McCain per rinnovare il Paese".
06:07 Obama: "Questa vittoria appartiene a tutti voi"
"Non dimenticherò mai a chi appartiene questa vittoria, a tutti voi", dice Obama.
06:05 Obama: "Il cambiamento è arrivato"
Obama: "Il cambiamento è arrivato negli Stati Uniti". "Oggi non sarei qui senza l'amore della mia vita, la prossima first lady degli Stati Uniti, mia moglie Michelle" dice Barack Obama davanti alla folla dei suoi sostenitori a Chicago. Obama ringrazia McCain, che ha lavorato duro, e dice di voler lavorare con lui.
06:02 Obama: "L'America è il posto dove tutto è possibile"
Obama sale sul palco a Chicago con la moglie Michelle e le figlie Malia e Sasha, che, dopo aver salutato la folla dei sostenitori lo lasciano solo. "L'America è il luogo dove tutto è possibile" dice.
05:43 New York in delirio tra Harlem e Times Square
Delirio di gioia tra il popolo di Barack Obama a New York, diviso tra Harlem e Times Square: gente che piange, gente che ride: gli obamiani della Grande Mela hanno accolto l'annuncio della Cnn ritrasmesso sui maxi schermi montati nella piazza crocevia del mondo e nel cuore dell'ex quartiere ghetto di Manhattan. L'Empire State Building, rossoblu in spirito bipartisan per tutta la notte elettorale si è preparato a cambiare colore per illuminarsi di blu-Obama dopo il proclama della vittoria. E' stato il deputato di Harlem Charles Rangel che ha confermato il risultato a migliaia di neri e di bianchi raccolti sotto lo schermo gigante montato a Adam Clayton Plaza, all'angolo della 125esima Strada. "Si, si, sì", ha cantato in coro la folla che aspettava da ore l'annuncio della svolta nella storia dell'America. 05:30 Sarah Palin in lacrime sul palco
Sarah Palin è in lacrime, sul palco di Phoenix da cui McCain sta parlando ai suoi supporter dopo aver riconosciuto la sconfitta. La Palin, controversa candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Usa, è accompagnata dal marito.
05:29 McCain ai suoi sostenitori: "Il fallimento è mio, non vostro"
Il senatore John McCain, nel salutare i suoi sostenitori, ha detto loro che "la sconfitta è chiara" e che "il fallimento è mio, non vostro". McCain, che si è presentato sul palco di Phoenix con la moglie Cindy, ha voluto ringraziare la candidata alla vicepresidenza Sarah Palin.
05:28 Obama accetta la resa di McCain e lo invita a collaborare
Barack Obama ha accettato la resa dell' avversario nella campagna elettorale, John McCain, e lo ha invitato ad aiutarlo a guidare il Paese. Lo hanno reso noto fonti della campagna democratica a Chicago, riferendo la conversazione tra i due.
05:23 McCain si congratula con Obama
Il senatore McCain ha telefonato a Obama per congratularsi della vittoria. "Rispetto la abilità e perseveranza di Obama che ha ispirato speranza in così tanti americani", ha detto parlando davanti ai suoi sostennitori a Phoenix.
05:20 McCain: "Siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio"
"Amici, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. L'America ha si è espressa e lo ha fatto chiaramente": queste le prime parole di John McCain dopo l'annuncio della vittoria di Obama
 

 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

  USA - Dopo una vittoria storica Obama guarda al futuro

05 Novembre 2008 20:09 NEW YORK - di WSI - REUTERS

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Barack Obama festeggia oggi la sua storica vittoria alla Casa Bianca, con la consapevolezza di dover affrontare enormi sfide, dalla profonda crisi economica alle due lunghe guerre in Iraq e Afghanistan. "Il cambiamento per l'America e' arrivato".

Il giorno dopo l'Election day che lo ha reso il primo presidente nero della storia americana, Obama si prepara a costruire rapidamente una nuova amministrazione e a definire le sue priorità per il passaggio formale delle consegne il prossimo 20 gennaio.
"Ci è voluto molto, ma stanotte, grazie a quello che abbiamo fatto in questa giornata, il cambiamento è arrivato per l'America", ha dichiarato nella notte Obama al Grant Park di Chicago davanti a oltre 200.000 sostenitori festanti.
"La strada sarà lunga. La salita sarà ripida. Potremmo non arrivare in un anno o addirittura in un mandato, ma l'America -- non sono mai stato più fiducioso di stanotte -- ci arriverà",
Obama ha guidato alla vittoria i democratici, che hanno allargato la loro maggioranza in entrambe le camere del Congresso, mentre gli americani hanno di fatto respinto gli otto anni di leadership del presidente repubblicano George W. Bush.
Un po' in tutto il paese si sono registrati festeggiamenti in strada, ma Obama avrà poco tempo di godersi la vittoria. Una volta insediato, dovrà affrontare pressioni immediate per mantere le promesse della sua campagna elettorale e risolvere una lunga lista di problemi.

EMERGENZE

Obama ha promesso che ritirerà i soldati americani dall'Iraq nei primi 16 mesi del suo mandato e aumenterà il numero delle truppe in Afghanistan, ma la sua sfida più immediata sarà la gestione della crisi finanziaria, la peggiore dalla Grande depressione.
I leader mondiali si riuniranno a Washington il prossimo 15 novembre per un summit sul collasso finanziario globale. La Casa Bianca ha detto di non aspettarsi che il presidente designato partecipi, anche se Obama non ha ancora reso noti i suoi piani.
Notizie diffuse oggi, mostrano che il mercato del lavoro nel settore privato è peggiorato rapidamente in ottobre e che il settore dei servizi si è contratto, evidenziando le sfide economiche per Obama.
Con un'apparizione nel Giardino delle rose della Casa Bianca, Bush ha detto di aver parlato con Obama e di essersi congratulato con lui per una "impressionante vittoria" che rappresenta un "sogno avverato" per i diritti civili, promettendo inoltre la sua cooperazione nel passaggio dei poteri.
"Durante questo periodo di transizione, terrò il presidente designato informato sulle decisioni importanti", ha assicurato Bush.
Ci si aspetta che Obama agisca rapidamente per la nomina del segretario del Tesoro e di Stato, fra quelli chiave per l'amministrazione.
Sembra che Obama abbia chiesto a Rahm Emanuel, congressista democratico dell'Illinois già nell'amministrazione dell'ex-presidente Bill Clinton, di stare alla Casa bianca come capo dello staff.

UNA TRANQUILLA MATTINA

La prima mattinata di Obama da presidente designato si è svolta molto tranquillamente. Ha fatto colazione a casa con le sue due figlie, poi è andato in palestra per un po' di allenamento. Più tardi andrà nel suo quartier generale per ringraziare lo staff.
Nato da padre nero del Kenya e madre bianca del Kansas, Obama è venuto al mondo quando ancora i neri americani lottavano contro le politiche segregazioniste nel sud del paese. Il suo trionfo sul rivale repubblicano John McCain rappresenta una pietra miliare che potrebbe aiutare gli Stati Uniti a gettarsi alle spalle la sua lunga e brutale storia di razzismo.
Molti leader del mondo hanno accolto con favore la vittoria di Obama e alcuni l'hanno salutata come un'opportunità per ricostruire l'immagine degli Usa.
"La tua elezioni ha sollevato enormi speranze in Francia, in Europa e oltre", ha detto il presidente Nicolas Sarkozy.
I titoli dei quotidiani hanno catturato l'importanza storica del risultato. Il New York Times titola semplicemente "OBAMA", mentre il Washington Post dichiara "Obama fa la storia" e USA Today: "L'America fa la storia; Obama vince".
Obama ha ottenuto almeno 349 voti dei grandi elettori, ben oltre i 270 necessari per la vittoria. Con il 96% del voto popolare scrutinato, Obama conduce su McCain per 52% a 46%.
I democratici hanno conquistato almeno cinque seggi al Senato e circa 25 seggi alla Camera dei rappresentanti, ottenendo una vasta maggioranza nel Congresso e rafforzando il potere di Obama. Quattro seggi del Senato restano ancora da assegnare.
McCain, senatore dell'Arizona 72enne ed ex-veterano del Vietnam, ha chiamato Obama per congratularsi con lui e ha lodato la sua campagna senza precedenti.
"Chiedo a tutti gli americani che mi hanno sostenuto di unirsi a me non solo nel congratularsi con lui ma nel fare i nostri auguri al prossimo presidente", ha detto McCain.

