Germania, le paure incrociate
In un paese con
l'acqua alla gola, ma che resta la terza economia nel mondo e la prima
nell'Unione, hanno vinto i timori del declino economico e della perdita dello
Stato sociale. Nessuna delle due coalizioni puo' formare il governo.
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19 Settembre 2005 10:14
MILANO (di Franco Venturini)
E' accaduto quel che nessuno dei partiti
tedeschi auspicava e tutti i governi europei temevano: in Germania hanno vinto
le paure incrociate del declino economico e della perdita dello Stato sociale,
con il risultato che nessuna delle due coalizioni proposte agli elettori avrà i
numeri per formare un governo.
A notte fonda lo spoglio delle schede indica
che la cristiano-democratica Angela Merkel conserva la possibilità di diventare
il primo Cancelliere tedesco donna e proveniente dalle regioni orientali. Ma
Frau Merkel ha raccolto meno consensi del previsto, non potrà appoggiarsi
soltanto ai suoi alleati liberali, e in definitiva esce indebolita dalla prova
che avrebbe dovuto attribuirle un forte mandato riformista. Il socialdemocratico
Gerhard Schröder, sul fronte opposto, veste i panni del vincitore morale: ha
recuperato l'enorme svantaggio iniziale, ha avuto il coraggio di lanciare la
sfida e non rinuncia a essere confermato Cancelliere soprattutto se le
suppletive di Dresda, il 2 ottobre, gli regaleranno tre seggi.
Ma in realtà anche il partito di Schröder ha
perso voti rispetto al passato, e una alleanza con la sinistra radicale è
politicamente improponibile. Così, tra chi non ha davvero vinto e chi non ha
davvero perso, a rimetterci sarà la Germania e con lei tutta l'Europa.
Nessuno può ancora escludere che il gioco delle
coalizioni si traduca in qualche clamoroso giro di valzer, per esempio che i
liberali saltino il fosso e raggiungano Gerhard Schröder. Ma se trattative e
contatti già in corso non porteranno a nulla, come hanno pubblicamente promesso
i potenziali ribaltonisti, l'aritmetica lascerà sul tavolo una sola via
d'uscita: quella della «Grande coalizione» tra i due maggiori partiti. Entrambi
ridimensionati dagli elettori, entrambi nemici di un gabinetto di unità
nazionale, ma condannati a governare insieme per mancanza di alternative.
Già una volta, tra il 1966 e il 1969, la
Germania si affidò a quello che viene chiamato il «matrimonio degli elefanti».
Ma quella fu una libera scelta, e non si trattava, allora, di reagire alla
stagnazione economica con misure necessariamente impopolari, di risollevare il
più basso tasso di crescita in Europa, di lottare contro una disoccupazione
record facendo in modo che il costo complessivo di un operaio tedesco non
sia più sette volte quello di un operaio polacco.
A questa Germania con l'acqua alla gola, ma che
resta la terza economia nel mondo e la prima nell'Unione, guardava e guarda
tutta l'Europa. Dalle riforme tedesche si aspetta l'indicazione di una «terza
via» tra il liberismo di Blair e il vecchio modello sociale europeo non più
sostenibile. Con il ritorno della crescita tedesca si spera di stimolare
l'economia globale (e lo sperano anche gli Usa, più che mai dopo il disastro Katrina). Da un nuovo impegno tedesco nell'integrazione europea si conta di
ricevere l'impulso necessario per far uscire l'Unione dal suo smarrimento. Da
Berlino si aspettano segnali decisivi sui futuri allargamenti (Turchia in testa)
e sulla linea da tenere con l'America.
Merkel o Schröder avrebbero potuto fornire le
risposte, più o meno gradite. Ma Merkel e Schröder insieme annunciano soltanto
compromessi e rinunce, ritardi e occasioni mancate. Non resta che sperare che
dall'emergenza tedesca ed europea possa nascere eccezionalmente il consenso per
fare l'essenziale. Senza troppe illusioni.

Fonte
- Corriere della
Sera
Pil, la Cina
davanti a Italia e Germania
Il
prodotto interno lordo cinese superera' quello di Roma e Berlino grazie ai ritmi
di crescita (che Goldman Sachs stima in +8,8% nel 2005). Ma e' ancora un paese
di grandi disparita': il reddito medio pro capite oltrepassa appena i $1000.
