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GR1
RAI - 17 OTT 22:07 MP3
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Borsa
USA:
due mesi di orso e poi via al mini-rally
7 Ottobre 2005 16:25 Milano (di
*Alessandro Fugnoli)
________________________________________
*Alessandro
Fugnoli e' lo strategist di AbaxBank.
Il
problema dei mercati, in questa fase, è l’iperstimolazione. Arrivano dati
macro di agosto molto buoni, mescolati con dati di settembre post-uragani
prevalentemente brutti, con molta inflazione e pochi consumi. Per cercare di
capire il futuro si scruta poi il petrolio, ma anche qui lo strabismo è
massimo.
Il
mercato del petrolio vive infatti in una situazione di notevole
schizofrenia. I danni irreversibili degli uragani sono stati minimi
(il che indurrebbe a vendere greggio e comprare azioni) ma quelli temporanei
sono stati notevoli, il doppio di quelli che l’anno scorso a quest’epoca
causarono una discesa del 5 per cento dell’SP 500 (il che indurrebbe a
comprare greggio e vendere azioni). Gli effetti dei danni si protrarranno
fino a gennaio e si comporranno con una discesa veloce delle scorte, che
rende il quadro molto vulnerabile. A bilanciare questo, tuttavia, ci sono
due fattori positivi potenti (almeno per il momento).
Il primo fattore positivo è la
volontà del governo americano di usare le riserve strategiche anche in modo
aggressivo. L’amministrazione Bush si è trovata in grosse
difficoltà dopo Katrina. Prima ha trascurato la questione, poi ha reagito
scompostamente cercando di tamponare la falla con un piano di aiuti
gigantesco. Il segno più evidente dell’affanno è stata la nomina di
Harriet Meirs alla Corte Suprema. Pur di evitare uno scontro con i
democratici, l’amministrazione ha scelto una candidatura di basso profilo,
rinunciando al sogno coltivato da vent’anni di cambiare radicalmente il
segno politico della corte per il prossimo decennio e oltre. Lo stesso
affanno lo si è visto con il petrolio e con la decisione di usare tutte le
riserve necessarie a stabilizzarne il prezzo.
Il secondo fattore positivo è che,
dopo più di due anni di rialzi del petrolio, la domanda di greggio e di
derivati sta finalmente mostrando segni di elasticità. Nelle ultime
quattro settimane è calata, negli Stati Uniti, del 3 per cento rispetto a
un anno fa. E’ un dato molto significativo I due fattori positivi citati
vanno certamente presi con qualche cautela.
L’amministrazione
Bush sta riprendendosi nei sondaggi. Superata la fase di panico, la
disponibilità ad utilizzare le riserve potrebbe ridursi. Usarle
troppo aggressivamente, inoltre, provocherebbe una riduzione eccessiva e
artificiosa dei prezzi, tale da compromettere il calo della domanda che si
è verificato spontaneamente. Questo calo, oltretutto, si è verificato in
un contesto di enorme rilievo mediatico dato nelle settimane scorse agli
uragani e alla benzina. Molti si sono spaventati e hanno preso sul serio gli
allarmi e gli appelli a ridurre i consumi. Se però il prezzo scende troppo,
si tornerà in qualche misura alle vecchie abitudini.
Mettendo insieme tutto quello che
abbiamo detto, il quadro del petrolio, di qui a primavera, non appare troppo
inquietante. Anche nell’ipotesi che occorrano tre mesi per fare
tornare la produzione del Golfo del Messico alla normalità, gli interventi
verbali e un uso sapiente delle riserve possono mantenere il greggio molto
vicino ai 60 dollari, con rialzi limitati e temporanei nel caso faccia
particolarmente freddo. Un prezzo tra 60 e 65 può tranquillizzare i
consumatori e al tempo stesso indurli a rendere irreversibile almeno una
parte dei risparmi energetici di queste ultime settimane. Alla fine ce la
caveremo anche questa volta, con l’avvertenza che forse è l’ultima.
Che
ce la caveremo è anche la scommessa della Fed, più preoccupata per
l’inflazione che per la crescita. I rialzi dei tassi continueranno. Non
bisogna però nemmeno sopravvalutare i toni particolarmente aggressivi che
la Fed sta usando in questi giorni. Dopo gli uragani si è creato un
notevole disordine nel sistema dei prezzi e nel disordine le aziende provano
a ritoccare i listini. La Fed vuole evitare che questi esperimenti abbiano
successo e deve intervenire energicamente, se occorre anche deprimendo
temporaneamente i mercati obbligazionari e azionari.
