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Russia
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E' l'economia il punto debole di Putin
01 Settembre 2008 17:40 ROMA - di Mario Seminerio
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La recente guerra tra Russia e Georgia e la sequenza di azioni e
reazioni che hanno condotto al congelamento delle relazioni
diplomatiche e militari tra Mosca e l’Occidente, hanno suscitato
timori di una nuova Guerra Fredda.
Per tentare di comprendere
lo scenario evolutivo della crisi può essere utile analizzare le
attuali condizioni economiche della Russia. L’ultimo dato del pil
russo, relativo al periodo gennaio-maggio, indica una crescita del
7,9 per cento annuale, in linea con quella che può essere
considerata la velocità di crociera dell’economia della Federazione.
Ma dietro questo numero di sintesi si celano irrisolti problemi
strutturali.
Il tasso d’inflazione è
prossimo al 15 per cento, circostanza che sta provocando un profondo
stress alle condizioni di vita di lavoratori dipendenti e
(soprattutto) pensionati, con i secondi che possono contare
su un tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultimo
stipendio) pari ad un misero 30 per cento medio.
Il governo ha crescenti
difficoltà a ricondurre la dinamica dei prezzi entro il target del
10,5 per cento, ed è costretto ad utilizzare parte degli introiti
della rendita petrolifera per adeguare salari e stipendi,
alimentando una classica spirale prezzi-salari. La presenza
di un forte collo di bottiglia nel mercato del lavoro (con riduzione
nelle dimensioni assolute della forza lavoro), produce una carenza
di manodopera generica e specializzata, causando aumenti dei salari
reali circa doppi rispetto al tasso di crescita della produttività.
Il combinato disposto di questi elementi è
una domanda interna che oggi
sta crescendo a passo circa doppio rispetto al pil, con chiare
evidenze di surriscaldamento dell’economia. Il governo federale ha
finora fatto poco per attenuare gli squilibri strutturali, ed anche
il surplus fiscale derivante dalla rendita petrolifera mostra da
mesi segni di riduzione, a conferma di una posizione di politica
fiscale accomodante e prociclica.
Gli squilibri strutturali
Il surriscaldamento
dell’economia russa ha poi tratto alimentazione dai forti afflussi
di capitali che hanno interessato sia il settore bancario che quello
non bancario. Tali afflussi, che si sommano al surplus commerciale
prodotto dall’export petrolifero, erano giustificati dal
basso rischio politico percepito dagli investitori esteri, ed hanno
determinato un eccesso di offerta di moneta sul mercato domestico.
Come classicamente succede in tali situazioni, ciò ha drogato i
consumi ed il credito, secondo una nota sequenza di surriscaldamento
propria delle economie emergenti.
Le autorità monetarie russe
si sono finora dimostrate incapaci di sterilizzare l’imponente
aumento dell’offerta di moneta, che nel 2007 è risultata pari al 44
per cento, ben sopra la crescita dei redditi nominali, ed anche
questo ha contribuito ad alimentare le pressioni inflazionistiche.
Dal versante della politica del cambio,
la Russia ha costruito un
paniere valutario composto per il 55 per cento dal dollaro e per il
45 per cento dall’euro, consentendo solo limitate fluttuazioni
giornaliere nei due sensi per evitare di danneggiare la posizione
dei propri esportatori.
Se questa narrativa vi
ricorda in modo impressionante quella sugli squilibri cinesi, non vi
sbagliate: sono pressoché identiche, nelle loro componenti
strutturali. Di squilibrio in squilibrio, il cambio reale del
rublo ha finito quindi con l’apprezzarsi in modo vistoso, minando la
competitività manifatturiera russa e stimolando afflussi di “denaro
caldo” da parte della speculazione internazionale, che ha iniziato a
scommettere sempre più su una rivalutazione del rublo per sanare
almeno parte degli scompensi.
Ma la Russia soffre anche e
soprattutto di squilibri a lungo termine, quelli più gravi e
destinati, se non rettificati, a mettere a rischio la sopravvivenza
stessa della Federazione. Il problema più grave per la sostenibilità
di lungo periodo dell’economia e della società russa è quello
demografico: un tasso di fertilità totale media pari solo a
1,4-1,5, a fronte di un valore di stazionarietà pari a 2,1 figli per
donna; una speranza di vita inferiore ai 70 anni; una forte
incidenza di malattie cardiovascolari (soprattutto nella popolazione
maschile), sono elementi che proiettano già nel breve periodo una
riduzione in valore assoluto
della popolazione. Già oggi la Russia necessita, al corrente livello
di attività economica, di un afflusso annuo di circa un milione di
immigrati. Il Cremlino guarda con crescente preoccupazione
all’addensamento di popolazione pilotato dal governo cinese ai
propri confini orientali. La minaccia demografica viene portata alla
Russia dall’esterno, nella “cintura islamica” che cinge la
Federazione sul suo fianco Sud, ma anche dall’interno, con i
drammatici differenziali nei tassi di natalità (e di conseguenza
nell’età mediana) dei ceppi etnici che oggi vivono in Russia, con
le popolazioni islamiche che
stanno riproducendosi a passo ben più rapido delle etnie cristiane.
Secondo proiezioni Onu del 2005, la popolazione russa potrebbe
ridursi di un terzo entro il 2050, circostanza che provocherebbe
l’implosione della Federazione.
Non a caso l’ex presidente
(e unico dominus del paese) Vladimir Putin, ha lanciato un programma
di welfare pro-natalista che prevede anche forti aumenti della spesa
sanitaria.
Investimenti stranieri in ritirata
Si diceva dell’afflusso di
capitali esteri in Russia, in passato agevolato dal ridotto rischio
geopolitico percepito. Una valutazione drammaticamente sconfessata
dagli eventi delle ultime settimane, che stanno già determinando
un’inversione di tendenza. Per un paese che vive un boom
creditizio da afflusso di capitali, questa circostanza potrebbe
provocare un violento credit crunch.
Il deflusso di capitali
dalla Russia è destinato ad essere alimentato anche dai sempre più
numerosi episodi di sentenze giudiziarie avverse ai partner
occidentali in joint ventures con imprese russe. Il caso più
recente è l’inibizione per due anni ad entrare nel paese comminata
la scorsa settimana da una corte di Mosca a Robert Dudley,
amministratore delegato di BP-TNK, joint venture anglo-russa nel
settore dell’energia. Il provvedimento, giunto al termine di uno
stillicidio di perquisizioni fiscali, di polizia e dei servizi
segreti, è l’esempio paradigmatico della crescente conflittualità
tra gli oligarchi russi e le società occidentali loro socie. Pochi
giorni fa una corte siberiana ha comminato una sanzione di tre
miliardi di dollari alla società telefonica norvegese Telenor, per
presunte violazioni dei diritti degli azionisti di minoranza in una
joint venture con una società locale. I norvegesi hanno
immediatamente dichiarato la propria intenzione di disinvestire e
lasciare la Russia. E’ evidente che simili episodi rappresentano la
spia di un clima sfavorevole all’investimento diretto estero, in un
paese che peraltro non riesce a tutelare efficacemente i diritti di
proprietà, base fondamentale per l’affermazione di un mercato degno
di tale nome.
Nessuna meraviglia se gli
indici azionari russi erano in picchiata già da qualche settimana
prima dello scoppio delle ostilità nel Caucaso, e prima ancora della
forte correzione delle quotazioni del greggio.
La Russia resta un paese con
un’industria estrattivo-mineraria largamente predominante
sulla manifattura. I livelli di produzione di gas e petrolio russo
sono stazionari o lievemente cedenti: si tratti di Peak Oil
effettivo o solo di carenza di tecnologia,
la presenza di condizioni
politiche sempre più avverse all’investimento estero sta
drammaticamente aumentando la vulnerabilità del paese.
Vulnerabilità e punti di forza
Tra il 1986 ed il 1997
l’Unione Sovietica sperimentò un primo Peak Oil: un calo del 43 per
cento nella produzione domestica di petrolio. Quella crisi causò
alla società sovietica un devastante impoverimento, fino al crollo
del sistema. Un recente studio econometrico (Former Soviet
Union oil production and GDP decline: Granger causality and the
multi-cycle Hubbert curve, Energy Economics, Volume 30, Issue 2,
March 2008, Pages 271-289 Douglas B. Reynolds, Marek Kolodziej) ha
mostrato che il calo della produzione petrolifera sovietica ha
preceduto (e non seguito) il calo del pil. In sintesi,
l’Unione Sovietica è stata
vittima del proprio Peak Oil domestico, i cui effetti sono stati
amplificati dalla guerra afghana, dal crollo dei prezzi del
petrolio, e dalla necessità per i sovietici di importare cibo.
La Russia post-sovietica si
è risollevata dal primo Peak Oil a prezzo di indicibili sofferenze
umane. Il forte aumento dei prezzi dell’energia ha risollevato il
paese in parallelo alla modernizzazione dell’industria estrattiva;
le enormi risorse così ottenute hanno permesso alla leadership russa
di evitare un’implosione del paese che avrebbe avuto conseguenze
potenzialmente devastanti per l’intero pianeta.
Oggi il rischio di Peak Oil
si ripresenta, come mostrano gli ultimi dati di produzione. E la
Russia si trova impreparata, con una base manifatturiera limitata e
poco produttiva, vittima della “malattia olandese” che tende ad
affliggere i paesi ricchi di risorse naturali, e scarsa apertura
agli investimenti occidentali nell’energia. Non tutte le
vulnerabilità degli anni Ottanta sono presenti oggi: i prezzi del
petrolio sono verosimilmente destinati a restare sostenuti e la
Russia è tornata ad essere uno dei granai del mondo. Resta
l’incognita militare, ma finora il paese ha mostrato di puntare più
alla propria stabilizzazione e consolidamento che ad improbabili
avventure neo-imperialistiche, contrariamente all’interpretazione
del conflitto nel Caucaso oggi dominante sui media occidentali.
Anche per questo motivo
l’Occidente deve puntare a far evolvere la Russia verso le fattezze
di una democrazia capitalistica matura. Una prova di forza che
giungesse all’implosione di una potenza nucleare che si estende per
undici fusi orari e confina con Cina e Islam avrebbe conseguenze che
nessuno (a Washington, Bruxelles e Mosca) può permettersi.
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Fonte
- Libero
Mercato |
Ma
insomma
questa recessione
americana dove sta?
01 Settembre 2008 23:27 ROMA - di Giuseppe Turani
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La Grande Recessione
Americana è come un gatto che non si riesce mai a prendere per la
coda. Era stata annunciata per l´inizio del 2008, ma nel primo
trimestre non si è vista. Allora è stata messa in agenda per il
secondo, ma qui c´è stata la sorpresa.
Nell´ultima revisione
statistica è venuto fuori che l´America fra aprile e giugno è
cresciuta addirittura (dato annualizzato) del 3,3 per cento: una
bomba che ha subito messo le ali alla Borsa e alle chiacchiere di
tanti commentatori improvvisati.
Gli Stati Uniti corrono come
il vento, sono indistruttibili, e via di questo passo.
A questi fans dell´economia a stelle e strisce si può dare
un´ulteriore buona notizia: la Grande Recessione, molto
probabilmente, non si farà vedere nemmeno nel terzo trimestre. Le
proiezioni dicono che nel periodo luglio-settembre, la crescita
americana frenerà un po´ e si assesterà sotto il 2 per cento. Ma
terrà.
Nonostante questo, comunque, tutti gli esperti di un certo valore
sono concordi sul fatto che l´America non può, questa volta, evitare
la sua brava recessione. Ma non subito. In negativo dovrebbe andare
solo nel quarto trimestre, cioè fra ottobre e dicembre. In pratica,
se queste previsioni saranno rispettate,
l´America finirà in
recessione proprio quando dovrà andare a votare per eleggere il
nuovo presidente (4 novembre).
In attesa di vedere quello
che accadrà nei prossimi mesi, conviene cercare di capire perché nel
secondo trimestre l´economia americana ha fatto molto meglio di
tutte le previsioni. Gli elementi sono pochi:
-
Boom delle esportazioni,
tirate da una notevole competitività delle aziende e da un
dollaro molto basso.
-
Il persistere di
investimenti molto forti.
-
Il fatto che i mercati
asiatici hanno continuato a correre con grande vivacità,
confermandosi come partners commerciali molto importanti.
-
Una flessibilità
aziendale che forse non ha uguali nel mondo.
Ma perché gli economisti
sono così sicuri che la recessione arriverà? Anche qui ci
sono alcuni elementi che vanno considerati. 1- La
congiuntura è in
rallentamento, e questo produce 60-70 mila posti di lavoro in
meno alla settimana. Per un mercato del lavoro come quello americano
non sono, per ora, cifre spaventose, ma si tratta comunque di buste
paga che scompaiono (e quindi di consumi un po´ meno abbondanti). 2-
Il mercato immobiliare deve
ancora conoscere la sua stagione più dura (che arriverà
appunto in autunno), e allora molti americani potrebbero davvero
andare nel panico, schiacciati fra il valore della loro casa che
scende e i mutui che comunque vanno pagati.
E i consumi interni, che già
fanno fatica a muoversi, potrebbero crollare, scaricando
tutto il peso della congiuntura sulle esportazioni (che però hanno
già fatto molto). 3- Il mercato finanziario non è affatto a posto.
Anche qui il peggio deve
ancora arrivare.
Risulta, ad esempio, che il fondo di garanzia dei depositi bancari
americani (Fdic) ha detto che la lista delle banche a rischio
fallimento è aumentata a 117 istituti, dai 90 di tre mesi fa.
Il patrimonio totale di queste banche è di 78 miliardi di dollari,
il triplo di tre mesi fa. E il Fdic non ha soldi abbastanza per
intervenire. E non è nemmeno detto che questo sia tutto, altra
polvere può giacere sotto i tappeti.
Una serie di fallimenti
bancari potrebbe creare serissimi problemi nel finanziamento
dell´economia e potrebbe, ovviamente, contribuire a determinare un
certo panico nella gente.
Insomma, come si vede, gli elementi per un big bang abbastanza
rovinoso ci sono tutti. E questo spiega perché gli economisti non
hanno accantonato (nonostante i buonissimi risultati del secondo
trimestre) l´idea della recessione.
Ma si intravede una fine?
Quando torneranno i tempi buoni? Gli esperti dicono che almeno fino
a metà del prossimo anno bisognerà rassegnarsi a vedere un´America
al rallentatore. La
crisi bancaria, invece, potrebbe durare anche più di tre anni.
E questo in sostanza, impedirà all´economia americana di riprendere
il suo consueto cammino per molto tempo.
Per 3-5 anni sarà insomma
una specie di ammalato, bisognoso di cure molto attente.
Nei risvolti di questa crisi, poi, ci sono alcune cattive notizie
per quanto riguarda l´Europa. Il Vecchio Continente, infatti,
risulta essere l´unico posto (verrebbe da dire "discarica") nel
quale gli americani possono sistemare parte della loro crisi (l´Asia
è sacra, grande partner commerciale, e non si tocca). E
la crisi Usa, quindi,
picchierà sull´Europa, attraverso il vecchio e collaudato strumento
del dollaro. Poiché negli ultimi tempi la valuta americana è
un po´ risalita, molti pensavano che avrebbe proseguito lungo quella
strada. Ma non c´è da farsi molte illusioni.
Ancora per qualche anno gli
americani hanno bisogno di un dollaro non troppo forte. E
questo è quello che succederà. Insomma, anche l´Europa deve
prepararsi a soffrire insieme all´America. Anzi, dovrà soffrire di
più perché l´America è più forte.
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Fonte
- La
Repubblica |
IL DOLLARO
SALE AI MASSIMI ASSOLUTI DEL 2008
01 Settembre 2008 16:10 LONDRA -
di REUTERS ______________________________________________
Il dollaro tocca il massimo
dell'anno contro il paniere di valute sopra 77,619 e segna
un rafforzamento contro euro, spinto dalla debolezza del
petrolio dopo il declassamento dell'uragano Gustav alla
categoria 2. Lo yen, invece, tenta di ridurre le perdite
segnate nei confronti delle maggiori valute, dopo che il
primo ministro nipponico Yasuo Fukuda ha rassegnato a
sorpresa le sue dimissioni. L'euro quota in questo momento
sotto quota 1.46 sul dollaro
All'annuncio della notizia, il dollaro è tornato sopra i 108
yen e l'euro si è diretto verso i 159 yen in una seduta di
scambi sottili per la chiusura dei mercati americani per la
festività del Labor Day. "Ai mercati non piace l'incertezza
politica e le dimissioni di Fukuda rientrano esattamente in
questo campo. Anche se non era particolarmente popolare, la
notizia nel suo complesso non aiuta i mercati", ha
commentato Jermemy Stitch, strategist di Rabobank di Londra.
Alcuni trader sostengono che Fukuda fosse sotto pressione da
quando il governo aveva dovuto lanciare, la scorsa
settimana, un pacchetto di sostengo fiscale per l'economia.
Alle 15,35 il cambio dollaro/yen vede il biglietto verde a
108,30, piatto contro lo yen rispetto alla chiusura di
venerdì, ma sotto il massimo di 108,67. Mentre il cross
euro/yen vede la moneta unica cedere lo 0,91% a 158,31 yen
dopo un picco a 159,63. Tra le altre valute, la sterlina
estende le perdite verso il dollaro e scende sotto 1,80
dollari. ORE 15,35 CHIUSURA USA EURO/DOLLARO 1,4607/12
1,4698 DOLLARO/YEN 108,30/32 108,32 EURO/YEN 158,29/33
159,23 EURO/STERLINA 0,8100/03 0,8108
Fonte
- REUTERS
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Pro
e contro
sul recupero del
dollaro
01 Settembre 2008 17:40 ROMA - di Alessandro Fugnoli*
*Questo documento e'
stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank
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Dal 1971 il dollaro si è
dimezzato ed è raddoppiato più volte. In particolare, dal luglio
2000 al luglio 2008 ha perso contro euro quasi metà del suo valore,
passando da 0.82 a 1.60. E’ comprensibile che chi, non
americano, si è tenuto titoli in dollari per tutti questi anni, sia
impaziente di vedere finalmente la possibilità di un forte recupero.
Gli strategist di cambi, in
questo momento, sono quasi tutti pro dollaro. In alcuni casi
hanno buone argomentazioni, ma spesso si limitano a razionalizzare
una tendenza già partita per conto suo. Più interessante, quindi, è
andare a vedere che cosa dicono i più autorevoli e influenti tra gli
accademici di mercato, se ci si passa la definizione, perché di
solito sono meno tattici e più coriacei nelle loro convinzioni
(anche perché non hanno una base di clientela che si rivolta loro
contro se sbagliano previsione).
Senza nessuna pretesa di
completezza ci pare interessante partire da Robert Mundell di
Columbia. Il dollaro, a suo parere, ha ancora molta strada da
percorrere e arriverà abbastanza rapidamente a 1.30. Lì
rimarrà qualche tempo, per poi però tornare a indebolirsi. Mundell,
canadese, è considerato uno dei padri teorici dell’euro.