FESTA NELLE STRADE

Bianchi e neri hanno festeggiato insieme davanti alla Casa Bianca per celebrare la vittoria di Obama e l'imminente partenza di Bush. File di auto si sono riversate nel centro di Washington, strombazzando col clacson e gridando dai finestrini.
Altre migliaia hanno festeggiato in Time Square a New York e in diverse città in tutto il paese.
I governi alleati hanno detto di sperare in una più stretta cooperazione con Washington, mentre i critici nei confronti degli Usa, dalla Russia all'Iran ai gruppi islamici del Medio Oriente, hanno fatto appello al cambiamento.
"Speriamo che...adotti una giusta politica che riporti l'America alla sua naturale posizione di rispetto per l'umanità e la democrazia", ha detto Mohamed Mahdi Akef, leader della Fratellanza musulmana egiziana, uno dei più grandi gruppi islamici mediorentali.
Il presidente russo Dmitry Medvedev ha parlato di speranza per più forti relazioni Usa-Russia, ma allo stesso tempo a promesso ritorsioni per un piano Usa di difesa missilistica.

 

Fonte - WSI - REUTERS

 

 

 

 

 

USA: LE PRIORITA' ECONOMICHE DI OBAMA

06 Novembre 2008 02:57 NEW YORK - di Il Sole 24 Ore
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Ecco in sintesi i punti più importanti del programma economico del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, preoccupato soprattutto di far ripartire i consumi e l'attività delle aziende nel Paese.
Ecco in sintesi i punti più importanti del programma economico del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, preoccupato soprattutto di far ripartire i consumi e l'attività delle aziende nel Paese.
Il rilancio dell'economia partendo dall'industria dell'auto Il programma di Obama prevede sgravi per le aziende che assumono con crediti d'imposta fino a 3000 euro nei prossimi due anni. E poi riduzione delle tasse sul capital gain, e crediti d'imposta sulle assicurazioni sanitarie dei dipendenti fino alla metà del premio. Previste anche misure di incentivo ai consumi come quella che consente ai lavoratori di prelevare fino al 15% e non oltre 10mila dollari dai propri fondi pensione senza alcuna penalità. Per l'ex senatore dell'Illinois infine, bisogna tenere aperta ogni opzione per il sostegno all'industria dell'auto.
Investimenti nelle infrastrutture La nuova amministrazione americana punta su un massiccio piano di investimenti nelle infrastrutture che punta sulla creazione di un'istituto di credito statale ad hoc. La National Infrastructure Reinvestment Bank, questo il nome della nuova banca, riceverà 60 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Secondo le stime, questo piano creerà, direttamente e indirettamente, due milioni di posti di lavoro.
Sgravi fiscali per la classe media Il piano di Obama prevede una riduzione di 1118 dollari per i contribuenti con redditi tra 37600 e 66400 dollari l'anno e l'aumento delle imposte dal 15 e il 20% per le famiglie con redditi superiori a 250mila dollari. I sussidi di disoccupazione poi saranno detassati.
Emergenza casa Per salvare le abitazioni dai pignoramenti si prevede che le banche che hanno avuto accesso al piano di salvataggio del governo diano 90 giorni di tempo ai debitori insolventi per ristrutturare il proprio mutuo. Il programma prevede poi sanzioni più severe per brocker e istituti finanziari poco trasparenti
Un fondo da 50 miliardi per le finanze locali Il programma di Obama prevede la creazione di due fondi da 25 miliardi di dollari ciascuno, per venire incontro alle necessità di cassa degli Stati e degli enti pubblici locali. Uno servirà ad evitare che i tagli, a livello locale, per scuole, sanità e case non comportino maggiori tasse per i cittadini. L'altro servirà a garantire gli investimenti infrastrutturali.
Energia Il programma democratico prevede, entro il 2050, di ridurre le emissioni di gas serra dell'80% rispetto ai livelli del 1990. Per realizzare questo obiettivo sono previste tasse sugli extra profitti delle compagnie petrolifere e un piano da 150 miliardi di dollari di sussidi per biocarburanti ed etanolo. Sul nucleare Obama è contrario alla costruzioni di nuove centrali senza che prima non sia risolto il problema dello stoccaggio delle scorie.
Commercio Obama farà pressioni sul Wto perché inasprisca le sanzioni contro chi non rispetta le regole e impone dazi doganali e sussidi alle esportazioni. Il candidato democratico vorrebbe poi emendare il Nafta, l'accordo di libero scambio con Messico e Canada, giudicato troppo gravoso per l'economia americana. Il programma prevede poi incentivi fiscali per le aziende che mantengono la produzione negli Stati Uniti.
Rating per le carte di credito Il nuovo presidente ha proposto una Carta dei diritti per le carte di credito per porre fine alle pratiche scorrette dei gestori. Tra le altre cose si prevede di introdurre un sistema di rating (a cinque stelle come per gli hotel), per valutare l'affidabilità dei gestori.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

LA LEZIONE DI BARACK OBAMA AI LEADER EUROPEI

07 Novembre 2008 04:01 NEW YORK - di Il Sole 24 Ore
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Nemmeno John Fitzgerald Kennedy aveva fatto tanto. Con il 64,1% di affluenza il presidente eletto degli Usa ha battuto JFK, che con Nixon nel 1960, trascinò al voto il 63,8% degli americani. «Il fronte è stato capovolto».
Nemmeno John Fitzgerald Kennedy aveva fatto tanto. Con il 64,1% di affluenza il presidente eletto degli usa ha battuto JFK, che con Nixon nel 1960, trascinò al voto il 63,8% degli americani. Per trovare una partecipazione elettorale più numerosa bisogna tornare indietro di un secolo, al 1908 (65,7%).
Sono soprattutto giovani uomini e donne, ispanici, afroamericani, molti dei quali non avevano mai votato prima, le persone che Barack Obama nella sfida con John McCain è stato capace di portare alle urne. Ascolti record anche per le dirette televisive, seguite da 71 milioni di spettatori: solo il super bowl ha fatto meglio (97 milioni). La macchina organizzativa di Obama difficilmente avrebbe potuto produrre risultati migliori. Il suo staff, guidato da David Axelrod, ha pianificato e condotto una campagna comunicativa di grande efficacia, che ha ribaltato alcuni cardini della comunicazione politica.
Ribaltando la comunicazione Obama ha fatto sentire i cittadini al suo livello «Il fronte è stato capovolto», dice Marco Marturano, spin doctor di molti politici italiani, di Bill Clinton (nella campagna del 1996) e di Hillary (nel 2000 per il Senato). «Non c'era un candidato che si vendeva ai cittadini, c'era un uomo che faceva sentire i cittadini i veri candidati». Il Presidente eletto «non ha mai voluto vendere la sua straordinarietà, ma la sua normalità».
La sua sfida straordinaria: è riuscito ad essere normale «È stato il più bravo a saper usare l'idea della sfida impossibile», sottolinea Marturano, sfida prima di tutto «con quello che lui rappresenta». Raccontando se stesso ha raccontato la persona qualunque. «Ha saputo rappresentare quello che in tutto il mondo in questo momento la gente chiederebbe alla politica: un po' di normalità».
La capacità di coinvolgere, a tutti i livelli. Prima di tutto attraverso la rete «pensata, come un mezzo di connessione con le persone più che come un mezzo per dare informazione e raccontare il candidato». La rete, dice Marturano «è stata utilizzata come strumento per far diventare gli elettori i veri protagonisti della campagna. Ed è anche diventata il più straordinario mezzo di finanziamento che mai un politico abbia saputo utilizzare».
Il senso delle tappe simbolche della campagna: «Ci uniscono gli stessi ideali» Barack Obama ha annunciato la sua candidatura da Springfeld, dove Abraham Lincoln pronunciò il discorso contro la schiavitù; per parlare all'Europa ha scelto Berlino, da dove John Fitzgerald Kennedy nel '63 intervenne contro la costruzione del muro; per il discorso della notte elettorale ha voluto Grant Park a Chicago, teatro nel 1968 degli scontri alla convention democratica tra i pacifisti, che manifestavano contro la guerra in Vietnam, e la polizia, mandata dal sindaco democratico Richard Daley; scontri che segnarono una rottura tra il movimento giovanile e le istituzioni. Pochi mesi dopo il repubblicano Nixon sarebbe entrato alla Casa Bianca.
Al Gore fece una cosa simile nel 2000, quando decise di tenere la convention a Los Angeles, stessa città scelta 40 anni prima da John Fitzgerald Kennedy. Ma, sottolinea Marturano «allora l'ex vicepresidente Usa si identificava con JFK e il messaggio che mandava ai suoi elettori era: sono come lui». Mentre Obama anche in questo, ha detto «sono talmente come voi che per me i grandi leader della storia democratica americana, come per voi, sono un caposaldo, un elemento affettivo». «Obama aveva anche bisogno, attraverso queste fasi, di far passare alcuni contenuti valoriali cardini del suo messaggio identitario».
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

