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INDICE ARTICOLI

PARTE 2

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Quadro macro - Germania

Germania, le paure incrociate

Quadro macro - Cina

Pil, la Cina davanti a Italia e Germania

Finanza italiana

Fazio indagato

Finanza italiana

Antonveneta: ABN ha vinto la battaglia per il gruppo ...

Quadro macro - Italia - Settore immobiliare

Immobili, la corsa è finita

   

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ANSA +++  Esito incerto delle elezioni tedesche  +++  Germania ingovernabile  +++  ANSA

  Lunedì  19  settembre  2005   Martedì  20  settembre  2005   Martedì  20  settembre  2005  
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  Germania, le paure incrociate

In un paese con l'acqua alla gola, ma che resta la terza economia nel mondo e la prima nell'Unione, hanno vinto i timori del declino economico e della perdita dello Stato sociale. Nessuna delle due coalizioni puo' formare il governo.

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19 Settembre 2005  10:14  MILANO  (di Franco Venturini)

E' accaduto quel che nessuno dei partiti tedeschi auspicava e tutti i governi europei temevano: in Germania hanno vinto le paure incrociate del declino economico e della perdita dello Stato sociale, con il risultato che nessuna delle due coalizioni proposte agli elettori avrà i numeri per formare un governo.

A notte fonda lo spoglio delle schede indica che la cristiano-democratica Angela Merkel conserva la possibilità di diventare il primo Cancelliere tedesco donna e proveniente dalle regioni orientali. Ma Frau Merkel ha raccolto meno consensi del previsto, non potrà appoggiarsi soltanto ai suoi alleati liberali, e in definitiva esce indebolita dalla prova che avrebbe dovuto attribuirle un forte mandato riformista. Il socialdemocratico Gerhard Schröder, sul fronte opposto, veste i panni del vincitore morale: ha recuperato l'enorme svantaggio iniziale, ha avuto il coraggio di lanciare la sfida e non rinuncia a essere confermato Cancelliere soprattutto se le suppletive di Dresda, il 2 ottobre, gli regaleranno tre seggi.

Ma in realtà anche il partito di Schröder ha perso voti rispetto al passato, e una alleanza con la sinistra radicale è politicamente improponibile. Così, tra chi non ha davvero vinto e chi non ha davvero perso, a rimetterci sarà la Germania e con lei tutta l'Europa.

Nessuno può ancora escludere che il gioco delle coalizioni si traduca in qualche clamoroso giro di valzer, per esempio che i liberali saltino il fosso e raggiungano Gerhard Schröder. Ma se trattative e contatti già in corso non porteranno a nulla, come hanno pubblicamente promesso i potenziali ribaltonisti, l'aritmetica lascerà sul tavolo una sola via d'uscita: quella della «Grande coalizione» tra i due maggiori partiti. Entrambi ridimensionati dagli elettori, entrambi nemici di un gabinetto di unità nazionale, ma condannati a governare insieme per mancanza di alternative. Già una volta, tra il 1966 e il 1969, la Germania si affidò a quello che viene chiamato il «matrimonio degli elefanti». Ma quella fu una libera scelta, e non si trattava, allora, di reagire alla stagnazione economica con misure necessariamente impopolari, di risollevare il più basso tasso di crescita in Europa, di lottare contro una disoccupazione record facendo in modo che il costo complessivo di un operaio tedesco non sia più sette volte quello di un operaio polacco.

A questa Germania con l'acqua alla gola, ma che resta la terza economia nel mondo e la prima nell'Unione, guardava e guarda tutta l'Europa. Dalle riforme tedesche si aspetta l'indicazione di una «terza via» tra il liberismo di Blair e il vecchio modello sociale europeo non più sostenibile. Con il ritorno della crescita tedesca si spera di stimolare l'economia globale (e lo sperano anche gli Usa, più che mai dopo il disastro Katrina). Da un nuovo impegno tedesco nell'integrazione europea si conta di ricevere l'impulso necessario per far uscire l'Unione dal suo smarrimento. Da Berlino si aspettano segnali decisivi sui futuri allargamenti (Turchia in testa) e sulla linea da tenere con l'America.

Merkel o Schröder avrebbero potuto fornire le risposte, più o meno gradite. Ma Merkel e Schröder insieme annunciano soltanto compromessi e rinunce, ritardi e occasioni mancate. Non resta che sperare che dall'emergenza tedesca ed europea possa nascere eccezionalmente il consenso per fare l'essenziale. Senza troppe illusioni.