Martin Feldstein di Harvard,
il più influente di tutti nonché di fatto governatore ombra della
Fed, sostiene da molti mesi che la crisi americana sarà molto lunga
e che un dollaro in discesa sarà essenziale per bilanciare con le
esportazioni al resto del mondo la caduta della domanda interna.
A chi in questi mesi gli ha chiesto se la debolezza del dollaro da
lui prevista e auspicata poteva essere limitata alle valute
asiatiche, Feldstein ha sempre risposto in modo molto lineare che
no, anche l’euro dovrà continuare a fare la sua parte e che l’Europa
dovrà imparare ad abbandonare l’obiettivo del pareggio delle partite
correnti e iniziare a vivere, come l’America, con un disavanzo,
almeno per qualche tempo.
Feldstein, non turbato dal
recupero del dollaro, ha ribadito nei giorni scorsi la sua idea. La
forza del dollaro è solo temporanea. Più o meno sulla stessa
posizione Allan Meltzer di Carnegie Mellon. Più sfumato
Mohamed El-Erian di Pimco, che non è professore ma
antropologicamente è come se lo fosse, che sostiene anche lui che la
forza del dollaro è solo ciclica, ma con la precisazione che la
prossima fase di debolezza sarà soprattutto contro l’Asia.
Concludiamo questo giro
rapidissimo con Kenneth Rogoff di Harvard, che nei mesi scorsi,
quando il cambio era a 1.50, aveva detto che si poteva andare a
1.60-1.65. Oggi Rogoff dice che il dollaro può ancora crollare. La
sua visione di fondo è che l’America si trova nel bel mezzo di una
classica crisi bancaria/immobiliare e per di più di gravità maggiore
rispetto alla media storica delle crisi di questo tipo. La durata di
queste crisi non è mai stata di meno di tre anni e ha sempre
coinciso, tra l’altro, con un un cambio debolissimo per facilitare
la ripresa.
A noi sembra di vedere alcune analogia tra la forza attuale del
dollaro e quella che la valuta americana manifestò nel 2005.
Quell’anno, dopo una lunga corsa da 0.82 a 1.36, l’euro fu costretto
a chiedere una pausa all’America. Eurolandia ristagnava vicina alla
crescita zero. La perdita di competitività era sembrata allora
notevole, almeno per alcuni paesi, tra cui Francia e Italia. L’euro
era partito da pochi anni e si temeva una perdita di consenso che
infatti si manifestò in primavera con il "no" olandese e francese
nei referendum sulla costituzione europea.
La correzione del cambio fu brusca (si approfittò delle vacanze di
Capodanno) e fu evidentemente organizzata dalle banche centrali. La
correzione non fu breve. Durò 11 mesi e portò a un arretramento
dell’euro del 13 per cento (da 1.36 a 1.18). Finì quando si vide che
l’industria tedesca aveva recuperato brillantemente terreno (in
realtà non ne aveva mai perso molto) grazie a profonde
ristrutturazioni e a delocalizzazioni in Asia e nell’est europeo.
Se la correzione in corso
dovesse seguire le orme di quella del 2005 dovrebbe terminare nel
giugno 2009 (11 mesi) e portare a un cambio di 1.39 (il 13 per cento
in meno di 1.60). In realtà la violenza del movimento di queste
settimane è stata ancora maggiore rispetto a quella del 2005.
Analogo, invece, il
coinvolgimento delle banche centrali. Era stato lo stesso Bernanke
ad anticipare la correzione, auspicando un dollaro più forte poco
prima dell’inversione di trend.
Sembra importante mantenere
la distinzione tra gli aspetti ciclici e quelli strutturali.
Ciclicamente la correzione dell’euro, che è in realtà un recupero
del dollaro contro tutte le valute del mondo, ha spiegazioni
convincenti.
1) Prende atto del fatto che nei sei mesi passati il mondo è andato
per una strada diversa da quella che si era pensata. Si era infatti
creduto a una recessione americana già da gennaio e a una forte
tenuta di Europa e Giappone (per non parlare di Cina e India) e ci
si è accorti a conti fatti che l’America è invece cresciuta a una
velocità non disprezzabile mentre Europa e Giappone già in primavera
si sono schiantati contro il muro della crescita zero. Quanto agli
emergenti, l’India è stata la prima ad accusare problemi, seguita
adesso dall’Asia del sud e del nord. Ultima la Cina, che comincia a
presentare evidenti segni di rallentamento.
2) Dà un importante contributo al contenimento dell’inflazione. Si
pensi al petrolio. C’è stata
una correlazione inversa di uno a tre, in questi mesi, tra dollaro e
petrolio. Per un indebolimento del dollaro dell’uno per cento c’era
un rafforzamento del greggio del 3 per cento.
Nulla di scientifico, per
carità, ma grosso modo ha funzionato anche nella direzione inversa.
La discesa del petrolio, misurato in dollari, ha già portato la
benzina americana da 4.10 a 3.70-3.80 al gallone. Quanto
all’Europa, poiché la discesa dell’euro è stata minore della discesa
del greggio, il beneficio di una minore inflazione si è visto
comunque, anche se verrà catturato dalle statistiche ufficiali con
il consueto ritardo di qualche settimana.
3) Il contenimento
dell’inflazione dà spazio alle banche centrali per ridurre i tassi
o, quanto meno, per non alzarli. In Europa ci siamo tolti
definitivamente il pensiero di un secondo rialzo dei tassi. Quanto
al tagliarli, Weber dice non per quest’anno, che è un modo per dire
che per l’inizio del 2009 se ne potrà parlare. In America si
continua a parlare di un’exit strategy al rialzo per i tassi, ma la
si colloca talmente in là nel tempo da renderla più che altro una
dichiarazione di principio.
Rimane per contro poco
convincente l’ipotesi, al momento del resto minoritaria, che la
ripresa ciclica del dollaro si sovrapponga all’inizio della ripresa
strutturale. E’ banale dire che, ogni giorno che passa, siamo
sempre più vicini al momento della ripresa strutturale. E’ solo poco
meno banale dire che il dollaro sempre più debole (fino a un mese
fa) rendeva sempre più vicina la svolta strutturale. Il dollaro
dello Zimbabwe, stampato giorno e notte, è sempre più debole senza
che questo avvicini la svolta.
Più serio è il discorso
sulla riduzione del disavanzo delle partite correnti americane,
riduzione che sta finalmente prendendo velocità. Siamo però
ancora lontani (siamo grosso modo a metà strada) dal livello del 3
per cento del Pil (il massimo era stato del 6.7) considerato
sostenibile. Per arrivarci occorre ancora del tempo (da uno a due
anni) e un prematuro forte
recupero ciclico del dollaro sposterebbe in là il momento della
svolta strutturale.
C’è poi da ricordare che il miglioramento è dovuto alle maggiori
esportazioni e alle minori importazioni. In caso di
stagnazione globale le minori importazioni resteranno, ma le
maggiori esportazioni diventeranno problematiche.
In pratica si può
considerare non irrealistico un obiettivo di 1.40, ma da quel
livello in giù le posizioni in dollari sarà bene riprendere
gradualmente a coprirle. Forse già nel quarto trimestre i
mercati torneranno a scoprire la debolezza americana. La crescita
dovrebbe infatti continuare a rallentare, a rischio di diventare
negativa tra fine anno e inizio 2009.
Venendo al quadro generale, accanto all’allargarsi del rallentamento
globale e al proseguimento dei circoli viziosi legati alla riduzione
generalizzata della leva finanziaria, si notano due fenomeni di
reazione.
Il primo è l’incessante lavoro dei policy maker, cui va riconosciuto
il prodigarsi in tutti i modi per il contenimento della crisi. Tutti
i modi tranne uno, quello risolutivo, ovvero la creazione di
Resolution Trust che separino gli asset malati da quelli sani,
creando una o più bad bank e permettendo alla parte sana del sistema
di non essere contagiata. Sembra di vedere un pronto soccorso in cui
medici creativi, esperti e attenti fanno l’impossibile per tenere in
vita il paziente in attesa che arrivi il chirurgo. Il chirurgo,
ahinoi, arriverà però solo in primavera con l’insediamento del nuovo
Congresso americano e del nuovo presidente.
Il secondo aspetto che dà qualche conforto è la resilienza dei
mercati, che in questa fase hanno voglia di valorizzare parecchio le
poche notizie positive, come il rallentamento della discesa dei
prezzi delle case. Come ha
scritto di recente Greenspan è molto importante, nei prossimi mesi,
che le borse si tengano su in tutti i modi. Da questo dipende la
possibilità per le banche di rifinanziare il debito in scadenza,
dismettere ordinatamente una parte dell’attivo e, dove possibile,
ricapitalizzarsi. Come dice Paul McCulley è una corsa contro il
tempo. In attesa del chirurgo.
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Fonte
- Il Rosso e il Nero |
Stati
Uniti - Mercato del lavoro pesante in agosto
05 Settembre 2008 16:10 LONDRA -
di phastidio ______________________________________________
Gli Stati Uniti hanno perso in
agosto più impieghi del previsto, ed il tasso di
disoccupazione si è portato al massimo da cinque anni,
segnalando il rischio di un peggioramento del rallentamento
economico. I payrolls sono diminuiti di 84.000 unità, mentre
le revisioni hanno aggiunto altri 58.000 impieghi soppressi
nel precedente bimestre, come evidenziato dal Dipartimento
del Lavoro. Il tasso di disoccupazione ha toccato il 6,1 per
cento da 5,7 per cento di luglio, eguagliando il picco
toccato nel settembre 2003. Le stime di consenso
ipotizzavano la perdita di 75.000 impieghi, mentre il tasso
di disoccupazione era previsto invariato al 5,7 per cento.
Gli occupati di fabbrica sono diminuiti di 61.000 unità,
dopo il calo di 38.000 in luglio, e contro stime di una
perdita di 35.000 impieghi. Il calo di agosto include la
perdita di 39.000 posti nel settore auto.
Il dato di oggi mostra anche gli effetti della recessione
immobiliare e della crisi di credito da essa indotta: gli
impieghi nel settore delle costruzioni sono diminuiti di
8000 unità, mentre le imprese finanziarie hanno ridotto gli
organici di 3000 persone per il secondo mese consecutivo.
L’industria dei servizi, che include banche, assicurazioni,
ristorazione e dettaglianti, ha perso 27.000 posti dopo il
taglio di 12.000 di luglio. Di rilevo il fatto che nel
settore pubblico gli occupati sono aumentati di 17.000
unità. Ciò significa che il calo degli occupati del settore
privato è stato in agosto di ben 101.000 unità. La settimana
lavorativa media è rimasta a 33,7 ore, mentre l eore
settimanali lavorate dai lavoratori della produzione sono
calate da 41 a 40,9, ed il ricorso allo straordinario è
diminuito da 3,8 a 3,7 ore. I salari orari medi sono
aumentati dello 0,4 per cento in agosto, e sono in aumento
del 3,6 per cento su
Il dato di oggi porta la perdita cumulata di posti di lavoro
nel 2008 a 605.000. Nel 2007 furono invece creati 1,1
milioni di impieghi. Secondo le stime di consenso di oggi,
l’economia statunitense nel terzo trimestre dovrebbe
crescere dello 0,7 per cento annualizzato, da 3,3 per cento
del secondo trimestre. La perdita di occupazione
contribuisce al deterioramento delle condizioni dei
consumatori, la cui spesa reale ha segnato in luglio il
peggior calo da quattro anni.
Nel Beige Book pubblicato questa settimana, la Fed segnala
che “il passo dell’attività economica è stato lento nella
maggior parte dei distretti”, e c’è un generale
ridimensionamento delle assunzioni. Secondo alcuni analisti,
inoltre, i continui incrementi di produttività del lavoro
consentono alle imprese di tagliare l’occupazione, e questo
potrebbe portare il tasso di disoccupazione il prossimo anno
al 6,75 per cento.
Riguardo il tasso di disoccupazione, il dato di agosto
mostra un effettivo aumento dei lavoratori che hanno perso
l’impiego, come mostra la disaggregazione del totale. I job
losers passano contribuiscono al totale per il 3,1 per
cento, da 2,9 per cento di luglio. A fronte di un tasso di
partecipazione alla forza lavoro invariato al 66,1 per
cento, l’employment ratio passa dal 62,4 al 62,1 per cento,
con un aumento dei disoccupati pari a 589.000 unità. Il
tutto a fronte di di un numero di persone fuori dalla
forza-lavoro sostanzialmente stabile.
Fonte
-
Macromonitor
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Venerdì
05
Settembre 2008 |
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Martedì
09
Settembre 2008 |
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Mercoledì 10
Settembre 2008 |
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Rassegna Cronologica del 08 Settembre 2008 +++
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Una sorpresa annunciata! La socializzazione delle perdite!
08 Settembre 2008 07:23 - di Andrea Mazzalai
________________________________________
Mentre la Federal Deposit
Insurace Corporation ci comunica nell'ormai settimanale appuntamento
del venerdi, il fallimento dell'ennesima istituzione bancaria
americana la Silver State Bank, Henderson del Nevada uno degli stati
americani più colpiti dalla Grande Depressione Immobiliare (FDIC), a
Washington si prepara la più imponente socializzazione delle perdite
della storia dei mercati finanziari, una socializzazione più
volte annunciata, la socializzazione del " Sogno Americano " un
sogno infranto dalla follia di un'intera nazione, alimentato dalla
teoria monetarista e dalla scuola mercatista del neoliberismo!
Questa è la dichiarazione ufficiale da parte del dipartimento del
Tesoro Americano:
Statement by Secretary Henry M. Paulson, Jr. on Treasury and Federal
Housing Finance Agency Action to Protect Financial Markets and
Taxpayers
Tralascio gli aspetti tecnici dell'operazione rilevando solo alcuni
passaggi della lettera.......
"These Preferred Stock Purchase Agreements were made necessary by
the ambiguities in the GSE Congressional charters, which have been
perceived to indicate government support for agency debt and
guaranteed MBS. Our nation has tolerated these ambiguities for too
long, and as a result GSE debt and MBS are held by central banks and
investors throughout the United States and around the world who
believe them to be virtually risk-free."
"La nostra nazione ha tollerato queste ambiguità per troppo tempo e
di conseguenza il debito delle GSE e MBS sono detenute da banche
centrali e dagli investitori di tutti gli Stati Uniti e in tutto il
mondo che credono di essere virtualmente privi di rischio."
Un'ambiguità che si trascina da anni, che diventa ambiguità solo di
fronte al rischio sistemico in corso d'opera, solo quando
all'improvviso uomini del calibro di Bill Gross di PIMCO urlano il
loro conflitto di interesse, dopo aver riempito i loro portafogli di
obbligazioni GSE, quando invocano l'intervento statale o solo quando
i mercati sono sull'orlo di un collasso! Grande esempio di economia
di mercato la pratica delle BAD COMPANY con Alitalia (Milano: AZA.MI
- notizie) abbiamo partecipato alla grande festa!
E ancora... And let me make clear what today's actions mean for
Americans and their families. Fannie Mae (NYSE: FNM - notizie) and
Freddie Mac (NYSE: FRE - notizie) are so large and so interwoven in
our financial system that a failure of either of them would cause
great turmoil in our financial markets here at home and around the
globe. This turmoil would directly and negatively impact household
wealth: from family budgets, to home values, to savings for college
and retirement. A failure would affect the ability of Americans to
get home loans, auto loans and other consumer credit and business
finance. And a failure would be harmful to economic growth and job
creation. That is why we have taken these actions today.
Paulson ci ricorda che
Freddie & Fannie sono cosi grandi (TOO BIG TOOO FAIL) e cosi
correlate con il sistema che il possibile fallimento è la causa del
fermento sui mercati mondiali... la sola causa??!!!
Sbaglio o Bernanke aveva
comunicato che il sistema finanziario americano è uno dei più solidi
al mondo e che l'economia poggiava su fondamentali indistruttibili!
Forse che come dice qualcuno questa mossa possa far volare i mercati
per i prossimi due mesi dando inizio al cosidetto " Rally
Presidenziale"!?
Un fermento che potrebbe avere un impatto negativo diretto sulla
ricchezza delle famiglie, dal bilancio familiare, al valore delle
abitazioni, al risparmio per la scuola e la pensione, pregiudicare
la capacità degli americani di ottenere mutui casa, per l'auto o
altri prestiti come il credito al consumo, fallimento dannoso per la
crescita economica e per la creazione di posti di lavoro!
Detto questo abbiamo la ricetta ideale per comunicare alla nazione
la necessità della socializzazione delle perdite in nome del supremo
interesse nazionale, dopo la necessaria privatizzazione dei
profitti, senza sapere per quale motivo
la leva finanziaria delle
due agenzie governative fosse una delle piu imponenti della storia
della finanza mondiale, 15 miliardi circa di capitale con crediti
fiscali per oltre 64 miliardi regolarmente contabilizzati quando
come dice Shilling le regole contabili impongono di cancellare tali
crediti se il ritorno all'utile è incerto.
In sostanza le due agenzie
per ogni dollaro di capitale ne garantivano 50!
Detto questo su Calculated Risk leggiamo che secondo la FDIC
The federal banking agencies have been assessing the exposures of
banks and thrifts to Fannie Mae and Freddie Mac. The agencies
believe that, while many institutions hold common or preferred
shares of these two government-sponsored enterprises, a limited
number of smaller institutions have holdings that are significant
compared to their capital.
...in sostanza si richiama quanto in passato sottolineato ovvero che
un numero limitato di istituzioni che detengono azioni privilegiate
della coppia F&F in maniera significativa rispetto al capitale
sociale saranno aiutate in un'opera di restaurazione del patrimonio
.........
The Federal Reserve Board, the Federal Deposit Insurance
Corporation, the Office of the Comptroller of the Currency, and the
Office of Thrift Supervision are prepared to work with these
institutions to develop capital-restoration plans pursuant to the
capital regulations and the prompt corrective action provisions of
the Federal Deposit Insurance Corporation Improvement Act.
All institutions are reminded that investments in preferred stock
and common stock with readily determinable fair value should be
reported as available-for-sale equity security holdings, and that
any net unrealized losses on these securities are deducted from
regulatory capital .
Come sottolinea Calculated Risk, prepariamoci ad un aumento dei
fallimenti bancari!
Just like with the common, the existing preferred will continue to
trade (although the dividend is eliminated).
"The common stock and preferred stock dividends will be eliminated,
but the common and all preferred stocks will continue to remain
outstanding."
This will have a significant impact on some banks, as the FDIC noted
earlier today. Many banks will have to take write-downs (as they
mark to market), and some smaller banks will probably fail.
Inoltre Calculated Risk che ho scelto in quanto il miglior blog in
assoluto in riferimento alla situazione del mercato immobiliare, si
pone delle domande che nei prossimi giorni dovranno essere risolte:
a) quanto costa l'ennesima socializzazione delle perdite ai
contribuenti!?
b) che cosa succederà ai treasuries americani? ( risposta..... un
bel selloff! )
c) che cosa succederà agli "existing preferred" della coppia F&F?
d) che cosa succederà alle banche assicurate FDIC che detengono tali
strumenti?
e) che cosa succedrà ai mercati finanziari? ( qui la risposta la
darò in seguito )
f) che succede ai tassi ipotecari?
g) che significa per il mercato immobiliare e l'economia in generale
questo salvataggio?
