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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Macro USA

L' America corre fuori tempo massimo

Materie Prime - Sentiment e Previsioni

Materie prime: il boom è appena cominciato

Borse - Sentiment e Previsioni

Sarà apocalisse, ve lo dico per farvi un favore

FED

Bye bye Mr. Greenspan

FED

Dopo il maestro

   

Vai alla seconda parte della Rassegna

 

ANSA  +++  Nuovo rischio attentato nella metro di New York  +++  Una donna alla guida della Germania  +++  L'influenza aviaria allarma l'Europa  +++  Inizia il processo a Saddam Ussein che subito si ribella ai giudici  +++  ANSA

Venerdì  7  ottobre  2005   Martedì  11  ottobre  2005   Giovedì  20  ottobre  2005
   
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L' America corre fuori tempo massimo

La guerra in Iraq ha avvantaggiato tre beneficiari: al-Qaeda, l'Iran, e le grandi imprese di ricostruzione che dall'accoppiata Bush e Cheney ricevono contratti milionari. Tutti gli altri hanno perso. E il tempo sfugge di mano.

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1 Ottobre 2005 3:56 New York  (di *Paul Craig Roberts)

*Paul Craig Roberts e' un commentatore conservatore, professore al dipartimento John M. Olin dell' Institute for Political Economy, research fellow all' Independent Institute e ricercatore senior della Hoover Institution, Stanford University. Ex direttore e columnist di The Wall Street Journal, scrive regolarmente per Creators Syndicate e per Investors Business Daily.
 

George W. Bush passerà alla storia come il presidente che più di ogni altro ha perso tempo con cose inutili mentre il proprio paese ha perso il proprio status di superpotenza mondiale.
Bush si è servito delle armi dell’inganno e dell’isteria per condurre l’America in una guerra che la sta uccidendo economicamente, militarmente e diplomaticamente. Una guerra che si sta combattendo grazie a centinaia di miliardi di dollari presi in prestito all’estero. Una guerra che sta insanguinando le truppe militari. Una guerra che ha fatto perdere agli Usa la propria cosiddetta “leadership morale” e li ha esposti all’esercizio di un potere aggressivo e sconsiderato.

Intenta nella macchinazione della “guerra al terrorismo”, l’amministrazione Bush ha deviato le risorse economiche dalle dighe di New Orleans all’Iraq, con il risultato che adesso ci si ritrova con un fattura di ricostruzione di 100 miliardi di dollari in cima alla lista delle spese di guerra.
Gli Usa sono così a corto di truppe che i neoconservatori stanno sostenendo con forza l’ipotesi di affidarsi a mercenari stranieri, pagati dai cittadini statunitensi.
Gli sforzi degli Stati Uniti per isolare l’Iran sono stati vanificati dall’azione congiunta di Russia e Cina, due potenze nucleari verso le quali Bush non può permettersi di fare il prepotente.
La guerra in Iraq ha avvantaggiato tre beneficiari: al-Qaeda, l’Iran, l’industria bellica Usa e gli amici di Bush e di Cheney che ricevono contratti milionari.
Tutti gli altri hanno perso.

La guerra ha donato ad al-Qaeda nuove reclute, prestigio e un terreno di addestramento.
La guerra ha unito in alleanza l’Iran alla maggioranza sciita irachena.
La guerra ha incrementato i profitti del settore industriale militare e delle imprese di ricostruzione a spese di 20.000 tra morti e feriti nei soldati Usa e decine di migliaia di civili iracheni complessivamente colpiti.
Il partito repubblicano ha perso, perché il suo pregiudiziale sostegno al conflitto non è condiviso dall’opinione pubblica.
Il partito democratico ha perso perché, malgrado la contrarietà della maggior parte dei propri rappresentanti, nei confronti della guerra si dimostra codardamente acquiescente, rendendosi un’entità politica irrilevante.

Recenti sondaggi evidenziano che la maggioranza dei cittadini statunitensi crede che gli Usa non riusciranno a vincere la guerriglia irachena. La maggioranza è a favore del ritiro e al dirottamento delle spese belliche verso la ricostruzione di New Orleans. Nonostante l’evidenza della volontà popolare, i repubblicani continuano a sostenere una guerra sgradita.
Fatta eccezione per Cynthia McKinney e per John Conyers, i Democratici hanno completamente ignorato la manifestazione di Washington contro la guerra del 24 settembre scorso. Il partito democratico sembra essere legato agli stessi gruppi d’interesse che condizionano il partito repubblicano, e sta rifiutando l’opportunità offerta dalla maggioranza dei cittadini americani che chiedono di essere rappresentati da uno schieramento politico a favore del ritiro dall’Iraq.