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

  Pil, la Cina davanti a Italia e Germania

Il prodotto interno lordo cinese superera' quello di Roma e Berlino grazie ai ritmi di crescita (che Goldman Sachs stima in +8,8% nel 2005). Ma e' ancora un paese di grandi disparita': il reddito medio pro capite oltrepassa appena i $1000.

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9 Settembre 2005  9:53  PECHINO  (di Fabio Cavalera)

C'è stato negli ultimi mesi un gran fiorire di previsioni sull'andamento dell'economia cinese. Qualcuno, come la banca d'investimenti Morgan Stanley, ha cominciato ad annotare i segnali di un prossimo rallentamento della marcia del gigante d'Asia, valutando però questa circostanza come un fatto positivo. Per almeno due motivi. Essa manifesterebbe una ciclicità di congiunture tipica dei sistemi capitalistici e iscriverebbe la Cina definitivamente al club dei Paesi di mercato libero. Inoltre sgonfierebbe i pericoli speculativi legati alla fragilità del sistema bancario e ridimensionerebbe le massicce importazioni di petrolio contribuendo con una minore domanda a calmierarne le oscillazioni del prezzo.

Altri hanno continuato a leggere il futuro della Cina in chiave dinamica con un ritmo di sviluppo sempre molto alto. Già nel 2004 l'economia aveva segnato un balzo del 9,5% rispetto al 2003, addirittura con uno scarto positivo rispetto alle previsioni. La Goldman Sachs, merchant bank americana, ha ritoccato i suoi indicatori. La percentuale di crescita del 2005 valutata nell'8,1% salirebbe all' 8,8%.

Qual è lo stato dell'arte? Su una lettura sembra che vi sia concordanza di giudizi. Il prodotto interno lordo a prezzi correnti supererà - senza l'apporto di Hong Kong - alla fine del 2005 quello italiano. Guardando invece il prodotto interno lordo ma a prezzi costanti, aggiustato cioè per l'inflazione, gli scenari sono due. Il primo, includendo Hong Kong, prevede che la Cina metta la freccia sull'Italia il prossimo anno. Il secondo - lasciando a parte l'ex colonia inglese - indica il punto di svolta nel 2007.

Nella sostanza il risultato cambia di poco. Se queste variabili macroeconomiche aiutano a definire la classifica delle capitali più industrializzate si potrebbe già collocare Pechino al sesto posto della graduatoria del G7 prima di Roma e di Montreal. E a non abissale distanza da Inghilterra, Francia e Germania. Addirittura per gli esperti del World Economic Forum (che in questi giorni si tiene a Pechino) nel 2006 il valore dei beni e dei servizi prodotti in Cina affiancherà quello tedesco. Sul sorpasso del Drago ai danni di Berlino non vi è unanimità di vedute. C'è chi sostiene con fondate ragioni che si tratti di una esagerazione e di una anticipazione eccessiva dei tempi e degli scenari globali del domani. Ma che il Pil nominale cinese sia ormai al di sopra di quello italiano (il Pil reale lo sta seguendo) e che stia concludendo una corsa verso l'alto cominciata nel 1980 lo certifica anche il Fondo Monetario Internazionale.

Il prodotto interno lordo cinese (a prezzi correnti) ha queste performance: 1649,39 miliardi di dollari nel 2004; 1843,12 miliardi nel 2005; 2040,33 miliardi nel 2006. L'Italia - secondo Fmi - ha toccato i 1680,69 miliardi di dollari nel 2004; sale a 1836,41 miliardi nel 2005, poco meno di sette al di sotto della Cina; sarà a 1908,85 miliardi nel 2006 quando il divario prenderà la rincorsa.

In termini di pil a prezzi costanti la curva è lievemente differente e allungata nel tempo (uno o due anni) ma il tracciato è il medesimo. Un’espansione che continua a essere alimentata dalle esportazioni le quali beneficiano sui mercati mondiali di bassi costi del lavoro e modestissimi vincoli sia sociali sia ambientali.

Il Paese è in un ciclo virtuoso di industrializzazione e di trasformazione ma resta lontano dalla ricchezza distribuita uniformemente sul suo immenso territorio. I grandi numeri non devono trarre in inganno. Il reddito medio pro capite nel 2005 non oltrepasserà di molto i mille dollari. E lo stesso governo confermava due giorni fa che la campagna è indietro di ben 10 anni, in alcune zone di 20 o 30, rispetto ai livelli di benessere raggiunti nelle città. Come dire che non è tutto oro ciò che luccica. E che il miracolo continua ad avere due facce. Quella del sorpasso sul pil italiano e presto tedesco. E quella dei 300 milioni di cinesi che ancora sbarcano il lunario con due dollari al giorno.

