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INDICE ARTICOLI

PARTE  2

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Le verità nascoste sulla separazione Telecom-Tim

Prodi voleva la superholding delle reti

E trattavano Ricucci da pezzente

Telecom, parla il superteste

Cosa resta di Telecom

Scandalo Telecom e schema Ferruzzi

 
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+++   La svolta di Telecom   +++   Telecom si fa in tre   +++   Prodi all'oscuro sulla questione Telecom   +++   Tronchetti si dimette   +++   Scandalo intercettazzioni, la Procura indaga   +++

Mercoledì  6  settembre 2006   Sabato  9  settembre 2006   Martedì  12  settembre 2006   Mercoledì  13  settembre 2006
     
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  Le verità nascoste sulla separazione Telecom-Tim

12 Settembre 2006 Roma - di Oscar Giannino
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*Oscar Giannino è il Vicedirettore di Finanza&Mercati

Caro direttore, Marco Tronchetti Provera ce l'ha messa nel sacco, ieri. Per l'ennesima volta, a dire la verità, visto che è la terza volta in cinque anni che cambia radicalmente le carte in tavola nella "sua" Telecom.
Tutta l'estate passata per l'ennesima volta coi media a scannarsi sulla Mediaset di Berlusconi, per decidere se espropriarla di una rete modificando la legge Gasparri, oppure se rendere il Cavaliere stesso incandidabile alle elezioni, modificando la legge Frattini sul conflitto d'interesse. Ma non una sola parola, su quanto bolliva nella pentola Telecom. Tronchetti ha dato in esca ai media per mesi e mesi l'indiscrezione del suo incontro con il magnate australiano Rupert Murdoch, per far scatenare l'immaginazione su ulteriori sviluppi ancor più del suo megagruppo di tlc. Senza che nessuno osasse scrivere che in realtà Tronchetti lavorava alacremente allo smantellamento di quello che resterà negli annali come un colossale errore industriale e finanziario.
Riuscire a ottenere il silenzio pressoché assoluto è da maestri, quando si guida un gruppo che controlla la dorsale delle tlc strategica per il Paese e come tale considerata asset sensibile anche dalla Nato, quando si realizzano profitti per quasi 4 miliardi di euro l'anno, quando si controlla il 40% delle telefonia cellulare italiana. E soprattutto quando si è inquinato per anni la vita pubblica italiana con migliaia di intercettazioni illecite, su cui la Procura di Milano ha indagato per annimaha finora fatto cadere il silenzio.
Complimenti a Tronchetti, dunque. Dice assai poco anche lo scarno comunicato diramato ieri sera dopo il cda di Telecom. L'organo ha approvato all'unanimità l'opportunità di valorizzare al meglio la rete fissa e quella mobile della società, e dunque si procederà al loro scorporo. È evidente che nessuna persona seria al mondo dovrebbe evitare di presentare un'operazione simile se non come l'estrema risorsa per far fronte a un fallimento di strategia. Duplice: finanziario e industriale.
Finanziario, per il semplice fatto che il prezzo pagato da Marco Tronchetti Provera cinque anni fa ai bresciani di Hopa per assicurarsi il controllo dell'azienda - oltre 4 euro per titolo - si è rivelato totalmente lunare. Complice l'esplosione della bolla Internet pochi mesi dopo, resta il fatto che l'errore c'è tutto ed è rimasto irrimediabile nel tempo.
Un errore industriale pagato molto caro
Il secondo errore è quello industriale: visto che meno di due anni fa, per far fronte al debito divenuto col tempo sempre più pressante, gli stessi azionisti di controllo di oggi si presentarono davanti a tutti gli altri azionisti sostenendo la bontà redentrice della sinergia tra telefonia fissa e mobile, unendo ciò che era diviso.
In realtà, fecero così solo per portare meglio in alto alla lunghissima catena di controllo, incorporando Tim in Telecom, il ricco cash flow che era la società dei telefonini soprattutto a generare. Era una mera emergenza finanziaria a ispirare la mossa, altroché sinergia industriale. E oggi, solo pochi mesi dopo, gli stessi controllanti e manager sostengono l'esatto opposto. Scusate tanto ma ci siamo sbagliati, fisso emobile sono due mondi separati, il futuro sta tutto nel fisso su cui passa la banda larga e i servizi-dati per le imprese, oltre all'offerta di Tv con protocollo Internet.
Dunque si separa ciò che era stato unito: dopo aver speso ben 14 miliardi di euro per acquistare le azioni Tim sul mercato, per evitare che la quota di Telecom non fosse adeguata a procedere poi all'incorporazione. Da allora, il titolo Telecom è sceso da 3 a 2 euro, e la cosa si giudica da sé. L'ironia della sorte vuole che lo scorporo di fisso e mobile fosse stata già una delle proposte avanzate da Colaninno, per fronteggiare al meglio il problema del debito successivo all'acquisizione: ma allora i giornali e la comunità finanziaria si mobilitarono ferocemente contro, Colannino venne sopravanzato dalle critiche e la proposta fu ritirata.
Che singolare contrasto, col totale e compiacente silenzio che Tronchetti Provera ha saputo costruire intorno alle proprie giravolte aziendali, militarizzando all'interno il proprio gruppo e ottenendo dai media italiani solo applausi e consensi grazie a una straordinaria abilità nel dosare massiccio advertising e brutali messe al bando, per chi ogni tanto ha osato criticare. Ma, ancora una volta, anche oggi è la pura emergenza finanziaria, a dettare la scelta. Ma qui ancora il mercato non sa bene tutto ciò che c'è da sapere.
Perché i casi, a stringere, sono due. Pirelli e la catena di controllo sovrastante, governata con una spaventosa leva finanziaria dalla Sapa Tronchetti, si erano apparentemente messi in condizione di poter onorare anche le prossime uscite da Olimpia delle banche, dopo Hopa, e persino le conversioni di debito previste per Telecom l'anno prossimo. Dunque, la prima ipotesi è che il debito Telecom fosse in realtà assai superiore, ai poco meno di 40 miliardi di euro dichiarati. Non ci sarebbe da stupirsi troppo: in tempi di tassi d'interesse che crescono, quando si ha un debito simile in pancia ci si copre a tutti i livelli possibili con derivati, e magari su qualcuno di questi ci si trova scoperti.
Magari per altri miliardi, che nei libri contabili non risultano. Fino a non poter più guardare per il sottile, se si è sbagliato il conto su tassi d'interesse: tanto vale dichiarare lo stop liability, come si chiama in gergo la zattera di salvataggio da debiti insostenibili pur in presenza di forti utili come avviene in Telecom.
E dunque, cedere la telefonia mobile agli stranieri - Telefonica la vedo in forse, tra un valore della società sui 15 miliardi e debiti per una ventina in più sarebbe un bell'esborso, meglio invece i fondi esteri di private equity, con in testa quel fondo Carlyle guidato da Marco De Benedetti che la Tim l'ha guidata per anni e domani potrebbe, chissà, rivenderla al padre.
Poi aprire la rete fissa all'ottemperanza delle condizioni di uso universale per tutti i concorrenti che da mesi l'Agcom chiededi adottare, sul modello di quanto è stato fatto per British Telecom in Gran Bretagna. E infine rinchiudersi in un'altisonante terza scatola residua, la famosa "media company" che convoglierebbe i servizi commerciali di Telecom svolti su rete fissa per aprirsi alla mitica "convergenza" di tv, pc, film e dati che da ieri è la nuova parola d'ordine dei tronchettiani.
In effetti, ieri è stato annunciato l'accordo per cui la Fox dell'australiano Murdoch cede ad Alice - il portale di servizi Adsl di Telecom Italia - l'utilizzo della sua library cinematografica. Ma quando non si hanno contenuti in proprio, la media company si riduce a poca cosa, poco più che la capacità di offrire l'infrastruttura di trasporto e l'intermediazione col cliente. Per avere un'idea basti il seguente particolare: a oggi il portale Alice, quanto di più simile alla "media company" c'è nell'intera pancia di Telecom Italia, vanta ricavi per una dozzina di milioni di euro l'anno: milioni di euro, non miliardi, avete letto bene.
La media company aperta a nuovi soci
Ora, a parte il fatto degli immensi problemi posti da chi comprerebbe la rete mobile - non ne resterebbe una sola sola in Italia su quattro, alla faccia dei grandi capitalisti italiani pronti a presentarsi come modelli di successo rispetto alla politica ingolfata - la ritirata di Tronchetti sarebbe una sconfitta epocale di per sé, di quelle da non potersi più presentare davanti a Financial Times e Wall Street Journal con l'idea di essere il Gianni Agnelli della nuova Italia.
Ma c'è un altro caso. Quello in cui Tronchetti resti sì solo nella media company tanto per non smobilitare del tutto. Ma in realtà, azzerato o quasi il debito concentrandolo nella Tim cedenda, apra decisamente a terzi - bisogna sperare privati - anche il capitale della rete fissa, e con ciò Tronchetti sciolga pressoché definitivamente il vincolo che teneva Pirelli ancorata al pachiderma telefonico dai piedi d'argilla.
Al momento, fossimo soci di Telecom a cui venisse sottoposta in assemblea l'ennesima giravolta, ci verrebbe solo voglia di dire che chi ha già detto due volte in cinque anni cose tanto diverse e di tanto si è sbagliato, di credibilità ne ha pochissima se non zero. E compreremmo azioni della Fastweb guidata da Stefano Parisi, ché loro almeno la media company con offerte convergenti su rete fissa l'hanno già realizzata da anni, investendo su una rete a tecnologia decisamente più avanzata di quella Telecom.