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9 Settembre 2005 9:53
PECHINO (di Fabio Cavalera)
C'è stato negli ultimi mesi un gran fiorire di
previsioni sull'andamento dell'economia cinese. Qualcuno, come la banca
d'investimenti Morgan Stanley, ha cominciato ad annotare i segnali di un
prossimo rallentamento della marcia del gigante d'Asia, valutando però questa
circostanza come un fatto positivo. Per almeno due motivi. Essa manifesterebbe
una ciclicità di congiunture tipica dei sistemi capitalistici e iscriverebbe la
Cina definitivamente al club dei Paesi di mercato libero. Inoltre sgonfierebbe i
pericoli speculativi legati alla fragilità del sistema bancario e
ridimensionerebbe le massicce importazioni di petrolio contribuendo con una
minore domanda a calmierarne le oscillazioni del prezzo.
Altri hanno continuato a leggere il futuro
della Cina in chiave dinamica con un ritmo di sviluppo sempre molto alto. Già
nel 2004 l'economia aveva segnato un balzo del 9,5% rispetto al 2003,
addirittura con uno scarto positivo rispetto alle previsioni. La Goldman Sachs,
merchant bank americana, ha ritoccato i suoi indicatori. La percentuale di
crescita del 2005 valutata nell'8,1% salirebbe all' 8,8%.
Qual è lo stato dell'arte? Su una lettura
sembra che vi sia concordanza di giudizi. Il prodotto interno lordo a prezzi
correnti supererà - senza l'apporto di Hong Kong - alla fine del 2005 quello
italiano. Guardando invece il prodotto interno lordo ma a prezzi costanti,
aggiustato cioè per l'inflazione, gli scenari sono due. Il primo, includendo
Hong Kong, prevede che la Cina metta la freccia sull'Italia il prossimo anno. Il
secondo - lasciando a parte l'ex colonia inglese - indica il punto di svolta nel
2007.
Nella sostanza il risultato cambia di poco. Se
queste variabili macroeconomiche aiutano a definire la classifica delle capitali
più industrializzate si potrebbe già collocare Pechino al sesto posto della
graduatoria del G7 prima di Roma e di Montreal. E a non abissale distanza da
Inghilterra, Francia e Germania. Addirittura per gli esperti del World Economic
Forum (che in questi giorni si tiene a Pechino) nel 2006 il valore dei beni e
dei servizi prodotti in Cina affiancherà quello tedesco. Sul sorpasso del Drago
ai danni di Berlino non vi è unanimità di vedute. C'è chi sostiene con fondate
ragioni che si tratti di una esagerazione e di una anticipazione eccessiva dei
tempi e degli scenari globali del domani. Ma che il Pil nominale cinese sia
ormai al di sopra di quello italiano (il Pil reale lo sta seguendo) e che stia
concludendo una corsa verso l'alto cominciata nel 1980 lo certifica anche il
Fondo Monetario Internazionale.
Il prodotto interno lordo cinese (a prezzi
correnti) ha queste performance: 1649,39 miliardi di dollari nel 2004; 1843,12
miliardi nel 2005; 2040,33 miliardi nel 2006. L'Italia - secondo Fmi - ha
toccato i 1680,69 miliardi di dollari nel 2004; sale a 1836,41 miliardi nel
2005, poco meno di sette al di sotto della Cina; sarà a 1908,85 miliardi nel
2006 quando il divario prenderà la rincorsa.
In termini di pil a prezzi costanti la curva è
lievemente differente e allungata nel tempo (uno o due anni) ma il tracciato è
il medesimo. Un’espansione che continua a essere alimentata dalle esportazioni
le quali beneficiano sui mercati mondiali di bassi costi del lavoro e
modestissimi vincoli sia sociali sia ambientali.
Il Paese è in un ciclo virtuoso di
industrializzazione e di trasformazione ma resta lontano dalla ricchezza
distribuita uniformemente sul suo immenso territorio. I grandi numeri non devono
trarre in inganno. Il reddito medio pro capite nel 2005 non oltrepasserà di
molto i mille dollari. E lo stesso governo confermava due giorni fa che la
campagna è indietro di ben 10 anni, in alcune zone di 20 o 30, rispetto ai
livelli di benessere raggiunti nelle città. Come dire che non è tutto oro ciò
che luccica. E che il miracolo continua ad avere due facce. Quella del sorpasso
sul pil italiano e presto tedesco. E quella dei 300 milioni di cinesi che ancora
sbarcano il lunario con due dollari al giorno.

Fonte
- Corriere della Sera
Fmi: Rato, squilibri
mondiali, serio rischio per crescita
(ANSA) - WASHINGTON, 24 SET 2005
Sono gli squilibri economici
mondiali a costituire un rischio serio per la sostenibilità e la
continuità della crescita mondiale.