La nostra scommessa è che la Fed
avrà successo anche questa volta. Potremmo dunque avere un ottobre e un
novembre non particolarmente gradevoli per i mercati, ma a dicembre tutto
potrebbe cominciare ad apparire sotto una luce migliore.
In rapida sequenza vedremo infatti, fra qualche settimana, la ripresa
graduale della produzione nel Golfo del Messico, il placarsi delle pressioni
inflazionistiche, una riaccelerazione dei consumi, il distendersi dei toni
della Fed e un rally di fine anno delle borse. Più si scende adesso, più
si risalirà più avanti. Il copione, a ben vedere, è lo stesso del luglio
e dell’ottobre 2004 e del marzo aprile di quest’anno. La differenza è
che il ciclo di espansione è più vecchio (e comincia a mostrare l’età
con la decelerazione della produttività) , i tassi sono più alti e la
bolla della casa volge al termine. Il rialzo di borsa di fine anno sarà
dunque, questa volta, in tono minore.

Fonte
- Il Rosso e il Nero, Settimanale di Strategia di AbaxBank per Wall
Street Italia
Borsa:
Ny Scivola Con Nuovo Allarme Inflazione, Bene Ge/Ansa
Giovedì
6 Ottobre 2005, 23:50
Il
petrolio frena e la borsa americana si muove prima tra cauti rialzi,
sulla scia del miglioramento degli utili attesi da General Electric
(NYSE: GE - notizie) e dei segnali di tenuta dei consumi dopo gli
uragani Katrina e Rita, ma poi inverte la rotta nel finale con il
nuovo allarme inflazione lanciato da un esponente di spicco della
Federal Reserve, Richard Fisher, numero uno della Fed di Dallas.
Gli indici chiudono in calo: il Dow Jones (notizie) frena dello
0,29%, a 10.287,10 punti, mentre il Nasdaq (NASDAQ: notizie) perde
lo 0,90% (a quota 2.084,08) e lo Standard & Poor's 500 lo 0,41%
a 1.191,49 punti.
Dopo un avvio incerto, i listini rifiatano con il petrolio in
frenata fin sotto la soglia dei 61 dollari al barile e i risultati
di vendita di colossi della grande distribuzione Wal- Mart e Costco
che a settembre sembrano aver incassato meglio del previsto
l'impatto dei due uragani.
E' invece sul fronte occupazionale che gli effetti di Katrina e Rita
si stanno rivelando più pesanti del previsto. Le richieste
settimanali di sussidio disoccupazione sono inaspettatamente
aumentate di 21.000 unità, a quota 390.000 e dovrebbero crescere
ancora nelle prossime settimane le domande correlate in particolare
a Rita. Il primo test sui contraccolpi dei due uragani sul mercato
del lavoro Usa è in programma domani e gli economisti mettono in
conto un calo dei nuovi posti di lavoro (-150.000) per la prima
volta da maggio 2003 e un tasso di disoccupazione in rialzo al 5,1%.
Quanto alle tensioni sui prezzi, Fischer ha messo in guardia dal
rischio inflazione che può "avvelenare l'economia",
aggiungendo che le attualmente le pressioni sono sulla parte
"alta della fascia massima di tolleranza", al meno secondo
i parametri della Fed.
Fonte
- ANSA
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Wall
Street: il Nasdaq scivola ai minimi di cinque mesi
Mercoledì
12 Ottobre 2005 22:11
Un’altra
giornata pesante per i listini americani che archiviano la seduta in
netto calo, spinti al ribasso dal rincaro del greggio, dalle
deludenti notizie societarie e dalla crescente convinzione che i
tassi d’interesse continueranno a salire. Il Dow Jones ha ceduto
lo 0.35% a 10.216, l’S&P500 lo 0.61% a 1.177, il Nasdaq,
infine, e’ arretrato dell'1.15% a 2.037. Sull’indice
tecnologico, scivolato ai minimi di cinque mesi, hanno gravato
particolarmente i cattivi aggiornamenti trimestrali di alcune
societa’, come Apple e Advanced Micro, e i commenti negativi
espressi su Intel.