L’amministrazione Bush sta sforando i propri bilanci per una cifra attorno ai 1000 miliardi di dollari all’anno. Il deficit federale si aggira sui 500 miliardi di dollari. Il deficit commerciale degli Usa sta raggiungendo i 700 miliardi di dollari.
Il deficit di bilancio viene finanziato da governi stranieri, asiatici in particolare, che ora, semmai volessero decidere di fare uso del potere che George Bush ha conferito loro, vanterebbero sufficiente potere contrattuale verso gli Usa da influenzarne l’andamento dei tassi d’interesse e il valore del dollaro.
Il deficit commerciale viene finanziato trasferendo la proprietà Usa di determinati flussi di risorse attuali e future a soggetti stranieri, compromettendo il benessere sociale generale per la perdita di ricchezza accumulata.
È prevedibile che la Cina incrementerà la propria disponibilità di risorse Usa trasferite, impossessandosi dei mercati statunitensi, attraendo l’industria manifatturiera Usa grazie a fittizi tassi valutari e all’acquisizione della stessa tecnologia americana.
La strategia cinese consiste nel sopravvalutare il dollaro per incoraggiare il trasferimento delle risorse economiche dagli Stati Uniti alla Cina, una tecnica che comprime i tassi d’interesse Usa ad un livello artificialmente basso.
Il valore dei titoli azionari e dei bond americani dipende dal sostegno che le politiche economie dei paesi asiatici forniscono al dollaro e ai tassi Usa.
Nel momento in cui l’Asia realizzerà il proprio obiettivo in termini di primato manifatturiero, innovazione e ricerca & sviluppo, la strategia cambierà. Una volta che la Cina avrà completato la propria acquisizione di know-how statunitense, non avrà più ragione di sostenere la crescita del dollaro.
Quando il dollaro cadrà, costi, profitti, tassi d’interesse e, quindi, standard di vita, si modificheranno drammaticamente. I costi e i tassi d’interesse cresceranno; i profitti, gli standard di vita e di equità sociale precipiteranno.
Queste spiacevoli controindicazioni per attuarsi attendono solo la decisione dei giganti asiatici di tagliare il sostegno al risanamento dei bilanci Usa. Ciò accadrà solo quando questo sostegno non rientrerà più fra gli interessi degli stessi paesi asiatici.
Quando l’Asia affosserà il dollaro, il governo Usa comprenderà che la propria politica fiscale e la propria politica monetaria non forniranno rimedi per scampare alle drammatiche conseguenze.
Rispetto allo stato del budget degli Usa e al deficit commerciale, il terrorismo diventa un problema minore. Il pericolo incombente è che ora gli Stati Uniti potrebbero fronteggiare la perdita da parte del dollaro del proprio ruolo di valuta di riserva. Sarebbe una grave degenerazione, dalla quale il paese non si riprenderebbe.
Un governo intelligente realmente interessato alla sicurezza del proprio paese troverebbe un modo ragionevole di affrontare queste criticità economiche ed evitare che, prima o poi, il deficit degli Usa esploda. La difficoltà delle imprese statunitensi di esportare lavoro e allocare le produzioni all’estero rende ancora più critica la gestione di un budget sconvolto dalla guerra, dai disastri naturali, dall’impatto demografico sul sistema sanitario e sulla sicurezza interna.
Le dinamiche del mercato mondiale stanno rapidamente mettendo a rischio la stabilità politica degli Stati Uniti d’America. Una minaccia più seria di quella che potrebbe mai rappresentare qualsiasi Osama bin Laden di turno.
Per i Democratici e i Repubblicani il tempo per porre fine alla distrazione di una guerra insensata e tornare ad occuparsi dei veri problemi del paese sta sfuggendo di mano.