 

Fonte - Libero

 

 

 

 

E TRONCHETTI GETTA LA SPUGNA

15 Settembre 2006  Milano - ANSA
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Il presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, si e' dimesso. Al suo posto arriva Guido Rossi, attuale commissario straordinario della Federcalcio, una sorta di "commissario" anche in questo caso, per poter traghettare il colosso delle TLC verso nuovi assetti. Lo si e' appreso da fonti finanziare mentre era in corso il cda del gruppo.
Dopo le dimissioni presentate da Tronchetti - secondo quanto e' filtrato dalla riunione - si è aperta una discussione all'interno del consiglio sul passo indietro del presidente e sull'opportunità per il board di accettare o meno la sua decisione. Ma poi Tronchetti ha spiegato che le sue dimissioni "sono irrevocabili" e quindi il cda le ha accettate (leggere il comunicato).
(Nota: il titolo Telecom Italia, quotato con l'ADR al New York Stock Exchange, dopo essere stato in ribasso per tutta la seduta, ha chiuso alla fine ai massimi in rialzo +0,49% a $28.67 con un volume di 468.700 pezzi scambiati. Il prezzo di apertura era stato di $27.75 e il minimo a $27.61. Cio' significa che gli operatori americani giudicano le dimissioni di Tronchetti Provera positive per il gruppo di Tlc).
Immediato il commento del ministro dei Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti: "E' una decisione autonoma del Cda, come è giusto che sia, e il governo ne prende atto. L'esecutivo non deve decidere i dirigenti di azienda, ma quello che per noi è importante è che siano chiariti i dubbi e le preoccupazioni di fronte alla strategia e alle prospettive di Telecom". Parla invece di vicenda poco chiara il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: "Gli ultimi sviluppi dimostrano ancor di più che si tratta di una vicenda dai troppi punti oscuri, che vanno chiariti anche nelle sedi parlamentari".
"Quello di Tronchetti Provera è un atto doveroso, sono dimissioni che per lo meno permetteranno di fare chiarezza". Lo ha affermato il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro rilevando che "quando avevamo invocato le sue dimissioni, non era stato per il gusto di chiedere la testa di qualcuno, ma perché evidentemente c'erano e ci sono delle responsabilità oggettive su vicende poco limpide".
Tutta l'operazione, osserva il Ministro, "é risultata da subito poco chiara, inquinata anche da vicende che con Telecom non avevano nulla a che fare". Le dimissioni, aggiunge Di Pietro, "parlano chiaro sulle responsabilità e sulla bontà dei fatti degli ultimi giorni e ora si rimedi al più presto e si faccia un po' di luce su questa debacle del capitalismo italiano". "A noi - conclude Di Pietro - interessa di più garantire le persone della fabbrica e non quelle della barca".
La bufera politica era montata sempre piu' nelle ultime ore sul caso Telecom. Il governo aveva detto no qualcher ora fa alla richiesta dell'opposizione di centro-destra di presentarsi in aula. Si erano fatte sempre piu' pressanti le richieste della Cdl perché l'esecutivo chiarisse in Parlamento la questione del piano di riorganizzazione Telecom e dell'annunciato scorporo di Tim e il "piano segreto" presentato da Rovati, stretto collaboratore di Palazzo Chigi.
Il segretario di Alleanza Nazionale Fini ad un certo punto ha incalzato: "Perché Prodi non viene alle Camere? Cos'ha da nascondere? Forza Italia per parte sua ha presentato subito dopo un'interrogazione parlamentare. E mentre il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha detto: 'Governo in aula? Martedi' decideranno i capigruppo', il presidente del Consiglio Romano Prodi ha fatto scalpore commentando da Shangai: "Riferire in Parlamento? Ma siamo matti?".
"Mi diverto in questo periodo a ribaltare le cose - ha ironizzato invece il leghista Bobo Maroni - ad immaginare cioe' che quello che sta avvenendo su Telecom, come del resto sulle pensioni, lo avesse fatto il governo Berlusconi: ci sarebbero gia' le piazze piene, 7-8 scioperi convocati, programmati ed effettuati, il mondo della cultura che insorge e si strappa le vesti". "Invece qui sembra che sia tutto regolare - ha proseguito l'esponente leghista, - la merchant bank di Palazzo Chigi su Telecom ha fatto tutto in regola: noi abbiamo chiesto a Prodi di venire in Parlamento, ha risposto che 'siamo matti', l'avesse detto Berlusconi si sarebbe gridato al regime, alla violazione dei diritti della democrazia". "Mi sembra - ha concluso - un mondo all'incontrario, una grave anomalia".
In serata e' continuata lo scontro tra i Poli sulla vicenda Telecom. Il ministro Vannino Chiti rende nota la disponibilita' del governo a riferire in aula. 'Per un'informativa su Telecom e non per discutere di pettegolezzi', dice. Ed ecco altre reazioni alle dimissioni di Tronchetti Provera. Per Di Pietro: 'dimissioni doverose'. La Cdl insiste nel chiarire tutto in Parlamento. Berlusconi: 'su Telecom a rischio la credibilita' dell'Italia'. Fini: 'ora la vicenda e' piu' oscura'.
Marco Tronchetti Provera e' rimasto alla guida del Gruppo Telecom Italia dal 2001 a questa sera. Un ruolo rivestito a partire dall'acquisizione fatta dal Gruppo Pirelli di cui egli era gia' presidente e di cui aveva assunto sin dal 1992 la guida operativa. Nato a Milano nel 1948, il manager si laurea in Economia nel 1971 alla Bocconi e comincia a lavorare nell'attivita' familiare dei trasporti marittimi. Nel 1986 il salto, rappresentato dalla entrata nel Gruppo Pirelli (sposando una delle figlie della nota famiglia milanese). Tronchetti Provera e' assurto anche a numerose altre cariche, come quella di vice presidente della Confindustria, componente del direttivo di Assonime, del Gruppo italiano della Trilateral Commission e presidente della Camfin, la holding che detiene la maggioranza azionaria di Pirelli & C.