I mercati azionari sono in calo dall’inizio del mese. Gli analisti
si chiedono se tale movimento rappresenti una fase di correzione,
oppure indichi l'inizio di un vero e prorio trend ribassista. Gli
indici stanno scontando l’assenza di un catalizzatore
significativo che possa determinare una ripresa dagli attuali
livelli.
Al momento la situazione non e' proprio favorevole. I prezzi
energetici continuano ad avanzare e il petrolio rimane ben saldo
sopra i $60 al barile; la Federal Reserve sembra intenzionata a
continuare la propria politica monetaria accomodante per contenere
le pressioni inflazionistiche; la situazione sugli utili societari
resta molto incerta come conseguenza del non ben definito impatto
che gli ultimi uragani hanno avuto sui risultati delle aziende:
tutti questi fattori non giovano di certo all’azionario, ne’ sul
sentiment degli investitori che preferiscono rimanere nell’attesa
di segnali incoraggianti.
Fonte
- ANSA
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Borsa:
Ny Cede, Timori Inflazione Dopo Prezzi Produzione
Mercoledì
19 Ottobre 2005
Il
rischio inflazione tiene sotto pressione Wall Street in una giornata
segnata dalla risposta del mercato ai dati trimestrali e dalla
flessione delle quotazioni del greggio.
Gli indici cedono terreno nonostante il petrolio sia tornato sotto
la soglia dei 64 dollari al barile (-1,8% a quota 63,20) e i
brillanti risultati riportati da Ibm (NYSE: IBM - notizie) , Merrill
Lynch (NYSE: MER - notizie) e Johnson & Johnson. L'attesa è poi
per i conti dei titoli tecnologici di primo piano (Yahoo (NASDAQ:
YHOO - notizie) !, Intel (NASDAQ: INTC - notizie) e Motorola (NYSE:
MOT - notizie) ) resi noti a Borsa chiusa.
I segnali di surriscaldamento dell'inflazione, che fanno temere la
contrazione dei profitti aziendali e ulteriori rialzi dei tassi
d'interesse da parte della Federal Reserve, trovano conferma
nell'indice dei prezzi alla produzione. A settembre, infatti, si
registra il maggior rialzo degli ultimi 15 anni, pari all'1,9%. Al
netto delle componenti cibo e petrolio, il cosiddetto 'core index'
si attesta a +0,3%. In entrambi i casi, sono superate le stime degli
economisti rafforzando l'idea di nuovi aumenti del costo del denaro
da parte della Fed.
Proprio oggi il numero uno della Fed, Alan Greenspan, ha ricordato
il rischio del caro-petrolio sulla crescita e sulla dinamica dei
prezzi, lasciando intendere che non sarà modificato il ciclo
rialzista dei tassi avviato nel giugno 2004.
Fonte
- ANSA
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Mercati:
come prepararsi al rally di fine anno
La recente debolezza dei mercati azionari potrebbe
offrire una buona occasione per puntare sul tradizionale rialzo finale. E’
quanto sostiene Jim Jubak, Markets Editor di MSN Money. Eventuali selloff
dovuti ai timori di inflazione...
16 Ottobre 2005 10:40 New York (di Jim
Jubak)
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La recente debolezza dei mercati
azionari potrebbe offrire una buona occasione per puntare sul tradizionale
rally di fine anno. E’ quanto sostiene Jim Jubak, Markets Editor di
MSN Money.
Per il resto del 2005, a suo giudizio, il mercato azionario sara’ un campo
di battaglia fra le speranze di un calo dei prezzi enegetici e i timori di
un aumento dei tassi d’interesse. Se si dovesse assistere ad un calo del
petrolio, i titoli societari, almeno per quanto riguarda determinati
settori, dovrebbero balzare al rialzo.
Cio’ pero’ non succedera’
finche’ i mercati continueranno a peoccuparsi per quello che Alan
Greenspan & Company faranno e diranno a proposito dei tassi
d’interesse il prossimo 1 novembre. Se la Fed mostrera’ segnali di
preoccupazione sull’inflazione, e in risposta alzera’ i tassi
d’interesse, la reazione del mercato sara’ probabilmente quella di forti
vendite, con i principali indici Usa in ribasso del 5-10%.
Il tipo di selloff che si verra’ a creare offrira’ un’ottima occasione
di ingresso, in anticipazione di un classico rally di fine anno.