Fonte: http://www.counterpunch.org/roberts09262005.html
Tradotto da Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

 

 

Usa: Fed, gli uragani rallentano la crescita, inflazione in rialzo

Mercoledì 5 Ottobre 2005, 9:01

I due uragani che hanno colpito recentemente la regione del Golfo del Messico non potranno non incidere negativamente sulla crescita economica e sul rialzo dell'inflazione nei prossimi 18 mesi. Lo ha dichiarato ieri in tarda serata il presidente della Fed di Filadelfia, Antony Santomero. Secondo Santomero, pero', il rallentamento della crescita non durera' e l'impatto sull'inflazione deve essere valutato attentamente. Anche il presidente della Fed di Dallas, Robert Fisher, ha parlato di dinamica dei prezzi al consumo ribadendo la politica di graduale rialzo dei tassi per contrastare un'inflazione che si sta avvicinando ai livelli di guardia.

 

Fonte - Radiocor

 


Katrina: migliaia di famiglie a rischio bancarotta

Lunedì 10 Ottobre 2005, 0:05

La Small Business Administration ammette che i finanziamenti alle imprese procedono molto a rilento, anche a causa di vari intoppi burocratici.
Per ottenere un finanziamento per ricostruire la propria sede, ad esempio, un'azienda deve dimostrare di avere una licenza edilizia, un'assicurazione contro gli allagamenti oltre che di aver già una squadra pronta a fare il lavoro.

La stessa città di New Orleans è stata costretta qualche giorno fa a preannunciare per voce del sindaco Ray Nagin il prossimo licenziamento di 3mila dipendenti comunali, per cui non esistono più le risorse finanziarie necessarie.
 

 

 

E intanto si è scatenata la corsa ai fallimenti personali.
Il numero delle richieste in Louisiana e Mississippi è balzato a 68.000 unità nella settimana terminata il 30 settembre, pari a un rialzo del 24% rispetto ai sette giorni precedenti.
Il trend dovrebbe accelerare nei prossimi giorni.
Il 17 ottobre entrerà infatti in vigore la nuova legge sulla bancarotta personale che renderà più difficile liberarsi dai propri debiti.
Per le vittime dell'uragano Katrina- molte delle quali godevano di una buona situazione finanziaria- esiste un problema ulteriore che rischia di aggravare ulteriormente la situazione: chi fa ricorso alla protezione dai creditori non può infatti effettuare acquisti utilizzando la carta di credito nei 60 giorni che precedono la presentazione della richiesta di bancarotta al tribunale.

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 


 

 



Materie prime: il boom è appena cominciato

23 Ottobre 2005 23:22 Milano (di Vincenzo Sciarretta)

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Al telefono, Jim Rogers, il leggendario investitore newyorkese, gongola. L’indice delle materie prime da lui creato, il Rogers International Commodities Index (Rici), ha messo a segno, se calcolato in euro, un rialzo del 35%, stracciando azioni e obbligazioni. Quando nel 2002 iniziò a parlare ai lettori di B&F di commodity come di un grande tema d’investimento, i veicoli per cavalcare l’andamento di petrolio, oro e cereali erano confinati ai contratti future. Adesso si sono moltiplicati e includono certificati, obbligazioni e fondi (vedi servizio a pagina 56). E, secondo l’esperto, l’apprezzamento proseguirà. «Vendere oggi - dice - sarebbe come aver venduto le azioni americane nel 1985 dopo soli 5 anni di toro. Ma queste tendenze durano 10 o 20 anni. Io aspetto le correzioni per comprare e non per vendere».

Mr. Rogers, c’è qualcosa di nuovo nel suo portafoglio personale? Direi di no. L’investitore di lungo termine ha bisogno di fare poche scelte. Io non sono un grande speculatore. Perciò il grosso del mio denaro rimane investito in materie prime, dove non si possono liquidare le posizioni di giorno in giorno.
E le altri classi d’investimento? I titoli del debito stanno preparando la discesa. A mio giudizio, i rendimenti rischiano di salire per 10 o 15 anni, e parallelamente i prezzi delle obbligazioni caleranno. Non conosco esempi storici in cui il reddito fisso è salito mentre le materie prime rincaravano anno dopo anno. Se ci sono dei soldi da fare nel mercato dei bond è vendendo allo scoperto, e non comprando.