Fonte - ANSA

 
 

 

 

  Prodi voleva la superholding delle reti

15 Settembre 2006 Milano - di Francesco Nati
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Una superholding controllata dalla Cassa depositi e prestiti e affidata alla guida di Franco Bernabè, in cui far confluire le grandi reti infrastrutturali del Paese, Telecom compresa. Questa la vera posta in palio nel braccio di ferro tra il governo e Marco Tronchetti Provera.
Ed è proprio sull’ipotesi di rinazionalizzare gli asset strategici del Paese, con la conseguente uscita di scena del manager dal business della telefonia fissa, che si è consumato lo strappo. Il progetto immaginato da Palazzo Chigi e affidato allo studio Vitale & Associati avrebbe dovuto portare alla nascita di un colosso borsistico da almeno 20 miliardi di capitalizzazione (7 miliardi di Snam rete gas, oltre 4 di Terna e circa 10 della rete Telecom, al netto del debito).
Secondo quanto risulta a Finanza & Mercati, il piano costitutivo della nuova società si trovava da tempo nel cassetto del ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. E il dossier Telecom messo a punto dal consigliere politico-economico di Romano Prodi, Angelo Rovati, che prevedeva lo «spin-off e quotazione successiva del gruppo con partecipazione di controllo da parte della Cassa depositi», ne era evidentemente un tassello fondamentale.
Non è un caso che il governo si sia mosso proprio subito dopo il fallimento delle trattative tra Tronchetti e Rupert Murdoch, che avrebbero permesso di creare un terzo polo alternativo a Rai e Mediaset, ostacolando però il progetto della superholding. Una partita che in qualche modo avrebbe inciso anche sull’operazione Auto-Abertis, alzando la tensione nei rapporti tra il governo e la società di Ponzano Veneto.
Tra le ipotesi sul tappeto, infatti, vi era quella di far entrare in seno alla Cdp anche la rete autostradale. Tensione salita alle stelle nella vicenda Telecom, con il governo che ha mal digerito la marcia indietro di Tronchetti. Per il manager, del resto, il piano del governo sarebbe stato uno schiaffo troppo forte e avrebbe comportato sicuramente la sua uscita di scena. Un boccone reso ancor più indigesto dalla scelta di Palazzo Chigi di affidare la regia dell’intera operazione proprio a Franco Bernabè, l’ex ad di Telecom che si oppose strenuamente all’Opa lanciata da Roberto Colaninno nel 1999, e ora in pole position per prendere le redini della Cassa depositi e prestiti.
L’operazione «Reti italiane holding», peraltro anticipata sabato scorso da Borsa & Finanza, non sembra raccogliere consensi in tutta la maggioranza («Non bisogna compromettere il futuro industriale di Telecom con disarticolazioni, vendite e pubblicizzazioni», ha detto ieri il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani), ma è fortemente sponsorizzata da Prodi. Il progetto messo a punto dai tecnici del governo per riunire sotto un unico cappello gli asset strategici del Paese sarebbe articolato in tre tappe: la realizzazione di un’apposita holding nella Cdp; il trasferimento in tale società delle reti Terna, Snam, Telecom e Autostrade; l’accorpamento delle reti sotto il tetto di un’unica holding controllata dalla Cdp; la quotazione della holding in Borsa.
A livello industriale, spiegano fonti vicine all’Economia, potrebbero essere ricavate sinergie significative per quanto riguarda la manutenzione e la gestione dei rapporti con gli enti locali, elemento quest’ultimo che spesso è causa di ritardi rilevanti. Vista dal lato dell’investitore (vale a dire la Cdp), una superholding avrebbe il vantaggio di mettere insieme diverse tipologie di attività con un basso profilo di rischio e un rendimento stabile nel tempo. Un biglietto da visita che certo non spiacerebbe alle Fondazioni bancarie, principali azioniste della Cassa. E che potrebbe convogliare nel capitale dell’ipotetica Superholding anche un nucleo di soci privati del calibro di Generali, già presente nel capitale di Terna.

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 

 

 

Venerdì  15  settembre 2006   Sabato  16  settembre 2006   Venerdì  22  settembre 2006   Sabato  23  settembre 2006
     
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  E trattavano Ricucci da pezzente