OBAMA: NON SARA' FACILE USCIRE DALLA CRISI MA L'AMERICA E' UN PAESE FORTE

07 Novembre 2008 21:45 NEW YORK - di Il Sole 24 Ore
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Prima conferenza stampa del presidente eletto. "Occorre mettere a punto un piano che vada in soccorso della classe media ed evitare un piu' ampio impatto sulle imprese".
«Un ulteriore prolungamento dei sussidi di disoccupazione è una priorità» per uscire dalla "peggiore crisi della storia degli Stati Uniti". Lo ha detto il presidente in pectore degli Stati Uniti, nel corso della sua prima conferenza stampa dopo la vittoria di martedì notte.
Parlando da Chicago, Obama ha spiegato che «occorre mettere a punto un piano di incentivi che vada in soccorso della classe media"» e che dovrebbe essere approvato prima o dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. «Non sarà facile o veloce uscire dal baratro economico in cui si trova il Paese», ha sottolineato Obama, spiegando che «bisognerà evitare un più ampio impatto della crisi sulle imprese" e che "una crisi globale richiede una risposta globale».
«Dieci milioni di famiglie stanno combattendo ogni giorno per pagare le bollette e riuscire a mantenere le loro abitazioni», ha aggiunto Obama. «Le loro storie sono un promemoria urgente del fatto che stiamo affrontando la più grande sfida economica della nostra vita. Dobbiamo agire rapidamente per vincerla».
Il neo presidente, che ha iniziato la conferenza stampa con una ventina di minuti di ritardo, ha sottolineato che «non sarà facile per noi uscire dal buco in cui siamo caduti. Ma l'America è un paese forte e pieno di risorse. So che avremo successo se metteremo da parte partigianerie e rivalità politiche a lavoreremo insieme come una nazione». Una delle priorità economiche sarà quella di sostenere l'industria dell'auto americana, che dovrà produrre «vetture efficienti dal punto di vista del consumo di carburante, ma che siano costruite qui in America».
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

OBAMA-BUSH, INCONTRO ALLA CASA BIANCA

09 Novembre 2008 18:03 NEW YORK - di WSI
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La settimana inizia con il meeting tra il presidente eletto e quello uscente. I due team stanno collaborando in maniera 'eccezionale' sui temi più urgenti del momento: la crisi finanziaria, le guerre in Iraq e Afghanistan, la lotta al terrorismo.
In vista del 'più importante trasferimento di poteri nella storia americana', l’amministrazione uscente di George W. Bush e quella che le seguirà diretta da Barack Obama stanno collaborando in maniera 'eccezionale' sui temi più urgenti del momento: le guerre in Iraq e in Afghanistan, la lotta al terrorismo e la crisi finanziaria. Lo scrive il Washington Post, alla vigilia del primo incontro alla Casa Bianca tra Bush e il presidente eletto.
Sul tappeto restano tutte le questioni 'ideologicamente e politicamente divisive' - tanto che, secondo lo stesso giornale, il team di Obama ha già pronta una lista di 200 provvedimenti dell’amministrazione Bush da modificare o annullare - ma è un fatto che già poche ore dopo il voto il rancore della campagna abbia lasciato il posto a un impressionante livello di cortesia tra i due campi. Lo stesso presidente ha ribadito ieri, nel suo discorso alla radio, che farà il possibile per assicurare 'una transizione senza strappi'.
Rientrano per esempio in questo spirito i preparativi della Casa Bianca per organizzare una sorta di simulazione per vedere come i responsabili per la sicurezza nazionale di Obama risponderebbero nel caso di un attacco terroristico. 'Se ci fosse una crisi il 21 gennaio (giorno successivo all’insediamento, ndr) - spiega Joshua B. Bolten, capo dello staff di Bush - sarebbero loro quelli chiamati ad affrontarla.
Dobbiamo assicurarci che siano il più preparati possibile'Ovvio che sull’atteggiamento dell’amministrazione uscente pesa l’esperienza del suo arrivo alla Casa Bianca solo un mese dopo che Al Gore - dopo una durissima battaglia legale sul riconteggio dei voti conclusasi con una sentenza della Corte suprema il 15 dicembre del 2000 - aveva ammesso la sconfitta. Questi ritardi, combinati con la lentezza di alcune nomine e delle conferme da parte del Congresso, ebbero certamente un impatto sul grado di efficienza dell’amministrazione nei primi mesi del suo insediamento. E di questi vuoti - come riconosciuto dalla stessa commissione sugli attacchi dell’11 settembre - in un certo senso approfittò Al Qaeda.
Allo stesso tempo, la cooperazione tra i due team - quello di Obama e quello creato da Bush per coordinare la transizione - è massima sui temi economici, al punto che gli uomini del presidente eletto si apprestano ad avere «un livello di accesso insolito al dipartimento del Tesoro e alle altre agenzie coinvolte nel tentativo di stabilizzare l’economia», sottolinea il «Washington Post». Che cita il portavoce della Casa Bianca Tony Fratto, secondo cui l’intenzione è quella di «non sorprendere i mercati» con il passaggio di consegne.
In questo contesto, il giornale sottolinea in particolare il comportamento di Bush, sul quale sembrano non aver pesato in alcun modo tutti gli attacchi mossi durante la campagna elettorale dal candidato democratico. Il presidente, assicura Bolten, «non vuole che le sue relazioni personali o i suoi giudizi interferiscano con quello che è meglio per il Paese». «Si tratta di qualcosa di veramente memorabile», commenta Stephen Hess, della Brookings Institution, che lavora alle transizioni alla Casa Bianca sin dai tempi dell’amministrazione Eisenhower.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

  " Leader globale come l'imperatore Adriano"

09 Novembre 2008 17:10 ROMA - di Mario Sensini

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Ministro Tremonti, lei da che parte colloca il nuovo presidente degli Stati Uniti? «Molto semplicemente la risposta si trova nelle parole di Obama, che si definisce post partisan. Oltre le parti, oltre la destra, oltre la sinistra. Non basato sul passato, proiettato verso il futuro. Ed è giusto così. Non si può entrare nel XXI secolo con le categorie del XX secolo».
Può davvero cambiare il mondo? «La "cifra politica" prevalente nel nuovo presidente è quella della novità. Non solo estetica e simbolica, l'età e la forza, e non solo dialettica, la perenne sfida americana, ma anche la novità morale e culturale. È una "cifra" evidente tanto nella forma, quella di un linguaggio religioso ispirato dal principio del destino mani-festo, quanto nella sostanza, oltre il liberismo radicale e l'eclettismo di fine secolo».
Obama salverà l'impero americano? «Sconfitto il comunismo, l'America ha prima spostato il suo asse portante dall'Atlantico al Pacifico, e poi fatto un patto con l'Asia, un patto basato sulla "divisione prima" del mondo: l'Asia produttrice di merci a basso costo, l'America compratrice a debito. È così che per il default della Russia sovietica, ed in absentia dell'Europa, attraverso la sua nuova proiezione asiatica, l'America ha cominciato a configurarsi come un impero. Liberale e benevolo, seduttivo e democratico. E tuttavia, quasi per sorte ripetitiva, ha rischiato di seguire la stessa parabola dell'impero romano. Roma, conquistato il Mediterraneo, ne fu a sua volta dominata: Graecia capta ferum victorem cepit. Non solo l'America è entrata nella globalizzazione, ma la globalizzazione è entrata in America con l'Asia in testa, avviando un processo progressivo di relativizzazione, confusione, contaminazione tra usi, costumi, valori, simboli. Ed è così, tra fusion e new age, che si arriva all'eclettismo di fine secolo».
Cioè a Bill Clinton? «Il dilemma dell'America è tra due modelli: Eliogabalo e Adriano. All'impero di Eliogabalo l'America sarebbe arrivata proseguendo con Clinton sulla sua Terza Via. Ciò che è bene per Wall Street è bene per l'America, cuore a sinistra e portafoglio a destra. Non esistono valori assoluti, ma solo valori relativi, se possibile da quotare in Borsa. Gli scandali fanno parte del paesaggio e così via. Al secondo modello, ad Adriano, può corrispondere Obama, che si riporta alla tradizione dei democratici Anni '30, ai valori roosveltiani, e che ha la sorte di concorrere a disegnare un nuovo modello di civiltà. La crisi è globale e la soluzione può essere solo globale, non solo economica, ma politica, basata su un New Deal globale».