E per le azioni? Wall Street andrà su e giù come negli anni ’70, che rappresentano una buona mappa per orientarsi: i prodotti di base salivano, i bond scendevano e le azioni estenuavano i risparmiatori con allunghi alternati a netti capovolgimenti. Il nostro decennio si muoverà su questa falsariga.
Lei ha costruito un indice di commodity, il Rici, che dall’introduzione nel 1998 ha battuto ogni altro benchmark. Sappiamo anche che i suoi fondi sono ancorati a panieri di commodity, e non a singole materie prime. Insomma lei investe su un giardinetto di merci e derrate. Ma se dovesse scegliere singole commodity, a cosa guarderebbe in questo momento?
Probabilmente guarderei ai beni agricoli che sono rimasti indietro rispetto alle altre risorse di base, e storicamente hanno quotazioni assai depresse, specialmente se si tiene conto dell’inflazione. Nel mercato dei future presterei attenzione al cotone, al succo d’arancia congelato, alla soia o al caffè. È chiaro che si tratta di operazioni per specialisti.

Parliamo del dollaro. Da inizio anno, il biglietto verde ha messo a segno un bel rialzo. È l’inizio di un nuovo trend per la valuta americana o è un’occasione per venderla?
I fondamentali del dollaro sono profondamente viziati e in peggioramento. Ciononostante un rimbalzo era nell’aria.
Questa è la ragione per cui nel forum di gennaio organizzato da Borsa & Finanza non suggerii di vendere allo scoperto la divisa statunitense, ma mi limitai a indicare alcune materie prime: cotone, succo d’arancia e zucchero.
Allora è da vendere?
Io aspetto un’opportunità più favorevole. Non escludo l’ipotesi che il dollaro si rafforzi prima di capitolare del tutto. Mi preparo a vendere pesantemente. Tuttavia sento che il momento buono non è ancora arrivato.
Una delle ragioni in base alle quali lei teorizzò il grande avanzamento delle commodity, fu l’industrializzazione dell’Asia e l’immensa domanda che avrebbe sprigionato. È possibile che la nascita di una classe media in quell’area spinga verso l’alto anche i prezzi dell’arte, dei tappeti antichi, delle monete rare e così via?
Certamente sì. Come in passato. Quando nuove potenze economiche emergono dall’indigenza, gli abitanti rimangono folgorati da arte e cultura. I capolavori, le monete e ogni rarità da collezione. Della propria tradizione e anche delle civiltà estere. In Asia ci sono tre miliardi di persone con un potere d’acquisto in ascesa. La cosa non passerà inosservata.
Un mercato un po’ particolare però…
Sì, il problema è la liquidità. Non è come la compravendita di azioni. E ci sono notevoli costi di transazione; se acquista un quadro di pregio, spesso deve pagare commissioni rilevanti. E infine c’è lo stoccaggio.

 Fonte - Bloomberg - Borsa & Finanza
 

 

 

 

 

 

G20: FERMARE CARO-PETROLIO, MINA STABILITA' MONDIALE /ANSA
CONCLUSO VERTICE,IMPEGNO A COLLABORARE CONTRO ALTI PREZZI BARILE

16 Ottobre 2005 19:21 Roma (ANSA)
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La corsa del petrolio deve essere fermata. C'é infatti il timore che i "corsi elevati e la volatilità" dell'oro nero possano creare "pressioni inflazionistiche, rallentare la crescita e provocare instabilità nell'economia mondiale". I ministri delle finanze ed i governatori delle banche centrali del G20, al termine del vertice di due giorni svoltosi vicino Pechino, lo hanno ribadito nel comunicato finale, emesso al termine dei lavori. E hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché sia rafforzata "la cooperazione", sollecitando anche un "incremento degli investimenti, della produzione e della capacità di raffinazione". Il G20 ha inoltre auspicato - si legge nel documento conclusivo - un maggior dialogo tra i paesi consumatori e quelli produttori.

Le elevate quotazioni del petrolio hanno finora avuto un effetto limitato sull'economia ma, se non si "lavora tutti insieme per stabilizzare il prezzo del greggio ad un livello ragionevole", i rischi che l'inflazione rialzi la testa e la crescita economica mondiale rallenti - è stato sottolineato - saranno più reali. Come ribadito oggi a Pechino anche dal presidente della Bce, Jean Claude Trichet che non ha "escluso un inflazione l'anno prossimo sopra il 2%". Sarebbe anche "auspicabile che le negoziazioni commerciali nell'ambito del Doha Round si chiudano entro il 2006", rileva il G20 nel suo comunicato spiegando che una spinta potrebbe arrivare anche da un'eventuale riforma del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, istituzioni delle quali sia i paesi emergenti come la Cina sia gli Stati Uniti vorrebbero avere a che fare con un unico interlocutore europeo.