Intervenendo all'assemblea annuale
dell'Fmi e della Banca Mondiale, il direttore generale del Fondo,
Rodrigo Rato, ha osservato che "la questione principale non è quando
questi squilibri saranno ridotti, ma se la loro ricomposizione
avverrà in termini ordinati o disordinati".
Rato ha invitato inoltre i Paesi
produttori di petrolio ad aumentare gli investimenti per aumentare
l'offerta e sollecitato l'Europa ad avere più coraggio per stimolare
la crescita. Agli Stati Uniti, Rato rivolge la raccomandazione a
ridurre il "doppio deficit" che minaccia la stabilità e gli
equilibri economici a livello globale.
Quanto ai Paesi emergenti, il
direttore generale dell'Fmi inviata ad approfittare delle "ancora
favorevoli condizioni dei mercati, fatto particolarmente eccezionale
e che, pertanto, non durerà per sempre".
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Fazio indagato
Ipotesi di reato: abuso d'ufficio.
L'interrogatorio dello pseudo-governatore segnera' la conclusione dell'inchiesta
sull'Opa lanciata da Giampiero Fiorani, ex ad della Banca popolare italiana, per
la conquista di Antonveneta.
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21 Settembre 2005 8:48
ROMA (di Elsa Vinci)
Il governatore della Banca d´Italia
sarà interrogato dai magistrati della procura romana in qualità di indagato.
I pm hanno verificato l´ipotesi di reato di abuso d´ufficio e, in queste ore,
stanno preparando l´atto formale per la convocazione che avverrà entro la fine
del mese, tra otto giorni.
L´interrogatorio di Antonio Fazio segnerà la
conclusione dell´inchiesta sull´opa lanciata da Giampiero Fiorani, ex ad della
Banca popolare italiana, per la conquista di Antonveneta. L´istruttoria nata con
il sospetto di ostacolo alle attività di controllo agli organismi di vigilanza
si è trasformata in un boomerang per il numero uno della banca centrale,
trascinato nelle polemiche e coinvolto nelle indagini della magistratura. La
decisione di iscrivere Antonio Fazio sul registro degli indagati è stata presa
circa un mese fa, l´atto sarà ufficializzato con la consegna della convocazione
in procura. «Non mi stupirei, tecnicamente è un atto ineccepibile, in vista
della prossima audizione del governatore», dichiara l´avvocato Franco Coppi, che
in un paio di mesi e nonostante le vacanze estive ha incontrato quattro volte il
procuratore capo, Giovanni Ferrara. I due si sono trovati d´accordo nel rinviare
l´interrogatorio di Fazio. Era piena estate, doveva ancora arrivare il consiglio
dei ministri sulla riforma della Banca d´Italia e sul mandato a termine,
imperversavano le polemiche e, uno dopo l´altro, i ministri invitavano il
governatore a fare un passo indietro.
Antonio Fazio è rimasto sulla sua poltrona
nonostante l´aut aut di Domenico Siniscalco, ministro dell´Economia, e le
critiche di Jean Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea. In
procura, Achille Toro, titolare dell´inchiesta, e il capo Ferrara negavano e
continuano a negare l´iscrizione sul registro degli indagati. Così come ha fatto
in serata la stessa Bankitalia. Le smentite di circostanza si dissolveranno il
giorno in cui il governatore sarà chiamato a presentarsi.
«I magistrati romani - dichiara il professor
Coppi, che appena ieri ha avuto l´ultimo incontro con Ferrara - hanno già
indagato il numero due della "vigilanza" di via Nazionale, Francesco Frasca, non
vedo perché non dovrebbero fare lo stesso coinvolgendo anche il numero uno.
Certamente la cosa non mi fa piacere, tuttavia posso dire che a me non risulta
nulla e che al governatore non è stata data alcuna comunicazione ufficiale».
Formalmente i pm romani concluderanno la
settimana dedicandosi all´inchiesta sulla scalata di Unipol a Bnl. Ieri è stato
riascoltato, per due ore e mezza, il presidente della banca di via Veneto, Luigi
Abete, che ha fornito documenti aggiornati a lunedì scorso. «Sono tranquillo,
tutto a posto, non vedete la mia faccia sorridente?», ha dichiarato lasciando la
procura. Breve interrogatorio anche per un consulente esterno dell´Isvap,
organismo di vigilanza sulle assicurazioni. Oggi toccherà a un dirigente dello
stesso istituto. Venerdì sarà ascoltato Giovanni Consorte, amministratore
delegato di Unipol, come testimone. Insomma decolla l´inchiesta aperta per
aggiotaggio, manipolazione di mercato e ostacolo alle attività di controllo.