24 Settembre 2006 Milano - di Vittorio Feltri
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I fessi disperati di Telecom si erano ridotti a spiare anche noi di Libero, ai loro occhi colpevoli di aver sgamato ogni lordura aziendale e di averla raccontata in un libro. Titolo dell'opera, Il Grande Intrigo, in cui c'è tutto ma proprio tutto quanto ora viene fuori con mesi di ritardo. Gran parte del volume edito dal nostro giornale è stato scritto da Davide Giacalone (...). È un esperto della materia, tanto è vero che i fetenti della telefonia telecomiana lo hanno intercettato come fosse un criminale mentre i criminali semmai sono loro.
Questo per dirvi con che razza di gente a volte si deve trattare, uomini che se la tirano da morire, un birignao che ti raccomando, barche di qua e supercar di là, un sacco di presidenze, gnocche da infarto e poi, gratta gratta, saltan fuori dei barbonacci abituati a ogni immondizia. Intercettano Davide Giacalone, il quale provvede da sé a riferire cosa gli è toccato subire. A me spettano alcune considerazioni.
Prima considerazione. L'avvocato Guido Rossi ha lasciato la Federazione gioco calcio dove si era annoiato, perché allo scandalo del pallone sono sempre di meno coloro che credono. O meglio. Il calcio è sozzo ma non più del resto, ad esempio l'economia e la politica, per cui è inutile mettere giù tanto ciocco. Rossi ha un naso lungo quarantadue centimetri e ha fiutato l'andazzo ed è montato in groppa alla Telecom che aveva appena disarcionato Tronchetti Provera, suo assistito. A una settimana di distanza, il famoso (anche per le parcelle) legale ha preso le carte degli ultimi consigli di amministrazione e le ha portate in Procura, a Milano, per pararsi le terga. Noi quelle carte non le abbiamo visionate, tuttavia ci punge il sospetto che contengano elementi tali da poter incastrare Prodi.
Se ben ricordate, Tronchetti in piena lite con il premier disse: parleranno i documenti, e si vedrà chi fra me e Romano ha torto in questa storia. Una domanda è ancora sospesa in aria: Rossi è amico di Prodi o di Tronchetti? Fu amico di Prodi, col quale poi litigò. Se è per questo litigò anche con Tronchetti con cui però, grazie a un comune conoscente, si è rappacificato. Quindi? A nostro avviso, Guido baderà anzitutto a salvare la propria faccia. In seconda istanza cercherà di fare l'interesse del cliente pagante Tronchetti e quello del cliente pagante Benetton; Prodi, che non paga, nel suo cuore è all'ultimo posto.
Seconda considerazione. Telecom sta peggio di quanto si pensasse. E di quanto pensasse il neopresidente. I debiti della azienda sono asfissianti. L'imperativo è vendere. Ma a chi? Il piano che prevedeva l'intervento della Cassa depositi e prestiti è saltato. Chi, dicevamo, può comprare l'impresa o un pezzo di essa? Berlusconi oppure De Benedetti. Ne hanno voglia? De Benedetti è uno bravissimo a comprare gratis. Ma ammesso gli regalino il baraccone, chi salda i debiti di cui si è appesantito? Diocarlo non sborsa. Silvio Berlusconi se c'è da sborsare due soldi non si tira indietro, ma solo due. L'idea di abbandonare la politica per gestire i cellulari gli provoca l'orticaria? Attenzione: non dimentichiamo che il Cavaliere ne ha piena l'anima di Casini e Fini e Bossi: se oltre a Telecom (quasi gratis) gli garantissero una sorta di impunità per le grane giudiziarie potrebbe abbandonareil Palazzo rendendo inutile una nuova legge (più severa) sul conflitto di interessi.
Un addio di Silvio alla politica aprirebbe una crisi mostruosa nel centrodestra, già fiaccato dai capricci di Casini e dalla malavoglia di Fini per non dire delle assenza patologiche di Bossi. Che ne sarebbe della Cdl? Impossibile rispondere. C'è da sottolineare che l'elettorato non perdonerebbe a Berlusconi una fuga finalizzata a questioni di palanche. Consiglio al Cavaliere: rifletti a lungo prima di ritirarti; dopo di te, al momento, c'è il deserto.
Terza considerazione. Rammentate Parmalat? Mentre divampava lo scandalo, negli ambienti finanziari si mormorava: il prossimo che finisce nella melma è Tronchetti Provera. Davvero? Sembrava impossibile che un figo come Marco, pieno di boria e - si presumeva - di denaro fosse candidato al traumatologico. Personalmente pensavo: non può essere in bolletta uno che fa il vicepresiden te dell'Inter, cioè la società più spendacciona dell'orbe terracqueo. E invece, guarda un po', quelli che spendono e spandono e vanno a Portofino a esibire il battello talvolta sono alla vigilia del trapasso. Mi domando, ma se tutti erano al corrente che il Fusto di Afef (che bella assonanza) era moribondo, come mai si è atteso fino adesso a far scoppiare il bubbone?
Quando Ricucci scalava il Corriere della Sera, gli azionisti del salotto buono si scandalizzavano perché un palazzinaro romano osava suonare alla loro porta; e tra gli scandalizzati chi c'era? Lui, proprio lui: Tronchetti Provera. Il quale rilasciò un'intervista al Sole 24 Ore in cui faceva cadere le parole dall'alto e criticava Stefano con disgusto, senza dargli del pezzente ma si intuiva che lo pensava. Ecco la Nemesi. Ora a rischio pezze al culo c'è Marco, perché le banche che lo hanno imbottito di prestiti prima di smenarci un euro lo strizzeranno come bucato da stendere.
Quarta considerazione. Gad Lerner, sotto contratto a "La7", emittente di Tronchetti, ha ripreso il programma L'Infedele, giunto alla quinta stagione di sopravvivenza. Auguri. Nessuna novità rispetto al passato tranne un'assenza: quella di Renato Farina, vicedirettore di Libero e consulente della trasmissione. Lerner ha cacciato il vecchio amico e collaboratore perché questi è stato non coinvolto, ma "travolto" dallo scandalo Sismi. Ullallà! Il bravo conduttore ha confezionato uno spot per informare che Farina non è più della partita; Betulla è stato infedele all'Infedele. Pace amen, almeno d'ora in poi sarà solo farina del sacco di Lerner. Vi rendete conto a che punto siamo arrivati? Gad, che sputa in faccia a Farina perché ha dato una mano ai servizi di sicurezza, come si comporterà col suo padrone Tronchetti Provera, presidente di una società che aveva fatto dello spionaggio l'unica attività non in passivo? Per coerenza, dovrebbe dimettersi, ma non lo farà. Senza la farina di Farina si può forse resistere, ma senza il grano (residuale) di Tronchetti non si va in onda. E neanche a spasso in Africa.

 

Fonte - Libero

 

 

 

  Telecom, parla il superteste

24 Settembre 2006 Milano - di Gianluigi Nuzzi e Gian Marco  
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Il superteste dell'affaire Telecom ci dà appuntamento nella hall di un grande albergo di Bucarest. Marco Bernardini, cinquant'anni circa, un passato come agente operativo per il Sisde, detective consulente del gruppo Pirelli per il quale cura la sicurezza nell'area danubiana, è scampato all'arresto in extremis. Il suo nome è in cima all'elenco dell'ordinanza di custodia cautelare che ha mandato in galera venti persone, tra cui il manager Giuliano Tavaroli e l'investigatore privato Emanuele Cipriani. Ci fa una premessa e una promessa: «Non parlo di cose coperte dal segreto istruttorio, ma vi do le giuste chiavi di lettura di una storia che non è quella che leggo sui giornali».
Signor Bernardini, si considera un pentito? «Non sono pentito perché ritengo che quando un magistrato che rappresenta lo Stato pone delle domande, è giusto rispondere. E peraltro nessuno si è accorto, o fa finta di non accorgersene, che gli ordini di custodia cautelare erano pronti già dalla metà di luglio mentre io sono stato ascoltato solo ai primi d'agosto, ovvero a cose fatte».
Ma lei, «confessando», ha evitato il carcere e ha rivelato cose che hanno messo nei guai alcuni suoi coindagati... «Intanto io non ho confessato nulla. Mi sono stati contestati fatti a cui io ho risposto: a un Pm si può non rispondere, mentire o dire la verità. Io ho scelto quest'ultima strada. Leggo sui giornali che le mie dichiarazioni occupano nove pagine, ma leggo anche che ci sono dichiarazioni “confessorie” che hanno riempito oltre 39 pagine, quindi non credo di essere io il pentito di cui si parla né il supertestimone. Un pentito ha dei benefici, io non ne ho avuti».
Evitare la galera è un bel beneficio... «Se non mi hanno arrestato è perché evidentemente non ce n'era più motivo. E comunque io ho perso il lavoro. E da ieri sono anche preoccupato».
Sta dicendo che teme per la sua vita? «Anche. Ma intendevo dire che sono pre-occupato, cioè avevo degli incarichi di consulenza con alcuni gruppi industriali che giusto ieri mi sono stati revocati. Non disoccupato, non inoccupato, ma pre-occupato».
Ha detto però che teme per la sua vita... «Essendo indicato come il responsabile dell'arresto di 20 persone posso anche pensare che qualcuno si voglia vendicare mettendomi una palla in testa o che, pensando che io sia depositario di chissà quali segreti, pensi a togliermi di torno».
Questa storia di Telecom ha già un morto eccellente… «Sì, il mio amico Adamo Bove. Persona stimata, professionista serio. Per quello che ho saputo era molto preoccupato che qualcuno potesse fare molto del male a lui e alla sua famiglia»