Il Fondo Monetario Internazionale, intanto, pur confermando che nel 2006 la crescita economica mondiale sarà del 4,3%, stima per il prossimo anno che il petrolio viaggerà in media sui 61,75 dollari al barile, in aumento quindi rispetto ai 54,23 del 2005 ed ai 37,76 del 2004. Un incremento questo - ha osservato nel corso dei lavori il direttore del Fondo Rodrigo De Rato - fa crescere i rischi per lo sviluppo. Ma oltre alle quotazioni petrolifere "elevate e volatili che potrebbero alimentare gli squilibri mondiali", il G20 punta anche il dito sul ritorno di "sentimenti protezionistici commerciali". Ed è proprio il mix protezionismo-caro greggio - spiega - a rischiare di "esacerbare le incertezze ed aggravare le vulnerabilità economiche". Nel documento conclusivo nessun approfondimento, invece, sui tassi di cambio: un tema che era stato sollevato, in apertura dei lavori, dal presidente cinese Hu Jintao che, senza far alcun riferimento allo yuan, aveva chiesto una maggiore "responsabilità dei paesi ricchi a mantenere stabili i tassi di cambio".

 

Fonte - ANSA

 

 

 




Sarà apocalisse, ve lo dico per farvi un favore

6 Ottobre 2005 4:23 New York

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Bill Gross, autoproclamatosi Re dei Bond (nel senso di obbligazioni - nulla a che fare con 007) ufficialmente managing director di Pimco, societa' statunitense che gestisce $500 miliardi di assets in titoli a reddito fisso, non e' nuovo a provocazioni e previsioni apocalittiche sull'andamento dei mercati finanziari. Per fortuna, nonostante il pulpito da cui echeggiano le sue prediche, a Wall Street sia considerato autorevole (come del resto la montagna infinita di denaro che Pimco gestisce lascerebbe presupporre) per fortuna - dicevamo - Gross non ci azzecca nemmeno tanto coi suoi outlook; due anni fa per esempio azzardo' uno scenario secondo cui l'indice Dow Jones Industrials sarebbe dovuto scendere a quota 5.000, mentre ancor oggi e' a piu' del doppio rispetto a quel previsto bottom.

Come valutare, allora, l'ultima proclamazione ("alla Cassandra") lanciata in pasto alle masse di investitori in tutto il mondo dall'Oracolo dei T-Bond? Noi ve la raccontiamo. Poi decidete voi.
Nell'ultima lettera agli azionisti, Gross si e' occupato di mercato immobiliare (americano) scrivendo che si raffreddera', i prezzi delle case scenderanno o, nel migliore dei casi, non cresceranno piu'; inoltre gli enti e le agenzie di controllo Usa saranno costretti a stringere le griglie dei requisiti per il rilascio dei mutui; infine gli speculatori (quelli che comprano e rivendono e non abitano mai) fuggiranno da questo mercato/bolla. "Cio' incidera' negativamente sulla spesa dei consumatori e, in ultima istanza, sull'economia in generale" e' la grama previsione.
Sul finale, esprimendosi con l'assenza d'incertezza tipica dei vati indiscussi, Gross ha sentenziato: "Lasciatemi dire, categoricamente, che la sequenza enunciata qui sopra non si puo' nemmeno lontamente mettere in questione, e' quasi del tutto inevitabile, al 99% non e' aggirabile. Spero solo di non apparire scortese con coloro, tra voi, che la pensano altrimenti: ricordate che sto solo cercando di farvi un favore!

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

 

Domenica  16  ottobre  2005   Martedì  18  ottobre  2005   Sabato  29  ottobre  2005
   
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ANSA  +++  Bush nomina Bernanke alla guida della FED  +++  Greenspan lascerà a Gennaio dopo 19 anni di presidenza  +++  ANSA

 

 

Bernanke alla guida della Fed

Domenica 24 ottobre 2005 19:01 Milano

Al timone della Federal Reserve andrà Ben Bernanke, ex governatore della Fed e attuale capo del consiglio economico della Casa Bianca. L’annuncio è stato dato dallo presidente degli Stati Uniti George W. Bush in una conferenza stampa: dopo un susseguirsi di indiscrezioni e anticipazioni durate l’intera giornata, solo in tarda serata italiana (le 13 a Washington) si è avuto il nome del prossimo numero uno della Fed.
Bernanke vince così la corsa con gli altri conditati, tra cui Glenn Hubbard dell’Università della Columbia, anch’esso ex consigliere di Bush, e l’economista Martin Feldstein dell’Università di Harvard. La scelta di Bush dovrà essere comunque confermata dal Senato, secondo la stessa prassi per la nomina dei giudici della Corte Suprema.