Su Calculated Risk troverete le risposte nei prossimi giorni!
Iceberfinanza, in questi mesi è stato uno dei pochi, se non l'unico
che vi ha evidenziato l'anomalia dell'occupazione, l'anomalia del
modello statistico stagionale CES/NET B/D Model, che dall'aprile
dello scorso anno vi parla di una recessione americana e di
conseguenza globale, abbiamo scorto insieme i germi della crisi
finanziaria ed immobiliare nella sua gravità ben oltre il consenso
ed insieme ci siamo seduti in riva al fiume ad osservare la corrente
principale di questa crisi, serenamente al riparo da ogni insidia.
Sorrido quando sento parlare
della flessibilità dell'economia americana che starebbe per
intravvedere la luce in fondo al tunnel, un'economia che in questi
mesi ha evitato una "recessione accademica" grazie ad una serie
infinita di palliativi monetari, fiscali e valutari, riducendo il
livello dei tassi, innondando l'economia di incentivi unatantum,
svalutando la moneta per avere nonostante tutto un'economia in
recessione che da ben 8 mesi perde costantemente e sensibilmente
forza lavoro ben al di là di quanto evidenziano modelli statistici
obsoleti! Si tratta di una recessione più lunga e profonda di quanto
nessuno sino ad oggi ha saputo evidenziare, una recessione nei
consumi, negli investimenti, nell'occupazione, nella produzione
provocata da una crisi immobiliare e finanziaria che contribuirà a
riscrivere i manuali dell'economia e della finanza!
Ed ora qualcuno crede che
l'intervento a favore delle agenzie governative non influisca più di
tanto sull debito pubblico, sui treasuries,sui deficit gemelli, sul
dollaro!
Vedremo quanto accade oggi sui mercati vi sono i soliti segnali di
autentica euforia, i future esplodono di salute, ma i lettori
conoscono il passato, sanno quanto effimeri siano questi momenti di
esaltazione collettiva, in riva al fiume la serenità è di casa!
Per quanto riguarda il
dollaro non vedo molte alternative si torna a scendere, e di
riflesso l'oro non può che salire dopo aver dato segni di resistenza
e "scorrelazione" nelle ultime giornate dal repentino recupero del
dollaro, sempre che un nuovo intervento concertato delle banche
centrali non riporti nella dimensione irreale una moneta fondata sul
debito!
La mia visione
controcorrente è che dopo un momento di euforia si tornerà a
scendere in omaggio ai fondamentali, dissolvendo la leggenda del "
Rally Presidenziale" attraverso la riscoperta dei
fondamentali che nella prossima tornata delle trimestrali americane
troveranno un'ulteriore conferma!
Il Governo americano si è affrettato a dichiarare che non vi saranno
ulteriori stimoli all'economia, forse perchè è... fondamentalmente
solida, talmente solida da dover intervenire in ogni occasione ieri
a sostegno del settore finanziario oggi e domani a quello economico!
Ben venga ma per favore diciamo la Verità!
Non era possibile lasciar
fallire F&F, ripeto non era assolutamente possibile, il rischio di
una reazione sistemica a cascata era semplicemente terrificante
ma osservo solo la fragilità di un sistema che viene ossannato dal
mondo intero, certo flessibile a tutte le soluzioni, ma pur sempre
un sistema oggi di socializzazione dove, come dice Paolo Barrai nel
suo blog in uno dei suoi commenti la NAZIONALIZZAZIONE è l'antitesi
del CAPITALISMO! Una pennellata magistrale!
Dopo la " Verità è Figlia del Tempo! " coniando un nuovo slogan si
potrebbe dire che:
L'Illusione è Figlia del Tempo e crescendo diventa Realtà!
I titoli dei giornali e dei siti finanziari saranno tutti in
un'unica direzione, la luce in fondo al tunnel e via per una nuova
avventura! Buona fortuna, ne abbiamo bisogno!
Domani rivedremo insieme nel dettaglio di dati sulla disoccupazione
e torneremo ad occuparci della realtà, lasciando agli altri i
compito di raccontare le fiabe di questo tempo!
Nel frattempo invito tutti coloro che sentono il bisogno di un
cambiamento a visitare questa sezione dedicata ai possibili e spesso
già reali...
...come spesso sottolineato, unitamente alla conoscenza di un
sistema economico alternativo integrabile che interagisce, e
permette delle scelte autonome e responsabili nella scelta di un
investimento, esiste un mondo sommerso di idee, di strumenti per
concepire l'economia come un strumento che sostituisca la centralità
del profitto con la centralità dell'Umanità e la sua evoluzione!
UTOPIA! Ou topos ovvero luogo, isola aggiungo io, che non c'é!
Chissà! Come nella canzone di Bennato....Seconda stella a destra,
questo è il cammino e poi dritto sino al mattino,.poi la strada la
trovi da te, porta all' Isola che ora.....c'è
 |
Fonte
- icebergfinanza.splinder.com |
Viva
il mercato
ma coi soldi
dello Stato
11 Settembre 2008 01:29
MILANO - di Marcello De Cecco
________________________________________
"I nuovi strumenti di
dispersione di rischio [che] hanno consentito alle banche più grandi
e più sofisticate… di spogliarsi di una gran parte del rischio di
credito trasferendolo a istituzioni con minore grado di
indebitamento… hanno contribuito allo sviluppo di un sistema
finanziario molto più flessibile ed efficiente, e perciò meno
sensibile agli shocks, di quello che esisteva appena un quarto di
secolo fa.."
Queste di Alan Greenspan,
che riprendo da un articolo di Luigi Spaventa, appartengono di
diritto alle ‘ultime parole famose’, tra le quali acquistano
ulteriore preminenza quando si pensi che sono del 2005, meno di due
anni prima della esplosione della crisi subprime e di tutto ciò che
ne è seguito e continua a seguirne.
Se tuttavia Greenspan avesse detto che le banche più grandi e
sofisticate sarebbero divenute, per la strategia da lui descritta,
quella dell’originate and distribute, ancora più inattaccabili da
eventuali procedure fallimentari, egli avrebbe avuto senz’altro
ragione. Gli eventi seguiti alla esplosione della crisi, ormai più
di un anno fa, oltre a rivelare quanto pesante fosse il
coinvolgimento delle stesse grandi banche in pratiche finanziarie
che definire dubbie è generoso, hanno anche mostrato l’assoluta
impossibilità di accettare l’insolvenza di anche una solo di loro,
perché la strategia del trasferimento sistematico di rischi che
hanno adottato per molti anni ha avuto la conseguenza di coinvolgere
nei loro problemi tutto il sistema finanziario mondiale.
Quest’ultimo, così come le autorità di vigilanza, americane e di
altri paesi, era perfettamente conscio dei pericoli insiti nella
strategia delle grandi banche. Ma la frase di Greenspan che ho
citato all’inizio, dimostra anche che le autorità hanno guardato con
grande favore alla strategia stessa e forse l’hanno addirittura
suggerita.
Di certo, essa è stata possibile solo perché le autorità di governo
e monetarie degli Stati Uniti, e poi anche di molti altri paesi,
hanno concepito e attuato, a partire almeno dal 1980, ma con
effettivo inizio dopo la prima crisi del petrolio, nel 1973, una
decisa politica di liberalizzazione finanziaria, che aveva per scopo
primo la creazione di grandi piazze finanziarie capaci di attirare i
capitali della rendita petrolifera, ma aveva come base teorica la
certezza che banche sempre più grandi avrebbero aumentato
l’efficienza dell’intero sistema. L’obiettivo era dunque di far
crescere, insieme, banche e mercati, non di far dissolvere gli
intermediari nei mercati.
Un sistema finanziario liberalizzato e integrato, tuttavia, sarebbe
stato assai più fragile e suscettibile di crisi di uno segmentato e
controllato. Questo fummo in parecchi a scriverlo, sin dall’inizio
dell’esperimento. Bisognava quindi, per la particolare natura del
credito, trattato da banche e altri operatori finanziari sempre più
come una merce qualsiasi e non come un rapporto interpersonale
basato sulla fiducia, che le autorità si preparassero, specie negli
Stati Uniti, a trasformarsi da "prestatori di ultima istanza" a
"prestatori di prima istanza" (rivendico la paternità di questa
definizione), cioè a prestare riserve in continuazione a un mercato
affollato di banche alle quali era permesso di tenere sempre meno
capitali e riserve prudenziali, allo scopo di aumentare profitti e
competitività.
Nell’ultimo quindicennio, a
parte qualche eccezione di breve durata, le autorità monetarie
americane hanno assicurato liquidità sovrabbondante al mercato,
fidando nella scomparsa, per un periodo veramente lungo, di ogni
minaccia inflazionistica. Esse hanno anche, quando hanno provato a
stringere i cordoni della borsa, con molta decisione assistito
quelle istituzioni finanziarie che, abituate al prestito di prima
istanza, si erano spinte troppo in là nella costruzione di piramidi
creditizie gigantesche su basi di capitale esigue. I salvataggi
hanno così assunto dimensioni via via maggiori e caratteristiche
sempre più lontane dalla normale prassi legale.
A partire dall’anno scorso, essi sono divenuti talmente frequenti e
legalmente avventurosi da far concepire a parecchi osservatori la
sensazione che si sia entrati in una nuova era, quella della fine
della liberalizzazione e del ritorno ai controlli.
Ma le azioni delle autorità
hanno anche generato, nei manager e negli azionisti di imprese di
altri settori economici in difficoltà, da quello dell’automobile a
quello delle aerolinee, l’aspettativa che pure nei loro confronti le
autorità si comportino come hanno mostrato di fare nei confronti del
sistema finanziario. Essi richiedono quindi che sia
assicurato in ogni momento il "prestito di prima istanza" come si è
fatto e si fa con le banche, e che il governo si faccia carico di
interventi a loro favore generosi e frequenti almeno quanto quelli
approntati con tanta fantasia legale per banche e istituzioni
finanziarie di ogni genere.
Poiché si tratta di un
fenomeno contagioso, esso sembra essersi diffuso all’intero universo
di coloro che, negli Stati Uniti ma anche in Inghilterra e in altri
paesi, hanno acceso mutui fondiari, non riescono a pagarne le rate e
a restituirne il capitale e rischiano di perdere la casa. E anche a
quelli che hanno debiti su carte di credito e prestiti di consumo.
Più che l’ingresso in una nuova era di controlli autoritari, quindi,
quello che sembra profilarsi, negli Stati Uniti e in altri paesi, è
la istituzionalizzazione della liberalizzazione all’americana degli
ultimi vent’anni: gli agenti economici sono liberi di fare
esattamente quello che vogliono, di avere dalle autorità il
"prestito di prima istanza" e hanno anche il diritto di essere
salvati quando le loro azioni li conducono a battere contro un muro
o a rischiare di cadere da un precipizio.
Questo, e non un ritorno agli anni ‘30 e alla economia controllata
chiede l’opinione pubblica, almeno negli Stati Uniti. Libertà di
agire come meglio si crede, senza il rischio, che è parte integrale
del liberismo vecchia maniera, di dover pagare per i propri errori.
Ci si deve chiedere da cosa possa nascere una pretesa tanto diffusa
ad avere la botte piena e il marito ubriaco (perchè deve essere per
forza la moglie?). E’ una pretesa naturale, se ci si pensa bene, che
sarebbe del tutto praticabile laddove non si dovesse, come si deve,
combattere col dilemma di risorse scarse e di desideri infiniti.
Le cose del mondo, negli ultimi vent’anni e in particolare negli
ultimi quindici, sono andate in una direzione che ha fatto
prematuramente gridare alcuni osservatori, facili all’entusiasmo,
che i tempi della economia della scarsità erano finiti e che
ciascuno poteva puntare ad avere il massimo per sé, senza essere
limitato dalla disponibilità di risorse.
Questo perché la liberalizzazione finanziaria nel paese centro del
sistema mondiale e la globalizzazione di produzione e commerci,
erano accompagnate da una retorica rumorosa che attribuiva il merito
di una temporanea sospensione di quello che gli economisti chiamano
"vincolo di bilancio" al funzionamento sempre più libero ed
efficiente dei mercati e alla loro continua estensione. Si affermò
addirittura che l’economia di mercato non avesse bisogno di
istituzioni imposte da fuori e dall’alto, perché avrebbe creato via
via quelle di cui aveva bisogno per funzionare al meglio.
Non si disse quindi al pubblico ignaro che quanto stava accadendo
era permesso da una modifica nel senso prima ricordato del
comportamento delle istituzioni. Esse non erano scomparse e non
erano create dai mercati, ma restavano e divenivano sempre più
importanti per i mercati stessi. Permettevano a ognuno di sentirsi
libero dal vincolo di bilancio e anche dal patriottismo economico.
Lo si faceva praticando, per la prima volta in molti decenni, la
globalizzazione della produzione e degli scambi, così che ognuno
potesse produrre dove voleva e consumare beni e servizi prodotti in
qualsiasi parte del mondo, e allo stesso tempo fornendo a chiunque
lo volesse quantità quasi illimitate di risorse finanziarie.
Questa splendida giostra ha
continuato a girare per parecchi anni, divertendo tutti e
convincendo parecchi sulle sue capacità di farlo anche nel futuro.
Ogni tanto si è interrotta bruscamente, ma le provvide autorità sono
prontamente intervenute per farla ripartire.
Un anno fa la giostra ha
smesso di girare. La folle corsa dei prezzi delle materie prime e
del petrolio aveva seminato il dubbio che il tempo dei pasti gratis
stesse per finire. L’incertezza ha invaso i mercati ed essi si sono
accorti di non avere al proprio interno alcuno strumento per
combatterla e ridurla. Gli interventi delle autorità hanno
dovuto farsi incessanti e sempre più pesanti. Sono state di nuovo
autorità ed istituzioni non create dal mercato, ma esterne ad esso,
a dover intervenire per tentare di ridare equilibrio a mercati che
le proprie istituzioni se le stavano creando, ma di un tipo che
accresce invece che diminuire l’instabilità. Pensiamo solo alle
società di rating e ai coefficienti di capitale per le banche,
introdotti dai controllori su richiesta esplicita delle grandi
banche occidentali.
Al momento, tuttavia, l’azione delle autorità non sembra
strutturalmente diversa da quel che è stata nell’ultimo quarto di
secolo. Essa continua a permettere l’illusione che il mondo sia
uscito dalle tenaglie della scarsità e che ciascuno possa rischiare
e sbagliare senza dover pagare per i propri errori, se è una
istituzione finanziaria e se è abbastanza grande. Perché
meravigliarsi se il resto dell'umanità reclama di poter essere
trattato allo stesso modo?
 |
Fonte
- La
Repubblica |
StAti Uniti - Drastico
peggioramento del deficit commerciale in luglio
11 Settembre 2008 -
di phastidio ______________________________________________
Il deficit commerciale
statunitense si è allargato in luglio oltre le attese, per
effetto del nuovo record dell’import petrolifero. Il deficit
è cresciuto del 5,7 per cento a 62,2 miliardi, il maggiore
da 16 mesi, da 58,8 miliardi (rivisto in peggioramento dagli
iniziali 56,8 miliardi) di giugno, ed a fronte di stime di
consenso poste a 58 miliardi di dollari. Il prezzo
all’importazione del petrolio ha toccato nel mese di luglio
il record di 124,66 dollari al barile, più che compensando
l’aumento nell’export di auto, aerei e macchinari.
In prospettiva, l’intervenuto rafforzamento del dollaro e
l’indebolimento dei principali partner commerciali degli
Stati Uniti potranno determinare un ulteriore peggioramento
nel saldo commerciale, compensato dal forte
ridimensionamento del prezzo del greggio, che ad agosto ha
fatto segnare un prezzo medio di 117,02 dollari il barile. I
prezzi all’importazione del petrolio vengono calcolati al
momento della consegna, quindi è verosimile che in agosto
possa verificarsi un ulteriore peggioramento del deficit
commerciale petrolifero.
Le esportazioni sono cresciute del 3,3 per cento, guidate
dal balzo nelle consegne di auto e componenti. L’export ha
beneficiato anche del deprezzamento del dollaro (pari al 7
per cento negli ultimi 12 mesi) nei confronti dei principali
partner commerciali degli Stati Uniti. Corretto per
l’inflazione, il deficit commerciale si è ampliato a 41,2
miliardi di dollari, da 40,1 miliardi in giugno. Il deficit
a moneta costante di luglio resta inferiore alla media dello
scorso trimestre, indicando che il commercio estero potrà
ancora spingere la crescita nel terzo trimestre, anche se lo
sciopero dei meccanici della Boeing in atto questo mese
potrà frenare la crescita dell’export.
Fonte
- Macromonitor
|
Stati Uniti
- Vendite al dettaglio deboli in agosto
12 Settembre 2008 -
di phastidio ______________________________________________
Le vendite al dettaglio
statunitensi sono inaspettatamente diminuite in agosto. Il
calo dello 0,3 per cento segue la flessione dello 0,5 per
cento (rivista al ribasso dall’originario meno 0,1 per
cento). Al netto delle auto la contrazione è dello 0,7 per
cento, peggior risultato dell’anno. La spesa dei consumatori
è debole a causa di uno sviluppo dei salari frenato dal
cattivo andamento del mercato del lavoro, e che non ha
tenuto il passo dell’inflazione, oltre che per il
progressivo venir meno degli effetti del recente stimolo
fiscale. Ulteriori effetti depressivi dei consumi vengono
dalla crisi dell’immobiliare e del mercato azionario,
indicando che anche il recente ridimensionamento dei prezzi
dei carburanti potrebbe non essere sufficiente a
rivitalizzare la spesa. Le stime di consenso ipotizzavano un
aumento complessivo dello 0,2 per cento, ed una flessione
dello 0,2 per cento al netto delle auto. Elettronica,
materiali da costruzione, abbigliamernto e department stores
hanno tutti visto flessioni nelle vendite. Anche i ricavi
delle stazioni di servizio sono diminuiti, a seguito dal
calo del prezzo della benzina. Al netto dei carburanti, le
vendite al dettaglio sono rimaste invariate in aogsto, dopo
il calo dello 0,6 per cento di luglio.