Toro ha chiesto ai colleghi di Milano i verbali
dell´interrogatorio di Stefano Ricucci. L´indagine sulla scalata a Rcs registra
nuove acquisizioni di documenti in Consob.

Fonte
- La Repubblica
Antonveneta:
ABN ha vinto la battaglia per il gruppo padovano
Bpi e i suoi alleati Stefano Ricucci, Emilio
Gnutti e i fratelli Lonati hanno firmato il contratto per il passaggio delle
quote agli olandesi.
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26 Settembre 2005 22:51
NEW
YORK (WSI)
Abn conquista Antonveneta. Bpi e i suoi alleati
Stefano Ricucci, Emilio Gnutti e i fratelli Lonati hanno firmato il contratto
per il passaggio delle quote Antonveneta (pari al 39,3% del capitale)
attualmente sotto sequestro agli olandesi, segnando così la fine della dura
battaglia per il controllo dell'istituto padovano.
Il gruppo di Amsterdam, già azionista al 29,9%,
si troverà così in mano fino al 69,2% del capitale dell'istituto padovano.
"Abbiamo raggiunto l'obiettivo e conquistato una banca solida, come dimostrano i
conti di Antonveneta nei primi sei mesi dell'anno" ha commentato il numero uno
di Abn Amro, Rijkman Groenink nella conference call con gli analisti ricordando
come 'la Procura e la Consob si sono comportate come ci aspettavamo'', mentre
Abn ha potuto contare "sull'appoggio dei sindacati, dell'associazione degli
industriali e di forze politiche".
Se con la comunità finanziaria Groenink ha
evitato commenti e ha previsto che con Banca d'Italia i rapporti saranno in
futuro buoni, in un'intervista concessa a La7, il numero uno della banca
olandese ha fatto partire un affondo contro Via Nazionale che "ha sicuramente
favorito la Bpi nella scalata Antonveneta".
"Se si va a vedere la solidità finanziaria
della Popolare, l'autorizzazione non andava data". L'accordo prevede che Abn
pagherà a tutti 26,5 euro per azione con un controvalore massimo di 3,2
miliardi, lanciando poi un'opa sulla parte restante del capitale allo stesso
prezzo ed eventualmente togliendo la società dal listino di Borsa.
"Ora passeremo del tempo per integrare
Antonveneta - ha spiegato il numero uno Rijkman Groenink nel corso della
conference call - a un certo punto in futuro guarderemo ad altreacquisizioni. Al
momento tuttavia non stiamo guardando nulla che abbia la stessa dimensione di
Antonveneta".
Groenink ha quindi rassicurato nuovamente che
Antonveneta sarà fortemente radicata in Italia, mentre le perdite occupazionali
"saranno limitate" e discusse con il management della banca. Data la complessità
del quadro, che vede le azioni dei concertisti in parte gravate da pegno e tutte
sotto sequestro da parte della Procura di Milano, il termine per la conclusione
dell'accordo è stato stabilito entro il 31 marzo 2006.
Una data lontana ma bisogna ricordare che,
oltre a ottenere lo sblocco da parte dei magistrati milanesi, come condizione
all'intesa c'é anche la revoca delle due offerte di Bpi (Opas e Opa
obbligatoria) da parte di Banca d'Italia e Consob, operazione non facile in
particolare per la seconda offerta. Se entro il 31 marzo, quindi, tutte le
condizioni non si saranno avverate, il contratto sarà sciolto.
Punto centrale dell'intesa è però il
trasferimento della partecipazione di Bpi (pari al 25,8% e considerata 'essenziale')
ad Abn, che potrà avvenire anche in maniera autonoma rispetto alle quote degli
alleati. Entro il 14 ottobre la Popolare dovrà liberare i suoi titoli dal pegno
creditizio e poi, una volta ottenuto il dissequestro e la revoca delle offerte,
potrà cedere agli olandesi i quali conquisterebbero saldamente così la
maggioranza dell'istituto.
Abn infatti è obbligata ad acquistare le quote
degli alleati anche in un secondo momento rispetto a Bpi, ma solo se queste
saranno libere da pegno o non più sequestrate e comunque non oltre il 31 marzo
2006. Peraltro le azioni non libere da vincolio gravami di ogni genere e natura
non potranno essere conferite in adesione all'offerta lanciata da Abn.