Dopo 18 anni il numero uno della Fed Alan Greenspan lascerà quindi la poltrona alla scadenza del suo mandato, prevista per il prossimo 31 gennaio 2006. E gli effetti sui mercati già si sentono, con Wall Street che ha accelerato la corsa. La nomina infatti, secondo gli analisti, si rivelerà positiva per i listini azionari rimuovendo il velo d'incertezza che aleggiava sulle borse in merito alla questione: la scelta di Bernanke piace infatti ai mercati finanziari perché assicura continuità rispetto agli ultimi 18 anni. Bernanke inoltre è un convinto assertore della necessità di individuare un chiaro target di inflazione, un'idea che piace molto a Wall Street perché permette di pianificare meglio le proprie decisioni di investimento.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

FED: Bernanke sarà il quattordicesimo presedente

Domenica 24 Ottobre 2005 19:04 Roma

Ben Bernanke sarà il quattordicesimo presidente della Fed. Il primo, eletto il 10 agosto del 1914, è stato Charles S. Hamlin. Il presidente uscente, Alan Greenspan, é stato oltre 18 anni alla guida della Fed, secondo solo a William McChesney Martin Jr, che è rimasto in carica pochi mesi più di lui. Ecco di seguito la lista, in ordine cronologico, dei tredici predecessori di Bernanke alla guida della Federal Reserve.

NOMI PRESIDENTI DATA INIZIO PRESIDENZA 1. Charles S. Hamlin 10 agosto 1914 2. W. P. G. Harding 10 agosto 1916 3. Daniel R. Crissinger 1 maggio 1923 4. Roy A. Young 4 ottobre 1927 5. Eugene Meyer 16 settembre 1930 6. Eugene R. Black 19 maggio 1933 7. Marriner S. Eccles 15 novembre 1934 8. Thomas B. McCabe 15 aprile 1948 9. William McChesney 2 aprile 1951 10. Arthur F. Burns 1 febbraio 1970 11. G. William Miller 8 marzo 1978 12. Paul A. Volcker 6 agosto 1979 13. Alan Greenspan 11 agosto 1987. (ANSA).

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

 

 


Bye bye Mr. Greenspan

25 ottobre 2005 8,34 Milano

George W. Bush ha deciso. A sedere sulla poltrona di Governatore della banca centrale americana, per quasi 19 anni occupata da Alan Greenspan, sarà Ben Bernanke, attuale consigliere economico della Casa Bianca già membro del direttivo della FED.
Bernanke 51 anni, economista di fama e laureato a Harvard, avrà il difficile compito di sostituire l’uomo che dall’agosto 1987 governa, di fatto, l’economia mondiale, gestendo la politica monetaria della Federal Reserve.

Il cambio della guardia avverrà alla fine del prossimo gennaio chiudendo il “regno” di Alan Greenspan, un periodo che ha visto succedersi alla Casa Bianca 4 presidenti (Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio) che, prescindendo dal loro colore politico hanno deciso di avvalersi durante il loro mandato della preziosa collaborazione di Greenspan.

Fu proprio Reagan a volerlo a capo della banca centrale nel lontano 1987, pochi mesi primi del crollo del 19 ottobre di quello stesso anno, quando il Dow Jones subì il maggior calo in termini numerici della sua storia con un crollo di 508 punti, pari al 25% in una sola seduta.
Questo battesimo del fuoco, forgiò probabilmente il carattere di Greenspan, che nel corso del suo mandato si trovò ad affrontare numerose crisi economiche e geopolitiche, gestite sempre con l’obiettivo di evitare il temuto crash finanziario, che avrebbe potuto mandare gambe all’aria l’economia USA e di conseguenza quella mondiale.

Dal crollo del 1987 alla doppia guerra irakena, dallo scoppio della bolla speculativa del 2000 agli attacchi del 11 settembre 2001, l’azione di Greenspan per salvaguardare l’economia statunitense è stata sempre imperniata su due linee guida, fornire la liquidità necessaria alle borse e limitare l’azione della speculazione mediante un’opera costante di moral suasion e di controlli sempre più stringenti.