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

Fmi: Rato, squilibri mondiali, serio rischio per crescita

(ANSA) - WASHINGTON, 24 SET 2005

Sono gli squilibri economici mondiali a costituire un rischio serio per la sostenibilità e la continuità della crescita mondiale.

Intervenendo all'assemblea annuale dell'Fmi e della Banca Mondiale, il direttore generale del Fondo, Rodrigo Rato, ha osservato che "la questione principale non è quando questi squilibri saranno ridotti, ma se la loro ricomposizione avverrà in termini ordinati o disordinati".

Rato ha invitato inoltre i Paesi produttori di petrolio ad aumentare gli investimenti per aumentare l'offerta e sollecitato l'Europa ad avere più coraggio per stimolare la crescita. Agli Stati Uniti, Rato rivolge la raccomandazione a ridurre il "doppio deficit" che minaccia la stabilità e gli equilibri economici a livello globale.

Quanto ai Paesi emergenti, il direttore generale dell'Fmi inviata ad approfittare delle "ancora favorevoli condizioni dei mercati, fatto particolarmente eccezionale e che, pertanto, non durerà per sempre". 

 

 

 

 

 

 

ANSA  +++  Il caso Fazio allarma l'Europa +++  Al Quaeda minaccia l'Italia  +++  ANSA

Mercoledì  7  settembre  2005   Mercoledì  21  settembre  2005   Venerdì  23  settembre  2005
   
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  Fazio indagato

Ipotesi di reato: abuso d'ufficio. L'interrogatorio dello pseudo-governatore segnera' la conclusione dell'inchiesta sull'Opa lanciata da Giampiero Fiorani, ex ad della Banca popolare italiana, per la conquista di Antonveneta.

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21 Settembre 2005  8:48  ROMA  (di Elsa Vinci)

Il governatore della Banca d´Italia sarà interrogato dai magistrati della procura romana in qualità di indagato. I pm hanno verificato l´ipotesi di reato di abuso d´ufficio e, in queste ore, stanno preparando l´atto formale per la convocazione che avverrà entro la fine del mese, tra otto giorni.

L´interrogatorio di Antonio Fazio segnerà la conclusione dell´inchiesta sull´opa lanciata da Giampiero Fiorani, ex ad della Banca popolare italiana, per la conquista di Antonveneta. L´istruttoria nata con il sospetto di ostacolo alle attività di controllo agli organismi di vigilanza si è trasformata in un boomerang per il numero uno della banca centrale, trascinato nelle polemiche e coinvolto nelle indagini della magistratura. La decisione di iscrivere Antonio Fazio sul registro degli indagati è stata presa circa un mese fa, l´atto sarà ufficializzato con la consegna della convocazione in procura. «Non mi stupirei, tecnicamente è un atto ineccepibile, in vista della prossima audizione del governatore», dichiara l´avvocato Franco Coppi, che in un paio di mesi e nonostante le vacanze estive ha incontrato quattro volte il procuratore capo, Giovanni Ferrara. I due si sono trovati d´accordo nel rinviare l´interrogatorio di Fazio. Era piena estate, doveva ancora arrivare il consiglio dei ministri sulla riforma della Banca d´Italia e sul mandato a termine, imperversavano le polemiche e, uno dopo l´altro, i ministri invitavano il governatore a fare un passo indietro.

Antonio Fazio è rimasto sulla sua poltrona nonostante l´aut aut di Domenico Siniscalco, ministro dell´Economia, e le critiche di Jean Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea. In procura, Achille Toro, titolare dell´inchiesta, e il capo Ferrara negavano e continuano a negare l´iscrizione sul registro degli indagati. Così come ha fatto in serata la stessa Bankitalia. Le smentite di circostanza si dissolveranno il giorno in cui il governatore sarà chiamato a presentarsi.

«I magistrati romani - dichiara il professor Coppi, che appena ieri ha avuto l´ultimo incontro con Ferrara - hanno già indagato il numero due della "vigilanza" di via Nazionale, Francesco Frasca, non vedo perché non dovrebbero fare lo stesso coinvolgendo anche il numero uno. Certamente la cosa non mi fa piacere, tuttavia posso dire che a me non risulta nulla e che al governatore non è stata data alcuna comunicazione ufficiale».