Il prezzo del greggio
sembra che abbia raggiunto un massimo temporaneo. Quando il
prezzo e’ sceso a $63 al barile la scorsa settimana, si e’ rotto il
trend rialzista di breve termine. Adesso che e’ sceso sotto il supporto
tecnico di $63 (lo scorso lunedi’ il contratto future con scadenza
dicembre trattava sotto i $61), il
petrolio potrebbe calare ulteriormente, fino a $55 al barile.
Le quotazioni sui futures stanno
scontando previsioni di crescita piu’ contenute. A meta’ giugno,
il future con consegna settembre valeva $58.20 al barile. A quel tempo il
mercato si aspettava una crescita continua e rapida dei prezzi. Il future
con scadenza dicembre quotava $60.02 al barile, quasi $2 in piu’.
La differenza nelle ultime settimane si e’ ristretta a 74 centesimi.
Alcuni analisti sostengono che i prezzi energetici continueranno a salire,
ma molto piu’ lentamente rispetto a prima.
A $55 al barile il petrolio appare a
buon mercato rispetto al recente livello di $70. L’incremento
dall’inizio del 2005 sarebbe del 27%, molto meno rispetto al +52% che
segnava all’inizio di settembre. E sarebbe ancora meglio se entro dicembre
scendesse ad un livello tale da segnare un rialzo annuo del 16%, livello
suggerito dai mercati futures.
Tra un po’ di tempo, i consumatori cambieranno abitudini, investiranno in
tecnologie che permetteranno di risparmiare sui consumi e lavoreranno di
piu’; oppure si immergeranno nei debiti. Allo stesso modo, le aziende
taglieranno i costi e miglioreranno l’efficienza operativa; oppure si
immergeranno nei debiti anch’esse.
In tal senso, gli alti costi energetici verrano compensati dalla crescita
dei margini di profitto e degli utili, destinati ad aumentare ad un tasso a
doppia cifra. L’economia, gia’ potenziata dalla crescita dei consumi,
continuera’ ad espandersi.
Le previsioni degli analisti,
tuttavia, sono per una riduzione della crescita degli utili societari nel
terzo trimestre, proprio a causa del veloce aumento dei costi energetici.
Per capire meglio come il petrolio abbia ridimensionato le aspettative a
Wall Street, bisogna dividere l’azionario in due categorie: titoli
energetici e titoli non energetici.
Fino a questo momento il 2005 e’ stato un anno particolarmente proficuo
per le societa’ energetiche. I titoli del comparto che fanno parte dello
Standard & Poor’s 500 sono cresciuti del 30% nei primi 3 trimestri.
E’ un risultato ragguardevole rispetto al resto del mercato: l’S&P
500 ha infatti perso l’1,7%, e oltre il 4% se si escludono i titoli
energetici (10% dell’indice).
Lo stesso dicasi per gli utili. A prima vista gli analisti si aspettano un
altro trimestre molto positivo, con risultati che potrebbero balzare del
16.5% all’interno dell’S&P500, dal +11.7% del trimestre precedente.
Ma se gli utili cresceranno in modo cosi’ considerevole nel terzo
trimestre, come mai i mercati azionari non sono avanzati? Secondo le stime
di Thomson Financial, le societa’ energetiche all’interno dell’
S&P 500 potrebbero registrare una crescita degli utili del 71% nel
trimestre conclusosi a settembre. Ma gli utili delle societa’ non
energetiche dovrebbero cresce solo del 10%, il che rappresenterebbe un
risultato addirittura inferiore a quello del secondo trimestre.
Il quadro per il quarto trimestre
non e’ molto migliore, soprattutto se si pensa che storicamente
rappresenta il periodo migliore, data la preferenza dei consumatori nel
concentrare la maggior parte degli acquisti nell’ultimo periodo
dell’anno.
Le previsioni di Wall Street sull’S&P 500 segnalano una crescita degli
utili per il quarto trimestre pari al 16,5% che si abbassa al 12,3% se si
prendono in considerazione solo i risultati delle aziende non attive nel
comparto energetico. Molto peggio, quindi, rispetto alla crescita del 19.7%
del quarto trimestre 2004.
Cio’ che occorre tenere presente,
pero’, e’ che piu’ basse sono le attese del mercato piu’ facile
sara’ per le aziende battere le previsioni. E niente spinge i titoli
azionari al rialzo piu’ velocemente di una serie di sorprese positive
sugli utili.