Nel mese di agosto i costruttori automobilistici hanno
spinto gli incentivi per rivitalizzare la domanda, dopo che
l’economia ha perso occupati per l’ottavo mese consecutivo
ed il tasso d’inflazione ha raggiunto il 6,1 per cento. Le
vendite dei concessionari di auto sono aumentate dell’1,9
per cento, primo incremento da gennaio e miglior risultato
in un anno. General Motors, ad esempio, ha offerto a tutti i
clienti le stesse condizioni praticate ai propri dipendenti,
spingendo le vendite nella seconda metà del mese, e
prolungherà gli incentivi nel mese di settembre oltre ad
avere in corso da giugno, per alcuni modelli, finanziamenti
a 72 mesi a tasso zero. Le vendite alle stazioni di servizio
sono diminuite in agosto del 2,5 per cento. Il prezzo medio
alla pompa di un gallone di benzina è diminuito da 4,04 a
3,76 dollari in agosto. Il calo dell’1,5 per cento delle
vendite dei Department Stores è stato il maggiore da aprile
2007. Le vendite presso i non-store retailers, che
riflettono le vendite online e da catalogo sono diminuite
del 2,3 per cento, massimo da marzo 2007.
Escludendo auto, carburanti e materiali da costruzione, il
gruppo di vendite al dettaglio utilizzato per calcolare il
dato di spesa dei consumatori nell’ambito del pil (i dati
dei gruppi mancanti provengono da altre fonti), le vendite
sono calate dello 0,2 per cento. Secondo le stime di
consenso, la spesa dei consumatori dovrebbe mostrare uno
stallo nel terzo trimestre.
Fonte
- Macromonitor
|
Fondi sovrani
in trasparenza
14 Settembre 2008 14:49 Milano -
di LaVoce.info ______________________________________________
Nell'ultimo anno i fondi sovrani
sono stati una boccata d'ossigeno per molte società con
difficoltà patrimoniali. Suscitano però anche molti
sospetti, soprattutto per la loro scarsa trasparenza. Tanto
che Ocse e Fmi preparano linee guida ad hoc. I governi
occidentali temono in particolare che i veicoli cinesi
investano in settori considerati strategici. E si acceleri
un processo di migrazione del know-how tecnologico verso la
Cina. Ma il mercato sembra aver già scontato questi rischi.
Semmai il problema è che producano una nuova forma di
statalizzazione.
Negli ultimi dodici mesi, con i loro investimenti, i fondi
sovrani hanno dato una boccata d'ossigeno a società
costrette da forti difficoltà patrimoniali a ripetute
svalutazioni, introducendo un elemento di relativa stabilità
in un mercato finanziario che altrimenti avrebbe visto
diverse blue-chip ricorrere a procedure fallimentari. La
stampa internazionale ha cominciato a occuparsi del problema
sostanzialmente nel maggio 2007, quando China Investment
Corporation, fondo sovrano cinese con una dotazione iniziale
di 200 miliardi di dollari, ha acquistato una partecipazione
in Blackstone, gruppo di private equity statunitense in
procinto di quotarsi. L'investimento, pari a circa 3
miliardi di dollari per meno del 10 per cento, oggi quota al
60 per cento del valore iniziale.
LINEE GUIDA PER LA TRASPARENZA
Queste operazioni hanno generato una vivace discussione
sulla scarsa disponibilità di informazioni circa il ruolo e
le strategie operative di buona parte dei fondi sovrani,
soprattutto per quanto riguarda quelli costituiti da governi
non occidentali. Per far fronte alla mancanza di
trasparenza, l'Ocse ha definito delle linee guida mentre il
Fondo monetario internazionale, su incarico dei ministri
delle Finanze e dell'Economia dei paesi del G7, ha appena
emanato un codice di condotta su base volontaria, con
ventiquattro principi, frutto del lavoro congiunto di un
comitato cui hanno partecipato anche i principali fondi
sovrani.
Il Sovereign Wealth Fund Institute, organizzazione
non-profit, ha invece elaborato il cosiddetto “indice di
trasparenza Linaburg-Maduell”: qualifica i fondi sovrani in
relazione alla loro natura, alle loro strategie e alla
qualità della corporate governance e della politica di
accountability cui sono soggetti. Presupposto di tutti
questi indirizzi è la definizione di fondo sovrano, un
aspetto rilevante, in particolare, ai fini della attuazione
delle linee guida che Fmi e Ocse imporranno ai paesi
sottoscrittori degli accordi di ratifica. Se un fondo
cadesse nella fattispecie, dovrebbe infatti rispettare le
direttive del caso, affrontando tutti i problemi connessi
con i livelli di trasparenza richiesti.
Molto resta ancora da fare, a partire proprio dal problema
definitorio, che potrebbe avere interessanti implicazioni
anche per il sistema italiano. I fondi sovrani, stando alla
definizione del Fmi sono “speciali fondi d'investimento
creati o posseduti da stati sovrani al fine di detenere
attività in valuta estera con un orizzonte temporale
d'investimento protratto”. Cosa s'intende per “sovrano”? In
un'ottica federale lo sarebbe anche una regione italiana? Le
attività devono necessariamente essere in valuta estera?
Potrebbe una fondazione bancaria italiana essere considerata
una sorta di fondo sovrano? Qual è l'orizzonte temporale di
un investimento “protratto”? Recentemente, complice la
debolezza del dollaro, Qatar Investment Authority, altro
fondo sovrano medio-orientale, ha cominciato a convertire
gli investimenti denominati in dollari in investimenti
denominati in euro.
Per finire, poi, i fondi sovrani dovrebbero essere
differenziati in funzione anche di altri parametri. Ad
esempio, delle fonti del finanziamento, come cessione sul
mercato di risorse naturali non rinnovabili, avanzi fiscali,
proventi derivanti dai processi di privatizzazione, avanzi
delle partite correnti; oppure degli obiettivi di policy
perseguiti: stabilizzazione dei proventi dell'esportazione
di commodities o accumulazione dei proventi stessi, impiego
di riserve in valuta in strumenti di investimento a
rendimento/rischio più elevato di quello tipico in cui sono
investite le riserve ufficiali, destinazione di fondi a
obiettivi di sviluppo infrastrutturale, investimento di
risorse destinate al soddisfacimento futuro di prestazioni
obbligatorie, quali le pensioni. Ciò permetterebbe di meglio
comprenderne le strategie.
TRA RISCHI E PRAGMATISMO
Il dibattito sulla trasparenza dei fondi sovrani è in realtà
sulle loro “intenzioni” e sulle loro politiche allocative e
nasce sostanzialmente all'indomani della creazione
nell'autunno 2007 di Cic (Parigi: FR0005025004 - notizie) ,
che prima ancora di veder ufficialmente la luce, aveva già
compiuto l'operazione in Blackstone. Le preoccupazioni
ruotano soprattutto attorno alla possibilità che Cic, od
omologhi veicoli cinesi, compiano investimenti in aziende o
settori considerati strategici dai governi, preoccupati non
solo che la sicurezza nazionale sia posta in pericolo, ma
anche che possa accelerarsi un processo di migrazione del
know-how tecnologico verso la Cina, con effetti negativi
sulla struttura industriale e occupazionale del proprio
paese. Dal momento che la Cina è stato il primo paese ad
aver accettato il codice di autocondotta testé emanato dal
Fmi, il timore sembrerebbe infondato.
Sull'altro piatto della bilancia, c'è però la nuda realtà
delle cifre, che richiede di accedere alle disponibilità dei
fondi sovrani, per porre rimedio agli eccessi speculativi.
Le molte operazioni effettuate in quest'ultimo anno, che
hanno coinvolto anche fondi cinesi, confermano che il
pragmatismo alla fine vince. Sembrerebbe quasi che la
comunità politica chieda alle organizzazioni finanziarie di
controllo l'emanazione di una griglia di indicazioni, che
possano fungere da “regole d'ingaggio” con i fondi sovrani.
Se così fosse, sarebbe tuttavia un processo a posteriori: il
mercato, infatti, pare aver scontato il rischio e già vi
accede ampiamente, come dimostrano le operazioni delle
banche statunitensi, incuranti dei risvolti geo-politici,
concluse emettendo, se del caso, capitale ibrido, con o
senza diritto di voto. La trasparenza e il problema
definitorio dei fondi sovrani sarebbero, in altre parole,
acqua passata, ormai.
Ma è un altro aspetto dei fondi sovrani che forse
meriterebbe ancor più di essere indagato: il possibile
prodursi di un effetto reversal. Dopo una lunga stagione di
privatizzazioni avviate dai principali governi occidentali
potrebbe infatti materializzarsi una sorta di nuova
“statalizzazione” estero-vestita, problema acuito dal fatto
che i fondi non sembrano voler svolgere ruoli da investitore
attivo. Alto sarebbe dunque il rischio che si ricreino così
le problematiche legate ai costi di agenzia, in generale, e,
in particolare, quella del management entrenchment, in cui
si costruiscono “alleanze” tra un management
autoreferenziale e soci forti ma silenziosi, rendendo vano
lo spirito che dovrebbe caratterizzare il libero mercato,
ossia la concorrenza e la meritocrazia.

Fonte
-
LaVoce.info
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Giovedì 11
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Tutti i rischi
che ha in pancia Lehman
15 Settembre 2008 13:51 SIENA -
di MPS Capital Services* ______________________________________________
Tassi di interesse: in area Euro
tasso decennale in calo questa mattina fino al 4% dopo le
notizie finanziarie Usa del week end. Sul fronte macro la
produzione industriale dell’intera area a luglio ha
registrato un brusco calo con una penalizzazione del
comparto dei beni capitali. Male anche il dato sulla
produzione italiana che ha registrato il terzo calo
consecutivo. Oggi l’attenzione sarà rivolta alle notizie
provenienti da Wall Street ed al calo del prezzo del
greggio. Sul decennale il supporto si colloca a 4%.
Negli Usa le notizie del week end hanno fortemente scosso i
mercati questa mattina. Le notizie rilevanti sono diverse:
1) la richiesta di amministrazione controllata da parte di
Lehman (capitolo 11), dopo il fallimento delle trattative
per trovare un possibile acquirente; 2) l’acquisto di
Merrill Lynch da parte di Bank of America per 50Mld$
mediante uno scambio azionario; 3) il rifiuto da parte di
AIG, la più grande compagnia assicurativa Usa, di
un’iniezione di liquidità da parte del fondo di private
equity J.C.Flowers e la contestuale richiesta (secondo
quanto riportato da Wsj) di un prestito ponte da 40Mld$
presso la Fed, in attesa di porre in essere un drastico
piano di dismissioni;
4) l’annuncio della Fed di un ampliamento dell’entità
(portata a 200Mld$) e della tipologia di collateral
accettato nelle operazioni di rifinanziamento, fino ad
includere anche le azioni, una decisione quest’ultima avente
scadenza 30 gennaio 2009; 5) creazione di un fondo da 70Mld$
da parte di un pool di banche mondiali cui attingere per far
fronte a temporanee carenze di liquidità.
Di tutte queste notizie, quella su cui si concentra nel
breve maggiormente l’attenzione è indubbiamente quella
inerente Lehman, la prestigiosa banca di investimento Usa
fondata nel 1850. Nel corso del fine settimana è stata
tenuta una c.d. netting trading session per cercare di
ridurre la minimo il rischio di posizioni aperte
sull’imponente mercato dei CDS avente come controparte
Lehman.
Il punto cruciale rimane soprattutto la gestione
dell’eventuale liquidazione degli asset a forte rischio
detenuti da Lehman ed aventi come sottostanti mutui sia
commerciali sia residenziali. Si tratta di un punto
importante in quanto i prezzi di vendita potrebbero
diventare il riferimento per titoli analoghi detenuti da
altre banche comportando potenziali ulteriori svalutazioni.
L’atteggiamento del Tesoro e della Fed questa volta è stato
intransigente e finalizzato verosimilmente ad evitare
l’instaurarsi di un atteggiamento degli operatori volto ad
immaginare sempre la presenza della mano pubblica in caso di
fallimenti eccellenti, dopo l’esperienza di Bear Stearns e
delle due agenzie sui mutui. A questo punto, l’incontro
della Fed di domani riveste importanza soprattutto in
seguito alle vicende finanziarie. Qualche analista arriva ad
ipotizzare un taglio dei tassi.
Sul mercato obbligazionario l’effetto questa mattina è
evidente: forte irripidimento della curva con marcato calo
dei tassi. Il supporto importante è a quota 3,40%.
Valute: Dollaro in marcato deprezzamento questa mattina
verso Euro fino a sfiorare la soglia di 1,45 (1,4480).
Successivamente il movimento è in parte rientrato fino a
circa 1,43. Sul Dollaro incide la percezione di un forte
ulteriore deterioramento del contesto finanziario Usa che
sul mercato obbligazionario negli ultimi giorni aveva invece
assunto la forma di un incremento del costo della protezione
dal rischio default sui Treasury.
In attesa di verificare le reazioni sul mercato azionario
nel pomeriggio, le principali due resistenze si collocano a
1,4360 e 1,45. Le vicende Usa del week end hanno avuto un
impatto anche sullo Yen che si è apprezzato in modo deciso
verso Usd sfiorando quota 105. Incide in questo caso il
rientro di parte dei carry trade in un clima di maggiore
avversione al rischio. Il movimento di oggi apre lo spazio
per la prosecuzione fino in area 104.
Materie Prime: la settimana si è conclusa con un rialzo
tutti i prezzi delle commodities la cui domanda è stata
supportata dal Dollaro debole. In particolare la soia è
salita venerdì del 22,53% per le speculazioni dovute al
timore che l’ammontare del raccolto sia minore del previsto.
In aumento anche il mais a causa dei possibili danni che
l’uragano Ike potrebbe provocare ritardando la coltura degli
Stati Uniti. In forte aumento gli industriali ed i preziosi:
zinco (+5,14%), piombo (+4,67%), oro (+2,55%) e argento
(+2,34%). In mattinata si è invece assistito ad un calo del
prezzo del greggio Wti sceso sotto la soglia dei 99 $ dopo
le prime indicazioni secondo cui l’uragano Ike ha evitato le
infrastrutture della costa del golfo e dopo l’apertura del
Dollaro in deprezzamento.
Fonte
- MPS Capital Services
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AIG,
corsa contro il tempo
16 Settembre 2008 -
di phastidio ______________________________________________
American International Group
(AIG), il maggior assicuratore statunitense per entità degli
attivi, nella giornata di lunedì 15 settembre ha subìto il
taglio del rating da parte di Standard&Poor’s e Moody’s,
circostanza che minaccia di vanificare gli sforzi della
compagnia di raccogliere fondi di emergenza per mantenere
l’operatività. S&P ha abbassato il rating di lungo termine
di AIG di tre livelli, a A-, a causa di “ridotta
flessibilità nel rispondere all’accresciuto fabbisogno di
collaterale e timori su crescenti perdite legate ai mutui”.
Moody’s ha tagliato di due livelli il rating senior
unsecured, portandolo ad A2. Questi downgrade dovrebbero
innescare oltre 13 miliardi di dollari in richieste di
garanzie aggiuntive dagli investitori nel debito di AIG,
secondo stime della stessa società, che ha venduto a banche
ed altri investitori protezione su 441 miliardi di dollari
in obbligazioni, inclusi 57,8 miliardi di dollari in titoli
legati ai mutui subprime.
La compagnia sta cercando una somma compresa tra 70 e 75
miliardi di dollari, che potrebbero arrivare da una linea di
credito organizzata da Goldman Sachs e JPMorgan. La
capitalizzazione di AIG, dopo aver toccato un picco di 190
miliardi di dollari a fine 2006, si è ridotta di circa il 95
per cento.
Per Moody’s il declassamento del rating è avvenuto alla luce
del “continuo deterioramento nel mercato immobiliare
statunitense ed al conseguente impatto su liquidità e
capitale del gruppo”. Negli ultimi tre trimestri AIG ha
effettuato svalutazioni per 18,5 miliardi di dollari, cui
potrebbero aggiungersi altri 30 miliardi per il terzo
trimestre, che si sommerebbero ai 16,5 miliardi di garanzie
aggiuntive che la compagnia ha finora dovuto produrre. In
maggio AIG ha raccolto 20,3 miliardi di dollari in azioni ed
obbligazioni
Nella giornata del 15 settembre, il regolatore dello stato
di New York (la competenza sulle assicurazioni è infatti
statale), ha concesso alla compagnia un permesso speciale
per ottenere prestiti per 20 miliardi di dollari da parte
delle proprie controllate, nel tentativo di guadagnare tempo
per lavorare alla ricapitalizzazione. Questa autorizzazione
di emergenza pone rischi potenziali per i detentori di
polizze, ed il regolatore si impegna ad esaminare i termini
di ogni singola transazione per proteggere i sottoscrittori
dai rischi di depauperamento della copertura assicurativa.
La Federal Reserve di New York ha ingaggiato Morgan Stanley
per esaminare alternative per AIG. Tra le ipotesi relative
al reperimento della liquidità necessaria alla sopravvivenza
vi è la cessione di attivi, tra i quali la società
specializzata nel credito al consumo, American General
Finance, che potrebbe produrre 6 miliardi di dollari in caso
di vendita al doppio del proprio valore di libro, un
multiplo generalmente utilizzato in questo tipo di
transazioni. Possibile anche la cessione di International
Lease Finance, società specializzata nel leasing
aeronautico, che potrebbe essere ceduta per una somma
stimata in 7-14 miliardi di dollari. Nei giorni scorsi AIG
ha respinto una proposta d’investimento delle società di
private equity KKR &Co., TPG e J.C.Flowers mentre Warren
Buffett, il più celebre investitore statunitense, non
sarebbe più impegnato in colloqui con AIG.
Quale scenario attendersi
Il collasso di AIG rappresenterebbe la seconda e
potenzialmente più distruttiva fase dell’attuale crisi
finanziaria, sotto forma di un crollo del settore
assicurativo, con altissimo rischio di contagio. Il problema
di AIG non è rappresentato solo dalla sua dimensione
aziendale, ma dalla minaccia posta al mercato da 62.000
miliardi di dollari dei Credit Default Swaps, o CDS, un
mercato assicurativo non regolamentato nel quale gli
investitori si proteggono contro il default di emissioni
obbligazionarie, pagando un premio. AIG ha venduto
protezione su eventi di default che coinvolgano emissioni
obbligazionarie, strumenti finanziari aventi come
collaterale cartolarizzazioni ipotecarie ed altri titoli di
debito. Il declassamento attuato dalle società di rating
impone alla compagnia di presentare garanzie aggiuntive
della propria solvibilità. Il mercato dei CDS ha finora
retto bene, ma è difficile ipotizzare cosa potrebbe accadere
se AIG dovesse dichiarare la propria insolvenza, sia
riguardo i contratti da essa direttamente assicurati, che
per quelli di terze parti che si sono assicurate contro il
rischio di default della stessa AIG. Se la compagnia dovesse
dichiararsi insolvente un numero elevato di sue controparti
sarebbero impossibilitate a monetizzare i propri contratti
di CDS. Da ciò conseguirebbe un elevato numero di
fallimenti, di cui sarebbero vittime iniziali soprattutto
gli hedge funds. Nel momento in cui scriviamo la situazione
è ovviamente in evoluzione, ma è opinione comune che le
prossime 48 ore saranno decisive. Finora la Fed ha cercato
di gestire il salvataggio senza essere coinvolta
direttamente, ma se la cordata giudata da Goldman e JPMorgan
dovesse fallire nell’erogazione del prestito-ponte, le
conseguenze dell’insolvenza sarebbero potenzialmente
devastanti. Questa considerazione potrebbe spingere il
Tesoro statunitense ad intervenire per evitare il peggio, ma
la situazione resta imprevedibile.