Resta il fatto che Obama è stato catapultato alla Casa Bianca soprattutto dalla crisi economica... «Artefice o vittima del suo successo? Per avere successo, e Obama può averlo, devi capire che cosa è successo ed è per questo che quella intellettuale è la condizione delle condizioni. Prima le analisi sono mancate del tutto, e infatti la crisi è arrivata improvvisa e imprevista. Adesso si stanno formando alcune analisi, ma vedono gli effetti e non le cause della crisi. In questi termini non sono sufficienti. Se vuoi uscire dalla crisi devi risalire alle sue cause. La crisi è globale non tanto perché è estesa su scala globale, dall'America all'Europa, dall'Asia all'America Latina, quanto perché è nella globalizzazione stessa, fatta troppo presto e troppo a debito, che si radica e nella sua meccanica costitutiva».
«Una massa abnorme. La catena di "creazione del valore" si basava su di una tecnica speciale e su un principio fondamentale. La tecnica "speciale" era la concessione di credito ad un fondo, la cessione del credito ad un terzo, la sua trasformazione in un prodotto finanziario, la sua moltiplicazione iperbolica, infine il suo collocamento sul "mercato", esteso dalle banche alle famiglie. Il principio fondamentale era quello della catena di Sant'Antonio, modernamente configurato sul presupposto dello sviluppo universale perpetuo». Lei ha detto che il denaro non crea denaro. Secondo D'Alema citando Marx... «A braccio non si fanno citazioni. Quella frase la usa in negativo anche Gordon Gekko, l'eroe di Wall Street. Ragionando come D'Alema si dovrebbe comunque concludere che, a sua volta, Marx ha copiato San Tommaso D'Aquino: Nummus non parit nummos ».
Torniamo a Sant'Antonio. «Meglio. Come nelle catene di Sant'Antonio, la meccanica si è bloccata quando qualcuno ha smesso di spedire le cartoline. Quando la sfiducia, causata dall'eccesso di fiducia, ha bloccato la catena. Chi sapeva, e proprio perché sapeva, ha cominciato a uscire, a vendere al meglio, e a organizzarsi il soggiorno alle Cayman in attesa dell'Fbi. Meno folcloristicamente, sono i banchieri che hanno cominciato a non fidarsi più dei banchieri, bloccando la circolazione del sangue nel "corpus" della finanza».
È possibile rianimarlo? «Tutto dipende dai tempi e dai metodi della politica, a partire dalla politica che sarà fatta dal nuovo presidente. Molto dipende dai corsi azionari, e non per caso sono le Borse gli indicatori più sensibili della crisi. Se il livello di caduta si ferma, tutto si tiene, seppure con enormi sforzi data la concentrazione sequenziale. Un conto è uno shock ogni tre anni, un conto è uno ogni tre mesi, in sequenza parossistica». Come spiega l'ottimismo del presidente del Consiglio? «Berlusconi conosce benissimo la situazione. Tuttavia dice che non ha mai visto un pessimista che ha successo, ed è difficile dargli torto. Va oltre l'ostacolo, traguardando con speranza il futuro».
Molto dipenderà da Obama, ma quali sono le sue opzioni di gestione della crisi? «Ha davanti due scenari. Uno ordinario, come è stato finora: colossali swap che caricano i debiti privati sul debito pubblico e girano le perdite dal presente alle generazioni future. Oppure Obama può essere alla fine costretto dalla realtà ad andare verso uno scenario straordinario, a non ascoltare i templari della finanza fallimentare, ad applicare pensiero laterale. Staccando la finanza buona da quella cattiva, neutralizzando la massa dei derivati. Ispirando questa politica alla logica positiva dello shabbat, l'anno della remissione dei crediti e dei debiti, l'anno simbolico della ripartenza».
 
 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

  Sabato 08 Novembre 2008   Domenica 09 Novembre 2008   Mercoledì 12 Novembre 2008  
       
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  Perché é sbagliato tornare all'interventismo di Keynes

11 Novembre 2008 13:40 NEW YORK - di *Edmund Phelps

*Premio Nobel per l'Economia 2006.

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Di quale teoria possiamo avvalerci per uscire dall'imminente recessione in modo rapido ed efficace? Usare la «nuova teoria classica» delle fluttuazioni nata a Chicago negli anni Settanta — che incorpora i modelli di «gestione del rischio» — è inimmaginabile, dato che con il crollo dei prezzi degli asset è proprio questa teoria a essersi dimostrata errata. Alcuni hanno pensato di rivolgersi a John Maynard Keynes. Le sue riflessioni sui rischi e sulle speculazioni sono acute, ma la sua teoria sull'occupazione è problematica e le soluzioni politiche «keynesiane» sono, nel migliore dei casi, discutibili.
Le banche hanno parlato della discesa dei prezzi delle case come se fosse la conseguenza di un qualche shock. Secondo i loro modelli, sono shock casuali a far deviare il prezzo degli asset dai valori previsti. In realtà non sono stati terremoti, periodi di siccità o altri fattori esterni a provocare la caduta dei prezzi. La causa principale è stata una previsione basata su modelli del tutto erronei. Gli speculatori e gli acquirenti di case, pensando che gli affitti o i costi di costruzione sarebbero saliti, contavano sul fatto che nel futuro il prezzo delle case sarebbe aumentato e questo provocava anche un aumento di prezzo delle case esistenti. Ma nel corso degli anni né gli affitti né i costi (in termini reali) sono cambiati. In una situazione del genere, i prezzi (reali) prima o poi devono tornare a scendere.
Questo era il mondo di Keynes. A Cambridge, nel suo Treatise on Probability, Keynes mostrò come un investitore debba tenere conto di circostanze non note. A Londra gestì un fondo con O. T. «Foxy» Falk e si arricchì, ma fu poi colto di sorpresa dal crollo dei prezzi delle materie prime all'inizio del 1929. Si rese conto così della fragilità delle certezze degli investitori. Quando gli investitori cominciano a ritirarsi, il prezzo dei beni, che in precedenza aumentava, dapprima fluttua, e alla fine precipita insieme alle convinzioni su cui si basava.
Nella Teoria generale del 1936 Keynes affermò che il prezzo degli asset era determinante per l'occupazione. Se un cambiamento nel modo di sentire della gente provoca il crollo dei prezzi degli asset (insieme a quello delle azioni e delle case), gli investimenti si riducono e l'occupazione si contrae (aumenta la disoccupazione), soprattutto nelle industrie di beni capitali (capital goods).
Sfortunatamente, da allora nulla andò più bene. Keynes fece un grave errore, non distinguendo tra una caduta dei prezzi degli asset dovuta a cause monetarie — un aumento esogeno, o autonomo, della domanda di denaro — e una caduta dovuta a cause che non hanno nulla a che fare con l'offerta e la domanda di denaro — ma dipendono, per esempio, da una minore fiducia negli investimenti azionari o nel settore immobiliare. Il primo fenomeno potrebbe essere risolto con mezzi monetari: la banca centrale potrebbe accrescere l'offerta di denaro, risollevando così il prezzo degli asset senza trascinare gli altri prezzi e i salari in un'inutile spirale di aumenti.

La recente crisi della speculazione sugli immobili è però un fenomeno non monetario: deve esserci un calo dei prezzi delle case, in termini monetari, rispetto a quelli dei beni di consumo. Keynes sosteneva che l'aumento dell'offerta di denaro potrebbe funzionare anche in questo caso: i lavoratori non sono consapevoli che altrove i salari per lavori analoghi sono saliti come i loro e si astengono quindi dal richiedere salari alti quanto prima, in termini reali; in questo modo le assunzioni sono incentivate e l'occupazione torna a crescere. Ma continuare a sostenere una ripresa di questo tipo richiederebbe di sicuro un aumento senza fine dei salari, che continui a precedere le aspettative una prospettiva poco attraente.
Keynes pensava sempre di più a misure non monetarie per cambiare il nuovo equilibrio non monetario derivante da una perdita di fiducia degli investitori. Riteneva che anche la domanda dei consumatori incentivasse l'occupazione. Un aumento della domanda incoraggia, in un primo tempo, le aziende ad aumentare la produzione e ad assumere un maggior numero di lavoratori. Ma in un'economia aperta quest'incentivo sarebbe di stimolo soprattutto per i paesi esteri. Nell'economia globale, l'aumento della domanda dei consumatori farebbe solo aumentare i tassi d'interesse, spianando la strada al calo dei prezzi reali degli asset, degli investimenti e dei salari.
Keynes poneva l'accento sull'investimento come leva per aumentare l'occupazione. Secondo questa teoria, si potevano stimolare gli investimenti privati attraverso sgravi fiscali, o aiuti alle nuove aziende o a chi assume. Keynes vedeva con favore gli investimenti da parte dello Stato o di imprese statali.
Gli americani, con i loro aeroporti da incubo e i ponti che crollano, accoglierebbero volentieri la realizzazione di nuove «infrastrutture». Ci si deve chiedere, però, se un massiccio spostamento di investimenti dai privati allo Stato non soffochi la creazione, lo sviluppo e l'adozione di idee innovative da immettere sul mercato. La teoria del capitalismo si basa sulla diversità delle fonti da cui possono scaturire nuove idee commerciali, sulla varietà dei gruppi di imprenditori disposti a investire, delle risorse finanziarie — angel investors, venture capitalists e altri — e degli utenti.
E si basa anche sull'importante presupposto che i proprietari di imprese finanziarie e commerciali non debbano render conto a nessuno (se non alla propria coscienza) — e siano quindi liberi di usare il loro intuito, una condizione molto diversa da quella di rigido controllo a cui devono giustamente sottostare i funzionari dello Stato.
Un considerevole aumento della presenza del governo nel settore degli investimenti potrebbe quindi limitare l'innovazione e abbassarne la qualità. Continueremmo a essere in crisi. Alla fine della vita Keynes disse all'amico Friedrich Hayek che intendeva riesaminare la sua teoria in un libro successivo. Sarebbe andato oltre. L'ammirazione che noi tutti nutriamo per l'enorme contributo di Keynes non dovrebbe trattenerci dall'andare oltre.