Gli investitori guarderanno
attentamente ai risultati del terzo trimestre per vedere se le societa’
esprimeranno ottimismo sul quarto. Qualche revisione al rialzo delle
stime da parte di alcune aziende potrebbe divenire un fatto contagioso e
trasfomare il recente pessimismo dei mercati in una nuova speranza. Di
qui la possibilita’ di un rally di fine anno, periodo stagionalmente forte
per le borse.
TASSI
D’INTERESSE
Alcuni esponenti della Fed di
recente hanno espresso commenti aggrerssivi sull’inflazione,
lasciando intendere che i tassi continueranno a salire. Il mercato sconta
rialzi dello 0.25% in ciascuno degli incontri del Fomc in calendario a
novembre e dicembre. Le incetezze riguardano il linguaggio che usera’ la
Fed nel documento ufficiale sui tassi.
Per mesi la Banca Centrale Usa ha confermato che “le attese di inflazione
di lungo terime restano contenute”. Qualunque cambiamento di questa
espressione, che dovesse suggerire una maggiore preoccupazione
sull’inflazione, o un cambiamento del termine “misurato”, con cui la
Fed indica il modo in cui intende procedere sulla via delle street
creditizie, indurrebbero gli investitori a vendere. Si tratterebbe di una
buona occasione per puntare a un rally di fine anno.
DOVE
PUNTARE
Ma cosa avrebbe senso acquistare, in
un simile scenario? Non i titoli energetici. Nonostante questo settore
rimanga ben impostato nel lungo periodo, un eventuale rally di fine anno
potrebbe avvenire solo su un calo del petrolio. Non i titoli
finanziari, perche’ i tassi d’interesse, anche se lentamente, stanno
salendo. E neanche il settore retail, perche’ la stagione festiva dovrebbe
essere piuttoto debole.
La migliore scommessa e’ quella di
puntare sui titoli hi-tech. Il settore tecnologico non e’
“energy-intensive” e non e’ particolarmente sensibile ai tassi
d’interesse. E nel quarto trimestre le vendite del comparto
dovrebbero rivelarsi robuste.

Fonte
- Thestreet.com per Wall Street Italia
A Wall Street aumenta il rischio default per GM
14 Ottobre 2005 13:46 New York (di Morya
Longo)
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Una nuvola oscura il mondo
societario americano. Dopo l'insolvenza di Delphi, ora l'incubo si
rivolge direttamente su General Motors. Alcuni analisti
ritengono infatti che anche il colosso di Detroit possa chiedere
presto o tardi l'ammissione al cosiddetto "Chapter 11",
cioè l'amministrazione controllata americana. Il che
significherebbe default.
E
mentre il mercato sconta con maggiore probabilità un'insolvenza
della casa automobilistica (il credit default swap è volato sopra
i mille punti base), un altro incubo ha iniziato a turbare i sonni
degli investitori: Refco.
La casa di brokeraggio Usa, che ha visto il titolo in Borsa
crollare del 60% in una settimana fino alla sospensione di ieri,
ha infatti comunicato di non avere più liquidità per mantenere
operativa la controllata Refco Capital Markets. Così Standard
& Poor's le ha declassato il rating da "B+" a
"B-". Oscurando ancora di più il cielo dell'industria
Usa.
Il
caso di General Motors è però quello che suscita le maggiori
preoccupazioni, anche perché il colosso di Detroit - secondo i
dati Bloomberg - ha sul mercato obbligazioni per la cifra monstre
di 104,7 miliardi di dollari. Se finisse in default,
dunque, il terremoto sarebbe di vaste proporzioni. E il mercato
inizia seriamente a temerlo. Lo dimostra il fatto che i credit
default swap di Gm (quei particolari contratti derivati che
funzionano come "polizze" assicurative contro il rischio
di default) hanno superato i mille punti base: questo significa
che per coprire dal rischio insolvenza un'esposizione verso
General Motors per 10 milioni di dollari, bisogna pagare un
milione. Ma la tensione si
sente anche sul mercato obbligazionario, dove i rendimenti delle
obbligazioni di Gm a breve scadenza hanno superato quelli dei
titoli a lungo termine: segno di allarme-default. Le azioni
in Borsa ieri sera sono però rimbalzate e hanno chiuso in
positivo (+1,69%).