Ma la cessione delle quote segnerà la parola
fine anche ai numerosi ricorsi e azioni di risarcimento promossi dalle due parti
in questi mesi di aspro confronto. Abn in più si è impegnata "a non costituirsi
parte civile in ogni procedimento penale che avesse ad oggetto fatti relativi
all'acquisto di azioni Antonveneta" e ai giudizi pendenti di fronte al tribunale
di Padova.
Abn sarà comunque indenne da obblighi o costi
in relazione ai pegni o oneri assunti dalla Bpio dai concertisti sulle azioni
Antonveneta.

Fonte
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Wallstreetitalia.com
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Sabato
17 settembre 2005 |
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MERCATO IMMOBILIARE USA RECORD
12:59 5/9/05 (ANSA)
I prezzi delle case in America sono saliti
in media del 13.4% nei 12 mesi che si sono conclusi il 30 giugno, il piu'
ampio incremento degli ultimi 25 anni, secondo l'Office of Federal Housing
Enterprise Oversight, l'ente americano che controlla Fannie Mae e Freddie
Mac. La bolla immobiliare Usa non sembra dunque voler scoppiare. Al
contrario, siccome alcune aree non avevano avuto incrementi simili alle zone
piu' calde, adesso stanno accelerando anche esse la rivalutazione.
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Immobili, la corsa è finita
Il boom immobiliare
piu' lungo e piu' imponente che ci sia mai stato sembra agli sgoccioli. Il
segnale viene dalla diminuzione degli acquisti e dal rallentamento della
crescita dei prezzi. Il timore adesso e' che la bolla possa scoppiare.
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19 Settembre 2005 11:24
MILANO (di Adriano Bonafede)
Il primo a fiutare il cambiamento del
vento è stato Coppola. Da almeno un anno non mette più in cantiere alcuna
iniziativa nelle periferie e nella cerchia intorno a Roma, dove è
particolarmente presente. «Se i prezzi calano è stato questo il suo ragionamento
le prime aree a essere colpite saranno proprio le periferie, dove le quotazioni
hanno raggiunto livelli elevatissimi. Qualche limatura, se arriva lo sboom,
potrà esserci anche nei quartieri centrali e semicentrali, ma qui i prezzi, per
ragioni oggettive (non si possono costruire nuovi palazzi su queste aree),
terranno». Come prima conseguenza di questa scelta, Coppola ha comprato per 70
milioni, una cifra giudicata eccessiva dal suo stesso entourage, l’albergo
Cicerone nel quartiere Prati, proprio a ridosso del centro storico. «Già il
giorno dopo qualcuno mi ha offerto 5 milioni in più e sono arrivate anche altre
manifestazioni d’interesse, ma io non vendo».
Ma certo Danilo Coppola non è il solo ad aver
compreso che il boom immobiliare non può durare all’infinito. E ad aver
aggiustato di conseguenza la strategia imprenditoriale. Né il cauto Franco Caltagirone, né il giovane Giuseppe Statuto, né il temerario Stefano Ricucci, nè
il determinato Luigi Zunino se ne stanno con le mani in mano.
Ma basterà
adeguare la strategia imprenditoriale per uscire indenni dalla fine del boom? O
molti di questi nuovi imprenditori immobiliari finiranno anche loro nella
"trappola del cerino acceso" che stritolò nel ‘92‘93 vecchi e collaudati immobiliaristi come Salvatore Ligresti, Renato Bocchi, Renato Della Valle?
Tutti, a cominciare da loro, negano questa
eventualità. «Le cose sono cambiate rispetto agli anni Novanta», dicono quasi
all’unisono mentre forse incrociano le dita dietro la schiena. In effetti i
vecchi immobiliaristi si trovavano, oltre che ad aver comprato a prezzi ormai
altissimi (si pensi che soltanto nel 2003, undici anni dopo, i prezzi in termini
reali hanno sorpassato il picco che ci fu nel 1992) di fronte a una fase critica
dal punto di vista congiunturale, mentre i tassi schizzavano in alto a seguito
anche della svalutazione della lira. Non si trovava più un compratore nemmeno a
cercarlo con il lanternino, mentre il peso degli oneri finanziari cresceva
insopportabilmente. Così gli immobiliaristi che erano rimasti con il cerino
acceso si bruciarono. E i loro immobili andarono a ingrossare le sofferenze
delle banche.