Fonte
-
Macromonitor
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TASSI USA:
LA FED LI LASCIA INVARIATI AL 2%
16 Settembre 2008 20:15 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
La Banca Centrale americana ha
lasciato invariato il tasso sui fed funds. Linea dura dei
governatori. Il mercato chiedeva un taglio di almeno 25
punti base. Decisione unanime.
Il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della
Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro
degli Stati Uniti al 2.00% per la terza volta consecutiva.
In seguito agli ultimi sviluppi all’interno del comparto
finanziario il mercato chiedeva ai governatori della Banca
Centrale una riduzione dei tassi per offrire ossigeno al
sistema, piegato dalla crisi del credito.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in
italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee ha deciso oggi di mantenere
il target sui fed funds al 2.00%.
Le pressioni sui mercati finanziari sono incrementate
significativamente mentre il mercato del lavoro si e’
ulteriormente indebolito. La crescita economica sembra
essere rallentata recentemente, in parte a causa
dell’abbassamento della spesa delle famiglie. Le strette
condizioni che caratterizzano il mercato del credito, la
contrazione del mercato immobiliare tuttora in corso, ed
alcuni rallentamenti nella crescita delle esportazioni
peseranno probabilmente sulla crescita economica dei
prossimi trimestri. Tuttavia, le ultime operazioni di
politica monetaria, in combinazione con le misure adottate
per promuovere la liquidita’, dovrebbero promuovere una
oderata crescita economica.
L’inflazione e’ risultata elevata, spinta dagli incrementi
dei prezzi energetici e di altre commodities. Il Comitato si
aspetta un rallentamento delle pressioni inflazionistiche
nei prossimi mesi e nell’arco del prossimo anno, ma l’outlook
resta molto incerto.
I rischi al ribasso per la crescita e quelli al rialzo per
l’inflazione rappresentano entrambi significative
preoccupazioni per il Comitato. Il Comitato continuera’ a
monitorare attentamente gli sviluppi economici e finanziari
ed agira’ come necessario per promuovere una crescita
economica sostenibile e la stabilita’ dei prezzi.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC
sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; Christine M. Cumming;
Elizabeth A. Duke; Richard W. Fisher; Donald L. Kohn;
Randall S. Kroszner; Sandra Pianalto; Charles I. Plosser;
Gary H. Stern; and Kevin M. Warsh. Ms. Cumming ha votato in
sostituzione di Timothy F. Geithner.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la
decisione della Federal Reserve di confermare il tasso
interbancario al 2.00%:
The Federal Open Market Committee decided today to keep its
target for the federal funds rate at 2 percent.
Strains in financial markets have increased significantly
and labor markets have weakened further. Economic growth
appears to have slowed recently, partly reflecting a
softening of household spending. Tight credit conditions,
the ongoing housing contraction, and some slowing in export
growth are likely to weigh on economic growth over the next
few quarters. Over time, the substantial easing of monetary
policy, combined with ongoing measures to foster market
liquidity, should help to promote moderate economic growth.
Inflation has been high, spurred by the earlier increases in
the prices of energy and some other commodities. The
Committee expects inflation to moderate later this year and
next year, but the inflation outlook remains highly
uncertain.
The downside risks to growth and the upside risks to
inflation are both of significant concern to the Committee.
The Committee will monitor economic and financial
developments carefully and will act as needed to promote
sustainable economic growth and price stability.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S.
Bernanke, Chairman; Christine M. Cumming; Elizabeth A. Duke;
Richard W. Fisher; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner;
Sandra Pianalto; Charles I. Plosser; Gary H. Stern; and
Kevin M. Warsh. Ms. Cumming voted as the alternate for
Timothy F. Geithner.

Fonte
- WallStreetItalia.com
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USA,
l'ultima spiaggia
dell'intervento statale
17 Settembre 2008 15:11 NEW
YORK - di Massimo Gaggi
________________________________________
Polizze sull'auto e la casa,
assicurazioni sulla vita, gli incendi, i voli di linea. Nelle ultime
48 ore la tempesta sul gigante assicurativo Aig è diventata — per i
mercati mondiali — un problema molto più grosso del fallimento di
Lehman, banca d'affari grande e carica di storia ma con attività
confinate al sistema finanziario.
E così l'ipotesi di nuovi salvataggi sostenuti col denaro pubblico —
esclusa solo due giorni fa dal Tesoro — è tornata improvvisamente
d'attualità. Domenica governo Usa e Fed si erano rifiutati di
aiutare Lehman e avevano invitato Aig, che chiedeva un gigantesco
prestito-ponte, a rivolgersi alle banche. Gli istituti di credito
hanno provato a costruire un «fondo per le emergenze», ma ieri hanno
gettato la spugna. E senza
un'iniezione di liquidità di ben 90 miliardi di dollari, Aig avrebbe
potuto dichiarare bancarotta già stamattina. Un rischio che, nella
notte, ha rimesso in moto la macchina dell'intervento pubblico.
Motivazione fornita informalmente: data la natura delle attività del
gigante assicurativo, un suo crollo produrrebbe non solo un
aggravamento della crisi (come nel caso di Lehman), ma un vero e
proprio «rischio sistemico».
Con Aig la crisi compie,
infatti, un doppio salto di qualità: da un lato viene messo in
pericolo il rapporto con milioni di clienti che non hanno mai avuto
a che fare con Wall Street, ma che ora non sanno più se fidarsi
delle loro polizze, se rinnovarle. In realtà le prestazioni
assicurative (gli indennizzi per chi viene tamponato o ha la casa
allagata) non sono in pericolo. I clienti saranno, però, comunque
tentati di passare ad una compagnia con meno problemi.
Ma, rapporto con gli
assicurati a parte, un fallimento di Aig avrebbe conseguenze molto
più gravi del crollo di Lehman anche in campo finanziario perché la
compagnia non solo è molto più grossa (attività quasi doppie
rispetto ai 600 miliardi di dollari di esposizione della banca
d'affari), ma è anche assai più ramificata. Opera in 130 Paesi e un
suo crollo metterebbe per la prima volta con le spalle al muro anche
gli «hedge fund» che fin qui sono stati al riparo dalla crisi.
Soprattutto, un fallimento
di Aig avrebbe aperto il vaso di Pandora dei misteriosi Cds, i «Credit
default swaps»: contratti assicurativi vorticosamente emessi e
scambiati dagli operatori finanziari più diversi nei quali una parte
protegge un'altra dal rischio che alcuni titoli (soprattutto le
obbligazioni con cui sono stati «cartolarizzati» i mutui-casa) non
vengano onorati alla scadenza.
Negli ultimi anni il mercato è stato invaso da contratti di questo
tipo detenuti da banche, assicurazioni, finanziarie, «hedge fund»,
il cui valore complessivo è ormai si misura in migliaia di miliardi
di dollari. Il finanziere
George Soros è stato uno dei primi a dare l'allarme. In un libro
sulla crisi pubblicato pochi mesi fa, ha avvertito che i Cds possono
diventare per il sistema ancor più destabilizzanti dei mutui, visto
che nessuno sa come siano distribuiti e cosa accadrebbe in caso di
gravi insolvenze.
La proposta di Soros -
creare una «stanza di compensazione » che funzioni da centro di
controllo e di pronto intervento in questo mercato - è stata
condivisa da molti, ma non ha avuto seguito. Ieri, però, l'ha
rilanciata il «Wall Street Journal», l'organo dei liberisti. Tutti
questi segnali che si sono incrociati nel giro di poche ore e la
decisione della Fed di non abbassare ulteriormente i tassi, hanno
reso quella di ieri, ancor più di lunedì, una giornata per gente con
lo stomaco forte.
Nessun crollo, ma un mercato sull' «ottovolante»: Borsa a precipizio
in apertura per il pessimismo sul destino di Aig,poi in ripresa per
voci di un nuovo intervento pubblico; di nuovo in ribasso per il
mancato taglio del costo del denaro e una chiusura in netto rialzo
per il diffondersi della sensazione che, in un modo o nell'altro, il
fallimento di Aig verrà evitato.
Il segnale di un nuovo,
possibile intervento pubblico è venuto, indirettamente, dal vertice
sui tassi: alla riunione del «board» della Banca centrale Usa a
Washington, Tim Geithner, il capo della Fed di New York, non c'era:
era rimasto a Manhattan a lavorare sul caso Aig. Le autorità che
domenica avevano lasciato fallire Lehman e avevano detto «no» alla
richiesta del gruppo assicurativo di un prestito-ponte di 50
miliardi di dollari per tenere in vita l'Aig, hanno dovuto rimettere
sul tavolo l'ipotesi di un intervento di salvataggio pubblico.
Come detto, i tentativi
delle banche private sono infatti falliti, anche perché i 50
miliardi necessari per sopravvivenza di Aig lunedì erano già
diventati 75 (causa «downgrading» del credito della compagnia
assicurativa che impone requisiti di solvibilità più severi) e ieri
sono ulteriormente saliti a 85.
La bancarotta era inevitabile? La massiccia immissione di liquidità
nel sistema effettuata ieri mattina in modo coordinato dalle
principali banche centrali del mondo ha dato a molti operatori la
sensazione che la Fed stesse preparando «cuscini» per cercare di
attutire le conseguenze di una messa in liquidazione di Aig.
«Attenti, giocate col fuoco» è subito intervenuto Maurice Greenberg,
l'ultraottantenne ex capo del gigante assicurativo che rimane una
sua voce influente: «La società ha un patrimonio enorme: gli va data
solo la liquidità necessaria per superare un momento difficile e
vendere i suoi "asset" in modo ordinato».
Greenberg ha anche formulato una confusa ipotesi di intervento dele
sue società a favore di Aig. Alle sei di ieri (mezzanotte ora
italiana), tutti i protagonisti della partita — capi di Aig, Fed,
Tesoro, grandi banche, l'Authority delle assicurazioni dello Stato
di New York — erano chiusi in una stanza alla ricerca della formula
per mettere in piedi un «prestito-ponte» che non abbia l'aspetto di
un nuovo salvataggio pubblico. Ci sarebbero rimasti altre due ore
per un'operazione temeraria e colossale. Di dimensioni mai viste,
fino a ieri sera, nella storia della finanza.
 |
Fonte
- Corriere della Sera |
Sistema
finanziario
vicino al
collasso
18 Settembre 2008 13:49
LUGANO - di Alfonso Tuor
________________________________________
È panico a Washington.
Questa è la lettura del salvataggio di AIG, la più grande compagnia
assicurativa del mondo. Nel giro di 48 ore l’amministrazione Bush e
la Federal Reserve sono state costrette ad un improvviso cambiamento
di rotta. Nella serata di domenica scorsa le autorità
americane avevano lasciato fallire la banca di investimento Lehman
Brothers, sostenendo che spettava al mercato e non ai contribuenti
americani pagare il conto delle spericolate avventure di Wall
Street. Ma già martedì scorso questi propositi sono stati
abbandonati per salvare in extremis la AIG con un prestito di 85
miliardi di dollari elargito dalla Federal Reserve, che verrà
convertito in una partecipazione azionaria del 79,9% dello Stato
federale nel colosso assicurativo.
Le ragioni di questo
clamoroso voltafaccia sono le seguenti. Il mercato finanziario ha
dimostrato di non essere in grado di digerire il fallimento della
Lehman. Lunedì e martedì scorsi il mercato interbancario si è
letteralmente chiuso e i costi di rifinanziamento delle banche sono
esplosi. Per dare un’idea di quanto è successo, i costi di
rifinanziamento giorno per giorno in dollari di grandi istituti,
ritenuti tra i più solidi, come JP Morgan e Credit Suisse sono
balzati dal 3% al 7%; altrettanto è successo per i tassi Libor a più
lungo termine. Se il livello di questi tassi non fosse sceso, vi
sarebbero state conseguenze immediate ed imprevedibili su altre
banche, già in difficoltà, che non avrebbero potuto sostenere costi
così elevati.
Vi sarebbero stati gravi
ripercussioni anche per imprese e famiglie, perché sarebbero
schizzati anche i tassi su ipoteche e crediti commerciali. Il
fallimento di AIG sarebbe stato indubbiamente l’ultima ciliegina che
avrebbe definitivamente chiuso il mercato interbancario e fatto
collassare l’intero sistema finanziario.
Dunque la scelta di salvare
e far passare sotto il controllo del Governo federale la AIG era
obbligata. Essa ha avuto l’effetto immediato di ridurre un
po’ la tensione sul mercato interbancario e ha permesso ieri alle
banche di tirare un temporaneo sospiro di sollievo. Questa mossa non
è comunque risolutiva: essa non elimina il tarlo del dubbio creato
dal fallimento della Lehman. La possibilità che altri istituti
vengano lasciati fallire è destinata a mantenere alti i costi di
rifinanziamento del sistema bancario e ad accelerare i tempi di
questa crisi. Inoltre questa scelta pone sul tappeto una questione
essenziale: quali istituti salvare e in base a quali criteri.
La AIG non è una banca, ma
una compagnia di assicurazione che nella fase di euforia della nuova
ingegneria finanziaria si era lanciata, tra l’altro, a garantire il
valore delle obbligazioni che Wall Street ha continuato a sfornare
negli ultimi anni. Tra queste obbligazioni vi sono anche i titoli in
cui sono stati impacchettati i mutui ipotecari americani.
L’esposizione, che ammonta a circa 441 miliardi di dollari nei
confronti di questi Credit Default Swap, costringe AIG a compensare
la loro continua perdita di valore. Per questo motivo martedì AIG
doveva essere salvata.
Senza il prestito della Federal Reserve la compagnia ieri non
avrebbe avuto quei circa 70 miliardi di dollari che ha poi versato
alle sue controparti. Il mancato pagamento avrebbe provocato
l’immediato fallimento della AIG, distrutto il mercato dei Credit
Default Swap, che supera i 60.000 miliardi di dollari, provocato
enormi perdite alle controparti ed inferto un colpo al sistema
bancario.
La «nazionalizzazione»
dell’80% della maggiore compagnia assicurativa del mondo, che segue
il crac della Lehman e i salvataggi della Merrill Lynch e ancor
prima delle due agenzie Fannie Mae e Freddie Mac e in marzo della
banca di investimento Bear & Stearns, è un’ulteriore dimostrazione
della profonda crisi del sistema bancario occidentale ormai
sull’orlo del collasso. Gli avvenimenti di questi giorni ci
hanno portati ad un punto di svolta: la crisi sarà più rapida e più
grave di quanto si potesse ancora pensare la settimana scorsa.
Lo stato «comatoso» del
sistema bancario è destinato ad avere un impatto profondo
sull’economia reale. E contro questa crisi non bastano i
tradizionali strumenti di politica economica. Le continue iniezioni
di liquidità delle banche centrali danno solo un po’ di ossigeno a
istituti bancari a corto di liquidità e di capitali.
Lo scopo degli istituti di
emissione è sostituirsi ai mercati nei rifinanziamenti più urgenti
del sistema bancario: gli effetti di queste erogazioni miliardarie
sono però limitati nel tempo e non riescono ad evitare che la crisi
bancaria si trasmetta all’economia reale attraverso il canale della
restrizione e dell’aumento del costo del credito concesso a imprese
e famiglie.
Inoltre la crisi del mercato immobiliare americano e di quelli
spagnolo e britannico e la brusca frenata dell’economia al di qua e
al di là dell’Atlantico fanno prevedere da un canto che le gravi
difficoltà del settore finanziario sono destinate ad ulteriormente
aggravarsi e dall’altro ad accelerare i tempi di una crisi economica
che non può più essere evitata.
Ora occorrerebbe porsi un
obiettivo realistico: limitare i danni del collasso del sistema
bancario e della grave crisi economica alle porte e creare le
premesse per un rilancio della crescita. Sono necessari dunque
misure draconiane nell’immediato e nel contempo capacità di
prospettare un possibile futuro dopo questo sconquasso.
Agire sulle cause di questa
crisi vuol dire regolare severamente i responsabili della situazione
attuale, gli attori della nuova ingegneria finanziaria, che secondo
lo stesso presidente Bush hanno trasformato il sistema finanziario
in un casinò in base ai principi liberisti della deregulation e
della capacità del mercato di autoregolarsi. Occorre inoltre
riavviare politiche di investimenti infrastrutturali e di
redistribuzione della ricchezza. E tutto ciò deve essere fatto
tenendo conto che la geografia economica del pianeta è completamente
cambiata. Insomma, occorre
una nuova Bretton Woods che stabilisca le regole economiche,
finanziarie e commerciali del mondo.
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Fonte
- Corriere del Ticino |
Negli USA
come in Giappone, tassi nominali negativi.
18 Settembre 2008 14:49 Milano -
di John Christian Falkenberg ______________________________________________
Ieri sera i titoli di stato
americani a brevissimo termine sono stati scambiati ad un
tasso nominale negativo: il panico è tale che gli acquirenti
sono letteralmente disposti a pagare , invece che esssere
pagati, per prestare denaro al di fuori del sistema
bancario.
Persino in Giappone, al picco della crisi bancaria, questo è
accaduto soltanto in alcune rare occasioni - ed i tassi
giapponesi erano in teoria a zero, non al 2 per cento come
negli USA.
Peccato che il Tesoro americano si stia comportando, di
fatto, come il garante per l’intero sistema. Il rifugio
sicuro potrebbe non essere tanto sicuro.
Fonte
- Macromonitor
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Martedì 16
Settembre 2008 |
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Mercoledì 17
Settembre 2008 |
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Mercoledì 17
Settembre 2008 |
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++ Vai alla Rassegna
Cronologica del
22 -
23 -
24 -
25 -
26 -
29 -
30
Settembre 2008 ++
Ecco
la madre
DI TUTTI I SALVATAGGI: IL PIANO DEL TESORO USA PER LE BANCHE
20 Settembre 2008 19:45 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Wall Street Italia pubblica il
testo integrale della bozza relativa al piano preparato dal
ministro del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Paulson, per
salvare il sistema bancario americano dal collasso. Il testo
della legge sara' presentato al Congresso per l'approvazione
con un voto d'urgenza entro la fine della prossima
settimana. Per l'economia e la finanza degli Stati Uniti
questa legge ha tutta l'aria di essere quel che fu il
Patriot Act dopo gli attentati terrostici dell'11 settembre
2001. L'obiettivo dell'amministrazione Bush e' riacquistare
i "debiti tossici", cioe' i mutui subprime e a rischio, sia
residenziali che commerciali, in portafoglio alle banche
Usa. Si tratta del piu' massiccio intervento statale da
parte di Washington, con l'utilizzo di denaro dei
contribuenti, dai tempi della Grande Depressione. Il debito
degli Stati Uniti sale cosi' a $11,315,000,000,000.
Da notare che alla Sec. 10, Subsection (b) il testo parla di
$1,315 trilioni, mentre gli Stati Uniti hanno un debito
federale, al 18 settembre 2008, di 9,7 trilioni. L'aumento
del debito e' quindi di 1,6 trilioni, e' questa la somma su
cui il Tesoro Usa pensa di fare affidamento.