Formalmente i pm romani concluderanno la settimana dedicandosi all´inchiesta sulla scalata di Unipol a Bnl. Ieri è stato riascoltato, per due ore e mezza, il presidente della banca di via Veneto, Luigi Abete, che ha fornito documenti aggiornati a lunedì scorso. «Sono tranquillo, tutto a posto, non vedete la mia faccia sorridente?», ha dichiarato lasciando la procura. Breve interrogatorio anche per un consulente esterno dell´Isvap, organismo di vigilanza sulle assicurazioni. Oggi toccherà a un dirigente dello stesso istituto. Venerdì sarà ascoltato Giovanni Consorte, amministratore delegato di Unipol, come testimone. Insomma decolla l´inchiesta aperta per aggiotaggio, manipolazione di mercato e ostacolo alle attività di controllo.

Toro ha chiesto ai colleghi di Milano i verbali dell´interrogatorio di Stefano Ricucci. L´indagine sulla scalata a Rcs registra nuove acquisizioni di documenti in Consob.

Fonte - La Repubblica

 

 

 

  Antonveneta: ABN ha vinto la battaglia per il gruppo padovano

Bpi e i suoi alleati Stefano Ricucci, Emilio Gnutti e i fratelli Lonati hanno firmato il contratto per il passaggio delle quote agli olandesi.

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26 Settembre 2005  22:51  NEW YORK  (WSI)

Abn conquista Antonveneta. Bpi e i suoi alleati Stefano Ricucci, Emilio Gnutti e i fratelli Lonati hanno firmato il contratto per il passaggio delle quote Antonveneta (pari al 39,3% del capitale) attualmente sotto sequestro agli olandesi, segnando così la fine della dura battaglia per il controllo dell'istituto padovano.

Il gruppo di Amsterdam, già azionista al 29,9%, si troverà così in mano fino al 69,2% del capitale dell'istituto padovano. "Abbiamo raggiunto l'obiettivo e conquistato una banca solida, come dimostrano i conti di Antonveneta nei primi sei mesi dell'anno" ha commentato il numero uno di Abn Amro, Rijkman Groenink nella conference call con gli analisti ricordando come 'la Procura e la Consob si sono comportate come ci aspettavamo'', mentre Abn ha potuto contare "sull'appoggio dei sindacati, dell'associazione degli industriali e di forze politiche".

Se con la comunità finanziaria Groenink ha evitato commenti e ha previsto che con Banca d'Italia i rapporti saranno in futuro buoni, in un'intervista concessa a La7, il numero uno della banca olandese ha fatto partire un affondo contro Via Nazionale che "ha sicuramente favorito la Bpi nella scalata Antonveneta".

"Se si va a vedere la solidità finanziaria della Popolare, l'autorizzazione non andava data". L'accordo prevede che Abn pagherà a tutti 26,5 euro per azione con un controvalore massimo di 3,2 miliardi, lanciando poi un'opa sulla parte restante del capitale allo stesso prezzo ed eventualmente togliendo la società dal listino di Borsa.

"Ora passeremo del tempo per integrare Antonveneta - ha spiegato il numero uno Rijkman Groenink nel corso della conference call - a un certo punto in futuro guarderemo ad altreacquisizioni. Al momento tuttavia non stiamo guardando nulla che abbia la stessa dimensione di Antonveneta".

Groenink ha quindi rassicurato nuovamente che Antonveneta sarà fortemente radicata in Italia, mentre le perdite occupazionali "saranno limitate" e discusse con il management della banca. Data la complessità del quadro, che vede le azioni dei concertisti in parte gravate da pegno e tutte sotto sequestro da parte della Procura di Milano, il termine per la conclusione dell'accordo è stato stabilito entro il 31 marzo 2006.

Una data lontana ma bisogna ricordare che, oltre a ottenere lo sblocco da parte dei magistrati milanesi, come condizione all'intesa c'é anche la revoca delle due offerte di Bpi (Opas e Opa obbligatoria) da parte di Banca d'Italia e Consob, operazione non facile in particolare per la seconda offerta. Se entro il 31 marzo, quindi, tutte le condizioni non si saranno avverate, il contratto sarà sciolto.

Punto centrale dell'intesa è però il trasferimento della partecipazione di Bpi (pari al 25,8% e considerata 'essenziale') ad Abn, che potrà avvenire anche in maniera autonoma rispetto alle quote degli alleati. Entro il 14 ottobre la Popolare dovrà liberare i suoi titoli dal pegno creditizio e poi, una volta ottenuto il dissequestro e la revoca delle offerte, potrà cedere agli olandesi i quali conquisterebbero saldamente così la maggioranza dell'istituto.