Già, le banche. Non corrono anche adesso dei
pericoli? In fondo non sono state loro a finanziare a piene mani i nuovi
immobiliaristi, a consentire loro diventare dei raider di Borsa acquistando
consistenti pacchetti di titoli di Capitalia, Bnl, Mediobanca e Rcs (si veda il
caso esemplare dei finanziamenti della Bpi a Ricucci)? Ma certo tutte le grandi
banche hanno finanziato, a turno, le operazioni immobiliari dei nuovi
imprenditori. La Deutsche Bank, ad esempio, ritirò soltanto all’ultimo momento
il finanziamento a Ricucci che voleva mettere le mani sull’Ipi di Zunino, poi
ceduta a Coppola. La stessa Deutsche avrebbe giocato un ruolo in molte altre
situazioni.
Sono tutti prestiti garantiti, è vero, proprio
dal mattone che vi sta dietro. Ma non dovrebbe essere piacevole per gli istituti
di credito finire come nel ’92, con molte sofferenze in più in un rigo del
bilancio e con molti immobili in più in un altro. Perché se anche le procedure
di vendita all’asta si sono snellite rispetto al passato, ci vogliono sempre
trequattro anni per riprendere i soldi sonanti.
Eppure proprio dalle banche vengono delle
rassicurazioni. All’inizio degli anni Novanta la capacità di misurare la bontà
del credito era molto ridotta. Oggi i parametri, anche sulla base degli accordi
di Basilea 2, sono più affinati. Bastano alcuni numeri per rendersene conto: nel
1997 l’incidenza delle sofferenze nette rispetto al patrimonio di vigilanza era
del 35 per cento, oggi è inferiore al 10. E le sofferenze nette sugli impieghi
erano al 5,7 per cento contro l’1,72 per cento di oggi. Insomma, le banche sono
adesso molto più patrimonializzate e hanno molti più strumenti di prima per il
controllo delle sofferenze.
Forse, e buon per loro, le aziende bancarie
corrono meno rischi che in passato, ma non per questo i nuovi immobiliaristi
sono al sicuro da improvvisi cambiamenti di scenario, con prezzi in calo e
difficoltà nel trovare nuovi compratori. Ma anche qui le notizie sono
tranquillizzanti. I prezzi per ora sembrano sul punto di fermarsi. Certo,
possono calare, ma di quanto: 510 per cento, come si ritiene probabile? In
questo caso gli immobiliaristi, che hanno margini enormemente superiori, si
limiterebbero a guadagnare di meno (vedi anche articolo a destra). Ci sarà
invece un crollo dei prezzi? Tutto è possibile, ma anche nello sboom precedente,
quello del ‘9395, la caduta in termini reali fu al massimo del 1520 per cento.
Per il settore degli uffici, inoltre, la crisi
c’è già da tre anni, complici le difficoltà congiunturali dell’Italia. E quindi
gli operatori stanno già convivendo con queste difficoltà, tanto che aspettano
invece prima o poi una ripresa economica che rilanci questo segmento.«E comunque
fa notare un operatore del settore oggi i maggiori investitori in Italia sono le
banche d’affari e i fondi stranieri». Sono investitori istituzionali come Morgan
Stanley, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Soros, J.P.Morgan, Heinz, Doughty Hanson,
che hanno un orizzonte di mediolungo periodo e che sanno attendere. O sono
società come Pirelli Re, che gestiscono asset per conto di Morgan Stanley e di
altri.
Insomma, è pur possibile che qualche grosso
nome possa saltare nei prossimi mesi o anni, ma in sostanza il settore sembra
ben coperto e allineato. Negli anni Novanta e dal 2000 in poi una nuova economia
immobiliare, basata sulla fusione fra mattone e finanza, si è imposta, attirando
anche considerevoli risorse dagli investitori istituzionali esteri. Ad
approfittare delle circostanze favorevoli sono stati soprattutto i nuovi immobiliaristi che sembrano (e qualche volta sono) sbucati dal nulla, ma che
hanno avuto l’intelligenza di comprendere e assecondare il nuovo trend di
mercato.
Da tutta la moltiplicazione della ricchezza,
invece, sono invece rimasti fuori in questi anni i semplici costruttori. Non che
le cose siano andate male per loro. «Ma dice Claudio De Albertis, presidente
dell’Ance, l’associazione delle imprese di costruzione in questo settore si
guadagna poco. Dove si guadagna davvero è nell’attività immobiliare». Tant’è
vero che molte società di costruzione stanno cercando di trasformarsi anche in
operatori immobiliari: a Milano lo stesso De Albertis ha creato un consorzio di
15 imprese per partecipare ai progetti di riqualificazione della città sul tipo
di Garibaldi Repubblica e Porta Vittoria. «Se non ci diamo da fare, unendo le
forze dice De Albertis noi costruttori corriamo il rischio di raccogliere solo
le briciole da tutta l’attività di riqualificazione delle ex aree del Demanio e
delle aree industriali dismesse. Mentre loro, gli immobiliaristi, dispongono di
una leva finanziaria completamente diversa, a noi la banca dà un appoggio
soltanto se abbiamo una certa consistenza patrimoniale. Di qui l’unione in
consorzio».