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

CRISI MUTUI: AUTORITA' USA IN CAMPO CONTRO PIGNORAMENTI/ANSA

11 Novembre 2008 21:44 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 11 nov - Le autorità americane scendono in campo per evitare i pignoramenti e, insieme a Fannie Mae e Freddie Mac, annunciano nuove misure che puntano a velocizzare la modifica di centinaia di migliaia di mutui che fanno capo alle due agenzie. Il piano, che è un'estensione del progetto New Hope (ora speranza), mira ad aiutare le famiglie "a rischio", affinché siano in grado di far fronte al pagamento di rate mensili inferiori o uguali al 38% delle entrate lorde. "Si tratta di un programma importante per ridurre considerevolmente i pignoramenti evitabili, attraverso una semplificazione e una razionalizzazione che consente ai proprietari in difficoltà di fronteggiare prestiti ipotecari adeguati", spiega James Lockhart, direttore della Fhfa, l'organismo che tutela Fannie e Freddie, le due società che complessivamente detengono o garantiscono il 58% dei prestiti americani. "Stiamo sperimentando una necessaria correzione e prima la supereremo, prima il settore immobiliare potrà contribuire nuovamente alla crescita economica", sottolinea Neel Kashkari, supervisore del piano salva-finanza targato Henry Paulson. Le autorità americane sperano ora che anche le maggiori banche seguano il piano messo a punto per Fannie Mae e Freddie Mac, anche se alcuni istituti di credito hanno già svelato e adottato i propri progetti contro i pignoramentii. Fra queste Citigroup, Bank of America e JPMorgan. Alla modifica dei mutui di Fannie Mae e Freddie Mac potranno partecipare coloro che siano in grado di testimoniare di aver incontrato difficoltà nel far fronte ai propri impegni mensili. Secondo uno studio di Moody's Economy.com oltre 7,3 milioni di famiglie fra il 2008 e il 2010 potrebbero non essere in grado di ripianare il proprio mutuo e di queste 4,3 milioni rischiano di vedersi sottrarre la propria casa.(ANSA).
 
 

 

 

CRISI MUTUI: WSJ, AMERICAN EXPRESS CERCA 3,5 MLD AIUTI GOVERNO

12 Novembre 2008 12:10 ROMA - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 12 NOV - American Express sta cercando aiuti per 3,5 miliardi di dollari dal governo Usa. Lo scrive il Wall Street Journal che cita fonti vicine al dossier. Il colosso delle carte di credito sarebbe intenzionato ad aderire al piano di aiuti federale, il cosiddetto programma Tarp (Trouble Asset Relief Program) e potrebbe avere presentato richiesta già prima di aver ottenuto l'altro ieri dalla Fed il cambio di status a holding bancaria. L'indiscrezione sta facendo salire il titolo alla Borsa di Francoforte, con un rialzo di 40 cent a 22,80 dollari dopo il ribasso del 6,6% registrato al Nyse. American Express - riferisce l'agenzia Bloomberg - non ha voluto per ora commentare l'indiscrezione.(ANSA).
 
 
 

 

CRISI MUTUI: VIA LIBERA UE A STRETTA AD AGENZIE RATING

12 Novembre 2008 13:09 BRUXELLES - di ANSA
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(ANSA) - BRUXELLES, 12 NOV - La Commssione Ue ha adottato oggi il pacchetto per una maggiore vigilanza e controllo sulle agenzie di rating, una delle misure che si inseriscono nell'obiettivo di ridare nuove regole ai mercati finanziari. "Si tratta - ha spiegato il commissario Ue al mercato interno, Charlie McCreevy in una conferenza stampa - di una proposta ben equilibrata, che da un lato garantisce l'ampia indipendenza delle agenzie ma dall'altra le sottopone ad un attento controllo". "Non sarà più possibile - ha spiegato in particolare il commissario Ue - ricorrere alla difesa che quella delle agenzie di rating è una semplice opinione". Con la proposta di oggi - ha spiegato McCreevy - l'Ue ha adottato un approccio "totalmente innovativo" su questo provvedimento e l'auspicio è che anche i partner internazionali seguano questa direzione". (ANSA).
 
 

 

 

CRISI MUTUI: PAULSON RINUNCIA AD ACQUISTO ASSET TOSSICI

12 Novembre 2008 17:04 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 12 nov - "Riteniamo che al momento l'acquisto" di asset tossici "non è il modo più efficace per utilizzare i fondi" ai quali il Congresso ha dato il via libera. "L'acquisto diretto di azioni nelle istituzioni finanziarie è il modo più rapido ed efficace di usare i nostri nuovo poteri per stabilizzare il sistema finanziario", spiega Paulson nel corso di una conferenza stampa. "Non prevediamo più di acquistare asset tossici legati ai prestiti immobiliari", aggiunge Paulson, sottolineando che saranno presi in considerazione "i bisogni di capitale delle istituzioni finanziarie". Inoltre "passeremo al setaccio le strategie destinate a sostenere l'accesso al credito dei consumatori", e "continueremo a esaminare le modalità conj cui ridurre i rischi di pignoramenti". Le autorità - osserva - restano impegnate "a prevenire i fallimenti che rappresenterebbero un rischio per il sistema finanziario nel suo insieme". (ANSA).
 
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

  Le Banche Centrali hanno già pompato 7$ trilioni ma ancora non basta

12 Novembre 2008 12:42 LUGANO - di *Alfonso Tuor

*Alfonso Tuor e' il direttore del Corriere del Ticino.