Abn infatti è obbligata ad acquistare le quote degli alleati anche in un secondo momento rispetto a Bpi, ma solo se queste saranno libere da pegno o non più sequestrate e comunque non oltre il 31 marzo 2006. Peraltro le azioni non libere da vincolio gravami di ogni genere e natura non potranno essere conferite in adesione all'offerta lanciata da Abn.

Ma la cessione delle quote segnerà la parola fine anche ai numerosi ricorsi e azioni di risarcimento promossi dalle due parti in questi mesi di aspro confronto. Abn in più si è impegnata "a non costituirsi parte civile in ogni procedimento penale che avesse ad oggetto fatti relativi all'acquisto di azioni Antonveneta" e ai giudizi pendenti di fronte al tribunale di Padova.

Abn sarà comunque indenne da obblighi o costi in relazione ai pegni o oneri assunti dalla Bpio dai concertisti sulle azioni Antonveneta.

Fonte - Wallstreetitalia.com

 

 

 

 

  Sabato  17  settembre  2005   ..........................................................................................
   

MERCATO IMMOBILIARE USA RECORD

12:59 5/9/05 (ANSA)

I prezzi delle case in America sono saliti in media del 13.4% nei 12 mesi che si sono conclusi il 30 giugno, il piu' ampio incremento degli ultimi 25 anni, secondo l'Office of Federal Housing Enterprise Oversight, l'ente americano che controlla Fannie Mae e Freddie Mac. La bolla immobiliare Usa non sembra dunque voler scoppiare. Al contrario, siccome alcune aree non avevano avuto incrementi simili alle zone piu' calde, adesso stanno accelerando anche esse la rivalutazione.

 

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  Immobili, la corsa è finita 

Il boom immobiliare piu' lungo e piu' imponente che ci sia mai stato sembra agli sgoccioli. Il segnale viene dalla diminuzione degli acquisti e dal rallentamento della crescita dei prezzi. Il timore adesso e' che la bolla possa scoppiare.

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19 Settembre 2005  11:24  MILANO  (di Adriano Bonafede)

Il primo a fiutare il cambiamento del vento è stato Coppola. Da almeno un anno non mette più in cantiere alcuna iniziativa nelle periferie e nella cerchia intorno a Roma, dove è particolarmente presente. «Se i prezzi calano è stato questo il suo ragionamento le prime aree a essere colpite saranno proprio le periferie, dove le quotazioni hanno raggiunto livelli elevatissimi. Qualche limatura, se arriva lo sboom, potrà esserci anche nei quartieri centrali e semicentrali, ma qui i prezzi, per ragioni oggettive (non si possono costruire nuovi palazzi su queste aree), terranno». Come prima conseguenza di questa scelta, Coppola ha comprato per 70 milioni, una cifra giudicata eccessiva dal suo stesso entourage, l’albergo Cicerone nel quartiere Prati, proprio a ridosso del centro storico. «Già il giorno dopo qualcuno mi ha offerto 5 milioni in più e sono arrivate anche altre manifestazioni d’interesse, ma io non vendo».

Ma certo Danilo Coppola non è il solo ad aver compreso che il boom immobiliare non può durare all’infinito. E ad aver aggiustato di conseguenza la strategia imprenditoriale. Né il cauto Franco Caltagirone, né il giovane Giuseppe Statuto, né il temerario Stefano Ricucci, nè il determinato Luigi Zunino se ne stanno con le mani in mano. Ma basterà adeguare la strategia imprenditoriale per uscire indenni dalla fine del boom? O molti di questi nuovi imprenditori immobiliari finiranno anche loro nella "trappola del cerino acceso" che stritolò nel ‘92‘93 vecchi e collaudati immobiliaristi come Salvatore Ligresti, Renato Bocchi, Renato Della Valle?

Tutti, a cominciare da loro, negano questa eventualità. «Le cose sono cambiate rispetto agli anni Novanta», dicono quasi all’unisono mentre forse incrociano le dita dietro la schiena. In effetti i vecchi immobiliaristi si trovavano, oltre che ad aver comprato a prezzi ormai altissimi (si pensi che soltanto nel 2003, undici anni dopo, i prezzi in termini reali hanno sorpassato il picco che ci fu nel 1992) di fronte a una fase critica dal punto di vista congiunturale, mentre i tassi schizzavano in alto a seguito anche della svalutazione della lira. Non si trovava più un compratore nemmeno a cercarlo con il lanternino, mentre il peso degli oneri finanziari cresceva insopportabilmente. Così gli immobiliaristi che erano rimasti con il cerino acceso si bruciarono. E i loro immobili andarono a ingrossare le sofferenze delle banche.