Come dicevamo, il battesimo del fuoco di Greenspan avvenne con il crollo di fine 87, quando delle forti vendite divennero valanga, a causa dei programmi computerizzati che inondarono il listino, travolgendo il Dow Jones ed ai quali, da allora, vennero imposte severe regolamentazioni, come ad esempio il blocco automatico dei program trading quando il listino scende o sale oltre delle definite percentuali.

Ma il vero capolavoro del numero uno della FED fu la gestione degli attentati di Al Quaeda del 11 settembre 2001, quando i terroristi islamici attaccando gli Stati Uniti, tentarono di mettere in ginocchio l’intera economia occidentale.
Se questo non avvenne, fu soprattutto grazie all’azione di Greenspan, che alla riapertura di Wall Street ad una settimana dagli attentati, con il floor (così è chiamato il parterre dove operano i broker) dove erano ancora visibili i segni del crollo delle torri gemelle, “consigliò caldamente” gli hedge funds di limitare la loro azione iniettando al contempo liquidità sui listini ed impedendo in questo modo il crollo epocale che molti si aspettavano.

Va detto, infatti, che l’attacco agli USA seguì di poco più di 1 anno e mezzo lo scoppio della bolla finanziaria, che all’inizio del 2000 sconvolse i listini mondiali, travolti dalla fuga degli investitori dai titoli della cosiddetta New Economy, fuga provocata dallo stesso Greenspan con la famosa frase “sull’esuberanza irrazionale” dei mercati azionari.

La critica più recente al Governatore, è legata proprio alla gestione della bolla sui titoli Internet per uscire dalla quale, secondo questi critici, Greenspan ha favorito lo svilupparsi di un’altra bolla speculativa, questa volta sul mercato immobiliare, la cui gestione sarà il battesimo del fuoco per il nuovo numero uno della FED al suo insediamento.

Per concludere, i 19 anni dell’era Greenspan hanno avuto molte luci e qualche, anche se importante, ombra, anche se forse il giudizio più credibile è quello che ci viene dato dal Dow Jones, passato dai 2722 punti del 11 agosto 1987, giorno di arrivo di Greenspan alla FED, ai 10385 punti della chiusura di ieri, con un progresso del 281%, una crescita che spiega i motivi della leggenda metropolitana mai confermata secondo cui all’interno di un’importante banca d’affari di Wall Street ci sarebbe un altare votivo dedicato a “super Alan”.

 

 

 

  Giovedì  13  ottobre  2005   Martedì  25  ottobre  2005  
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Dopo il maestro
 
25 Ottobre 2005 8:29 New York (di Massimo Gaggi)

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«Cosa fare se Greenspan muore all’improvviso? Dovremmo impagliarlo, mettergli un paio di occhiali neri e tenerlo dritto dietro la sua scrivania il più a lungo possibile». La vecchia battuta del senatore John McCain è affiorata spesso nelle discussioni sul cambio della guardia alla Federal Reserve. Sostituire un leader carismatico che ha ottenuto grandi risultati è sempre difficilissimo.