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La crisi del credito sta di nuovo assumendo caratteri virulenti. A scuotere la già scarsa fiducia dei mercati sono state le cattive notizie provenienti dall’American Insurance Group (AIG) e da Fannie Mae, a conferma del fatto che i soldi finora stanziati dallo Stato federale americano per salvare queste due società sono insufficienti.
Nel caso di AIG si passa dagli 85 miliardi già concessi per evitarne il collasso a un piano dal costo complessivo di 150 miliardi di dollari. Per Fannie Mae non vi sono ancora cifre precise, ma l’agenzia parastale americana, annunciando una perdita trimestrale di 29 miliardi di dollari, ha contemporaneamente avvertito di essere destinata al fallimento se il governo non investirà nuovi fondi. La musica non è molto diversa per società storiche, come la General Motors, che chiede un rapido aiuto dello Stato, poiché entro la fine dell’anno sarà a corto di liquidità.
Queste comunicazioni hanno evidenziato che gli interventi finora predisposti da banche centrali e governi sono stati utili, ma ancora insufficienti per allentare la morsa della pesantissima crisi che oramai non colpisce più solo il settore finanziario, ma anche l’economia reale.
Il ribasso dei tassi di interesse e la nazionalizzazione di fatto del mercato interbancario e di quello monetario hanno finora indubbiamente prodotto un calo dei tassi a breve termine, ma non hanno ancora ottenuto il risultato di riportare fiducia e un ritorno alla normalità. Hanno solo spostato l’epicentro della crisi.
Il calo dei tassi a breve era scontato vista l’entità degli interventi: stando al Financial Stability Report della Bank of England, le banche centrali hanno emesso in queste settimane 7.000 miliardi di dollari in prestiti, acquisti di titoli e garanzie fornite al settore finanziario. Si tratta di una cifra enorme, che ha portato ad un calo dei tassi a breve termine pressoché in linea con le diminuzioni del costo del denaro decise dagli istituti di emissione.
La fiducia tra le stesse banche non è comunque tornata, come dimostra il fatto che lo scorso 31 ottobre i depositi degli istituti europei presso la Banca centrale europea hanno raggiunto il massimo storico di 280 miliardi di euro.
Questa sfiducia è del resto giustificata. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che le perdite del settore finanziario si aggireranno sui 1’400 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che vi sono ancora da ammortizzare 600 miliardi di dollari. Da parte sua, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha dichiarato che le perdite delle sole banche europee ammonteranno a 800 miliardi di euro.
Queste cifre dovranno molto probabilmente essere corrette al rialzo, poiché la crisi del credito funziona come indicano i libri di testo. Produce una crisi economica, poiché le banche stringono i cordoni della loro politica creditizia. La frenata dell’economia reale trasforma i prestiti concessi alle imprese, che vedono crollare le loro vendite e i loro guadagni, in crediti a rischio.
A questo punto le banche stringono ulteriormente i cordoni della borsa, mettendo a repentaglio il normale svolgimento dell’attività economica e contribuendo a frenare l’economia. E quindi il circolo vizioso continua ed anzi assume sempre maggiore rapidità. Ed è quanto sta succedendo, come dimostrano le difficoltà delle imprese a finanziarsi a breve termine e la contrazione del credito documentario (uno strumento fondamentale per il commercio internazionale), ecc.
Questo circolo vizioso, avviato con le perdite prodotte dagli strumenti finanziari collegati al mercato immobiliare americano, è molto difficile da rompere. Gli interventi delle banche centrali hanno prodotto una parziale riapertura della possibilità di banche ed imprese di finanziarsi a breve, ma non sono riusciti a riaprire il mercato dei capitali, ossia la possibilità degli istituti di credito e delle imprese di finanziarsi a lungo termine a prezzi ragionevoli.
La conseguenza è che la nuova linea del fronte di questa crisi è diventato proprio il mercato dei capitali. Infatti sia le banche sia le imprese hanno ritardato l’emissione di nuove obbligazioni a lungo termine, contando su un ritorno alla normalità. Ora si ritrovano con l’impellente necessità di approvvigionarsi di nuovi capitali anche per rinnovare il volume ingente di obbligazioni che giungono a scadenza nei prossimi mesi.
Tutto ciò ha conseguenze devastanti. Una stabilizzazione del mercato immobiliare americano è inimmaginabile, se i tassi ipotecari continuano a rimanere al di sopra del 6%, nonostante la Federal Reserve abbia ridotto i tassi dal 5,25% all’1%. Gli attuali tassi ipotecari americani sono addirittura superiori a quelli di un anno fa, ossia al periodo in cui scoppiò la crisi dei subprime.
E’ pure difficile immaginare come possano finanziarsi le imprese di settori che per loro natura devono fare ampio ricorso al credito. Ad esempio, in questo quarto trimestre giungono a scadenza più di 200 miliardi di dollari di obbligazioni delle società di telecomunicazione. Ed è soprattutto difficile capire come si rifinanzierà a lungo termine il settore finanziario che continua a veder crescere le sofferenze legate agli strumenti della nuova ingegneria finanziaria e che presto dovrà fare i conti con un numero crescente di sofferenze dovute alla recessione.
Ma c’è di più. La crisi è destinata a far traballare anche il debito di alcuni Paesi emergenti, come quelli dell’Europa dell’Est che sono pesantemente indebitati con l’estero.
Di fronte a questa spirale bisogna chiedersi se è possibile il salvataggio dell’intero sistema finanziario oppure se non è preferibile salvare alcuni istituti o parti di essi e privilegiare gli aiuti all’economia reale. Questa domanda è fondamentale, poiché gli interventi statali dissanguano le casse degli Stati e sono destinati a mettere in discussione anche la credibilità degli stessi titoli pubblici. A meno che qualcuno pensi già ad un grande incendio inflazionistico grazie al quale bruciare i debiti e soprattutto l’enorme quantità di carta straccia prodotta dal sistema finanziario, diretto da manager irresponsabili.
 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 

 

 

  Venerdì 14 Novembre 2008   Domenica 16 Novembre 2008   Sabato 29 Novembre 2008  
       
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  G-20: Lula, l'America ha fallito. Si torni al multilateralismo

12 novembre 2008 - di Orazio Carabini

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«Mi è perfettamente chiaro che la situazione è difficile, ma il mondo ci sta chiedendo di far vedere perché siamo stati eletti, e di trovare in fretta soluzioni appropriate alla crisi». Luis Inacio "Lula" da Silva, presidente del Brasile, non è un tipo che si tira indietro. La riunione del G-20 si avvicina e Lula intende fare la sua parte al vertice dei Paesi che rappresentano le economie più importanti del mondo.
«Il Brasile non farà proposte – dice Lula in un'intervista concessa al Sole 24 Ore e ad altri quattro quotidiani italiani nel corso della sua visita a Roma –, ma sono ottimista. Da due anni vado dicendo che i leader politici devono incontrarsi per affrontare i grandi problemi del mondo: il commercio internazionale, l'economia, i conflitti. Già, perché se gli Stati Uniti avessero ascoltato gli altri Paesi non avremmo avuto la guerra in Irak e avremmo trovato una soluzione per la Palestina».
Lula elenca tre priorità: riprendere la trattativa sul Doha Round per il commercio internazionale, dare nuove regole al sistema finanziario mondiale e «irrigare» l'economia per far tornare il credito alla produzione e ai consumatori, rimettere le istituzioni multilaterali, dall'Onu al Fondo monetario, in condizione di funzionare.

COMMERCIO INTERNAZIONALE. "Da tempo, in tutte le riunioni dico che nei negoziati della Wto (World trade organization, ndr) non c'è un problema economico ma un problema politico. L'agricoltura ha un peso decisivo, anche tra gli elettori, e impedisce a tutti di assumere una posizione di leadership per definire che cosa è importante nel commercio mondiale. Il Brasile ha detto che cosa conta dal suo punto di vista e ha fatto importanti concessioni sui prodotti industriali. Ci aspettiamo che gli Stati Uniti siano più flessibili e siano più disposti a venire incontro agli altri Paesi".

CRISI FINANZIARIA. "Il sistema finanziario mondiale ha bisogno di regolamentazione. In Brasile la leva degli intermediari è 10, in Italia è 20, negli Stati Uniti è 35, talvolta 90. Abbiamo capito che cosa è successo: si pensava che il sistema finanziario funzionasse come un casinò, solo per fare soldi, senza preoccuparsi del settore produttivo. Contemporaneamente bisogna discutere come <irrigare> l'economia per far sì che il credito torni all'industria e ai consumatori.

ISTITUZIONI MULTILATERALI. "Devono tornare a funzionare. Serve una profonda riforma per l'Onu, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Oppure bisogna creare qualcosa di nuovo, di diverso. Il fatto concreto è che queste istituzioni furono create per aiutare i Paesi poveri. Adesso che la crisi è arrivata nei Paesi ricchi le istituzioni non sanno che cosa fare. Quando la crisi riguardava l'Argentina o il Brasile, tutti sapevano che cosa dire e che cosa fare. Adesso che si parla di Stati Uniti e di Europa nessuno sa che cosa fare. Io dico solo che non devono essere i Paesi poveri a pagare. Hanno già molta disoccupazione e hanno perso potere d'acquisto. Non possono essere le vittime dell'irresponsabilità del sistema finanziario".
Per questo servono soluzioni rapide e credibili. "Manca il credito – continua Lula – e la crisi sta raggiungendo l'economia reale: questo significa più disoccupazione, una riduzione del potere d'acquisto dei salari, più esclusione sociale. Si rischia di tornare agli anni 80. Di questo dobbiamo discutere al G-20".

LA STRATEGIA DEL BRASILE. Intanto però il Brasile ha scelto una sua strada per affrontare la crisi. «Se ogni Paese sostiene la crescita e fa sì, come fa il Brasile, che la produzione industriale continui ad aumentare – osserva Lula – potremo evitare la crisi». L'economia brasiliana sta peraltro rallentando come quelle degli altri Paesi: dal 5,4% di crescita del 2007 scenderà al 2,5% nel 2009 passando per un 5% nel 2008.