Qualcuno chi? «Qualcuno che probabilmente ha cercato di screditarlo anche professionalmente. E non intendo i giornalisti che lo hanno esposto alla gogna mediatica ma qualcuno a lui molto vicino».
Lei ha fatto il nome al magistrato? «Su questo punto non rispondo perché c'è il segreto istruttorio».
Se la dovessero chiamare i magistrati di Napoli che indagano sulla morte del manager di Tim, lei sarebbe disposto? «Ripeto: se un magistrato chiede non vedo perché non rispondere».
Lei crede al suicidio dal cavalcavia della Tangenziale di Napoli? «Io posso solamente dire che non prendeva l'aereo perché soffriva di vertigini».
Per restare a Bove, però, ci sono le dichiarazioni accusatorie della sua segretaria che parla di ordini inusuali che le venivano dati per fare ricerche sui tabulati attraverso il sistema «Radar». «Rimango profondamente perplesso. Adamo non faceva assolutamente queste cose. Io lo frequentavo spesso per discutere dei lavori di natura particolarmente delicata e non illecita che mi affidava riguardante la tutela dell'azienda da rischi di varia natura. Quasi tutti i dirigenti della Security di Telecom mi davano incarichi dello stesso tema».
I suoi rapporti con Tavaroli e Cipriani. «Con il fiorentino (Cipriani, ndr) ho lavorato per un periodo di tempo, poi come tutti gli addetti ai lavori sanno, essendo persona che paga poco, molto in ritardo, che rincara del duecento per cento lavori fatti da altri, ho preferito interrompere ogni rapporto. Quanto a Giuliano (Tavaroli, ndr) è un caro amico, professionalmente è il migliore che ci sia, gli devo molto e mi è stato vicino in momenti difficili come io gli sono stato vicino fino a pochi giorni fa...»
Bell'amico se lei ha contribuito a mandarlo in galera. «Guardi, quello che io ho detto è a verbale e non ne posso parlare. Il tempo è galantuomo, chi ha facoltà di leggere gli interrogatori sa che io non ho contribuito a mandarlo in galera, anzi. A condannare il mio amico ci hanno pensato altri, anche interni a Telecom. Giuliano dava fastidio perché è un professionista serio, non è quel mostro che viene dipinto. Non avrebbe mai accettato di farsi corrompere né avrebbe mai permesso che qualcuno danneggiasse il gruppo e Marco Tronchetti Provera».
Chi ha provato a corromperlo? «Forse qualcuno, mandato da qualcun altro, provava a ottenere appalti o favori in maniera proprio non lineare ricorrendo anche alle minacce...».
Torniamo a Tronchetti Provera. In molti - secondo le vostre indagini - hanno provato a danneggiare il suo gruppo? «Sì, e il fatto che nonostante le dimissioni del Presidente si siano continuati ad accanire sull'azienda vuol dire che probabilmente Giuliano era solo uno strumento per colpire più in alto. Non mi riferisco ai magistrati bensì a certe campagne stampa...».
Il riferimento va alle accuse di Tronchetti a Repubblica dopo il suicidio di Bove? Per questo lei ha indagato su De Benedetti? «Vorrei far presente una cosa: tutti gli imprenditori se hanno il dubbio che qualcuno si comporta in maniera scorretta cercano di prendere informazioni. Non capisco perché se lo fa una multinazionale, la cosa deve suscitare scalpore. Avete scritto che noi schedavamo i dipendenti, nemmeno fossimo la Gestapo o il Kgb. Una follia. Vi faccio un esempio: c'era un dipendente che lavorava come autista del gruppo e con la macchina aziendale, una volta lasciato un alto dirigente, effettuava acquisti e vendite di modeste quantità di droga. Il compito della Security è tutelare anche l'immagine del gruppo oltreché l'integrità fisica dei propri dipendenti. Nessuno si scandalizza se le banche chiedono informazioni per farti aprire un conto, se le famiglie chiedono referenze sulle colf. Se Telecom si tutela diventa un reato. Assurdo».
Ma lei non ha risposto su De Benedetti... «È scritto nell'ordinanza che ho fatto delle indagini, lo confermo. Se mi hanno dato incarico di farle evidentemente c'erano motivi validi».
Quali? «Non ne posso parlare perché sono cose molto serie, e gravi. Comunque le ho riferite al magistrato».
Ha indagato su De Benedetti padre e figlio? «Padre e figlio».
Ma quest'ultimo non lavorava in Telecom? «Appunto, lavorava. Le prime veline su Telecom Serbia pubblicate su giornali non proprio amici dell'azienda, forse arrivavano dal suo entourage...».
Ha spiato giornalisti? «Spiato è una parola grossa, diciamo che si cerca di avere delle chiavi di lettura su come alcuni cronisti, divulgando informazioni riservate sul gruppo, possono provocare un crollo in borsa a vantaggio di ditte concorrenti».

Ma perché proprio lei, e non altri investigatori, ha indagato sui De Benedetti? «Perché uno dei compiti specifici che avevo era quello di indagare su dipendenti o dirigenti che abusavano del loro ruolo ai danni del socio o dell'azienda».
Ne ha trovati? «Ne ho trovati, certo. Molti altri sono ancora al loro posto mentre Giuliano, che li aveva messi sotto audit, è dentro».
Politici spiati? «No comment».
Sportivi? «Non io».
Gente dello spettacolo? «Poca roba».
Ma che c'entrano attori e veline con Telecom? «Io non so il motivo per cui veniva chiesto un accertamento, magari queste persone speravano di poter essere appoggiate per lavorare su qualche televisione o magari fare spot per l'azienda».
Ha svolto lei indagini su Della Valle, Tanzi, Geronzi, Carraro ecc? «Solo sul duo Della Valle-Tanzi. E dirò di più. Ho dato un importante contributo per il ritrovamento all'estero di parte del tesoro di Parmalat».
Lei passerà alla storia come il piromane di Telecom per il falò alle porte di Milano dove vennero distrutti i dossier più delicati. Come andò realmente? E cosa c'era in questi rapporti? «Io non c'ero al falò ma se ho dato ordine ai miei uomini di bruciare tutto è perché ho avuto ordine di farlo».
Da chi? «L'avete anche scritto sui giornali, da una stagista di Pirelli che aveva fatto training dal ragioniere fiorentino».