A Ben Bernanke, scelto ieri dal presidente Bush per rimpiazzare Greenspan alla fine di un regno durato quasi 19 anni, viene proposta un’impresa addirittura proibitiva: sostituire un insostituibile. Greenspan è l’icona vivente del capitalismo globalizzato, il personaggio che è riuscito a pilotare l’economia americana e - in buona misura - quella mondiale, attraverso tempeste finanziarie (la prima esplosa nel 1987, appena insediato), crisi energetiche, attacchi terroristici, una trasformazione epocale dei sistemi economici e l’apertura dei mercati.
Non che tutte le ciambelle gli siano riuscite col buco: l’uomo che ha assicurato agli Stati Uniti il più lungo periodo di crescita del ventesimo secolo (con solo due brevi recessioni) e bassa inflazione, da qualche tempo ha perduto il tocco magico. L’economia continua a crescere, ma ora si moltiplicano anche i fattori di instabilità: «bolla» immobiliare, bassissimo livello di risparmio con le famiglie americane molto indebitate, impennata dell’inflazione. E lo stesso Greenspan ha confessato qualche settimana fa al ministro delle Finanze francese, Breton, di temere che i conti pubblici degli Usa stiano finendo fuori controllo.
Ma, benché recentemente criticato anche da chi lo chiamava «Maestro», Greenspan è sempre rimasto un faro insostituibile, proprio per la sua presenza rassicurante e la capacità di gestire le crisi - come la «bolla» finanziaria della «new economy» alla fine degli anni Novanta - con molto pragmatismo, evitando strette recessive.
Anche se non è un suo «fedelissimo» e se è considerato meno flessibile di Greenspan sull’inflazione, Bernanke è - tra i personaggi nella «rosa» di Bush - quello che più garantisce stabilità e una successione nella continuità. Forse i mercati avrebbero preferito un Robert Rubin repubblicano, un esperto di finanza come il ministro del Tesoro di Clinton. Ma i repubblicani non hanno una figura simile. Bush ha così scelto un vero banchiere centrale, repubblicano ma abituato all’indipendenza di giudizio; un liberale favorevole al taglio delle tasse senza essere per questo un «fondamentalista» del mercato.
Raccoglierà un’eredità difficile in un mondo che affronta realtà economiche sempre più complesse. Basti pensare che a gennaio, proprio mentre Bernanke si insedierà alla Fed, comincerà ad andare in pensione la generazione del «baby boom» del Dopoguerra.

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

FED: BERNANKE, DOPO GREENSPAN UN MODERATO DI PRINCETON/ANSA
NOMINA NEL SEGNO DELLA CONTINUITA', MA TARGET SARA' INFLAZIONE

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24 Ottobre 2005 19:57 Roma (ANSA)

Harvard, il prestigioso Mit e infine l'insegnamento a Princeton, prima di approdare al board della Federal Reserve e poi presiedere il pool di economisti della Casa Bianca. E' d'impronta decisamente accademica la carriera di Ben S. Bernanke, il nuovo presidente della Federal Reserve chiamato al difficile compito di sostituire Alan Greenspan, l'uomo che ha tenuto la barra della politica monetaria statunitense da quasi vent'anni.

E chi lo conosce vede proprio nel suo essere un accademico 'puro' la principale discontinuità con i suoi predecessori, più a loro agio a Wall Street che fra i libri. Originario della Georgia, dove è nato nel dicembre del 1953, Bernanke si è laureato in economia ad Harvard nel 1975, per poi conseguire un Ph.D nel 1979 al Massachusetts Institute of Technology. Da Boston Bernanke, oggi sposato e padre di due figli, si è poi trasferito a Princeton, nel New Jersey, dove nel 1985 ha iniziato una carriera universitaria culminata nella presidenza del dipartimento economico del prestigioso ateneo. Esperto di economia monetaria fra i più riconosciuti a livello internazionale, Bernanke è anche un grande appassionato di storia economica e in particolare della Grande Depressione. Una nomina nel segno della continuità, la sua, che dovrebbe essere apprezzata dai mercati, preoccupati per la successione del Grande Timoniere della politica monetaria americana degli ultimi vent'anni.

Come membro del Federal Open Market Committee, Bernanke ha votato le decisioni sui tassi d'interesse mantenendosi sempre in linea con la maggioranza. Ma da Greenspan si distinguerà - dice chi lo ha conosciuto - per una policy attenta più al conseguimento di obiettivi inflazionistici ('inflation targeting')che alla stabilità economica complessiva. Una tendenza emersa anche durante i suoi quasi tre anni passati al board dei governatori della Fed, dove è approdato nel 2002, che farà piacere ai mercati per la chiarezza strategica, ma che potrebbe comportare un maggior rigore rispetto a Greenspan quando l'economia attraverserà fasi espansive, specie se sulla scia di bolle speculative.

Risale allo scorso giugno la nomina 'politica', da parte di George W. Bush, a presidente del Council of Economic Advisers, l'organismo di analisti e consulenti economici della Casa Bianca. Le cronache finanziarie lo definiscono repubblicano sì, ma molto moderato, sicuramente gradito anche ai Democratici, di ottime credenziali, diretto ma gentile nei modi, e di carattere leggermente introverso. Secondo alcuni giornali, i primi segnali di un suo interesse per la presidenza della Fed risalgono al febbraio 2000, quando firmò con altri due economisti un commento sul Wall Street Journal dal titolo 'Che succedera' quando Greenspan se ne sarà andato?

 

Fonte - ANSA