Leggere un estratto del piano in italiano cliccando qui.
LEGISLATIVE PROPOSAL FOR TREASURY AUTHORITY TO PURCHASE
MORTGAGE-RELATED ASSETS
Section 1. Short Title.
This Act may be cited as ____________________.
Sec. 2. Purchases of Mortgage-Related Assets.
(a) Authority to Purchase.--The Secretary is authorized to
purchase, and to make and fund commitments to purchase, on
such terms and conditions as determined by the Secretary,
mortgage-related assets from any financial institution
having its headquarters in the United States.
(b) Necessary Actions.--The Secretary is authorized to take
such actions as the Secretary deems necessary to carry out
the authorities in this Act, including, without limitation:
(1) appointing such employees as may be required to carry
out the authorities in this Act and defining their duties;
(2) entering into contracts, including contracts for
services authorized by section 3109 of title 5, United
States Code, without regard to any other provision of law
regarding public contracts;
(3) designating financial institutions as financial agents
of the Government, and they shall perform all such
reasonable duties related to this Act as financial agents of
the Government as may be required of them;
(4) establishing vehicles that are authorized, subject to
supervision by the Secretary, to purchase mortgage-related
assets and issue obligations; and
(5) issuing such regulations and other guidance as may be
necessary or appropriate to define terms or carry out the
authorities of this Act.
Sec. 3. Considerations.
In exercising the authorities granted in this Act, the
Secretary shall take into consideration means for--
(1) providing stability or preventing disruption to the
financial markets or banking system; and
(2) protecting the taxpayer.
Sec. 4. Reports to Congress.
Within three months of the first exercise of the authority
granted in section 2(a), and semiannually thereafter, the
Secretary shall report to the Committees on the Budget,
Financial Services, and Ways and Means of the House of
Representatives and the Committees on the Budget, Finance,
and Banking, Housing, and Urban Affairs of the Senate with
respect to the authorities exercised under this Act and the
considerations required by section 3.
Sec. 5. Rights; Management; Sale of Mortgage-Related Assets.
(a) Exercise of Rights.--The Secretary may, at any time,
exercise any rights received in connection with
mortgage-related assets purchased under this Act.
(b) Management of Mortgage-Related Assets.--The Secretary
shall have authority to manage mortgage-related assets
purchased under this Act, including revenues and portfolio
risks therefrom.
(c) Sale of Mortgage-Related Assets.--The Secretary may, at
any time, upon terms and conditions and at prices determined
by the Secretary, sell, or enter into securities loans,
repurchase transactions or other financial transactions in
regard to, any mortgage-related asset purchased under this
Act.
(d) Application of Sunset to Mortgage-Related Assets.--The
authority of the Secretary to hold any mortgage-related
asset purchased under this Act before the termination date
in section 9, or to purchase or fund the purchase of a
mortgage-related asset under a commitment entered into
before the termination date in section 9, is not subject to
the provisions of section 9.
Sec. 6. Maximum Amount of Authorized Purchases.
The Secretary’s authority to purchase mortgage-related
assets under this Act shall be limited to $700,000,000,000
outstanding at any one time
Sec. 7. Funding.
For the purpose of the authorities granted in this Act, and
for the costs of administering those authorities, the
Secretary may use the proceeds of the sale of any securities
issued under chapter 31 of title 31, United States Code, and
the purposes for which securities may be issued under
chapter 31 of title 31, United States Code, are extended to
include actions authorized by this Act, including the
payment of administrative expenses. Any funds expended for
actions authorized by this Act, including the payment of
administrative expenses, shall be deemed appropriated at the
time of such expenditure.
Sec. 8. Review.
Decisions by the Secretary pursuant to the authority of this
Act are non-reviewable and committed to agency discretion,
and may not be reviewed by any court of law or any
administrative agency (il neretto e' di WSI).
Sec. 9. Termination of Authority.
The authorities under this Act, with the exception of
authorities granted in sections 2(b)(5), 5 and 7, shall
terminate two years from the date of enactment of this Act.
Sec. 10. Increase in Statutory Limit on the Public Debt.
Subsection (b) of section 3101 of title 31, United States
Code, is amended by striking out the dollar limitation
contained in such subsection and inserting in lieu thereof
$11,315,000,000,000.
Sec. 11. Credit Reform.
The costs of purchases of mortgage-related assets made under
section 2(a) of this Act shall be determined as provided
under the Federal Credit Reform Act of 1990, as applicable.
Sec. 12. Definitions.
For purposes of this section, the following definitions
shall apply:
(1) Mortgage-Related Assets.--The term "mortgage-related
assets" means residential or commercial mortgages and any
securities, obligations, or other instruments that are based
on or related to such mortgages, that in each case was
originated or issued on or before September 17, 2008.
(2) Secretary.--The term "Secretary" means the Secretary of
the Treasury.
(3) United States.--The term "United States" means the
States, territories, and possessions of the United States
and the District of Columbia.
Fonte
- WallStreetItalia.com
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Goldman Sachs
e Morgan Stanley cambiano pelle. Basterà?
22 Settembre 2008 -
di
Macromonitor ______________________________________________
La Wall Street che ha plasmato
per due decenni il mondo finanziario è finita ieri sera,
quando Goldman Sachs e Morgan Stanley sono giunte alla
conclusione che non c’è futuro a rimanere banche
d’investimento, ora che gli investitori hanno sentenziato
che quel modello non funziona più. L’approvazione da parte
della Federal Reserve della loro richiesta a diventare
banche pone fine alla stirpe delle banche d’investimento, 75
anni dopo che il Congresso le ha separate dai prestatori
autorizzati alla raccolta tramite deposito, e pone fine al
caos che ha portato Lehman Brothers al fallimento ed alla
vendita d’emergenza di Merrill Lynch a Bank of America.
Goldman, dalle cui fila proviene l’attuale Segretario al
Tesoro, Henry Paulson, e Morgan Stanley, un prodotto del
Glass-Steagall Act del 1933 che ha separato banche
d’investimento e commerciali, avevano insistito di non aver
bisogno di cambiare rotta, malgrado il crollo delle
rispettive azioni ed il forte aumento dei loro costi di
credito, la scorsa settimana. Ma non c’è stato nulla da
fare, con il Dow Jones che ha perso mille punti in due
giorni ed i clienti che in numero crescente hanno deciso di
ritirare i propri fondi dalle due istituzioni. La Fed ha
accettato all’unanimità la richiesta.
Per le due banche (che d’ora in poi saranno regolate dalla
Fed) si apre quindi la strada per la costruzione di una
propria base di depositi, potenzialmente attraverso
acquisizioni, e ridurrà (anche per obbligo della vigilanza)
l’enorme leva finanziaria che ha portato al crollo di Bear
Stearns e Lehman. Dall’inizio della crisi, lo scorso anno,
Morgan Stanley ha effettuato svalutazioni per complessivi
15,7 miliardi di dollari su cartolarizzazioni di mutui ed
altri titoli, mentre il conteggio di Goldman è attualmente
fermo a 4,9 miliardi. Anche se entrambe le compagnie hanno
continuato a restare profittevoli, evitando le perdite
trimestrali che hanno invece colpito Lehman e Merrill, i
loro ricavi da commissioni e trading sono diminuiti nel
corso dell’anno.
La trasformazione in banche commerciali significa che Morgan
Stanley tenterà di restare un’entità stand-alone, divenendo
una holding, ed i colloqui per una fusione con Wachovia
verranno per il momento congelati. Alla fine di agosto le
sussidiarie di Morgan Stanley possedevano già 36 miliardi di
dollari in depositi e tre milioni di conti retail. Goldman
Sachs diverrà la quarta più grande holding bancaria degli
Stati Uniti. La compagnia possiede già oltre 20 miliardi di
dollaridi depositi dalla clientela in capo a due sussidiarie
e ne creerà una terza, GS Bank USA, che avrà oltre 150
miliardi di dollari di assets, facendone una delle dieci più
grandi banche del paese, e punterà ad ampliare la propria
base di depositi attraverso crescita organica ed
acquisizioni.
La Federal Reserve è il regolatore primario delle holding
bancarie, cioè di società che controllano banche. Cirigroup,
Bank of AMerica e JPMorgan sono holding bancarie regolate
dalla Fed. Le securities firms, per contro, sono regolate
dalla Securities and Exchange Commission (SEC), il cui ruolo
futuro ora diviene più incerto.
La trasformazione delle due banche d’investimento in banche
commerciali porterà anche ad una riduzione della propensione
al rischio e verosimilmente a retribuzioni più basse per i
loro dipendenti.
Fonte
-
Macromonitor
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Petrolio
in altalena. Ma chi spinge?
23 Settembre 2008 -
di Marco Caprotti ______________________________________________
Sono tempi strani per il petrolio
e per i titoli delle aziende che si occupano di oro nero. Il
barile nell’ultimo anno sembra divertirsi a stare su
un’altalena. A settembre 2007 il prezzo della qualità West
Texas (Wti) è stato, mediamente, di 79,69 dollari. Il 3
luglio scorso ha toccato il record storico di 147 dollari.
Nell’ultima settimana è precipitato sotto i 100 dollari per
poi schizzare, nel giro di una seduta, sopra i 120.
In mezzo a questa girandola, l’indice Msci che raccoglie i
titoli del settore nell’ultimo mese (fino al 23 settembre e
calcolato in euro) ha perso quasi il 5% portando a -15,1% la
performance da inizio anno. “Tutta colpa dell’incertezza che
regna sul mercato dell’oro nero e alla quale ha contribuito
anche il cartello dei Paesi esportatori (Opec)”, spiega una
nota della società di consulenza Oxford Analytica (OA).
Ma andiamo con ordine, analizzando quello che è successo
negli ultimi tre mesi. Ci sono diversi fattori che spiegano
il record segnato dal petrolio a luglio. Il mercato dei
future ha avuto la percezione che nel cosiddetto wet barrel
market (dove i barili vengono fisicamente comprati e
venduti) ci sarebbe stato un improvviso calo di prodotto. La
debolezza del dollaro ha contribuito ad alimentare le paure,
visto che la discesa del biglietto verde di solito porta ad
una salita del prezzo del petrolio. I gestori, quindi, alla
ricerca di un porto dove mettere al riparo i loro
investimenti li hanno buttati a piene mani nelle commodity
per evitare i poveri rendimenti offerti dai bond governativi
e il pessimo andamento delle azioni. “Il tutto condito con
movimenti speculativi così pesanti da spingere le autorità
di controllo a chiedere regole più severe, soprattutto sul
mercato dei future”, dice lo studio.
Dopo il picco di inizio luglio il prezzo del barile ha
iniziato a scendere rapidamente. Anche in questo caso ci
sono diverse spiegazioni al fenomeno. Prima fra tutte il
realizzare che il tanto temuto calo delle scorte non era poi
così immediato. Molti analisti, inoltre, hanno iniziato a
parlare della possibilità di un eccesso di produzione entro
la fine dell’anno.
A questo punto entra in gioco l’Opec. Nella riunione tenuta
a Vienna il 9 settembre il cartello ha annunciato che i
Paesi membri si sarebbero attenuti “rigorosamente” alle
quote di produzione a loro assegnate. E qui inizia la
confusione. Secondo il presidente dell’organizzazione Chakib
Khelil questo significa un taglio complessivo di 520mila
barili al giorno. Ma l’Arabia Saudita, da sola, produce
700mila barili al giorno oltre la quota a lei assegnata. Il
maggior produttore del cartello, quindi si trova fra
l’incudine degli altri membri e le pressanti richieste Usa
di non tagliare.
E se è chiaro che l’Opec impedirà ai prezzi del petrolio di
calare troppo mentre l’Arabia cercherà di non indispettire i
suoi potenti alleati occidentali, più difficile è capire
quali sono gli obiettivi di altri componenti del trust.
L’ala dura, capitanata da Iran e Venezuela, per esempio,
spingerà per far infiammare ancora di più il barile. “Se non
altro per togliersi il gusto di fare un dispetto agli Stati
Uniti”, spiega il report di OA.
Più morbida la posizione di Angola ed Ecuador, una cui
eventuale extra-produzione potrebbe compensare un calo di
estrazione da parte dei falchi antioccidentali. “Se questo
scenario dovesse avverarsi il prezzo del petrolio potrebbe
assestarsi intorno a 100 dollari nei prossimi mesi dando
anche un po’ di respiro alla congiuntura Usa e a quella
europea”, dice il report “In caso di crisi internazionali
improvvise, tuttavia, dovremmo fare i conti con un nuovo
aumento della volatilità”.

Fonte
- MorningStar.it
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Se
fallisce il salvataggio rischia anche l'Europa
24 Settembre 2008 22:30
MILANO - di Mario Seminerio
________________________________________
L’Amministrazione Bush ha
formalmente proposto al Congresso quello che potrebbe diventare il
maggiore salvataggio finanziario della storia degli Stati Uniti, con
una sintetica richiesta (contenuta in poco meno di tre pagine) di
autorizzazione per il Tesoro ad acquistare fino a 700 miliardi di
dollari di attivi collateralizzati, non solo da mutui.
Per dare un’idea dell’ordine di grandezza dell’intervento basti
pensare che 700 miliardi di dollari è l’importo finora speso in
costi diretti per la guerra in Iraq, ed eccede la dotazione
finanziaria annua del Pentagono. Il piano dà mani libere al Tesoro
sull’operatività del fondo, con il solo obbligo di mantenersi in
ogni momento entro il limite di spesa di 700 miliardi (quindi al
netto delle rivendite di titoli), e di informare ogni sei mesi il
Congresso su tale operatività.
Ora inizia un negoziato che
non si preannuncia facile perché i Democratici, che controllano il
Congresso, hanno già chiesto di trasformare il provvedimento in una
sorta di pacchetto-omnibus, inserendovi anche misure a sostegno
delle famiglie che rischiano di perdere la propria abitazione e
misure a sostegno dei disoccupati.
Restano soprattutto
interrogativi a cui occorrerà dare una risposta, ad esempio
in termini di procedura di acquisto delle cartolarizzazioni. Mai
come in questa circostanza il diavolo si nasconde nei particolari.
Ad esempio, a quale prezzo
dovrebbero essere effettuati gli acquisti? Se a valore di
libro, assisteremmo ad un imponente trasferimento di risorse fiscali
dai contribuenti agli azionisti delle banche, che resterebbero in
sella. Difficile pensare che il Congresso possa autorizzare una
simile mossa, che sarebbe un premio al moral hazard, passato e
futuro. Resta quindi l’incognita del pricing di titoli privi di
prezzo di mercato, che il piano Paulson intende acquistare ad un non
meglio specificato "fair market price".
Tecnicamente, si potrebbe
ipotizzare un sistema di reverse auction, cioè di asta al contrario,
dove è il compratore a fissare la base d’asta, ed i venditori
competono con rilanci al ribasso. Ma se i venditori
rifiutassero prezzi "equi" ma fortemente sacrificati rispetto al
valore di libro, tali da scontare l’ulteriore deterioramento atteso
nel mercato immobiliare, il salvataggio fallirebbe.
Nell’ipotesi opposta, lo
smobilizzo di titoli con minusvalenze più o meno pesanti finirebbe
col depauperare la base di capitale delle banche, richiedendo forti
ricapitalizzazioni. Da parte di chi? Dello stesso Tesoro, o
dei mercati. In quest’ultimo caso a carissimo prezzo e con
diluizione degli azionisti preesistenti, verosimilmente per opera di
investitori stranieri molto liquidi come i fondi sovrani.
Come che sia, si tratta di uno scenario molto diverso da quello del
salvataggio del sistema bancario attuato a inizio anni Novanta dalla
Svezia, e basato sulla nazionalizzazione degli istituti in crisi,
con azzeramento degli azionisti privati. In tal modo, l’esborso
netto per i contribuenti è stato mitigato dalla ripresa di
redditività delle banche salvate. E’ francamente difficile
immaginare che gli Stati Uniti possano seguire il modello svedese.
Anche per questo motivo, a
nostro giudizio esistono non poche probabilità che il salvataggio
fallisca, poiché l’Amministrazione si troverà esposta ad un’intensa
azione di lobbying da parte degli azionisti delle banche, che non
intendono accettare di vedere diluito o spazzato via il proprio
capitale nel tentativo di ridurre la leva finanziaria del settore
finanziario, il problema che occorre risolvere con priorità
assoluta.
Ma vi sono altri aspetti del
bailout che hanno potenziali conseguenze di vasta portata. Ad
esempio, è previsto che il Tesoro possa acquistare cartolarizzazioni
da istituzioni finanziarie che abbiano "significative operazioni
negli Stati Uniti", a meno che il Segretario al Tesoro giunga
alla determinazione, di concerto col presidente della Federal
Reserve, che la stabilizzazione dei mercati richieda di estendere
l’eleggibilità dei titoli riacquistabili.
Ciò sembra preludere
all’acquisto di attivi da banche quali ad esempio la svizzera UBS,
che hanno una enorme esposizione in obbligazioni mortgage-backed e
cartolarizzazioni. Ma l’Europa viene coinvolta anche per
altri aspetti. Come segnalato da Daniel Gros e Stefano Micossi su
Voxeu, dall’ultimo bilancio di AIG, salvata nei giorni scorsi dal
Tesoro statunitense, si
rileva che la compagnia assicurativa aveva venduto protezione
creditizia a banche europee per circa 300 miliardi di dollari.
Per esplicita ammissione di
AIG, queste coperture assicurative servivano agli europei per
comprimere il fabbisogno di capitale di vigilanza, e non per
mitigare il rischio dei propri trading books. Un vero e
proprio occultamento della reale esposizione al rischio, che ha
consentito alle banche europee di aumentare a dismisura la propria
leva finanziaria. Oggi le prime dieci banche europee hanno una leva
finanziaria complessiva (definita come rapporto tra capitale
azionario e attivi totali) pari a 35, contro un valore di circa 20
per le maggiori banche statunitensi.
Eppure, il leverage delle
banche europee ai fini della vigilanza è pari solo a 10. Parte della
differenza sembra spiegabile proprio con il "camuffamento" attuato
acquistando protezione tramite i credit default swap. Il
fallimento di AIG avrebbe quindi provocato un terremoto forse ancor
più devastante in Europa, e anche questo spiega l’esigenza di
salvare la compagnia. Malgrado ciò, se l’assicurazione statunitense
andrà in graduale liquidazione le banche europee dovranno
ricapitalizzarsi e/o ridurre il leverage, con elevato rischio di
riprodurre quanto sta oggi accadendo negli Stati Uniti.
Per quanti pensano che i
problemi possano essere risolti anche da noi attraverso un’ondata di
nazionalizzazioni di banche, alcune cifre su cui riflettere: le
passività totali di Deutsche Bank (che ha una leva totale, come
definita sopra, superiore a 50) ammontano a circa 2000 miliardi di
euro, oltre l’80 per cento del pil tedesco.