Ma
a lanciare l'allarme su General Motors ci sono anche i report
delle banche d'affari. Dopo quello di Bank of America di qualche
giorno fa (in cui stimò un 30% di possibilità di default), ora
è arrivato uno studio di Société Générale che ipotizza una «bancarotta
strategica». «Sebbene il profilo finanziario di Gm è
migliore della sua ex-controllata Delphi - si legge - una
cosiddetta "bancarotta strategica" non può essere
esclusa». «Uno scenario possibile è che venga separato il
braccio finanziario Gmac per mantenere basso il suo costo del
debito - ipotizza Pierre Bergeron, analista di Sg Cib -. A quel
punto potrebbe chiedere il
"Chapter 11" solo la divisione automobilistica di Gm in
Nord America».
Se così fosse - ma si
tratta di una supposizione - il default riguarderebbe
"solo" 14,4 miliardi di dollari di bond (quelli emessi
direttamente da General Motors), lasciando indenni gli 87,6
miliardi di bond targati Gmac. Altre banche d'affari sono
però più ottimiste. È il caso di Lehman Brothers: la possibilità
che Gm chieda l'ammissione all'amministrazione controllata - si
legge su un report - «è remota, dato l'ammontare di liquidità
che ha in bilancio».
La
tensione è alta. Su General Motors e su Refco, ma anche su altri
gruppi. Da lunedì scattano infatti in America norme più
stringenti per l'amministrazione controllata, per cui
diversi analisti temono che entro quella data più di una società
possa cadere nella tentazione di seguire questa strada. Che
significa proteggersi dai creditori per andare avanti. Ma anche
default.

Fonte
- Il Sole 24 Ore
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Un
altro scandalo scuote Wall Street
19 Ottobre 2005 08:14 New York (di La
Repubblica)
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Gli scandali americani
fanno un´altra vittima a Wall Street. La Refco, leader
americano nella contrattazione di derivati, ha portato ieri i
libri in tribunale a soli due mesi dalla sua quotazione dopo la
scoperta che Philip Bennett – il fondatore del gruppo –
controllava una società che aveva ricevuto 430 milioni in
prestiti da Refco.
La
notizia ha provocato un crollo dei titoli che hanno bruciato in
poche ore oltre 1,5 miliardi di valore e una fuga di clienti. In
meno di una settimana dai conti della Refco sono stati ritirati
850 milioni – il 20% degli asset totali – tanto che per
tamponare l´emorragia e riportare un po´ di fiducia si è deciso
di cedere subito il controllo della divisione più importante del
gruppo (quella sui derivati) a una cordata di finanzieri guidata
da Cristopher Flowers per 700 milioni circa e di proteggere il
gruppo sotto l´ombrello del Chapter 11.
Flowers, con i libri in tribunale, rischia però di trovare
qualche concorrente disposto a rilanciare sulla sua proposta.
Ieri, ad esempio, Dubai investment, braccio finanziario dell´emirato
mediorientale, ha dato mandato a The Blackstone group per valutare
l´ipotesi di un´offerta alternativa. In base all´accordo
raggiunto con Flowers, comunque, l´attuale azionariato della
Refco dovrebbe comunque mantenere una partecipazione del 20% circa
nella società.
A
quattro anni dallo scoppio dei primi scandali americani, Wall
Street torna nell´occhio del ciclone. I risparmiatori che avevano
sottoscritto i titoli della matricola (balzata del 25% nel suo
primo giorno di quotazione) hanno già avviato una azione legale
contro Bennet dopo aver visto i loro titoli perdere in poche ore
il 75%.
Il caso Refco è un primo
banco di prova importante per Christopher Cox, l´uomo che George
W. Bush ha imposto come nuovo numero uno della Sec. Questa
nomina è stata interpretata da molti come un tentativo di
spostare il timone dell´agenzia verso un atteggiamento più
"filo-aziende" dopo la gestione molto rigida di William
Donaldson che aveva risposto ai vari casi da Enron in poi
introducendo norme e pene severissime per le frodi finanziarie.
Non a caso ieri, ad esempio, la Grant Thornton, revisore della
Refco, ha subito messo le mani avanti precisando di essere stata
anche lei ingannata da Bennett.
Per la fortuna di Cox però
in questa occasione le dimensioni dello scandalo sono
relativamente circoscritte e le responsabilità del crac, almeno a
prima vista, sembrano abbastanza evidenti: Bennett tra l´altro ha
ripagato dollaro per dollaro tutti i prestiti ricevuti da Refco
subito dopo lo scoppio del caso in un tentativo in zona Cesarini
di dimostrare la sua buona fede. Una decisione che però non gli
è bastata ad evitare l´arresto.