E lei prende ordini da una stagista? «Io non prendevo ordini ma incarichi, e li prendevo da chi aveva il potere di darli. Quanto al falò va fatta una precisazione: da contratto nessun fornitore deve tenere copia dei lavori svolti perché un'eventuale divulgazione comporta il pagamento di una penale. Noi avevamo da parte i lavori fatti perché Telecom e Pirelli tardavano a saldare le fatture, conseguentemente facemmo presente che se non ce le saldavano significava che i lavori non erano di fatto mai stati realizzati e che quindi il materiale poteva anche essere divulgato non avendo alcun obbligo con alcun committente».
Sì ma voi distruggete tutto all'indomani della perquisizione a Tavaroli. «La magistratura aveva già sequestrato negli uffici Telecom tutti i nostri lavori, quindi non dovevo bruciare niente di compromettente. Volevo solo evitare di pagare penali».
Rapporti con il Sismi? «Quando uno tutela una grande azienda all'estero spesso li può avere. Il problema non è parlare con persone delle istituzioni o fare brain storn con esperti di settore riguardo eventuali avvenimenti. Fino a prova contraria credo che sia un reato frequentare latitanti, non appartenenti a forze istituzionali».
Sa niente del sequestro Abu Omar? «Parliamo d'altro. Diciamo che mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
La sua Global Security a un certo punto prende il posto del gruppo Cipriani nel lavoro con Telecom, e anche voi schizzate con il fatturato... «La Global non è una mia ma del mio amico Giampa (Giampaolo Spinelli, ex Cia) che rappresentavo qui in Italia. Dal momento che Cipriani non poteva più lavorare a seguito di alcune inchieste, parte dei lavori ci vengono affidati. Telecom come Pirelli si avvale di circa dieci-quindici agenzie. Noi rileviamo solo una parte degli incarichi».
Ha parlato di Spinelli, amico di quel Bob Lady, capocentro a Milano, su cui pende una richiesta d'arresto per il rapimento dell'imam di viale Jenner. «Anche qui è un'altra gogna. Un conto è essere amici, un conto è frequentare qualcuno, un altro è essere complici in eventuali illegalità. Se Marco Mancini del Sismi, e dico se, c'entra col sequestro, non vuol dire che il suo amico Tavaroli è complice nel sequestro. In Italia si fa spesso due più due, si fanno teoremi e poi si vanno a cercare le prove che li vadano a suffragare».
Mai avuto rapporti diretti con Tronchetti? «No, mai. Per un periodo facevo da supervisore alla scorta personale di MTP (Marco Tronchetti Provera, ndr)».
Nello scandalo Brasil Telecom, la società di investigazioni Kroll si disse che indagava su Afef, la moglie di Tronchetti Provera. Vi siete occupati anche della signora? «In quel periodo tutte le risorse investigative dell'azienda si occupavano di questo, d'altronde erano anni che la Kroll cercava di colpire il gruppo e Giuliano Tavaroli. L'ex capocentro di Milano del Sisde che si occupava del settore minacce economiche diversificate, è stato anche direttore della Kroll e so che aveva anche un risentimento personale contro Giuliano e che mirava a prendere il suo posto ai vertici dell'azienda».
Nell'ordinanza si legge un passaggio del suo interrogatorio nel quale lei parla di un «ricatto» a Telecom. «È stato riportato sui giornali e in forma distorta. La storia è questa. Cipriani finisce nei guai, gli vengono congelati gran parte dei soldi, così lui si rivolge a Telecom e Pirelli giocando sporco: chiede una somma a fronte di quella che gli era stata “congelata” per non dare la chiave di decriptazione dei Cd con i dossier da lui mantenuti alla magistratura. Contestualmente giustifica tale richiesta dicendo che parte dei soldi li aveva dati a Giuliano, cosa falsa. Scredita Giuliano dichiarando cosa non vera per vendicarsi del non interesse sull'argomento da parte del suo ormai ex amico che non aveva voluto appoggiare questa sua iniziativa».
Lei accusa il manager di Telecom, Ghioni, di aver svolto azioni piratesche con accessi abusivi in sistemi informatici. Accuse gravi. «Su questo c'è un'indagine in corso e non posso parlare».
È Fabio Ghioni il manager di cui Bove aveva paura? «Non mi risulta che i due fossero amici. La stessa segretaria di Bove, che poi passa a lavorare con Ghioni, non aveva un rapporto idilliaco col Adamo. Stando a quanto dichiara ai magistrati riferisce cose che mi lasciano alquanto perplesso».
Ma voi come facevate a spiare e a intercettare mezza Italia? «Noi monitoravamo da vicino le persone con il vecchio classico sistema di ocp (osservazione, controllo, pedinamento, ndr) e raccogliendo informazioni. Noi non abbiamo mai effettuato intercettazioni telefoniche o di alcun tipo. Noi, e non altri, indagavamo su persone che si vendevano tabulati e traffici telefonici tramite call center».
Un'ultima domanda. Perché è stato ascoltato da un magistrato della Direzione distrettuale antimafia? «Non ne ho la minima idea».

 

Fonte - Il Giornale


 

 

Giovedì  14  settembre 2006   Sabato  16  settembre 2006   Mercoledì  20  settembre 2006   Martedì  26  settembre 2006
     