Già, le banche. Non corrono anche adesso dei pericoli? In fondo non sono state loro a finanziare a piene mani i nuovi immobiliaristi, a consentire loro diventare dei raider di Borsa acquistando consistenti pacchetti di titoli di Capitalia, Bnl, Mediobanca e Rcs (si veda il caso esemplare dei finanziamenti della Bpi a Ricucci)? Ma certo tutte le grandi banche hanno finanziato, a turno, le operazioni immobiliari dei nuovi imprenditori. La Deutsche Bank, ad esempio, ritirò soltanto all’ultimo momento il finanziamento a Ricucci che voleva mettere le mani sull’Ipi di Zunino, poi ceduta a Coppola. La stessa Deutsche avrebbe giocato un ruolo in molte altre situazioni.

Sono tutti prestiti garantiti, è vero, proprio dal mattone che vi sta dietro. Ma non dovrebbe essere piacevole per gli istituti di credito finire come nel ’92, con molte sofferenze in più in un rigo del bilancio e con molti immobili in più in un altro. Perché se anche le procedure di vendita all’asta si sono snellite rispetto al passato, ci vogliono sempre trequattro anni per riprendere i soldi sonanti.

Eppure proprio dalle banche vengono delle rassicurazioni. All’inizio degli anni Novanta la capacità di misurare la bontà del credito era molto ridotta. Oggi i parametri, anche sulla base degli accordi di Basilea 2, sono più affinati. Bastano alcuni numeri per rendersene conto: nel 1997 l’incidenza delle sofferenze nette rispetto al patrimonio di vigilanza era del 35 per cento, oggi è inferiore al 10. E le sofferenze nette sugli impieghi erano al 5,7 per cento contro l’1,72 per cento di oggi. Insomma, le banche sono adesso molto più patrimonializzate e hanno molti più strumenti di prima per il controllo delle sofferenze.

Forse, e buon per loro, le aziende bancarie corrono meno rischi che in passato, ma non per questo i nuovi immobiliaristi sono al sicuro da improvvisi cambiamenti di scenario, con prezzi in calo e difficoltà nel trovare nuovi compratori. Ma anche qui le notizie sono tranquillizzanti. I prezzi per ora sembrano sul punto di fermarsi. Certo, possono calare, ma di quanto: 510 per cento, come si ritiene probabile? In questo caso gli immobiliaristi, che hanno margini enormemente superiori, si limiterebbero a guadagnare di meno (vedi anche articolo a destra). Ci sarà invece un crollo dei prezzi? Tutto è possibile, ma anche nello sboom precedente, quello del ‘9395, la caduta in termini reali fu al massimo del 1520 per cento.

Per il settore degli uffici, inoltre, la crisi c’è già da tre anni, complici le difficoltà congiunturali dell’Italia. E quindi gli operatori stanno già convivendo con queste difficoltà, tanto che aspettano invece prima o poi una ripresa economica che rilanci questo segmento.«E comunque fa notare un operatore del settore oggi i maggiori investitori in Italia sono le banche d’affari e i fondi stranieri». Sono investitori istituzionali come Morgan Stanley, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Soros, J.P.Morgan, Heinz, Doughty Hanson, che hanno un orizzonte di mediolungo periodo e che sanno attendere. O sono società come Pirelli Re, che gestiscono asset per conto di Morgan Stanley e di altri.

Insomma, è pur possibile che qualche grosso nome possa saltare nei prossimi mesi o anni, ma in sostanza il settore sembra ben coperto e allineato. Negli anni Novanta e dal 2000 in poi una nuova economia immobiliare, basata sulla fusione fra mattone e finanza, si è imposta, attirando anche considerevoli risorse dagli investitori istituzionali esteri. Ad approfittare delle circostanze favorevoli sono stati soprattutto i nuovi immobiliaristi che sembrano (e qualche volta sono) sbucati dal nulla, ma che hanno avuto l’intelligenza di comprendere e assecondare il nuovo trend di mercato.