LA LEADERSHIP DI OBAMA. "Nessuno chiede a Obama di essere leader o di non esserlo. Gli Stati Uniti avranno sempre un ruolo importante: hanno la potenza militare più forte, una supremazia straordinaria nella tecnologia. È inevitabile che abbiano un ruolo, anche se ne hanno approfittato un po' troppo dopo la seconda guerra mondiale. Adesso però c'è la Cina, l'India, il Brasile, il Sud Africa. Fino a vent'anni fa nessuno considerava questi Paesi se non per misurarne la povertà. Ora hanno un'importanza politica e tutti si sono convinti che il G-8 non rappresenta più la logica dell'economia mondiale, che i temi veri devono essere discussi con chi conta per trovare le soluzioni».

IL RUOLO DEL BRASILE. "Il Brasile aveva meno importanza perché era succube degli Stati Uniti e dell'Europa. Ma ho imparato nella mia attività di sindacalista che un interlocutore, se non è rispettato, non ha peso. Se entro in una riunione dicendo "amen", nessuno rispetterà quello che penso o che propongo".

LULA E I LEADER SUDAMERICANI RADICALI. "Non considero radicali gli altri leader. Ogni presidente si rivolge al proprio pubblico per farlo felice. Hugo Chavez ha la sua realtà in Venezuela, Evo Morales ha la sua in Perù. Noi abbiamo la nostra. Dal punto di vista economico non vedo spazio per il radicalismo. A meno che un Paese non possa vivere da solo, senza commercio, senza prestiti. E poi ormai c'è l'interdipendenza scientifica e tecnologica. Il Brasile lavora con tutti Paesi. Essere il presidente di un Paese e avere rapporti di amicizia con gli altri presidenti non significa aver costituito un gruppo di amici. I rapporti tra gli Stati devono durare, dobbiamo continuare a lavorare insieme. Il Brasile ha più responsabilità perché è più grande. E deve essere più paziente. Ma andiamo avanti e rafforzeremo il mercosur e le nostre economie".
 

Fonte - MiaEconomia

 

 

 

 

 

 

G20: DOMANI GRANDI A CONSULTO; DRAGHI,EMERGENTI NEL FSF/ANSA

13 Novembre 2008 20:33 NEW YORK - di ANSA
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(ANSA) - NEW YORK, 13 NOV - La crisi finanziaria e suoi effetti di nuovo sotto i riflettori. Stavolta però non solo per un esame ma per cercare di raggiungere delle soluzioni per la stabilità dei mercati e, soprattutto, per il rilancio dell'economia. Gli Stati Uniti, inizialmente reticenti alla necessità di una kermesse internazionale, puntano ora a raggiungere risultati concreti, con l'adozione di un piano d'azione. L'Europa si attende che siano gettate le basi per l'avvio di un processo che porti a una riforma delle regole dell'economia di mercato. E il governatore di bankitalia Mario Draghi chiede che il Financial Stability Forum (Fsf) si allarghi ai paesi emergenti. Attendersi risultati concreti dal vertice appare difficile: al di là di fissare un calendario e gli obiettivi intorno al quale istituire dei gruppi di lavoro non si dovrebbe andare. Ma già sarebbe un passo avanti, in vista dell'insediamento del nuovo presidente americano, Barack Obama, e considerate le divergenze fra il Vecchio continente e gli Usa e quelle all'interno della stessa Unione Europea. Differenze queste ultime che, però, non hanno portato, grazie all'iperattivismo del presidente di turno Ue Nicolas Sarkozy, a crepe evidenti nell'unità dei 27 nell'affrontare la fase più critica dell'emergenza finanziaria. L'appuntamento di domani e dopodomani a Washington, quindi, sarà anche l'occasione per verificare se questa unità e determinazione sarà condivisa anche dagli altri partner Ue seduti intorno al tavolo, a partire dalla Germania di Angela Merkel. Alla riunione Sarzoky chiederà di rimettere in discussione il ruolo finora avuto dal dollaro sui mercati mondiali, ma anche la necessità di dare al Fondo Monetario Internazionale un ruolo più centrale nella nuova architettura mondiale. Un'idea questa che agli Usa non piace: Washington è d'accordo ad ammodernare il ruolo del Fmi, ma solo attraverso un rafforzamento limitato della sua capacità di prevenire la crisi. Gli Usa si oppongono inoltre al principio di un regolatore mondiale unico e sovranazionale. Ma sono anche altri i temi sul tavolo, quali l'aumento del peso dei paesi emergenti nella supervisione della finanza internazionale. Brasile, Cina, India e Russia chiedono una maggiore voce e di poter giocare un ruolo di primo piano nel ridisegnare l'architetture della finanza mondiale. Secondo il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, per una migliore gestione della crisi dei mercati è necessario allargare il numero dei Paesi che fanno parte del Financial Stability Forum, includendo le economie dei principali Paesi emergenti. L'Fsf "lavorerà - spiega - per ottenere rapidamente questo obiettivo". Convinto che sia necessario dare maggiore peso alle economia emergenti è anche Bush: è stata infatti proprio Washington a insistere per allargare quello che inizialmente doveva essere un G7 ad altri 13 paesi. Proprio per dare più voci ai paesi emergenti è necessario ammodernare del Fondo Monetario internazionale e della Banca Mondiale, così che possano rispondere meglio alla crisi che, comunque, "non rappresenta il fallimento" del capitalismo, osserva Bush. L'economia mondiale - prosegue Bush - ha ancora davanti "giorni difficili", ma le misure prese cominciano a produrre effetti. L'Europa e gli Stati Uniti si presentano al vertice in recessione. Le grandi economie dei paesi emergenti, che tirano la crescita mondiale, chiedono un peso maggiore e vogliono partecipare attivamente alla definizione della nuova architettura finanziaria globale. Al vertice parteciperanno anche la Spagna (alla quale la Francia ha ceduto uno dei due posti cui aveva diritto essendo contemporaneamente presidente di turno dell'Ue e membro effettivo del G20) e l'Olanda (invitata da Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell'Unione Europea: così, il G20 sarà in realtà un G21. (ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

 

Vigilia G20, Bush: «Ho ancora fiducia nel capitalismo»

13 novembre 2008 MILANO - di ANSA
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La crisi «non è stata un fallimento del libero mercato» e il capitalismo è sempre l'unico sistema «che fornisce incentivi per la prosperità».Non solo, il capitalismo «è l'autostrada del sogno americano, quello che ha trasformato l'America da una ruvida frontiera nelle più grande economia del mondo». Sono le parole pronunciate dal presidente degli Stati Uniti George W.Bush alla vigilia degli incontri dei rappresentanti dei paesi del G20, in un discorso tenuto al Manhattan Institute di New York. «Il capitalismo non è perfetto» e «bisogna trovare modi per far funzionare meglio il sistema», ha proseguito Bush che ha poi difeso l'intervento del governo americano di fronte al rischio di un collasso globale, ma, ha ammonito, «l'intervento del governo non può essere una cura per tutto». In quest'ottica «il nostro obiettivo non dovrebbe essere un maggior ruolo del governo, ma un ruolo più intelligente del governo».

Il presidente uscente, che occuperà la Casa Bianca per poco più di altri due mesi, è favorevole a riforme per rafforzare l'economia globale nel lungo periodo. Tra le possibili proposte che discuterà con i leader mondiali questo fine settimana vi sono: miglioramento delle regole di contabilità per titoli azionari, obbligazionari e altri tipi di investimento, aumento della vigilanza sullo scambio di alcuni prodotti finanziari complessi come i «credit default swaps», miglior coordinamento delle leggi finanziarie nei diversi paesi, revisione delle regole contro la manipolazione e la frode dei mercati.

Inoltre, secondo il presidente americano, sarà fondamentale dare ai paesi emergenti una maggiore influenza all'interno di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.Bush ha poi respinto l'accusa che un'insufficiente regolamentazione negli Stati Uniti sia stata alla base della crisi del credito. «Molti paesi europei avevano regole molto più ampie e hanno comunque vissuto problemi quasi identici ai nostri», ha concluso.
 