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  Cosa resta di Telecom

24 Settembre 2006 Milano - di Sara Bennewitz
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Ma quanto valgono oggi le parti di Telecom Italia? La domanda è d’attualità in tutte le case di investimento europee (e non solo) impegnate, chi più chi meno, a preparare dossier per eventuali M&A delle entità in via di scorporo (la Rete e Tim).
E dove bisogna pesare in giusta misura le variabili politiche, regolamentari e (timore sempre più diffuso) anche giudiziarie dell’affaire Telecom. Il finale in picchiata della scuderia Pirelli-Telecom, nell’ultimo scorcio della settimana, è la conferma che il nervosismo rischia di far premio sui fondamentali del gruppo tlc. O di quel che ne resta, perché la storia di questi anni è anche la cronaca di vendite che lasciano l’amaro in bocca all’azionista del gruppo di tlc.
Ma esiste il rovescio della medaglia: la fortuna che ha accompagnato le tre principali «costole» dell’impero, dismesse e rilanciate negli ultimi cinque anni: Seat, Lottomatica e Immsi. Il gruppo degli elenchi telefonici è stato venduto nel 2003, e da allora ha realizzato una plusvalenza di oltre il 150 per cento. Immsi è passata sotto la guida di Roberto Colaninno nel 2002 e, dopo aver cambiato pelle (ovvero oggetto sociale) e rimpolpato le partecipazioni (Piaggio, soprattutto), ha triplicato la sua capitalizzazione passando da 150 a circa 600 milioni.
Stesso discorso per il 33,9% di Lottomatica, ceduto da Telecom a De Agostini per circa 390 milioni, e che oggi vale cinque volte tanto. Certo, il dato statistico può ingannare, se isolato dal contesto. Ma in un momento così incerto si deve, in primis, prender atto che, a volte, separare le attività invece che accentrarle è il modo migliore per estrarre valore. Secondo, che le cessioni di Telecom Italia hanno favorito tre storie diverse, ma con un denominatore comune: la fortuna di aver incrociato Telecom.
LOTTOMATICA. Tra il 2001 e il 2002 Tyche (veicolo al 100% di De Agostini) lanciò un’Opa a 6,55 euro per azione (1,17 miliardi in tutto) a cui l’abbinata Olivetti-Telecom aderì pro-quota (cedendo il 33, 9% e incassando 390 milioni). Da allora il gruppo dei giochi ha staccato altri 9,67 euro di dividendi in cinque anni, mentre lo scorso giugno ha lanciato un aumento di capitale da 1,4 miliardi per finanziarie l’acquisto del 100% di GTech, il colosso del gambling Usa che gestisce due terzi delle lotterie Usa.
Partendo dai valori iniziali dell’Opa di cinque anni fa, e aggiungendo quelli del diritto dell’ultima ricapitalizzazione, la performance di Lottomatica è stata del 534 per cento. Il tutto passando attraverso un leverage buy out, che ha portato la società a distribuire ricchi dividendi. Se si guarda al futuro, la nuova entità, nata dalla fusione con Gtech, potrà contare su un fatturato aggregato di circa 1,6 miliardi di euro (ai valori del bilancio 2005), un mol di 720 milioni e si farà carico di 2,7 miliardi di debiti. Tuttavia, grazie alla forte generazione di cassa (330 milioni all’anno) il gruppo presieduto da Lorenzo Pelliccioli dovrebbe essere in grado di ripagare il debito e mantenere generosi dividendi proseguendo in una «politica della leva» che è stato uno dei segreti del successo.
Dall’integrazione, infatti, si verranno a creare sinergie per 80-100 milioni, (risparmi sui costi e 50-60 milioni di minori investimenti in conto capitale) nei prossimi cinque anni. Già il prossimo anno il fatturato dovrebbe sfiorare quota 2 miliardi, con un mol di 800 milioni e un utile netto di oltre 170. Dallo split di Lottomatica, insomma, ha preso il via una vera multinazionale dei giochi, con un giro d’affari al 63% fuori d’Italia, composto da due aziende che si completano «in modo verticale», senza sovrapposizioni territoriali o di business; un gruppo che ha i numeri per vincere tutte le prossime gare, tra cui quella per le lotterie di Ankara. Alla luce dell’acquisizione Citigroup ha alzato la raccomandazione sul titolo da hold a buy , portando il target da 29,7 a 37,3 euro. Ma anche altri broker sono positivi: per Caboto e Chevreaux le azioni di GTech Lottomatica sono interessanti fino a 34 euro per azione, mentre Centrosim individua un target price di 36 euro.
IMMSI. Che ci farà Roberto Colaninno con i quattrini (80 milioni) raccolti con l’aumento di capitale annunciato in settimana? L’operazione, è la risposta, serve a pagare quel 5% di Piaggio rilevato in Ipo grazie a un finanziamento bancario che così verrà estinto. Colaninno, insomma, non cerca nuove avventure. Ma è stato lui, infatti, il protagonista di una delle grandi storie di ristrutturazione di questi anni, partita dal rilancio di Immsi, società che nel novembre 2002, quendo venne ceduta da Telecom alla sua Omnia Partecipazioni, aveva in pancia solo immobili. Il prezzo concordato allora fu di 68,3 milioni per il 45% del capitale.
Ma negli ultimi tre anni la società ha cambiato pelle e oggetto sociale, ha ceduto buona parte degli immobili, diversificando la sua attività principalmente in Piaggio (di cui ha il 60%). Inoltre, ha lanciato due aumenti di capitale e si appresta a realizzare, come si è visto, il terzo. Oltre la maggioranza del gruppo di Pontedera, nella holding sono custoditi una serie di asset che vanno dalla cantieristica all’immobiliare, tra cui il progetto che riguarda il complesso Is Molas in Sardegna.
Vediamo nel dettaglio: i cantieri Rodriguez vengono valutati dagli analisti fino a 60 milioni (0,21 euro per azione); le varie attività immobiliari circa un centinaio di milioni (0,35 euro per azione); infine, la quota dello 0,4%, detenuta in Capitalia, ha un valore di altri 70 milioni (0,24 euro per azione). Il totale di questi asset (sottratti i debiti) ammonta a 230 milioni: 0,80 euro per azione. La quota di Piaggio, invece, vale da sola altri 2,42 euro, per cui il fair value del titolo dovrebbe essere di circa 3,22 euro.
Dall’Ipo dello scorso luglio ad oggi Piaggio è salita del 30%, l’Immsi è invece rimasta al palo, in attesa dei termini dell’aumento, resi noti giovedì 22: tra il 25 settembre e il 13 ottobre Immsi emetterà fino a un massimo di 57,2 milioni di nuove azioni (in ragione di una nuova ogni 5 possedute) con un valore nominale di 0,52 euro e sovrapprezzo unitario di 0,88 euro. Per cui, ogni azione verrà emessa al prezzo complessivo di 1,40 euro. Colaninno si è già impegnato ad aderire pro quota (54,9%) mentre gli azionisti avranno l’opzione di aderire o vendere i diritti. Facciamo, quindi, due conti: al momento il Nav teorico di Immsi è di 3,22 euro, una volta perferzionata la ricapitalizzazione, il fair value dovrebbe diluirsi a 2,62 euro per azione. Pertanto, date le attuali quotazione di Piaggio, la ricapitalizzazione di Immsi sembra interessante sia rispetto ai valori attuali(circa 2,1 euro) sia rispetto a quelli previsti dall’aumento (1,4 euro).
SEAT. L’8 agosto 2003 Luca Majocchi assumeva la guida della nuova Seat, società nata da uno spin off tra le Pagine Gialle e TiMedia. Il prezzo pagato dai fondi di private equity fu di 0,598 euro per azione (cui seguì un’Opa obbligatoria allo stesso valore). Poi, nel maggio 2004, Seat distribuì un dividendo straordinario di 0,43 euro, mentre quest’anno ha staccato una cedola di 0,005 euro. Chi, quindi, avesse tenuto il titolo in portafoglio negli ultimi tre anni, avrebbe alla fine guadagnato il 162 per cento. Fino ad oggi, dunque, le performance sono per lo più dovute all’effetto releverage. Ma dal 2007 Majocchi potrebbe raccogliere i primi frutti di un lungo processo di ristrutturazione, scandito anche dagli investimenti che hanno condizionato il conto economico: una perdita nei primi 6 mesi di 69,3 milioni (dal rosso di 46,5 milioni), un mol di 155 milioni (in calo da 213,5 milioni) e ricavi per 573,6 milioni (+3,2%). Ma il dividendo ci sarà comunque, grazie alla ripresa del mol nel secondo semestre (tra i 610 e i 615 milioni la previsione per l’intero 2006).
Infine, in virtù del decreto Bersani, che sarà efficace dal gennaio 2007, verrà inoltre meno il divieto ai professionisti iscritti agli ordini di farsi pubblicità. Sulla base dei confronti internazionali, Majocchi stima che Seat avrà un bacino di 300mila liberi professionisti: una cifra che da sola corrisponde alla metà degli attuali inserzionisti degli elenchi telefonici italiani (circa 600mila). Il titolo tratta a sconto rispetto alle concorrenti europee. La scorsa primavera Telefonica ha venduto a Yell le directory di Tpi a un prezzo superiore a 13,5 volte l’ev/Ebtda 2006, ovvero il 30% in più di quanto tratta oggi Seat (10 volte l’Ev/Ebitda atteso a fine anno). Per questi motivi gli analisti sono positivi sul titolo, con target che vanno da 0,40 euro (Ubs) a 0,43 (Credit Suisse).