Da tutta la moltiplicazione della ricchezza, invece, sono invece rimasti fuori in questi anni i semplici costruttori. Non che le cose siano andate male per loro. «Ma dice Claudio De Albertis, presidente dell’Ance, l’associazione delle imprese di costruzione in questo settore si guadagna poco. Dove si guadagna davvero è nell’attività immobiliare». Tant’è vero che molte società di costruzione stanno cercando di trasformarsi anche in operatori immobiliari: a Milano lo stesso De Albertis ha creato un consorzio di 15 imprese per partecipare ai progetti di riqualificazione della città sul tipo di Garibaldi Repubblica e Porta Vittoria. «Se non ci diamo da fare, unendo le forze dice De Albertis noi costruttori corriamo il rischio di raccogliere solo le briciole da tutta l’attività di riqualificazione delle ex aree del Demanio e delle aree industriali dismesse. Mentre loro, gli immobiliaristi, dispongono di una leva finanziaria completamente diversa, a noi la banca dà un appoggio soltanto se abbiamo una certa consistenza patrimoniale. Di qui l’unione in consorzio».

 

Fonte - La Repubblica - Affari & Finanza

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Di fronte alla più grande bolla che si sia mai vista al mondo

 

«È la più grande bolla immobiliare della storia». L’allarme L’Economist, il prestigioso settimanale inglese, lo ripete da almeno due anni. Paventando anche, se la bolla non si sgonfierà, uno scenario catastrofico, con conseguenze che si irradieranno dal comparto a tutta l’economia, innescando una recessione globale. «Mai i prezzi in termini reali sono cresciuti così tanto, così a lungo e in così tanti paesi», ha sentenziato il settimanale. Una vera globalizzazione della corsa dei prezzi, che va dalla Gran Bretagna alla Cina, dall’Australia alla Francia, dagli Stati Uniti alla Francia.

Secondo le stime dell’Economist, il valore totale degli immobili residenziali nei paesi sviluppati è cresciuto dai 30 trilioni di dollari a più di 70 trilioni negli ultimi cinque anni: un incremento che è equivalente notano gli esperti al 100 per cento dei Pil di tutti i paesi messi insieme. Non v’è traccia di nulla di simile nel passato, neppure in relazione alle grandi bolle dei mercati azionari, neppure negli anni 20. Da qui l’allarme, ripreso poi più volte sia dall’Ue che dal Fondo monetario. Soltanto il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, non aveva prestato fede a queste reiterate preoccupazioni. Ma alla fine dello scorso mese ha cambiato idea anche lui e ha lanciato l’allarme.

A guardare i dati c’è da rimanere stupefatti. Sembra che la ricchezza immobiliare sia stata toccata in questi ultimi otto anni, dal 1997 al primo semestre del 2005, da re Mida. Si è assistito a un’incredibile moltiplicazione dei valori. Il caso limite, secondo l’indice elaborato dall’Economist, è quello del Sud Africa, dove i prezzi sono cresciuti in questo lasso di tempo del 244 per cento. Ma anche i proprietari di case irlandesi, britannici e spagnoli possono gioire, con rincari rispettivamente del 192, del 154 per cento e del 145 per cento.

Un po’ più indietro troviamo l’Australia con il 114 per cento, e poi un gruppo di paesi, fra cui l’Italia: Francia con l’87 per cento, Stati Uniti con il 73, Svezia con l’84, Nuova Zelanda con il 66, Belgio con il 71 e il nostro paese con il 69. Uniche eccezioni la Germania, con un aumento pari a zero, e il Giappone, con un regresso pari al 28 per cento.

Non si ha un’esatta idea di cosa è accaduto se si guardano soltanto questi indici generali "per paese". Perché questi sono aumenti medi, ma si sa che nei piccoli centri la dinamica dei prezzi è ovunque in Europa e nel mondo di gran lunga più tranquilla. La corsa è più accentuata nelle grandi metropoli dove il patrimonio abitativo non può espandersi con facilità, e anche se lo fa soprattutto in Europa ciò succede nelle aree più periferiche. Quindi dietro queste medie si nascondono in realtà, anche per un paese come l’Italia che ha avuto una dinamica non fra le più esasperate, raddoppi e anche triplicazioni di valore per gli immobili più prestigiosi dei centri storici delle principali città.

Più che una festa, un’orgia. Con la fallace impressione di aver trovato, con l’immobile, la pietra filosofale che trasforma in oro qualsiasi cosa. Ma le illusioni non possono andare avanti all’infinito, è questo il senso dell’avvertimento che ormai tutte le principali istituzioni del pianeta stanno dando. Sperando che la febbre diminuisca a poco a poco e che non ci sia il temuto collasso che potrebbe trascinare con sé l’intera economia mondiale.