Le passività totali di
Barclays (leverage superiore a 60) sono pari a 1300 miliardi di
sterline, più del pil del Regno Unito. Le banche europee, più che
troppo grandi per fallire, sembrano soprattutto troppo grandi per
essere salvate. Una eccellente ragione, per gli europei, per fare il
tifo per la riuscita del salvataggio americano.
La vittima più illustre
della crisi resta la Federal Reserve, che ha agito in modo
intelligente e creativo per impedire l’implosione del sistema, ma
così facendo si è progressivamente caricata di attivi di dubbio
valore, che hanno preso il posto del portafoglio di titoli del
Tesoro. La Fed si è
immolata, ed ha dovuto chiedere al Tesoro una linea di credito
straordinaria da 100 miliardi di dollari che di fatto segna la fine
della sua indipendenza.
Ora vi sono non poche
probabilità che il deficit aggiuntivo creato dal Tesoro possa essere
in parte monetizzato dalla Fed. E questo ci porta all’ennesima
criticità: il finanziamento del salvataggio. Il governo degli
Stati Uniti sembra essere fiducioso che i suoi creditori esteri
continueranno ad assorbire un deficit aggiuntivo di almeno 1000
miliardi di dollari. Gli
ultimi dati sugli acquisti esteri netti di attività finanziarie
statunitensi mostrano che i privati stanno in realtà disinvestendo e
rimpatriando i propri fondi, lasciando la sottoscrizione dei titoli
di stato esclusivamente al canale istituzionale di governi e banche
centrali estere.
E qui si pone la grande
criticità: gli Stati Uniti non sono il Giappone, non dispongono cioè
di un eccesso di risparmio domestico per finanziare il salvataggio.
Ciò significa il concreto rischio che le principali istituzioni
finanziarie americane, quelle che hanno fatto la storia del
capitalismo finanziario, possano divenire di proprietà cinese.
Se la banca centrale cinese
continuerà ad essere il principale finanziatore degli eccessi
americani, ciò significherà che a Pechino hanno scoperto come
dominare gli Stati Uniti in un modo che mai potrebbe essere
raggiunto per via militare. Ma se prevalessero considerazioni
economiche, il rischio di un crollo del dollaro diverrebbe attuale,
con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
Tutta questa vicenda appare soprattutto il contrappasso finale della
presidenza Bush, e della sua bandiera ideologica fatta di tagli alle
tasse. Che appaiono un fondale di cartapesta di fronte al lievitare
del deficit pubblico che ha caratterizzato gli ultimi otto anni. Il
conservatorismo fiscale è altra cosa.
 |
Fonte
- Libero Mercato |
FED:
STA RASCHIANDO IL FONDO DEL BARILE
24 Settembre 2008 13:09 SIENA -
di WSI ______________________________________________
Tassi di interesse: in area Euro
i tassi di mercato sono tornati a scendere sulla scia del
calo dei listini azionari a causa dell’incertezza legata al
piano di salvataggio Usa. Il calo ha interessato soprattutto
il tratto a breve termine della curva portando il
differenziale 2-10 a 33 pb da 23.
Sul fronte macro, i dati preliminari di settembre dei Pmi
servizi e manifatturiero per l’intera area sono risultati
peggiori delle attese, mantenendosi sotto i 50 punti.
Analogamente i dati tedeschi hanno registrato dati sotto i
50 mostrando come anche la prima economia dell’area stia
subendo il rallentamento globale. La Bce continua a fornire
liquidità. Ieri sono stati collocati 25 Mld$ a 28 giorni a
fronte di una richiesta di 110,1 Mld$ e 40 Mld$ a un giorno
contro una richiesta di 77,6 Mld$.
Negli Usa i tassi di mercato sono calati sulla scia della
fredda accoglienza riservata dal Senato al piano da 700Mld$.
Bernanke ha detto esplicitamente che un ritardo
nell’applicazione del piano porterà ad un aumento della
disoccupazione, un maggior numero di pignoramenti ed una
contrazione dell’intera economia. Con riferimento ai prezzi
degli asset, il governatore ha suggerito che la vendita
avvenga secondo il criterio "Hold to maturity" anziché
l’attuale prezzo corrente di "fire sale", più basso del
precedente.
Ciò consentirebbe alle banche di aggiornare i valori di
portafoglio degli asset su livelli più elevati. Il Senato
non è che rifiuti del tutto il piano, ma ritiene che alcune
modifiche siano necessarie poiché attualmente la libertà di
manovra assegnata al Tesoro è troppo estesa. In primo luogo
propone un limite agli stipendi dei top manager delle
banche, ma Bernanke e Paulson si oppongono. In secondo luogo
molti senatori chiedono che lo Stato possa entrare nel
capitale delle banche che partecipano al piano, per
compensare i contribuenti della loro assistenza.
Ma anche qui Bernanke e Paulson non sono d’accordo poiché
ritengono che le banche non accetteranno a queste
condizioni. I democratici richiedono inoltre anche un
supporto per sostenere e rinviare i pignoramenti delle
famiglie, mentre i repubblicani si oppongono. In queste
condizioni è aumentata così l’incertezza circa la
possibilità di un ritardo nell’applicazione del piano in
attesa delle future contrattazioni, e così i mercati
azionari Usa hanno chiuso in ribasso. Oggi è atteso il
secondo intervento presso il comitato economico del
Congresso.
Questa mattina la Fed ha annunciato un accordo di currency
swap per 30Mld$ con le banche centrali di Svezia, Norvegia,
Australia e Danimarca, per aumentare la liquidità nel
sistema. Segnaliamo il prossimo aumento di capitale da parte
di Goldman Sachs per almeno 7,5Mld$ grazie alla
partecipazione del magnate W. Buffett e ad un’offerta
pubblica. Buffett tramite Berkshire acquisterà 5Mld$ di
azioni privilegiate perpetue.
Valute: ieri il Dollaro si è deprezzato vs Euro raggiungendo
i minimi da circa 1 mese sulla scia della fredda accoglienza
del senato Usa al piano del Tesoro. Successivamente si è
assistito ad un recupero del Dollaro che per oggi trova i
livelli di resistenza a 1,4870 ed 1,49. Il supporto si
colloca a 1,4570.
Attenzione rivolta ai dati macro del settore immobiliare del
pomeriggio ed al secondo intervento di Bernanke al
Congresso. Nel corso della mattinata l’indice Ifo potrebbe
essere il principale mover di mercato. Ieri si è assistito
ad un deprezzamento dello Yen vs Euro sulla scia del
movimento dell’Euro/Dollaro, con successivo recupero della
valuta nipponica. Confermiamo il livello di resistenza più
vicino in prossimità di 156,85. Il supporto per oggi si
trova a 153,75 circa.
Materie Prime: il greggio Wti ieri ha chiuso in ribasso
sulla scia del possibile ritardo nell’applicazione del piano
del governo per la creazione del trust speciale. In
sofferenza anche i metalli preziosi con l’oro che è
ritornato sotto i 900$/oncia. Male anche i metalli
industriali con rame (-3,8%) e zinco (-3,8%) in evidenza.
Tra gli agricoli in controtendenza il grano (+1,7%) su
possibili cali del raccolto in seguito al forte aumento del
costo dei fertilizzanti. Migliore commodity dell’indice GSCI
è stato il gas naturale (+3,6%) grazie al ritardo nella
ripresa della produzione nel Golfo del Messico.
Fonte
- MPS
Capital Services
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AMERICANI CONTRO IL SALVATAGGIO. E
NELLA CRISI PREFERISCONO OBAMA
24 Settembre 2008 16:15 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
Nell'ultimo sondaggio, gli
americani si oppongono al piano di salvataggio delle banche
con un largo margine e danno la colpa della crisi a Wall
Street e al Presidente George W. Bush.
Con un margine di 55% contro 31% - scrive Bloomberg che
riporta i riusultati dell'ultimo sondaggio Bloomberg/Los
Angeles Times - gli americani dicono che non e'
responsabilita' del governo salvare societa' private con il
soldi dei contribuenti, anche se il loro collasso potrebbe
provocare danni all'economia Usa.
Nel sondaggio gli intervistati sostengono che il candidato
presidenziale dei democratici Barack Obama farebbe un
"lavoro migliore" nel gestire la crisi finanziaria rispetto
al repubblicano John McCain, con un margine del 45% al 33%.
Circa la meta' degli elettori registrati sostengono che i
Democratici hanno idee migliori per rafforzare l'economia
rispetto al partito attualmente alla Casa Bianca.
Sei settimane prima delle elezioni presidenziali del 4
novembre - scrive Bloomberg - circa l'80% degli americani
dice che gli Stati Uniti stanno andando nella direzione
sbagliata, la piu' forte percentuale negativa da quando il
sondaggio Bloomberg/Los Angeles Times ha cominciato a porre
questa specifica domanda nel 1991.
Fonte
- ANSA
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VALUTE:
HANNO DECISO DI MOLLARE IL DOLLARO
24 Settembre 2008 14:23 MODENA -
di Giovanni Zibordi ______________________________________________
Leggo che alcuni che pensano che
il dollaro vada comprato perchè tutti sono negativi ora ed è
troppo ovvio che debba cedere per cui sul mercato le cose
troppo ovvie non si verificano.
Il problema è che chi è veramente negativo sul dollaro ora
sono le autorità americane e in quel caso non c'è niente da
fare. Nelle pieghe della mega proposta di salvataggio di
Paulson-Benanke c'è una piccola nota: le riserve americane
in valuta del "Fondo di Stabilizzazione del Cambio",
Exchange Stabilisation Fund verrano usate per pagare un
programma di assicurazione dei fondi monetari!
Hanno deciso di spendere le riserve in valuta che dagli anni
'30 gli USA tengono in questo "Fondo di Stabilizzazione del
Cambio" per assicurare i fondi monetari (ultimamente, invece
di restituirti sempre almeno il capitale, hanno mostrato
perdite dovute al fatto che anche lì erano finiti bonds tipo
quelli di Lehman).
Questa è la campana a morte per il dollaro, hanno deciso di
abbandonarlo al suo destino, non si preoccupano nemmeno più
di tenere riserve in valuta per difenderlo in caso di
bisogno come fanno tutti i paesi.
Per il dollaro il problema è solo se la reazione sarà
immediata e violenta o più dilazionata grazie agli sforzi
delle banche centrali asiatiche e mediorientali che ne hanno
in tasca un 3mila miliardi. Se arabi e cinesi cercano di
frenarne la caduta può darsi che scenda a zig-zag,
specialmente se in Europa si aprono falle che scoraggino un
attimo dal buttarsi sull'euro. Ma è solo questione del come
ci si arriva; non del dove. Il dollaro deve perdere almeno
un -20% da questo livello, come del resto indicano Pimco e
Bridgewater e Foreign Exchange Concepts.
Fonte
- Cobraf.com
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'L'ECONOMIA AMERICANA E' IN PERICOLO',
BUSH CONVOCA UN SUMMIT STRAORDINARIO ALLA CASA BIANCA
25 Settembre 2008 04:21 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
Il presidente George W. Bush ha
inviato i candidati John McCain e Barack Obama e i leader
del Congresso alla Casa Bianca oggi, per discutere il piano
salva-finanza. Un evento senza precdenti nella storia degli
Stati Uniti.
Per sottolineare la drammaticita' della crisi finanziaria in
atto, Bush ieri notte ha parlato in diretta Tv alla nazione,
chiedendo al Congresso "azioni immediate" per evitare che
gli Stati Uniti cedano "al panico", vista l'entità della
crisi finanziaria e visto che "l'economia degli Stati Uniti
e' in pericolo".
In una drammatica allocuzione televisiva di 15 minuti, con
il viso particolarmente teso, il presidente degli Stati
Uniti ha esortato il Congresso ad approvare quanto prima il
piano di salvataggio preparato dal ministro del Tesoro Usa
Henry Paulson per arginare la crisi del mutui che sta
minando l'economia Usa.
"Se il piano non verra' approvato - ha detto Bush - molte
banche falliranno, il mercato azionario scendera' ancora di
piu', milioni di americani perderanno il posto di lavoro, il
prezzo della case continuera' a scendere, aumenteranno
pignoramenti immobiliari e bancarotte aziendali, saranno
spazzati via i risparmi per le pensioni, e andremo incontro
a una lunga e dolorosa recessione". Secondo l'inquilino
della Casa Bianca - la cui popolarita' nei sondaggi e' ai
minimi assoluti, per un presidente, da molti decenni - il
piano servirà a "salvare l'intera economia non individui o
singole società".
Nel suo discorso Bush ha confermato che i due candidati alla
sua successione, il repubblicano John McCain e il
democratico Barack Obama, saranno oggi alla Casa Bianca per
parlare della crisi, in un meeting straordinario a cui
parteciperanno anche i membri del Congresso della
Commissione Finanze congiunta di Camera e Senato.
L'intervento di Bush in 'prime time' televisivo ha chiuso
una giornata lunga e drammatica, mentre un accordo in
Congresso, dopo lunghe ore di tira e molla tra i deputati,
appare ora più vicino essendo state superate una serie di
difficoltà, tra cui quella di un tetto agli stipendi dei
super manager.
Poche ore prima dell'intervento di Bush, il colpo di scena:
McCain, convinto che il piano non sarebbe stato approvato,
chiede di sospendere la campagna elettorale e di rinviare il
primo dibattito TV con Obama, in calendario venerdi; sera.
Obama rifiuta, ma i due pubblicano una dichiarazione
congiunta con l'impegno a risolvere la crisi in maniera
bipartisan. Il segretario al Tesoro Henri Paulson e il
numero uno della Fed Ben Bernanke hanno esortato il
Congresso a una rapida approvazione del progetto
salva-finanza, così da ridare stabilità ai mercati, evitando
"severe" conseguenze sull'economia.
Bernanke, davanti alla Camera, ha infatti spiegato che
l'economia americana, nella seconda parte dell'anno crescerà
ben al di sotto del proprio potenziale, anche perché il
rallentamento dell'economia globale dovuto alla crisi
frenerà le esportazioni Usa, che nei primi tre mesi avevano
trainato la crescita.
"E' giunto il momento di lavorare insieme, Democratici e
Repubblicani, in uno spirito di cooperazione per il bene del
popolo americano": lo afferma una dichiarazione congiunta
preparata dai loro stretti collaboratori e sottoposta
all'approvazione di John McCain e Barack Obama,
rispettivamente candidati alla Casa Bianca per il Partito
Repubblicano e per quello Democratico.
Intanto i leader democratici del Congresso si dicono
"ottimisti" sulla conclusione prossima di un accordo con
l'amministrazione Bush sul piano salva-finanza. "Sono
ottimista", ha affermato il senatore Chris Dodd, precisando
che questo "é un momento triste e tragico per il nostro
paese, ma merita una risposta. Siamo veramente vicini" a un
accordo, "ma non è ancora fatta: non ci siamo ancora, ma ci
stiamo arrivando". "Stiamo assumendo delle decisioni che
avranno implicazioni per i prossimi decenni e questo
richiede un'azione intelligente da parte del Congresso", ha
aggiunto Dodd.
Fra le aggiunte al piano presentato dal segretario al Tesoro
Henry Paulson volute dai democratici ci sarebbero la
"supervisione" delle attività di acquisto di asset non
liquidi, più "trasparenza", più "responsabilizzazione" del
sistema finanziario e una necessaria limitazione degli
stipendi dei super manager di Wall Street.
Fonte
- ANSA
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Martedì 23
Settembre 2008 |
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Mercoledì 27
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LA BCE
CONTINUA A INIETTARE LIQUIDITA'
25 Settembre 2008 12:29 SIENA -
di MPS Capital Services ______________________________________________
Altri $40 miliardi. Almunia,
commissario Ue agli affari economici e monetari, ha
annunciato che la situazione europea è diversa da quella Usa
e che quindi non c’è bisogno di un piano anti-crisi.
*Questo documento e' stato preparato da MPS Capital Services
ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali
ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi
dell'allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi
qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna per Wall
Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita'
di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo
informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il
disclaimer ufficiale di WSI.
(WSI) – Tassi di interesse: in area Euro i tassi di mercato
hanno continuato a scendere con il tasso decennale che si è
portato sotto il 4,20% e lo spread 2-10 anni in rialzo oltre
i 40 pb. Restano alte le tensioni sul monetario con
l’Euribor tre mesi ancora sopra il 5%, mentre si restringe
lo spread sul decennale Italia-Germania, sotto i 70 pb.
Sul fronte macro, le tensioni degli ultimi giorni hanno
ridotto la fiducia delle imprese tedesche, con l’indice Ifo
sceso al di sotto delle attese e con la componente
prospettica ai minimi dal ’93. Analogamente la fiducia delle
imprese francesi è scesa ai minimi da luglio 2003. I dati
portano quindi a pensare ad un terzo trimestre ancora molto
debole per l’economia dell’area ed in particolare per la
Germania che potrebbe registrare un altro trimestre
negativo.
Intanto Almunia, commissario Ue agli affari economici e
monetari, ha annunciato che la situazione europea è diversa
da quella Usa e che quindi non c’è bisogno di un piano
anti-crisi. La Bce continua ad iniettare liquidità. In
mattinata ha offerto rifinanziamento fino a 40 Mld$ ad un
giorno. Sul decennale il supporto si colloca a 4,10%.
Negli Usa tassi di mercato decennali fermi intorno al 3,80%.
Bernanke di fronte alla Commissione Economica congiunta ha
evidenziato come la crisi dei mercati finanziari potrebbe
impattare fortemente sull’economia Usa, aggiungendo che il
pil nel secondo trimestre crescerà "fortemente" sotto il
potenziale, mentre potrebbe migliorare con la
normalizzazione dei mercati. Il capo della Fed ha ribadito
la necessità del piano di salvataggio per sostenere il
sistema finanziario ed evitare pesanti ripercussioni sulla
crescita.
Bernanke ha aggiunto che malgrado i dati evidenzino una
certa stabilizzazione delle vendite di case, i costruttori
hanno ampie scorte di case invendute. Incerto l’outlook sui
prezzi al consumo che potrebbero scendere nel 2008 e 2009,
ma tutto dipenderà dall’andamento del prezzo del greggio.
Toni analoghi sono stati quelli utilizzati da Bush che ha
palesato il rischio di recessione.
Nel frattempo non si arrestano le tensioni sul comparto
finanziario, in particolare con riferimento a Washington
Mutual (prima cassa di risparmio Usa con depositi per circa
140Mld$) che ha chiuso in calo del 29%. S&P ha proceduto
ieri a ridurne il rating a CCC sul timore che la vendita
della banca possa contemplare solo alcune parti della
stessa.
Negli ultimi giorni diversi potenziali compratori (tra cui
Santander e JPMorgan) hanno ritirato il loro interesse ed al
momento l’eventuale acquisto appare possibile solo da parte
di fondi di private equity, secondo quanto riportato dal Wsj.