Fonte
- La Repubblica
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Refco,
una lezione
anche per Piazza Affari
21 Ottobre 2005 10:15 Milano (di
Alessandro Penati)
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Da star di Wall Street alla
bancarotta in due mesi: la vicenda di Refco non ci tocca da vicino, ma è
illuminante per capire perché Piazza Affari resta un mercato asfittico,
dove si calpestano i diritti degli investitori. Fondata nel 1969 per
intermediare futures a Chicago, Refco rimane controllata dalla famiglia dei
fondatori fino al 1998, quando al vertice arriva Phillip Bennet, che la
guida fino alla quotazione a Wall Street, lo scorso 11 agosto.
Primo
giorno di scambi: + 25%. I collocatori sono nomi prestigiosi: Goldman Sachs,
Credit Suisse e Bank of America. Bennet, col 34%, mantiene il controllo,
assieme a un fondo di private equity (38%).
Il titolo continua a salire. Venerdì 7 ottobre, Refco vale 3,7 miliardi di
dollari. Il lunedì seguente ne vale 2 di meno: un controllo interno rivela
un prestito a un fondo hedge, girato a una società di Bennet, che lui non
aveva dichiarato. Il consiglio di amministrazione lo rimuove. Il
prestito viene rimborsato (con gli interessi), ma importa poco: Bennet, ha
nascosto un´operazione con parti correlate; ha mentito al mercato, tradendo
il rapporto fiduciario che lega azionisti e amministratori (anche se, come
Bennet, sono azionisti di controllo). Venuta meno la fiducia, i clienti
Refco ritirano i soldi e il titolo crolla. Bennet è arrestato per false
comunicazioni sociali. Gli scambi in borsa vengono bloccati e si mettono all´asta
le attività: un fondo di private equity rileva subito l´attività sui
futures; e si chiede la protezione del giudice fallimentare per permettere
una cessione ordinata delle altre attività. Partono le azioni di
risarcimento contro i revisori, le banche collocatrici nel recente Ipo e,
pare, lo studio legale che ha stilato il contratto di prestito incriminato.
Lunedì 17: Refco non esiste più. Tutto per una bugia.
Questa vicenda ci insegna che la
severità delle pene, la rigida applicazione delle norme e le condanne
esemplari del dopo Enron non eliminano i comportamenti scorretti. La
legge non basta. Gli investitori devono essere determinati a far valere i
propri diritti, e avere risorse e strumenti per farlo. È stato il consiglio
di amministrazione, non la SEC o un giudice, a denunciare e rimuovere Bennet:
nonostante fosse l´azionista di controllo; e benché fosse contro l´interesse
dei consiglieri che, come azionisti, hanno perso tre quarti del loro
investimento. Se non l´avessero fatto, sarebbero diventati loro passibili
di azione giudiziaria, cause di risarcimento e danni di reputazione enormi.
Proprio come in Italia. Ve lo immaginate da noi un amministratore-azionista
di controllo rimosso dal consiglio per una questione di trasparenza?
Trasparenza
e fiducia sono beni comuni fondamentali da tutelare. Senza la conoscenza di
patti parasociali, clausole negoziali, accordi di voto, interessi collegati,
chi investe in Borsa gioca con le carte truccate.
Pensate a chi, in questi mesi, ha comprato Antonveneta, Bnl, Bpi, Fiat, Rcs,
o Gemina. Ma trasparenza e fiducia, da noi, non hanno quasi mai rilievo
penale; quindi, non contano. C´è un´azione di concerto? Si fa un´Opa
riparatrice, e finisce lì. Il prospetto non riporta una clausola
contrattuale, un accordo parasociale o è lacunoso? Se Consob se ne accorge,
lo si emenda.
Non si dichiara un´operazione con parti correlate? Basta integrare l´informativa;
sempre che Consob se ne accorga. Nonostante i casi clamorosi di Bipop e
Popolare Italiana, dove le operazioni con parti correlate erano la norma,
non si impone alle banche di rendere note le singole operazioni in essere
con azionisti rilevanti. Le sanzioni pecunarie inflitte da Consob sono
spesso irrisorie. E poi si ricorre al Tar. Le azioni di responsabilità sono
inesistenti; quelle di risarcimento costose e difficili, perché
necessariamente individuali.