Ma che cosa può accadere se alla fine scoppia la bolla, magari cominciando dagli Stati Uniti, dove i prezzi nel primo trimestre del 2005 sono saliti a un ritmo del 12,5 per cento? «Il boom spiega Marcello De Cecco, ordinario di Economia monetaria all’Università di Roma La Sapienza si può bloccare sia dalla parte della domanda, perché i redditi non seguono più i prezzi, sia dalla parte dell’offerta, perché aumentano i tassi d’interesse. Il punto è che gli Stati Uniti devono per forza aumentare i tassi per attrarre i capitali. Ma normalmente tengono questo processo sotto controllo, ed è difficile che i tassi possano loro sfuggire di mano. L’unico pericolo potrebbe essere uno shock esogeno oggi inimmaginabile, o la compresenza di due o tre spinte impreviste, che facciano salire i tassi in maniera incontrollabile».

Ma la recessione può arrivare anche per altre vie che non siano una forte ascesa dei tassi, anzi proprio mentre i tassi sono bassi. In questo caso i prezzi delle case comincerebbero a scendere. E negli Stati Uniti, con gli americani superindebitati con i mutui, le banche potrebbero chiedere ai clienti di rientrare di parte del prestito. Impossibilitati a farlo, molti venderebbero le case, con ulteriori effetti recessivi sui bilanci delle banche e sull’economia.

In questo caso, la recessione si allargherebbe a macchia d’olio in tutti i paesi occidentali, e a poco servirebbe ricordare che in Italia, secondo le statistiche, i prezzi sono aumentati meno che in altri paesi. Il diluvio, una volta iniziato altrove, arriverebbe anche nel Bel Paese. Per fortuna uno scenario così catastrofico, sebbene possibile, è abbastanza improbabile. In Italia, ad esempio, nell’ultimo anno sono diminuite le compravendite e si è dilatato il tempo necessario a realizzare una compravendita. Un inequivocabile segnale che il boom sta finendo. C’è da sperare che questo accada anche negli altri paesi, e soprattutto negli Usa.

Fonte - La Repubblica - Affari & Finanza  

 

 

 

 

 

Banche in crisi se scoppia la bolla immobiliare

(28 Settembre 2005)

Se dovesse scoppiare la bolla immobiliare, il sistema bancario nel nostro paese potrebbe risentirne con una riduzione dell’utile lordo pari al 7%. A tradurre in sostanza i timori degli economisti è stato Francesco Maria Frasca, funzionario generale della Banca d’Italia citando i risultati di alcune prove cosiddette di “stress” effettuate in Italia per “verificare gli effetti sulla stabilità del sistema finanziario in presenza di una riduzione dei valori degli immobili”. L’ultima bolla immobiliare, ricorda il funzionario di via Nazionale, risale al 1992, quando i prezzi degli immobili crollarono dopo aver raggiunto il picco.

 “Dagli esercizi effettuati – ricorda appunto Frasca, intervenuto a un convegno dedicato al mercato dei mutui - è emerso che si avrebbe una riduzione del totale degli utili del 7%”. I prezzi degli immobili residenziali, ancorché cresciuti a dismisura negli ultmi anni, “sono leggermente superiori ai valori registrati con i picchi del ‘92”, mentre per i non residenziali si è leggermente al di sotto dei valori del ‘92 ha osservato Frasca. Il monitoraggio effettuato in Italia dagli istituti di credito viene realizzato anche e soprattutto in quei paesi dove i prezzi degli immobili sono cresciuti di più, come Gran Bretagna, Spagna, Irlanda.

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

Usa, crolla l’indice mutui-casa

(28 Settembre 2005)

Crollano le richieste di finanziamento ipotecario negli Stati Uniti. Nella settimana conclusa il 23 settembre, il relativo indice che misura la dinamica delle richieste di prestito ipotecario ha registrato un calo del 6,6%, attestandosi a 721,2 punti da 772,2 di sette giorni prima, ovvero i minimi da quattro mesi.

La flessione è stata trainata soprattutto dal crollo registrato dalle domande di rifinanziamento dei mutui già in essere che hanno lasciato sul mercato il 10,5%. Va ricordato che questo meccanismo è molto prezioso per l’economia americana, perché viene utilizzato dai cittadini per alimentare la propria liquidità e sostenere i consumi personali.

Giù anche le richieste di mutuo finalizzate all'acquisto di una casa, diminuite del 3,4%. Il dato conferma un certo rallentamento nel settore, in scia al trend in rialzo dei mutui ipotecari e alla corsa dei prezzi degli immobili.

 

Fonte - Miaeconomia.it