La crisi sta coinvolgendo anche l’andamento della campagna
elettorale con l’invito da parte di McCain di procedere ad
una temporanea sospensione in vista del’approvazione del
piano da parte del Congresso, invito che però Obama ha
rifiutato. Il nervosismo tra gli operatori sull’esito della
discussione del piano al congresso può ancora interessare i
prossimi giorni. Nel frattempo il tasso decennale potrebbe
continuare a stazionare nel range 3,60-3,80%.
Valute: Dollaro in deprezzamento questa mattina vs. Euro,
sulla scia sempre dei timori collegati ai tempi di
approvazione del piano presentato da Paulson in accordo con
Bernanke. Gli operatori di fondo stanno prezzando attraverso
il cross anche il rischio di un potenziale deterioramento
dei conti pubblici Usa a causa dell’elevata onerosità del
piano di salvataggio stesso, tenendo in conto i costi che
già il Tesoro si è accollato dopo il piano di salvataggio
delle agenzie sui mutui e probabilmente di quelli che dovrà
ulteriormente accollarsi per sostenere direttamente i
consumi. Ne emerge pertanto un peggioramento della
percezione della qualità del debito Usa.
Non a caso l’aumento del costo della protezione sui T-note
Usa decennali (passato da 18 a 29pb nel giro di poche
settimane a fronte di una sostanziale invarianza nel caso
dei Bund tedeschi) si è verificato in modo quasi parallelo
rispetto alla ripresa del deprezzamento del Dollaro. Per
oggi la resistenza si colloca a 1,4866. Yen sostanzialmente
stabile in linea con l’andamento dei mercati azionari che
hanno evidenziato perdite contenute negli Usa in attesa di
notizie sul fronte approvazione del piano Usa.
Materie Prime: in forte aumento lo zucchero (+2,62%) dietro
la speculazione di un aumento della domanda brasiliana per
la produzione di etanolo. In rialzo anche i prezzi dei
preziosi ed in particolare l’argento cresciuto del 2,01%. In
lieve calo il prezzo del greggio malgrado i dati sulle
scorte siano risultati peggiore delle attese. La peggiore
performance dell’indice GSCI è stata registrata dal gas
naturale (-3,18%) ed il grano (-2,70%).
Fonte
- MPS
Capital Services
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ACCORDO FATTO A WASHINGTON SUL
PIANO
25 Settembre 2008 19:02 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
Il senatore Chris Dodd,
democratico, responsabile della Commissione Finanze del
Senato, ha annunciato l'OK di principio bipartisan al piano
di salvataggio delle banche presentato dal Tesoro Usa.
Stando ai primi rumors degli insider di Washington, il voto
al Congresso e' previsto per domani o al massimo sabato. Lo
scenario prevede che i dettagli tecnici del piano siano
rivelati nelle prossime ore, ma l'accordo di principio
raggiunto a Capitl Hill tra repubblicani e democratici
presuppone un esito positivo della votazione.
Subito dopo, e' tornata la fiducia in borsa, Wall Street che
era gia' al rialzo nell'attesa di un annuncio positivo, e'
schizzata (S&P500 +2.7%), gli acquisti sono ripresi su tutti
i comparti. Alle 19 circa ora italiana gli indici americani
procedono tonici e vicini ai migliori livelli giornalieri
(controlla la performance in tempo reale). Le voci sulla
possibile approvazione del piano di salvataggio entro domani
hanno permesso ai listini di liberarsi dalle debolezza
iniziale generata sia dal deludente annuncio di General
Electric (vedi sotto) che dai cattivi aggiornamenti giunti
dal fronte macro.
Ieri il presidente degli Stati Uniti George W. Bush era
intervenuto in diretta televisiva ieri sera per convincere
il Congresso ad approvare il piano di salvataggio.
Politica e finanza Usa sono in queste ore interconnesse come
mai prima, in un complicato e rischioso puzzle tra Casa
Bianca, le due campagne elettorali di Barack Obama e John
McCain, il Congresso. Subito dopo la chiusura di Wall
Street, alle 22:00 ora italiana, si terra' a Washington
l'incontro alla Casa Bianca tra Bush, Obama, McCain e una
delegazione bipartisan del Congresso, sollecitato dal
presidente.
Gli operatori non hanno dato particolare rilievo al forte
aumento delle richieste di sussidio da parte dei disoccupati
(ai massimi livelli di 7 anni) e al significativo calo degli
ordini di beni durevoli, probabilmente a causa dell’evidente
stato di rallentamento economico. Incassato senza
ripercussioni anche il pessimo dato sul mercato immobiliare
che ha evidenziato il peggior livello di vendite di case
nuove degli ultimi 17 anni.
A livello socieatrio, brutte notizie dalla conglomerata
industriale General Electric: la societa’ ha tagliato l’outlook
sul terzo trimetre e sull’intero anno fiscale 2008 ed
annullato l’annunciato piano di buy-back. Le stime sull’EPS
del trimestre in corso sono state riviste al ribasso in un
range di $0.43-0.48, il consensus degli analisti e’ pari a
52 centesimi. L’azione, pesante nel preborsa, e’ riuscita
comunque a girare in positivo grazie al relativo buonumore
generale che sta caratterizzando la seduta.
Tra gli altri titoli in buon progresso il colosso
dell’abbigliamento sportivo Nike che ha riportato un calo
del 10% dei profitti, comunque sufficiente a battere le
attese del mercato; Research In Motion, la societa’
sviluppatrice della tecnologia Blackberry, diffondera’ i
risultati trimestrali subito dopo la chiusura. Tra i
finanziari, non riesce a conservare i guadagni Washington
Mutual, scivolato in territorio negativo. Nel preborsa l’azioje
era avanzata grazie ad un articolo del Wall Street Journal
secondo cui il gruppo avrebbe contattato diversi potenziali
acquirenti per l’operazione di takeover.
Sugli altri mercati, ha ripreso a viaggare in rialzo il
petrolio: i futures con consegna novembre segnano un
progresso di $2.12 a $107.85 al barile. Sul valutario,
l’euro e’ poco variato rispetto al dollaro a quota 1.4608.
Arretra l’oro a $873.60 l’oncia (-$21.40). In calo i Titoli
di Stato Usa: il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ salito
al 3.8670%.
Fonte
-
WallStreetItalia.com
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CRISI: 200 ECONOMISTI USA BOCCIANO
IL PIANO
26 Settembre 2008 17:07 NEW YORK -
di ANSA ______________________________________________
di WSI - ANSA
Ecco il documento contro il progetto salva-Wall Street
firmato da alcuni dei migliori accademici e professori di
economia e finanza degli Stati Uniti. Critici divisi in due
scuole di pensiero, sul salvataggio Paulson.
Una petizione contro il piano salva-finanza: a firmarla sono
200 accademici economisti convinti che il progetto all'esame
del Congresso è troppo vago con effetti di lungo termine
poco chiari. Inoltre "creerebbe degli incentivi perversi".
LEGGI LA PETIZIONE CON LA LISTA DI TUTTI I FIRMATARI
Organizzata da John Cochrane, professore dell'Università di
Chicago, la petizione riflette soprattutto un malessere nei
confronti dell'amministrazione Bush dovuto all'eccessiva
pressione esercitata sul Congresso per un'approvazione
rapida del piano. Al presidente americano e alla sua
squadra, infatti, viene rimproverata la fretta e, di
conseguenza, il fatto di non lasciare adeguato spazio e
tempo a un dibattito costruttivo su un piano che già solleva
perplessità.
I critici nei confronti del progetto Paulson si dividono
principalmente in due aree: da una parte coloro che
ritengono che i fondi pubblici andrebbero destinati a
effettuare iniezioni di capitale direttamente nelle banche.
Dall'altra parte figurano invece coloro che ritengono che i
fondi dovrebbero essere utilizzati per acquistare i mutui
individuali, aiutando così gli americani più direttamente.
Il piano Paulson - osservano alcuni economisti - si colloca
quasi esattamente a metà strada, prevedendo l'acquisto dei
debiti 'tossici' con possibili eventuali benefici sia per le
banche sia per le famiglie. "Sono completamente in
disaccordo sul fatto che il progetto debba essere approvato
in settimana. La cosa importante è che dal Congresso esca un
testo giusto", osserva Alan S. Blinder, professore della
Princeton University.
"Vorrei sapere come prevedono che sia l'evoluzione, quale
sia la fine della partita. Ci sono ancora molte domande
senza risposta", spiega invece il premio Nobel Myron Scholes,
sottolineando che il successo del piano è legato al tempo
che il governo manterrà gli asset non liquidi e soprattutto
a quanto li rivenderà. Secondo l'ex capo economista del
Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Simon Jonhson, 700
miliardi di dollari potrebbero non essere abbastanza per
risolvere i problemi dei mercati finanziari. "Può non essere
la decisione decisiva - spiega Jonhson - se non si
risolveranno le cause" della crisi.
Nella lista dei firmatari della petizione anti-piano di
salvataggio, numerosi accademici italiani: Alberto Bisin,
Michele Boldrini, Enrico Moretti, Andrea Moro, Fabrizio
Perri, Adriano Rampini, Paola Sapienza, Pietro Veronesi,
Luigi Zingales.
Fonte
- ANSA
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CRISI: COME E' CAMBIATO PANORAMA
FINANZA USA / SCHEDA
26 Settembre 2008 22:43 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
(ANSA) - NEW YORK, 26 set - La
crisi che affligge gli Stati Uniti da ormai 13 mesi ha
portato, dall'inizio del 2008 profondi cambiamenti nel
panorama bancario e finanziario americano, fra salvataggi,
fallimenti e acquisizioni. Ecco di seguito le maggiori
trasformazioni: - COUNTRYWIDE FINANCIAL: Colosso del credito
ipotecario, è il primo grande nome a soccombere alla crisi.
L'11 gennaio 2008 Bank of America, per 2,5 miliardi di
dollari, la compra. - BEAR STEARNS: La più piccola delle
banche d'affari statunitensi resta vittima di una crisi di
fiducia e, minacciata dalla mancanza di liquidità, è salvata
in extremis da JPMorgan di concerto con la Fed. Per JPMorgan
le condizioni di acquisto risultano decisamente favorevoli,
grazie a 29 miliardi di dollari stanziati dalla banca
centrale americana. - FANNIE MAE E FREDDIE MAC: Schiacciati
dalle perdite vengono salvati in due tempi dalle autorità Il
13 luglio viene prima approvato un piano che prevede un
aumento temporaneo della linea di credito del Tesoro e
l'accesso agli strumenti di di finanziamento della Fed.
Queste misure non si rivelano però sufficienti e il 7
settembre il Tesoro le nazionalizza, commissariandole. -
LEHMAN BROTHERS: Una crisi di fiducia costringe Lehman
Brothers a cercarsi un acquirente. Ma il no del Tesoro e
della Fed a mettere in atto un'azione simile a quella
condotta in marzo con Bear Stearns fa fuggire i potenziali
investitori e la banca d'affari è costretta, il 15
settembre, a portare i libri in tribunale e dichiarare
fallimento. Il gruppo viene smantellato e le attività
americane e inglesi vengono acquistate da barclays, mentre
quelle europee e dell'Asia-Pacifico finiscono nelle mani di
Nomura. - MERRILL LYNCH: La prestigioso banca d'affari perde
la propria indipendenza il 15 settembre, acquistata da Bank
of America per 50 miliardi di dollari. - AIG: Il gigante
americano dell'assicurazione è salvato il 16 settembre dalla
Fed, che le accorda un prestito da 85 miliardi di dollari,
ricevendo in cambio il 79,9% del capitale. - GOLDMAN
SACHS-MORGAN STANLEY: Le uniche du banche d'affari
sopravvissute come indipendenti alla crisi chiedono e
ottengono, il 21 settembre, il cambio di status a banche
commerciali. Un cambiamento che consente loro di accedere ai
prestiti della finestra di tasso di sconto della Fed, ma che
le sottopone a un controllo più stretto. Goldman Sachs
ottiene un finanziamento da 5 miliardi di dollari dal
miliardario Warren Buffet, e raccoglie ulteriori 5 miliardi
tramite il collocamento di titoli. Morgan Stabnley annuncia
di essere in trattative con la Mitsubishi-UFJ che potrebbe,
tramite un aumento di capitale riservato, aumentare la
propria quota. - WASHINGTON MUTUAL: La sesta banca americana
e la prima cassa di risparmio del paese fallisce: la Fdci ne
blocca l'attività e cede i depositi e altri asset a JPMorgan
per 1,9 miliardi di dollari.(ANSA).
Fonte
- ANSA
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CRISI: CONTRO IL CAPITALISMO DA
COWBOY
28 Settembre 2008 05:54 NEW YORK -
di WSI ______________________________________________
WSI pubblica in esclusiva per
l'Italia l'email di una deputata democratica al Congresso
degli Stati Uniti, con tutti i contro-dettagli sul piano di
salvataggio dalla cui approvazione, entro oggi, dipende la
salvezza del sistema.
Thank you for contacting me about the unprecedented
financial crisis in our country. Over 2,000 constituents
have shared their views with me about the crisis and I
certainly value yours.
As of today (Saturday evening September 27th) negotiations
between House and Senate, Democrats and Republicans, as well
as Treasury Secretary Paulson continue. As soon as the final
bill is drafted, I will post it on my website with a summary,
and I will of course let you know whether I vote for or
against the final package.
Each of us is outraged about the circumstances that have
brought our financial system to near collapse. In my view,
the Administration has practiced "cowboy capitalism", saying
the markets must be allowed to run free, but they instead
let Wall Street run wild without accountability, without
transparency and without enforcement or regulations to
protect the American taxpayer.
The following describes what President Bush and Secretary
Paulson presented to Congress on Monday, September 22nd.
o Requested Congress to approve a $700 billion bailout, with
the Treasury Secretary empowered to set the rules for all
transactions
o No safeguards, No transparency, No accountability, and No
oversight. The President's plan was rejected.
As I see it, there are three elements we need to build into
legislation
#1 Reinvest in troubled financial markets to stabilize our
economy and insulate Main Street from Wall Street.
#2 Reimburse the taxpayer through ownership shares and asset
recovery as the plan begins to work.
#3 Reform how business is done on Wall Street including the
prohibition of golden parachutes.
---------------------------------------------------------------------------
The following are elements which I'm hopeful the legislation
will include:
o Ensure That Taxpayers Have an Equity Share in Any Profits
o Give taxpayers an ownership stake and profit sharing of
participating companies.
o Put taxpayers first in line to recover assets if a
participating company fails.
o Allow the government to purchase troubled assets from
pension plans, local government, and small banks that serve
low and middle-income families.
o Strong Independent Oversight and Transparency
o Establish four separate independent oversight entities or
processes to protect the taxpayer including:
w Establishment of an independent bipartisan board to
provide oversight, review and accountability of taxpayer
funds.
w A Government Accountability Office presence at Treasury to
oversee the program and conduct audits to ensure strong
internal controls, and to prevent waste, fraud, and abuse.
w An independent Inspector General to monitor the Treasury
Secretary's decisions.
w Have all transactions posted online for the public.
o Staging of Funds
o Funding for the rescue program should occur in stages (not
all up front) and condition future payments on Congressional
review.
o Limits on Golden Parachutes
o Restrict CEO and executive compensation for participating
companies.
w No multi-million dollar golden parachutes
w Recover bonuses paid based on promised gains that later
turned out to be false or inaccurate.
o Home Foreclosures
o Allow the government to change the terms of mortgages to
help reduce the 2 million projected foreclosures in the next
year.
o Protection of School District and City/County Investments
o Assist school districts, cities and counties who had
investments in failed institutions.
As I continue my work representing you, I'm mindful of the
profound responsibility I have to you and my solemn
obligation to do my utmost to protect the taxpayer and help
bring our country through the largest financial crisis in
the history of the world.
I believe if we do nothing, our ability to obtain a home
mortgage, a car loan, a loan for small businesses, or even a
credit card will become highly difficult or impossible. Even
more financial institutions could fail and millions could
lose their savings, thousands of jobs could be lost, and
large parts of our economy could cease to function. The
repercussions would be far greater than the cost of a
financial rescue program.
Let me know what you think. I value what my constituents say
to me because I always benefit from your ideas.
Fonte
-
WallStreetItalia.com
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L’era glaciale
30 Settembre 2008 13:29 -
di Phastidio ______________________________________________
I tassi di mercato monetario in
Europa sono balzati questa mattina al massimo storico, dopo
che il Congresso degli Stati Uniti ha respinto il piano di
salvataggio da 700 miliardi di dollari, accrescendo i timori
di ulteriori insolvenze bancarie. Il tasso interbancario in
Euro, noto come Euribor, che le banche si addebitano
reciprocamente, è salito per la scadenza a un mese al
massimo di 5,05 per cento, secondo dati della Federazione
Bancaria Europea. I tassi sugli impieghi a tre mesi in
dollari hanno toccato, poco prima delle 11 ora di Londra, il
10 per cento, per poi fissarsi al 6,88 per cento, con un
incremento di 4,31 punti percentuali rispetto a ieri.
I mercati monetari sono collassati, e l’attività di trading
è praticamente evaporata. Le banche centrali sono l’unico
fornitore di liquidità al mercato. La gelata del credito,
che spinge le banche verso l’insolvenza, ha spinto i governi
statunitense ed europei a salvare cinque banche negli ultimi
due giorni, inclsa Dexia, il maggior prestatore agli enti
locali, e Wachovia. I tassi di mercato monetario sono saliti
anche dopo che ieri la Federal Reserve ha più che
raddoppiato la dimensione della linea di credito swap in
dollari a beneficio delle banche centrali estere, portandola
a 620 miliardi di dollari. La carenza di liquidità è
esacerbata dal tentativo delle banche di irrobustire il
proprio stato patrimoniale prima della fine dell’anno,
astenendosi dal prestare fuori dall’overnight.
Dexia ha ottenuto una iniezione pubblica di capitale per 6,4
miliardi di dollari, come informa un comunicato del premier
belga Yves Leterme. Il timore (ma ora sarebbe forse più
opportuno definirlo il terrore) delle controparti sta
toccando nuovi picchi sui mercati monetari di tutto il
pianeta. Ieri le banche hanno ottenuto 15,5 miliardi di euro
dalla Bce al tasso overnight di emergenza del 5,25 per
cento, mentre nelle ultime due settimane la Bank of Japan ha
iniettato oltre 19 trilioni di yen (182 miliardi di dollari)
nel sistema finanziario giapponese. Analoghe operazioni sono
avvenute da parte degli istituiti di emissione australiano e
scandinavi. Il Libor-OIS spread, la differenza tra il tasso
a tre mesi sul dollaro e l’overnight indexed swap ha toccato
i 233 punti-base, mostrando che la carenza di liquidità è a
livelli record. Il TED spread, la differenza tra ciò il
Tesoro degli Stati Uniti paga sui propri T-bills a tre mesi,
e l’interbancario di pari scadenza era questa mattina a 331
punti-base, dopo aver toccato ieri per la prima volta i 350
punti-base.
Fonte
- Macromonitor
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Sabato 27
Settembre 2008 |
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Domenica 28
Settembre 2008 |
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Martedì 30
Settembre 2008 |
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