 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza


 

 

  Scandalo Telecom e schema Ferruzzi

26 Settembre 2006 Milano - di Piero Ostellino
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Il ministro della Giustizia italiano dice di aver mandato gli ispettori del ministero nella sede di Telecom per «fare pulizia morale». Il buon Clemente Mastella – che è certamente un buon democratico e non ha commesso alcun illecito – non sa, però, di aver fatto un’affermazione da «Stato etico» che persegue il Bene con ogni mezzo, se necessario anche con la violenza. Compito dello Stato di diritto non è di perseguire il Bene, né di porsi questioni di natura morale – che attengono alla religione, alla sfera individuale, alle ideologie, ma non hanno rilevanza giuridica – bensì solo di applicare la legge.
Io, ad esempio, avrei mandato gli ispettori alla Procura di Milano per chiedere perché l’inchiesta sulle intercettazioni telefoniche di Telecom sia saltata fuori solo adesso, dopo due anni e mezzo e, perciò, come sia possibile che la Giustizia italiana - che è condannata a affidarsi ai servizi del monopolista Telecom nella telefonia fissa, nonché gestore di una parte di quella mobile – non si sia posta il problema dell’affidabilità del fornitore di un servizio tanto delicato.
Pare, infatti, che alla Giustizia italiana si addica il detto «unire l’utile al dilettevole». Dove l’«utile» (per il Paese) è la giusta persecuzione dei reati e il «dilettevole» (per l’ordine giudiziario) è l’improprio utilizzo dell’azione penale per influenzare gli equilibri politici, economici e sociali.
Preciso. Poiché la madre degli imbecilli è sempre incinta, questa non è una difesa della dirigenza Telecom che risponderà a un Tribunale degli eventuali reati che le fossero addebitati. Inoltre, poiché, nelle scienze sociali (sociologia e scienza politica) la ripetitività dei comportamenti di un soggetto crea un «modello», questa è solo l’interpretazione di un comportamento ripetitivo della Giustizia del mio Paese. Ora, in qualsiasi altro Paese al mondo le questioni penali che riguardano le singole persone che ne siano coinvolte sono tenute distinte e separate dalle vicende che riguardino la vita delle aziende sotto il profilo industriale e finanziario.
In Italia, grazie alla discrezionalità con la quale l’ordine giudiziario interpreta l’obbligatorietà dell’azione penale, diventano tutt’uno, influenzandosi a vicenda. Bisogna, infatti, essere ciechi e sordi per non accorgersi che il «caso Telecom» ripropone il «modello» degli ultimi vent’anni – lo smantellamento e il passaggio di mano di imperi industriali per via giudiziaria – e che, per comodità esemplificativa, chiamerò «schema Ferruzzi» (dalla sorte toccata all’azienda presieduta da Raul Gardini).
Nel «caso Telecom», lo schema-modello sembra funzionare grosso modo così. Atto primo: la Procura di Milano apre un’inchiesta sulle intercettazioni illegali di Telecom, ma si tiene i risultati nel cassetto per oltre due anni e non si sa neppure se e quando li tirerà fuori. Atto secondo: si apre una vicenda industriale e finanziaria dell’azienda e scoppia un «caso» politico con lo scontro fra il suo presidente e quello del Consiglio. Atto terzo: nel bel mezzo del gran polverone industriale, finanziario e politico, la Procura tira fuori dal cassetto lo «scandalo» delle intercettazioni e dei conti cifrati all’estero dei principali dirigenti, e sui media c’è persino chi sollecita moralisticamente (il solito vizio!) il presidente di Telecom a seguire l’esempio di Gardini, suicidarsi.
Atto terzo (per ora, in un futuro ipotizzabile): sotto l’enorme pressione giudiziaria, l’azienda i cui dirigenti sotto inchiesta sono già usciti di scena o sono stati messi in condizione di doverne uscire – è trasformata in uno «spezzatino» dagli esperti di turno (sempre più o meno gli stessi) e i singoli pezzi passano di mano, disegnando nuovi equilibri di potere nazionali nel mondo industriale, economico, finanziario e, perché no, anche politico.
A questo punto ciascuno ha avuto il suo tornaconto. Che per una parte del mondo economico consiste nell’aver proficuamente partecipato al «banchetto di Telecom»; per quello politico, nell’aver consentito al presidente del Consiglio di andare a rispondere in Parlamento di non aver mentito sullo scontro con Tronchetti sulla questione del progetto per la rinazionalizzazione della parte ricca di Telecom, la rete («vedete con che razza di gente avevo a che fare?»; come se ci fosse un nesso causale fra ciò che si sono detti, o non detti, e l’inchiesta su intercettazioni e conti in Svizzera); allo Stato (leggi i partiti e gli uomini in lotta per il controllo del potere economico) di allungare le mani sull’intero sistema di distribuzione di servizi indispensabili alla società civile, dalle telecomunicazioni all’elettricità dal gas alle autostrade e creare le premesse di un Grande Fratello che farà pagare agli italiani quello che vuole per riscaldarsi e per usare l’automobile e detterà legge anche sul sistema televisivo (leggi guai in vista per Berlusconi); infine, per le banche d’affari e per alcuni professionisti del campo, nel fare un sacco di soldi.
Se lo schema-modello funzionerà fino in fondo in questo modo, avrà avuto il suo tornaconto anche l’ordine giudiziario, che si riconfermerà un potere autoreferenziale che interagisce con gli altri poteri, politici, economici, finanziari, influenzandone e determinandone le sorti non solo secondo le logiche della giustizia, ma anche di potere. Ecco, dunque, perché io avrei mandato gli ispettori del ministro alla Procura di Milano, invece che alla Telecom, che rimane pur sempre (ancora) un’azienda privata.
Intendiamoci, non per mettere sotto accusa qualcuno – ci mancherebbe – ma solo per porre una sola domanda. Perché l’indagine sulle intercettazioni telefoniche illegali di Telecom è uscita solo ora, dopo due anni e mezzo, proprio nel bel mezzo della bufera industriale, finanziaria e politica col rischio che sia essa, e non siano invece come sarebbe logico le carenze aziendali, a decidere del destino della più grande industria italiana?
Temo, però, che a raccontare come siano andate le cose – e a chiedere perché mai gli italiani debbano vivere in un Paese in cui pare che a decidere le scalate alle banche e il futuro delle aziende non sia il mercato, ma siano le Procure – saranno un paio di giornalisti. Condannati a scrivere su giornali di nicchia, quelli letti solo dalla nomenklatura, che, peraltro, queste stesse cose le sa benissimo, anzi ci sguazza dentro con i suoi giornali, e non fa niente affinché non succedano. E tutti, da quel momento, vivranno felici e contenti. Fino alla prossima puntata. Quando qualcosa cambierà nuovamente – sempre con lo stesso schema-modello – affinché non cambi nulla.

 

Fonte - Corriere del Ticino
 

 

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