 

Fonte - ANSA

 

 

 

G20: BOZZA COMUNICATO;PIANO AZIONE,ALCUNE MISURE SUBITO/ANSA

15 Novembre 2008 04:53 WASHINGTON - di ANSA
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(ANSA) - WASHINGTON, 15 NOV - Un piano d'azione con proposte concrete, diviso in due parti: le azioni da adottare immediatamente entro il 31 marzo e quelle a medio termine. E' quanto prevedrebbe - secondo indiscrezioni - la bozza del comunicato finale del G20. Fra le linee guida indicate nel comunicato figurerebbero - secondo la bozza - maggiore trasparenza e superivisione e, soprattutto, più collaborazione. Nel testo è contenuto anche l'invito a non farsi tentare da pressioni protezionistiche e quello di raggiungere un accordo per completare le negoziazioni del Doha Round entro la fine dell'anno. Il comunicato dovrebbe contenere - sempre secondo indiscrezioni - alcune indicazioni per un migliore funzionamento dei mercati finanziari globali, e fra questi specifici richiami alla trasparenza. I leader si sarebbero accordati anche per chiedere una migliore cooperazione internazionale nel monitorare i mercati: un obiettivo questo che dovrebbe essere raggiunto con la creazione di meccanismi di 'early warning'. Il Fondo Monetario Internazionale e il Financial Stability Forum, guidato dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, hanno già espresso venerdì la propria disponibilità a farsi carico del compito. Nel comunicato - riferiscono le stesse fonti - si dovrebbe fare riferimento abche a un 'collegio dei supervisori' per monitorare le maggiori istituzioni finanziarie. Il testo del comunciato sarà diffuso sabato nel pomeriggio (in serata italiana) al termine di una due giorni di lavori, e dovrebbe contenere anche indicazioni temporali sul prossimo appuntamento che dovrebbe cadere fra la fine di marzo e i primi di aprile. L'incontro - secondo quanto dichiarato da alcuni partecipanti al G20 - potrebbe avere luogo a Londra, visto che proprio l'Inghilterra presiederà il prossimo anno il G20.(ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

 

G20: PIANO AZIONE A PROVA MERCATI, ECONOMISTI SCETTICI/ANSA

16 Novembre 2008 14:26 WASHINGTON - di ANSA
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(dell'inviato Serena Di Ronza) (ANSA) - WASHINGTON, 16 NOV - I leader del G20 uniti contro la crisi: il vertice che ha visto l'ingresso al tavolo dei 'Big' delle economie emergenti ha messo in evidenza la volontà comune di affrontare e risolvere quella che è la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 70 anni. Ma, secondo alcuni economisti, al di là delle "buone intenzioni" c'é ben poco. E ora si attende la reazione dei mercati, reduci ancora una volta da un settimana difficile, condizionata soprattutto dal deteriorarsi dell'economia reale. Il piano d'azione delineato dal G20, più a lungo termine, si farà sentire anche sull'economia: constatando l'urgenza di rilanciare la crescita, il comunicato finale invita a considerare "le misure di politica economica e di bilancio" tese "a stimolare la domanda nazionale e stabilizzare i mercati". Insomma degli stimoli a sostegno dell'economia: per l'Italia il piano - secondo quanto annunciato dal ministro dell'economia Giulio Tremonti - sarà di 80 miliardi di euro. "Alla luce dei risultati ottenuti, potevano anche mettersi d'accordo senza incontrarsi. Che altro c'é di nuovo se non il fatto che si è trattato di un G20 e non di un G8?", commenta Simon Johnson, economista del Massachussetes Institute of Technology ed ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale. "Chi si aspettava un mea culpa da parte del G20 é rimasto deluso", osserva invece Kenneth S. Rogoff, economista di Harvard. I risultati raggiunti dal vertice sono di "assolutà vacuità: sono stati messi a punto solo degli slogan", spiegano alcuni analisti, constatando come "il diavolo dell'accordo è nei dettagli. Nonostante le buone intenzioni, i progressi saranno ardui e lenti". "Molti degli argomenti discussi in questo week-end erano già stati esaminati. Speriamo che il vertice dia una spinta ad andare avanti su questi temi", spiegano dalla Security Industry Financial Market Association. "Ci si attendeva forse qualcosa di più. Era ovvio che una nuova Bretton woods non sarebbe arrivata, ma sia per l'economia sia per il mercato il segnale doveva essere più forte", osservano gli analisti, secondo di trasparenza e regole ormai si parla da molto tempo. Il piano d'azione in cinque punti disegnato dal G20 potrebbe comunque portare a un rimbalzo degli indici almeno a breve. Ma di certo - affermano gli analisti - non sarà sufficiente a far invertire la rotta dei listini in maniera duratura. L'accoglienza dei mercati, quindi, potrebbe essere solo in un primo momento tiepida, per poi tornare a raffreddarsi. Molto è appeso al destino di alcune grandi società, quali General Motors, il cui futuro appare di giorni in giorno più in bilico. Articolato in cinque aree, il piano contiene le misure "prioritarie" per migliorare la supervisione del mercato. Nel testo concordato si invita a una valutazione su come i compensi dei manager possono esacerbare i trend ciclici, si chiede una maggiore cooperazione fra le autorità regionali e nazionali. Ma invita anche a una maggiore trasparenza sul mercato dei credit default swap, e una registrazione delle agenzie di rating. Un riferimento è anche alla creazione di collegio dei supervisori per monitorare le maggiori istituzioni finanziarie. Al Fmi e al Financial Stability Forum viene chiesto di ampliare la propria partecipazione.(ANSA).
 
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

  Cosa resta del G20

17/11/2008 MILANO - di MiaEconomia

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Un week end tra vecchi e potenti amici o la svolta epocale per evitare che la finanza mondiale, nel futuro, possa trascinare alla crisi economica l'intero pianeta? I giudizi sul summit mondiale dei G20, i 20 paesi più ricchi al mondo, sono ancora tutti in sospeso.

Lo scopo del meeting era trovare una qualche risposta alla crisi economica che sta attanagliando l'intero pianeta, che ha avuto il suo epicentro nella gigantesca crisi del mercato del credito che è cresciuto a dismisura non tanto su un'economia reale quanto su quella fatta di obbligazioni supportate dal nulla e da giochetti sui derivati.
Da una parte gli iper ottimistici, che dicono che meglio di così non poteva andare, lo riferiscono un po' tutti i partecipanti all'incontro mentre ripetono di avere gettato le basi delle regole per l'economia e la finanza internazionale del XXI secolo.
Di concreto? Forse non molto. E' stata fotografata la nuova realtà mondiale, con nuove valute forti e nuove economie che contano accanto a quella americana (ed europea), e tutti si sono detti d'accordo per mettere a punto - e soprattutto per farlo in tempi brevi - nuovi strumenti per evitare il ripetersi di una grossi crisi.
Ad esempio, George Bush, ormai prossimo a lasciare la presidenza degli Usa al suo successore, Barack Obama, ha detto, leggendo una dichiarazione, che i leader del G20 hanno concordato di "coordinare e ammodernare" i loro sistemi finanziari per fronteggiare la crisi economica. Bush ha aggiunto, parlando al termine dei lavori, che le maggiori economie del mondo "riesamineranno le regole che
governano la manipolazione dei mercati e i tentativi di frode".

Tutti i convocati al G20 hanno convenuto che la priorità in questo momento è sostenere le economie nazionali, entro marzo si dice che verrà messo a punto una riforma delle leggi che regolamentano i mercati finanziari. Si punterà sulla regolamentazione di quelle aree dei mercati che hanno determinato la crisi, sull’aumento della trasparenza dei mercati dei derivati e sulla riforma delle pratiche di compensazione.
Il piano comune dice che, entro il prossimo 31 marzo, potrebbe nascere un collegio di supervisori che controlli le più grandi società del mondo, che si devono studiare nuovi principi contabili e misure che limitino i maxistipendi dei manager. Inoltre si punta a Una riscrittura comune delle regole dei mercati finanziari che prevenga nuove crisi, garantendo maggiore trasparenza, norme più efficaci e un minore ricorso al debito sembra l'obiettivo delle grandi potenze.
Insomma, tutto volto al futuro mentre la crisi è già in corso. Del resto che il G20 a Washington sarebbe stato molto limitato nelle sue capacità di azione si è era già capito proprio dal fatto che il leader dell'economia più importante - e più responsabile della crisi - si sarebbe presentato con pochi margini essendo già stato eletto Barack Obama. Che per correttezza non si è presentato al summit ma ha voluto sapere tutto quello che stava accadendo.

Lascia un po' spiazzati il fatto che, mentre l'economia mondiale si affloscia, i leader del G20 si diano appuntamento a marzo, cose che confermerebbe che il vertice si è concluso con molti impegni ma senza un piano concreto per fronteggiare la recessione. ecco perché molti esperti sottolineano che il meeting ha messo in evidenza un fronte unito contro la crisi, ma di fatto ha offerto solo molte promesse.

Oltretutto da una parte si chiede di avviare piani nazionali contro la crisi (come quello lanciato da Berlusconi per l'Italia) ma allo stesso tempo il piano d'azione non sembra prevedere un vero unico supervisore sovranazionale.

 

 

Fonte - MiaEconomia

 

 
 

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