Fonte
- La Repubblica - Affari & Finanza
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Di fronte alla più grande bolla che
si sia mai vista al mondo
«È la più grande bolla immobiliare della
storia». L’allarme L’Economist, il prestigioso settimanale inglese, lo ripete da
almeno due anni. Paventando anche, se la bolla non si sgonfierà, uno scenario
catastrofico, con conseguenze che si irradieranno dal comparto a tutta
l’economia, innescando una recessione globale. «Mai i prezzi in termini reali
sono cresciuti così tanto, così a lungo e in così tanti paesi», ha sentenziato
il settimanale. Una vera globalizzazione della corsa dei prezzi, che va dalla
Gran Bretagna alla Cina, dall’Australia alla Francia, dagli Stati Uniti alla
Francia.
Secondo le stime dell’Economist, il valore
totale degli immobili residenziali nei paesi sviluppati è cresciuto dai 30
trilioni di dollari a più di 70 trilioni negli ultimi cinque anni: un incremento
che è equivalente notano gli esperti al 100 per cento dei Pil di tutti i paesi
messi insieme. Non v’è traccia di nulla di simile nel passato, neppure in
relazione alle grandi bolle dei mercati azionari, neppure negli anni 20. Da qui
l’allarme, ripreso poi più volte sia dall’Ue che dal Fondo monetario. Soltanto
il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, non aveva prestato fede a
queste reiterate preoccupazioni. Ma alla fine dello scorso mese ha cambiato idea
anche lui e ha lanciato l’allarme.
A guardare i dati c’è da rimanere stupefatti.
Sembra che la ricchezza immobiliare sia stata toccata in questi ultimi otto
anni, dal 1997 al primo semestre del 2005, da re Mida. Si è assistito a
un’incredibile moltiplicazione dei valori. Il caso limite, secondo l’indice
elaborato dall’Economist, è quello del Sud Africa, dove i prezzi sono cresciuti
in questo lasso di tempo del 244 per cento. Ma anche i proprietari di case
irlandesi, britannici e spagnoli possono gioire, con rincari rispettivamente del
192, del 154 per cento e del 145 per cento.
Un po’ più indietro troviamo l’Australia con il
114 per cento, e poi un gruppo di paesi, fra cui l’Italia: Francia con l’87 per
cento, Stati Uniti con il 73, Svezia con l’84, Nuova Zelanda con il 66, Belgio
con il 71 e il nostro paese con il 69. Uniche eccezioni la Germania, con un
aumento pari a zero, e il Giappone, con un regresso pari al 28 per cento.
Non si ha un’esatta idea di cosa è accaduto se
si guardano soltanto questi indici generali "per paese". Perché questi sono
aumenti medi, ma si sa che nei piccoli centri la dinamica dei prezzi è ovunque
in Europa e nel mondo di gran lunga più tranquilla. La corsa è più accentuata
nelle grandi metropoli dove il patrimonio abitativo non può espandersi con
facilità, e anche se lo fa soprattutto in Europa ciò succede nelle aree più
periferiche. Quindi dietro queste medie si nascondono in realtà, anche per un
paese come l’Italia che ha avuto una dinamica non fra le più esasperate,
raddoppi e anche triplicazioni di valore per gli immobili più prestigiosi dei
centri storici delle principali città.
Più che una festa, un’orgia. Con la fallace
impressione di aver trovato, con l’immobile, la pietra filosofale che trasforma
in oro qualsiasi cosa. Ma le illusioni non possono andare avanti all’infinito, è
questo il senso dell’avvertimento che ormai tutte le principali istituzioni del
pianeta stanno dando. Sperando che la febbre diminuisca a poco a poco e che non
ci sia il temuto collasso che potrebbe trascinare con sé l’intera economia
mondiale.
Ma che cosa può accadere se alla fine scoppia
la bolla, magari cominciando dagli Stati Uniti, dove i prezzi nel primo
trimestre del 2005 sono saliti a un ritmo del 12,5 per cento?