Per esempio, chi paga per il prospetto farcito di bugie con cui Bpi ha
offerto a 8 euro nuove azioni che, per ora, ne valgono 6? Probabilmente
nessuno. Se fossimo in America, anche le banche che hanno stipulato le
operazioni di compravendita fittizie con Bpi, i consulenti che hanno
avallato i piani di Fiorani presso gli investitori, e i legali che hanno
stipulato i contratti necessari alla scalata occulta ad Antonveneta
probabilmente dovrebbero rispondere di eventuali danni. Senza il loro
appoggio consapevole (e ben remunerato) l´operazione non sarebbe stata
possibile.
Quanto alla reputazione, sembra sia un inutile orpello. Molti consiglieri di
Bpi rimangono al loro posto, nonostante abbiano avallato per anni le
scorribande di Fiorani. La condanna per insider trading non ha nuociuto a
Gnutti negli affari; nè quella per l´azione di concerto occulta nella
scalata a Fondiaria ha danneggiato l´immagine di Ligresti. E
intanto, si allunga l´impressionante scia (specie in rapporto al numero di
società quotate) dei dissesti poco trasparenti: Bpi, Cirio, Bipop, Parmalat,
Fin.Part, Finmatica, Giacomelli, Impregilo...

Fonte
- La Repubblica
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Nella
valigia
del promotore è toro scatenato
10 Ottobre 2005 10:05 Milano (di
Giuditta Marvelli)
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Il mondo finanziario che gira
intorno a Piazza Affari vede rosa. Molto più rosa di quanto non facciano i
«piccoli», che sono meno scoraggiati di qualche mese fa, ma non certo
euforici. Dall’aprile del 2005 e fino all’estate, la
speranza dei risparmiatori, che aveva viaggiato in parallelo al mercato, ha
subito una brusca decelerazione mentre gli indici di Borsa hanno continuato
la salita cominciata nel 2003. Solo adesso le diverse linee (quelle dei
principali indici azionari e quella dell’indice di fiducia dei «piccoli»)
mostrano di nuovo un tentativo di convergenza.
I
panel di gestori (29), promotori (20) e analisti (21) - che hanno risposto
alle stesse domande sulla fiducia nella Borsa italiana che gli
esperti di Gfk Cbi pongono ogni mese ai risparmiatori per costruire
l’indice Bsi Gamma CorrierEconomia - danno
invece l’idea di una fiducia degli operatori lontana dai massimi euforici
(100%), ma comunque sopra la media (37,5%). Che è poi il livello a cui si
trova oggi la speranza dei piccoli investitori (37,2%).
I più ottimisti in
assoluto sono i promotori finanziari che sperano al 65,6%, seguono i gestori
di fondi e patrimoni 54,9%. In terza posizione, con un 46%, si trovano
invece gli analisti finanziari. «Forse il maggior ottimismo
dei promotori riflette il ritorno di fiducia e di impegno azionario della
clientela più aggressiva e più sofisticata che si rivolge ai consulenti
con maggior frequenza», commenta Elio Conti Nibali , alla guida dell’Anasf,
l’associazione che raccoglie molti professionisti del settore.
Andando
a vedere più nei dettagli le varie anime dell’indice che compongono il
barometro generale della fiducia si trovano i promotori in pole position sul
destino delle azioni da qui a 12 mesi: l’84,2% è convinto che Piazza
Affari sarà più in alto di dove è ora. Mentre solo il 52,4% degli
analisti e il 55,2% dei gestori vota per l’ipotesi rialzo nel prossimo
anno. Anche sull’orizzonte dei tre mesi i promotori brillano per
ottimismo: il loro indice di incertezza (differenza tra ottimisti e
pessimisti) è pari a 55%, contro il 34% dei gestori e il 38% degli
analisti.
L’indice di rimbalzo più elevato,
invece, è quello dei money manager: l’81,8% dei gestori vede la Borsa
risalire il giorno dopo un crac. Analisti
e promotori ci credono meno. L’ottimismo semestrale (le probabilità
assegnate a un crash da qui a sei mesi) è invece appannaggio dei piccoli
investitori. Anche i super ottimisti promotori (68%) non riescono a superare
il loro 77%.
«L’unico dubbio è che l'ottimismo arrivi tutto adesso - dice Gianni
Ferrari , vicepresidente dell’Aiaf, l’associazione degli analisti
finanziari -. Non c’è mai stata euforia, finora. In questi due anni e
mezzo abbiamo avuto una crescita costante del 10-12%: quella che si sogna in
un mondo perfetto».
Fonte - Corriere della Sera
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