«Il boom spiega
Marcello De Cecco, ordinario di Economia monetaria all’Università di Roma La
Sapienza si può bloccare sia dalla parte della domanda, perché i redditi non
seguono più i prezzi, sia dalla parte dell’offerta, perché aumentano i tassi
d’interesse. Il punto è che gli Stati Uniti devono per forza aumentare i tassi
per attrarre i capitali. Ma normalmente tengono questo processo sotto controllo,
ed è difficile che i tassi possano loro sfuggire di mano. L’unico pericolo
potrebbe essere uno shock esogeno oggi inimmaginabile, o la compresenza di due o
tre spinte impreviste, che facciano salire i tassi in maniera incontrollabile».
Ma la recessione può arrivare anche per altre
vie che non siano una forte ascesa dei tassi, anzi proprio mentre i tassi sono
bassi. In questo caso i prezzi delle case comincerebbero a scendere. E negli
Stati Uniti, con gli americani superindebitati con i mutui, le banche potrebbero
chiedere ai clienti di rientrare di parte del prestito. Impossibilitati a farlo,
molti venderebbero le case, con ulteriori effetti recessivi sui bilanci delle
banche e sull’economia.
In questo caso, la recessione si allargherebbe
a macchia d’olio in tutti i paesi occidentali, e a poco servirebbe ricordare che
in Italia, secondo le statistiche, i prezzi sono aumentati meno che in altri
paesi. Il diluvio, una volta iniziato altrove, arriverebbe anche nel Bel Paese.
Per fortuna uno scenario così catastrofico, sebbene possibile, è abbastanza
improbabile. In Italia, ad esempio, nell’ultimo anno sono diminuite le
compravendite e si è dilatato il tempo necessario a realizzare una
compravendita. Un inequivocabile segnale che il boom sta finendo. C’è da sperare
che questo accada anche negli altri paesi, e soprattutto negli Usa.

Fonte
- La Repubblica - Affari & Finanza
Banche in crisi
se scoppia la bolla
immobiliare
(28 Settembre 2005)
Se dovesse scoppiare la bolla
immobiliare, il sistema bancario nel nostro paese potrebbe risentirne
con una riduzione dell’utile lordo pari al 7%. A tradurre in sostanza i
timori degli economisti è stato Francesco Maria Frasca, funzionario
generale della Banca d’Italia citando i risultati di alcune prove
cosiddette di “stress” effettuate in Italia per “verificare gli effetti
sulla stabilità del sistema finanziario in presenza di una riduzione dei
valori degli immobili”. L’ultima bolla immobiliare, ricorda il
funzionario di via Nazionale, risale al 1992, quando i prezzi degli
immobili crollarono dopo aver raggiunto il picco.
“Dagli esercizi effettuati – ricorda
appunto Frasca, intervenuto a un convegno dedicato al mercato dei mutui
- è emerso che si avrebbe una riduzione del totale degli utili del 7%”.
I prezzi degli immobili residenziali, ancorché cresciuti a dismisura
negli ultmi anni, “sono leggermente superiori ai valori registrati con i
picchi del ‘92”, mentre per i non residenziali si è leggermente al di
sotto dei valori del ‘92 ha osservato Frasca. Il monitoraggio effettuato
in Italia dagli istituti di credito viene realizzato anche e soprattutto
in quei paesi dove i prezzi degli immobili sono cresciuti di più, come
Gran Bretagna, Spagna, Irlanda.
Fonte -
Miaeconomia.it
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Usa, crolla
l’indice mutui-casa
(28 Settembre 2005)
Crollano le richieste di finanziamento
ipotecario negli Stati Uniti. Nella settimana conclusa il 23 settembre,
il relativo indice che misura la dinamica delle richieste di prestito
ipotecario ha registrato un calo del 6,6%, attestandosi a 721,2 punti da
772,2 di sette giorni prima, ovvero i minimi da quattro mesi.
La flessione è stata trainata
soprattutto dal crollo registrato dalle domande di rifinanziamento dei
mutui già in essere che hanno lasciato sul mercato il 10,5%. Va
ricordato che questo meccanismo è molto prezioso per l’economia
americana, perché viene utilizzato dai cittadini per alimentare la
propria liquidità e sostenere i consumi personali.
Giù anche le richieste di mutuo
finalizzate all'acquisto di una casa, diminuite del 3,4%. Il dato
conferma un certo rallentamento nel settore, in scia al trend in rialzo
dei mutui ipotecari e alla corsa dei prezzi degli immobili.
Fonte -
Miaeconomia.it
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